Carissima Ruth

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Tre atti e sei quadri

di Norman  Krasna

TITOLO ORIGINALE DELL'OPERA: DEAR RUTH

VERSIONE ITALIANA DI ADA SALVATORE

pubblicata su Il Dramma

Nuova Serie n. 126

1° febbraio 1951 Anno 27

LE PERSONE:

DORA

La signora EDITH WILKINS

MIRIAM WILKINS

Il giudice HARRY WILKINS RUTH WILKINS

Il sottotenente BILL SEAWRIGHT

ALBEBTO KUMMER

MARTA SEAWRIGHT

Il sergente CHUCK VINCENT

AROLDO SIMMONS


ATTO PRIMO

PRIMO QUADRO

La stanza di soggiorno dei Wilkins a New Gardens, Long Island. È una casa né nuova né vecchia. Vi abitano quattro persone attive e una donna di servizio; due figliuole sono cresciute nella casa la quale non è, per questo motivo, eccessivamente ordinata. In fondo, un balcone. Attraverso il balcone si vede parte di una tavola di ping-pong che è sulla veranda. A destra, in fondo, porta che mette nell'anticamera che si vede in parte. Si sente, durante l'azione, ogni volta che la porta d'ingresso si apre e si chiude. A destra una finestra senza balcone. Verso sinistra una tavola rotonda con un grande divano coperto di cretonne. In fondo, una specie di alcova dove la famiglia fa colazione per godere il sole. Più a sinistra ancora, la scala che va al piano di sopra, e della quale son visibili cinque o sei gradini. Sul davanti, a sinistra, la porta che accede alla stanza da pranzo e alla cucina. In un primo piano un tavolino per il caffè con una poltrona Chippendale. A destra una libreria. Vi sono riviste accumulate da venti anni, cioè da quando la signora Wilkins, ha iniziato l'abbonamento. La stanza è chiara e piena di sole.

(Entra Dora dalla cucina portando una zuccheriera e una lattiera che mette sulla tavola; va in fondo ed esce un momento dalla porta d'ingresso, rientrando quasi subito e richiudendo la porta con un calcio, avendo le mani ingombre da una bottiglia di latte, una di crema e il giornale del mattino. Posa il gior­nale sulla tavola a sinistra del posto del giudice. Poi va a portare il latte in cucina e rientra con un vassoio su cui sono due scodelle dì zuppa d'avena, che mette ai posti di Miriam e della signora Wilkins. Dora è una negra di buon carattere. Esce da sinistra. Dalla scala scende Edith Wilkins. Ha oltrepassato di poco la quarantina; è una donna generosa e sentimentale. Indossa una vestaglia a fiorami, abbastanza graziosa. Dora rientra portando altre due scodelle).

Dora — 'giorno, signora.

Edith — Buongiorno, Dora. (Segue Dora nell'alcova ed esamina la tavola) Il giudice detesta i tovagliolini di carta.

Dora — Ho ritelefonato alla lavanderia, e non hanno promesso, ma certamente consegneranno la biancheria nel pomeriggio. Se potranno. (Un attimo di pausa) Però potrei metterne uno di tela per il giudice.

Edith — Ma no, magari non ci baderà. Ricordami di telefonare più tardi alla lavanderia.

(Miriam scende dalle scale).

Dora — Sì, signora. E guardi anche che siamo senza zucchero. (Esce).

(Miriam è arrivata in fondo alla scala. Ha circa sedici anni ed è alla vigilia di prendere la licenza della scuola media. È quindi in anticipo di un anno. Il carattere di Miriam è tale che essa è sempre, in un modo o in un altro, in anticipo di un anno per qualsiasi cosa. È in gonna e camicetta, con un berretto basco).

Miriam — Buon giorno, Dora.

Dora — 'giorno, signorina Miriam.

Edith — Ciao, cara. (La guarda) Ti ho detto cento volte, Miriam, che un cappello piccolo non si adatta al tuo viso.

Miriam (bevendo il succo d'arando) — Ma questo è un berretto, mamma.

Edith — Per me è un cappello piccolo.

Miriam — Io non lo porto come cappello, lo porto come protesta contro il ministero.

Edith — Cioè?                                

Miriam — La nostra classe di scienze politiche non approva la politica del ministero verso la Francia.

Edith — Ma davvero?

Miriam — Davvero. Siamo tutte d'accordo.

Edith — E che c'entra il cappello?

Miriam — Abbiamo deciso di portare, come pro­testa, il basco, che è il cappello nazionale francese. Speriamo di interessare la rivista «Life».

Edith — E stata tua questa idea?

Miriam — No, di Clara Hoff.

Edith — La testa di Clara Hoff è piccola come un gettone. (Siede).

Miriam — Madre mia, tu vivi in una torre d'avorio. (Beve).

Edith — Non mandar giù tutto in una volta; ti andrà per traverso e tossirai per mezz'ora!

 

(Il giudice Wilkins scende la scala mentre Dora rientra col caffè e un altro bicchiere di succo di frutta. Il giudice ha quarantacinque anni, di buon carattere, è il compagno adatto per la sua simpatica moglie. È giudice muni­cipale e, come tale, indossa un abito bleu).

Dora (ha molta simpatia per lui) — Buon giorno, signor giudice.

Il Giudice — Buon giorno, Dora. Com'è quella barzelletta?

Dora (comincia a ridere quasi istericamente) — Non mangiate quelle uova!

Edith — È una settimana che lo ripeti. Che dia­volo  significa?

Il Giudice — Un tale andò in un ristorante e la cameriera gli chiese i suoi ordini. «Due uova al burro e una parola gentile», disse il cliente. La came­riera portò le uova. «E la parola gentile?». «Non man­giate quelle uova». (Siede).

(Dora si calma, va verso la porta della cucina ed esce. Edith e Miriam non hanno riso).

Edith — Buon giorno, caro.

Il Giudice — Buon giorno. (Si china verso di lei e la bacia).

Miriam — Ciao, papà.

Il Giudice — Ciao, piccola. (La guarda e aspetta) Beh? (Miriam gli getta un bacio. Con lieve sarcasmo) Grazie; ti ringrazio molto.

Miriam — Scusami, papà. Ero distratta.

Il Giudice — Non fa nulla.

Edith — Come hai dormito, caro?

Il Giudice — Magnificamente. Come un ragno; ho filato tutta la notte. (Nessuna reazione) Non è carina?

Edith — Sì, ma l'abbiamo già sentita da Mischa Auer.

Il Giudice — Ma no, non era la stessa.

Miriam — Ho dormito come un lattante. Ho fri­gnato tutta la notte.

Il Giudice — Lo vedi? Non è affatto la stessa cosa. Non ci somiglia neppure.

Dora (rientra con un piatto di mele cotte che mette davanti al giudice).

Il Giudice (guarda il berretto di Miriam) — Carino, quel cappello!

Miriam — Grazie.

Edith (sorseggiando il caffè) — Al ministero non piacerà.

Il Giudice (mentre beve il succo d'arancia guarda il contenuto del piatto che Dora gli ha messo davanti) — Non credo, Dora.

Edith — Ma è solo mezza mela, cotta con un po' di crema.

Il Giudice (prendendo il giornale) — Niente.

(Dora riprende il piatto e si avvia).

Miriam (versando il latte). — Ma il tuo stomaco, papà, ha bisogno di qualche cosa per lavorare. La mattina hai dieci metri di intestino tenue vuoto.

(Dora ride ed esce).

Il Giudice — Non lo hanno tutti?

Edith — Sono io che mi occupo dell'intestino di tuo padre. Di tutti i dieci metri, se non ti dispiace. E non mi piacciono questi discorsi a tavola.

Miriam — Ti prego, papà. Fallo per me.

Il Giudice (sospettoso) — Per te?

Miriam — Ecco... ho firmato col tuo nome, impe­gnandoti a dare mezzo litro di sangue alla banca del sangue.

Il Giudice — Hai firmato per me? Per il mio sangue?

Edith — Come sei stata generosa!

Miriam — Il mio non lo accettano. Perché sono troppo giovane, o per un altro pretesto del genere.

Edith — Nessun pretesto. Troppo giovane.

Il Giudice — Lo prenderò io, il tuo. Mettilo in una tazza e glielo porterò.

Edith — Harry! (A Miriam) Non avevi il diritto di firmare col tuo nome impegnando tuo padre.

Miriam (si alza e va verso il divano) — Ma io ho firmato col nome di papà.

Il Giudice — Un momento, madamigella!

Edith — Col nome di tuo padre! Ma è terribile!

Il Giudice (va a sedere sul divano prendendo il giornale) — È un falso! Ti prego di lasciare che io decida da solo la misura del mio patriottismo.

Miriam (offesa) — Cancellerò il tuo impegno. (Va a sedere sulla poltrona).

Il Giudice — Non mi piace questo discorso. Fir­mare e cancellare il mio impegno mi fa fare una gran brutta figura.

Miriam — Mi pareva che come giudice tu avessi qualche responsabilità di più e fossi in dovere di dare il buon esempio.

Il Giudice — Sono semplicemente un giudice municipale. E preferisco che il sangue lo diano gli altri.

(Dalla scala scende Ruth Wilkins, ventidue anni, bella, graziosa e intelligente. È vestita come chi deve andare a lavorare ma essendo intelligente non si sente in dovere di portare un tailleur. Ha il cappello. Posa la borsetta sul divano, va a baciare sua madre, e poi si avvicina a suo padre il quale sta riempiendo la pipa. Saluti a soggetto).

Miriam — Quando è stata la mattina in cui hai smesso di baciare papà venendo giù per far colazione?

Il Giudice — Quando ha cominciato a tingersi le labbra. L'ho pregata io di smettere. È stata sempre più affettuosa di te.

Ruth (prende il bicchiere di succo d'arancia e viene verso il centro) — Sento odore di fumo.

Edith — Che cosa pensi del cappello di Miriam, Ruth?

Ruth (sinceramente) — È carino e le sta molto bene.

Miriam (fa una smorfia di soddisfazione e di sarcasmo).

Ruth (dall'espressione di Edith capisce di avere sba­gliato) — D'altra parte non è precisamente il suo tipo.

Miriam — Che cosa fate voi due: telegrafo con le mani? O è telepatia?

Edith (a Ruth) — A che ora sei rientrata ieri sera?

(Miriam va a prendere i suoi libri sulla tavola).

Ruth — Verso le dieci e mezzo.

Edith — Così presto?

Ruth — Anche troppo tardi.

Edith — Un altro litigio?

Ruth — Ti dirò dopo.

(Due colpi di clacson dall'esterno.  Tutti guardano Miriam che non si muove).

Edith — L'automobile della scuola, Miriam.

Miriam — Il giuoco di un uomo e di una donna che manovrano biologicamente, lo metto allo stesso li­vello mentale di un giuoco di scacchi.

Edith — Miriam!

Ruth (siede) — Che ne sai tu degli scacchi?

Edith — Ruth!

Il Giudice (approvando Ruth) — Hai ragione, Ruth. (A Miriam) E tu va a scuola.

Miriam — Far dello spirito, non è un modo di rispondere secondo la logica.

Il Giudice (sentenzia) — Ha ragione Ruth.

(Due nuovi colpi di clacson e Miriam esce. Si sente richiudere la porta d'ingresso).

Edith (alzandosi) — Perché la incoraggi, Harry?

Il Giudice (sprofondandosi di nuovo nel giornale) — Io sono soltanto l'arbitro.

(Dora entra portando una scodella per Ruth).

Dora — 'giorno, signorina.

Ruth — Buon giorno, Dora. Ti ringrazio ma non prendo nulla.

Edith — Mangia qualche cosa, Ruth. Lo stomaco vuoto fa acidità.

Il Giudice (sempre col giornale in mano) — Dieci metri di intestino tenue, e poi, magari ti impegnano come donatrice di sangue. È meglio che mangi.

Edith — Perché avete litigato?

Ruth — Niente di straordinario.

Edith — Non è per curiosare. Se non vuoi, non dirmelo.

Il Giudice — Esci con qualcun'altro. Stuzzicalo un pochino.

Edith — Con chi vuoi che esca? C'è la guerra!...

Il Giudice — Il primo che mi dice di nuovo che c'è la guerra, gli dò un pugno sul naso.

Edith — Sono sicura che quell'altro giudice tuo amico parla ai suoi nello stesso modo. Sul serio, Harry: credo che tutta la nostra famiglia stia cam­biando carattere. Tutti diventano nervosi.

Il Giudice (accendendo la pipa) — C'è la guerra!

Edith (tornando all'argomento che l'interessa) — Perché avete litigato, cara?

Ruth — Perché fumo. Tu conosci Alberto. È un salutista. (Va a posare il bicchiere sulla tavola) Ordina sempre il latte per me quando desidero il caffè e adesso ce l'ha con le sigarette.

Edith — Non posso dargli torto. Fumi troppo. Non è ancora dimostrato che il fumo non sia dannoso per le future madri.

Il Giudice — Questa è la logica femminile. Sono forse riusciti a provare che è dannoso?

Edith — Non capisco.

Il Giudice — Hai detto che non hanno potuto provare che non lo è...

Edith — Lascia andare, Harry.

Il Giudice — Mi piacerebbe che il mio collega facesse colazione qui una mattina.

Edith (a Ruth) — E dove eravate quando avete litigato?

Ruth — Al cinema. Gli avevo promesso che avrei

smesso di fumare. Ebbene, lo avrei fatto... ma a poco a poco. Disgraziatamente mi si è aperta la borsetta e Alberto si è inginocchiato per raccogliere il conte­nuto. A un tratto grida: «Sigarette!». Metà della sala si è voltata a guardare.

Edith — Tutto qui?

Ruth   — Tutto qui.

Edith — Non si può neanche chiamare un litigio. Vi riconcilierete subito.

Il Giudice — Fuma foglie di granoturco; così sarà contento.

Edith — Non puoi dargli torto se s'interessa alla salute di nostra figlia.

Ruth — È una bella seccatura dover tenere in bocca delle pastiglie di menta quando so che mi deve baciare. Mi pare di essere come quei vecchi ubriaconi che puzzano sempre di garofano.

(Un lungo colpo di clacson).

Edith — Eccolo. In fondo litigare con uno che condivide lo stesso omnibus nella vita è una comodità.

Ruth — Questo è vero. (Prende la borsetta dal divano e una lettera che, mentre discorreva, ha chiusa mettendovi il francobollo).

Il Giudice (vedendo che lei lo guarda fa un gesto come per offrirle la pipa) — Vuoi una boccata?

Ruth (sospirando) — Non posso sopportare la menta.

Il Giudice (la guarda con affettuosità superiore a quella dimostrata dalla moglie) — Non te la prendere.

Ruth (gesticolando con la lettera) — Non me la prendo. (Mette la lettera nella borsetta) Arrivederci, miei cari.

Il Giudice — Arrivederci.

Edith (seguendo Ruth verso l'anticamera) — Ciao, cara; sii affettuosa, ma dignitosa.

(Ruth esce. Si sente chiudere la porta. Edith torna indietro).

Il Giudice — Affettuosa, ma dignitosa! Vorrei sapere come concilii le due cose. (Assume un'espres­sione un po' canzonatoria e sorride).

Edith (va a sedergli vicino) — Le donne possono farlo benissimo. Dimmi, Harry, che te ne pare di quel ragazzo, Kummer?

Il Giudice — Non è un ragazzo; ha trentaquattro anni.

Edith — Hai ragione.

Il Giudice — Potrebbe anche mantenere un vecchio suocero, no?

Edith — Credi che lei gli voglia bene?

Il Giudice — Chi lo sa? Ruth non parla molto.

Edith — No davvero.

Il Giudice — Non so da chi abbia preso questo mutismo da pesce. Non da noi certamente.

Edith — Mio nonno era così. Non parlava mai.

Il Giudice — Ho visto il suo ritratto e non me ne sono accorto.

Edith — Vorrei sapere perché non è andato alle armi. Dice che ha mal di schiena.

Il Giudice — Non è cosa grave per un marito. Anch'io ho mal di schiena.

Edith (prendendo metà del giornale) — I primi anni non lo avevi.

Il Giudice — Sei dignitosa ma affettuosa.

(S'ode il   campanello della porta. Edith alza gli  occhi  dal giornale).

Edith — Chi sarà a quest'ora?

Il Giudice — Non lo so.

Edith — Mary Baker doveva venirmi a prendere alle undici. Non può essere lei.

(Si ravvia i capelli un po' preoccupata. Dora entra da sinistra, attraversa la scena per andare ad aprire. I coniugi tendono l'orec­chio. Si sente aprire la porta, poi un mormorio, e finalmente la voce di Dora).

Dora (di dentro) — Un momento, prego.

(Entra) È un certo William Seawright. Chiede della signorina Ruth.

Edith — Gli hai detto che è già uscita?

Dora — No, signora. Debbo dirglielo?

Edith — Fallo entrare.

Dora — Sì, signora. (Esce).

Edith — Una semplice cortesia.

Il Giudice — Naturalmente. (Si alza. Fa qualche passo).

(Dora rientra con Bill. Bel ragazzo, ventiquattro anni, tenente d'aviazione. Riesce immediatamente sim­patico. Edith si alza).

Dora (annunciando) — Il signor Seawright.

Il Giudice (andando verso di lui) — Si dice tenente Seawright, Dora.

Dora — Sissignore. (Esce).

Il Giudice (stringe la mano al giovane, presen­tandosi. Poi lo presenta alla moglie. Convenevoli a soggetto. Una pausa. I coniugi attendono che Bill si spieghi).

Bill — Ruth è uscita?

Il Giudice — Sì. Da pochi minuti.

Bill — Avrei potuto arrivare in tempo ma mi sono fermato per cambiare abito e per lavarmi. (Un momento di pausa) Trenta ore fa ero in Italia.

Il Giudice — In Italia? Che bellezza!

Bill (facendo un passo indietro) — È stata una villanata venirvi a disturbare così mentre facevate colazione. Avrei dovuto telefonare prima.

Il Giudice — Affatto, tenente.

Edith — Gradite una tazza di caffè?

(Bill ne avrebbe voglia ma aspetta che gli sia offerta con più calore).

Il Giudice — Si capisce che lo prende volentieri.

(Edith va a versare il caffè. Il giudice continua) Trenta ore fa in Italia! Sedete! Il mondo sta diventando molto piccolo, tanto per dire una frase nuova. (Siede imitato da Bill).

Edith — Desiderate qualche altra cosa? Magari un uovo? Dora!

Bill — No, grazie.

Edith — Proprio no?

Bill — Siete molto gentile, ma ho mangiato in aereo.

(Edith va a prendere il caffè).

Il Giudice — Come vanno le cose in Italia?

Bill — Al solito.

(Dora entra portando la tazza; in questo momento si sente il clacson della macchina che viene a prendere il giudice: due colpi brevi e uno lungo).

Dora — Comandi, signore.

Il Giudice — Va a dire al giudice Evans che vada senza di me.

Dora — Subito, signore. (Esce).

Il Giudice — Prenderò il tram. Ditemi, com'è il morale del popolo italiano?

(Edith gli porta il caffè e la zuccheriera).

Bill — Siccome non parlo italiano, non credo che la mia opinione valga molto. Ma mi pare che vada tutto bene.

Edith (con la zuccheriera) — Un pezzo o due?

Bill — Uno, per favore. Grazie.

Edith — Ruth vi aspettava? Sapeva che arri­vavate stamattina?

Bill — No, non lo sapeva. Anzi credeva che non sarei venuto, per ora.

Edith — Fra dieci minuti sarà alla banca. Potete telefonarle da qui.

Bill — Non avevo pensato al telefono. Vi dirò; sono riuscito a venire senza avere avuto il tempo di avvertirla. A che ora torna di solito?

Edith — Verso le cinque e mezzo.

Bill — Non l'avvertirete, spero!

Edith — Veramente... alle ragazze non piacciono le sorprese. Anche voi siete andato a rimettervi in ordine prima di venire qui.

Bill — A me piacerà comunque sia.

(I due coniugi ridono. Bill posa la tazza e guarda il ritratto di Ruth sulla scrivania)

Scusatemi. (Si alza e va verso la scrivania. I coniugi si guardano stringendosi nelle spalle. Edith siede. Bill le si avvicina, posa il ritratto su un tavolinetto, poi tira fuori il portafogli e lo apre mostrando a Edith una fotografia) Questo è tutto quello che ho avuto.

Edith — Non è una fotografia molto riuscita.

Il Giudice (piegandosi per guardare la foto) — È bellissima. L'ho fatta io.

Bill — Mi ha accompagnato in venticinque mis­sioni. La tiravo fuori, come porta fortuna e la met­tevo sul sostegno della mitragliatrice. (Siede sul divano).

Il Giudice — Siete mitragliere?

Bill — Sì. Su un «B 26». (Continua a guardare il ritratto).

Il Giudice (si è alzato e passeggia) — Credo che ne avrete da raccontare! (Va verso il divano).

Bill (perduto nella contemplazione non ha risposto. Sobbalza vedendosi vicino l'altro)  —  Scusatemi.

Il Giudice — Fate pure. Certo è più importante.

Bill — Credete che se andassi alla banca, le darebbero la giornata liberai

Il Giudice — Può darsi.

Edith (va a sedere accanto a Bill) — Perché non provate?

Bill (riflette) — Ho talmente pensato, in tutti questi mesi, al nostro primo incontro, che l'idea di avere attorno tanta gente...

Il Giudice — Veramente ce n'è sempre parecchia davanti al suo sportello. E figuratevi che è in una specie di gabbia munita di sbarre.

Bill (sorridendo) — Le sbarre non m'impedirebbero di raggiungerla.

Il Giudice (gli siede accanto sorridendo) — Ditemi, come mai siete mitragliere? Lo avete scelto voi, oppure...?

Bill — Sì, c'è la possibilità di scelta. Quando arrivai in Inghilterra ero nel genio. Ma mi resi subito conto che la guerra non sarebbe finita tanto presto. E intanto ricevevo le lettere di Ruth. Scrive molto, sapete? Insomma io ero là e lei era qua. E fra noi c'era la guerra. Così... mi iscrissi al corso di mitra­gliere. Capite, dopo venticinque missioni vi mandano a casa.

Il Giudice (impressionato) — Molte lettere, dunque.

Bill (sorride) — Parecchie. E pensate che il solo salire su un aereo mi rende nervoso.

Edith — Le avete dato una grande responsabilità. Se vi fosse accaduto qualche cosa avrebbe pensato che era colpa sua.

Bill — Aveva sognato che io me l'ero cavata nelle venticinque missioni e che tornando a casa era successo un disastro aviatorio. Perciò non le ho scritto che venivo.

Edith — Dio mio!

Bill — Questa traversata dell'oceano, non è quello che ci voleva per il mio sistema nervoso.

Il Giudice — Ormai siete tornato. Questo è ciò che importa.

Bill — È vero. (Si alza prendendo ancora il ritratto) Vi ho fatto perdere moltissimo tempo.

Edith — Volete un'altra tazza di caffè? (Si alza).

Bill (va a portare il ritratto sulla tavola) — No, grazie. Ho qualche commissione da fare. Tornerò alle cinque e mezzo, se non disturbo.

Il Giudice — Affatto.

Edith — Saremo molto lieti.

Bill — Scusatemi. (Al ritratto) Arrivederci, pupa. (Si volta verso gli altri disinvolto) La chiamo così: pupa. È meglio che lo sappiate.

Edith (commossa) — Anche io la chiamavo così.

Il Giudice — Non è la stessa cosa, mia cara.

Bill — Passerò davanti alla banca per guardare dentro. Può darsi che riesca a dominare il mio ner­vosismo e cambi idea.

Il Giudice — Non dimenticate che è una banca.

Bill — C'è anche un articolo nel codice militare che concerne il comportamento scorretto di un ufficiale.

Il Giudice — E chi può dire che sia scorretto!

Bill (va a porgere la mano ai due coniugi) — Sono molto felice di avervi conosciuto, signor giudice.

Il Giudice — Ed io di aver conosciuto voi.

Edith — Anch'io, Bill. (Lo bacia su una guancia. Per un momento sono commossi).

Bill (si padroneggia) — Arrivederci. (Esce).

(I due io seguono con lo sguardo finché sentono il rumore della porta che si richiude. Una pausa).

Edith — Lo sapevo che non avrebbe sposato Alberto Kummer.

Il Giudice — Questo qui non ha mal di schiena.

Edith (distratta) — Ne sono sicura. Non credi che Ruth avrebbe dovuto confidarsi a sua madre!

Il Giudice — Tu ti confidavi alla tua?

Edith — Sicuro.

Il Giudice — Le dicevi tutto?

Edith — Sì.

Il Giudice   (ride)  — Ma va! Te ne  infischiavi.

Edith (stenta a ripetere la parola) — Me ne infischio davvero.

Il Giudice (scandalizzato) — Che modo di parlare!

Edith — Perché credi che ti abbia accettato così presto?

Il Giudice — Dovresti raccontarmelo.

Edith — Vivi e impara, caro mio. (Ripensando a Bill) È un ragazzo tanto simpatico. Ruth avrebbe proprio dovuto dircelo.

Il Giudice — Che famiglia!

Edith — Bisognerà che vada a farsi pettinare e a farsi un massaggio.

Il Giudice — Ti proibisco di avvertirla, Edith.

Edith — Ma è per fare un piacere a lui. (Vede l'espressione del viso del marito) Va bene, non dirò nulla. (Va a sedere sul sofà) William... William Seawright, un bel nome.

Il Giudice — Davvero avevi parlato di me coi tuoi genitori?

Edith — Non pensarci più, adesso. Mi rimprove­ravano abbastanza. (Si appoggia alla spalliera nuo­vamente, assorta nei suoi pensieri).

Il Giudice (si appoggia anche lui, sbuffando) — Avevano ragione. (La guarda, aspettando una pro­testa. Più forte) Ho detto che avevano ragione!

Edith (non ha sentito neanche una parola) — La chiama pupa! Figuriamoci!

SECONDO  QUADRO

La stessa scena, alle cinque e un quarto dello stesso giorno.

(Miriam è al telefono e ha davanti un blocco).

Miriam — Come ci si rivolge al ministro della guerra?... Ah, bene! (Leggendo) «Caro signor Henry L. Stimson, ministro della guerra. (Lentamente) Ci riferiamo al vostro atteggiamento contro le donne ausiliarie. Protestiamo vivamente contro il vostro rifiuto di accettare le volontarie americane alle stesse condizioni con le quali accettate gli uomini. Arruo­lateci o altrimenti toglieteci il diritto al voto. Ci ribelliamo ad essere considerate soltanto come mac­chine per far figlioli. Firmato: La lega femminista americana». Parla col comitato, e, se approvano il testo, spediamo subito la lettera.

Dora (appare sulla scala e si ferma sui gradini) — Signorina Miriam, la mamma vuol sapere che abito mette.

Miriam (al telefono) — Aspetta un momento. (A Dora) Che cosa mi metto? (Guarda un momento il proprio abito) L'abito di Christian Dior.

Dora (tornando indietro) — Una camicetta e una sottana.

Miriam (al telefono) — Laura, ti è mai venuto in mente che il nostro professore potrebbe essere un fascista?... Perché no?... Non sarebbe mica una cattiva idea, dal loro punto di vista, ficcarsi come insegnanti nelle scuole medie! Educare fin dall'in­fanzia i futuri elettori ed elettrici, tutta una genera­zione tirata su a modo loro! Io, se fossi fascista, lo farei... (Si sente la porta d'ingresso che si apre e si richiude. Entra il giudice) ...Ciao, cara. Sta entrando un  membro  importante  della  passata  generazione.

Il Giudice — Ti ringrazio. (Va un po' troppo in fretta a sedere sul divano).

Miriam — Papà, mi dai delle delusioni.

Il Giudice — Me ne dispiace, bimba cara.

Miriam (venendo sul divano) — Come fai a rimanere estraneo a questo uragano che si svolge attorno a te? Non guardi, non osservi, non ascolti.

Il Giudice — Mi occupo del mio accendisigari.

Miriam — Il mondo è in fiamme e tu ti occupi di un accendisigari. Forse i tuoi impulsi sono buoni; ti conosco abbastanza per crederlo.

Il Giudice — Grazie.

Miriam — Ma non ti getti nella lotta. E noi ab­biamo bisogno di te. Ci potresti servire.

Il Giudice — Grazie.

Miriam — Tutti possono servirci.

Dora (riappare sulla scala) — Signorina Miriam, mamma dice che bisogna vestirsi per pranzo.

Miriam — Perché? Chi viene?

Dora — Deve essere una persona importante. Abbiamo arrosto di piccioni.

Il Giudice (si è passato la mano sul viso) — Dora, posso avere un bicchiere di succo di arancia?

Dora — Un momento, signore. Devo andare a voltare gli uccelli nella casseruola. (Si avvia).

Il Giudice (sdraiandosi sul sofà) — Subito, Dora, ti prego!

Dora [vedendo l'urgenza) — Corro. (Esce in fretta).

Miriam (preoccupata) — Che c'è, papà? Non ti senti bene?

Il Giudice (coricato, debolmente) — Mi sento benone.

Miriam — Devo chiamare la mamma! (Fa per avviarsi).

Il Giudice — No, no, stai qui.

Miriam (improvvisamente) — Papà, sei andato alla banca del sangue? (Commossa) Ti adoro, papà! (Corre verso il divano a baciare il padre).

Il Giudice — Un'altra volta fa a meno di firmare per conto mio.

Miriam — Sono questi quelli che io chiamo i tuoi impulsi! Per molta gente dare questo contributo è cosa da nulla, ma per te, è stato uno sforzo e un sacrificio... e lo hai compiuto con gioia. (Lo bacia di nuovo).

Il Giudice — Con gioia, no.

(Dora entra in fretta col succo d'arancia. Miriam le va incontro, lo prende e aiuta suo padre a sollevarsi per bere il primo sorso. Pare che gli faccia bene).

Miriam — Va bene. Dora.

(Dora esce. Il giudice si rizza a sedere, Miriam gli siede accanto)

Va meglio?

Il Giudice — Ne ho già bevuti quattro.

Miriam — È stato penoso?

Il Giudice — C'erano venti donne nella stanza ed io sono stato la sola persona che ha avuto bisogno di sdraiarsi e di una coperta. Spero che quello che avrà il mio sangue non ne abbia molto bisogno, perché non ho troppa fiducia nella sua potenza. (Edith scende le scale, vestita elegantemente) Non una parola! (Nasconde il bicchiere sotto un cuscino e si raddrizza.

Edith (avvicinandosi) — Miriam, mettiti il vestito nero. Bisogna che la famiglia faccia buona impres­sione.

Miriam (alzandosi) — Su chi?

Il Giudice — Fa quello che ti si dice, cara.

Edith (guardando il marito) — Come ti senti, Harry?

Il Giudice — Benone. Non mi sono mai sentito meglio.

Edith — Mi sembravi straordinariamente giù, su quella branda.

Il  Giudice  —  Come,  ci  sei andata anche tu?

Miriam — Grazie, mamma, il mio contributo alla difesa è stato oggi di due mezzi litri di sangue!

I  Due — Il tuo contributo?!

Miriam — È stato per me che siete andati.

Edith — Ma niente affatto!  (Al marito)  Non è meglio che ti corichi un po', caro!

Il  Giudice — No, ora mi sento bene. Davvero.

Edith — Miriam, devi vestirti e ridiscendere in cinque minuti.

Miriam — Ma perché?

Edith — Cinque minuti!

Miriam (avviandosi) — La casa del mistero! (Scom­pare).

Edith (va vicino al marito) — Ho preparato il pranzo per il tenente. Ma non credi che forse prefe­rirebbero andare a mangiar soli?

Il Giudice — Sceglieranno loro.

Edith — Ma se lo invito non saprà come fare per rifiutare.

Il Giudice — Senti, Edith. Dobbiamo essere pre­parati a prendere una rapida decisione.

Edith — Cioè?

Il Giudice — Quel tenente non mi sembra un tipo eccessivamente paziente. Ed ha negli occhi la strana espressione di quelli che vengono da laggiù.

Edith — Ma sappiamo troppo poco di lui. Do­vremmo prima conoscerlo un poco.

Il Giudice — Questa sarebbe la tua decisione?

Edith — La mia? E la tua, allora?

Il Giudice — Danno solo pochi giorni di licenza a questi ragazzi. Senza dubbio non vorrà un lungo fidanzamento.

Edith — Ed io non sono favorevole a questi affrettati matrimoni di guerra.

Il Giudice — Neanch'io. Ma speriamo che almeno ci domandino la nostra opinione.

Edith — Ne discuteremo quando e se ne sarà il caso. Ogni volta che si è presentato un corteggia­tore, da quando Ruth aveva sedici anni, ci siamo sempre preoccupati...

(Si sente aprire e richiudere la porta d'ingresso. I due tacciono. Ruth entra. Si ferma, è raggiante come se la sovrastaste un grande segreto).

Ruth (gaia e brillante) — Salute a tutti. (Va verso il divano).

Il Giudice (ha scambiato uno sguardo con la moglie) — Ciao, cara.

Edith — Come stai?

Ruth (rimane immobile un momento sorridendo, poi si avvicina in fretta a sua madre e la bacia) — A te. (Bacia il padre) E a te. (Va a posare borsa e guanti sulla tavola).

Il Giudice — Beh?

Ruth — Che cosa?

Il Giudice — Parla, se no scoppi!

Ruth — Non capisco di che cosa parli.

Il Giudice — E va bene; vediamo per quanto tempo   sei  capace   di  tacere!   (Finge  di   sdraiarsi).

Ruth (va in fretta da Edith) — Mi sposo! (Il giu­dice si drizza) Subito! (Una pausa mentre genitori e figlia scambiano un lungo sguardo) Non mi dite niente?

Il Giudice (con voce forzata) — Siamo contenti di liberarci di te.

Ruth (lo abbraccia, poi torna da Edith) — Oh, lo so! E non ve ne importa se non facciamo un matri­monio di lusso?

Edith — Non so perché mi viene subito da piangere.

Il Giudice (va a portarle il proprio fazzoletto) — Sono contento che abbiano discusso la faccenda e siano arrivati ad una decisione.

Edith (respingendo il fazzoletto) — Oh!

(Trilla il telefono).

Ruth (va a rispondere) — Forse è lui. (Al telefono) Pronto... per te, papà. (Va a sedere sul sofà).

(Dora entra per riprendere il bicchiere del succo d'arancia).

Edith — Dora, saremo solo in tre a pranzo. Dirò a Miriam che riapparecchi la tavola.

Dora — Tre? Va bene, signora.

Il Giudice (al telefono) — Pronto... Sì?...

Edith (a Dora che cerca il bicchiere) — Sotto il cuscino, Dora. (Ruth prende una sigaretta, l'accende e va verso la finestra. Dora trova il bicchiere ed esce mentre Edith chiama) Miriam! Vieni giù subito!

Il Giudice (al telefono) — Leggetemelo.

Miriam (di dentro) — Mi sto vestendo.

Edith — Vieni giù come sei!

Miriam (appare sulla scala in sottoveste) — Eccomi. Sei contenta?

Edith — Sì. Fammi il favore, riapparecchia la tavola per tre. Dora ha da fare.

Il Giudice (al telefono) — Macchine per far fi­gliuoli? (Miriam si volta, a guardare suo padre).

Edith — Sbrigati, Miriam; è inutile che chiedi aiuto a tuo padre.

Il Giudice — Signorina, io mando raramente dei telegrammi al ministro della guerra. Deve esserci un errore.

Miriam (correndo al telefono) — È per me, papà! (Afferra il telefono. Edith va a sedere sul divano, il giudice va verso il fondo) Pronto... Sì. Sul conto di questo telefono... Quanto fa di differenza?... Allora mandatelo differito. E fatemi il favore di aggiungere «Personale». Grazie. (Riattacca) È il mio telegramma.

Il Giudice — Ma è anche il mio telefono! Il conto lo pago io.

Miriam — Te lo rimborserò coi soldi del mio mensile.

Il Giudice — Da quanto tempo sei in corrispon­denza col ministero della guerra?

Miriam — Non siamo in corrispondenza. Niente di quello che Stimson può dire, mi interessa. (Fa in camera da pranzo).

Il Giudice (gridandole dietro) — Glielo dirò! Poverino: è vecchio, ma speriamo che possa resi­stere al colpo.

Edith — Mia cara Ruth, non ti pare che sarebbe meglio  se  tu  avessi un  periodo  di fidanzamento?

Ruth — No, mamma, non mi pare.

Edith — Ti sembra  di  conoscerlo  abbastanza?

Ruth (va a sedere accanto a Edith. Con sicurezza) —  Tanto quanto ne ho bisogno.

Edith — Bada che è un passo importante. Nes­suno ha mai avuto a pentirsi di avere aspettato. Sono sicura che tuo padre è d'accordo con me.

Il Giudice — C'è del giusto in quello che dice tua madre.

Ruth (semplice ma decisa) — Abbiamo aspettato abbastanza. Vogliamo sposarci.

Edith (si volge senza più speranza al marito) — Beh!...

Il Giudice (ripetendo) — Beh?... Mi pare molto chiaro.

Ruth — Non vi date pensiero per me. È quello che desidero e sarò felice. (Si alza e va da suo padre) E so che sarete felici anche voi.

Il Giudice (dopo un momento) — Hai ragione. Sposati.

Ruth (avviandosi alla scala) — Stasera non mangio a casa.

Edith — Lo prevedevo.

Il Giudice — È venuto a dirtelo in banca? Come ti ha chiesto di sposarlo? Attraverso le sbarre della tua gabbia?

Ruth (si è soffermata sul primo gradino. Riflette, poi con gioia) — No, me l'ha detto nell'omnibus. È stato molto carino. Aveva avvertito tutti gli altri perché gli facessero il piacere di non venire con noi. Sicché quando sono salita c'era solo lui, eal mio posto c'era una grande scatola di dolci. (Comincia a salire).

Edith (si alza) — Nell'omnibus?

Ruth (ridiscende il gradino che aveva salito) — Non ho portato i dolci a casa; li ho dati alle mie colleghe. Ma la cosa più commovente è stata questa: vederlo con la sigaretta in bocca. Mi ha detto che sarebbe capace di fumare l'oppio piuttosto di per­dermi. Non è commovente? E poi ha cominciato a tossire, perché non è abituato al fumo.

Il Giudice — Ma stai parlando di Alberto?

Ruth — Sicuro, di Alberto.

Il Giudice — Quello in borghese? Non in uni­forme?

Edith — Taci, Harry.

Ruth — Ma che state dicendo!

Il Giudice — Niente. (Guarda l'orologio).

Ruth — Come niente! Che cos'è questo indovinello?

Il Giudice — Sarà qui a momenti.

Edith — Non mi è mai piaciuta la gente che fa le sorprese.

Ruth — Ma non potreste darmi almeno un barlume? Che cosa state dicendo?

Il Giudice (un pochino aspro) — Il tenente è arrivato. Per riposarsi.

Ruth — Quale tenente?

Edith — Il tenente!

Il Giudice — E il tuo sogno premonitore del disastro aviatorio ha sbagliato in pieno. Il giova­notto è sano e salvo.

Ruth (Viene avanti. Ora mostra un po' di asprezza) —  Mi fa tanto piacere.

Edith (spiegando) — Senti, Ruth: Bill è venuto in licenza. È stato qui. E abbiamo creduto che tu parlassi di un matrimonio con lui. Ha detto che veniva fino alla banca per vederti. Perciò abbiamo immaginato che si trattasse di lui.

Ruth (dopo una pausa un po' lunga, semplice­mente) — Bill, chi?

Edith — Bill Seawright. Non te ne ricordi nem­meno?

Ruth — Non vi capisco. Mai sentito nominare.

(Miriam rientra e va verso la scala).

Edith  —  Il  tenente  William   Seawright.   Ruth.

Il Giudice — Quello che ti chiama pupa.

Miriam (rimane agghiacciata sulla scala. Involon­tariamente) — Bill!

(Tutti si voltano a guardarla. Quadro per un momento).

Il Giudice (tranquillamente) — Vieni qui, signo­rina. (Miriam obbedisce) Siedi! (Miriam siede sul sofà).

Edith (va verso il sofà mentre Ruth va a mettersi dietro la spalliera) — Che hai fatto, Miriam?

Il Giudice — Lascia fare a me, Edith. (A Miriam) Che cosa hai fatto, Miriam? (Nessuna risposta) Devi dirmi tutto.  Dal principio.  Senza omettere niente.

Miriam (finalmente prorompe) — Io non sapevo che sarebbe tornato!

Ruth — Ma chi? Cos'è questa storia?

Miriam — Aveva detto che non avrebbe volato più! Perciò non era possibile che tornasse!

Edith — Com'è cominciata questa faccenda?

Il Giudice - Dal principio!

Miriam — È cominciato con la Lega per i soldati inglesi.

Il Giudice — Avanti!

Miriam — Decidemmo di fare anche noi una lega per l'America.  Ti ricordi che ero presidente?

Il Giudice — Tu sei sempre presidente! Va' avanti.

Miriam — Facevamo dei lavori a maglia per i nostri soldati che erano oltre oceano. E insieme ai regali mandavamo delle lettere. Per incoraggiarli, per tenerli su di morale. Per dir loro che potevano fare assegnamento su noi per sciarpe, calzettoni e pullover.

Il Giudice — Arriviamo al tenente.

Miriam —  Ci risposero  e  ci chiesero i ritratti.

Ruth — Hai mandato il mio ritratto a qualche ufficiale? (Ai genitori) È così, vero? (Siede accanto a Miriam).

Il Giudice — Altro che ritratto ha mandato! Dovevi  sentirlo !

Miriam (tranquilla) — Sì, ho mandato qualche cosa di più di un ritratto. Gli ho mandato speranza, fede, e volontà di continuare. Di un ragazzo solo e spaurito ho fatto un soldato.

Il Giudice — Ma è un uomo!

Miriam — Spiritualmente no.

Il Giudice — Sessualmente sì.

Edith (sta camminando su e giù) — Harry!

Il Giudice — Ed ecco cosa succede! Quel povero figliuolo è venuto a casa per vedere la sua innamo­rata. Ha il diritto di pretendere qualche cosa ed è venuto a prenderselo!

Ruth (alzandosi) — Questo ha detto?

Il Giudice — E che cosa vuoi che si aspetti un disgraziato che soffre di nervi in aeroplano e che ha compiuto venticinque missioni? Desidera vedere la sua ragazza. Aveva la tua fotografia sulla sua mitragliatrice.  È  innamorato  di te.

Ruth — Ora esageri. C'è un limite a quello che può nascere da qualche lettera.  Quante son state?

Miriam (dopo un momento) — Sessanta...

Tutti — Sessanta!!...

Ruth — Tu... Io... gli ho scritto sessanta lettere!

Miriam — Non tutte erano lettere. Molte erano poesie.

Edith — Da quando in qua scrivi dei versi? Non sai neanche far rimare cuore con amore.

Miriam — Non erano mie. Byron, Shelley, Keats... Gli mandavo una poesia e lui ne me mandava una in risposta. In quelle lettere non mettevamo neanche una parola personale: ci sarebbe sembrato un sacri­legio.

Ruth — Sessanta lettere?

Miriam — Effettivamente soltanto trenta. Le altre erano poesie.                    

Ruth — E che cosa hai scritto in queste lettere? Vorresti dirmelo?

Miriam — Gli ho scritto quello di cui aveva biso­gno. Era solo e smarrito e diceva a me tutto quello che aveva in cuore.

Il Giudice (siede) — E ora?

Miriam (alzandosi) — Non mi pento di quello che ho fatto. Ho dato un soldato alla guerra.

(Ruth cammina su e giù).

Edith — Sarà contenta, sua madre, di tutto questo?

Il Giudice — Vedi, Miriam. Hai già fatto molte sciocchezze, ma a spese degli altri. Tua madre è stata troppo indulgente con te!

Edith —  Ricominciamo?

Il Giudice — Ma ho ragione! Chi potrà dirgli che ha ricevuto lettere e poesie amorose non da una donna ma da un'adolescente?

Miriam —  Io  non  mi considero un'adolescente.

Il Giudice — Ah no?

Miriam  — No. Sono più vecchia dei miei anni. Sono abbastanza matura per poter rappresentare questa parte.

Il Giudice — Come sarebbe a dire!

Ruth (alla sorella) — Stai attenta alla tua risposta!

Il Giudice (chinandosi avanti) — Hai mai avuto a che fare con un uomo?

Miriam (compassionandolo) — Babbo, a volte mi domando come ti hanno educato.

Edith — Miriam! Parli con tuo padre!

Miriam — Gli spiegherò quello che ho fatto. Voglio svuotarmi di tutto.

Il Giudice — E credi che questo basti per mettere le cose a posto?

Miriam — Io credo di no. Soffrirà, ma in avvenire mi sarà grato per avergli dato la possibilità di contri­buire per quanto poteva a questa lotta della nostra nuova generazione contro la vecchia.  (Un silenzio).

Il Giudice (contenuto) — Finita la scuola non uscirai di casa per sei mesi. E per un anno non avrai mensile, né abiti, né altro. Non parteciperai mai più, finché sei sotto il mio tetto, a nessuno dei vostri movimenti e alle vostre riunioni politiche o scientifiche per la libertà. Questo è deciso e irrevocabile. Lo giuro.

Edith — Harry! Ti prego!

Miriam (con semplicità come per perdonare) — Sei di un'altra generazione, babbo.

Il Giudice (prorompe) — E non rivolgerai più la parola, questa sera. Questa bambina è pervertita. Ed è colpa tua, Edith. Sei tu l'educatrice delle mie figlie. Non sono contento di questa educazione.

Ruth (si avvicina al padre) — Non è una cosa tanto terribile, papà.

Il Giudice — Che soluzione avresti?

Ruth — La soluzione che tu ci hai sempre inse­gnata: la verità.

Il Giudice (un po' raddolcito) — È una soluzione bella e virtuosa per noi, ma non per lui.

Ruth — Capirà. In fin dei conti non è una tra­gedia. Può anche darsi che ne rida.

Edith — Certo, la cosa ha il suo lato comico.

Il Giudice — Credete? Beh, io non voglio rima­nere qui a partecipare all'allegria generale. Il mio senso della comicità è forse strano: certo non com­prende...

(Il campanello della porta. Il giudice ti interrompe e guarda l'orologio) Eccolo.

(Guarda tutti in faccia) Sorridete tutte quante, dal momento che stiamo per divertirci.

(Dora entra da sinistra. Ruth ed Edith sono vicine)

Vado io ad aprire, Dora.

Dora — Bene, signor giudice. (Torna in cucina).

(Il giudice va ad aprire).

Bill (di dentro) — Buona sera, signore.

Il Giudice (c. s.)— Buona sera, tenente. Acco­modatevi. (Appaiono sulla porta. Il giudice ha preso Bill per un braccio per introdurlo) Conoscete già qual­cuno della famiglia. Mia moglie.

(Ruth è quella che gli rimane più vicina. Bill si ferma, la fissa, incontra il suo sguardo) Credo che conosciate la mia figlia maggiore,   Ruth.

Bill (calmo) — Sì, la conosco.

Ruth (cenno di saluto) — Molto lieta.

Bill (con slancio)  — Ed io lietissimo!  

(Pausa).

Il Giudice — La mia figliola più giovane, Miriam. Sedici  anni.

Bill (distoglie mal volentieri lo sguardo da Ruth) —  Conosco abbastanza anche Miriam.

Edith — Davvero?

Bill — Ruth mi ha parlato molto di lei nelle sue lettere. Del suo interessamento per la Francia, per la Cina e del suo corso di scienze politiche. (A Miriam) E sono d'accordo con voi che la nostra generazione è in lotta con la precedente.

Miriam (un po' rauca)  — Grazie.

Bill— So molte cose di tutti voi. Molte volte ho pensato come sarebbe stato il nostro primo incontro, il nostro primo minuto, non riuscivo ad immaginarlo ma speravo che fosse come questo.

Ruth — Davvero?

Bill — Vi avevo promesso di portarvi dei lillà, ma non è la stagione.

Ruth (commossa) — Infatti.

Bill— Mi hanno detto che forse ne posso trovare in unaserra che mi hanno indicata.

Il Giudice — Bevete qualche cosa? Un aperitivo?

Bill— No, grazie.

Il Giudice (andando verso il fondo) — Io sì.

Bill — Non che io sia astemio. Anzi, mezz'ora fa sono entrato in un bar... (Guardando Ruth) Ma non mi è sembrato giusto andare a prender forza in questo modo. Mi è parsa una vigliaccheria. (Al giu­dice) Ma voi, prendete pure il vostro aperitivo.

Il Giudice (fermandosi) — Avete ragione. È una vigliaccheria.

Bill — Non sapevo che cosa avreste desiderato fare stasera, Ruth. Perciò ho preso i biglietti per una commedia musicale, per una rappresentazione drammatica, ed ho fissato un tavolino alla Cicogna. Ma non è necessario andare in nessuno di questi luoghi, se non ne avete voglia.

Edith — Mi pare che siate un po' spendaccione.

Bill (sorridendo) — Oh, non ci bado.

Ruth (si alza un po' irrequieta, con voce mal sicura) — Veramente... non contavo di uscire. Il vostro arrivo è una sorpresa... da molti punti di vista. (Cercando di riuscire a spiegarsi) Proprio una sor­presa, perché...

Bill (interrompendola) — Sono stato un'ora alla banca, Ruth, a guardarvi, nascondendomi dietro a tutti i clienti grassi. Ero sicuro che mi avreste visto.

Ruth — No, affatto.

Bill — Il detective della banca si è insospettito e mi ha chiesto che cosa facevo. (Rivolgendosi a tutti) Si chiama Simmons ed ha un figlio in marina. Abbiamo fatto colazione insieme. (A Ruth) Vi vuol molto bene.

Ruth — E una brava persona. È nella banca da più di trent'anni. Era addetto alle cassette di sicu­rezza.

(Nessuno dice nulla. A un tratto, violentemente, Bill si mette la mano sul labbro superiore. Si ha l'im­pressione che trattenga uno starnuto. Si alza in piedi).

Bill — Ci ho ripensato. Accetto l'aperitivo, signor Wilkins.

Il Giudice (alzandosi) — Vi farò compagnia.

(Il campanello della porta. Ruth guarda l'orologio, si porta una mano alla guancia. Il giudice si ferma. Lui e Edith guardano la porta. Dora entra).

Ruth (alzandosi) — Vado io, Dora.

Dora — Va bene, signorina. (Esce).

Ruth (andando verso Bill) — È qualcuno che viene per  me.

Bill — Non avrei dovuto arrivare così all'improv­viso.

Ruth (ancora riflettendo) — Sentite... (Ha deciso) Vi dispiacerebbe se uscissimo dalla porta di servizio?

Bill (con gratitudine) — Affatto.

Ruth (ancora emozionata) — Allora precedetemi. Da questa parte.  (Gli indica la porta della cucina).

Bill (prende il cappello, apre la porta, poi si ferma e si rivolge a tutti) — Buona notte... (Con espressione felice) Buona notte a tutti. (Esce).

Ruth (al padre) — Non ho potuto umiliarlo qui davanti a tutti voi. Non ho potuto. Glielo dirò quando saremo soli. (Va a prendere la borsa sulla tavola. Il campanello suona di nuovo. Ruth guarda verso la porta mentre prende il cappello) Dite ad Alberto quello che è successo. Capirà. E ditegli che gli tele­fonerò domattina. (Nell'avviarsi verso sinistra si ferma un attimo davanti alla sorella) Piccola sciagu­rata! (Esce).

(Miriam va umilmente ad aprire. Si sente il rumore della porta e un attimo dopo entra Alberto Kummer. Ha trentaquattro anni e pesa qualche chilo di più di quello che le tabelle di assicurazione richie­dono. Se vogliamo essere sinceri non merita una ragazza come Ruth. È un tipo aggressivo e pieno di vitalità. Porta sotto il braccio una grande scatola di dolci. Entra, va a posare la scatola su una tavola e sorride a tutti).

Alberto — Ciao, Miriam. Salve, mamma, salve papà.

Edith   e   il   Giudice   —   Buona   sera,   Alberto.

Alberto (tiene a far notare) — Ruth ha dato alle sue compagne l'altra scatola di dolci. Bella serata, non  è  vero?

I  Coniugi — Sì.

Alberto (guardando verso la scala) — Mi dovrò abituare ad aspettare,

Il  Giudice — Sedete, Alberto.

Alberto (siede sul divano intuendo qualche cosa) — Che c'è?

Il Giudice (si gratta la testa e comincia a camminare mentre parla) — Cominciamo da principio. Vi ricor­date un'organizzazione che si chiamava «Lega per i soldati inglesi»?

Alberto — Me ne ricordo.

Il Giudice — Ce ne fu poi un'altra che s'intitolò: «Lega per l'America».

(Il sipario comincia a chiudersi)

Facevano dei lavori a maglia e li mandavano ai soldati per tenergli su il morale. Sciarpe e cal­zettoni.

Miriam — Io ero presidente.

Il Giudice — Tu fammi il piacere di star zitta...

(Il sipario si è chiuso del lutto).

TERZO   QUADRO

L'una e mezzo del mattino. Le tende sono chiuse.

(Il giudice e Edith siedono sul divano; Alberto sulla poltrona; tutti in attesa. La caffettiera e le tazze, stanno a dimostrare la lunga veglia. La scatola dei dolci è stata aperta. Qualche istante di silenzio).

Edith — Ancora un po' di caffè?

Il Giudice — Io no.

Alberto — Neanch'io.   (Guarda il suo orologio).

Il Giudice (guarda il proprio) — L'una e ventidue. (Si alza, va alla finestra).

Edith (nessuno glielo ha chiesto) — Io faccio l'una e un quarto. (Pausa) Proprio non volete un altro caffè? Faccio in un attimo...

Il Giudice (tornando verso il sofà) — Io no.

Alberto — Ne ho preso due tazze: è il massimo per me.

Edith — Una camomilla?

Il Giudice — Non c'è di che. (Ad Alberto che lo guarda stupito) È un nostro scherzo.

Edith (spiegando) — Quando si dice una parola che può assomigliare o rimare con «grazie mille», diciamo «non c'è di che». (Alberto non capisce) Era un gioco che facevamo con le bambine quando erano piccole. Per esempio: «che cosa fa una stella in cielo?». (Nessuna risposta) Supponiamo che l'altro risponda: «brilla».

Il Giudice (quasi fra sé) — Non c'è di che.

Alberto (senza entusiasmo) — Ho capito. (Guarda l'orologio. Edith sbadiglia. Scambia uno sguardo col marito) Forse disturbo... Vi obbligo a rimanere alzati...

Edith — Oh no!

Il Giudice — No, no! (Un silenzio).

Edith — Certo Ruth non avrà voluto parlargli durante il pranzo. Per non togliergli l'appetito. Dopo, lui aveva già preso i biglietti e non c'era ragione di rovinargli la serata. Così saranno andati a teatro.

Alberto — E poi non avrà voluto guastargli la cena. (Pausa. Si alza, fa qualche passo) Ho pensato di fissare la cerimonia in chiesa fra due settimane. Mi pare che vi sia tempo sufficiente.

Edith — Veramente quindici giorni non sono molti...

Alberto — La chiesa ha già molti impegni; ma non posso fare pressione sul reverendo Hardwick. Per fortuna anche le chiese hanno ipoteche con le banche; e il reverendo Hardwick personalmente, per una sua villa...

Il Giudice — Non c'è di che.

Alberto (che ha già dimenticato lo stupido scherzo, lo  guarda con meraviglia).

Il Giudice — Avete detto «villa».

Alberto (sorride) — Ah già. La prossima volta mi accorgerò... (Pausa) Mi piace il matrimonio in chiesa. Ha un senso mistico...

Edith — È vero.

Il Giudice — Noi siamo stati uniti, a Nex Haven, da un ufficiale di Stato civile che era anche direttore della locale scuola di ballo. Ti ricordi? Ed era così entusiasta di uno dei nostri testimoni che gli sem­brava dovesse essere un ottimo ballerino, che sbrigò la funzione in quattro e quattr'otto. Ma malgrado questa mancanza di misticismo, il nostro matri­monio è stato davvero felice.

Edith — Grazie, caro.

Il Giudice — Sono io che ringrazio te.

Alberto — Non c'è di che! Questa volta ce l'ho fatta!

Il Giudice — Ma non si dice per «ti ringrazio».

Alberto — Ah no?

Edith — No; soltanto se c'è la rima in «ille» o «illa»... (Si interrompe) Sento una macchina. (Va a guardare dalla finestra) No. (Sta per tornare ma ne vede un'altra) Ah, ecco un taxi... (Con sollievo) Ferma qui... Finalmente!

(Alberto va verso sinistra. Il giu­dice  dopo   un istante si alza, si avvicina ad Alberto).

Il Giudice (con simpatia) — Chi sa dov'è a que­st'ora il tenente... Probabilmente ubriaco in qualche bar.

Edith (sempre alla finestra) — Non mi sembra affatto ubriaco.

Il Giudice — Ma come, è qui anche lui?

Edith — Mi pare di sì. Con quella divisa dello stesso colore si assomigliano tutti.

Il Giudice — Che stanno facendo?

Edith — Parlano. (Un momento) Lui sta pagando

il  taxi. Vengono in casa. (Voltandosi) Non possiamo farci vedere.  (Va verso il marito).

Alberto — Perché?

Edith — No, no. Sarebbe troppo imbarazzante... (Lo  prende  per  un  braccio)   Suvvia,   venite   sopra.

Il Giudice — Svelto!

(Edith trascina Alberto su per la scala, seguita dal giudice il quale, nel salire, spegne la luce).

Voce di Edith — Presto, Alberto!

(Rumore di uno  che inciampa).

Voce di Alberto — Maledizione!

Voce di Edith — Vi siete fatto male?

Voce del Giudice — Vi aiuto... Datemi il braccio!

(Si sente la porta d'ingresso che viene aperta e richiusa. Entra Ruth seguita da Bill. Ruth gira l'interruttore e getta via il cappello. Bill posa il suo sulla tavola. Ruth guarda le tre tazze del caffè, poi guarda Bill, il quale le va vicino. Nell'attimo in cui Ruth si volge, Bill la circonda con le braccia e la bacia. Ruth non può evitare il bacio che è molto appassionato).

Ruth (sciogliendosi dall'abbraccio) — Basta, Bill.

Bill (trattenendola, con dolcezza) — Perché!

Ruth — Vi prego... lasciatemi tranquilla...

Bill — Non c'è di che. (Non ha più le braccia attorno a lei ma le tiene ancora le mani).

Ruth — Bravo! Siete già arrivato a tre...

Bill — Non c'è nessun premio, quando si dice per tre volte!  (Vuole trarla a sé, ma Ruth resiste).

Ruth — No, niente!  Quello è un altro giuoco...

Bill — Giochiamo a quello, allora...

Ruth — Sediamoci. Venite. (Lo conduce al sofà. siedono. Lei gli fa posare le mani sulle ginocchia e posa le proprie in grembo) E teniamo le mani in grembo, ferme. (Bill si alza e fa qualche passo; è irrequieto) State quieto. Chiacchieriamo. Dicendo delle cose carine, se è possibile. (Bill la guarda con adorazione, sorridendo) Avete perso la lingua? (Bill si riavvicina, continua a sorridere, senza parlare) Avevate detto che volevate venire in casa per discorrere un poco. Se non avete nulla da dire,  è meglio  andare a letto.

Bill (si china sulla spalliera del sofà) —

«Non vidi mai più dolce cosa,

se dolce cosa vi fu mai,

del suo volto simile a rosa;

la vidi e subito l'amai...

e l'amerò finché vivrò.

Ogni suo gesto, ogni sorriso

la sua parola, la dolce voce

in un baleno m'ebber conquiso

sicché il mio cuor batte veloce...

e l'amerò finche vivrò!».

(Con tono di annunciatore) Tommaso Ford, poesie varie. Milleseicentosettanta. (Va a sedere accanto a Ruth) Non ricordo il mese.

Ruth — Molto bene, William.

Bill — Dal modo come scrivevate, credevo che citaste continuamente dei versi.

Ruth — Abbiamo deciso di non parlare delle lettere. (Si scosta).

Bill (affettuoso) — Ma perché! (Si avvicina).

Ruth — Perché questa è una nuova fase dei nostri rapporti Deve reggersi da sola, senza l'aiuto di Shelley  e di Swinburne.

Bill — Non abbiamo mai scambiati versi di Swinburne!    

Ruth (dopo un attimo) — C'erano nella mia ultima lettera. Non l'avete ricevuta. E si è detto di non parlare delle lettere! Dovete stare ai patti. (Per cambiare argomento) Avete passato una bella serata? (Si alza e si scosta).

Bill (altro tono) — Sì. La ricorderò finche vivrò.

Ruth — Non mi è parso che la commedia fosse poi gran  cosa.

Bill — In tutta la sera avrò guardato forse due volte il palcoscenico.

Ruth — Me ne sono accorta. (Fa qualche passo).

Bill — Perché avete un modo di arricciare il naso che mi fa impazzire.

Ruth — È a causa di una cattiva conformazione dell'osso che rende disuguale la tensione della pelle.

Bill — La cattiva conformazione del vostro osso nasale, mi fa impazzire.

Ruth (va a sedere) — Chi sa come fanno a fare all'amore i medici e le infermiere. Mi dà l'idea che debbano ridurre ogni cosa alle espressioni fonda­mentali.

Bill — Che volete che m'importino le espressioni fondamentali!   (Fa per  baciarla ancora).

Ruth (respingendolo) — Bill!

Bill — Non posso farne a meno, Ruth.

Ruth — Allora è meglio che andiate via. D'altra parte è anche tardi.

Bill — No, no! Parliamo un pochino... Terrò le mani in tasca. (Eseguisce) Ecco. Potete esser sicura come se foste in casa vostra. Dunque, che cosa pen­sate della scena politica! Di quei due o tremila, secondo le vostre stesse parole.

Ruth — Ottimi.

Bill — Ottimi, eh? Già, capisco. (Pausa; la fissa. Poi si alza, fa qualche passo; si volta) Ruth... siete delusa!

Ruth — In che modo?

Bill — Vi figuravate che io fossi diverso!

Ruth — Non mi figuravo un bel niente.

Bill — Avevate la mia fotografia...

Ruth (un attimo di indugio) — Mah, intendo par­lare del vostro carattere, del vostro modo di fare... Non avevo nessun'idea, se non il fatto che amate la poesia.

Bill — Credevo che le mie lettere fossero abba­stanza rivelatrici. (In tono di accusa) Più delle vostre. Saltate sempre di palo in frasca. Non si può mai prevedere di che cosa parlerete la prossima volta. (Siede) Liberiamo l'India, mettiamo in stato di accusa il capitalismo, stampiamo delle banconote di colore diverso...

Ruth (a tentoni) — Credevo che vi interessasse.

Bill — La questione della vita sessuale fra i sovietici! Quella era interessante.

Ruth — Vi ho detto che non dovete più parlare di quelle lettere!                                               

Bill (cambia posizione chinandosi in avanti) — Arricciate un pochino il naso.

Ruth — Rimettete le mani in tasca! (Bill cerca di baciarla) Tenente, siete un gentiluomo e un ufficiale.

Bill (lottando) — Solo temporaneamente.

(Si sente una leggera tosse dal sommo delle scale; appare il giudice. È in vestaglia, ma sotto si vedono i calzoni. Finge  di uscire  dal sonno.  Bill  e Ruth  si  alzano).

Ruth — Che fai, babbo, ancora alzato?

Il Giudice (scendendo) — Sono venuto a prendere un po'  di bicarbonato.  (A Bill)  Salve, giovanotto.

Bill — Buona sera.

Il Giudice — Vi siete divertito?

Bill — Non avrei potuto passare una serata migliore.

Ruth (guardando i calzoni e le scarpe del padre che appaiono sotto alla vestaglia) — Non eri andato a letto?

Il Giudice (guardando a sua volta) — Mi sono addormentato leggendo. (Avanza verso il centro) C'è stato uno della banca.

Ruth (capisce a volo) — Che ha detto?

Il Giudice — C'è un certo lavoro che devi fare... (Con significato) È disopra.

Ruth — Ah sì? (Guarda di nuovo le tazze).

Bill (a Ruth) — Dovete ancora lavorare stasera?

Ruth — Credo di sì.

Il Giudice — Assolutamente.

Bill -— Non avrete molto tempo per dormire. (Guarda l'orologio) Visto che io tornerò fra otto ore e mezzo.

Ruth — Beh, più presto comincio più presto finisco.

Bill — Non posso aiutarvi? Faccio benissimo le somme.

Ruth — Non si tratta di questo.

Il Giudice — No, è un lavoro diverso.

Ruth (porgendo la mano) — Buona notte, Bill. A domani.

Bill (prendendo la mano) — A oggi. Fra otto ore e mezzo. (Guarda per un momento il giudice) Se non  ci lasciate...   (Bacia Ruth dolcemente).

Il Giudice (andando verso la scala) — Non badate a me. Io sono uno spettatore innocente.

Bill — Buona notte, Ruth. E grazie per la serata.

Ruth — Grazie a voi. Buona notte.

(Bill va a prendere il cappello, si avvia. Sulla soglia si volta e fa ancora un cenno di saluto. Esce. Si sente la porta aprirsi e richiudersi. Ruth guarda il padre e poi verso l'alto della scala).

Il Giudice — Cerca di essere carina. (Canterellando verso la scala) Scendete, scendete, chiunque voi siate. (Va a sedere in una poltrona).

(Edith e Alberto scendono).

Alberto   (precede   Edith)   —   Buona   sera,   cara.

Ruth (affettuosa) — Buona sera, Alberto. (Gli va incontro;  si  baciano).

Edith (subito positiva) — Per l'amor di Dio, perché non glielo hai detto?

Ruth — Non ho potuto.

Alberto — È naturale. Se non smettevate mai di  baciarvi!

Ruth (contenta, puntando l'indice contro di lui) -— Alberto, sei geloso!

Alberto — Non so se son geloso; ma certo sono un po' invidioso.

Ruth — Non sono più uscita con un ragazzo di quell'età da quando andavo a scuola! È un bambino!

Alberto — Ai bambini si dà un bacio per la buona notte.

Ruth   (riflettendo,  gioconda)  —  È   il  bimbo  più caro, più commovente, più romantico che io abbia mai conosciuto. (Abbraccia Alberto) Vorrei avere un figlio come lui, Alberto.

Alberto — Quanti anni ha?

Ruth  —  Ventiquattro.

Edith — E tu ne hai ventitre! Non ti pare che sarebbe un po' difficile?

Ruth — Ha solo un'altra giornata da stare qui; poi il suo gruppo va nel Pacifico. Il meno che posso fare, è di dargli ancora poche ore di gioia, domani. E poi gli scriverò, rompendo i nostri rapporti con dolcezza. Mi pare che lo meriti.

Il Giudice — Purché non sia troppo tardi...

Ruth (al padre) — Tu sei andato alla banca del sangue... (ad Alberto) e tu hai sottoscritto al prestito di guerra. Questo è il mio contributo: gli terrò alto il  morale!

Il Giudice — Non ti ho mai vista così!

Alberto — Tutto questo non mi piace, non mi piace,  non mi piace.

Ruth (supplichevole) — Ti prego, Alberto, sorridi!

Alberto — E come pensi di intrattenerlo domani, mia piccola vivandiera di nuovo genere?

Ruth — Ha detto che ha voglia dì andare a pas­seggio con la ferrovia sotterranea. E con l'autobus della Quinta Avenue. E di far colazione al ristorante automatico. È tanto giovine e... devi cercar di capire: è via da due anni! Promettimi, Alberto, di aver fiducia in me. Voglio che tu dica che sei contento che io faccia questo. Ti prego, Alberto!

Alberto — Qualunque cosa tu dica, gioia mia, ho talmente sonno in questo momento che sono intorpidito...

Ruth — Sei un tesoro e ti amo.

(Edith va a sedere sul sofà. Ruth fa un passo avanti e bada gentilmente Alberto).

Alberto — La signora Nicotina.

Ruth — Smetterò di fumare, caro. Perché sei così pieno di comprensione.

Alberto — Allora, almeno per questo benediremo il tenente. Ma ora me ne vado. (Va a prendere il cappello, si avvia) Buona notte a tutti. (Scambiano a soggetto «buona notte», ecc. Alberto, sorridendo) Ma la cosa continua a piacermi poco. (Esce).

(La porta si chiude).

Il Giudice — Un marito ideale.

Edith — È tollerante.

Ruth — Pensavate che avrei scelto uno zuccone?

Il Giudice (sedendo) — Io non mi sarei compor­tato così.

Ruth — Ma sì, babbo; avresti fatto lo stesso. Abbiamo una certa responsabilità. Miriam ci ha messi in questo pasticcio e quindi mi sento obbligata. (Scorge le gambe di Miriam sulla scala) Miriam! (Le gambe scompaiono) Ti ho vista! Vieni giù subito.

(Miriam scende; è in pantofole e vestaglia sulla camicia da notte)

Il tuo tenente è simpaticissimo. Un po' impulsivo  ma simpatico.

Miriam (con solennità) — Ruth, la mia stima per te è aumentata a dismisura.

Ruth — Ma senti: vorresti darmi un'idea delle tue lettere? Ho provato una certa difficoltà a soste­nere la conversazione, non sapendo che cosa gli avevo scritto.

Il Giudice — Da quando in qua sei un'autorità nella  questione  della vita sessuale fra i  sovietici?

Miriam — Ho semplicemente citato un articolo della «Nuova Libertà».

Il Giudice — E che cos'è la «Nuova  Libertà»?

Miriam — È una rivista a cui il nostro gruppo di scienze politiche è abbonato.

Il Giudice — Mi piacerebbe vederne una copia.

Miriam — Abbiamo disdetto l'abbonamento quando la rivista è diventata reazionaria. E abbiamo bruciato le copie che avevamo.

Edith — Miriam, Hitler ha cominciato col bru­ciare i libri che non condividevano le sue idee. Do­vresti avere maggior tolleranza per le opinioni altrui.

Miriam — Non vorrei sembrare sgarbata, mamma. So che questa mia azione ha prodotto uno scompiglio in famiglia ed ho deciso di essere più prudente per l'avvenire...

Edith (interrompendola) — Ne sono ben contenta, cara.

Il Giudice (assentendo) — E mi pare che sarebbe ora.

Miriam (terminando la sua frase) — ... ma in quanto concerne faccende mondane e scienze politiche, ti considero ingenua come una lattante. Piena di buone intenzioni, ma una bambina.

Il Giudice (alzandosi) — Miriam, non ti ho mai messo le mani addosso in vita mia. Ma stai facendo il possibile per indurmi a somministrarti una scu­lacciata che batterà tutti i records. A letto! E subito!

Miriam — Mi dispiace di averti irritato, babbo. (Si avvia).

Ruth — Prima che tu salga, Miriam... non avresti per caso, qualcuna delle lettere che ti ha scritto il tenente?

Miriam (va al secretaire, tira fuori una scatola da scarpe, la porta a Ruth. Tutti la guardano senza par­lare) — Sono tutte qui, in ordine cronologico. (Va verso la scala) Buona notte.

Edith e Ruth — Buona notte.

(Miriam scompare. Ruth apre la scatola).

Ruth (seguendo la sorella con lo sguardo) — Non so se non sarebbe il caso di farla visitare da uno psicanalista.

Il Giudice (va verso Ruth) — Una scatola piena!

(Ruth ha posato la scatola sulla tavola. Tira fuori una lettera; suo padre fa altrettanto. Sono tutte su carta di posta aerea; i fogli di ognuna sono tenuti assieme da un fermaglio. Cominciano a leggere. Edith è così eccitata che non pensa più a Miriam. Si avvicina e prende anche lei una lettera.

Il Giudice (guardando il  numero  dell'ultima pagina) — Dodici pagine!

Edith — Questa è di sedici!

(Tutti e tre cominciano a leggere, sedendo. Un momento di silenzio).

Il Giudice (leggendo) — «Dimmi, cuor mio, se questo è amore», di Giorgio Lyttleton, 1709-1773. (Sfoglia le pagine) È un intero poema.

(Edith e Ruth non gli badano, immerse nella lettura. Il giudice si alza, va a prendere un'altra lettera, torna a sedere e legge).

Edith (leggendo) — «Cara Ruth, ho trovato assai commovente il primo periodo della vostra ultima lettera.  Mi  scrivete:  mi considero ormai adulta, eppure sento che rimangono in me tracce della mia infanzia. A volte compro di nascosto una scatola di caramelle: una scatola intera. Caramelle alla mia età! Oppure sogno di essere una regina a cui un principe innamorato manda un regalo ogni ora. A volte mi sembra che il mio corpo abbia più età del mio spi­rito». (Alza gli occhi a guardare gli altri) In certi momenti ho l'impressione che noialtri non conosciamo abbastanza Miriam.

Il Giudice (leggendo) — «Debbo confessarvi una cosa. Ieri sera a un ballo ho conosciuto una ragazza inglese. Era molto carina e al momento di lasciarla le ho dato un bacio. Ve lo dico per alleggerire la mia coscienza o per illudermi di essere sincero? Non l'avrei baciata se non avessi capito che se lo aspettava. In fondo, è stata lei ad aggredirmi: lo giuro». Ma è un mascalzone! (Continua a leggere, interessato. Poi) Questa ragazza inglese mi pare un certo tipo... Dov'è la lettera che vien dopo di questa? (Fruga nella sca­tola e trova la lettera.  Torna a sedere).

Ruth (sorridendo per qualche cosa che legge) — Oh... (Alza gli occhi. Edith sta ancora leggendo; il giudice sta per cominciare un'altra lettera; è così assorto che legge mentre cammina verso la sua sedia. Ruth si alza e va a togliergli la lettera dalle mani) Non dobbiamo leggere queste lettere. (Prende anche quella di Edith).

Il Giudice (alzandosi) — Perché?

Ruth — Perché non sono state scritte a noi. E non   avevo   capito  che  erano  così...   così  personali.

Edith — E allora come faremo a sapere che cosa ti ha scritto?

Ruth — Non è necessario che lo sappiate. Se vi è qualche cosa che interessi per il modo col quale ci dobbiamo comportare con lui, ve lo dirò.

Edith — Ah, tu hai l'intenzione di leggerle?

Ruth — Sono state scritte a me.

Il Giudice — Come autorità legale in questa casa, posso permettermi di farti rilevare un'incoerenza nel tuo modo di ragionare?

Ruth — Debbo leggerle! Lo sai anche tu. E mi stupisce che voialtri scendiate al livello di una ser­vetta ficcanaso.

Edith (indignata) — A me interessa soltanto cono­scere le sue impressioni trovandosi all'estero. Le cose personali non le leggo neppure.

Il Giudice — E come fai a sapere che sono per­sonali, se non le leggi?

Edith — Lo intuisco.

Il Giudice (avviandosi alla scala) — Signora fic­canaso,   venga  a  letto.

Edith (va verso la scala) — Inutile prendere questo tono autoritario, signor Wilkins!!

Il Giudice (è ai piedi della scala. Si ferma, indica la sommità della scala) — Disopra, signora! Altrimenti vado a dormire nel mio studio.

Edith — Davvero? (Va verso la scala con aria altezzosa. Al primo gradino si ferma) Da ventitre anni, sempre la stessa minaccia; e l'unica volta che ha dormito nello studio è stato quando la stanza da letto prese fuoco. (Sale. Da dentro) Buona notte, Ruth.

Ruth —  Buona notte,  mamma.

Il Giudice — Avrai notato che è salita. La minaccia fa sempre effetto. (Comincia a salire) Dimmi poi com'è andata a finire con quella ragazza inglese. (È sul pianerottolo).

Ruth — Sei troppo giovine per sapere certe cose.

Il Giudice — Buona notte, cara.

Ruth— Buona notte, babbo.

(Il giudice è scom­parso. Ruth prende la scatola e siede. Prende la prima lettera, legge. La sua espressione muta dall'interesse alla compassione. È visibilmente commossa. Si morde il labbro inferiore.  Sospira).


ATTO SECONDO

PRIMO QUADRO

La stessa scena; soltanto, ora, la stanza è piena di lillà.

(Sono le dieci del mattino di domenica. Il giudice è sul sofà; fuma la pipa e legge un settimanale umori­stico. Su una poltrona è seduta Miriam, con una gamba su un bracciolo; legge un altro foglio del settimanale. Dalla radio giunge, sommessa, la musica del mattino).

Miriam (posa il giornale e sospira forte, due volte. Squilla il telefono. Va a rispondere) — Oh! (Si alza e va al telefono) Pronto... pronto, Clara. (Seccata) Niente. Ho ascoltato Toscanini e la lettura sul con­tributo americano alla cultura. Ora sto leggendo un giornale umoristico. No, cara, non credo che potrò; sono agli arresti in casa... (Occhiata verso suo padre. Il giudice ha distolto per un attimo lo sguardo dal giornale e poi ha ripreso la lettura) Ti spiegherò più tardi... (Più forte) Ho detto che ti spiegherò...

Il Giudice (infastidito) — Ho deciso di sospendere la tua punizione la domenica. Puoi andare da Clara.

Miriam — Tanto vale che stia a casa.

Il Giudice — Non c'è ragione che il punito sia io! Va' da Clara!

Miriam (dignitosa) — Va bene. (Agitata al telefono) Vengo subito! (Lascia cadere il giornale ed esce in fretta).

(L'atmosfera è serena. Edith scende).

Il Giudice — Dunque?

Edith — È ancora chiusa nella sua camera.

Il Giudice — Sei certa che è viva?

Edith (siede) — È stata a leggere quelle lettere fino alle quattro. Poi ha dormito un poco; Dora le ha portato il caffè e una brioche. Dice Dora che le è parso che stesse piangendo.

Il Giudice — Piangendo?

Edith — Aveva un fazzoletto davanti alla bocca; leggeva e tirava su col naso.

Il Giudice — Forse ha il raffreddore...

Edith (va verso la scala, guarda in alto, torna indietro) — No, erano lagrime e... (Tira su col naso).

Il Giudice — Poesia!

Edith — Non vai a raderti la barba?

Il Giudice — E dove? Il lavabo è pieno di lillà.

Edith (guardandosi attorno) — Ne hai mai visto una tal quantità? Ce n'è dappertutto.

Il Giudice — Anche nella mia colazione! Ho mangiato uova al lillà!

(Entra Alberto, gaio e brillante; porta un rotolo di disegni e un mazzolino di fiori).

Alberto (allegramente, avanzando) — Buongiorno, buongiorno.

Edith e il Giudice (andandogli incontro) — Buon­giorno, Alberto.

Alberto (ha rallentato il passo, si guarda attorno)

—Che cos'è tutto questo infioramento?

—Edith — Lillà.

Il Giudice — Siete nel giardino botanico. (Guarda il patetico mazzolino).

(Dora entra portando una vaschetta di metallo — o catino da cucina - zeppo di lillà).

Dora (mentre attraversa la scena per andare verso l'anticamera) — È l'ultimo oggetto che ho potuto trovare in tutta la casa in cui mettere dell'acqua. Oooh! Perde! (Va in anticamera passando davanti ad Alberto).

Alberto — Ma insomma!... (Getta i suoi fiori nel catino, mentre Dora gli gira attorno).

Dora (posa il catino in anticamera e torna frettolosa in cucina. Alberto posa i disegni sulla tavola, conti­nuando a guardare i fiori).

Alberto — Che paga hanno i tenenti in questa guerra? Come sono arrivati in casa tutti questi fiori?

Edith — Con un carrettino tirato da un cavallo e guidato da un vecchietto il quale ha detto : «Dite a Sua Altezza che sono le nove». Ha scaricato i fiori e se n'è andato. (Siede).

Alberto (cammina avanti e indietro; con un pic­colo sorriso) — E dov'è adesso Sua Altezza?

Edith — Non si è ancora alzata.

Alberto — Non ancora?

Edith — Ha letto tutte le lettere. Ce n'era una scatola piena, una scatola da scarpe.

Alberto (andando verso Edith) — Ma non è una cosa ridicola? Perdere il sonno per questo. E dire che io l'accompagno sempre a casa presto perché possa dormire otto ore. (È irritato) Ve lo dico io: se non le si bada, agisce come una bambina.

Edith (cercando di calmarlo) — Doveva pur leg­gerle, quelle lettere.

Alberto — Mi piacerebbe sapere perché?!

Il Giudice — Si è trovata impegolata nella vita sessuale dei sovietici e non è riuscita a liberarsene.

(Dalla scala scende Ruth vestita per uscire. Gli altri la guardano, in attesa).

Ruth (è un po' mutata, posa il cappello sulla tavola) —   Buongiorno, mamma e babbo.

Il Giudice e Edith — Buongiorno. Buongiorno, cara.

Ruth — Buongiorno, Alberto. (Va a baciarlo).

Alberto (è ancora immusonito) — Buongiorno, altezza.

(Ruth non si rende conto del malumore di Alberto).

Ruth (notando i fiori) — Ancora? Ne ho la camera piena.

Il Giudice — Beh? Com'è andata a finire con quella ragazza inglese?

Ruth (andando verso sinistra) — Non l'ha mai più riveduta.

Edith — E non ha scritto altro?

Ruth — Oh no; ha scritto molte altre cose. Le più belle che io abbia mai lette.

Edith — Oh Dio!

Ruth — È tutto diverso da quello che sembra.

Il Giudice — A me è parso un ragazzo simpatico e schietto. Com'è, invece, nelle lettere?

Ruth (è davanti alla tavola) — Incredibile.

Il Giudice — Sessomaniaco?

Edith — Harry?!

Il Giudice — Sto cercando di capire. Non dice niente.  (Allude a Ruth).

Ruth — È un idealista. Ecco la parola. Sarebbe ben doloroso se la vita gli preparasse delle delusioni.

Alberto  (ironico) — Ah sì? Poverino.

Ruth (andando verso Alberto) — Non devi ridere di lui. Ridi piuttosto di me che non sono capace di spiegarlo. E vorrei non essermi mai trovata immi­schiata in questo. Mi sento molto a disagio.

Alberto — Non più di me.

(Dora appare trasci­nando un enorme fascio di scatole di caramelle legate insieme a due a due. Va verso Ruth).

Il Giudice — Che cos'è?

Edith —  Caramelle.

Dora — Duecento scatole.

Alberto — Chi le ha portate?

Dora — Un vecchietto. Ha detto: «Altezza, sono le dieci». Gli ho risposto: «Lo so. Ma non occorre che veniate ogni ora a dirmelo». E lui: «Firmate qui». Ed io ho firmato. (È perplessa) È roba che doveva essere portata qui?

Ruth (è commossa. Ad Alberto) — Era nelle let­tere... che mi piacevano le caramelle. È veramente un pensiero carino.

Edith — Ma che ne facciamo di 200 scatole di caramelle?

Il Giudice — Un centinaio possiamo adoperarle.

Dora — Che debbo farne, signora?

Edith — Lasciale in cucina, Dora.

Dora — Non c'è posto, con tutti quei fiori.

Edith — Aggiustati alla meglio.

(Dora si avvia. Alberto la segue per due passi; poi torna verso Ruth).

Alberto (con fermezza) — Ruth, devi farmi un piacere.

Ruth (segue con lo sguardo le scatole) — Che cosa, Alberto!

Alberto — Vorrei che tu avessi un tremendo mal di capo. Per disdire il tuo appuntamento col tenente.

Ruth — Oh, Alberto!

Alberto — Lo gradirei moltissimo, Ruth.

Ruth — Ma è una cattiveria.

Alberto (camminando su e giù) — In certi casi, è meglio esser crudeli. (Accenna col capo) Fiori, cara­melle, chi sa che cos'altro arriverà a momenti?

Ruth — Ieri sera dicesti che andava bene...

Alberto — Non credevo che la cosa avrebbe preso queste proporzioni. Forse tu non la prendi sul serio, e, Dio lo sa, neanch'io... ma lui sì!

Ruth — Ma non puoi esser geloso! Non è possibile.

Alberto — Non è possibile... ma lo sono.

Ruth — Pensa che fra qualche ora sarà tutto finito.

Alberto — Se credi che sia piacevole veder la propria fidanzata farsi sbaciucchiare da un estraneo per poche ore... (A Edith) Lo domando a voi: sono irragionevole?

Edith — Tu che ne dici, Harry?

Il Giudice — Non saprei. Nessuno ha mai pen­sato a baciarti, quando eravamo fidanzati.

(Edith si alza e va verso sinistra).

Ruth — Alberto, non sapevo che tu potessi provar gelosia. E ti voglio più bene per questo. Alle donne non piace che un uomo non sia mai geloso.

Alberto — Se è così, puoi essere felice.

Ruth — Ti prometto che il tenente non avrà la possibilità di essere troppo... affettuoso. Prenderemo l'autobus; poi la ferrovia sotterranea e andremo al ristorante automatico. Niente luoghi chiusi. Ti assi­curo che so come trattarlo. Il difficile è: saprò come trattare te? (Gli si è avvicinata e solleva il viso per farsi baciare. Alberto la bacia).

Il Giudice (durante il bacio, ammirando) — Ma dove va a cercarle certe frasi?

Edith — Non lo so davvero. Io le ho insegnato soltanto quello che concerne le api e i fiori.

Ruth (dopo il bacio) — Va meglio ora?

Alberto — Un poco. Ma a dispetto dei miei ragio­namenti. (Va a prendere i disegni sulla tavola, torna verso il centro) Beh, ora che abbiamo finito coi lillà e le caramelle, forse potremo dedicare qualche minuto a un regalino che ti ho portato. (Comincia a svolgere i disegni).

Ruth (con un grido) — Alberto! La casa!

Alberto — Precisamente!

Ruth — Ma costerà un patrimonio!

Alberto — Credo e spero di poter fare un buon affare.

Ruth (ai genitori) — Oh, è la più bella casa del mondo! (Avvicinandosi di nuovo ad Alberto) Non dovevi dirmelo finché non eri certo. C'è da spezzarmi il cuore.

Alberto — Sono sicurissimo; ma debbo sbrigarmi. (Osservando i disegni) Ci sono però un paio di cose che non capisco. (Al giudice) Siete capace di distin­guere una stanza da bagno da un armadio a muro?

Il Giudice — Non mi è mai capitato di dover esaminare la pianta di una casa. (Si china sui disegni, come fanno anche Ruth e Edith).

Alberto — Questa è la stanza da letto. Ma questo è un ripostiglio o una stanza da bagno? Mi pare che ce ne sia una di meno. (Il giudice sbuffa il fumo in faccia ad Alberto) Ditemi, giudice: continuerete a fumare così, anche quando saremo sposati?

Il Giudice — Soltanto quando voi verrete a pranzo o  noi mangeremo a casa vostra.

Alberto (a Ruth) — Non credo che vedremo spesso i tuoi genitori. Qui non si respira. E con tutti questi maledetti fiori!  (Va verso la finestra) Con una bella giornata  come   questa,  ve  ne  state  chiusi  in  una scatola di sigari!

Il Giudice — A me piacciono le scatole di sigari.

Alberto (sta per aprire la finestra) — Devo difen­dere la salute della mia fidanzata.

Edith (a Ruth, mostrandole un giornale) — Guarda questo modello, Ruth. Carino, vero? Figurati, se lo è comprato Mary Baker e addosso a lei è un orrore!

Alberto (ha aperto la finestra; si è fermato a guar­dare qualche cosa in istrada) — Strano. (Tutti lo guardano) C'è una ragazza che guarda qui. C'era già quando sono venuto. (Si affaccia) Avete bisogno di qualche cosa, signorina? (Voce indistinta fuori) Vengo subito. (Si ritrae. Agli altri) Ed è anche carina. Per fortuna non sono ancora sposato!

(Il giudice si alza, va alla finestra. Anche Editti si alza).

Ruth (canzonatoria) — Non cominci un po' troppo presto? 

(Alberto esce).

Edith (al marito) — Com'è?

Il Giudice (alla finestra) — Ma... Eccoli, vengono dentro.

Alberto (rientra con Marta Seawright, una bella ragazza ventenne) — Posso presentarvi la sorella del tenente Seawright, la signorina Marta Seawright? La signora Wilkins, il giudice Wilkins, la signorina Ruth Wilkins. (Convenevoli a soggetto. Alberto continua) Sta aspettando suo fratello.

Marta (sorridendo, ansiosa di fare buona impres­sione) — Mi ha dato appuntamento davanti a questa casa.

Edith — Prego, accomodatevi!

Marta (siede sul divano. Alberto e Ruth siedono ai suoi lati) — Grazie. (Pausa) Spero di non disturbare...

Edith — Tutt'altro! Da quanto tempo non vedete vostro fratello?

Marta — Più di due anni. E dovevo passare la domenica a Filadelfia. Per fortuna avevo lasciato il mio numero di telefono.

Edith — Avete la famiglia a Filadelfia?

Marta — Non abbiamo nessuno; siamo noi due soli. (Si guarda attorno) Ma Bill non penserà che io sia entrata...

Ruth — Alberto, sta attento se lo vedi arrivare.

(Alberto va alla finestra).

Marta (a Ruth) — Voleva mandarmi il vostro ritratto che avrei dovuto restituirgli, ma poi ha cam­biato idea. Ha temuto che la posta lo smarrisse... (Una pausa) Spero che non vi sembri strano l'appun­tamento di faccia a casa vostra.

Edith — Ma no, affatto.

Marta — Gli ho telefonato da Pennsylvania, al suo albergo e... (Esita poi continua) Ecco, la verità è che ero fidanzata con un sergente della sua com­pagnia e sono tutti e due alloggiati allo stesso albergo.

Edith — Capisco.

Marta — Sarebbe un po' imbarazzante un incontro fra noi... (In fretta) Sto cercando di spiegarvi perché ci siamo dati appuntamento per istrada; ma mi pare che sto complicando le cose... (È seria e commovente).

(Tutti sorridono cordiali).

Il Giudice — Non ci pensate. (Si alza).

(Una pausa).

Marta — Sapete per che ora è fissato il matri­monio?

(Alberto e il giudice si muovono).

Edith (dopo un momento) — Come avete detto?

Marta — Ho chiesto se avete fissato l'ora per la cerimonia!

Ruth (fa qualche passo, senza osare guardare gli altri) — Volete dire... a che ora... Bill ed io ci sposiamo?

Marta — Sì.

Ruth — No, non lo so.

Il Giudice — Non è ancora stata fissata l'ora.

Edith — Già, non è stata fissata.

Alberto (freddo) — D'altronde, può darsi che abbia combinato tutto Bill.

Marta — Sicuro. Può darsi benissimo. L'ho chiesto perché dovrei partire subito dopo la cerimonia, e vorrei, se fosse possibile, prenotarmi il posto nel treno.

Edith — Capisco.

Marta — Ma non importa.

(Un silenzio. Edith guarda Harry).

Il Giudice — Fa un bel caldo, vero?

Alberto — La giornata minaccia di essere anche più calda.

Marta — Anche a Filadelfia fa molto caldo.

Il Giudice — La squadra di calcio non è molto buona, quest'anno.

Marta — Non seguo molto le partite.

(Da destra entra Bill frettoloso. Va dritto a Ruth. Marta e Edith si alzano).

Bill (gaio, ma senza guardare) — Buongiorno a tutti. Avete ottima cera. (È davanti a Ruth, l'ab­braccia) State una bellezza.

Ruth — Buongiorno. (Fa per scostarsi; Bill la bacia con ardore prima che lei possa impedirlo. Bill la guarda ancora sorridendo; Ruth lo scosta a lunghezza del braccio; con voce troppo alta) Grazie dei fiori. Sono bellissimi.

Bill — Tesoro, erano tutti quelli che avevano.

Ruth — E se qualcun altro volesse comprare dei lillà per la propria fidanzata?

Bill — Peggio per lui. In amore, come in guerra, tutto è lecito; ed io mi trovo nei due casi.

Marta — Bill!

Bill (si volta e vede la sorella) — Ciao, sorellina!

(Va verso il centro; Marta si è affrettata ad andargli incontro e Bill la bacia sollevandola da terra).

Marta (lo guarda allontanandolo da sé) — Non capisco in che cosa, ma sei cambiato.

Bill (la guarda sorridendo) — Anche tu: ma io so in che cosa.

(Marta ride; gli mette un braccio intorno alla vita).

Ruth — Bill, credo che non conosciate il signor Kummer.

Bill — Molto lieto.

Alberto (è troppo lontano per la stretta di mano) — Piacere.

Bill (sempre abbracciato alla sorella) — Non so come la mia sorellina sia qui, senza essere stata invi­tata; ma è un tipo fatto così.

Alberto — Ha chiacchierato molto piacevolmente.

Bill (guarda con affetto Marta e va verso Ruth con lei) — Sì, è tanto carina e simpatica. Ma debbo lasciarti per un po' di tempo, sorellina. Ruth ed io abbiamo  qualche piccola faccenda  personale.

Ruth (balzando in piedi) — Oh no! Non penserete a lasciarla sola!

Bill — Ma sicuro che la lascerò!

Marta — Non importa! Davvero, non importa!

Ruth — Ma sono due anni che non vi vedete! È  vostra  sorella!

Bill (ridendo) — Mi dispiace proprio! (Cerca di baciare Ruth).

Ruth (andando da Marta) — Non voglio neanche sentire queste cose! È una mancanza di cuore. Deve venire con noi.

Edith (con speranza) — Ma sì. Non potete andare insieme,  con l'autobus?

Marta — No, no. Darei disturbo! Avranno voglia di star soli!

Ruth — Io insisto perché veniate con noi!

Bill (capisce che Ruth parla sul serio) — Ma non esageriamo! Io non ho per Marta quest'affetto sper­ticato.

Ruth — Vi dico che senza di lei non vengo, Bill! È inutile discutere.

Bill (supplichevole) — Ma tre è un numero... dispari e antipatico, Ruth!

Ruth (decisa) — Verrà anche Alberto, così saremo in quattro!  Siete d'accordo, Alberto?

Alberto — Figuriamoci! È da ieri che non vado in autobus.

Bill — Non dovete lasciarvi convincere, signor Glummer.

Alberto — Kummer. (A Ruth) Verrò con molto piacere.

Ruth (andando a prendere il suo cappello) — Benissimo, allora è deciso così! (Ai genitori) Torniamo a mezzogiorno in punto per far colazione. Tutti quanti.

Edith — Benone. Vi preparerò qualche cosa di buono.

Bill — Veramente il mio programma era diverso... (A Marta) Ragazzaccia! Sempre alle mie costole!

Marta — Scusami, Bill.

Bill (ad Alberto, indicando lui e Marta) — Voi due siederete davanti, nell'autobus! E noi dietro. E non vi dovete voltare.

Alberto — Cercheremo di accontentarvi.

Ruth (con timore ma sperando) — Allora andiamo! (Ai genitori) Arrivederci.

Il Giudice — Arrivederci. Divertitevi.

(Si avviano; Alberto torna indietro, mentre gli altri escono, a pren­dere il suo cappello).

Alberto — Sono un uomo paziente, sì, ma fino a un certo punto. E sono arrivato al limite.

Edith — Ma in autobus non può accader nulla, Alberto.

Alberto — Nel modo come lui ha sistemato le cose... Vedrete che le farà la sua brava domanda di matrimonio.

Edith — Fidatevi di Ruth.  Sa come prenderlo.

Alberto — Ah si! Genere domatrice di belve?

Edith — Ma Alberto!

Alberto — Chi sa come se la palpeggerà in au­tobus. E io non ho nessuna intenzione di starmene a guardare.

Edith (troppo in fretta) — Ma se volterete le spalle. (Frase sbagliata, Edith arrossisce).

Alberto (per un momento rimane soffocato dall'ira. Poi) — Maledetto il demonio, ma se anche non vedo... Siamo essere umani, che diamine! (Afferra il cappello e se ne va. La porta sbatte).

Edith — È assolutamente irragionevole.

Il Giudice — No, mia cara.

Edith — Non trovi?

Il Giudice — Non trovo.

Edith (con un sospiro) — Forse hai ragione. (Siede) Speriamo che il tenente non si metta a baciare Ruth davanti ad Alberto.

Il Giudice — Lo farà di certo.

Edith — Alberto e molto seccato. Finiranno col litigare.

Il Giudice (con sicurezza) — E il tenente lo but­terà a terra con un pugno.

(Una pausa).

Edith (altro sospiro) — Dio, tutti questi lillà! Consumano l'ossigeno. Mi par di soffocare.

Il Giudice — Sarebbe una soluzione.

Edith — Potrei mandarne un po' a Mary Baker.

Il  Giudice  — Buona  idea.  Così  soffocherà lei.

Edith — Harry, non potremmo fare qualche cosa... per  rimediare?

Il Giudice — Cioè?

Edith — Ma... non saprei.

Il Giudice — Se ti viene un'idea, comunicamela.

Edith — Forse se ci mettessimo a pensare...

Il Giudice — Probabilmente sarebbe peggio.

(Il telefono squilla. Il giudice non si muove) Che secca­tura, però, questo telefono! (Altro squillo) Ora li mando al diavolo.

(Va al telefono; prima di alzare il ricevitore, dice alla moglie) Sta a sentire. (Al telefono) Pronto... (A Edith) Non posso risponder male. È una persona che vuol sapere se il tenente Seawright è qui. (Al telefono) No, è andato via da pochi minuti. (Ascolta, poi) Un momento. (A Edith) È uno del suo gruppo. Dice che deve lasciare l'albergo alle undici, altrimenti gli fanno pagare un'altra giornata. (Riflette un momento, sospira, poi, al telefono) Sentite: perché non venite qui a far colazione con noi?... Sì, sono il padre di Ruth... D'accordo. L'indirizzo è 1120, viale Whitcomb... Va bene. (Riattacca) Uno di più a colazione. (Torna a sedere) Più gente c'è, e meno possibilità avranno di conversazione intima.

Edith  (riflettendo)  —  Harry, pensavo una cosa.

Il  Giudice  — Dilla.

Edith — Che probabilmente è il sergente che era fidanzato con la sorella di Bill. Sarebbe bene che non si incontrassero.

Il Giudice (tranquillamente, guardando in alto) — Destino, hai vinto. Niente da fare. Hai vinto, o destino! Non c'è che da lasciarsi trascinare. Questo è il mio motto. (Guarda ancora in alto) Continua pure!

Edith (inorridita) — Harry! (Ma guarda in cielo anche lei).

(Entra Dora portando un piccolo fonografo, di colore gaio; va a portarlo a Edith la quale si volge).

Dora — L'omino ha detto che era per le undici; ma lo ha portato più presto perché si trovava sulla strada.

Il Giudice (il quale non si è voltato) — Non voglio neanche voltarmi. Non ne voglio saper nulla.

Dora (mette in moto il fonografo dal quale esce a piena voce la canzone «Ti amo, ti amo tanto». Il giudice si volta).

Il Giudice (con sollievo) — Avevo paura che avesse mandato  Frank Sinatra!

SECONDO  QUADRO

La foresta di lillà è stata ridotta a un giardinetto. Dov'era stato deposto il fonografo è ora una bottiglia di champagne infiocchettata di nastri. Il fonografo è visibile in altro punto della stanza. Mezzogiorno.

(Il  giudice   e   Edith   stanno  facendo  conversazione col sergente Chuck Vincent. Alla parete di destra sono appoggiati due zaini militari).

Edith (è seduta sul sofà) — Ah, capisco.

Chuck — Naturalmente, ognuno vuol battezzare l'apparecchio col nome della propria fidanzata; così tirammo a sorte. Bill scrisse il nome di Ruth; e sic­come io avevo litigato con la mia, fece scrivere anche da me lo stesso nome. Così Ruth ebbe due voti; ma perdemmo ugualmente. Vinse l'artigliere di coda col nome di Elena.

Edith — Un bel nome.

Chuck — Sì; ma non era adatto. Dopo la quinta missione, il nostro amico ricevette la sua parteci­pazione di nozze.

Edith — E allora avete cambiato il nome dell'aereo?

Chuck — Fu aggiunta una parola; e così il nostro aeroplano divenne «Elena sposata». (Breve pausa) Potrei telefonare? A quest'ora gli ordini saranno arrivati.

Edith — Prego.  (Chuck va al telefono).

Il Giudice — Ai miei tempi scrivevamo il nome della nostra fidanzata, sulle automobili sfasciate.

Edith — Il mio no, perché non avevi automobile.

Il Giudice — Lo scrivevo col gesso sui vagoni della metropolitana.

Chuck (al telefono) — Pronto... Parla il sergente Vincent... Desidero sapere se sono arrivati ordini per noi... Abbiamo disdetto le stanze all'albergo... Sì, posso darvi un altro numero: Kew Gardens, 44.1.31. E grazie mille. (Riattacca. Al giudice) Si aspetta l'or­dine da un momento all'altro.

Il Giudice — Ma non sapete ancora dove andate, voi e Bill?

Chuck — Sappiamo solo che siamo destinati al Pacifico. Forse in Cina, o in India.

Edith — Mi sembra una bella mancanza di ri­guardo, quella di non informarvi.

Chuck — Questa, signora Wilkins, mi pare la miglior definizione della guerra che io abbia mai sentita. Una continua mancanza di riguardo.

Il Giudice — Che intendete fare quando sarà finita  la  guerra,   Chuck?

Chuck — La prima cosa che farò nel minuto suc­cessivo alla fine della guerra, sarà questa: prenderò a pugni il tenente  Seawright.

Edith — Bill.

Chuck — Sissignora.

Il Giudice — Ma non siete amici!

Chuck — Lo eravamo fino a stamattina.

Edith — E che cosa vi ha fatto?

Chuck — Alle sei di mattina ha cominciato a farmi camminare avanti e indietro per la Madison Avenue a guardare le vetrine dei gioiellieri.

Il Giudice — Ma non sapeva che la domenica sono tutte chiuse?

Chuck — Gliel'ho detto in tutti i toni, eppure... Guardate qui: ecco un anello di fidanzamento! (Fruga in tasca e tira fuori un anello).

Il Giudice (guarda Edith, mentre Chuck gli porge l'anello) — Ma come ha fatto a procurarselo?

Chuck — Il proprietario di una gioielleria ha commesso l'errore di mettere il suo nome sull'insegna: «B. Cooper e figlio». Il signor Cooper abita alla peri­feria, e così pure suo figlio. Bill è riuscito a farlo venire ad aprire il negozio...

Il Giudice — È molto persuasivo, Bill.

Chuck — Sicuro! Ha ottenuto anche un ribasso di 50 dollari. Ha parlato mezz'ora per telefono. (Il giudice gli rida l'anello. Chuck lo guarda mentre parla) E poi ho dovuto aspettare io per mezz'ora davanti al negozio, perché il signor Cooper si decidesse a com­parire. Ed ero sempre senza colazione. Intanto Bill era andato in cerca dei lillà. Questa è la ragione per cui appena finita la guerra darò volentieri quattro pugni all'ex-tenente Seawright che sarà in borghese! (Rimette in tasca l'anello).

Edith — Ma dopo, avete fatto colazione?

Chuck — Sì, grazie. Credo che avrete capito perché Bill non è un genero desiderabile.

Edith — Oh sì. (Si alza, scambia uno sguardo col marito. A Chuck) Non prendereste ancora qualche cosa? Un bocconcino di un piatto che forse all'estero non potete avere e che può darsi che noi siamo in grado di offrirvi?

Chuck — No, grazie.

Il Giudice — Qualche caramella?

Chuck (come risovvenendosi) — Che idiota! Mi ero dimenticato!

Edith — Che cosa?

Chuck — Bill mi ha incaricato di fabbricare, coi cartoccetti delle caramelle, due pupazzi che rap­presentano una coppia di sposi. Posso andare in cucina dove ho visto le scatole!

Edith — Accomodatevi! (Gli indica la porta della cucina).

Chuck — Grazie. Non farò disordine. (Va in cucina).

Edith (per un momento lei e il marito si guardano. Poi) — Chi sa se il gioielliere riprenderà indietro l'anello!

Il Giudice — Saremo abbastanza fortunati se avremo indietro nostra figlia.

Edith (riflessiva, con ammirazione) — Quel tenente supera tutti gli ostacoli.

Il Giudice — È strano che, con un tipo come lui, la guerra duri tanto tempo. 

(Pausa).

Edith — E' proprio un peccato.

Il Giudice — Parli della guerra?

Edith — No, di Bill. È un vero peccato che sia innamorato di una Ruth inesistente.

Il Giudice — Ruth non è inesistente.

Edith — Hai capito benissimo quello che voglio dire.

Il Giudice — Senti, cara...

Edith — Che cosa?

Il Giudice — Vorresti davvero... forse... in qualche modo...

Edith — Non dire sciocchezze. (Pausa) Hai capito?

Il Giudice — Sciocchezze?

Edith — Ridicolaggini.

Il Giudice — Va bene, va bene.

 

(Entra a preci­pizio Alberto, coi capelli in disordine, la cravatta di traverso, la tasca della giacca rovesciata).

Alberto (a Edith) — È tornata Ruth?

Edith —  Non  ancora.  Perché,  che  è  successo?

Alberto — Sono stato arrestato ad una stazione della metropolitana!

Edith — No?!

Alberto — Sì! E posso dimostrarvelo! (Fa per mettere la mano in tasca; la trova rovesciata, ciò che lo  rende anche più furente.  Fruga nell'altra tasca e trova una notifica di contravvenzione.  Va dal giudice) Ecco qui. Sono citato per venerdì alle due! E non ho   nessuna  intenzione   di  presentarmi.   (Mentre  il giudice legge) Voi mi avete messo in questo pasticcio e  voi  dovete  tirarmene  fuori.   (Cammina  su  e  giù agitato).

Il Giudice — Non è cosa che dipende da me, Alberto. Ma vi accompagnerò e probabilmente potremo spiegare. Ma che è accaduto?

Alberto (è quasi troppo furente, nel ricordare il fatto, per poter parlare) — Eravamo sulla piattafor­ma di quel maledettissimo treno. Figuratevi come ci divertivamo! Che bellezza una passeggiata in fer­rovia sotterranea! Non so come mi sono lasciato convincere... Com'è possibile che si vada in metrò per divertimento!

Edith — Non lo so davvero!

Il Giudice — Raccontate dal principio, Alberto!

Alberto — Eravamo tutti e quattro sulla piat­taforma, schiacciati contro la porta. Entriamo in una stazione e la porta si apre. Poi sta per richiudersi. (A Edith) E proprio quando è quasi chiusa, qualcuno mi spinge. E so chi è stato! (Al giudice) La porta si richiude: io sono nella stazione e loro sul treno. E questo riparte! Ero furibondo! Non so cosa avrei fatto! (Più calmo, va verso la sedia a sinistra in centro) Ho bisogno di sedermi. (Eseguisce) Non debbo eccitarmi.

Il Giudice — Ma come mai vi hanno arrestato?

Edith — Parlate con calma, Alberto; siete diven­tato violaceo.

Alberto — Grazie. Dunque, corro disopra e prendo un taxi. Lo faccio marciare a precipizio, in modo da raggiungere la seconda stazione - non la succes­siva - per esser sicuro di fare in tempo.

Edith — Ottima idea.

Alberto (si alza) — Difatti arrivo al tourniquet proprio mentre il treno entra in stazione. (Va verso il giudice) Maledizione! Non avevo un nichelino!

Il Giudice — Non gridate, Alberto!

Alberto  — E  allora,  mi sono  ficcato  sotto  al tourniquet. (Va a sedere; tira fuori il fazzoletto, si asciuga la fronte) Non debbo eccitarmi. (Più caldo) Un guardiasala mi afferra per il colletto. Cerco di spiegargli che ho bisogno di prendere quel treno. La cosa si complica con l'arrivo di un altro guar­diano e infine arriva un poliziotto. Ed ecco la con­clusione. La citazione che avete letta. Accusa di aver cercato di truffare un nikel. Bel titolo per un giornale: Alto funzionario di una Banca arrestato per truffa di un nichelino. (Cammina avanti e indietro).

Edith — Insomma, è andata maluccio, mi pare.

Alberto (si volge a lei, irritato) — Malissimo, non maluccio. E vi sarò grato se non direte altro... se non farete commenti su quanto può accadere.

Edith — Ma non può succedere niente di grave, Alberto. Siamo in pieno giorno. Tutt'al più, le chie­derà di sposarlo. E non sono altro che parole.

Alberto — Lo sappiamo come si fanno, al giorno d'oggi, le domande di matrimonio! Niente parole: l'uomo bacia la ragazza, e se lei protesta, continua a baciarla. (Crescendo) E lei protesterà, e lui conti­nuerà a baciarla; e spero che non direte che sono un pazzo se vi dico che questo non mi piace affatto, accidenti a lui.  (È eccitatissimo).

Edith — State ridiventando viola.

Alberto — Grazie.

Il Giudice (si avvicina ad Alberto; con bontà) — Dominatevi, Alberto. Tentate almeno.

(Dal centro entra Marta.  Tutti la guardano).

Marta — Siamo rimasti separati, signor Kummer.

Alberto (va verso di lei) — Già. Ma dove sono Ruth e vostro fratello?

Marta — Sono rimasta separata anche da loro.

Alberto (ironico) — Davvero? (Le gira attorno) Vorrei chiedervi una cosa.

Marta — Dite pure.

Alberto — Siete stata voi che mi avete spinto fuori dal treno?

Marta — No, affatto.

Alberto (un vero e proprio interrogatorio) — Vostro fratello non poteva toccarmi! Ma voi sì. Mi avete spinto.  Ve lo ha  detto lui?

Marta — Ma no.

Alberto — Allora è stata un'idea vostra?

Marta — Niente affatto.

Alberto — Avete pensato che avessero diritto a un pochino di libertà! Me lo avete detto mentre eravamo in autobus.

Marta — In verità, signor Kummer, non mi sembra una cosa irragionevole. In fin dei conti si amano; e certo non potevano dirselo, con voi che continuavate ad indicare gli edifìci importanti.

Alberto (va a sedere. A Edith e Harry) — Mi ha spinto proprio lei.

(Dalla cucina entra Chuck por­tando due pupazzi fatti coi cartoccetti delle caramelle).

Chuck (parla senza vedere chi c'è) — Ecco fatto... Mi pare che non ci sia male... (Si interrompe vedendo Marta).

Edith (dopo avere scambiato un'occhiata col marito, si alza) — Posso presentare il sergente Vincent?

Marta — Piacere.

Chuck (gelido) — Ci conosciamo già. (Va a posare sulla tavola i  pupazzi).

Edith (continuando la presentazione) — Alberto Kummer. (Ad Alberto) Chuck è un amico di Bill.

(I due scambiano stretta di mano e convenevoli).

Alberto — Un amico di Bill è mio amico.

(Marta e Chuck evitano di guardarsi. Edith passa lo sguardo da uno all'altro. Dal centro entrano Bill e Ruth).

Bill (ha il braccio intorno alle spalle di Ruth. Si raschia la gola. Poi, forte) — Diglielo, Ruth. (Ruth crolla il capo negativamente) Posso permettermi di annunciarvi il fidanzamento della signorina Ruth Wilkins col tenente Guglielmo Seawright?

(Il giudice fa qualche passo.  Edith siede).

Chuck (avvicinandosi a Bill) — Rallegramenti, Bill.

Bill — Grazie, mio caro.

Il Giudice (fa ancora un passo; si ferma) — Vera­mente è una sorpresa; ma... rallegramenti!

Bill (con sollievo) — Grazie mille, signor Wilkins.

Il Giudice (a Ruth) — So che non faresti mai nulla   che   non   ritenessi   giusto...    (guarda   Alberto, sperando di essere compreso) ...e necessario! (Va verso la tavola).

(Bill bacia Marta).

Marta — Congratulazioni, Bill.

Edith (quasi di cuore) — Rallegramenti a tutti e due.  (Guarda Alberto).

Alberto — Perché non dovrebbe esserci l'unani­mità? (Va a porgere la mano a Bill. Con lievissimo sarcasmo) Congratulazioni, tenente.

Bill (gli stringe la mano con calore) — Grazie, signor Kummer! So che siete un vecchio amico di famiglia e temevo... per la faccenda del metrò...

Alberto — Ma no! Io sono pieno di comprensione per i fidanzati.  Sono fidanzato anch'io.

Bill — Davvero? (Adesso è lui che offre la mano) Rallegramenti, allora.  (Stretta vigorosa).

Alberto — Grazie! Grazie mille! Cioè, veramente suppongo di essere fidanzato. Per il momento c'è un pochino di confusione.

Bill — Peccato. Ma spero che tutto si accomodi.

Alberto  — Lo  spero  anch'io,  quantunque  non veda come...

Ruth — Si accomoderà tutto, Alberto. Credetemi.

Bill   (è  pieno  di  simpatia  e  comprensione  per  i fastidi di Alberto) Il solo consiglio che posso darvi è di fare come ho fatto io. (Guarda Ruth sorridendo) Fermezza e decisione. (Bacia Ruth).

Alberto — Può darsi che abbiate ragione.

Bill (è visibilmente felice) — Chuck. Dammi quel gingillo.

Chuck (fruga in tasca) — Signorsì. (Va a dare l'anello a Bill).

Bill — Non è gran cosa, Ruth; ma questo è solo il principio. Dammi un po'  di tempo.

Ruth (porge la mano, Bill le mette l'anello) — È bello.

Bill (la guarda amorosamente) — Lascia che ti guardi, pupa. Dovrò stare molto, moltissimo tempo senza vederti. (Scuote la testa come non credesse alla propria fortuna) Sei proprio bella! (La trae a sé. Ruth non può esimersi; Bill la bacia a lungo, lentamente).

(Dora appare e senza vedere annuncia).

Dora — La colazione è... (vede, ma dopo un attimo di esitazione termina) ...è servita.

Bill (staccandosi finalmente) — Ricordati questo bacio.

Il Giudice (voce troppo alta) — La colazione è pronta. Andiamo.

Bill (offrendo il braccio a Ruth) — Posso?

Ruth   (prendendolo)   —   Grazie.   (Guarda  Alberto, supplichevole, mentre si avvia con Bill).

(Marta e Chuck si avviano senza guardarsi in faccia. Edith e il marito guardano Alberto).

Alberto (va verso destra, poi torna a sinistra) — Ditelo, ditelo pure, signora Wilkins! (Fra i denti) Non può accadere più niente.

Il Giudice (va verso Alberto; gli altri sono usciti) — Dovete capire perché Ruth ha fatto questo. Dev'esserci un motivo. Ne sono certo.

Alberto — Capire? Ho dato una caparra per la casa, ho fissato la chiesa e il reverendo che deve celebrare e devo stringere la mano a un uomo che si è fidanzato con la mia promessa sposa. Via, c'è un limite anche alla comprensione.

Edith — Ormai si tratta solo di poche ore.

Alberto — E potete immaginare che cosa quello là è capace di fare in poche ore? (Si sente la risata di Bill) Dio sa che cosa sta facendo adesso. (Si affretta ad uscire per andare a vedere).

Edith — Non è una cosa tremenda, Harry?

Il Giudice — No; ora non mi pare più tanto.

Edith — No?

Il Giudice — Mi sono arrovellato per trovare una soluzione qualsiasi. Le cose non potrebbero andar peggio. (Offrendole il braccio) Posso?...

Edith (pesantemente) — Grazie.

(Prende il braccio del marito e insieme a lui esce).

(Da destra entra Miriam. Si sofferma sulla soglia, mangiando una mela. Bimane un attimo, riflettendo. Poi siede pigramente sul gradino che mette in anticamera. Continua a mangiare la mela. Dal balcone entrano Bill e Ruth, portando dei piatti con cibarie. Non vedono Miriam perché non è nella loro visuale, e immaginano che nella stanza non vi sia nessuno. Ruth entra per prima e va a sedere sul sofà).

Bill (esclama, gioioso) — La futura signora Seawright! (Bacia Ruth sui capelli, si scosta e la guarda) Tesoro, non ti perdonerò mai completamente il tuo comportamento in taxi.

Ruth — Il mio comportamento?

Bill — Capisco benissimo che una ragazza non dica subito «sì» appena le vien fatta una richiesta di matrimonio, ma tu hai esagerato la riluttanza. Te lo assicuro.

Ruth (cercando di prenderla con leggerezza) — Volevo esser sicura che parlassi sul serio.

Bill (solenne) — Se parlavo sul serio? (Con sem­plicità) Se tu non avessi accettato, Ruth, non sarei stato più buono a nulla, là dove debbo andare. Te lo  dico  con  tutta  sincerità.

Ruth (è convinta) — Ti credo.

Bill — E il luogo dove vado non è quello che ci vuole per un uomo a cui non importa più di nulla.

Ruth (posando il piatto) — Ebbene, ora sei tran­quillo; sicché farai bene il tuo dovere.

Bill (andando verso di lei) — Che ne diresti, Ruth, se ci sposassimo subito? C'è tutto il tempo.

Ruth — Veramente,  Bill...

Bill (con ardore) — Sarebbe la migliore soluzione.

Ruth (un po' spaventata per il modo come si sta avviando la faccenda) — Suvvia, Bill, non dire scioc-chezze. Se almeno avessi un po' più di tempo. Ma devi partire fra qualche ora. Siamo pratici. Non ci si sposa quando ci si conosce appena da un giorno!

Bill (guardandola con amore) — Si legge ogni giorno  qualche cosa di simile.

Ruth — Ma nessuno sa, poi, come vanno a finire quei matrimoni.

Bill (con dolce rimprovero) — Sei vile.

Ruth  —   Sì,   sono   vile!  

(Entra   Marta  frettolosa. Posa un piatto che ha in mano, cerca di coprirsi il viso col fazzoletto.  I due sono  balzati in piedi e la guardano stupiti).

Marta (si è un po' ripresa) — Scusatemi. Sono un po' sconvolta. Eravamo tutti e due di là... senza osare di guardarci in faccia...  Scusatemi.

Ruth (la accompagna verso la scala circondandole la vita con un braccio) — Vai disopra a rifarti un pochino il viso. Prima porta a destra.

Marta — Grazie.  (Si avvia).

Ruth (ora vede Miriam) — Da quanto tempo sei qui?

Miriam — Da qualche minuto.

(Ruth vorrebbe interrogarla ancora; ma in questo momento entra il giudice portando il suo piatto).

Il Giudice — Alberto ha rovesciato la salsa degli spaghetti sull'abito del sergente. Ha le mani che gli tremano... (Vede Miriam) Che cosa fai qui, tu?

Miriam — Abito qui anch'io, babbo.

Il Giudice — Va' in giardino. A prendere un po' d'aria.

Miriam — Vado. (Si alza. Si trova davanti a Bill) Le vie del Signore sono strane e misteriose.

Bill (stupefatto) — Non ne dubito.

(Miriam esce) Le ho risposto bene?

Ruth — Non badarle. Sono stranezze momentanee. (Siede sul sofà).

(Entrano Chuck, Edith e Alberto; i due ultimi portando ciascuno un piatto, mentre Chuch cerca di ripulirvi la tunica - o blusa - con un fazzoletto).

Alberto — Perdonatemi... non l'ho fatto apposta.

Chuck (strofinando) — Non importa. È quasi dello stesso colore.

Edith — Se provaste con lo smacchiatore?

Chuck — Ne avete?

Edith — Disopra, nella stanza da bagno. Prima porta a destra.

Chuck — Grazie. (Si avvia).

Ruth — Oh! (Guarda Bill, ma questi evidentemente non ha l'intenzione di trattenere Chuck; anzi lo guarda mentre sale).

(Edith va a sedere accanto alla tavola).

Bill (guardando in alto) — Meglio che abbiano la possibilità di spiegarsi. Non c'è motivo per cui non debbano rivolgersi la parola.

Edith (tanto per dire qualcosa. Con voce troppo alta) — Posso offrirvi ancora qualche cosa, Bill?

Bill — No, grazie...  (le sorride) mamma.

Edith (sforzandosi per non strizzare l'occhio) — Mamma.  Molto  carino.

Bill (a Harry) — Spero che non vi dispiaccia se non vi chiamo «babbo»? Preferisco chiamarvi «giudice». A meno che questo non vi contrarii...

Il Giudice — Ma no. Giudice va benissimo. È più rispettoso di «babbo».

Bill (andando dietro al sofà) — Signor Kummer, voi ed io abbiamo qualche cosa in comune, essendo entrambi fidanzati.

Alberto — Sicuro. Ma chiamatemi Alberto. Sono un vecchio amico della famiglia, io.

Bill — Grazie. Mi pare già di sentire i nostri bimbi che vi chiamano «zio». (Guarda Ruth con amore) Avremo una famiglia numerosa,  Ruth.

Ruth — Per ora no, Bill.

Bill (tornando verso Edith) — Desidero avere molti figli, il più presto possibile. Bimbi dovunque... nonna.

(Il telefono squilla. Edith sobbalza. Harry risponde).

Il Giudice — Pronto... (A Bill) Tenente Seawright.

Bill (va al telefono) — Eccomi. Ecco l'asso... (Al telefono) Pronto... Tenente Seawright... Leggetemi la località dove siamo diretti... (Calmo) Benissimo. Ci penso io. Grazie. (Riattacca, torna in centro. Si volge attorno. Tutti osservano la sua espressione. Bill sembra stordito ma calmo) Restiamo in America. Andiamo come istruttori al campo di aviazione di Eglin, Florida.

Edith e il Giudice (insieme) — No!

Ruth (alzandosi e posando il piatto che aveva ripreso) — No!

(Il giudice, Edith e Alberto si scambiano occhiate).

Bill (si avvicina a Ruth. Rauco) — È proprio un giorno fortunato. Tesoro, non so qual è l'espressione del mio viso, ma dovresti vedere quella del tuo! (La bacia solennemente. Edith tossisce; le è andato il boccone per traverso).

Il Giudice (a Edith) — Guarda in alto.

Alberto — Gentilissimo, il comando supremo.

Bill (a Edith e Harry) — Non è vero? Permettete che vostra figlia parta con me, dal momento che siamo fidanzati?

Edith (sbigottita) — Veramente... (Si appella al marito)  Harry!

Ruth (andando verso Bill) — Non credo di poter far questo, Bill.

Bill (calmo, con fermezza) — Ma sì, che puoi, tesoro!

Ruth — Non posso partire così, da un momento all'altro. Il mio posto alla banca. Hanno così poco personale... (Ad Alberto) Alberto, il signor Kummer, è appunto un alto funzionario e certo può dirti anche lui...

Alberto — E veramente impossibile.

Bill — Vergogna, Alberto. Dite che state per sposarvi anche voi.

Alberto — Non è alle mie dipendenze e non potrei far nulla. Ma so che non può piantare così la banca, da un momento all'altro.

Bill (avvicinandosi a lui) — Suvvia, non vorrete separare due che si vogliono bene a causa di una miserabile banca. Siate ragionevole, Alberto.

Alberto — Ecco, io... (A Ruth, andando verso il tavolino del caffè) Rispondetegli voi stessa.

(Dalla scala scendono Chuck e Marta tenendosi per mano. Tutti li guardano).

Chuck (raggiante) — Finalmente abbiamo conve­nuto che la colpa era mia.

Marta (altrettanto raggiante) — Non ho detto affatto questo, Chuck! (Si sorridono. Chuck nota che il suo abito è ancora macchiato) Bill, abbiamo l'inten­zione di sposarci senza perder tempo.

Bill (andando verso Marta) — Anche se è soltanto per oggi?

Marta — Anche se è soltanto per oggi.

Bill (le posa le mani sulle spalle) — Sorellina. Ecco il tuo primo dono di nozze: Chuck ed io rima­niamo  qui come istruttori.  In Florida.

Chuck (afferrando le mani di Bill) — Davvero?

Bill — Davvero.

Marta (sopraffatta dalla gioia) — Oh Chuck!

(Chuck si volta e l'abbraccia).

Bill  (a Harry)  — Non vi spiacerebbe sposarli, giudice? Non è il caso di indugiare. Dobbiamo par­tire stasera.

Il Giudice — Sono disposto a fare tutto ciò che mi si dice. Tutto.

Bill (a Ruth) — Che ne diresti di un doppio matri­monio, cara?

Ruth (decisa) — Ne discuteremo a quattrocchi. (Guarda Alberto. Parla con voce ferma) Credo che sarà  meglio.

Alberto — Lo credo anch'io.

Bill — Sei veramente caparbia. (Agli altri) Sono tentato di rinunciare a questo fidanzamento. (A Chuck) Va a procurarti la licenza matrimoniale; io penso ad andare a ritirare gli ordini al comando ed i biglietti ferroviari.

Marta — Debbo fare il bagaglio.

Bill (a Chuck) — Aiutala a far le valige.

Chuck — Signorsì.

Bill — Bada che è un ordine.

Chuck — Signorsì.  (Tira Marta per un braccio).

Marta — Ci sbrigheremo in pochi minuti.

Bill (a Ruth) — Tutti si sposano. Non è una bella cosa? Ora puoi cominciare a spiegarmi perché non puoi partire stasera per la Florida. (Sorridendo) Discuti quanto vuoi; fingerò di non capire.

Il Giudice — Devo andare a cercare un certificato di nozze. Credo di non averne qui.

Edith (alzandosi) — Vengo con te. Vorrei trovare qualche cosa da regalare agli sposi. Ma temo che di domenica tutti i negozi siano chiusi. (Guarda Alberto).

Alberto (lealmente a Ruth) — Debbo rimanere o no?

Ruth — È meglio che andiate col babbo e la mamma.

Alberto (a Bill, sinceramente dolente per lui) — Beh,  a più tardi.

Bill — A più tardi. (Fiducioso) E non state in pena per me. Se lei è caparbia, io sono duro come un macigno.

Alberto (guarda Harry e Edith. Escono tutti e tre. Si sente chiudere la porta. Bill sorride a Ruth andando verso di lei).

Bill — Dunque, che stupidaggine è questa, per la quale non puoi partire immediatamente per la Florida?

Ruth (evitando l'abbraccio) — No, ti prego. Non ho nessuna intenzione di venirci.

Bill (per nulla impressionato) — Avevi detto che avresti voluto che si potesse stare un po' di tempo insieme. Proprio qui, lo hai detto. Ora abbiamo tutto  il tempo  che  vogliamo!

Ruth — Ecco...

Bill (fa un passo avanti, avvicinandosi. Turbato) — Ma che c'è, cara?

Ruth — Ascoltami... (Si butta a capofitto) La verità è... che ho promesso di sposarti, ma senza nessuna intenzione di mantenere la mia promessa.

Bill  (dopo un momento) — Spiegati meglio.

Ruth — Credevo che dovessi partire. Me lo avevi detto... (Bill non dice nulla. Ruth deve continuare a giustificarsi meglio che può) Cerca di metterti nei miei panni. Credevi di amarmi. E stavi per affron­tare qualche pericolo. Non avevo altra scelta.

Bill — Ma io ti amo.

Ruth — No, non è possibile.

Bill — Mi farò dare delle licenze quando sarò in Florida. E verrò a trovarti.

Ruth — No, Bill, no. (Cammina per la scena e Bill la segue).

Bill — So che ti piaccio, Ruth. Non mi posso ingannare su questo.

Ruth (deve convenirne) — Ma vi sono altri elementi oltre a questo...

Bill (le va vicino, le tocca un braccio) — Ruth!

Ruth — La cosa non mi interessa! È difficile da dire, ma necessario. Ed è un peccato che tu perda tempo.

Bill (rimane come avesse ricevuto un ceffone).

Ruth (continua più in fretta) — Mi dispiace che sia finita così. È tutta colpa mia. Sarà meglio non dir niente per non turbare tua sorella, nel momento in cui si sposa. Possiamo dirle che ti raggiungerò in  Florida  più tardi.

Bill — È molto gentile da parte tua.

Ruth (si toglie l'anello e glielo dà) — Vado a cer­care un regalino per Marta e Chuck.

(Esce in fretta. Bill non la guarda mentre va ria. Si sente la porta che si chiude. Bill è solo. Si mette la mani in tasca e da qualche calcetto al tappeto. Siede. Da destra entra Miriam).

Miriam (gli si avvicina. Solenne) — Ho incontrato Ruth nel portico. Era sconvolta. Conosco quell'espres­sione. Stava per piangere.

Bill (appoggiandosi alla spalliera) — E la mia espressione che cosa vi rivela?

Miriam (andando verso di lui) — Oh Dio, ve lo ha detto?

Bill — Me lo ha detto.

Miriam —  Come?

Bill (con amarezza) — Chiaro ed esplicito. È molto di moda, quest'anno. Dicono che il metodo della crudeltà è il migliore. Funziona subito, senza per­dite di tempo. (Si china in avanti).

Miriam — Sarete in collera con me.

Bill — Con voi no.

Miriam (gli siede accanto: ognuno dei due guarda diritto davanti a sè, senza volgere lo sguardo dall'alto) — Siete molto generoso. (Sospira. Un silenzio. Citando) «Questo è ciò che uomini e topi proget­tarono e i loro piani sfumarono!» John Burns.

Bill (Col capo fra le mani e i gomiti appoggiati alle ginocchia. Quasi tra sé) — Chi sa com'è andato a finire Burns? Non l'ho più sentito nominare.

Miriam — Da principio abbiamo scambiato molti versi di Burns. (Questo non produce ancora nessun effetto su Bill) Ebbi allora l'impressione che il vostro gusto in fatto di poesia, fosse squisito. Quando vi mandai Elisabetta Barrett ebbi paura che non mi avreste mandato Browning. Invece me lo mandaste. (Questo comincia a colpire Bill, il quale però non muta atteggiamento, quasi non si rendesse ancora conto) Dev'essere stato ben difficile per voi trovare il tempo di scrivere a macchina tutte quelle lettere. Io scrivevo le mie a scuola; in parte come esercizio di dattilografia. (Bill alza gli occhi; la luce comincia a farsi in lui) Non facevo vedere a nessuno quello   che  scrivevo.

Debbo dire, in mia lode, che non ce n'è un'altra come me per conservare un segreto. Nessuno ha mai saputo niente. Credo che potrei, in certo modo, essere utile al nostro governo.

Bill (si piega a guardarla. In lui è un turbine di sentimenti. Si stropiccia le mani sul viso, quasi per svegliarsi).

Miriam (accorgendosi del gesto) — Non vi sentite bene?

Bill (non riesce quasi a parlare. Sta cercando di ricostruire i fatti) — No, benissimo. (La guarda).

Miriam — Non dovreste prendervela con Ruth. So che siete attratto da lei, superficialmente. Ma è molto borghese. Capite quello che voglio dire? (Bill annuisce) Figuratevi: capace di sposare Alberto, un reazionario della più bell'acqua. Non capisco. Non è neanche della generazione passata. A volte perdo perfino la fede.

Bill (si alza in fretta) — Oh, santo Dio!

Miriam — Che c'è?

Bill — Le lettere le avete scritte voi! Non lo negate! Byron... Shelley... i lillà... le caramelle! Un regalo ogni ora! Santissimo Dio!... Ora che cosa pen­serà di me! E i vostri genitori? Che sono il più grande imbecille che sia mai... Dio mio! E Alberto! Perché è fidanzata di Alberto!

Miriam (accusatrice) — Non sapevate niente! Mi avete presa in trappola per farmi parlare!

Bill (ricordando con angoscia) — «La vidi e subito l'amai, e l'amerò finché vivrò!». (Cammina su e giù).

Miriam (improvvisamente infantile) — Non volevo dirvelo!  Ora ho fatto peggio!

Bill — Ma no, affatto.

Miriam — Come potrete mai perdonarmi?

Bill — Possiamo fare una cosa sola, entrambi... non c'è altro da fare.

Miriam — Farò quello che mi direte! Dirò qual-siasi bugia...

Bill — Sarebbe troppo difficile. Non fate nulla. Che Ruth non sappia che io so. Che nessuno sappia. Lei ha fatto tutto questo per me. Avrebbe potuto dire la verità e non lo ha fatto. Ha voluto che io avessi questi due giorni di gioia. Lasciamo che creda di avermeli dati completamente e che io parta felice. Promettete, Miriam.

Miriam — Prometto.

Bill — Facendo croce con le dita?

Miriam — Non sono una bambina!

(Dora entra portando un enorme orso di peluche).

Dora — Lo hanno portato adesso. Un regalo ogni ora.

Bill (prendendo coraggio da questo) — È meglio che vada a provvedere i biglietti per il viaggio. (Esce frettoloso).

Dora — Dove devo metterlo?

Miriam — Dove vuoi, Dora. (Dora colloca il gio­cattolo su una sedia di faccia al pubblico, poi esce. Miriam segue Bill con lo sguardo) Addio, generazione perduta. (Riflette e guarda il vassoio coi liquori. Si avvicina e si versa una buona dose di whisky. Beve d'un fiato) Non sento niente. (Cita) «Vi era un pazzo che rivolgeva la sua preghiera a un tappeto, a un orso, e ad una ciocca di capelli...». Ma che diavolo vede in mia sorella? (Beve ancora) Continuo a non provar niente. (Dopo una pausa si volge all’orso e gli chiede cortesemente) Scusi, che cosa ha detto?


ATTO TERZO

Le quattro pomeridiane.

(Il giudice ha riempito il certificato nuziale e porge la penna a Chuck. Questi firma).

Il Giudice (è seduto alla tavola) — Ora ascolta­temi, per quanto riguarda la cerimonia. Vi farò cenno quando dovrete dire «sì». Poi rivolgerò la domanda a Marta. Se anche lei acconsente, sarà il momento di tirar fuori l'anello.

Chuck (aprendo il pugno sinistro) — Eccolo.

Il Giudice — Lo infilerete nell'anulare di Marta dicendo: «Con questo anello ti sposo e con esso ti dono tutto quanto posseggo. E ne faccio fede e giuramento».

Chuck (cosciente della sua responsabilità ripete) — «Con questo anello ti sposò e con esso ti dono tutto quanto posseggo. (Qui si imbroglia un poco) E ne faccio fede e giuramento». Spero di ricordarmi le parole.

(Dalla scala scendono Marta, Edith e Ruth. Marta ha una orchidea sul petto. Oli uomini la guar­dano).

Edith (canta la marcia nuziale del Lohengrin, senza parole) — Tan tan, tatan! Tan, tan, tatan! Siamo pronte a sposarci!

Chuck — Ma Bill non c'è!

Edith — Come mai tarda tanto?

Rum — Abbiamo tutto quello che occorre?

Marta — Il medaglione di mia nonna. (Lo mostra) È antico. Le scarpe nuove. L'oggetto avuto in pre­stito come partafortuna è la tua valigetta.

Ruth — Non credo che si possa calcolarla: dev'es­sere qualche cosa che porti addosso. (Le dà il proprio fazzoletto) Tieni! Prendi questo!

Marta — Grazie. (A Edith, giocherellando con un cammeo, anello o altro) E questo è il cammeo che mi avete dato voi e che credo ancora che non dovrei accettare.

Edith — Che sciocchezza! Figuratevi che l'unico negozio che ho trovato aperto era la farmacia; ed avevano soltanto una bottiglia per l'acqua calda. Una cosa talmente malinconica...

Il Giudice — Spero che la malinconia non trovi posto, in questo matrimonio.

Marta (guardando amorosamente Chuck) — Non ne troverà davvero.

(Entra Bill dal fondo; ha fatto uno sforzo su se stesso per dominarsi; è soltanto più cortese di prima).

Chuck — Dove sei stato?

Bill (posando il cappello) — Sono stato ad aspet­tare che qualcuno lasciasse libera una camera matri­moniale all'albergo. E finalmente l'ho avuta.

Chuck — Una camera?...

(Tutti sorridono guardando gli sposi con intenzione).

Bill — Bisogna che vi troviate fra un'ora all'Hôtel Centrale. Poi a mezzanotte si parte.

Marta — Possiamo esser puntuali: il bagaglio è tutto pronto.

Il Giudice (rivolgendosi a Marta) — Marta, dovete scrivere qui le vostre generalità esatte.

(Marta si affretta alla tavola).

Bill (guarda Ruth; i loro occhi si incontrano un attimo. Il giudice indica a Marta dove deve  scrivere).

Il Giudice — Qui. E qui.

Chuck — Non riesco a capire come tu non sia capace di persuadere Ruth a venire in Florida. Che ti è successo, Bill? Stanco di discutere?

Bill — Forse.

Chuck — Avevo fiducia in te. Ora non ne ho più. (Ruth e Bill si guardano. A Ruth) Quando pensate di raggiungerci? Vorrei saperlo, perché non sarà pia­cevole vivere con lui finché voi non venite.

Ruth — Non posso precisarlo adesso... ma appena potrò. Bill capisce benissimo.

Chuck — Cominci male, Bill, con questa ragazza. Ti toccherà capire una cosa dopo l'altra.

Bill — L'ho già provato.

(Alberto scende la scala portando la cappelliera dì Marta).

Il Giudice — Ecco fatto. (Porge a Chuck il cer­tificato. A Marta) Voi mettetevi qui. Chuck, vicino a voi. Edith, Ruth, Bill, Alberto.

(Tutti prendono posto. Il giudice aspetta un momento. Pausa. Dando ogni tanto un'occhiata a un opuscolo che ha in mano) Amici miei, siamo qui tutti raccolti per unire que­st'uomo e questa donna coi vincoli matrimoniali; è una condizione, questa, nella quale non bisogna entrare sconsideratamente o leggermente. (Pausa) Se qualcuno può dimostrare un giusto motivo per cui essi non possono essere legalmente uniti, deve dirlo subito, altrimenti non avrà mai più la coscienza tranquilla. (Durante questa solenne lettura ha dato un'occhiata a Bill e Ruth) Sergente Chuck Vincent, volete prendere questa donna come vostra legittima sposa per vivere insieme a lei come marito e moglie? Promettete di amarla, onorarla, confortarla, esserle accanto nella buona e nella cattiva fortuna e, trascu­rando ogni altra donna, essere con lei finché entrambi avrete vita?

Chuck — Sì.

Il Giudice — Marta Seawright, volete prendere quest'uomo come vostro legittimo sposo per vivere insieme a lui come moglie e marito! Promettete di amarlo, onorarlo, confortarlo, essergli accanto nella buona e nella cattiva fortuna e, trascurando ogni altro uomo, essere con lui finché entrambi avrete vita?

Marta — Si.

Il Giudice (a Chuch) — L'anello.

Chuck (trae l'anello e lo infila nel dito di Marta) — Con questo anello ti sposo e ti dono tutto quanto posseggo. E ne faccio fede e giuramento.

Il Giudice — Unite le mani destre. (Gli sposi eseguiscono) Con l'autorità conferitemi dalla legge dello Stato di New York, vi dichiaro marito e moglie. (Una pausa) «Possono seguire quelle osservazioni che l'ufficiale di Stato Civile riterrà consigliabili». (Guarda l'orologio) Riterrei consigliabile di affrettarvi.

(Marta e Chuck si baciano, seguendo il consiglio).

Edith (a Marta, durante il bacio) — Potete farlo anche quando siete in treno, mia cara.

(I due si separano).

Il Giudice — L'uso vuole che si baci prima l'uf­ficiale che ha celebrato le nozze.

Marta (lo bacia) — Grazie.

Il Giudice — Grazie a voi.

Chuck (stringendo la mano a Bill) — Il primo lo chiameremo Bill. Se sarà femmina, Bill sarà il nome del secondo. E se no, del terzo. Uno, insomma, biso­gnerà chiamarlo  Bill.

Bill — Spero di non darvi eccessivamente da fare. (Va a baciare Marta) Auguri, sorellina.

Marta (a Edith e Ruth) — Sono infinitamente grata... per tutto.

Edith — Spero che sarete tanto felice.

Ruth — Io ne sono sicura.

Alberto — Ora tocca a me. (Maria lo bacia) Come uomo che fra non molto, cioè fra quindici giorni, sarà vincolato dalle stesse catene... (A Ruth) Non è vero?

Ruth (conscia che Bill la guarda) — Devi sbri­garti, Marta.

(Marta si avvia alla scala).

Chuck — Non ti sognerai di lasciarmi così subito!

Marta (gli porge la mano. Chuck la prende e en­trambi salgono la scala tenendosi per mano).

Alberto — Per quanto tempo faranno così?

Edith — Circa per una settimana.

(Miriam viene dalla scala. Si ferma, sorride, ridacchia un poco. Tutti la guardano. Miriam si sorregge afferrando la rin­ghiera, ma ride nuovamente).

Ruth — Miriam! (Va verso di lei insieme a Edith).

Edith — Che diamine hai?

(Ruth l'ha raggiunta per prima. Il giudice, allarmato si avanza egli pure).

Ruth — Che c'è, Miriam!

Miriam — Non lo saprete mai! Mai! Porterò il mio segreto con me nella tomba!

(Edith e Ruth annusano l'aria e si guardano. Il giudice indovina subito).

Il Giudice (incredulo) — Whisky! Hai bevuto?!

Miriam — «La mia candela arde da ambo le estremità e non durerà tutta la notte; ma, o miei nemici, ed anche voi amici miei, sappiate che la sua luce è bella!» (Smette di ridere perché ad un tratto si sente male) Ruth, mi sento male! (Quasi viene meno fra le braccia di Ruth).

Ruth — La porto sopra.

Il Giudice (riprendendosi. Gelido) — Lascia fare a me. (La afferra duramente per un braccio. Edith la prende dall'altra parte e così sorreggendola la conducono verso la scala. Ruth li segue per qualche passo, poi si ferma).

Bill (osserva tutto questo con ansia).

Il Giudice (imbarazzato ma dignitoso) — Vi prego di scusarci. (Scompare su per la scala con la moglie e la figlia).

Ruth (sulla scala) — Non so che dire. Certo devi capire che avrà bevuto per isbaglio.

Bill — Tutti i bambini credono che mettersi a bere sia uno scherzo. È successo anche a me. Spesso.

(Guarda verso l'alto, rendendosi conto di quello che gli è stato rivelato) Berrei anch'io qualche cosa. (Ad Alberto) Mi fate compagnia?

Alberto — Volentieri.

(Bill guarda Ruth).

Ruth — No,  grazie.  

(Bill versa in due bicchieri mentre Ruth osserva).

Bill — Puro?

Alberto — Sì. (Nota che Bill ha versato nel proprio bicchiere con abbondanza) Un po' troppo, no! per essere il primo della giornata.

Bill — Non è il primo. È il quarto. Ne ho bevuto qualcuno mentre venivo qui. (Alberto e Ruth scam­biano uno sguardo. Bill lo nota) Tanto vale che lo sappiate. Lo saprete a momenti perché Miriam non potrà tacere.  So tutto.

Ruth — Mi dispiace, Bill. Speravo che non saresti venuto a saperlo.

Bill — Lo so e ti ringrazio.

Ruth — Devi capire come sono andate le cose. Volevo che tu non avessi una delusione. Non immagi­navo che si sarebbe arrivati tanto in là. Ma sei tal­mente impetuoso... e tutto si è concatenato senza volere. Non ho più trovato modo di fermare questa specie di palla di neve.

Bill — Capisco.

Alberto — Beh, ormai è finita. A che cosa si beve?

Bill — Alle vostre nozze felici, se mi è permesso!

Alberto — Ma sicuro! (Bevono. Poi ognuno dei due fa qualche passo in direzione opposta) Dunque, partite a mezzanotte! Vi accompagneremo alla stazione.

Bill — Oh no, non vi disturbate. Andrò in giro per la città fino all'ora del treno.

Alberto — Che idea. Vi dico che vi accompa­gneremo.

Bill — Preferisco di no.

Alberto (è felice) — Ma noi insistiamo.

Ruth — Non vedi, Alberto, che non desidera la nostra  compagnia!

Bill — Vi ringrazio ugualmente.

Alberto (completamente ignaro della loro rilut­tanza) — Non dovete aver paura di farmi far tardi. Domattina non ho bisogno di alzarmi di buon'ora.

Bill — Ma...

Alberto — Non una parola di più: è inteso che vi accompagniamo! (Una pausa. Bill e Ruth sono a disagio. Alberto è raggiante mentre rievoca tutto) Sapete che cosa trovo di straordinario in tutto questo? Tutta quella poesia che va avanti e indietro attraverso l'Atlantico. Straordinario. (Ride) Permettete un mo­mento! È la prima volta che vi lascio soli senza paura. Avrei dovuto telefonare fin da stamattina al reverendo Harwick, per confermare il giorno e l'ora della cerimonia, ma non mi arrischiavo ad andare al telefono. (Il giudice scende) Per favore, giudice, dov'è l'elenco dei telefoni?

Il Giudice — Nel mio studio.

Alberto (felice, agitando una mano) — Il segreto è scoperto! Ci siamo fatti una bella risata. (Miriam è dietro a suo padre) Eccola là, quella piccola ubriacona!  (Scompare per la scala).

Il Giudice (avanzando) — Mia figlia desidera chiedervi scusa, tenente.

Miriam (a Bill) — Vorrei scusarmi...

Bill — Oh, lasciate andare!

Miriam (a Ruth) — Ruth...

Ruth — Lo hai fatto senza cattive intenzioni, piccola.

Miriam (va da suo padre) — La mia condotta è stata imperdonabile. Deciderò un castigo per me stessa, oltre a quello che mi assegnerai tu. E spero che non  sarai indulgente.

Il Giudice (trae Miriam, sul sofà, circondandola con un braccio) — Una dama ha pure il diritto di bere un bicchierino, una volta ogni tanto! 

(Una pausa).

Bill (guarda l'orologio. Poi, con voce stridula) — Dovrebbero sbrigarsi.

(Un silenzio. Finalmente Bill incontra lo sguardo di Ruth).

Ruth — Spero che non serbiate rancore...

Bill (in fretta) — Ma no, davvero! Perché dovrei averne? Non avreste potuto essere più buona e gen­tile... no, non avreste potuto. (La voce gli si strozza alquanto) Tutta la faccenda è veramente buffa... (Un sorriso) Sì, più ci si pensa... Il mio arrivo qui, il mio comportamento... e il vostro contegno... la fer­rovia sotterranea e tutto il resto... (Sorriso straziante) Siete stata proprio buona. (Al giudice) Tutti voi. Anche vostra moglie e... (Si ricorda. A Ruth) E Alberto. È stato veramente generoso. È un brav'uomo. (Sorride di nuovo con disperazione) Beh, ci sarà da ridere, a ricordarsene. (Finalmente si ferma, deve trovar modo di uscirne senza più indugiare) Non ci sarà posto in macchina per tutti, coi nostri bagagli. Prenderò un taxi. (Va a prendere il suo cappello e lo zaino, sempre parlando) Volete farmi la cortesia di dire agli sposi che li ho preceduti e che ci vedremo al treno?

Il Giudice — Senz'altro.  (Si alza).

Bill (Ha preso tutto. Uscendo) — Allora, arrivederci.

Ruth — Arrivederci.

Il Giudice — E buona fortuna.

Bill — Grazie mille.

Miriam — Addio, Bill.

Bill — Addio, Miriam! (Guarda Ruth).

(Il giudice e Miriam volgono lo sguardo da Bill a Ruth. Bill si scuote, esce in fretta. Si sente chiudere la porta. Il giudice e Miriam si volgono a Ruth).

Ruth — Ecco fatto!

Il Giudice (con una mezz'occhiata verso l'alto, quasi più con le sopracciglia che con gli occhi) — Ti devo due dollari. (Ruth lo guarda stupita) Una scom­messa che avevo fatta.

Ruth — Avevi scommesso che sarei scappata con lui?

Il Giudice — No, no! Affatto, Una stranezza mia. Ho  scommesso  due  dollari.

Ruth — Un ufficiale che ho conosciuto per una giornata. (Si muove un po' irrequieta) ... Nient'altro. Una giornata divertente e commovente... e pensavi che avrei rinunciato per questo a un uomo che conosco da anni... che mi ama... che mi offre un avvenire sicuro... (con voce più alta del necessario) ... e che amo!

Il Giudice — Ho soltanto perso due dollari.

Ruth — Credevi che lo avrei sposato! (Con tono di accusa) Lo desideravi! (Va verso di lui).

Il Giudice — Io sono un giudice. Non parteggio mai per nessuno.

Ruth — Desideravi che lo sposassi!

Il Giudice — Questo non c'entra.

Ruth — Sì, lo desideravi! Lo speravi!

Il Giudice — Era il destino che ti spingeva.

Ruth — Sono anch'io fatalista! (Si ferma) Ed ora se n'è andato! Maledizione! Maledizione, maledizione! (Va verso il fondo, poi ridiscende verso il padre che ha fatto qualche passo. Con tono di sfida) Oh, mi pia­ceva! Lo ammetto! E se fosse rimasto ancora un minuto, non so che cosa avrei fatto! Ma se n'è andato. E anche questo è destino. (Si ferma) Voglio bere. (Va a versarsi del whisky) Oramai è passata! E domani lo  sarà ancor più! E il giorno dopo il ricordo di lui sarà anche più pallido! E il giorno in cui mi sposerò non   rammenterò   neanche   più   i   suoi   lineamenti! (Alza il bicchiere come per un brindisi) Questa è la mia risposta al destino! 

(Sta per bere, ma in quel momento, dietro a lei, entra a precipizio Bill).

Bill (entrando precipitoso) — Ho sbagliato nel prendere la busta coi biglietti.

(Ruth non si volta. Harry lancia il suo mezzo sguardo in alto).

Il Giudice — Un minuto; prego. La fotografia è fatta.

(Ruth si volta molto lentamente. Bill ha tratto di tasca la busta che aveva preso per errore; verifica se è proprio quella e incontra lo sguardo di Ruth. Si immobilizza, come inchiodato. Vi è qualche cosa che non ha mai visto prima.  Si guardano).

Ruth (finalmente, ma senza andare verso di lui) — Ho sempre desiderato di vedere la Florida.

Bill (temendo di non avere ben capito) — Che volete dire?

Ruth — Che ne ho una voglia matta!

Bill (senza muoversi) — Ne siete sicura?

Ruth (supplichevole per essere creduta) — Non sono mai stata così sicura di una cosa, in vita mia!

Il Giudice (guarda la scala. Semplicemente) — Stanno  venendo!

Bill (senza distogliere gli occhi da Ruth, posa la busta) — C'è una sola camera libera, all'albergo.

Ruth — Chi vi ha chiesto  questo? 

(Bill guarda il  giudice come per essere rassicurato. Il giudice toglie il bicchiere dalla mano di Ruth).

Il Giudice — Volete prendere questa donna per vostra legittima  sposa?

Bill (sbalordito) — Sissignore, la voglio, la prendo!

Il Giudice (parla, guardando la scala, sottovoce, in fretta) — Vuoi prendere quest'uomo...

Ruth (afferra il braccio di Bill e si avvia in fretta) —  Sì, sì!

Il Giudice (seguendoli) — Con l'autorità confe­ritami dalla legge...

Ruth (da sopra alla spalla, al padre) — Ti tele­graferò dove devi mandarmi i miei abiti. Dì ad Alberto, che c'è della pazzia in famiglia.

Il Giudice (accennando di sì) — Vi dichiaro... (Sono usciti. Più forte) Marito e moglie. Non è molto legale, ma li salvo dall'unirsi senza un vero vincolo.

(Dalla scala scende Chuck portando due valigie, seguito da Marta, Edith e Alberto. Miriam si stringe tenera­mente a suo padre, tirando su col naso. Harry le porge il bicchiere lasciato da Ruth).

Edith (canta la marcia dell'aviazione) — «Andiamo nel cielo azzurro...».

Alberto (felice) — Ho telefonato al reverendo; avremo la chiesa, il pastore e tutto quanto occorre per la cerimonia domenica prossima alle dieci.

Chuck — C'è tutto?

(Si sente l'auto che si mette in moto).

Il Giudice (non sa come cominciare) — Se vi sedete tutti un attimo... sarà questione di un minuto...

Chuck — Perderemo il treno!

Il Giudice — Non vi preoccupate per il treno. Per esser precisi...

(Dal fondo si affaccia un marinaio biondo, alto, tutti lo guardano).

Aroldo (un po' goffo, torce il berretto fra le mani) —  Mille scuse... la porta era aperta.  È in casa la signorina Ruth Wilkins?

Miriam (sprofondando) — Oh Dio, questo è l'altro! Aroldo! Aroldo Simmons!

Il Giudice (con un gemito) — No! No!

Edith  (affranta, un  vero rottame)  —  Oh!  Nooo!

FINE DELLA COMMEDIA

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