Carne unica

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CARNE UNICA

Commedia in tre atti

di SILVIO GIOVANINETTI

PERSONAGGI

FABIO

DONATA

SPERANZA

CIANCIA

CARLA

BRUSCO

CORNETTA

NANDO

PRUDENZA

POLIZIOTTO

PAESANI

MASCHERE

L'azione si svolge in una indeterminata valle.


ATTO PRIMO

In un paese di montagna.

In scena, sul lato destro, un albero (l'albero non sia al centro, sarebbe di impedimento). Dietro, case o profili di case. Intorno all'albero, sempre a destra, un falco in costruzione con poche assi. In altre parti della scena una panchina, un tavolino rustico. Dovunque decorazioni con gusto di sagra vivace. L'azione si svolge durante le prove di uno spettacolo, dal mezzogiorno, con una pausa, riprende alle diciotto, con un'altra pausa, riprende a mezzanotte.

Brusco                           - Coraggio. Non ne hai voglia, stamat­tina?

Cornetta                        - No.

Brusco                           - Perché?

Cornetta                        - Non lo so.

Brusco                           - (a Nando) E tu?

Nando                           - (che inchioda una tavola) Neppure.

Brusco                           - (a mezza voce) Beh, non dirò di averne voglia io.

Cornetta                        - E allora? Mandiamo in aria la festa?

Brusco                           - Questo poi. E a che servirebbe?

Cornetta                        - (spingendo una grande poltrona) La poltrona?

Brusco                           - (accenna al palco) Metti su.

Nando                           - Un momento. Ancora un chiodo. (Pic­chia).

Brusco                           - Sbrigati. Son quattro assi.

Nando                           - E' un palco.

Brusco                           - Bisogna finire di decorarlo, no? I festo­ni, i velluti...

Cornetta                        - (esaminando la poltrona) Di' un po'. E' proprio quella dell'anno scorso?

Brusco                           - Non so. L'anno scorso non c'ero.

Nando                           - Che importa? Una poltrona non è uguale all'altra?

Cornetta                        - Il trono. D'ora innanzi chiamiamola il trono. (Trascinano la poltrona sul palco).

Nando                           - Ecco fatto.

Cornetta                        - (approvando) Un po' alta. Hai tenuto il palco troppo alto.

Nando                           - Ma no. Come sempre. La signora è bella. In alto, sola, sta bene.

Brusco                           - E gli altri? Dove li mettiamo gli altri?

Nando                           - Qui. Davanti alla Regina. Non ricordi?

(Continua a dare qualche martellata alle assi).

Brusco                           - No. Non l'ho mai vista questa festa. Non lo sai?

Cornetta                        - (indicando) Qui Eva. Qui Speranza. Qui Prudenza. Ora prendo le sedie. (Esce).

Nando                           - I troni.

Brusco                           - E le corone? Le stelle che si accendono? Quelle che si spengono? Il sole, la luna, che cosa diavolo ne so? Le lampadine, insomma. Funzionano, non funzionano? Chi è responsabile di queste cose? Chi mi dà assicurazione?

Cornetta                        - (rientrando) Io, tutto io. Dò assicu­razione su tutto. E sono anche responsabile dei fuochi d'artificio e degli spari più grossi quando la festa finisce. (Porta le sedie variopinte, agghindate, sulla tribuna. Entrano uno o più suonatori).

Brusco                           - E quelli?

Cornetta                        - Quelli vengono per le prove.

Brusco                           - (nervoso) Adesso? Cominciamo le prove adesso?

Cornetta                        - Perché no? E' stata la signora.

Brusco                           - Ma qui non è pronto niente. Bisogna disporre i riflettori, illuminare l'albero, i muri. Dob­biamo farle anche noi le prove.

Cornetta                        - Appunto. Le facciamo noi, le fanno loro, succede sempre così. È un pasticcio. Ma nes­suna paura. Più c'è confusione, più finisce bene.

Brusco                           - Sarà. Io ho l'impressione che non si vada avanti. (Silenzio).

Nando                           - Forse da qualche tempo...

Brusco                           - Vedi? Da quando l'avvocato ha chiuso l'inchiesta...

Cornetta                        - Chiuso... Chiuso... E poi? Che suc­cede? Si resta così?... Senza sapere? Con un muc­chio di sospetti? Non è l'abitudine della Valle, la Valle è seria. Noi vogliamo conoscere.

Nando                           - E se non si dovesse?

Cornetta                        - Che vuoi dire?

Nando                           - Ma nulla... (Silenzio).

Speranza                       - (affacciata ad una finestra della casa dì fronte, d'angolo) Ehi... le corone, i veli, le croci, i fiori... Li volete? Li porto? Dico a te, Cornetta.

Cornetta                        - No.

Speranza                       - La signora ha detto di sì.

Cornetta                        - E allora portali. Perché domandi? (Il suonatore, fino allora silenzioso, suona un'aria lieta, scoppiante).

Brusco                           - Fate la cortesia. (Al suonatore) E' pro­prio necessario, ora? (Il suonatore cessa. Brusco ac­cennando alla finestra) Quella là, come si chiama?

Nando                           - Quella là è Speranza, la vedova.

Brusco                           - Ah, è vero. E che cosa fa, nello spet­tacolo?

Cornetta                        - La Speranza.

Brusco                           - Ma non dicevano... (È entrato dalla bat­tuta precedente Ciancia).

Ciancia                          - (a Brusco) Quella è mia madre. Che cosa dicevano? Che cosa vuoi? C'è qualche cosa che non va?

Brusco                           - No, perché? Domandavo se recita, do­mandavo che parte fa.

Ciancia                          - (semiserio, tra il lusco e il brusco) Ho sentito. Però mia madre è importante, qui. Lo ricor­di. Quasi come la signora, subito dopo la signora. E anch'io sono importante. Quasi come l'avvocato, subito dopo l'avvocato. Non è vero Nando? Non è vero, Cornetta? Dite di sì, almeno. (Ai suonatori) Su, musica. Coraggio, clarino. Fammi la scena delle busse con il diavolo. (Il clarino intona un'arietta svelta. Ciancia abbozza due o tre passi di danza. Entra Speranza).

Speranza                       - Ecco le corone. Ecco i veli. Ecco lo stendardo. (Depone un fascio di roba. Le corone sono luccicanti. Lo stendardo è un drappo colorato e disegnato) Dove li metto?

Cornetta                        - Posa lì. Speranza In terra?

Cornetta                        - In aria?

Speranza                       - Stupido. (Depone su una sedia) E' roba pulita. Bianca! Azzurra! D'oro! (Un tempo) Come la facevo, una volta, questa parte... Veniva gente da tutti i villaggi... Guardate in giro, adesso. Siamo alla vigilia e nessuno ci pensa. Nemmeno uno che venga a curiosare.

Nando                           - (tetro e piano) Oh verrà. Stai sicura che verrà.

Speranza                       - (a mezza voce) Chi? (Un tempo) Vuoi dire?...

Nando                           - Sì.

Speranza                       - Allora è già fuori. L'ho visto.

Cornetta                        - E che cosa vuole da noi?

Speranza                       - (pensosa) Mah! Niente di buono, immagino. E' sempre gente che porta danni. (Un tempo. Piano) A proposito. La vacca dei Darbey non sgrava. (Il musicante interrompe l'aria. Tutti smettono il lavoro, ascoltano, intenti).

Brusco                           - Chi l'ha detto?

Speranza                       - Hanno avvertito ora la Signora.

Brusco                           - Perché? Di tutto ciò che capita in paese bisogna avvertire la signora?

Speranza                       - Subito, sì.

Brusco                           - E come mai?

Speranza                       - Non lo so. E' un uso. E' così.

Nando                           - E allora? La vacca?

Speranza                       - Allora ha telefonato al veterinario. Ma non serve a niente.

Cornetta                        - Muore?

Speranza                       - Agonizza.

Cornetta                        - Peccato. Duecentomila lire in fumo. Una bestia magnifica. Un collo... Due mammelle come damigiane. Quasi trenta litri di latte al giorno.

Nando                           - E se pensate al vitello che non esce più...

Cornetta                        - Altre cinquantamila lire perdute.

Brusco                           - Che importa. Non è mica denaro nostro

Nando                           - Bella idea. Il denaro è denaro, no?

Ciancia                          - E quello là chi è? (E' entrato un giovane uomo dall'elegante aria cittadina. E' un poliziotto).

Speranza                       - Quello là? Ve l'ho detto. E' da un po' che gira. (A Ciancia) Mi aiuti, per favore? C'è da portare altri costumi. (Esce).

Ciancia                          - Un momento, madre. (Al musicante) Coraggio, clarino. Ripeti, prego. (II musicante suona. Ciancia misurando il tempo) Uno... due... tre... quattro... Qui urlo io. (Urla) Uno, due, tre, quattro. Qui urla il diavolo. (Urla) Uno, due, tre, quattro. Qui urlano gli altri. (Si guarda intorno) E gli altri dove sono? (E' di fronte allo sconosciuto) Che posizione hanno? Qui chi c'è?

Poliziotto                      - Buongiorno.

Ciancia                          - Buongiorno.

Poliziotto                      - (sorridente) Non dice a me, vero?

Ciancia                          - A lei no. Che c'entra lei?

Poliziotto                      - Lo so. Scherzavo. Dato che la inte­ressa, gli altri stanno per giungere. Ho intravvisto la signora.

Brusco                           - (di malumore) La signora. Tutti parlano della signora, tutti sono amici della signora. Anche gli sconosciuti. E cosa vuol che me ne importi? (A Cornetta e a Nando) Animo, per favore. Lavo­riamo. Bisogna finire oggi. L'ho promesso... Già, l'ho promesso alla signora. Ma io sono della Valle, anche se non sono nato qui.

Poliziotto                      - (gentile) Caro signor Brusco. Caro signor Ciancia. E voi, Cornetta, voi Nando. Scusate. Vorrei parlarvi, lasciatemi parlare, anche se non sono della Valle. Perché fingere di non conoscermi? Mi avete visto altre volte... Con l'avvocato.

Cornetta                        - Che c'entra? Visto è visto. In quanto a conoscerci...

Poliziotto                      - Ebbene? Conoscersi non è altro che parlarsi, scambiare le idee...

Nando                           - Interrogare.

Poliziotto                      - Sì, interrogare... E' il mio mestiere. E che male c'è? Non capisco. Appena arrivo si fa il silenzio. Perché? Paura della polizia?

Ciancia                          - Ma no. Non della polizia. Dell'estraneo, semplicemente. Siamo fra noi, ci piace restare fra noi. E' un gusto del paese.

Poliziotto                      - Quand'è così, la ringrazio. Però cre­devo che il paese fosse ospitale.

Ciancia                          - Ma certo, è ospitale. Siamo uomini civili, che diamine. Però, guardi intorno. Montagne. E' la Valle... Noi diciamo la Valle. E' come un clan... E' lei che ci unisce. Ma unisce noi fra di noi... Noi che ci conosciamo...

Poliziotto                      - (lento) Noi che ci ammazziamo.

Ciancia                          - Eh? (Guarda intorno. Silenzio).

Poliziotto                      - (c. s.) Noi che ci ammazziamo all'agguato...

Ciancia                          - (con un filo di voce) Noi... (Silenzio molto lungo. Tutti sono immobili).

Poliziotto                      - (piano) Vede? Perdoni... Ma è ap­punto per questo che è bene incontrarci.

Ciancia                          - (piano) Sì. Forse ha ragione. (Silenzio).

Poliziotto                      - Bisognerebbe parlarne (Silenzio).

Ciancia                          - (c. s.) Sì. Parliamone.

Poliziotto                      - Benissimo. (Agli altri) Tutti d'ac­cordo?

Ciancia                          - Le ho detto di sì.

Poliziotto                      - In fretta? Chiaro? Senza parole inutili?

Ciancia                          - (riflettendo) In fretta... Chiaro... Senza parole inutili.

Poliziotto                      - Allora... (Un tempo) Quando è scoppiato il temporale?

Brusco                           - All'una.

Poliziotto                      - (a Ciancia) E lei?

Ciancia                          - Alle undici.

Poliziotto                      - (a Nando) Lei?

Nando                           - A mezzanotte.

Poliziotto                      - Può giurarlo?

Cornetta                        - Io non ero in paese.

Poliziotto                      - Lo so. E infatti non l'ho interrogata. (A Nando) Dica dunque. Può giurarlo?

Nando                           - Sì. Mi pare.

Poliziotto                      - (a Ciancia) E lei?

Ciancia                          - Anche.

Poliziotto                      - (a Brusco) E lei?

Brusco                           - Credo di sì. Potrei giurarlo.

Poliziotto                      - (pensieroso) Benissimo. Non ce n'è uno d'accordo con l'altro. Pazienza. La vostra me­moria è suggestionata. O confonde, semplicemente.

Ciancia                          - Tutti? Confondiamo tutti?

Poliziotto                      - Non lo so. E' una supposizione. Ad ogni modo lei ricorda il temporale, credo, perché gliel'hanno fatto ricordare, no? Gliel'hanno sug­gerito come punto di riferimento.

Ciancia                          - Sì, mi sembra...

Poliziotto                      - Chi?

Ciancia                          - Mio fratello.

Poliziotto                      - Vede?

Ciancia                          - Ma cosa significa?

Poliziotto                      - Niente. Che ho indovinato. O che me l'ha detto suo fratello. Ora non ricordo. (Un tempo) Fratellastro, vero?

Ciancia                          - Fratello di latte. Ma io dico fratello. E' un'abitudine da bambino.

Poliziotto                      - Lo so. (Offre) Una sigaretta?

Ciancia                          - No, grazie.

Poliziotto                      - (agli altri) Loro?

Brusco                           - Grazie, no. (Gli altri negano con il capo).

Poliziotto                      - Paura che faccia male?

Ciancia                          - Prego. Io non ho mai fumato.

Poliziotto                      - (rimette in tasca. Pensieroso) Io sì. Paura. Non fumo più. Offro soltanto.

Brusco                           - Scusi. Se continuassimo a lavorare? Permette?

Poliziotto                      - Sì. Subito. Una domanda ancora, abbia pazienza. Chi di loro ha sentito gli spari?

Ciancia                          - Io.

Nando                           - Anch'io.

Poliziotto                      - Quanti, per favore?

Ciancia                          - Tre.

Nando                           - Due.

Poliziotto                      - Ricominciamo?

Ciancia                          - Mah... che vuol farci.

Poliziotto                      - Sta bene. Verso che ora?

Ciancia                          - Non saprei.

Poliziotto                      - Lei?

Nando                           - Non so.

Poliziotto                      - Durante il temporale?

Nando                           - Ecco.

Poliziotto                      - Allora, alle undici secondo lei; o a mezzanotte, secondo lei, o addirittura all'una, se­condo lui. (indica ad uno ad uno) Non importa. Non è una sorpresa. Sapevo. Ma se il temporale non c'era? Se stabiliamo che c'è confusione da giorno a giorno, anzi da notte a notte, non sarà più facile, forse, avvicinarsi a un accordo? Proviamo. Volete?

Cornetta                        - Guardi... è inutile.

Poliziotto                      - Perché?

Cornetta                        - Quando affermano una cosa, qui...

Poliziotto                      - La Valle?

Brusco                           - Sì, la Valle. Testardi, se è questo che vuol dire.

Ciancia                          - (brusco) E poi, scusi, che cosa ce ne importa? Non rispondete più... Sapete... Si crede di dire una cosa da niente e poi diventa pericoloso. Non siamo già stati interrogati? L'istruttoria è finita. Due, tre volte, che ne so io... Perché vuol continuar­ne un'altra, lei? Ehi, clarino. Musica. Arriva la signora. Si comincia.

Brusco                           - (a Cornetta e a Nando) Beh, ora non mi pianterete, no? Vi mettete a recitare? (Movimen­to, fervore).

Cornetta                        - Si capisce. Chi lo fa il diavolo?

Ciancia                          - (ricordando l'invito della madre) I co­stumi. Vengo, madre. (Esce. I suonatori soffiano nei clarini. Compare Donata, la signora. Indossa il co­stume della Valle dì Gressoney, rosso ed oro. E' bel­la, grave, autorevole. Ha in mano un libro o un copione rilegato).

Donata                          - (ferma al limite della scena) Ecco il clarino. E' la scena del diavolo. Non eravamo più avanti, ieri? No, non così. (Al musicante) Più brio. E nello stesso tempo più descrizione. Coraggio... Non importa. Vedremo poi. (Il clarino smette) Manca nessuno? Se sono in ritardo, scusate. Del resto siete tutti vecchi di questo spettacolo, no? Faremo presto, vedrete. Io sono in costume perché è nuovo, voglio provarlo. Gli altri, non è necessario. Pronti? Che cosa facciamo? La scena del ladro e del diavolo? Bene. Questo è il diavolo... (Indica Cornetta) Cor­netta... sì. Non dimenticare la coda.

Cornetta                        - E' di paglia.

Donata                          - Benissimo. Tutto il mondo ha la coda di paglia. Piacerà. E il ladro? Dov'è il ladro?

Cornetta                        - Non c'è.

Donata                          - Come non c'è?

Ciancia                          - (entrando) Eccomi.

Donata                          - Visto? Volevo ben dire! Speranza?

Speranza                       - (entrando) E' qui.

Donata                          - Benissimo. E allora vestiti. In quanto a Prudenza, può anche non venire. Ha poche parole. E' finito il palco? (Osserva) Bella roba. E le deco­razioni? Non si vede niente. Le luci? I colori?! Mah! Sembra povero... Che cosa ha fatto lei? Badi che il popolo è sempre più esigente. Vuole cose belle. (A Brusco) Lei è nuovo, lo so. Ma costoro non pos­sono consigliarla? Sa per lo meno di che cosa si tratta?

Brusco                           - Press'a poco.

Donata                          - E' uno spettacolo che organizziamo da cento anni...

Nando                           - Di più...

Donata                          - (risponde) Quelli che sono... (Riprende) Alla festa di San Rocco, lo spettacolo dell'Albero. E son cento anni che le donne della mia famiglia...

Nando                           - Di più...

Donata                          - Ho capito... Quelli che sono, ho detto. (Riprende) ...Cento anni che le donne della mia famiglia interpretano la parte della Regina.

Brusco                           - Questo lo so. Justitia.

Donata                          - Sì. La Regina si chiama Justitia. In quanto agli altri, come ha visto, sono tutti di qui... Qualcuno è specializzato: Cornetta, l'agrimensore, Nando, l'oste. Ciancia, il maestro. La vedova Spe­ranza... A proposito, caro fattore... Lei è nuovo, d'ac­cordo, io la scuso. Ma quella storia del vinello, intendiamoci, vero? Non lo faccia più. Nel modo più assoluto. Le ho mandato in ufficio una lettera. Vi si attenga.

Brusco                           - Ho sbagliato, signora?

Donata                          - Peggio. Ha truffato.

Brusco                           - Però i Blanc esagerano.

Donata                          - Ah lo sa? Macché esagerano, hanno ragione. Lei vende loro il vinello fatto col tartaro e truccato con il colore. Ma dove siamo? Ma da quan­do? E che figura mi fa fare? Questa è casa Michon, caro signore, lo dimentica? Casa seria. Nel com­mercio e in tutto.

Brusco                           - D'accordo, signora. Ma io credevo di fare il suo interesse. Era il vinello per gli uomini a giornata.

Donata                          - Peggio. Peggio che mai! Con l'aria che tira. Con la riforma in corso... che a poco a poco diventano loro i padroni e noi i servitori. Ma è matto, lei? O lo fa di proposito? O si vede già al posto mio e vede me al suo? E poi, che c'entra? Mio marito era umano, io sono umana, mio padre era umano. E mio nonno, mio bisnonno, tutti i miei avi, in fila, li guardi, se ha fantasia, per cento e cento anni, nella Valle, erano umani... (Si inter­rompe, guarda Cornetta) ...Van bene gli anni?

Cornetta                        - Ora sì.

Donata                          - (continuando) ... Ed io dovrei permettere queste furberie di strozzino? No. Mai. Veda intor­no... (Indica un lato e poi l'altro) Montagne. Gente chiusa. E' il nostro ritornello. Non si cambia noi, lei lo sa. O si cambia lentamente. Perciò lasci stare certe iniziative, segua gli usi, si fidi degli altri e soprattutto abbia l'onestà di se stesso. E in quanto agli uomini di giornata, metta mano al vino puro. Ne abbiamo tanto. E non per venderlo... Chi ci riesce? Per darglielo. (Sorridente) Poco, magari... Ma puro. Ha capito?

Brusco                           - Ai suoi ordini, signora.

Donata                          - Ed ora mi scusi. Ma non ho potuto farne a meno. O si dicono direttamente certe cose, o non si dicono più. (Un tempo) Su, non faccia quel viso. Inviti sua moglie a venire da me. Le regalo quella stoffa che le piace. (A Ciancia) E tu? Che cosa fai?

Ciancia                          - Metto la maschera per la prova?

Donata                          - Ma certo. Se non metti la maschera, muori, lo sappiamo. (Continuando ancora, rivolta a Brusco) In quanto alle scadenze raduni tutto, vero? E' San Rocco, lo ricordi.

Brusco                           - Sì. Ma non si paga una parte?

Donata                          - Con che cosa? Ho forse lo stampo dei biglietti da diecimila? Compro a rate, compro a cambiali, come gli altri, del resto. E faccio sempre fronte, come non fanno sempre gli altri. Che cosa vuole di più? Stia calmo. Nessuna iniziativa, le ripeto. Raduni le scadenze. E rinnovi. Non verrà meno la fiducia, vero? Lo sa per chi lavora, o no?

Brusco                           - Ma certo, signora. Donata - (apre il libro) E allora? (Un tempo) E adesso incominciamo. (Un tempo) Naturalmente dica lo stesso a sua moglie di venire. (Agli altri) C'è Prudenza? No... E' vero... Abbiamo detto che non occorre.

Cornetta                        - Manca Eva.

Donata                          - Eva... Eva... Carla, volete dire. (Esitante) Non partecipa. E' inquieta. Non si fa vedere. Che cosa c'è che si muove in giro? (Il suo occhio cade sul poliziotto, discretamente nascosto fino allora) Oh... Lei?

Poliziotto                      - (s'inchina) Signora...

Donata                          - E come mai? La credevo partita.

Poliziotto                      - (sorridendo) Non sarà un ordine, spero?

Donata                          - Ordine... Ordine... Io sono una Regina da commedia. Che cosa biascica di ordini?... (A Speranza) Dammi la corona. (Prende, esamina) Ogni anno si rompe una stella. Visto? La voglio nuova. (Mostra a Speranza. Continuando al poliziotto) Lo sa mio figlio che lei è ancora qui?

Poliziotto                      - Sì, credo. Almeno... Dovrebbe sa­perlo.

Donata                          - Dovrebbe. Parliamo chiaro... (A Cor­netta) Uno specchio, per favore. (Cornetta esegue) Lo ha detto lei, a mio figlio, che rimandava la par­tenza o non glielo ha detto neppure?

Poliziotto                      - Ma... Io non ne ho avuto l'occasione.

Donata                          - Ho capito. (A Cornetta) Con questa pettinatura balla. Non la metto. Bisogna stringere. (Le dà la corona) Vuol dire, in sostanza, che mio figlio non sa niente... (Un tempo) Quante parole per farla giungere a una così modesta conclusione. Perché?

Poliziotto                      - Scusi, signora. Ma è proprio con lei che voglio parlare. Sono qui per questo.

Donata                          - Con me? E non sta facendolo?

Poliziotto                      - No... Non così... In linea riservata... Se naturalmente permette.

Donata                          - Riservata? Riservata anche nei rispetti di mio figlio?

Poliziotto                      - (incerto) Non ho detto questo.

Donata                          - (sorpresa) O bella. Sembra pieno di mistero. E allora le rispondo di no. Si metta in regola con l'avvocato Fabio. Lei era un suo collaboratore, se non sbaglio.

Poliziotto                      - Lo sono sempre.

Donata                          - Meglio. Si metta in regola con l'avvocato e vedrò di accontentarla. E del resto ora non ho tempo. Non vede che mi aspettano? (E' entrato da qualche istante Fabio).

Fabio                             - (come a rimprovero) Mamma.

Donata                          - (al poliziotto) Meno male. C'è l'avvo­cato. (A Fabio) Il signore... Fabio - Fio sentito.

Donata                          - Io ho da fare.

Fabio                             - Ma scusa... Perché disponi di cose che mi riguardano?

Donata                          - Non lo faccio sempre?

Fabio                             - Ma non in tema professionale.

Donata                          - Ecco i figli. Appena possono ti fanno la morale. Come faccio a sapere se si tratta di cose professionali o meno?

Fabio                             - (irritato) Parlavi di me e di lui.

Donata                          - Non sei il pretore?

Fabio                             - Ebbene?

Donata                          - Questo signore non è un ufficiale di polizia?

Fabio                             - (brusco) E perché sei nervosa?

Donata                          - E perché lo sei tu?

Fabio                             - Ma è naturale che io lo sia.

Donata                          - (si passa la mano stilla fronte e sullo sto­maco) Scusate. Non posso discutere con mio figlio... Mi sento subito male... Stomaco e viscere... Che stupida. (Un tempo) Sei il pretore, guidi le indagini, comandi a tutti quelli che arrivano... Met­tevo in rapporto te e lui... Si capisce che pensavo anch'io al... fatto. Qui non si pensa ad altro. Il tuo collaboratore viene a chiedermi un colloquio pri­vato... A me? Il tuo collaboratore? E tu non ne sai niente? Non è strano?

Fabio                             - E perché? Non dubito che gliel'avrai concesso.

Donata                          - Certamente. (Al poliziotto) Che cosa le ho detto? Vedrò di accontentarla quando ne avrà parlato con mio figlio. Ora no, si capisce, mi aspet­tano... Alla fine della prova, se crede.

Poliziotto                      - A suo piacere, signora.

Donata                          - D'accordo. (Agli altri) Andiamo vi prego. Mettetevi a posto. Tu qui... Tu qui... (Li guida uno ad uno intorno all'albero).

Fabio                             - (al poliziotto, con ironia) Contento?

Poliziotto                      - Grazie, molto gentile.

Fabio                             - Sempre ai suoi ordini, tenente.

Poliziotto                      - E lei? Soddisfatto?

Fabio                             - Vuol dire?

Poliziotto                      - E' trasferito di suo gusto?

Fabio                             - Sì, l'ufficio nuovo non è lontano.

Poliziotto                      - Gente sua.

Fabio                             - Gente dei miei.

Poliziotto                      - Si sente protetto, insomma.

Fabio                             - (ironico) E' vicendevole, creda.

Poliziotto                      - Oh lo so, lo so.

Fabio                             - E a quando la partenza?

Poliziotto                      - Mah. Non riesco a decidere.

Fabio                             - (ironico) Un guasto alla macchina?

Poliziotto                      - Anche.

Fabio                             - E ne approfitta?

Poliziotto                      - In che senso?

Fabio                             - Di qua, di là... Notizie.

Poliziotto                      - Sa... I paesi...

Fabio                             - Parlano?

Poliziotto                      - Oh, in quanto a questo... Non molto.

Fabio                             - Allora tacciono.

Poliziotto                      - Nemmeno.

Fabio                             - E' un enigma?

Poliziotto                      - Esploro i fiumi.

Fabio                             - (colpito) Ah. I fiumi?

Poliziotto                      - Che vuole... Non manca niente da queste parti...

Fabio                             - Acque chiare?

Poliziotto                      - Dica pure trasparenti.

Fabio                             - E i boschi?

Poliziotto                      - No. Non mi attirano.

Fabio                             - Provi. Il buio si può sempre illuminare.

Poliziotto                      - Perché no? Le dirò in seguito.

Fabio                             - (c.s.) Ecco, mi dica. Non trascuri di dir­mi a suo tempo. Per cortesia, si capisce. Anche se l'inchiesta è passata in mano di altri...

Poliziotto                      - Che cosa dice? Lei è sempre il mio consulente, la mia guida preziosa. E io mi consi­dero sempre il suo collaboratore.

Fabio                             - Grazie. Non ne dubito. Torni fra poco, se crede. Mia madre la riceverà come desidera.

Poliziotto                      - Ai suoi ordini, avvocato. (Si in­china, esce. Donata, mentre si svolgono le battute, ha fatto sedere sul palco Speranza. Ciancia, du­rante i dialoghi precedenti, si è camuffato; ha na­scosto il viso sotto una ghignante maschera, ha in­dossato una maglia grigia o nera, parziale o totale, che raffigura popolarmente e ingenuamente il «ladro». Cornetta indossa una maschera di «dia­volo » : (può bastare una maschera] con le corna. Nando è il «soldato». Gli basti uno scudo o una lancia; si ricordi che siamo ad una prova e che lo « spettacolo » è soltanto abbozzato. Le maschere sono tenute in mano. Se il regista crede, può tutta­via aumentare qualche elemento scenografico, può far intervenire qualche comparsa, donne (e cioè: «Virtù», «Vergini»], uomini con maschera   - (quali « Il Giudice » o «Il Ricco » o « L'Asino » o «La Morte »] e via dicendo. Questa gente è sistemata come già indicato da Donata, sotto l'albero, intorno e sul palco. Poiché durante l'azione vengono pro­vate anche le litci, si potrà alternare un'iridescente fantasia a zone d'ombra, in concomitanza, se possi­bile, di eloquenze psicologiche. E l'autore cercherà di suggerirne l'occasione).

Speranza                       - Ancora? Devo ripetere i versi?

Donata                          - Adagio. Senza enfasi.

Speranza                       - Ma li ho già detti!

Donata                          - E ripeti.

Speranza                       - (a mezza voce) « Io sono la vera di­letta Speranza ». (A Donata) C'è Prudenza.

Donata                          - Sì. Continua. (E' entrata Prudenza, giovane donna in bianco e con il vélo. Donata le fa un gesto. La guida a sedersi vicino a Speranza).

Speranza                       - (ripete) « Io sono la vera diletta Spe­ranza ».

Prudenza                       - Signora, ho portato il denaro.

Donata                          - Non interrompere.

Prudenza                       - Era per dirglielo.

Donata                          - Che denaro?

Prudenza                       - Mia zia.

Donata                          - Ah, proprio oggi? Sta bene. Dopo la prova. Ora siedi.

Speranza                       - (riprende) « Io sono la vera diletta Speranza - che mi son data tutta al mio Signore». (S'interrompe) C'è anche Carla.

Donata                          - Insomma! (Le va incontro) Carla? Pro­prio Carla?

Ciancia                          - Carla! (Le va incontro).

Carla                             - Signora... (Un tempo) Grazie, Ciancia.

Donata                          - Non ti aspettavo.

Carla                             - (con angoscia) Infatti signora. Ho deciso all'ultimo.

Donata                          - Mai 'fatto bene.

Carla                             - Non solo per la recita le confesso. Non ne posso più. Ho paura. Mi protegga signora. Non voglio star sola. Ho paura che ritorni. Sento che ritorna.

Donata                          - Chi?

Carla                             - Quell'uomo. Mi spia. Entra da noi come un padrone. E poi è gentile, gentile, troppo gen­tile... Non sembra e ti soffoca di domande. Ti spaventa. Io non so che cosa rispondere. Non ricordo. Mi confondo. E poi, certe cose... neanche al pre­vosto.

Fabio                             - Quali cose?

Carla                             - Ma... niente. (China il capo, porta il fazzoletto agli occhi).

Fabio                             - Domande nuove?

Carla                             - Sì... Anche.

Fabio                             - Di che genere?

Carla                             - Non so dire.

Fabio                             - Intime?

Carla                             - (indecisa) No.

Fabio                             - Di te e tuo marito?

Carla                             - (c.s.) No.

Fabio                             - Se lo amavi?

Carla                             - (irritata) No.

Fabio                             - Se fingevi?

Carla                             - (c.s.) No.

Fabio                             - Se dormiva con te tutte le notti?

Carla                             - (veemente) Sì. Tutte le notti.

Fabio                             - (irritato) A me hai detto il contrario.

Carla                             - E son cose che si domandano?

Fabio                             - Di più. Ti domanderanno di più.

Carla                             - Non è possibile.

Fabio                             - Ti domanderanno se quella notte...

Carla                             - L'ho già detto. Ero stanca.

Fabio                             - Perché?

Carla                             - Non lo so.

Fabio                             - Troppo amore?

Carla                             - (irritata) Forse.

Fabio                             - O troppa fatica a fingerlo?

Carla                             - Non rispondo.

Fabio                             - Per desiderio tuo o per desiderio di lui?

Carla                             - Basta.

Fabio                             - Allora tuo. Sempre le donne. E perché? (Rabbioso e ironico) Cera uno scopo od eri sincera?

Carla                             - La smetta.

Fabio                             - No.

Carla                             - Mi vendico.

Fabio                             - Non ne dubito.

Ciancia                          - (forte) Fabio, che cosa ti passa per la testa?

Fabio                             - A te lo domando. Che cosa vai pensando?

Ciancia                          - (nervoso) Quel che dici. Ascolto quel che dici.

Fabio                             - Ma sta' un po' zitto!

Ciancia                          - (appassionato) Insomma, la torturi.

Fabio                             - E con ciò? E' la vita. Emozioni, violenze, cioè torture. (A Carla) Andiamo, non badare, ri­spondi.

Carla                             - No.

Fabio                             - Perché?

Carla                             - Perché è brutale. Non se ne accorge?

Fabio                             - (violento) Me ne accorgo. Ma devi spe­cificare.

Carla                             - (c.s.) Immagini lei quello che vuole.

Fabio                             - Non basta. Non importa che immagini io. Bisogna che chiarisca tu. Che dia una spiega­zione... Fisiologica e psicologica... Sai che cosa vuol dire?

Carla                             - (c.s.) Me ne infischio.

Fabio                             - Una spiegazione del tuo sonno. E della tua stanchezza. Che possono sembrare troppo pro­fondi. Tuo marito è in letto con te. Sente i rumori... Si alza, esce nell'orto, in pigiama, gli sparano, i cani si slegano, il temporale tuona, e tu dormi, non senti niente, ti svegli all'alba, quando i contadini lo trovano e te lo buttano sul letto morto ammaz­zato. Io ho creduto, io credo. Ma uno di fuori, no, non ci crede, a quel sonno. E vuol sapere      - (la scuote per un braccio) nel corpo... e nell'anima... se quella sposa era più stanca delle altre notti. Se dormiva più profondamente del solito. E questa è psicolo­gia scientifica. Non è una curiosità mia. Capiscimi.

Carla                             - Capisco.

Fabio                             - E allora rispondi. Ancora una volta.

Carla                             - No.

Fabio                             - Hai torto. Si potrà pensare che quel son­no era finto. E che fuori, a sparare, c'era un uomo conosciuto. E che forse quell'uomo era d'accordo con te. Forse un amante.

Donata                          - Fabio, insomma.

Fabio                             - (tornando freddo) Mamma... Non è una inchiesta mia. E' un'interpretazione. E del resto, gli interrogatori... Altro che queste delicatezze. Li sentissi. E poi sono fatti pubblici... Nessuno, qui, ha una vita intima, tutti si conoscono dalla nascita. Tutti sanno...

Donata                          - Ma si può andare avanti così? Con queste indagini che ci riveli?

Fabio                             - Non esageriamo. Non rivelo niente. E infine non bisogna essere troppo sensibili.

Donata                          - Sensibili? E' una brutta storia. E ap­pena sembrava dimenticata, tutto ricomincia. Po­lizia, interrogatori, violenze, sì, violenze, sorprese, trabocchetti, perché tuo marito qui... perché tuo marito là... E tu... E l'intimità... Che cosa può ri­spondere, a domande simili, povera donna? Fini­sce per confondersi, è naturale. Si ribella. Ma è proprio vero che dubitano di lei? Che dubitano di un amante? E perché? Io sono rimasta vedova gio­vane, e amanti non ne ho avuto. Figurati lei, che vedova non era.

Speranza                       - Comunque la verità deve venire fuori. (Esamina un costume) Qui c'è uno strappo. Bisogna cucirlo.

Cornetta                        - Giusto. Il paese intero è sospettato. Gli uomini per un verso... Le donne per un altro.

Nando                           - Mia moglie, ad esempio. Il povero morto...

Ciancia                          - Macché povero. Il morto.

Nando                           - Suo marito, insomma. Pietro Darbey; era cugino di mia moglie. Veniva in casa nostra. Ebbene, il giudice... (Guarda Fabio) Lei, signor avvo­cato, ha voluto vedere... Si figuri, il paese sa tutto. Perché non dovrei dirlo?... Ha voluto vedere se fra mia moglie e lui, per caso... E se non fossi io che accecato dalla gelosia...

Cornetta                        - Ma smettila. Tua moglie è vecchia.

Ciancia                          - Che ne sai tu! Con le vecchie di oggi...

Cornetta                        - Anch'io ho avuto noie. Ricordate?

Speranza                       - Tutti. (S'è seduta, cuce il costume).

Ciancia                          - Io no.

Speranza                       - (vibrata) Tu come gli altri. Non hai cuore? Non sei onesto? Non ami la giustizia? Dun­que hai avuto noie. Dunque hai sofferto. Dunque soffri ancora. E' un'onta che sopportiamo tutti, an­che se non ci riguarda...

Donata                          - Mi congratulo. Gli anni ti hanno inse­gnato la morale.

Speranza                       - Perché? Ero una donna senza morale, io?

Donata                          - Non farmi parlare, brava.

Speranza                       - Parla, parla. Che cosa c'è?

Donata                          - (di scatto) Ma se tuo figlio non ha mai conosciuto il padre. E se non c'ero io a dargli il mio latte, ad unirlo con il mio bambino, sul mio petto... (indica Fabio) ...moriva. Non s'è mai sa­puto dov'eri sparita.

Fabio                             - (a rimprovero) Madre. Insomma...

Donata                          - L'hai detto tu. Nessuno ha una vita intima, qui. Tutti sanno... Anche Ciancia. Persino Ciancia sa tutto. (Gli batte una mano sulla sfalla) Guarda come s'è fatto grosso. Non me n'ero mai accorta. E dire che lo chiamano Ciancia e non parla mai.

Speranza                       - Mi congratulo. Gli anni non ti hanno indebolito la memoria. Ma non si tratta delle mie disgrazie personali. (Sottolineando) Disgrazie, bi­sogna riconoscerlo. Soltanto disgrazie. E tu sei in­generosa a ricordarle. Si tratta di ben altro. Per chi parteggi? Poco fa difendevi Carla dalla poli­zia. E persino da tuo figlio. Ed ora, appena si parla di onestà, di giustizia, ti offendi. Perché?

Donata                          - Mi offendo? Come ti permetti? L'o­nestà è la mia vita. La giustizia è la mia vita. Nel confronto con te, l'onestà e la giustizia sono io. Ricordalo. Che cosa credi? Che sia un caso se qui è nata una festa... E se questa festa mi porta là (ac­cenna all'albero) ogni anno, a rappresentare questa storia secolare? Perché porta me e non te? Che cosa credi? Che sia un caso se i contadini mi affi­dano i loro risparmi? Se da tutta la Valle vengono a chiedermi consiglio per le liti, per i matrimoni, per le semine, per gli uomini e per le bestie? Se i prodotti della mia azienda sono ricercati; se ho credito, se ho influenza. Se in tanti anni non sei riuscita a danneggiarmi in niente. E ne hai fatti dei tentativi... E se persino mio figlio è diventato un giudice... Se ha sentito il nostro sangue. (Con orgoglio) Il diritto... la giustizia... la mia famiglia...

Fabio                             - (a rimprovero) Madre.

Donata                          - (s'interrompe) Basta, hai ragione. Carla è da compiangere perché è una donna sola: ed io difendo il debole. Per il resto si faccia luce una buona volta. La mia intransigenza è assoluta. Do­vresti saperlo: lo desidero più di tutti.

Ciancia                          - (rispettoso) Signora...

Donata                          - Di' pure, Ciancia.

Ciancia                          - Vede... Non perché io sia senza pa­dre...

Donata                          - (affettuosa) Oh Ciancia... Lo sai che ti voglio bene. Non ho voluto offenderti, via! Né te, né tua madre... Un po' di nervi... Scusami.

Ciancia                          - Ma no, signora, non badi. Io le sono devoto, lo sa. E poi la Valle è umana in queste cose. No, non è questo, signora. Volevo dirle che mia mamma ha ragione. Qui non si uccide dal tem­po dei tempi. Qui il sangue è ancora sacro. E allora, un delitto è la sventura di tutti. E perciò bisogna uscire dall'incubo. Insomma, Fabio... Che cosa dobbiamo fare?... Dar retta a quello là, che ci interroga di nuovo, o isolarlo ancora? E poi... Agisce in nome tuo o in nome di un altro giu­dice? E quale? E di che paese? Che cosa c'è di vero in ciò che si dice? Lo sai, le nostre cose non ci piace guardarle con estranei. Insomma, sei an­cora tu che guidi l'istruttoria o sei rimasto un col­laboratore? In poche parole: che novità ci sono? Che cos'è quest'aria strana? La Valle vuol sapere; ne ha il diritto.

Donata                          - (brusca) La Valle non ha diritto a niente. La legge, vorrai dire.

Ciancia                          - (vibrato) La legge è l'interesse di tutti. Quindi ha diritto. (Silenzio).

Fabio                             - (riflessivo, lento) Esatto. La legge è l'in­teresse di tutti. Classico. Bravo Ciancia. E la Valle chiede conto di questo interesse. Capisco. La Valle, Cioè persone e cose legate, una in continuazione diretta dell'altra. (Quasi spiegando a se stesso) Cioè uomini che chiedono conto di un principio mo­rale, perché non sono soltanto uomini... Ma sono anche alberi, rocce, acqua, grano... La Valle. Cioè il diritto naturale, a crederci, che chiede conto al diritto scritto... (Un tempo) Bene Ciancia. E' bello. E' solenne. Sembra biblico. (Ambiguo) Si sente che sei un maestro di scuola. (Silenzio lungo) E il rap­presentante del povero diritto umano, qui, sarei io. (Silenzio) Basta. (Nervosamente) Tutte astra­zioni. Non voglio discutere, Ciancia. Non c'è che attendere. E in quanto a voi... Agite secondo co­scienza. Basterà. E soprattutto non mettetevi in testa idee stravaganti. E' vero. Non sono più io a guidar l'istruttoria. Ma la verità non cambia. E' unica. Verrà fuori. State tranquilli.

Ciancia                          - (incerto) Questo è un discorso da giu­dice.

Fabio                             - Oh bella! Come ha da essere?

Ciancia                          - Da uomo della Valle.

Fabio                             - Che significa?

Ciancia                          - Uomo.

Fabio                             - Ebbene? Io non sono uomo forse? (Slenzio).

Donata                          - (a Carla) Passato, Carla?

Carla                             - (incerta) Sì, signora.

Donata                          - Tranquilla? Che mano fredda. Che fronte ghiacciata. «Tremi?

Carla                             - No, signora. Sto bene.

Donata                          - Allora potremmo continuare la prova?

Carla                             - Ma certo, signora. Sono venuta apposta.

Donata                          - Benissimo. Io sono pronta. Voi?

Speranza                       - Per me...

Donata                          - Ricominciamo. (A Ciancia) Non c'è tempo per i discorsi. Annebbiano la mente. Lascia andare. (Un tempo. Apre il libro) Vediamo. Chi era che diceva i versi?

Speranza                       - Io. (Apre il libro) Dove sono rimasta?

Donata                          - Aspetta. (A Carla) Forse vuoi dire i tuoi? Te la senti? Il tuo personaggio è Eva, ri­cordi?

Carla                             - Lo so, Eva. Deve lamentarsi.

Donata                          - Appunto. (Legge) E' qui. (Legge) « Io vo' de notte sbandita».

Carla                             - Sì... sta bene... Ma perché proprio lì?

Donata                          - Che domanda. Perché sono questi i versi che devi dire... Avanti... Coraggio.

Carla                             - Ma ce ne sono degli altri!

Donata                          - Ma non importa. Proviamo i più dif­ficili. Gli altri non è necessario, lo sai. Animo. (Ri­pete) «Io vo' de notte sbandita».

Carla                             - (ripete) « Io vo' de notte sbandita ». (S'in­terrompe) Non li dico.

Donata                          - Sei matta?

Carla                             - (nervosa) No, signora. Ma questi, in pubblico, non li dico.

Donata                          - Carla, che ti prende?

Carla                             - Non li dico, glielo ripeto. Saltiamo, la prego.

Donata                          - Ma non c'è senso. E' la presentazione. Vuoi o non vuoi recitare? (Ripete) « Io vo' de notte sbandita - e del marito vo' piangendo... », Su, animo.

Carla                             - (continua) « ...e del marito vo' piangen­do...».

Donata                          - (continua) « che m'ha lassata sì smar­rita».

Carla                             - (nervosa) « ...che m'ha lassata sì smarrita ». Non li dico. Non se ne accorge? Non li posso dire pubblicamente. E poi c'è il resto. Se ci avessi pen­sato non venivo. Ecco. Non li dico.

Ciancia                          - Ma Carla? Ti metti anche tu a com­plicare le cose? Suvvia... (L'accarezza) Che cosa c’è?

Carla                              - (con ira ed angoscia) C'è che li ha scritti lui. (Indica Fabio).

Donata                          - Ebbene?

Carla                             - (c.s.) Li ha scritti lui. Li ha inventati lui.

Donata                          - (nervosa) Lo so. Li ha adattati, vuoi dire. E quelli di Speranza li ha aggiustati Ciancia... (A tutti) Qui, ogni anno bisogna adattare il testo agli attori. Ci aggiustiamo.

Carla                             - (vibrata) Non importa... Signora mi scusi. Non li dico.

Donata                          - Te ne vai?

Carla                             - Sì.

Donata                          - Eri lasci negli impicci? Alla vigilia?

Carla                             - Torno a chiedere che mi scusi.

Donata                          - (secca) Sta bene. Come vuoi, Carla. Non capisco molto. Ad ogni modo buona sera. Non ho l'abitudine di pregare tante volte. (Irri­tata) E sta' fermo, Ciancia. (A Nando) E tu non picchiare, scusa. Buonasera, Carla, vai pure. (Agli altri) Nessuna paura. Vogliamo provare la scena del diavolo?

Ciancia                          - (che ha preso Carla alla vita) Ma per­ché fai così?

Carla                             - (si dibatte) Lasciami stare.

Ciancia                          - Che cosa succede?

Carla                             - (c.s.) Lasciami.

Ciancia                          - A me puoi dirlo.

Carla                             - (c.s.) Ho detto di lasciarmi stare.

Ciancia                          - E ti pare il modo?

Carla                             - (con un urlo) Sì, mi pare il modo. L'ho capito adesso. L'ho capito all'improvviso. L'ha fatto apposta. (Indica Fabio) Lui. Per studiarmi. Com'è la mia voce... Com'è la mia faccia quando dico «il marito vo' piangendo». (Fortissimo, quasi deli­rante) Ebbene, è vero! Andavo in chiesa a pregare, tutti i giorni, che qualcuno lo ammazzasse. Sì. (Sempre fortissimo) Lo hanno ammazzato... lo han­no ammazzato. Mi hanno contentata. Sono felice. (A Fabio) Ecco la mia voce, ecco il mio viso, guar­dali, avvocato.

Donata                          - (con un grido) Carla, bestemmi.

Carla                             - Bestemmio.

Donata                          - Non ti permetto.

Carla                             - Bestemmio... (Piange scrollata dai sin­ghiozzi. Silenzio lungo).

Fabio                             - (piano) E poi la Valle vuol conoscere la verità. (Un tempo) Dalle donne... (Un tempo) Le donne cambiano sentimento come la luce del gior­no cambia colore. (Silenzio lungo).

Donata                          - (con un filo di voce) Clarino...

Ciancia                          - (forte, rumoroso, battendo le mani e sal­tando) Musica, clarino... Musica. (Il clarino suona. Ciancia agli altri) Avanti la scena. Recitiamo. Qui si recita. Non vedete? Tutti intorno a me! (Tutti rapidamente si dispongono intorno a luì e intorno a Cornetta, il Diavolo; mettono le maschere) Cominciamo. Forte...

Cornetta                        - (a Ciancia, recitando) « Dove si' truf­fatore? Venuta è l'ora che serai ponito».

Ciancia                          - (recitando) « L'anima mea tu l'hai com­perata, ma solo il giorno eh'è contenta di morire ».

Cornetta                        - «Quel giorno tu sarai ingannatore».

Ciancia                          - « Perché sarò disposto il mio terrore eter­namente pianger con dolore».

Cornetta                        - « La tua promessa non voglio fallire ».

Ciancia                          - (furioso) «Va' via, o ti mando a bat­tezzare».

Cornetta                        - « Tu fai contro la lega ».

Ciancia                          - « Ti mozzo il capo ».

Cornetta                        - «Questo è vituperio».

Ciancia                          - (battendolo) « Sodomita puzzolente! ». « Faccia di cacaduro ».

Speranza                       - (c.s.) « Sgraffiacroci».

Nando                           - « Succhia vescovi ».

Speranza                       - « Pisciachiodi ».

Ciancia                          - « Stangamoscia».

Nando                           - « Spurganatiche».

Ciancia                          - « Sbranavergini ». (Le scena che può essere a balletto appena accennato, o meno, secondo la ispirazione del regista, o ritmata e stilizzata vocal­mente o anche veristica, ripete le invettive singo­larmente e coralmente).

Donata                          - (forte) Basta!

Ciancia                          - Basta così clarino. (Il clarino smette) E' venuta bene, no?

Donata                          - Sì, grazie.

Ciancia                          - Qualche minuto di riposo, signora?

Donata                          - Sì.

Ciancia                          - Allora vieni Carla. Ti accompagno a casa. Permette signora? In cinque minuti torno. (Prende Carla sottobraccio, escono).

Brusco                           - Ma non è meglio continuare stasera, signora? Abbiamo da finire la scena.

Donata                          - Per stasera c'è ancora dell'altro. Ma fino alle diciotto potete lavorare. (Agli attori) Tornate alle diciotto. Poi faremo l'ultima prova a mezzanotte. Grazie. (La luce si abbassa. Restano in scena Donata e Fabio. Silenzio lungo) Non m'è piaciuta quella scena.

Fabio                             - Figurati se è piaciuta a me.

Donata                          - Parlo di Carla.

Fabio                             - Ho capito.

Donata                          - E quante cose non mi piacciono da qualche tempo.

Fabio                             - > Cedi anche tu alla nevrastenia generale?

Donata                          - No. Non mi pare.

Fabio                             - Meno male. Mi sarei stupito. (Silenzio).

Donata                          - Sei innamorato di Carla?

Fabio                             - La odio.

Donata                          - Io non me ne intendo. Ma ho sentito dire... (Un tempo).

Fabio                             - Che l'odio è la stessa cosa dell'amore?

Donata                          - Appunto.

Fabio                             - Come ci comprendiamo, vero, madre e figlio? Indovino i tuoi pensieri. Mi fa piacere.

Donata                          - E allora?

Fabio                             - Storie, madre. L'odio è l'odio, l'amore è il suo contrario. Non c'è altro.

Donata                          - E perché la odi?

Fabio                             - Questo è più difficile da sapere. Cose lontane. Da ragazzi.

Donata                          - La vuoi?

Fabio                             - (con un sorriso) Oh mamma. (Le fa una rapida carezza).

Donata                          - Del resto non capisco perché cerco nei tuoi sentimenti. Non l'ho mai fatto. Che cosa mi importa che tu ami o che odi Carla? Non vorrai certo sposarla. E' vedova di un marito assassinato.

Fabio                             - Appunto.

Donata                          - Che cosa vuoi dire?

Fabio                             - Che devi essere sincera davanti a te stessa Te ne importa per i possibili riflessi verso di me.. Riflessi, diciamo così, professionali. Pensaci bene, La scena non ti è piaciuta perché ero un giudice che interrogava, sia pure senza veste ufficiale. E per­ché un giudice che interroga non deve odiare.

Donata                          - E' così. Bravo. E' proprio così.

Fabio                             - Coscienza integerrima. Complimenti. La tua idea della giustizia è assoluta, è mitica.

Donata                          - E la tua no?

Fabio                             - Certamente. Ma io sono uomo. Almeno, lo sono ancora. (Silenzio).

Donata                          - E per il resto? Finora hai spiegato perché non mi sia piaciuta la scena di Carla. Ma il resto? Perché non mi piace l'aria del paese? Perché non mi piace l'attesa che c'è in giro? L'incertezza degli spiriti? Diciamo pure, l'incubo? Questo dovresti illu­strarmi. Noi ci leggiamo nella mente, a tuo parere. E allora chiarisci i miei pensieri a me stessa.

Fabio                             - E' una bella prova di fiducia.

Donata                          - . Perché non dici d'amore?

Fabio                             - Lo sai che certe parole mi sembrano dif­ficili.

Donata                          - Anche se sono parole di una madre. Della tua?

Fabio                             - Io sono un figlio gentile. Non rispondo... Che cos'hai?

Donata                          - (che s'è messa una mano sul petto, un po' ansiosa) Non badare. Il cuore. Appena sento in te una resistenza, il cuore salta. Sono una stupida, lo riconosco.

Fabio                             - Torniamo da capo? Devo chiarire i tuoi pensieri a te stessa?

Donata                          - Sì.

Fabio                             - Non sei sicura di me. Ecco.

Donata                          - In che senso?

Fabio                             - Questo spiegamelo tu. (Silenzio).

Donata                          - Lo sai che cosa è avvenuto stamattina?

Fabio                             - Sì. (Silenzio).

Donata                          - In che modo lo sai?

Fabio                             - Come si sanno le cose qui? Dalle nuvole. Chissà.

Donata                          - E' stato Perrier, il ragazzino lentiggi­noso...

Fabio                             - Nel fiume?

Donata                          - Sì. Nel Buthier!

Fabio                             - Ma se ha paura dell'acqua.

Donata                          - Si vede "che la curiosità...

Fabio                             - Il nostro fucile scomparso?

Donata                          - Proprio quello. Ripescato.

Fabio                             - Lo ha riconosciuto lui?

Donata                          - Sì. Lo ha detto alla polizia.

Fabio                             - E tu?

Donata                          - L'ho confermato.

Fabio                             - E come mai?

Donata                          - Lo conoscevo, no? Lo usavano tutti. Io, tu, Ciancia. Per i camosci.

Fabio                             - E' vero. Tutta la notte all'agguato, nella neve... Controvento. All'alba, una forma. Il ma­schio... che protegge la femmina e fiuta l'aria, fischia... (Silenzio).

Donata                          - Fabio. (Silenzio).

Fabio                             - Sì? (Silenzio).

Donata                          - Credi che voglia vedermi per questo?

Fabio                             - Certamente.

Donata                          - Il poliziotto?

Fabio                             - Ma sicuro. Vorrà chiederti dei particolari.

Donata                          - E che cosa significa la pesca del nostro vecchio fucile nel fiume?

Fabio                             - Niente, credo. Torneremo a caccia. (Si­lenzio).

Donata                          - Fabio.

Fabio                             - Sì.

Donata                          - Che cosa dico a quel poliziotto?

Fabio                             - (un tempo) Che cosa ti suggerisce l'istinto?

Donata                          - Di negare.

Fabio                             - Che cosa?

Donata                          - Non so. Ciò che mi chiederà...

Fabio                             - E perché? (Silenzio).

Donata                          - Non capisco. Impossibile dirti il perché. (Un tempo) Ma non lo farò, s'intende. Io cerco sempre di non mentire. Lo sai. E' un orgoglio del mio carattere; guardare la gente negli occhi. In qual­siasi occasione. (In fretta) Sentimi, Fabio. Hai com­messo qualche errore? Nell'inchiesta, dico. Ti hanno eliminato? Ti hanno sostituito? Questa storia rap­presenta per te un insuccesso professionale?

Fabio                             - No.

Donata                          - Sei addolorato? Credi che i giudici nuovi riescano dove tu non sei riuscito?

Fabio                             - Non so.

Donata                          - Hai avuto rimproveri?

Fabio                             - No.

Donata                          - (di scatto) E allora?

Fabio                             - (di scatto) E allora... (S'interrompe. Poi lento, placido) Cara madre... L'ho ammazzato io. (Un tempo) L'hai capito da parecchi minuti. (Un tempo) Perché non ti arrendi?... Bisogna sempre arrendersi alla verità (Silenzio).

Donata                          - (con un filo di voce, piega sulle ginocchia) Fabio! (Silenzio).

Fabio                             - Sì?... (Silenzio).

Donata                          - Fabio?

Fabio                             - Sì?... (Silenzio).

Donata                          - (pianissimo) Tu... un giudice... (Silenzio).

Fabio                             - (piano) Che strano... Pensi al giudice. (Silenzio).

Donata                          - (più forte) Tu, mio figlio.

Fabio                             - Ecco. Questo è più logico. Il sentimento.

Donata                          - (progressivamente più forte) Mio figlio che si perde. Mio figlio che mi perde. Mio figlio che mi stronca. Come una bestia. Gli ho dato la vita. Mi salta alla gola. Mi sbrana. Indifferenza per tutto. Fiele. Perversità. (Urlando) Finisce il mondo...

Fabio                             - (come spiegando a se stesso) Ecco. E' reto­rico ma è perfetto.

Donata                          - (alta) Io ti consegno ai carabinieri.

Fabio                             - (c.s.) Meglio Sempre meglio. Qui c'è un carattere.

Donata                          - (altissima) Faccio giustizia con le mie mani. Ti uccido...

Fabio                             - (c.s.) Questo è eroico. (Silenzio lungo).

Donata                          - (piangendo, immobile, con un lamento che a poco a poco l'affloscia) Ti uccido... ti uccido...

Fabio                             - Questo no, ti prego. Le lacrime no. Le lacrime mi fanno ridere.

Donata                          - (con un lamento) Ti uccido... (Cade svenuta).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Scena come la precedente. Fabio e Donata sono seduti l'uno sulla panca, l'altra su una sedia. Fabio a sinistra, Donata a destra del palcoscenico. All'aper­tura del sipario, per qualche istante, silenzio. Quindi si presenterà Prudenza. Per tutto l'atto, le luci saran­no manovrate in scena, ad ispirazione del regista.

Prudenza                       - E' permesso? (Nessuno risponde) Signora... Signor avvocato... E' permesso?

Donata                          - (piano) No!

Fabio                             - (quasi contemporaneamente) Sì.

Prudenza                       - (indecisa) Signora.. (Silenzio).

Fabio                             - No o sì?

Donata                          - No.

Fabio                             - Vieni... Vieni avanti.

Prudenza                       - Se vuol che ritorni...

Fabio                             - Ma perché?... Che cosa c'è?

Prudenza                       - Ho portato il denaro.

Fabio                             - Brava. (Un tempo) Che denaro?

Prudenza                       - La mia dote.

Fabio                             - Non capisco.

Prudenza                       - (guarda Donata) La signora è infor­mata. (Un tempo) Io non abito qui. Io abito con la zia. Lontano. (Un tempo) Sa, io voglio più bene alla zia che alla mamma.

Fabio                             - E perché?

Prudenza                       - Non loso.

Fabio                             - E' giusto. E poi?

Prudenza                       - E poi... La zia va a lavorare per me. Vuol farmi la dote. Due campi, ha detto il mio fidanzato.

Fabio                             - Sono i fidanzati, adesso, che fissano la dote?

Prudenza                       - Sì. E' meglio.

Fabio                             - Giusto. E chi è questo tuo fidanzato?

Prudenza                       - (riflessiva, lenta) E' in città. Lavora in città. Qualche volta andiamo in pullman. Io e Rita. L'ho conosciuto così.

Fabio                             - Al cinema?

Prudenza                       - No. A «Lascia o raddoppia».

Fabio                             - E poi?

Prudenza                       - (c.s.) E poi... Fuori del caffè pioveva... faceva freddo... Eravamo bagnate tutte e due. (Un tempo) C'era un ragazzo con una bottiglietta di cognac. (Un tempo) Abbiamo bevuto il cognac. (Un tempo) Sicuro. Il giorno prima avevo perduto l'om­brello... (Silenzio).

Fabio                             - E poi?

Prudenza                       - E poi... mia mamma mi disse: « Se torni a casa senza l'ombrello, puoi fare a meno di farti vedere. Non ti voglio più. Io dissi: figurati. E lo persi. Ma c'era un ragazzo che voleva regalar­mene uno. (Un tempo, spiegando) Un altro ragazzo. (Un tempo) Ballavamo e mi arrivava appena qui. Troppo piccolo. (Un tempo) Non me lo regalò. (Silenzio).

Fabio                             - E questo che c'entra?

Prudenza                       - Non so se c'entra. Ma è così. E' tutto vero. Da allora sto con mia zia. E mia zia lavora per farmi la dote. (Un tempo) Del resto il mio fidan­zato non è più quello. E' un altro.

Fabio                             - E qui ci siamo. Ora capisco. Tua zia manda il denaro che guadagna in più a mia madre.

Prudenza                       - Sì. Per farlo fruttare. (Depone un involto sul tavolino).

Fabio                             - (a Donata) Molto bene. Non sapevo che prendessi denaro a tasso.

Donata                          - Macché tasso. Compro loro qualche azione industriale, o procuro loro qualche investi­mento agricolo. Per cortesia. Per bontà.

Fabio                             - (a Donata) Allora prendi.

Donata                          - No.

Fabio                             - Perché no? (Donata tace. Silenzio lungo. Fabio a Prudenza) Va bene, Prudenza. Ci penso io. Puoi dire a tua zia che va tutto bene.

Donata                          - (vibrata) Ma no, non così. Bisogna dare una ricevuta. E bisogna almeno contarlo, questo denaro. E bisogna spiegare che intenzioni hai. E quanto frutta. E quando riscuoteranno. Che cosa credi? Che sia gente da trattare con leggerezza? Sol­do su soldo, vogliono vedere, toccare. O portano da me o nascondono.

Fabio                             - E sia. Non discuto. Fai tu. Io sono qui per caso.

Donata                          - (a Prudenza) Un altro giorno, Pruden­za. Vieni in ufficio. Ora non posso. E poi non ho neppure da farti una ricevuta. Non ho neppure la penna.

Fabio                             - (estraendo la stilografica) Qui.

Donata                          - E infine non saprei che cosa farne, ora, di questo denaro. Come investirlo? Bisogna pensarci. Titoli dello Stato, no. Titoli industriali li tassano. Torna un altro giorno, ti prego.

Fabio                             - (a Prudenza) In quanto a me... Puoi dire a tua zia che mi sono interessato. E che ho fatto del mio meglio.

Prudenza                       - (raccoglie l'involto, se lo infila in seno) Sta bene. Come vuole, signora. (A Fabio) Grazie anche a lei, avvocato. (A Donata) Devo venire alla prova?

Donata                          - Naturalmente, cara. Alle diciotto.

Prudenza                       - Bene. Buongiorno, signora. Buon­giorno signor avvocato. (Esce. Silenzio).

Fabio                             - (come fra sé) Chissà perché poi... (Silenzio).

Donata                          - Perché la rimando?

Fabio                             - Sì. (Silenzio).

Donata                          - Se non lo capisci da solo...

Fabio                             - Spero di no. Spero che non sia... (Silenzio).

Donata                          - O lo capisci e vuoi farmi parlare di denaro, per togliermi dall'incubo?

Fabio                             - Anche.

Donata                          - (tetra) Che colpo. Ho le ossa rotte. Come se avessi fatto un viaggio in capo al mondo. Comincio adesso a rivedere le cose con un po' di chiarezza.

Fabio                             - (calmo) Animo. Il diavolo non è poi cattivo come dicono.

Donata                          - Chi sarebbe il diavolo?

Fabio                             - L'inchiesta. Non so. Perché vuoi farmi precisare?

Donata                          - Il mio mondo?

Fabio                             - Anche.

Donata                          - La legge?

Fabio                             - Ma sì!

Donata                          - E ti burli di me? Mi prendi in giro, mi disprezzi, mi insulti?

Fabio                             - Ma no, ti prego. Non volevo affatto. Scusami.

Donata                          - (con ira) Menti. Ti conosco, ti diverti alle mie spalle. Quand'eri bambino, provocavi la collera di tuo nonno per farne la caricatura.

Fabio                             - E tu ridevi.

Donata                          - Non è vero. Inventi.

Fabio                             - Del resto, mamma... Quand'ero bambino... Perché vai così lontano? Con il problema che ci sta addosso? O vuoi sfuggire a una discussione? Tu? Con la tua intelligenza, con la tua energia?

Donata                          - Hai ragione. Non fuggiamo. (Con forza) Stai qui, intelligenza. Stai qui energia. Stai calmo, cuore. Animo. Riparliamo di questa cosa sporca e volgare che si chiama assassinio. Riparliamone con mio figlio. Ecco, sono pronta.

Fabio                             - Naturalmente... se ti senti bene. Se credi di poterlo fare...

Donata                          - Lascia le frasi... (Un tempo) Che inten­zioni hai?

Fabio                             - Io? A te lo domando.

Donata                          - Perché a me?

Fabio                             - Non dovrai, fra poco, forse fra qualche minuto, rispondere a uno della polizia?

Donata                          - (chiudendosi il viso con le mani) Anche questo. Anche la polizia. Tutto all'improvviso. (Un tempo) Ebbene?

Fabio                             - Ebbene. Mi sembra necessario concertare le risposte.

Donata                          - A che proposito?

Fabio                             - A proposito del fucile ripescato, ad esempio.

Donata                          - Perché?... Tu credi che il fucile...

Fabio                             - Ma sì, è certo un argomento pericoloso. Dobbiamo metterci d'accordo.

Donata                          - In che senso?

Fabio                             - Insomma! Perché vuoi farmi parlare chiaro?

Donata                          - Nel senso di tenerti mano?

Fabio                             - Tener mano! Che espressione...

Donata                          - (alta) Io? Tua madre? Tenerti mano in un delitto? Io che ti ho insegnato il lecito e l'il­lecito? Io che ti ho dato l'esempio dell'onore, del sacrificio... sì... anche del sacrificio personale... Ero giovane, quando morì tuo padre...

Fabio                             - (irritato) E avresti potuto sposarti di nuovo.

Donata                          - Appunto.

Fabio                             - (c.s.) E ti sei sacrificata per me.

Donata                          - Precisamente.

Fabio                             - (vibrato) E non ti vergogni?

Donata                          - Di che cosa?

Fabio                             - Di questi richiami? Di queste allusioni? Non capisci che mi butti in faccia la tua vita segreta? Ti sei sacrificata per me? Giovane? Vale a dire hai soffocato certi impulsi? Per me? Diciamo pure certi diritti di donna? Per me? L'amore? Non lo hai più avuto? Sempre per me? E adesso mostri la tua nobiltà, la tua fierezza? Finiamola. Sono ostenta­zioni. E in fondo c'è il rancore per il sacrificio. Ti penti. L'istinto represso ti domina. E ti rifiuti di collaborare alla mia salvezza per vendicarti. Ecco tutto.

Donata                          - (con orgoglio e furore) O lingua male­detta. Non è vero. Lo giuro. Mai pensato cose simili. E' una fantasia da serpente. Hai l'intelligenza del serpente. Mordi nel buio, a tradimento. (Disperata) Come posso rispondere? Non ho le parole. Non so. Ho le idee. Capisco, s'intende, ma non so esprimermi. Ho le lagrime. Ma non le vedrai più. Sei un fur­fante. Me ne accorgo ora. No... Scusa. Non so che cosa dico. Perdonami. (Un tempo. Con angoscia) Io non rifiuto di collaborare alla tua salvezza. (Smar­rita) Fabio... Io lo vorrei con tutto il cuore. Ma non voglio neppure collaborare al tuo delitto. Capisci?... io? Collaborare a un delitto... Io? La Valle.

Fabio                             - (irritato) Ed eccoci alla Valle. Lo sentivo. Tradirà anche lei.

Donata                          - La Valle non tradisce.

Fabio                             - Allora tu. Sarai tu a tradirla.

Donata                          - Sei matto?

Fabio                             - (nervoso) E allora la tradirò io. Anzi, l'ho già tradita.

Donata                          - E lo dici così?

Fabio                             - Precisamente. La tradirò ancora. Più den­tro, con voluttà.

Donata                          - (spaventata, lo afferra per il bavero, lo scuote) Ma Fabio, perché? Dimmi almeno per­ché. Tenta di giustificarti. Illudimi, mentimi. Dimmi che è stata una disgrazia. Che sei pentito. Dimmi che la furia, non so, la follia, l'amore, ti hanno accecato. Inventa qualche cosa che non abbia questa faccia calma, questa voce di tutti i giorni. E' terri­bile. Dammi il modo di capirti, insomma, aiutami, se vuoi che ti aiuti.

Fabio                             - Al solito. Cose romantiche. Quando ti caverai dalla testa le romanticherie? Posseggo una auto, posseggo una moto, corro in città in meno di un'ora... e starei in un villaggio, a covare una conta­dina? Sciocchezze... Di' pure che sono un barbaro. Va bene? Anzi, sì. E' proprio esatto. Sono un bar­baro. Per vivere ho bisogno di un po' di barbarie. Sono nato così. E poi, mamma, me ne infischio. La barbarie vera è proprio questa. Infischiarsene.

Donata                          - E ne parli a me?

Fabio                             - Perché no? Con te sono al sicuro.

Donata                          - E chi te lo ha detto?

Fabio                             - Sei mia complice. Non hai negato su­bito di esserlo?

Donata                          - Ma che cosa dici? Deliri?

Fabio                             - Perché? Non sei mia madre? Dal punto di vista della natura, la mia carne è la continua­zione della tua. No? Carne unica. Se io compio un crimine lo compi anche tu. Sei responsabile anche tu. Automaticamente.

Donata                          - Ma non dire eresie.

Fabio                             - No? Se il mio braccio è colpevole, non lo è anche la mia gamba?

Donata                          - Ma che cosa c'entra?

Fabio                             - Ripeto. Carne unica. Madre e figlio. Pec­cato identico, responsabilità identica.

Donata                          - Ma è la mente che importa. Non la carne.

Fabio                             - Dimostralo. E poi la carne non influenza sempre la mente?

Donata                          - (con strazio) Oh Fabio... Proprio ora.

Fabio                             - (in fretta) Zitta, è qui. Sento una voce, dei passi. E' lui. Presto. Hai pensato a ciò che devi dire?

Donata                          - No. Come potevo?

Fabio                             - Tanto peggio, mamma. Nessuno ti ob­bliga. La tua coscienza è libera.

Donata                          - (triste) Sì, Fabio. La mia coscienza è libera. E appunto per ciò sceglie, ha già scelto. (Silenzio).

Fabio                             - E' qui. (Silenzio. Pausa lunga. Si ode un passo. Fabio ripete) Eccolo. (Un istante e poi entra Ciancia. Si ferma un attimo, avanza lentamente guardando incerto i due che lo fissano in silenzio).

Donata                          - (con sollievo) Ciancia.

Ciancia                          - (docile) Signora...

Fabio                             - Tu?

Ciancia                          - Sì... Che c'è?

Fabio                             -  Avevo creduto di sentire un'altra voce...

Ciancia                          - Quella del furbo?

Fabio                             - Ecco.

Ciancia                          - Parlava con me. Era là dietro. L'ho mandato alla fattoria. Gli ho detto che la signora era là.

Donata                          - E perché?

Ciancia                          - (riflette) Mah, è vero. Perché l'ho man­dato là? (Un tempo) Perché mi è antipatico. Per fargli perdere del tempo. Non lo so. (Un tempo) Strano, non lo so. (Un tempo) Ho fatto male?

Fabio                             - Benissimo, Ciancia.

Ciancia                          - Tanto meglio. Sono contento. E sono anche contento di vedere te. Di vedere la signora insieme con te. (Un tempo. Riflessivo) Ecco, ho trovato. Forse ho mandato via quello là, perché, senza capirlo, volevo prendere il suo posto. Insomma, vo­levo parlarvi prima di lui.

Donata                          - Di che cosa?

Ciancia                          - (cordiale, sottovoce) Ho accompagnato Carla a casa. L'ho trattata come si merita. Che dia­mine, si fa una scena simile? E contro Fabio? Quando si è isterici si va dal medico... Gliene ho dette. E lei a piangere, a graffiarmi. Guardate, mi ha morsicato le mani. Ho dovuto stringerla... abbrac­ciarla forte. (Un tempo).

Fabio                             - (indefinibile) Ha smesso?

Ciancia                          - Sì.

Fabio                             - E non ti è spiaciuto?

Ciancia                          - (incerto) Che cosa?

Fabio                             - Che smettesse?

Ciancia                          - Significa?

Fabio                             - Ma niente. Misuravo l'azione tua e la reazione di lei. Tu stringi, lei smette. O non smette? (Un tempo) Ragionamenti, caro Ciancia. Non ti piace ragionare?

Ciancia                          - Mi piace moltissimo. E poiché la stessa azione, immagino, e la stessa reazione avvengono da noi agli altri, ti informo che la scena di Carla, nei tuoi riguardi, ha fatto pessima impressione. Non è ragionamento questo? Ragionamento pubblico. Ti va a genio, caro Fabio?

Fabio                             - Non molto. Spiegati.

Ciancia                          - Carla sembrava a tutti una moglie onesta. Scoprire all'improvviso, e in quel modo, che desiderava la morte del marito...

Fabio                             - (indulgente) Desiderava... In fin dei conti non era che un desiderio.

Ciancia                          - Ti par poco?

Fabio                             - Poco o tanto... Se dovessimo farne un pro­cesso a tutte le mogli...

Ciancia                          - E tu?

Fabio                             - Che c'entro io?

Ciancia                          - Te l'ho detto. Non sei piaciuto nep­pure tu.

Fabio                             - Sei certo di non metterci del tuo?

Ciancia                          - Perché? Che cosa insinui?

Fabio                             - Niente. Ma ricordo che sei intervenuto quando la interrogavo. Sei intervenuto con passione.

Ciancia                          - Sfido.

Fabio                             - E ricordo che anni fa...

Ciancia                          - Ma sì. Puoi dirlo chiaro. Ero innamo­rato di Carla. E' questo? C'è qualche cosa di male?

Donata                          - (di scatto) Innamorato? Ciancia?

Ciancia                          - (imbarazzato) Signora... Scusi. Ragaz­zate.

Donata                          - (riflettendo) Innamorato di Carla? No, no, caro Ciancia. Non c'è niente da scusare. Non lo sapevo, ecco tutto. Per questo sono sorpresa. E da quando?

Fabio                             - Da sempre.

Ciancia                          - Questo lo dice lui.

Fabio                             - Non è vero?

Ciancia                          - Ma no.

Fabio                             - E' vero.

Donata                          - E Carla?

Ciancia                          - O Carla... Che domanda, signora. Non mi vede? Sono brutto, sono umile. Sogni... Ecco tutto... (Un tempo) Però Carla è sempre stata affet­tuosa con me. Garbata...

Donata                          - (nervosa, passeggiando) E' logico. Sei buono. Sei gentile. (A Fabio) Guarda un po' se viene quello là... (A Ciancia) Sei un bravo ragazzo. (Un tempo) E suo marito lo sapeva?

Ciancia                          - Naturalmente.

Fabio                             - Mamma, scusa.

Donata                          - Sì?

Fabio                             - Lascialo continuare. Mi interessa. Perché Carla ha fatto quella scena?

Ciancia                          - Perché ti odia. L'ha gridato graffian­domi. (Osserva il polso. Ride) Guarda qui. Non è poi detto che questo segno non sia per te. Dice che non la lasci mai in pace. Dice che sente in te... (Esita) Mi permetti, Fabio?

Fabio                             - Sì.

Ciancia                          - Un pazzo.

Donata                          - Smettiamola, Ciancia, stupida.

Ciancia                          - Riferisco, signora.

Donata                          - E gli altri? L'impressione degli altri?

Ciancia                          - Pessima. Ma questo è più difficile. Ci sono cose che sfuggono. Lei sa com'è la Valle. (Un tempo) All'improvviso diventa buia... e non si sa il perché. (Silenzio),

Fabio                             - E la tua? L'impressione tua, Ciancia?

Ciancia                          - La mia? (Esita, il volto atteggiato a me­raviglia) O guarda. Non ci ho ancora pensato. (Entra Speranza).

Speranza                       - E non pensarci, Ciancia. O non lo dire.

Donata                          - Ma vedi un po' che consigli...

Speranza                       - E' mio figlio.

Donata                          - E con ciò?

Speranza                       - Ne ho il diritto. (Pentita) Comunque scusa. Sono stanca. Come tutti, del resto. Siamo tutti pronti a vedere storto.

Ciancia                          - Che cosa c'è, madre?

Speranza                       - Hanno trovato un fucile.

Ciancia                          - Quello dell'assassino?

Speranza                       - Pare. (A Donata) Hai sentito anche tu?

Donata                          - No. Perché avrei dovuto sentire?

Ciancia                          - (lieto) Non sarà il mio, signora?

Donata                          - Il tuo?

Ciancia                          - Ma sì. Fabio, parla tu. E' possibile che si tratti del vostro, cioè del mio. Era diventato mio, non ricordi? Il « Malinker Schenause » austriaco. Tiravo alle marmotte e ti arrabbiavi. Dicevi che tirare alle marmotte con quel fucile offende il camoscio.

Fabio                             - Ma certo. Se si tratta di quello. Sono stato io a regalartelo. Però lo lasciavi quasi sempre a casa

nostra.

Speranza                       - (a Ciancia) Infatti. Non ho mai sa­puto che tu possedessi un fucile.

Donata                          - Pescato stamattina. A cento metri dall'or­to. Proprio là dove hanno ammazzato Piero Darbey.

Speranza                       - Cento metri. Le conosci le cose. (Ri­facendole il verso) Cento metri dall'orto. Dove han­no ammazzato Piero Darbey. E allora...

Donata                          - E allora?

Speranza                       - Se conosci tanti particolari perché dicevi di non sapere niente?

Donata                          - Ma non fare processi, anche tu. Si chiacchiera, si dice una cosa, se ne dice un'altra, arriva una notizia, commentiamo a caso. Non ha importanza. Come sei strana, oggi.

Ciancia                          - (ridendo) Spiego tutto io. Mia madre ha timore che il giudice, l'avvocato Fabio, mio fratello di latte, possa sospettare in me l'assassino di Piero Darbey. Non sono un vecchio innamorato di Carla?

Donata                          - Che stupidaggini, Ciancia. Diventi sempre più stravagante. (Un tempo) Però è simpa­tico tuo figlio. Spontaneo. Era molto tempo che non parlavo con lui. (Gentile) Perché non vieni più spesso a vedermi, Ciancia? Ti incontro con piacere, sappilo.

Ciancia                          - Grazie, signora.

Speranza                       - E grazie anche per me, Donata. Sei gentile.

Donata                          - E perché non dovrei esserlo? A parte qualche scatto di nervi... Che tu mi perdoni sem­pre... No? (Le passa un braccio sulle spalle) Da quanto tempo ci conosciamo, Speranza. Da bambine?

Speranza                       - No.

Donata                          - Dal giorno della cresima?

Speranza                       - No.

Donata                          - Dal giorno delle mie nozze?

Speranza                       - Ecco.

Donata                          - (con sentimento) Proprio. Dal ballo sotto i castagni. Ricordo. L'unica notte allegra della mia vita. (Silenzio. Dolce) E poi vicine... sempre vicine... Qualche volta imbronciate, qualche volta nemiche, ma ancora vicine... E gli anni che pas­sano. E tante cose che cambiano. (Un tempo) Mi sento triste, cara Speranza, ecco la verità. Voglia­moci più bene. Vuoi?

Speranza                       - Ma certo, cara Donata, Ne sarei felice. Ti amo. Ti ho sempre amata. Per me è facile. (Cau­ta) S'intende che anche questa volta credo senz'altro alla tua sincerità.

Donata                          - (stringendola a sé) Ah, la mia Speranza. Sempre la stessa. Diffidente... Quando la smetterai di essere così diffidente?

Speranza                       - Oh cara. Non volevo... Scusami. Ma anch'io sono così triste. Ho l'impressione che debba succedermi qualche cosa. E' il cuore, che me lo dice.

Donata                          - Anche a me.

Speranza                       - Il cuore che pesa, no?

Donata                          - (come tra sé) Peggio. Il cuore che di­venta un campo di battaglia. (Silenzio. Un cerchio di luce manovrata di lontano taglia la scena).

Voce                             - (dal di fuori) Sfora? (Entra Cornetta).

Cornetta                        - Sfora.

Voce                             - (che non ha sentito) Sfora?

Cornetta                        - (grida) Sfora.

Ciancia                          - (allegro) Sfora, sfora, sfora. E io do una mano qui. (Prende un pentolino abbandonato ai piedi dell'albero, trae il pennello, dà la vernice al palco).

Donata                          - Ma come? Sono già di ritorno? Rico­minciano con la scena? (A Fabio) Scusa, Fabio. Dove ho lasciato il libro?

Fabio                             - (cerca) Non so.

Donata                          - Non me l'abbiano portato a casa?

Fabio                             - Vado a vedere, se credi. (Esce).

Speranza                       - (a Cornetta) Che cosa vuol dire sfora?

Cornetta                        - Vuol dire che la luce del riflettore cade oltre l'obiettivo. Qui, c'è un trono, c'è un sole, ci sonò le stelle. Se sfora, resta tutto al buio. Si spegne. (In tono normale benché le parole siano allusive) Guai se qualche luce comincia a spegnersi su un palcoscenico... Chi obbediva, non obbedisce più. Chi stava zitto fa confusione. E può accadere di peggio. (Silenzio lungo. Entra Brusco).

Donata                          - Che discorsi, Cornetta.

Cornetta                        - I discorsi che ci vogliono. Non c'è più considerazione... e gira il malcontento.

Donata                          - Che cos'è il malcontento?

Cornetta                        - E che cos'è la considerazione?

Donata                          - Non capisco.

Cornetta                        - Piero Darbey. Lo disseppelliscono. A noi non piacciono queste cose. La terra copre i morti e i morti affondano nella terra. E' sempre stato così. E invece l'autopsia. Non c'è rispetto.

Speranza                       - Autopsia?

Cornetta                        - Così pare. Hanno trovato un fucile. Ma il signor avvocato non sa? Domandino a lui. Voce di

Brusco                           - Vieni, Cornetta?

Cornetta                        - (uscendo) Vengo. (Grida) Sfora!

Voce                             - Sfora!

Ciancia                          - (pensieroso) Mi pare che sfori davvero.

Speranza                       - Mio Dio. Prima il fucile. Ora l'au­topsia. Donata... Ciancia... Ne parlavamo adesso. Che cosa succederà?

Ciancia                          - (a Speranza) Paura?

Speranza                       - (incerta) Ma sì, ho paura. Guarda che strano. Ho proprio paura. Di che cosa? Non lo so.

Ciancia                          - (ridendo l'abbraccia) Animo... Mia ma­dre ha paura! Signora Donata... Mia madre ha pau­ra. (Con caricatura) Polizia, mia madre ha paura. (Entra il poliziotto).

Donata                          - Polizia? Non l'aspettavamo più.

Ciancia                          - (sorpreso) No? (Lascia andare Speranza).

Poliziotto                      - Signora. Sono andato a cercarla alla fattoria.

Ciancia                          - Scusi, sa. La colpa è mia. Non l'ho fatto apposta.

Donata                          - Conosce tutti, vero? (Entra Fabio).

Fabio                             - (a Donata) Ecco il libro. (Porge) Buona­sera. Mi pare che il signore volesse parlare con te a quattr'occhi.

Poliziotto                      - No. Non è necessario. Non ho da rivolgerle che una domanda o due.

Fabio                             - Quand'è così... C'è un'autopsia?

Poliziotto                      - Vengo ora dalla vedova. Credo che abbia voluto assistere.

Ciancia                          - Straordinario. Sola? Quasi quasi vado a cercarla.

Poliziotto                      - Molto amico, lei, della vedova?

Ciancia                          - Intimi. Fin dalla scuola.

Speranza                       - (cuce un costume) Anche l'avvocato. Intimo. Fin dalla scuola, anzi lui...

Donata                          - (perfida) E' vero. Ma si figuri che qual­che anno fa, è un particolare che mi viene in mente per caso, il nostro Ciancia ha quasi massacrato due compagni. Per gelosia.

Speranza                       - Ma no. Che cosa dici? Ragazzi...

Donata                          - Ragazzi. Ma ragazzi gelosi. (Ipocrita) E ad ogni modo non c'entra. Dico per dire?

Fabio                             - Non c'entra, infatti. La gelosia è lontana da questo delitto.

Poliziotto                      - Lei crede?

Fabio                             - Certamente. Questo è un delitto di gio­vani. Carla è giovane. Pietro Darbey era giovane. Uomini anziani non ne frequentavano. Anche l'as­sassino è certo della loro età.

Poliziotto                      - E allora?

Fabio                             - E allora... Sono i cinquantenni che spa­rano per gelosia. I giovani lo fanno per calcolo. Per guadagno. Per vendetta. In qualche caso per divertimento.

Speranza                       - I pazzi.

Fabio                             - Sia pure. I pazzi. Ma poi non è vero. Basta meno. Basta accorgersi che molto spesso, nelle società moderne, l'innocente e il colpevole hanno la stessa faccia. Che la gente non li distingue. Che la legge stessa li confonde. Felici tutti e due. Anzi, il colpevole, molto spesso, più onorato dell'innocente. Allora... se un uomo riflessivo... un uomo che voglia commettere un delitto, un bel giorno si accorge di tutto ciò... che cosa credete che succeda? Niente, quasi niente. (Triste) Un fucile per camosci, silenziosamente, cambia bersaglio. Ecco tutto. (Silenzio).

Donata                          - (nervosa, al poliziotto) Si capisce che sono paradossi. Giuochi della mente.

Speranza                       - (cattiva) Macché paradossi. Dice quel che pensa.

Fabio                             - Ha ragione. Sono osservazioni: scritte da me, quando avevo l'incarico dell'inchiesta.

Ciancia                          - Sarà. Abbiamo visto degli innocenti in prigione, abbiamo visto dei criminali onorati, lo ammetto. Ma l'ingiustizia non trionfa mai. Ri­cordalo.

Fabio                             - Lo dici per paura?

Ciancia                          - Paura di chi?

Fabio                             - Caro Ciancia. Si fa per dire.

Ciancia                          - No, no. Conosco la solfa. L'uomo è disonesto per natura. L'uomo non ama la giustizia se non quando gliela impongono con la forza. Non è così?

Fabio                             - E' così. A meno che si accorga che l'onestà non è mai elogiata di per sé stessa ma per la buona reputazione che può procurare. (Ironico) La buona I reputazione, ricordalo, serve benissimo a compiere un crimine senza venire scoperto.

Ciancia                          - Capito. In questo caso egli diventa intel­ligente. Egli si accorge cioè che non è importante essere onesti, ma è importante sembrarlo.

Fabio                             - Magnifico. Parole d'oro. Continuiamo, caro Ciancia?

Ciancia                          - Continuiamo pure.

Fabio                             - Considera due uomini. Lino sembra onesto e non lo è; l'altro è onesto ma non lo sembra.

Donata                          - (nervosa) Basta, Fabio.

Speranza                       - (c.s.) Lascialo dire, Donata.

Donata                          - Che gusto ci provi?

Ciancia                          - (nervoso) Perché, signora? E' accademia. Niente altro che accademia. So tutto. Un uomo sembra onesto e non lo è? Egli gode di autorità e di rispetto. Un altro è onesto ma non lo sembra? Egli non gode né di autorità né di rispetto. Non solo. Ma se per caso viene accusato di un delitto, egli finisce in galera e non se la cava più. Chiaro? E' questo che volevi dire? In sostanza, anche per l'uomo onesto, l'importante è gridarlo sui tetti. Il silenzio tranquillo della propria coscienza non ba­sta più.

Fabio                             - Bravo. Mi hai interpretato alla perfezione.

Ciancia                          - (vibrato) E invece non è vero. E' pessi­mismo. Scusa, sai! Ad ogni modo è inesattezza. Guarda me. Io sono l'uomo onesto che se ne infi­schia e non si preoccupa affatto di sembrar tale...

Fabio                             - (sorride, disinvolto) Un momento. Io non sono affatto l'uomo disonesto che si preoccupa di figurare il contrario.

Ciancia                          - (sincero) Ma certo. Che cosa c'entra? La nostra è una discussione accademica. (Un tempo) Però... ho detto la verità. Se io fossi accusato di un delitto... guardate... sono così sicuro di me stesso... Sono così sicuro di essere quel che sembro... che, vi garantisco, non muoverei un dito. Avrei fiducia nella Giustizia.

Fabio                             - Chissà... Forse avresti torto.

Ciancia                          - Dirò di più. Se fosse un'accusa passio­nale... Se fosse l'accusa per un crimine d'amore, ad esempio, sarei addirittura felice. Sarebbe la gloria. Non è così, oggi, per chi uccide? E sarebbe forse una donna che finalmente mi guarda con occhio attento... Chissà... (Silenzio).

Fabio                             - Bravo. Così andresti in galera pieno di romanticismo.

Ciancia                          - Perché in galera? Io credo nella morale delle cose.

Fabio                             - Appunto.

Ciancia                          - Ma non è questo il problema. Guarda intorno. Lo vedi il signor ufficiale? Perché è venuto? Per informarci di un fiume e di un fucile. E il proprietario di quel fucile, forse, sono io. Ebbene? Non è una concomitanza curiosa? Ciò nondimeno, te lo assicuro, io non ho nessuna preoccupazione.

Fabio                             - Non me ne meraviglio. Proprietario di quel fucile sono anch'io. Era a casa mia.

Poliziotto                      - Scusino. Io sono qui per poche do­mande alla signora. Qualche minuto solo.

Donata                          - E perché no? Se piace a lei...

Poliziotto                      - Benissimo. Allora... Può ricordare, signora Michon, il giorno preciso in cui ha denun­ciato la scomparsa dell'arma?

Donata                          - No. Ora non ricordo.

Fabio                             - Quale arma? Il fucile?

Donata                          - Sì.

Fabio                             - Denunciato? Hai denunciato la scomparsa del fucile?

Donata                          - Sì.

Fabio                             - E a chi?

Donata                          - Al maresciallo.

Fabio                             - E io non ne so niente?

Donata                          - Lo sai adesso.

Fabio                             - E perché?

Donata                          - (nervosa) Perché mi conosci. Perché sono una donna con la testa. Perché tengo conto di tutto. Anche di uno spillo. Scompare un fucile da casa mia e non corro a denunciare il fatto? Ti sem­bra normale? Hai qualche cosa da obiettare?

Fabio                             - No, niente, mamma. Sta bene. Mi infor­mavo.

Speranza                       - E Ciancia? E' al corrente, Ciancia?

Donata                          - Anche Ciancia, adesso.

Speranza                       - Non era suo il fucile? (Ciancia osser­va e tace).

Donata                          - Certo. Era anche suo. Ho denunciato la scomparsa anche per lui.

Speranza                       - Ci sarà il registro, vero?

Poliziotto                      - E' passato tanto tempo, signora. Ci sono pagine strappate.

Fabio                             - Succede nei migliori processi.

Donata                          - Comunque non temere. Io ho una copia del verbale. Ho sempre tutto in ordine, io. E' appunto una copia controfirmata dal maresciallo.

Poliziotto                      - Benissimo. E' proprio questo che volevo. Può farmela avere?

Donata                          - Credo di sì. La cercherò. Ma le che questo documento sia così importante?

Poliziotto                      - Importantissimo, signora. Ricorda se la sua denuncia è lontana dalla scomparsa del fucile? O se l'ha fatta subito, appena se ne è accorta?

Donata                          - Subito, subito. Forse il giorno dopo. Forse la sera stessa.

Poliziotto                      - Forse?

Donata                          - Mi lasci riflettere. Rispondere così, all'improvviso...

Poliziotto                      - E ricorda se la sua denuncia è molto lontana dal giorno del delitto?

Donata                          - Lo vedremo, no? Si guarda il documento.

Speranza                       - Già. Si guarda il documento e si scopre che la scomparsa del fucile, la denuncia dì Donata, e il delitto sono collegati.

Donata                          - Che cosa vuoi dire?

Speranza                       - E' evidente. Chi ha preso quel fucile e l'ha buttato nel fiume è l'assassino.

Poliziotto                      - Sta bene. Sta bene. E' appunto ciò che cercheremo di chiarire.

Speranza                       - Per me è già chiarito. Non è vero, Donata? Non è vero Fabio?

Poliziotto                      - E a nome di chi, signora, lei ha fatto la sua denuncia?

Donata                          - A nome di mio figlio e di Ciancia. I proprietari dell'arma. Ora lo ricordo bene. Se mi date tempo di riflettere, tutti i particolari vengono fuori. Era firmata da me, la denuncia. Mio figlio non era in paese.

Speranza                       - Ah, non era in paese?

Donata                          - No.

Speranza                       - E come mai?

Donata                          - Va e viene, lo sanno tutti.

Speranza                       - E dalla tua copia, questa sua assenza risulta?

Donata                          - Certo. Se firmavo io, invece di Fabio, dovevo pur specificare che non c'era e perché.

Speranza                       - E per Ciancia hai firmato?

Donata                          - Sono forse sua madre?

Speranza                       - Sua madre sono io. Potevi avvertirmi.

Donata                          - Ma non era necessario. Un denunciante solo basta.

Speranza                       - E perciò... Non hai neppure avvertito lui. Lo sapevi, Ciancia, di questa denuncia? (Ciancia tralascia di dare la vernice. Guarda in silenzio).

Donata                          - Ma sì lo sapeva. Almeno credo. E poi... Ho bisogno del suo beneplacito? Io? Quel che faccio è ben fatto, sempre. Lo sai o non lo sai? E mi rin­graziano anche. Non è vero, Ciancia? (Si ode la sirena di un automobile).

Poliziotto                      - La mia macchina. (Guarda l'ora).

Ciancia                          - (al 'poliziotto) La vuole? La faccia en­trare in cortile. Sulla strada può ingombrare. Ven­ga... venga. Glie lo diciamo subito.

Poliziotto                      - (a Donata) Scusi.

Ciancia                          - (sì avvia con il poliziotto. Prima di uscire, si volta. A Donata) Certo, signora. Ha ragione. Quel che fa è ben fatto. Sempre. (Escono).

Donata                          - Hai sentito? Tuo figlio conferma. E allora? Che cosa sono queste storie?

Speranza                       - (nervosa) Nulla. Storie. Non dubito che ricorderà tutto ciò che vorrai. Il mio caro ragazzo. E' gentile, è buono, ha soggezione di te, ti crede. Ma io...

Donata                          - Tu?

Speranza                       - (testarda) Io no. Non sono gentile, non sono buona, non ho soggezione di te, e sono testarda.

Donata                          - Ancora?

Speranza                       - E non credo.

Donata                          - Ma che cosa?

Speranza                       - (forte) E' una trappola.

Donata                          - Ricominci? Di nuovo il cattivo carattere?

Speranza                       - Meglio l'amore, no? Volersi bene, ab-bracciarsi, piangere e preparare il colpo dietro la schiena?

Donata                          - Che colpo? Che ti prende? Mi interroga, rispondo. Sono dati di fatto.

Speranza                       - Sono accuse. Indirette, ma accuse,

Donata                          - Non è vero. Prima di tutto non è vero, Hai la fantasia eccitabile. E poi, se anche fosse. Che c'entro io? E' colpa mia?

Speranza                       - No. L'abbiamo capito tutti. Sarà colpa. sua. (indica nella direzione presa da Ciancia) Vuoi salvare lui. (Indica Fabio) Da che cosa? Dai sospetti? Volesse Iddio. Volessi solo evitargli il fastidio dei sospetti. Ti capirei. Ti aiuterei perfino. Ma invece,.. (Esita).

Donata                          - (altera) Invece?

Speranza                       - Bada che dico tutto.

Donata                          - Sei pazza?

Speranza                       - Ti spaventi?

Donata                          - Ma niente affatto.

Speranza                       - E allora? Che cosa capisci?

Donata                          - Ciò che pensi.

Speranza                       - Ciò che pensano molti. E che nessuno dice perché ha paura.

Donata                          - (violenta) Non è vero. Nessuno lo pensa.

Speranza                       - Che cosa?

Donata                          - (forte) Insomma. Basta con le allusioni. Non è nelle mie abitudini. Non è nel mio tempe­ramento. Pane al pane.

Speranza                       - (forte) E figlio al figlio.

Donata                          - Benissimo. E perciò sta' attenta. Del figlio di Donata Michon non si parla. E' pericoloso. O vuoi che ti mettano al bando? (A Fabio che h -, fatto un passo avanti) Fermo tu! Non fare il suo giuoco.

Speranza                       - Macché bando. Il figlio di Donata Michon non piace più. C'è odore di zolfo in gito. (Rientra Ciancia).

Donata                          - Odore di vendetta. Il tuo. Da quanti anni la covi? Da quando mi sono sposata?

Speranza                       - E ancora. Sempre lì ritorni. Allo spo­salizio. E' un'idea fissa.

Donata                          - La tua.

Speranza                       - Sempre al ballo sotto i castagni.

Donata                          - Precisamente. Al giorno in cui hai  tentato...

Speranza                       - (alta) Non è vero. Non ho tentato. Ballavo. E le mie gambe gli piacevano.

Donata                          - Bada come parli.

Speranza                       - E lo sapevi. Morivi di gelosia. Tuo marito ti sfuggiva. Lo consumavi di noia, come le donne della Valle non fanno.

Donata                          - Le donne da soldati.

Speranza                       - Le donne oneste. Come te. Me l'hai rubato. Con la tua boria, la tua ricchezza, la tua famiglia antipatica. Ma non ti amava, era mio in segreto.

Donata                          - Menti. Hai sempre mentito. Alla Valle intera. E adesso è inutile, nessuno ti crede. Sei vecchia, sei brutta, sei abbandonata. Sei una cagna senza padrone.

Speranza                       - (con violenta ironia) E tu sei una Regina, un angelo. Ridete. E' una Regina, è un angelo.

Ciancia                          - (vibrato) Basta. Finiamola, madre.

Speranza                       - Dillo a lei. La finisca lei. Perdo il figlio per colpa sua?

Fabio                             - (a Donata, vibrato) Non rispondere, madre.

Donata                          - Rispondo. Vuol vendicarsi. Neppure un coltello alla gola mi fa star zitta.

Speranza                       - Attenta. Non mettermi alla dispe­razione.

Donata                          - Perché? C'è dell'altro? Minacci ancora? Inventi ancora?

Speranza                       - La verità. Sempre la verità. Non dico altro che la verità.

Donata                          - Un ricatto?

Fabio                             - Madre! Ti ho detto di tacere.

Speranza                       - (a Fabio) Hai ragione. Falla tacere. Falla smentire. E che tutto sia chiaro. Che nessuno paghi per un altro. E tu Fabio... Attento... Non cercare equivoci. Non favorire tua madre. Altri­menti...

Donata                          - Altrimenti?

Speranza                       - Perdo la testa.

Donata                          - Prostituta.

Speranza                       - Hai visto che hai capito?

Fabio                             - Ma che cosa?

Speranza                       - (forte a Fabio) E' tuo fratello. (Indica Ciancia) E' figlio di tuo padre. E' figlio di suo marito. (Indica Donata) Lo amavo anch'io. E lei lo sapeva. Si vendica. Vuol rovinare me e Ciancia insieme. Mi accusa di vendetta. Guardatela. Non nega più, è pallida, trema. E' smascherata. (A Fabio) E adesso vediamo se hai ancora il coraggio di man­darlo in prigione, tu e tua madre d'accordo.

Fabio                             - (-piano) Mio fratello? (Silenzio lunghis­simo).

Ciancia                          - (calmo) E poi? Io non vedo che ci sia qualche cosa di cambiato. (Silenzio).

Fabio                             - (c.s.) Neppur io, caro Ciancia. (Silenzio).

Donata                          - (calma) Neppur io, cara Speranza. (Silenzio).

Ciancia                          - (c.s.) Intendiamoci. Chiarisco. Io non vedo che ci sia qualche cosa di cambiato per quanto riguarda il delitto. Abbiamo sempre un colpevole, abbiamo sempre un innocente. Ma per quanto riguarda il resto... Guardate me. Ero un bastardo, trovo un padre. Guardate lui. Era figlio unico, trova un fratello. Sembra un melodramma. Se non lo commentassi con un po' di ironia, sarebbe umoristico come tutti i melodrammi. E dannoso... Vi par lecito che io rinunci alla libertà di spirito e alla forza individuale di un bastardo per accettare un fatto tanto comune com'è quello di avere un padre? Che errore hai commesso, cara mamma. (Animato) Per­ché, infine, bisognerà vedere se sarò più felice accet­tando, faccio per dire, un padre come il tuo... pardon... come quello che mi è stato rivelato.

Fabio                             - (furente) Basta!

Ciancia                          - (vibrato) E sia. Basta. Non parliamo del padre, per ora. Ma della Signora bisognerà pur par­lare. Se il marito non l'amava, se il marito la tradiva, se il marito non si sentiva felice con lei... Se il marito, insomma, l'aveva rubato a un'altra...

Fabio                             - (c.s.) Storie. Lascia stare mia madre.

Ciancia                          - E tu lascia stare la mia. Hai permesso che fosse oltraggiata.

Fabio                             - Anche tu. Per paura della verità.

Ciancia                          - La chiami verità? Sia pure. Ma se vale per me, la verità non deve valere anche per te? E allora, giù dal piedestallo signora Donata... La Regina non ha più l'aureola. La Regina è come tante altre. Ha fatto soffrire. Ha rubato l'amore. Ha pro­vocato scandali. Ha mentito fra le mura domestiche. Mente anche ora, in pubblico. Mente certo alla polizia.

Fabio                             - Ah, è questo? E' qui che volevate arrivare? Il passato per smentire il presente? E' comodo. La invenzione di tua madre è comoda.

Donata                          - (forte) Insomma finitela. Smetti Fabio, smetti Ciancia. Sono io l'accusata. (A Speranza) E intanto guarda. Due ragazzi che si volevano bene, eccoli furiosi. Bel risultato. Si direbbe davvero, a vederli nemici, che siano diventati fratelli. (Gentile e ipocritamente triste) Quante sciocchezze. Povera Speranza! Mostrare a tutti il segreto dell'anima! Odio, vendetta... Che cosa debbo dirti, Speranza?... Ricordarti che mio marito, dopo il famoso ballo, è stato mesi e mesi ammalato? E sempre fra le mie braccia? Sempre sotto il mio controllo? Ricordati che mi ha lasciato vedova senza guarire? Che prima del matrimonio... No. E' impossibile... Ci sono le date... E, infine, perché parlo ancora di queste cose? Forse lo amavi, sì. Ma avveniva a tutte le ragazze del paese. Ti sei illusa, ecco tutto. Non è vero che io te l'abbia rubato. Era un'illusione tua. Rifletti. Ma dobbiamo proprio, dopo tanti anni, tirare a galla queste vecchie storie? Dinanzi ai nostri figli? Cian­cia, tu che sei sincero...

Ciancia                          - (piano) Signora?

Speranza                       - (piano) Strano. Lo accarezza. Eppure poco fa...

Donata                          - Sì, ma poco fa difendeva sua madre. E' logico. Ha trovato un argomento, se n'è servito. Ma io so benissimo che parlava senza odio, no? (Pone la mano sul braccio di Ciancia con gesto affet­tuoso. Ciancia tace).

Donata                          - Piuttosto... Dicevo... Tu che sei sincero, Ciancia. E' vero o non è vero che non l'hai creduta? Che sei stato il primo a reagire?

Ciancia                          - Sì.

Donata                          - Perché?

Ciancia                          - (indeciso) Perché... Non so... L'istinto, signora... Perché certe parole pronunciate da lei...

Donata                          - Oh in quanto a questo... Tua madre non scherza.

Ciancia                          - E' giusto, signora. Ma l'unico modo di annullarle, queste parole tristi, era proprio quello di rifiutare tutto. Di non credere a nulla...

Donata                          - Ma sì, Ciancia. Non ne parliamo più. (A Speranza che guarda Ciancia meravigliata) Però devi persuadere anche lei. Devi farle intendere che se per caso questa storia fosse stata esatta... (Rivol­gendosi direttamente a Speranza) Non era un'inven­zione intelligente, cara Speranza. E la mia sorpresa? La mia mortificazione? La mia gelosia postuma?... Non ci pensavi? Non pensavi che sono donna anch'io?.... Che mi scoprivo tradita, dopo aver vene­rato una memoria?... Non pensavi che abbandonavi tuo figlio, e te stessa, alla mia reazione?... Non sapevi che in questo paese... scusa se sono io a dirlo... in questo paese conto ancora qualche cosa... (Con in­tenzione, appena marcata) Posso stroncare... Posso proteggere... (Silenzio) Non lo sapevi? (Speranza tace) Lo sapevi ma l'avevi dimenticato, vero? (Rien­tra silenziosamente il poliziotto).

Speranza                       - (incerta) Non so...

Donata                          - L'avevi dimenticato per dare ascolto ad un odio senza senso. Non è così?

Speranza                       - (piano) Forse.

Donata                          - E' così. Ed hai gridato. Non importa che cosa, quel che ti veniva in mente.

Speranza                       - (mormorando) Non vedevo più. Non capivo più.

Donata                          - Appunto. Eri fuori di te. (A tutti) Avete sentito? (AI Poliziotto) Anche lei, vero? Non dimen­tichi. (A Speranza) E soprattutto togliti dalla testa che io preparassi trappole.

Ciancia                          - Signora...

Donata                          - Per nessuno, caro Ciancia.

Ciancia                          - Le credo. (Triste) Oramai... Del resto, non ricorda come scherzavo nei riguardi del mio eventuale delitto? Non ho paura, le assicuro che anche mia madre non ha più paura delle trappole... Vuole che glielo dimostri? Lei ha qui, per caso, una copia di quella sua c'enuncia?

Donata                          - Perché?

Ciancia                          - Ce l'ha?

Donata                          - (dopo un'esitazione) Sì.

Ciancia                          - Indosso?

Donata                          - (vaga) Oh bella...

Ciancia                          - Prego, Signora. L'ha indosso?

Donata                          - (decisa) Ebbene, sì. L'ho indosso, da quando ho saputo del fucile ripescato... (Estrae dal seno un foglio che tiene qualche istante in mano).

Ciancia                          - Vede? E perciò... (Un tempo) Lei vorrà] certo consegnarla al signor ufficiale. Lo vorrà adesso più che mai.

Donata                          - Perché adesso più che mai? (Si guar­dano fisso, silenzio. E' entrata Carla).

Ciancia                          - (piano, sorpreso) Carla. (Silenzio).

Donata                          - (piano) Carla? (Silenzio. Carla li guarda tutti immobile ad uno ad uno. E' seria, vestita dì nero, ha un mazzo di fiori in grembo).

Donata                          - (depone il foglio che tiene in mano sul tavolo. Al Poliziotto) Ecco. (A Carla) Arrivi in tempo. Dopo tutto c'entri anche tu in questa storia. Sei nell'aria.

Carla                             - (umile) Grazie, signora.

Donata                          - Aspetta a ringraziare. Non sai nemmeno di che cosa si tratti.

Carla                             - (c.s.) Non mi voglia male, signora.

Donata                          - Io? Figurati. (A Ciancia) Eccoti contentato, Ciancia. (Al Poliziotto) Può prendere, è pei lei. (Il Poliziotto si avvicina, prende il foglio dal tavolo).

Ciancia                          - Grazie.

Donata                          - (a Carla) E tu, come mai sei qui?

Carla                             - La prova, signora.

Donata                          - La prova dello spettacolo? Ma brava. (Un tempo) Peccato. Ti ho sostituita.

Carla                             - No! Sembrava che lo sapessi. Perché, signora? Non mi voglia male, la scongiuro.

Donata                          - Ancora? Non ti emozioni troppo?

Carla                             - Ero stanca, ero nervosa, mi avevano tor­mentata. (Guarda Fabio) Domando perdono, ora è diverso.

Donata                          - Perché è diverso?

Carla                             - Vengo di là.

Donata                          - L'autopsia?

Carla                             - Sì.

Donata                          - E che c'entra?

Carla                             - Non so che cosa c'entri, signora. Ma so che è passato. Mi sento un'altra.

Donata                          - Te l'han fatto rivedere?

Carla                             - Sì.

Donata                          - Non dev'essere allegro.

Carla                             - No, ma è strano, non fa effetto. Almeno, fa un altro effetto: è come vedere un sasso. E' tra­sformato.

Donata                          - Non ti ha commosso, insomma.

Carla                             - No. Mi ha fatto venire voglia di sapere,

Donata                          - Che cosa?

Carla                             - Chi lo ha trasformato.

Donata                          - Chi lo ha ucciso.

Carla                             - Appunto.

Donata                          - Ma non pregavi Iddio...

Carla                             - (precipitosa) Sì, sì. Pregavo Iddio che lo uccidessero, ed ora che lo hanno fatto, voglio sapere chi è stato. Proprio così. Chi è stato.

Donata                          - E perché?

Carla                             - Non lo so.

Fabio                             - (ironico)  Per ringraziare.

Carla                             - Forse.

Fabio                             - (ironico) O per curiosità morale?

Carla                             - Anche. Se è così che si dice.

Fabio                             - (sempre ironico) Credo. Curiosità morale: cioè conoscere il colpevole e punirlo. La curiosità e la morale, cioè il concetto di espiazione, dato che l'espiazione serva a qualche cosa. Immagino che vorrai punirlo, no?

Carla                             - (incerta) Io?

Donata                          - Un momento, Fabio. (A Carla) Che cosa dicevano all'autopsia?

Carla                             - Guardavano i colpi.

Fabio                             - Il colpo.

Carla                             - I colpi.

Fabio                             - (forte) Il colpo.

Carla                             - (forte a sua volta) I colpi.

Fabio                             - (urlando) Il colpo! Sciocca! Paese di scioc­chi! Parlate a vanvera. Non conoscete le parole. Non immaginate le conseguenze tra una parola e l'altra.

Carla                             - (c.s.) Ma scusi...

Fabio                             - (sempre forte) Non scuso. Non sono stato io ad aprire l'inchiesta? Non sono stato io a descri­vere il cadavere?

Carla                             - (fredda, ostile) Perché non ha ordinato l'autopsia subito?

Fabio                             - Oh bella. E' un rimprovero?

Carla                             - No. Una domanda.

Fabio                             - E lo sai che è una domanda indelicata?

Carla                             - E non sono specialità sua le domande indelicate?

Fabio                             - Io posso farle.

Carla                             - Infatti. Come la chiama lei? Psicologia scientifica. No? Roba difficile.

Fabio                             - Capisco. Ti vendichi. Allora diremo che è una domanda oziosa. Che obbligo avevo di ordi­nare un'autopsia? Il caso era chiaro. Non c'era niente da cercare.

Carla                             - L'assassino.

Fabio                             - E l'autopsia poteva indicarmelo?

Carla                             - Perché l'hanno fatta ora?

Fabio                             - Perché c'è l'arma. E' logico. Stabiliscono il rapporto fra l'arma e la ferita.

Carla                             - E di chi è l'arma?

Fabio                             - Lo sai.

Ciancia                          - Mia.

Carla                             - (guarda Ciancia. Fredda) Tanto peggio. Dovrai dimostrare dove eri quella mattina.

Ciancia                          - Scherzi, no? Ero a dormire?

Carla                             - Ne sei sicuro? Non eri a caccia, per caso, all'alba? Proprio con quel fucile? Caro Ciancia, bisogna sospettare di tutti. Di te, di lui... Nessuno sfugge.

Ciancia                          - Grazie. Non ricordo. Sono passati mesi. Comunque, se quella mattina ero a caccia con il Malinker, è chiaro che l'assassino non poteva rubarlo dalla rastrelliera.

Carla                             - L'assassino? L'ha rubato dalla rastrelliera?

Ciancia                          - (incerto) Sì.

Carla                             - Puoi dimostrarlo?

Ciancia                          - (interdetto) No.

Carla                             - Vedi? (Silenzio. Tutti lo guardano).

Ciancia                          - (incerto) Che ne so io? Son cose che ho sentito.

Carla                             - L'avvocato non te lo ha mai chiesto, vero, di dimostrarlo?

Fabio                             - No. Perché avrei dovuto chiederlo? L'arma non si trovava. Non potevo certo sospettare nessuno.

Carla                             - Già. Ha iniziato l'inchiesta al tramonto. Ricordo. Tutti l'aspettavamo, non veniva mai.

Fabio                             - Ecco, non ero in paese. (A tutti) Vedete? Ero fuori dal giorno precedente. Adesso ricordo. Fui avvertito del fatto in città. Benissimo. La contro­prova è venuta da sola. Grazie, Carla.

Carla                             - Macché grazie. Ci siamo visti alle «Fourches».

Fabio                             - (vivamente) Ma non dire sciocchezze.

Carla                             - Stia attento lei. Non dica inesattezze.

Fabio                             - Confondi il giorno.

Carla                             - E le pare possibile? Un giorno simile? Quando mi ammazzano il marito, Io confondo con un altro?

Donata                          - Carla.

Carla                             - Signora.

Donata                          - Ritorni ad emozionarti?

Carla                             - Ma neppure per sogno.

Donata                          - Fabio ha ragione. Non era in paese. Ecco la prova. E' già nelle mani della polizia, è già controllata. (Al Poliziotto) Faccia vedere, la prego. (Prende il documento dalle mani del Poliziotto).

Carla                             - Non occorre. (Dà un'occhiata) Che gior­no?... Impossibile. Alle sette del mattino l'ho visto io alle «Fourches».

Fabio                             - Era il giorno dopo.

Donata                          - Hai sentito? Il giorno dopo.

Carla                             - No. Quella mattina. Sono andata alla sua villa, alle «Fourches».

Donata                          - Non è vero.

Carla                             - Ma perché, signora? Che cos'ha contro di me? Non mi voglia male, la prego. Non mi smentisca.

Donata                          - Confondi un giorno con l'altro. Te l'ha detto ora.

Carla                             - Non è possibile. Ricordo. Mi ha trattata male. Commettevo un'indelicatezza, lui era il giu­dice, l'amicizia d'infanzia non c'entrava. Che nes­suno sapesse che gli avevo parlato, sarebbe venuto più tardi. E l'ho atteso tutto il giorno. L'attendevamo tutti.

Donata                          - Insisto. Le autorità hanno accertato. Non era in paese. La mia denuncia lo prova.

Carla                             - (vibrata) Ebbene, lo giuri.

Donata                          - Ma perché? Che cosa insinui?

Carla                             - Niente, signora. Niente contro di lui. Ma a volte un'inchiesta può favorire qualcuno... Senza farlo apposta... Non so... Forse perché il giudice non ci crede. Forse perché si tratta, chissà, di un suo conoscente.

Speranza                       - (vibrata) Attenta. Il giudice non ha favorito nessun conoscente.

Carla                             - E tu che cosa c'entri?

Donata                          - C'entra. Accusa e si smentisce, accusa e si smentisce. E' un'altalena.

Speranza                       - Sicuro, c'entro. E se mi fa comodo smentisco. E se non mi fa comodo, accuso. (A Carla) Ripeti. Hai visto l'avvocato alle «Fourches»?

Carla                             - Sì.

Speranza                       - Poche ore dopo?

Carla                             - Sì.

Speranza                       - E sei disposta a testimoniarlo?

Carla                             - Sì.

Donata                          - (fremente) E' falso.

Speranza                       - (forte, a Donata) Allora giura che Carla mente.

Donata                          - Può sbagliare.

Speranza                       - Allora giura che la tua denuncia è genuina.

Donata                          - C'è l'autorità. Non ho bisogno di giurare.

Speranza                       - Me ne infischio dell'autorità.

Carla                             - Giuri, signora.

Donata                          - Anche tu?

Carla                             - Giuri che io mento. O che sbaglio. Lei è l'esempio, lei è la legge, lei è tutto, per noi, la cre­deranno. Giuri per la sua e per la nostra coscienza. E se non è vero, sia trascinata nel fango. Giuri che la denuncia è autentica e che l'avvocato non era in paese. La crederemo. (Sono entrati, da varie bat­tute precedenti, Prudenza, Cornetta, Brusco, Nando, altri; ascoltatori immobili).

Donata                          - (un po' interdetta) E perché no? Se fosse l'interesse generale, lo farei certo.

Speranza                       - Lo è.

Carla                             - (forte) Cornetta?

Cornetta                        - (semplice) Giuri.

Carla                             - Brusco?

Brusco                           - Giuri.

Carla                             - Nando?

Nando                           - Giuri.

Carla                             - Prudenza?

Prudenza                       - Giuri.

Carla                             - Ciancia?

Ciancia                          - Giuri. Così le insinuazioni diventano accusa, e finalmente potrò difendermi.

Fabio                             - Non giurare, madre.

Carla                             - Una Croce!

Speranza                       - (prende una grossa croce) Eccola.

Donata                          - Disgraziata! E' una Croce per recitare.

Speranza                       - E' una Croce come le altre. Non ci sono scuse.

Donata                          - E sta bene. (Silenzio. Tutti la guardano. Donata di scatto anche senza prendere la Croce, a voce alta, solenne) Lo giuro. Io, Donata Michon, giuro sulla Croce che mio figlio la mattina del fatto non era in paese. Giuro che ho denunciato la scom­parsa di un fucile senza inganno. Lo giuro nel nome di Dio che protegge il mio onore e la mia coscienza. Chiedo a Dio che mi castighi se non dico la verità; chiedo alla Valle che mi trascini nel fango se com­metto sacrilegio. Così sia. (Fa il segno della croce, si inginocchia).

Tutti                              - Così sia. (Gli uomini, meno Fabio, si segnano, le donne sì segnano e si inginocchiano).

Speranza                       - (singhiozzando) Renderai conto. Ren­derai conto.

Carla                             - (come fra sé) Possibile? Che abbia dav­vero fatto confusione sul giorno? (Ad uno ad uno i paesani se ne vanno).

Ciancia                          - (prende la madre per il braccio) Andia­mo, mamma. Non piangere. Qualche cosa accadrà, (Si avviano).

Carla                             - (a Ciancia) Ciancia.

Ciancia                          - Vieni, Carla, vieni pure. Qualche cosa accadrà. (Silenzio lungo. Donata e Fabio si guar­dano immobili).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Scena come la precedente. Entrano Brusco, Cornetta, Nando: raccolgono gli attrezzi di lavoro, mettono un po' di ordine. Donati» è seduta in un angolo, la testa bassa. Dapprima i personaggi non la vedono.

Brusco                           - Pensateci bene. E' grave. Secondo me non si può. Come fanno a sostituirla? La festa è domani.

Cornetta                        - Vedi? Pensate già a sostituirla. Cre­dete già che sia colpevole.

Brusco                           - Io no. Che c'entra? Io non so niente, Mi auguro di no.

Nando                           - Lui non sa niente. L'altro si augura, Come fate presto ad abbandonare gli amici. Oggi su (indica il palco), domani giù. Sempre la stessa storia.

Donata                          - (ha levato il capo. Ascolta) Abbandonare chi?

Brusco                           - (sorpreso) O... (Tutti si volgono verso Donata) Scusi.

Nando                           - Il lavoro. E' finito.

Donata                          - Ti pare? Non sono io, di solito, che deve dire se è finito o meno? (Silenzio).

Donata                          - Dunque?

Cornetta                        - (piano) Sì. Di solito. (Silenzio).

Donata                          - Ah, - (Un tempo) C'è qualche cosa che non va? (Silenzio).

Brusco                           - (incerto) No.

Donata                          - (guardandoli ad uno ad uno) Sì... si direbbe proprio che c'è qualche cosa che non va...

Cornetta                        - Può darsi. Bisognerebbe sapere se domani ci sarà la festa...

Donata                          - E poi?

Nando                           - (d'un fiato) Bisognerebbe sapere se do­mani ci sarà la Regina.

Donata                          - (piano, poi progressivamente animata) Ecco. Avevo capito subito. La Regina. E' dunque possibile che domani non ci sia? E perché? (Un tempo) Strano. Quando hai bisogno di qualcuno, ti trovi sempre sola. (A Cornetta) Guarda lui... Gli ho salvato il figlio chiamando il professore dalla Svezia. (A Nando) E lui. Gli ho salvato la vigna e la casa dalle cambiali. (A Brusco) E lei... Non parliamone... Non vorrei essere fraintesa. Eppure non conta. Ma che cosa occorre per essere amati? Chissà... (Guarda intorno) Essere amati da questo paese che ti spia sempre... Che ti giudica sempre... (Silenzio lungo)

Donata                          - (lenta) Non c'è nessuno che risponda, vero? (Silenzio).

Cornetta                        - Sa... Chi comanda...

Donata                          - Ebbene?

Cornetta                        - Chi comanda è il suo destino. Viene controllato da tutti.

Donata                          - Ma io non comando. Non voglio coman­dare, io. Che idea. Comandare al mio prossimo. (Un tempo) Il vostro lavoro serve alla festa, al paese. Perché abbandonarlo? Non vi accorgete che danneg­giate tutti?

Brusco                           - (indeciso) Forse ritorniamo, signora.

Donata                          - Sta bene. (Un tempo) Andate pure...

Brusco                           - Speriamo di ritornare, signora. (Si avvia).

Donata                          - Grazie.

Cornetta                        - Scusi. (Si avvia).

Nando                           - Scusi. (Si avvia. Escono tutti e tre).

Donata                          - (attende che siano usciti, poi di scatto) Attento, Fabio. C'è pericolo.

Fabio                             - Oh bella. Non piangevi?

Donata                          - Io? Piangere? Dinanzi a quei tangheri?

Fabio                             - Che pericolo? Per me o per te?

Donata                          - Per tutti. Anche per me. Se è immi­nente è per me.

Fabio                             - Il giuramento?

Donata                          - E' possibile. Quei tangheri... i loro ami­ci... Controllano. (Guarda intorno perplessa) Chis­sà... Certo hanno sempre l'aria di sapere.

Fabio                             - Che vuol dire?

Donata                          - (piano) Niente.

Fabio                             - Andiamo... Non giuocare al mistero, adesso.

Donata                          - (irritata) Non ti accorgi che non sono più nessuno?

Fabio                             - E ti addolora?

Donata                          - Naturalmente. Mi addolora, mi umilia, mi spaventa. Sarebbe il crollo.

Fabio                             - Hai visto? Perché legarti? Non legatevi mai. Non legatevi mai. Tradizione, sentimento, mo­rale... Catene. Siate liberi.

Donata                          - (irritata) Ed hai scelto la legge? Bel mestiere. Dov'è la libertà, nella legge?

Fabio                             - (piano) Che importa? Bisogna pur cono­scere ciò che si detesta.

Donata                          - Parliamo della situazione. Che ne dici?

Fabio                             - Mah... hai esagerato.

Donata                          - Me l'aspettavo. Niente di buono. Io non faccio mai niente di buono, secondo te. Ho ten­tato di sfruttare la loro superstizione. L'atmosfera...

Fabio                             - Già. Ma poi riflettono. E' la montagna.

Donata                          - Credi?

Fabio                             - La gente di montagna è diversa da quella di città. Lo sai.

Donata                          - E allora? Che cosa faccio?

Fabio                             - Non so. E se anche lo sapessi non te lo direi.

Donata                          - Perché?

Fabio                             - Ma perché sono tuo figlio. Non voglio continuare in questa parte di corruttore. Non voglio consigliarti ad andare più avanti. Altre frodi, altre violenze.

Donata                          - (pensosa) Ah! Son necessarie altre frodi? Altre violenze?

Fabio                             - Ho detto altre?

Donata                          - Sì.

Fabio                                        - E... le prime? Quali sono?

Donata                          - - La denuncia, ad esempio.

Fabio                             - Falsa?

Donata                          - Macché falsa. Autentica. Un po' cor­retta, si capisce. Ho le mani lunghe io. Per il resto è stato il caso. Mi hanno aggredita, mi sono difesa. Il sospetto contro Ciancia è maturato da solo.

Fabio                             - Povero Ciancia. Quasi quasi mi rincresce.

Donata                          - E bravo. Di' ancora che ho esagerato.

Fabio                             - Io? Cara madre... E' così logico... Vedere che tutto si guasta, a poco a poco... Non dico per te. Ma per la vita. E' la verità della vita.

Donata                          - E allora? Perché hai pietà di Ciancia? Quando si infila una strada si va in fondo.

Fabio                             - Che vuoi dire?

Donata                          - L'hai suggerito tu. Altre frodi, altre violenze.

Fabio                             - Un'accusa vera e propria?

Donata                          - (incerta) Non dico questo. Occorre pen­sarci. Fino adesso, per Ciancia, sono allusioni, in­dizi... D'ora in poi...

Fabio                             - Avanti. D'ora in poi?

Donata                          - (decisa) Ebbene, dovranno essere cer­tezze. E' chiaro. Vuoi proprio vedere fin dove arrivo? Fino in fondo. Fino all'estrema logica. Non si può essere immorali a metà. O per la legge o contro la legge. O con Dio o contro Dio.

Fabio                             - O l'uno o l'altro insieme. No?

Donata                          - Fabio!

Fabio                             - Ma sì! Pensaci. L'ipocrisia. La morale e l'immoralità, la giustizia e l'ingiustizia: tutto mesco­lato. Non è più facile? E' la vita. E' l'umanità della vita. Perché assumere atteggiamenti di forza? Pen­siamo a noi. Pensa a te.

Donata                          - Non capisco.

Fabio                             - Vuol dire che va bene così. Non ti inner­vosire. Accusano Ciancia. Hai ragione. Troveremo le prove. Ma con prudenza, a poco a poco. Ora devi difendere la tua personalità di fronte alla Valle. Sei legata a me. Siamo stretti. (Un tempo) Sempre più stretti.

Donata                          - (triste) Già. Sempre più stretti.

Fabio                             - Che c'è?

Donata                          - Nulla.

Fabio                             - Non ti piace essere legata a tuo figlio?

Donata                          - (lenta) Che domanda. (Silenzio lungo, entrano Speranza e Ciancia).

Speranza                       - (a Ciancia) Eccola.

Fabio                             - (a Speranza) Eccola. Che cosa vuoi ancora?

Speranza                       - Scusa... Vorrei parlare a Donata.

Fabio                             - Parlare o gridare?

Speranza                       - Parlare... parlare... Per carità. Non gri­derò mai più, credilo.

Donata                          - (a Ciancia) E tu?

Ciancia                          - Anch'io. Vorrei parlare a Fabio.

Donata                          - E' lì. (Un tempo) Mi sembri giù di

morale.

Ciancia                          - E' vero, signora.

Fabio                             - C'entra Carla?

Ciancia                          - Indovini. Proprio Carla. Un disastro.

Donata                          - Capisco. Poco fa ti ha accusato... Ti ha fatto domande imbarazzanti.

Ciancia                          - E' vero. Io ci rimango male. Non so rispondere subito. Mi imbroglio. Che scoperta. Non avrei mai creduto di essere così debole.

Fabio                             - Davvero? E la spavalderia? (Rifacendogli il verso) Io credo nella Giustizia. Io credo nella morale delle cose. Se qualcuno mi accusasse di un delitto, ne sarei persino contento.

Ciancia                          - Appunto. La pensavo così. La penso ancora così... Ma poi... All'atto pratico...

Fabio                             - Il delitto pesa

Ciancia                          - Ma che cosa dici? Non ho commesso delitti, io

Fabio                             - Lo so, lo so. Tanto più che il delitto non: pesa affatto. Non è che una frase. Non parleresti così. Voglio dire che il delitto occupa... Concentra. Il delitto rende forte. Aumenta la facoltà difensiva... Vedi le situazioni. Intuisci la gente... (Silenzio).

Ciancia                          - E allora?

Fabio                             - Allora?

Ciancia                          - Sì. Che cosa devo fare? Sono qui per questo. Per chiederti consiglio. Anche lei. (India Speranza).

Fabio                             - Fa' ciò che faccio io.

Ciancia                          - Ma tu hai un alibi.

Fabio                             - E Carla lo smentisce.

Ciancia                          - No, non più. Fvbio            - Oh guarda. Ne sei sicuro?

Ciancia                          - Sicurissimo.

Fabio                             - E' stato il giuramento di mia madre a convincerla?

Ciancia                          - Sì.

Fabio                             - Ed ha convinto anche te?

Ciancia                          - -Sì.

Fabio                             - Anche Speranza?

Ciancia                          - Sì.

Fabio                             - (a Speranza) E sarebbe per questo che hai rinunciato a gridare?

Speranza                       - Sì.

Fabio                             - Bene. Bravi. (A Donata) Hai sentito? E' più che giusto. Un giuramento di mia madre non si discute. (Con leggerissima ironia) Gli intenditori l'hanno sempre detto.

Ciancia                          - Allora?

Fabio                             - Allora... La Giustizia. Non dicevi che la tua coscienza è tranquilla? Aspetta la Giustizia.

Ciancia                          - Va bene.

Fabio                             - E poi... Scusa Ciancia... Io lo so che sei innocente. D'accordo... Ma, in fondo, chi me lo-prova?

Ciancia                          - Questa, poi...

Fabio                             - Ti stupisci? Che v'è di strano? Non hai mai dubitato tu, di me.

Ciancia -                        - Io?

Fabio                             - Sii sincero...

Ciancia                          - Dubitato... Ti confesso che qualche volta...

Fabio                             - Vedi? Ed io come te. Qualche volta. Ed ora sto pensando...

Ciancia                          - Ma se siamo sempre insieme.

Fabio                             - No. Sempre no. Non potrei certo giùrarlo... (Con leggerissima ironia) Come fa mia ma­dre, ad esempio. Siamo « spesso » insieme, non « sem­pre». E' diverso.

Ciancia                          - Ma io sono un uomo buono, lo sai.

Fabio                             - Che c'entra? Le passioni cambiano la bontà in cattiveria.

Ciancia                          - Sono un uomo calmo. Che ama lo stu­dio... In fondo, modestamente, sono un uomo di studio.

Fabio                             - Che c'entra. Anch'io sono un uomo di stu­dio. (Cupo) E sono sempre preso dai desideri più bassi.

Ciancia                          - Sono un credente.

Fabio                             - E con ciò? Anche un bandito può essere un credente. Non solo. Dio è anche nel bandito. E' detto, è esplicito.

Ciancia                          - Insomma... Come si fa a dimostrare la propria innocenza? E in casi come questi. Dicerie... Allusioni... Dubbi... Come si reagisce?

Fabio                             - Non pensarci. Non c'è altro da fare.

Ciancia                          - E poi, scusa. Fatto il colpo, avrei but­tato il fucile nel Buthier, proprio là. Sul luogo del delitto. In un metro d'acqua. Ma si scherza?

Fabio                             - E dove allora?

Ciancia                          - Ma se è pieno di vecchi nascondigli. C'è ancora un deposito partigiano.

Fabio                             - Di che cosa?

Ciancia                          - Di «novantuno». Li hanno dimen­ticati.

Fabio                             - Insomma, Ciancia. Vuoi qualche cosa di preciso?

Ciancia                          - Sì. Non potresti testimoniare che quel giorno sono sempre stato con te? Ho paura. Sono innocente ed ho paura.

Fabio                             - (di scatto, sincero) Oh, Ciancia! Che ra­gazzo. (Lo abbraccia. Restando abbracciato) Ti met­teranno dentro. Ti metteranno dentro. Vedrai... (Sempre abbracciato) Madre, bisogna salvare Cian­cia. Madre, aiutami a salvare Ciancia. Gli voglio bene.

Donata                                     - Fabio.

Fabio                             - (a Donata) Davvero. Lo dico con since­rità... Lo voglio salvare.

Speranza                       - Salvare... Salvare. Saremmo già a que­sto punto? (Si sente una sirena d'automobile).

Fabio                             - Questa è la macchina del poliziotto.

Ciancia                          - Santo Cielo. Viene o va? (Il suono sì sente ancora).

Fabio                             - Chiama.

Ciancia                          - Chiama. Andiamo a vedere. Vieni an­che tu, Fabio. (Escono. Restano Donata e Speranza. Questa scena deve essere recitata tutta in modo calmo e discorsivo).

Donata                          - Simpatico, no?

Speranza                       - Ciancia?

Donata                          - Anche.

Speranza                       - Non dico di no.

Donata                          - Però... questa storia dei fratelli.. Qual­che cosa ne rimane...

Speranza                       - Ho fatto male, hai ragione. Scusami ancora.

Donata                          - (triste) Sono cose che non si dicono mai, cara Speranza... Specialmente quando sono vere.

Speranza                       - E' giusto. (Un tempo) Da quando lo sapevi?

Donata                          - Da sempre.

Speranza                       - Quasi quasi ne dubitavo.

Donata                          - Ragione di più per controllarti. (Si­lenzio).

Speranza                       - (piano) Lo avete già condannato?

Donata                          - Ma che cosa vuoi, ancora?

Speranza                       - Chiederti la sua grazia.

Donata                          - (calma) Sei ancora fuori di te?

Speranza                       - No. Sono in me. Forse ci possiamo ancora comprendere. Forse, in nome dell'uomo che abbiamo avuto, ci possiamo ancora riunire.

Donata                          - Mi pare che quell'uomo ci dividesse. (Silenzio).

Speranza                       - Rispondi. Lo avete già condannato?

Donata                          - Che cosa vuoi dire?

Speranza                       - Se tu e Fabio avete già trovato il modo per farlo condannare.

Donata                          - Che cosa faresti al mio posto?

Speranza                       - Non lo so. Forse cercherei un'altra strada. Condanna per condanna...

Donata                          - Avanti.

Speranza                       - Posso dire?

Donata                          - Te ne prego.

Speranza                       - Ne troverei un altro. Farei condannare un terzo.

Donata                          - Ah! Non è la morale che ti fermerebbe?

Speranza                       - No.

Donata                          - E non è la Giustizia?

Speranza                       - No.

Donata                          - Grazie. Ma non capisci che giustifichi ciò che ho fatto io?

Speranza                       - Sì, Io giustifico. Se non penso al caso mio lo giustifico. Sono una madre.

Donata                          - (lenta) E non è triste essere una madre simile? Dover amare un figlio simile? (Cupa) Nel delitto, nella vergogna...

Speranza                       - Sì, è triste. Ma che cosa vuoi fare? Lo amiamo lo stesso. Pronte a tutto... Non c'è nulla da discutere? (Silenzio).

Donata                          - Povera Speranza. Hai detto bene. Non c'è proprio nulla da discutere.

Speranza                       - Significa?

Donata                          - Niente. Che non ti faccio la grazia. Mi rincresce, ma non ti faccio la grazia.

Speranza                       - (sempre discorsiva) E perché? Non hai capito? Si tratta di far condannare un altro. Un inno­cente. Si può tentare. Avviene spesso. Vuoi che ti supplichi? Vuoi che ti dica ciò che soffro?

Donata                          - Oh no. Non ho proprio bisogno di te per sapere ciò che si soffre.

Speranza                       - (senza enfasi, discorsiva) E allora? Pensi a Fabio? Vuoi che mi butti ai suoi piedi? Ai tuoi? (S'inginocchia) Lo faccio. Non ho vergogna di niente.

Donata                          - No. Inutile. Dove lo trovi un altro da incolpare?

Speranza                       - Ho detto che si prova. Sei potente, ti credono. Si comincia con una frase. Si fa ripetere in giro. Si butta il sospetto. Qualche invidioso, qual­che cattivo c'è sempre. Si inventa. Un colpevole nuovo fa piacere a tutti. E' accettato. C'è la discus­sione. Quando si discute siamo già a posto.

Donata                          - Sì, non dico. Ma bisogna trovare la per­sona adatta. Non faccio sogni... E poi... C'è il peri­colo di colpire un'altra madre. Basta.

Speranza                       - (piano) Già. Dal momento che ci sono io, perché colpirne un'altra, vero? (Si alza).

Donata                          - Non dico questo. Non volevo dir questo. Comunque, scusami.

Speranza                       - Figurati.

Donata                          - E infine... Abbi pazienza. Non hai il diritto di chiedermi nulla. Una vera madre non lo sei.

Speranza                       - Perché?

Donata                          - Sei una madre irregolare. Mi perdoni, vero? Posso parlare con chiarezza?

Speranza                       - Ma certo.

Donata                          - Non eri la prostituta di mio marito? O madre o prostituta. Bisogna decidersi.

Speranza                       - (piano) In quanto a questo... Tu non eri che la sua prostituta mancata.

Donata                          - Sia pure. Ma appunto perciò ero una madre. O si pensa all'uomo, e si è prostitute. O si pensa al figlio e si è madri. Non ti pare?

Speranza                       - (umile) Capisco. Riprendi il tuo van­taggio. Allora non sarei degna? Non posso recla­mare la salvezza di mio figlio?

Donata                          - No.

Speranza                       - E la Giustizia?

Donata                          - La Giustizia. Tu sei debole ed io sono forte. Che cosa vieni a parlarmi di Giustizia...

Speranza                       - Dunque è sempre la stessa storia?

Donata                          - Sempre quella.

Speranza                       - Ho capito. Il mio tentativo è mancato.

Donata                          - (cortese) Mi rincresce.

Speranza                       - E Ciancia? Questo almeno potrai dir­melo. E' proprio condannato fino in fondo? O c'è qualche speranza?

Donata                          - Sperare si può sempre. C'è l'imprevisto.

Speranza                       - Con te? L'imprevisto?

Donata                          - Perché no? Non esageriamo.

Speranza                       - Pazienza. Non c'è altro da dire. Però attenta, sai...

Donata                          - A che cosa?

Speranza                       - (sorridendo) Anche le prostitute sono potenti.

Donata                          - Lo so. Con tanti moralisti in giro... (Entra Carla da destra, entra Fabio contemporanea­mente da sinistra).

Donata                          - Oh, Carla. Scommettiamo che viene di nuovo per la prova?

Carla                             - Signora... (A Speranza) Speranza...

Speranza                       - (a Donata) Che prova? Non è sospesa la recita di domani?

Donata                          - (stupita) Sospesa? E chi te l'ha detto?

Speranza                       - Corre voce...

Donata                          - (fissandola) Guarda... guarda... Corre voce...

Fabio                             - Comunque, Carla non si rassegna. (A Do­nata) Scommetto anch'io che reclama la sua parte.

Donata                          - (guardando verso il cortile) Chi c'è laggiù?

Fabio                             - L'ufficiale di polizia. Con Ciancia.

Speranza                       - E che cosa vuole da Ciancia?

Fabio                             - Non so. Va' a vedere (Speranza esce).

Carla                             - Non partirà, quell'ufficiale, vero?

Donata                          - E perché?

Carla                             - Per nulla. Dico così.

Fabio                             - (a Donata) Lei dice sempre così... Lei parla sempre così... Parla molto, naturalmente... Lo fa per ottimismo. (A Carla) E vestiti meglio. Non fai che scimmiottare le donne di città.

Donata                          - Eh... tu! (Un tempo. Furiosa, a bassa voce) Non ti posso più vedere, Carla... (Esce rapi­damente verso Speranza e gli altri).

Carla                             - (invocando) Signora... (A Fabio) Insom­ma... Spieghiamoci.

Fabio                             - Al fatto. L'ho ammazzato io?

Carla                             - Quella mattina ci siamo visti. Lo sai.

Fabio                             - Allora l'ho ammazzato io?

Carla                             - Allora tua madre giura il falso?

Fabio                             - Sarà in buona fede. Può sbagliare il giorno.

Carla                             - Quindi sei tu che menti.

Fabio                             - E se fosse? Ti fa tanto paura una menzogna mia?

Carla                             - Sono menzogne che riguardano me.

Fabio                             - Non trovo. Tu sei viva.

Carla                             - Non capisco. Perché mai l'avresti ucciso?

Fabio                             - (ironico, ridendo) Per gelosia? Dimmi subito che è per gelosia.

Carla                             - Sarebbe tanto strano?

Fabio                             - Sei la mia amante. Che bisogno avevo di uccidere? Tuo marito non dubitava di nulla.

Carla                             - Dopo tutto ero anche sua. Non ti dava fastidio?

Fabio                             - Per me andava benissimo.

Carla                             - (sprezzante) Il cinismo, si capisce.

Fabio                             - (bonario) Ma no. L'amore.

Carla                             - Bell'amore. In tre.

Fabio                             - Che importa? L'amore è questo. Il resto non esiste. E' inganno. E' schiavitù. Un ventre. Basta un ventre, ecco l'amore.

Carla                             - (con ira) Grazie tante. Sempre offese. E violenza, e disprezzo e distacco. E arie da grand'uomo. Non ne posso più. E' una tortura.

Fabio                             - Non esagerare. Posso ammettere di non avere sentimento. Posso ammettere di avere qual­che dissonanza. In quanto alla tortura...

Carla                             - Ti odio.

Fabio                             - E non è vero neppure questo. Esisti in quanto mi ami. Sei bella in quanto mi odii. Odi me, odi non so chi. In quanti siamo, ora, ad essere odiati?

Carla                             - Ancora? Basta, non ti voglio più vedere, mi libero, ti accuso, testimonio contro di te, ti denuncio, ti mando all'inferno come meriti e come ti piace. La smetterai di insultarmi.

Fabio                             - (calmo) Ho capito. E' per questo che cercavi l'assassino? Speravi proprio che si trattasse di me?

Carla                                         - Sì.

Fabio                             - E facevi scenate? E parlavi a vanvera? E alludevi e poi smentivi?

Carla                             - Sì.

Fabio                             - Ma così, tutto all'improvviso? Non eri contenta che tuo marito fosse morto?

Carla                             - Ero.

Fabio                             - E adesso?

Carla                             - Molto meno.

Fabio                             - Non ti metterai ad amarlo, voglio spe­rare?

Carla                             - Vedi? Si ricomincia. Domande, sospetti, accuse, fantasie, non posso più respirare, vuoi sa­pere tutto. Lasciami in pace. Voglio cambiare pen­siero, voglio contraddirmi, voglio dire stupidaggini fin che mi pare e senza il tuo controllo. Intesi? Ecco Ciancia. Meno male. Vieni, Ciancia. (E' en­trato Ciancia).

Fabio                             - Bada che deve chiederti delle spiega­zioni.

Carla                             - Le chieda. Glie le darò. (A Ciancia) Mi fai piacere, Ciancia. Che cosa vuoi?

Ciancia                          - (a Fabio) Le hai parlato?

Fabio                             - Sì. Ma senza successo. Rivendica il di­ritto di dire delle stupidaggini.

Ciancia                          - (ride) Nessuno te lo contesta. Figurati. Cara Carla. (Le accarezza i capelli) Ma non così. Non su queste cose. E all'improvviso... Dinanzi alla gente... Lo sai che ci rimango male. Non lo fare più, ti prego.

Carla                             - (lo prende sottobraccio) Hai ragione, Ciancia. Ma oramai... Si sospetta di tutti. Uno più uno meno, chi ci bada?

Ciancia                          - Ma ci bado io. Ci bada chi non sa difendersi. Chi non è aggressivo. L'avresti immagi­nato? No? Eppure... Se mi chiedono all'improvviso dov'ero il giorno tale... mi spavento.

Fabio                             - (sorridendo) Come un colpevole.

Carla                             - No. Come tutti. Succede a tutti. Non t'impressionare. E non dargli ascolto. (Lo attira).

Fabio                             - Ma Ciancia è innamorato di te.

Carla                             - E perciò dovrebbe uccidere? (Lo abbrac­cia) Povero Ciancia. Dammi un bacio. Caro Cian­cia. Non ti darò altre noie, vedrai. Sono pentita.

Fabio                             - Meno male. Come assassino sarebbe for­tunato. Avrebbe la vedova dalla sua. (A Carla) Se non baci qualcuno, non ti senti viva, no? Se non ti stringi, se non fai la civetta...

Ciancia                          - Smetti, ti prego. Vorrei sapere della autopsia. (A Carla) Parliamone un po' meglio. E' importante.

Carla                             - C'è qui l'ufficiale. Lui sa tutto. (E' en­trato il Poliziotto con Speranza).

Poliziotto                      - (a Carla) Signora.

Carla                             - Signore...

Poliziotto                      - Sta meglio, signora? Più calma?

Carla                             - Grazie.

Poliziotto                      - Non dovrei dirlo... La signora non vuole... Ma oggi, laggiù... E' svenuta.

Fabio                             - Ciò dimostra che è una buona moglie. O che lui era un ottimo marito?

Poliziotto                      - Non so, avvocato. Ne parlavo ora con Speranza. Con la signora... Dov'è? (Entra Donata).

Donata                          - Eccomi. E' una buona moglie. Ha ra­gione Fabio.

Carla                             - Perché ne parlava?

Poliziotto                      - Sa... io raccolgo elementi. Impres­sioni... Dicevamo del suo scontro di oggi con la signora. Della sua eccitazione.

Ciancia                          - A proposito, tenente. Quest'autopsia... Ne abbiamo già parlato, sì... Ma le circostanze nuove...

Poliziotto                      - Mi rincresce. Non ne so più di lei. Conosco soltanto i fatti obiettivi. Le fotografie. (Indica la borsa che tiene sotto braccio).

Ciancia                          - Le ha qui?

Poliziotto                      - Sì. Per i nostri archivi.

Ciancia                          - Si possono vedere?

Carla                             - Non ora, bravo.

Ciancia                          - Scusa.

Poliziotto                      - La signora ha ragione. E poi è inutile. Servono ai tecnici. Sono le ferite ingrandite.

Fabio                             - La ferita. Vuol dire la ferita.

Poliziotto                      - No. Le ferite.

Fabio                             - Scusi. Una sola. Colpo in fronte.

Poliziotto                      - E' vero, ricordo. Lei ha già fatto questa obiezione, oggi, con la signora. Ma sbaglia. Non si tratta di un colpo solo.

Fabio                             - Ma no.

Poliziotto                      - Due colpi.

Fabio                             - Impossibile.

Poliziotto                      - Ho il resoconto dei periti.

Fabio                             - (si passa la mano sulla fronte) Mio Dio. Riordiniamo le idee... Scusi. Un momento...

Poliziotto                      - Che cos'ha, avvocato?

Fabio                             - Nulla... Cioè, sì, sono stupito. O sono cose che ho dimenticato. Non so... Mi aiuti a ricordare.

Poliziotto                      - (apre la borsa, trae un foglio) Questa è la perizia.

Fabio                             - Prego, lasci. (Riflette) Colpo in fronte.

Poliziotto                      - (legge) No. Non c'è.

Fabio                             - (in fretta) Arma da fuoco, ecc., ecc. Morte istantanea. Rivedo le parole dell'atto di de­cesso. Le vedo. Guardi.

Carla                             - Mio Dio.

Fabio                             - (nervoso, a Carla) Atto di decesso. Che sia morto non lo sappiamo ora. Che cosa c'è da sospirare1? (Al poliziotto) Morte istantanea, dice­vamo.

Poliziotto                      - Sì. Questo sì... (Legge) La morte è da ritenersi istantanea.

Fabio                             - E poi?

Poliziotto                      - Il polmone destro trapassato.

Fabio                             - Ma è la follia.

Poliziotto                      - (alza le spalle) Avvocato...

Fabio                             - Non dico a lei, s'intende.

Poliziotto                      - Non basta. C'è un altro segno... (Legge) Sì... ecco... A sinistra... Sotto il costato.

Fabio                             - Dall'alto in basso.

Poliziotto                      - Dal basso in alto.

Fabio                             - Stupefacente.

Poliziotto                      - E perché? Hanno sparato di sotto. Dal fiume. Ricorda il luogo?

Fabio                             - E come no? Vuol che non ricordi?

Poliziotto                      - E' arrivato al cuore.

Fabio                             - (esaltato)    - Straordinario. Da non crederci. Cose dell'altro mondo. (Nervoso) Ora controllo, sa? Ora mi mostra la perizia, le fotografie, mi mo­stra tutti i documenti che ha in mano. Non per diffidenza, ma per mia persuasione definitiva e di­retta. Non ci credo ancora.

Poliziotto                      - Controlli, avvocato. (Offre).

Fabio                             - Un momento. C'è una domanda molto importante. Tanto importante che l'ho lasciata per ultima. Mi fa tremare. Bastava quella. Bastava farla subito. E allora me lo dica. Lo sa. Mi risponda senza che glielo chieda.

Poliziotto                      - Il calibro?

Fabio                             - (teso) Ecco.

Poliziotto                      - Moschetto novantuno.

Fabio                             - (frenetico) Faccia vedere. Voglio vedere. (Gli strappa il foglio e la borsa) Dove è scritto? Chi sono i periti? Chi è il medico? Le fotografie? Dove sono le fotografie? (Ne trae una nervosa­mente, la lascia cadere, ne cerca altre, le guarda e le lascia cadere) Che cos'è questo? E questo? (Os­serva).

Poliziotto                      - S'è anche trovata una pallottola.

Fabio                             - E dove?

Poliziotto                      - Nel cuore.

Fabio                             - Faccia vedere.

Poliziotto                      - L'hanno mandata oggi in città.

Fabio                             - (sempre nervoso, passeggiando in fretta qua e là) E il colpo in fronte?

Poliziotto                      - Non c'è.

Fabio                             - Neppure una traccia? Niente? Neppure una scalfittura? ^L

Poliziotto                      - Niente: vuol vedere la radiografia?

Fabio                             - Nemmeno per idea. Scusi, sa... Ora l'aiuto. (Aiuta il poliziotto a raccogliere le cartel in terra) Non se ne abbia a male. (Nervoso) Non se l'abbia a male. E' una sorpresa troppo grossa. (Si ferma, riflette) E' una sorpresa troppo grossa.

Poliziotto                      - Capisco. La sua inchiesta era sba­gliata. Ma oramai... Sono cose superate, avvocato

Lei è fuori.

Fabio                             - Già. Io sono fuori. (II poliziotto esce. Piano) Avete sentito? Non sono stato io.

Donata                          - (piano) Fabio.

Fabio                             - (irritato, in crescendo) Non sono stato io, madre. Non sono stato io. Si può dire, no? Non sono stato io...

Carla                             - Ma che cosa, Dio mio.

Fabio                             - L'assassino. Non sono io l'assassino. Cre­devo. E' un altro. L'ho scoperto adesso. Non c'è dubbio. E' un altro.

Carla                             - (spaventata) Dio mio, Fabio. Dio mio, signora Donata. Lasciatemi capire.

Fabio                             - (a Carla) E non l'avevi già capito? Non mi sospettavi già? Non l'hai gridato a me, a lei, a tutti? Ebbene, avevi ragione. Ero io... L'avevo ammazzato io... (Grottescamente disperato) E adesso non è più vero. C'era un altro nascosto. Io ho spa­rato e non ho colpito. Lui sì. Ci sono le prove. Le avete viste le prove?

Carla                             - (con sdegno, coprendosi il volto con U mani) Basta, Fabio. Vai via, Fabio.

Fabio                             - (torvo) E grida. Perché gridi? Ti faccio orrore? Non disturbare l'orrore. E' falso. Aspetta­vate il colpevole? E invece c'è l'innocente. Tutto rovesciato. Vi piace? A me no. Non mi piace l'in­nocenza. Cose per Ciancia.

Donata                          - Fabio, smettila.

Fabio                             - (c.s.) E perché? Non sei contenta? Non riconosci il figliol prodigo? Torno al tuo mondo, alla gente per bene, alla morale. Torno ai tuoi principi. Sono intatto. Puro. Avevo costruito un delitto e lo avevo nascosto: con ingegno, con orgoglio. Io... Io solo contro la Valle intera. E adesso è crollato. Delusione. Tempo perduto. Va­nità. La fedina penale torna immacolata. Avrò an­cora la stima pubblica. (Un tempo) Non resisto.

Donata                          - E allora crolla. Stupido. Vuol dire che lo meriti. Rovina tutto. Rovina la tua vita. Rovina la mia. Rovina il presente, rovina l'avvenire. Guar­da, non c'è più rimedio.

Fabio                             - Ma rovinare che cosa? Non sono inno­cente? Anche se rivelo le intenzioni? Anche se rivelo il pensiero? E non è meglio così? (Forte, con ira) Lo sappiano. Glielo dico a tutti. E' vero. Era l'alba. Ero sopra la casa. Nella macchia. But­tavo giù i sassi, per far rumore. Per farlo uscire. E gli ho sparato un colpo mirando alla fronte. E' caduto in avanti, a braccia aperte. (A Carla) Fi­nalmente. Eri sola. (Un tempo). Me ne sono an­dato zufolando. (Silenzio).

Carla                             - Ma perché?

Fabio                             - (ride) Perché? Vuol che le dica il perché. Per controllarti meglio. Rimanevi sola... mescolata a un delitto... a un'inchiesta. Avevi bisogno di me. 0 vuoi che ti dica che l'ho fatto per amore? Vuoi proprio questa confessione stupida? (Silenzio).

Speranza                       - (piano) E poi?

Carla                             - E poi... Da quel giorno mi ha resa im­possibile la vita.

Fabio                             - Certo. Via i corteggiatori.

Carla                             - Mi ha isolata.

Fabio                             - Certo. Via i balli. Basta con quella vita sciocca. Basta con quel marito troppo comodo.

Ciancia                          - E poi?.,. Quand'è caduto, dicevi, sulle braccia aperte... Che cosa è successo?

Fabio                             - Chi lo sa? E' evidente che c'era qualcuno appostato. In basso. E' evidente che ha fatto fuoco quando me ne sono andato. Certo quando l'altro si rialzava. (Energico) Ma è anche evidente che nello stesso giorno, nella stessa ora, e nella stessa maniera, qualcuno ha avuto il mio stesso desiderio : ucciderlo. Non è strano? (Un tempo) Qualcuno che mi ha visto sparare prima di lui, e che è stato zitto. Anche con me. (Un tempo) Perché è stato zitto, Carla? Per paura? O per altro?

Carla                             - Ma... Io non so.

Fabio                             - Prima di tutto perché ti amava.

Ciancia                          - Non è detto.

Fabio                             - E forse perché amava anche me.

Ciancia                          - Non capisco.

Fabio                             - (fissandolo) Perché mi conosceva, mi stava vicino, sentiva i miei discorsi, intuiva i miei pensieri, prevedeva le mie azioni.

Ciancia                          - (spaventato) Tu impazzisci, Fabio.

Fabio                             - (forte, minaccioso) Chi era, Ciancia? Chi poteva intuire le mie azioni?

Ciancia                          - (c.s.) Fabio! Carla! Non è possibile. Che cosa ti viene in mente ora? Parla tu, Carla.

Fabio                             - E tremi? Come mai? (A Donata) Che sia vero? Che tu abbia intuito la verità? Che il terzo fosse proprio lui? Il mio quasi fratello? Il mio rivale segreto? Il mio amico? Carla? Chi era il terzo?

Carla                             - E ancora. Sempre dubbi. Sempre gelo­sie. Non ne posso più.

Fabio                             - Ciancia! Che calibro ha quella pallottola trovata nella bara?

Ciancia                          - Novantuno.

Fabio                             - E tu...

Ciancia                          - (frenetico) E tu hai sparato con il « no­vantuno». Eri tu, in basso. Eri solo. Sei l'assas­sino. Ed ora inventi. Accusi me.

Speranza                       - (di scatto) E' vero. Era lui. Aveva il « novantuno ». Il resto è trucco. E' stata sua ma­dre. Ha buttato l'altro fucile nel fiume. Lei... Sol­tanto lei.

Donata                          - (di slancio) Giuralo.

Speranza                       - No.

Donata                          - Giuro che lo sai e in che modo lo sai.

Speranza                       - No.

Donata                          - Giura sulla Croce. (Prende la croce del secondo atto).

Speranza                       - No.

Donata                          - Giuralo per la Valle e dinanzi alla Valle.

Speranza                       - No. Giuro la verità, io.

Donata                          - Perciò è falso. Ciò che hai detto è falso. Dimostrato. (Silenzio lungo).

Fabio                             - (piano, triste) Che sciocchezze. Lo sa­pete tutti che è falso. Parole. Furie. Lo sapete tutti che la mia confessione è stata sincera. (Con ironia) La confessione della mia innocenza. Non si può smentire il delitto di uno che non ha ucciso.

Ciancia                          - (incerto) Ma allora? Chi è il colpe­vole?

Fabio                             - Che importa? Perché dobbiamo preoccu­parci del colpevole? E' forse un indovinello? Non sono situazioni con l'indovinello.

Ciancia                          - Ma la signora... (Esita).

Donata                          - (piano) Sì?...

Ciancia                          - La signora, dico... del delitto... chiamiamolo così...

Donata                          - (piano) Sì.

Ciancia                          - Da quando?

Donata                          - Da quando ha creduto di commetterlo.

Ciancia                          - E come?

Donata                          - Me l'ha confessato.

Ciancia                          - (esitante) E allora...

Donata                          - Sì.

Ciancia                          - Ha tentato di nasconderlo.

Donata                          - Sì.

Ciancia                          - Ha giurato... (Esita).

Donata                          - Puoi dirlo. (Un tempo) Ho giurato il falso.

Ciancia                          - Lei?!!! (Guarda intorno).

Donata                          - Io?! (Guarda intorno. Sono comparsi, uno alla volta, Cornetta, Brusco, Nando, ecc. A volontà del regista altri personaggi anonimi. Il dia­logo si allarga con semplicità diventando corale senza stacchi).

Speranza                       - (triste) Forse è stata costretta.

Donata                          - No.

Cornetta                        - Forse il figlio l'ha minacciata.

Donata                          - No.

Nando                           - Forse non si rendeva conto di quello che faceva.

Donata                          - No. E' stata la volontà. Fio voluto in­gannare. Ho voluto corrompere. Ho voluto accu­sare Ciancia. Ho voluto difendere l'assassino.

Ciancia                          - Ma assassino non era.

Donata                          - Appunto. Ho sbagliato. Assassino non era.

Brusco                           - Lei ne è convinta, signora?

Donata                          - (fiera e stupita) Come?

Nando                           - Noi domandiamo se è convinta della innocenza di Fabio. Anche se non ha colpito.

Donata                          - Ci sono le prove.

Cornetta                        - Ci capisca, signora. Anche se ha sparato senza colpire, è innocente? (Silenzio).

Donata                          - (con un filo di voce) Sì.

Ciancia                          - E allora accetta, signora, di essere giudicata per quel suo giuramento falso?

Donata                          - Sì.

Cornetta                        - Consente di aver tradito il suo com­pito nella comunità?

Donata                          - Sì.

Nando                           - Consente di aver tradito la legge che doveva custodire?

Donata                          - Sì.

Speranza                       - Consente di avere nutrito con ipocrisia sentimenti malvagi e passioni malvagie?

Donata                          - Sì.

Nando                           - Allora accetta la votazione pubblica per la destituzione?

Donata                          - Sì.

Cornetta                        - (a Speranza) Colpevole?

Speranza                       - Sì.

Cornetta                        - (a Ciancia) Colpevole?

Ciancia                          - Sì.

Cornetta                        - (a Brusco)

Brusco                           - Sì.

Cornetta                        - (a Fabio) Colpevole? (Fabio tace. Si­lenzio). (Ripete) Avvocato Fabio... Colpevole? (Si­lenzio. Ripete) Avvocato.

Donata                          - («I figlio) Al posto tuo direi sì. Non c'è altro da fare, Fabio. (Silenzio) Al posto tuo ricorderei quella frase. Carne unica. E' giusto Fa­bio. Tu non hai commesso niente. Pago io. (Si­lenzio).

Cornetta                        - Avvocato Fabio... Colpevole?

Fabio                             - Povera madre. Non piange nemmeno.

Brusco                           - Avvocato. La preghiamo di rispondete sì o no. (Silenzio).

Fabio                             - Ebbene. Se vi consegno l'assassino lasce­rete libera mia madre? Rinuncerete a giudicarla?

Cornetta                        - Sì.

Fabio                             - Tutti? .

Cornetta                        - Sì. Garantisco per tutti. (Un tempo).

Fabio                             - L'assassino sono io. Troverete il « novantuno» nell'isolotto del Buthier.

Donata                          - (con disperazione e ira) Fabio... Lo sen­tivo... Stupido... Che cosa inventi? (A tutti) Non badategli. E' un pazzo. Il fucile l'ha saputo da Ciancia. Non è vero. Non voglio. Non credetegli, Lo fa per me. Si sacrifica.

Fabio                             - Madre. Non giuochiamo alla nobile gaia. Vuoi proprio farmi far la figura di un uomo marcio di sentimento? Mi piace che l'innocente preferisca la galera. Ora sono un uomo che ha ucciso, (A tutti) Perché voi lo credete vero, che io sia un uomo che ha ucciso?

Cornetta                        - (piano) Avvocato. Questo è un tri­bunale speciale. Non si sa mai ciò che la Valle crede e non crede...

Fabio                             - (a Donata) Zitta madre. Non guastar tutto. Torna te stessa. Torna la Regina. (A tutti) In quanto a me... (Un tempo).

Cornetta                        - Quando vorrà avvocato.

Fabio                             - Perché no? Anche subito. (Silenzio lungo, guarda intorno, guarda in cielo) Che notte, madre. (Un tempo) Andiamo. (Esce. I rimasti si stringono in cerchio intorno a Donata).

Donata                          - (a tutti) E' innocente. Toccava a me. Dovevate condannare me. Figlio. Figlio!

FINE