Cartoteca

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CARTOTECA

Titolo originale: "Kartoteka"

Commedia in un atto

di Tadeusz Rózewicz

Versione italiana di A. M. RAFFO

PERSONAGGI

IL PROTAGONISTA

LA MADRE

IL PADRE

OLGA

LO ZIO

IL PRIMO VECCHIO

IL SECONDO VECCHIO

IL TERZO VECCHIO

Il signore con la scriminatura

L’EROE

QUELLO COL CAPPELLO

QUELLO COL BERRETTO

LA CAMERIERA

LA DONNA GRASSA

LA SIGNORA VIVACE

IL GIORNALISTA

LA SEGRETARIA

IL PROFESSORE

LA RAGAZZA

Commedia formattata da

Non do l'elenco dei personaggi. Il "Protagonista" della commedia è un uomo di età, professione e aspetto im­precisati. Spesso il nostro "protagonista" lascia tale ruolo e tocca ad altri personaggi porsi in primo piano. Molti dei personaggi di questa storia hanno parti secondarie, altri invece, che potrebbero svolgere un ruolo di primo piano, spesso non arrivano a prendere la parola, o hanno ben poco da dire. Il luogo dell'azione è unico, la scena unica. Basterà sistemarvi anche solo una sedia per tutto spettacolo. Quanto al tempo, la commedia è realistica e del giorno d'oggi. La sedia è vera. Tutti i mobili e gli oggetti sono veri. Semmai di dimensioni un po' più grandi del normale. Una qualsiasi stanza ammobiliata. Un ta­volo. Uno scaffale con dei libri. Due sedie. Un lavabo ecc.

letto è abbastanza alto. La stanza è senza finestre. Alle pareti laterali ci sono due porte che restano sempre aper­te. Il letto è accostato al muro. L'illuminazione rimane la stessa per tutta la durata dello spettacolo, molto forte, a giorno. La luce non si spegne neppure al termine dell'azione. Il sipario non cala. Forse l'azione è stata solo temporaneamente interrotta? Per un'ora, per un anno... Altra cosa da tenere presente: i personaggi si presentano in scena con i loro vestiti consueti, di tutti i giorni. Evi­tare qualunque abbigliamento vistoso, dai colori sgar­gianti e accessori simili. Lo stesso dicasi per il trucco, che qui non ha nessuna importanza. La gente più. di­sparata va e viene per la scena continuamente, più o meno in fretta. A volte si sentono dei brani di conver­sazione. Qualcuno si ferma a leggere il giornale... È come se nella stanza del protagonista passasse una pub­blica via. Alcuni si soffermano ad ascoltare quel che si dice nella stanza. A volte si uniscono alla conversazione, poi se ne vanno. L'azione non ha interruzioni fino alla fine.

Il protagonista               - (sdraiato sul letto con le braccia incro­ciate sotto la testa. Solleva una mano, la guarda) Ec­co la mia mano. Io muovo la mano. La mia mano. (Muove le dita) Le mie dita. La mia mano viva, è cosi ubbidiente. Fa tutto quel che voglio. (Si rigira verso la parete. Forse si addormenta. Entrano i genitori del pro­tagonista. Inquieti. Il padre guarda l'orologio)

La madre                       - Non tenere le mani sotto le coperte. È brut­to, e fa anche male alla salute.

Il padre                         - Cosa vuoi che diventi da grande, se poltrisce cosi tutte le mattine. Su, ragazzo, alziamoci!

Lamadre                       - A quarant’anni suonati è soltanto direttore amministrativo dell'operetta.

Il padre                         - Scommetto che sta combinando delle brutte cose li sotto le coperte. Solo soletto.

La madre                       - Ma cosa dici! Non lo vedi che c'è qualcun altro nel letto? Sembrerebbe una donna.

Il padre                         - Sei impazzita! Un ragazzo di sette anni... Ieri mi ha sottratto uno zloty... Gli farò vedere io! E l'altro giorno l'ho sorpreso a rubare lo zucchero.

La madre                       - Ma tra poco deve andare alla riunione! Do­vrà tenere la relazione.

Il padre                         - Mi ha sottratto del denaro! Ancora mi aves­se detto: "Papà, per favore, dammi uno zloty, vorrei comprarmi qualcosa", gliel'avrei dato... Ma cosi bisogna punirlo.

La madre                       - Parla piano... dorme.

 Il padre                        - Ma da chi avrà preso? E incredibile (Entra il coro dei vecchi. Sono in tre, vestono abiti spiegazzati, piuttosto logori. Uno di loro porta il cappello. Si siedono vicino alla parete su delle seggioline pieghevoli che ave­vano con sé. Hanno i movimenti un po' goffi, impacciati. Tuttavia dicono le loro battute con voce giovanile, chia­ra e ben scandita, senza accompagnarle con eccessiva mimica. Approfittano delle pause nel corso dell'azione per elargire consigli, dare avvertimenti, distribuire lodi e incoraggiamenti)

Coro                              - Colui che ancora nella culla affrontò l'Idra, In giovinezza annienterà i Centauri, All'inferno sottrarrà la vittima, Salirà fino in cielo a coglier lauri.

Il padre                         - ( si china sul letto, dà una tirata d'orecchie al Protagonista che si sveglia) Non far finta di dormire. Alzati, quando ti parla tuo padre.

Il protagonista               - Fermo! Fermo! Chi va là? Fermo, o sparo. Alt!

La madre                       - Parla in sogno. Ah, sempre quella spaven­tosa guerra.

Il padre                         - Voglio scambiar due parole con te, briccone.

Il protagonista               - (si alza a sedere sul letto) Eccomi.

Il padre                         - Perché hai vuotato la zuccheriera, eh?

Il protagonista               - È stato Wladek!

Il padre                         - Non voglio bugie, dimmi esattamente co­m'è andata.

Il protagonista               - è stato il diavolo, ti giuro. Non ho potuto resistere alla tentazione, è stato più forte di me.

Il padre                         - Se tu mi avessi detto: "Papà, mi dai lo zucchero..."

Il protagonista               - E poi ecco, ti ho visto far pipi nel lavabo della cucina, è vero mamma, l'ho visto.

Il padre                         - Figlio degenere! Cosa mai potrà venirne fuori?! Com'è vero Iddio...

La madre                       - Come puoi dire al tuo papà una cosa del genere? Non ti riconosco più, figlio mio...

Voce di donna da sotto le coperte                 - Signor direttore, la riunione sta per cominciare.

Il protagonista               - Miei cari, ho la conferenza, avete sentito?

Voce di donna da sotto le coperte - Alla conferenza mancano ancora due ore, ma bisogna prepararsi. Penso io a tutto, signor direttore, la preparo io.

Coro dei vecchi             - Eh, eh, i due gattini bigi. Un bel niente faranno, Proprio niente di niente, Solo il pupo divertiranno. (il Protagonista si riaddormenta. Lo sveglia uno sparo. La detonazione deve essere molto forte, tanto da spa­ventare il pubblico)

Il protagonista               - Idioti... Di nuovo la guerra?

Voce di donna da sotto le coperte - No, signor diret­tore, è la principessa di Monaco che ha partorito otto gemelli. Per la circostanza tutto il paese è in festa, dalle azzurre vette dei Tatra al grigio Baltico,

Il protagonista               - Ma perché la festeggiano da noi? La principessa non vive a Monaco?

Voce di donna da sotto le coperte - Tutte le occasioni sono buone per far festa. Cento nostri giovani attivisti per celebrare l'avvenimento andranno fino al Congo in monopattino. Altri fanno voto di castità prematrimoniale.

Il protagonista               - (guardando il soffitto) Cretini. (Pausa) Idioti. (Altra pausa) Imbecilli, deficienti, fetenti, ladri, truf­fatori, pederasti, astronauti, onanisti, sportivi, pubblicisti, bigami, critici, moralisti. (Pausa. Il Protagonista accende una sigaretta, continuando a guardare il soffitto) Me ne sto a letto, mi riposo. I capi dei governi e degli stati maggiori mi concedono di starmene sdraiato a guardare il soffitto. Il soffitto. Il bel soffitto bianco, pulito. Oh, come mi piacciono questi capi! Devo a loro la tranquillità di questa domenica. (Entra nella stanza Olga. Una donna dall'aspetto insignificante, di mezz'età. Si ferma ai piedi del letto e si toglie il cappotto. Depone sul letto cappotto, borsetta, sciarpa ecc.)

Olga                              - Passavo, quando ho sentito che mi chiamavi.

Il protagonista               - Io?

Olga                              - Sono quindici anni che te ne sei andato di casa. Non hai più dato segno di vita.

Il protagonista               - (dà segni di vita) Già.

Olga                              - Te ne sei andato senza lasciar indirizzo.

Il protagonista               - Non l'avevo.

Olga                              - Hai' detto che andavi a comprare le sigarette.

Il protagonista               - E le ho comprate.

Olga                              - Sei stato via quindici anni. Cosa hai fatto? Che ti è successo? Spiegati, di' qualcosa.

Il protagonista               - Ti racconterò la barzelletta di un sadico che...

Olga                              - Una barzelletta! In questo momento? È orri­bile. Dopo quindici anni, mi racconta una barzelletta...

Il protagonista               - Berrei una tazza di tè.

Olga                              - Il tè in questo momento, quando io desidero che tu mi renda conto di tutta la tua vita... Proprio mi deludi, Henryk.

Il protagonista               - Mi chiamo Wiktor.

Olga                              - Mi hai proprio delusa, Wiktor. Sei un uomo disgustoso, un impostore.

Il protagonista               - (sbadiglia) Non ho più voglia di chiacchierare.

Coro dei vecchi             - (fra di loro) Non ne ha più voglia... E chi deve parlare allora? Non tocca certo a noi!

Olga                              - (pesta un piede a terra, rivolta al coro dei vec­chi) Zitti insomma... Dicessi almeno una parola, sol­tanto una parola... E invece no, niente!

Il protagonista               - Non posso lavorare in queste con­dizioni.

Olga                              - Mi accarezzavi il seno, ti dimenavi come un serpente, mi facevi girar la testa a furia di belle parole.

Il protagonista               - Belle parole?

Olga                              - Dicevi che avremmo avuto una casetta in cam­pagna col giardino, e due bambini: un maschietto e una femminuccia... Tutto andava in malora e tu li, a snocciolar bugie. Hai stroncato la mia esistenza...

Il protagonista               - Non è andato tutto in malora, siamo ancora vivi. Non hai idea, Olga, quanto mi consoli l'idea di poter stare qui sdraiato. Starmene sul letto, tagliarmi le unghie, sentire della musica. I capi mi concedono tutta una domenica. Perché non vieni a letto? Facciamo due chiacchiere.

Olga                              - Non ho tempo, sono già in ritardo. Ho i bi­glietti per l'opera, stasera... Ah, non ti perdonerò mai. (Esce)

Il protagonista               - Lasciami almeno il giornale. Pensa­vo che saremmo morti tutti, quando ti parlavo di bam­bini, di fiori e d'amore. (Apre il giornale. Lo scorre, si mette a leggere ad alta voce) "...Le bottiglie devono es­sere sciacquate accuratamente prima di versarvi la bir­ra. Gli addetti all'imbottigliamento sovente non si danno cura di controllare che le bottiglie siano pulite, e il ri­sultato è che nelle bottiglie riempite troviamo spesso dei corpi estranei; non di rado vi galleggiano moscerini. Nel nostro precedente articoletto dedicato ai problemi della birra ci siamo già occupati dell'inqualificabile com­portamento dei rivenditori al minuto. La rivendita del­la birra si presta facilmente ad abusi di ogni genere. Come è possibile ad esempio ricavare centoventi litri di birra da una botte di cento litri?

Coro dei vecchi             - è molto semplice.

Il protagonista               - Basta somministrare al consumatore una dose maggiore di schiuma. Il cliente, invece di un intero boccale, riceve cosi un boccale riempito solo per metà, o per un terzo. (La voce del Protagonista cresce di tono, si fa patetica) Naturalmente non si può privare la birra del suo collo di schiuma. Ma bisogna che il contenuto del recipiente corrisponda alle norme. Per tale motivo tutti i boccali e i bicchieri devono essere apposi­tamente segnati. Devono cioè recare due lineette al li­vello rispettivamente dei 250 e dei 500 centimetri cubi spettanti al consumatore... Purtroppo, altrettanta negli­genza si constata riguardo alla lavatura dei boccali da birra. L'interno di molti boccali è coperto da uno strato di unto, che costituisce come si sa il nemico numero uno della bionda bevanda. Negli spacci di birra è diffusa una mancanza di responsabilità assolutamente intollera­bile. È ora di prendere severi provvedimenti. Bisogna intervenire... (Il Coro dei vecchi si anima)

Il primo vecchio            - (si porta la mano all'orecchio) Di cosa parla?

Il secondo vecchio        - Di birra!

Il terzo vecchio             - Ma in questa birra non ci sono allusioni al governo, sottintesi, simboli, allegorie? Il no­stro protagonista non cerca di farsi capire con mezze parole?

Il primo vecchio            - Sta parlando di birra!

Il secondo vecchio        - Ci dev'essere sotto qualcosa!

Il terzo vecchio             - Dice che nella birra galleggiano i moscerini.

Il secondo vecchio        - Moscerini? Questo è già qualcosa.

Il primo vecchio            - Sciocchezze! Quando lui dice birra vuol dire birra, e un moscerino è solo un moscerino. Nient'altro.

Il terzo vecchio             - Ma abbiate pazienza, questo non è un protagonista, è uno schifo. Dove sono gli antichi pro­tagonisti, gli orfei, gli eroi, i profeti? Un moscerino nella birra! Neanche una mosca, un moscerino! Che roba è mai questa?

Il secondo vecchio        - (con una smorfia ironica) È tea­tro sulla misura dei nostri tempi.

Il terzo vecchio             - I tempi saranno magari grandi, ma la gente è piccola.

Il primo vecchio            - Come sempre, come sempre.

Il terzo vecchio             - Moscerini nella birra? Qui c'è sotto qualcosa! (Tutti e tre i vecchi d'accordo annuiscono con la testa. Il più completo silenzio. In questo silenzio si sente cantare un uccello. Dopo un minuto entra nella stanza un vecchio con lunghi baffi e un cappello logoro)

Il protagonista               - Zio!

Lo zio                            - Sto andando in pellegrinaggio al convento... Passavo di qua e mi è venuto in mente di venirti a fare un salutino. Come va, Stanislaw?

Il protagonista               - Ah, zietto! Quanto tempo è passato... Erano venticinque anni che non ci si vedeva, zio                                  - (Si siede sul letto, si infila i calzini) Vi devono far male i piedi, zio. Più di cento chilometri a piedi! Sedetevi. Come sono contento che siate venuto a trovarmi. Vi preparo subito dell'acqua per i piedi, e metto anche l'acqua per il tè. Sdraiatevi, zio. Vi farà bene, sapete, un bel pedi­luvio. (Tira fuori da sotto il letto una bacinella e la riem­pie d'acqua. Versa acqua vera da una brocca vera in una bacinella vera. Si insiste su queste cose per sotto­lineare il realismo del racconto) Prego, zio... Ecco qua per lo zio... (7/ Protagonista tutto felice si dà da fare premurosamente intorno allo Zio) Zio... Lo zio... Dello zio... Allo zio... Con lo zio... Per lo zio... 0! Zio!...

Lo zio                            - Che bravo ragazzo! Hai proprio il senso della famiglia. (Si leva le ghette e i calzini. Immerge i piedi nella bacinella) E tu come te la passi, Wladzio?

Il protagonista               - Vedete, zio, avrei dovuto scrivervi, ma Zosia mi disse che eravate malato, cosi pensavo che foste morto da un pezzo. (Pone ambo le mani sulle spalle dello Zio) Ma come sono contento di rivedervi, zio. Non ne avete idea. Cosa avete fatto in questo tempo?

Lo zio                            - Ba', si tira avanti, si vivacchia. Alla buona, ma onestamente.

Il protagonista               - Ma è proprio lo zio in carne ed os­sa! E anche il cappello è vero. (Gli leva il cappello) E dei veri baffi, dei veri piedi, dei veri pantaloni, e un_ vero cuo­re che batte, dei veri sentimenti, e veri pensieri. Uno zio tutto vero. Perfino le ghette sono vere, e i bottoni, e le parole. Parole vere! (Parla con crescente trasporto e com­mozione)

Lo zio                            - Ma a te piuttosto, Zbysio, come ti va? Mi hanno detto che eri andato a Parigi.

Il protagonista               - Già.

Lo zio                            - E com'è Parigi? Come ci si sta? Non potresti raccontarmelo un po'? Chissà che un giorno o l'altro non ci vada anch'io a Parigi. E anche tua zia sarebbe conten­ta di saperne qualcosa.

L'eroe                            - Ma con piacere, zio.

Lo zio                            - Non avrai buttato via il tempo, spero.

Il protagonista               - Spero di no.

Lo zio                            - E, di' un po', come vive li la gente?

Il protagonista               - Be'... come dire... dipende... (trae di tasca un pacchetto di gauloises) Prendete una sigaretta, zio, sono proprio francesi.

Lo zio                            - Francesi? In questo caso, se permetti, me ne prendo due.

Il protagonista               - Ho comprato dei fiammiferi a Parigi, una saponetta a Parigi, uno spazzolino da denti, lamette da rasoio, camicie, profumi, scarpe, puntine da disegno, spilli e aghi a Parigi. (/ vecchi del Coro si mostrano foto­grafie, ridono, si raccontano storielle di cui percepiamo qualche frammento)

Lo zio                            - E che si dice a Parigi delle arti, della lette­ratura?... della politica?

Il protagonista               - Ba', dipende. È difficile rendersi con­to. Sapete, zio, ho visto l'imperatore proprio come adesso vedo voi, e il papa e anche la Regina d'Inghilterra, erano tutti rosei, di cera. Si mangia molta insalata e molti for­maggi a Parigi, si beve il vino. E la cucina naturalmente è francese.

Lo zio                            - Insomma, hai preso un po' d'aria e hai fatto qualche spesuccia...

Il protagonista               - Sapete, zio, la città è avvolta in una specie di bruma azzurrata, come se fosse conservata sotto spirito.

Lo zio                            - (dopo una pausa) Ma... mi sembri preoccupato, a disagio. Su, Bohdan, scuotiti. C'è qualcosa che non va?

Il protagonista               - Ecco, zio, vedete... Ma non vale la pena di parlarne... Ho applaudito. Ho gridato.

Lo zio                            - Come sarebbe a dire "ho applaudito"?

Il protagonista               - Intendo dire che ho applaudito anch'io.

Lo zio                            - Tutti hanno applaudito.

Il protagonista               - M'importa assai degli altri. Io penso a me. Mi scoccia.

Lo zio                            - Sei proprio un bambino, Piotr. Anche Picasso applaudiva, no?

Il protagonista               - Lo so che molti hanno applaudito, ma loro ormai se ne sono dimenticati. Adesso si inte­ressano di marche di automobili, o si divertono ai balli mascherati, mentre io mi ritrovo sempre con le mani congiunte e quegli applausi applaudono dentro di me. In me c'è talvolta un assordante battimani. Sono vuoto come una basilica di notte. Un battimani, zio, un batti­mani... (Silenzio. Il coro dei vecchi batte ritmicamente le mani per un minuto) Ma zio...

Lo zio                            - È che siete tutti dei buoni a niente, delle pap­pe molli. Dei calvi che spaccano il capello in quattro. Che cosa dovrei dire io, allora? Ricordo che durante i tu­multi abbiamo scaraventato il capitano nel brodo. A pro­posito, come si chiamava quello?

Il protagonista               - Nel brodo?

Lo zio                            - Si, c'era la pentola a bollire sul fuoco... Non erano momenti tranquilli, sai, manifestazioni, attentati, ri­volte, la baracca che per saltare in aria, capisci... E lui viene a curiosare nelle cucine. E c'era il brodo che stava cuocendo per tutta la compagnia, e cosi l'abbiamo scara­ventato dentro e ci abbiamo messo sopra il coperchio. Ed è bollito coi suoi baffi, i suoi speroni e le sue medaglie. Mi vien da ridere ancora adesso a pensarci. (Gli batte affettuosamente una mano sulla spalla) Hai la coscienza troppo delicata tu. Ma io ti assolvo lo stesso.

Lo zio                            - Hai una coscienza delicata. Ti assolvo.

Il protagonista               - Sono triste, mi annoio, zio. Sapete, zio, quand'ero piccolo giocavo al cavallo. Mi trasforma­vo in cavallo e galoppavo con la criniera al vento per il cortile e per le vie. Ora invece non sono capace di tra­sformarmi in un uomo, benché sia adulto e diriga un istituto. Vorrei scavare nella terra, tirar fuori delle pa­tate e arrostirle per voi. Le patate hanno la buccia gri­gia e ruvida. Nell'interno sono bianche, friabili e bollenti. Vorrei rivedere ancora il mio melo con i suoi rami, le foglie, i fiori e i frutti... È tanto tempo che non mi siedo all'ombra di un albero. La mela è coperta da una pellicina di cera, ci si vedono bene le impronte delle dita. Al mattino nell'orto le mele pendono dai rami. Aspettano le mie mani. Come le ragazze...

Lo zìo                            - E allora, Stanislaw, che cosa aspetti per tor­nare alla fattoria? Tua madre e le tue sorelle muoiono dalla voglia di rivederti. Saresti il benvenuto.

Il protagonista               - Non posso, zio.

Lo zio                            - Non sei ancora stufo del gran mondo?

Il protagonista               - No.

Lo zio                            - Non sei ancora sazio?

Il protagonista               - L'appetito vien mangiando. Quando apro la bocca inghiotto intere città con i loro abitanti, e case, quadri, busti, televisori, motociclette, stelle, cortigia­ne, calzini, orologi, titoli, decorazioni, pere, pillole, gior­nali, banane, capolavori...

Lo zio                            - E se facessi le valigie e venissi via con me? Domani saresti già a casa.

Il protagonista               - No, zio, è impossibile, non posso più tornare.

Lo zio                            - Ma su, lasciati tentare. È primavera e gli uc­celli cinguettano.

Il protagonista               - Ho molto da fare qui, una cosa e l'al­tra, è difficile staccarsene, orizzontarsi. Un'altra volta, forse...

Lo zio                            - (si asciuga i piedi con la coperta del letto. Si rimette le scarpe e le ghette, ripone sotto il letto la baci­nella con l'acqua) Caro Dzidek! Per me è ora di an­dare. Statti con Dio! (// Protagonista tace. Rimane sdraiato con gli occhi chiusi. Entrano due uomini, uno con un berretto a visiera, l'altro col cappello. Portano cappotti lunghissimi, decisamente fuori moda. Uno tira fuori dalla borsa delle carte, l'altro ha in mano un metro metallico. Incominciano a prendere le misure della stanza. Sono mol­to coscienziosi)

Quello col berretto        - Tre metri e quarantotto. (Quello col cappello prende nota su un taccuino. L'altro misura prima la porta e poi il letto, annunciando di volta in volta le cifre. Quello col cappello scrive tutte le cifre, le molti­plica, le somma. Quello col berretto s'avvicina al protago­nista e ne misura la statura, la vita, i piedi, il giro di te­sta, di collo, di petto, ecc.) Ma cos'ha in mano?

Quello col cappello       - Un foglio.

Quello col berretto        - Bisogna fargli aprire le dita. (Glie­le torce a una a una per tirar via il foglio)

Quello col cappello       - Che cos'è?

Quello col berretto        - Boh... Sembrerebbe un curriculum vitae. (Legge a voce alta) Sono nato nel 1920. Ottenuta la licenza elementare... Dimenticavo, alla scuola comunale avevo un compagno che mi regalava sempre del formag­gio, suo padre faceva il fattore. Ottenuta. Ottenuta la li­cenza elementare, mi sono impiegato al municipio. Nel 1938 in un albergo mi sono pulito le scarpe con il copri­letto... Finita la scuola comunale ho seguito i corsi li­ceali. Presa la maturità ho... (Quello col berretto scuote il capo e continua a leggere) Ehi, voi, venite, aiuto!

Quello col cappello       - Dorme o fa finta?

Quello col berretto        - (continuando a leggere) Nel 1938 in un albergo mi sono pulito le scarpe con il copriletto e ho tagliuzzato l'asciugamano con una lama da rasoio. Poi a diciotto anni ho subito con successo l'esame di maturità. Però non ho avuto il tempo di arrivare alla fine perché il 1° settembre 1939 scoppiò la guerra mondiale, quel terri­bile cataclisma che doveva inghiottire... (/ due mettono i fogli in una borsa ed escono. Nella stanza entra carponi un signore elegante di mezz'età. È pettinato impeccabil­mente, con una scriminatura perfetta ben visibile sulla testa. Si potrebbe dire che è pettinato dal di dentro. Pro­cedendo sempre a quattro zampe fa il giro della stanza. Annusa le gambe del tavolo, la sedia, scruta sotto il let­to... Comincia a parlare levando il muso verso il Prota­gonista)

Il signore con la scriminatura - Lei non sa chi sono io. Chi è lei? Chi è lui, cosa è lui? Io ho il mio orgoglio. Nossignore, lei è troppo piccolo per parlarmi cosi. Io non ho voluto sapere. Se avessi saputo, non potrei trarre in inganno nessuno. Ma soffro. Io sono... io... (Il Prota­gonista fa un movimento. Annusa l'aria. Il Signore con la scriminatura tace di colpo)

Il protagonista               - Qui c'è qualcuno... sento odore di va-sellina, di lacca, di peto e di letteratura. Chi è? (Il Si­gnore con la scriminatura si ritocca con la zampa i ca­pelli e la cravatta) Ah, sei tu, Bobi. (Attraversa la stanza un tipo grasso con gli occhiali. Si ferma a leggere il gior­nale, si guarda attorno. A metà si ferma. Chiama il Si­gnore con la scriminatura)

Il tipo grasso                 - Qui, Bobi! (Il Signore con la scrimi­natura strofina il muso contro i calzoni del tipo grasso) Bobi, cuccia! (77 Signore con la scriminatura si accuc-cia) Fa' il morto! (7/ Signore con la scriminatura fa finta di essere morto. Il tipo grasso sorridendo, cava di tasca un osso e lo butta sotto il tavolo e il Signore con la scri­minatura riporta l'osso. Il tipo grasso tende la mano) La zampa, Bobi! (Il Signore con la scriminatura dà la zam­pa sinistra, ma vi riceve un colpo) La destra. (Il Si­gnore con la scriminatura si corregge. Porge la zampa destra. Il tipo grasso al Protagonista) Bene ammaestrato, vero?

Il protagonista               - (si siede sul letto) Non me ne intendo.

Il tipo grasso                 - Lei gli dice "corri", e lui corre, gli di­ce "salta", e lui salta, sa perfino leggere e scrivere... Ha avuto una medaglia alla mostra canina di Parigi. E intel­ligente, bene addestrato... non è difficile addestrarli... ba­sta un po' di pazienza... In un cane ci sono quattro cose importanti: la passione per la caccia, l'andatura, il fiuto e l'intelligenza. Bobi ha l'andatura, e un fiuto... Lo prende?

Il protagonista               - Non ho soldi... Ma non morde?

Il tipo grasso                 - (si mette a ridere) Non ha denti, solo una lingua.

Il protagonista               - Le posso dare in cambio i miei cal­zini...

Il tipo grasso                 - D'accordo. (il protagonista si leva i cal­zini e li dà al Tipo grasso, che se li mette in tasca e se ne va leggendo il giornale e dimenticando Bobi)

Il protagonista               - (stende un braccio e carezza sulla testa il Signore con la scriminatura cosi facendo l'arruffa riz­zandogli i capelli in avanti) Prendi qualcosa?

Il signore con la scriminatura                         - (restando sempre car­poni) Un caffè corretto, se non è troppo.

Il protagonista               - Hai già preso un caffè alla fermata precedente e hai visto cos'è successo. Beviti l'acqua piut­tosto. (Tira fuori da sotto il letto la bacinella con l'ac­qua) In quest'acqua ha bagnato i piedi un uomo sem­plice e onesto. Bevi. È una medicina preziosa per tipi come te. Come noi... volevo dire... (Il Signore con la scri­minatura tira fuori la lingua alla maniera dei cani e fa per bere l'acqua della bacinella. Il Protagonista si mette a ridere) No. Basta, non esagerare. Sei troppo educato. Ma non fare lo stupido, siediti. Ora facciamo il caffè. Veramente non ho né caffè, né tazzine, né denari, ma devono ben servire a qualcosa il surrealismo, la metafi­sica, la poetica dei sogni. (Grida) Due caffè! (Entra una cameriera. Ha la cresta, il grembiulino, ecc. Depone sul tavolo il vassoio d'argento, con due espressi fumanti)

La cameriera                 - Devo spogliarmi?

Il protagonista               - No, è inutile. Detesto lo strip-tease. (La Cameriera esce di corsa)

Coro dei vecchi             - Tresca tromba tropico trottola trium­viro tritone trisavolo troglodita. (Il Protagonista e il Si­gnore con la scriminatura sorseggiano in silenzio il caf­fè. A un certo momento si interrompono e ciascuno dei due si osserva attentamente le mani. Poi se le mostrano a vicenda. La destra e la sinistra, a turno. Se le guarda­no attentamente)

Il protagonista               - (prendendo la mano sinistra del Si­gnore con la scriminatura) Oh! Ma è una macchia! Nera.

Il signore con la scriminatura - Inchiostro.

Il protagonista               - Inchiostro? Non è niente. Va via con la saliva.

Il signore con la scriminatura - Oh! Anche lei ne ha una! Due anzi. Rosse! Due macchie rosse!

Il protagonista               - È sangue.

Il signore con la scriminatura - Davvero?

Il protagonista               - Sangue nemico.

Il signore con la scriminatura - Conosco soltanto il sapore dell'acqua, della vodka, della saliva e dell'inchio­stro, che sapore ha il sangue?

 

Il protagonista               - (cava uno spillo e punge un dito del Signore con la scriminatura, che se lo succhia) Eccone una goccia! Come hai trascorso la guerra, l'occupazione? Mai avuto un'arma in mano?

Il signore con la scriminatura - No, veramente, gra­zie a mia moglie. La moglie, alla moglie, nella moglie, con la moglie... sulla moglie... sotto la moglie.

Il protagonista               - (gridando) Via! (Il Signore con la scriminatura ricade sulle quattro zampe, afferra con una la tazzina e beve in un sorso il caffè rimasto. Entrano due signore di mezz'età, discretamente conservate. Conversa­no animatamente scoppiando ogni tanto in risate rumo­rose)

La signora                     - Vedi, io lui, lui a me, lui a te, e lei, capisci, a lui, sai com'è lui, quando lui, luuuuui, uuuuh... (Muggisce e nitrisce, ridendo. Si guarda attorno) Oh, caro, sei qui... (Il Signore con la scriminatura si alza in piedi) Mio marito, cara. La mia miglior amica, caro. (Il Signore con la scriminatura bacia la mano all'altra signora. Sorridente, pieno di gioia di vivere esce con le signore. Le signore hanno le unghie laccate)

Coro dei vecchi             - Coordinate, Cornovaglia, cosmetici, cosmonauta, copula, marmellata, marelucchi, martiro­logio...

Il protagonista               - (cerca febbrilmente qualcosa. Si caccia sotto il letto, apre i cassetti. Perlustra tutti gli angoli. Il Coro dei vecchi esce, e il Protagonista resta solo. Si fruga nelle tasche. Finalmente scova un robusto spago. Se lo mette al collo e ne prova la resistenza. Si guarda attorno in cerca di un chiodo. Si accosta all'attaccapan­ni. Alla fine apre l'armadio, entra e vi si chiude. La scena resta vuota. Solo dopo un certo tempo la porta dell'armadio si riapre) Andate voi a impiccarvi! Vale più il dito mignolo del mio piede sinistro che l'umanità intera. (Si siede sul letto. Tira fuori di tasca la colazio­ne, la svolta dalla carta, si mette a mangiare. Entra nella stanza una donna grassa)

La donna grassa            - Vergogna! Cosi giovane e già cosi svergognato!

Il protagonista               - (smette di mangiare) Che fa lei qui? Questa è un'abitazione privata. Chi l'ha fatta entrare?

La donna grassa            - Ha, ha, ha, ha... (Si mette a ridere) un'abitazione privata.

Il protagonista               - Io non la conosco.

La donna grassa            - Lei mi stava spiando mentre facevo il bagno, signor Wacek!

Il protagonista               - Sarà passato un quarto di secolo. Si, me ne ricordo. Ma vedo con piacere che è già uscita dall'acqua. Prosegua per la sua strada, non ho tempo adesso. Devo leggere la corrispondenza.

La donna grassa            - Vuol dire che aspetterò. (Si siede su una seggiolina e aspetta. Magari si mette a lavorare a maglia)

Il protagonista               - (prende sul tavolo alcune buste. Apre una busta rosa. Legge ad alta voce) "Mio caro Janek, sono commossa da questa prova palpabile del tuo ricordo. Vieni a trovarmi, affinché possa introdurre fra le tue lab­bra il più dolce dei cioccolatini che mi hai mandato. La tua Zosia."                                  - (Apre la seconda busta. Legge) "Caro Zdzislaw! Mi giungono notizie assai spiacevoli sulla tua condotta sconsiderata. È cosi che mi ripaghi delle fatiche, delle cure, delle spese che ho affrontato per i tuoi studi e la tua educazione? Ti hanno visto al biliardo a discutere con una persona di dubbia reputazione, alle lezioni non ci vai mai, perdi il tuo tempo a giocare, tra divertimenti e amorazzi... Doveva toccarmi anche questo nella mia vecchiaia! Correggiti, correggiti, figlio mio, ti scongiuro; alla prima cattiva notizia romperò i rapporti con te, e non solo ti toglierò ogni sostentamento, ma proibirò a chiunque di pronunciare il tuo nome davanti a me. Ti invio la mia paterna benedizione. Che essa ti dia la forza di ritornare sulla buona strada. Tua madre è in lacrime. Il tuo padre profondamente addolorato" (Il Protagonista indispettito appallottola la lettera e se la ficca in tasca. Ne prende un'altra. Legge) "Cari cugini, la ricorrenza delle vostre nozze di argento mi riempie di sincera gioia. Come testimone del vostro matrimonio ven­ticinque anni fa, oggi stento davvero a credere che già sia passato un quarto di secolo dal momento solenne in cui reciprocamente vi giuraste di sopportare insieme le vicissitudini della vita sotto la sublime insegna dell'a­more. Venticinque anni sono passati in un attimo. Oh, voglia il cielo che la vostra vita continui ad essere cosi serena e cosparsa di rose anche per l'avvenire, e che, cir­condati da figli, nipoti e pronipoti, possiate perpetuare quei principi che cosi degnamente avete fatto vostri finora. Il vostro vecchio amico N. N. Varsavia, 24 gennaio 1902." (Dopo aver letto l'ultima lettera il Protagonista si mette le pantofole e esce dalla stanza. Dopo qualche istante esce dalla stessa parte anche la Donna grassa. Ora sulla scena non accade nulla. Si può fare un intervallo di 5-10 minuti. Si può calare il sipario, ma è meglio di no. Dopo questo intervallo rientra nella stanza il Protago­nista. Tira fuori di tasca la colazione, la svolta dalla carta, si mette a mangiare. Dopo un attimo entra la Donna grassa. Si guarda attorno)

La donna grassa            - Vergogna! Un ragazzo cosi giova­ne, spiare una donna nell'intimità.

Il protagonista               - (smette di mangiare) Chi le ha dato il permesso di entrare? Questa è un'abitazione privata. La donna grassa        (ride) Privata? Un'abitazione pri­vata! !

Il protagonista               - Io non la conosco.

La donna grassa            - Lei mi spiava mentre facevo il ba­gno, signor Jurek.

Il protagonista               - È passata un'infinità di tempo da quella volta... Si, me ne ricordo. Vedo con piacere che è già uscita dall'acqua.

La donna grassa            - (si accomoda su una sedia) Se n'è andato a Zakopane per correr dietro a quella cagna.

Il protagonista               - Chi?

L\ donna grassa             - Mio marito. Questa è la ricompen­sa di tutta una vita di sacrifici. Vergine mi ha avuta, come ero uscita dal seno di mia madre, una vera fan­ciulla. Glielo giuro, signor Dzidek.

Il protagonista               - Ma che razza di volgarità mi tira fuori!

La donna grassa            - Signor Dzidek, io lei me lo ricordo ancora bambino, sempre vestito alla marinara. Veniva da me con il pentolino in mano a prendere la panna. (Il Protagonista si butta sul letto. Rivolto verso il pub­blico, volge le spalle alla Donna grassa, la quale ora si siede sul letto) Veniva nel mio negozietto... Lo stavo a osservare, quando tuffava il dito nella panna e poi se lo leccava.

Il protagonista               - È passata un'eternità.

La donna grassa            - Ah si, eh? Comodo! Io l'ho vista mangiare la panna con le dita, lei mi ha spiato mentre facevo il bagno nuda, e ora mi volta le spalle.

Il protagonista               - (si solleva sui gomiti) Vuoi star zit­ta vacca decrepita che non sei altro, barile di lardo. Si che me lo ricordo. Avevo quindici anni. Era luglio. Il riflesso del sole al tramonto sull'acqua. Il fiume rosso sotto le corone degli ontani neri. Allora eri bianca e grassa. Un pezzo di ragazza appetitosa. Bianca come la neve. Entravi lentamente nell'acqua scura. Sopra l'acqua gli ontani neri. Nel fogliame il rosso del sole. Allora avrei dato metà della mia vita, tutta la vita, tutta la città, tut­to il mondo solo per toccarti i seni. Se avessi potuto posarti la mano sulla coscia, sul tuo monte di Venere.

La donna grassa            - Su che cosa?

Il protagonista               - Sul monte di Venere, che si leva all'ombra delle cosce, scuro di pelo... Ti immergevi nell'acqua. L'acqua ti lambiva avidamente le gambe, il ven­tre, i seni... l'acqua si accendeva. I seni, i seni. Due co­lombe erano, stupida vacca. Mi rinfacci che ti ho visto il sedere. Allora mi hai cacciato via, mi hai insultato, ti ricordi? E ora vieni a frignare perché ti è scappato il marito. Uno zotico imbecille e cretino. A lui sei an­data a offrire la tua verginità e un vestito nuovo per andare in chiesa. Vacca idiota, per me potevi essere una regina. Potevi essere musica, giardino, frutta, potevi es­sere la mia via lattea, specie di vacca da latte. Ma tu hai serbato tutto per un qualunque furfante, mascalzone, cinico, deficiente, ladro. Ora frigni. Le lacrime scorrono su quel tuo muso rimbambito, hai la goccia al naso. Per me potevi essere il fuoco, la sorgente e la gioia. Come ho sofferto allora. Mi sarei strappato la pelle di dosso. (La Donna grassa continua a lavorare a maglia) Per causa tua ci mancò poco che diventassi sodomita. Avrei violentato delle api. Ma tu, tu! pensare che ti avrei acca­rezzata meglio dell'acqua e del fuoco. Il tuo ventre per me era una scoperta più grande dell'America. Il tuo sedere era una stella. Pezzo di cretina, botte di carne frollata. Levati di qua, che non ti prenda a calci. (Il Protagonista tace. In questo istante entra nella stanza una Signora assai vivace di mezz'età. Corre verso la Donna grassa, la bacia con trasporto e si mette a ciar­lare)

La signora vivace          - Figurati, cara, un amore di vesti­tino. Il davanti del corpetto guarnito da un risvolto che gira sul dietro. La gonna leggermente svasata. Sopra il corpetto, una specie di giacchettino bianco di piqué con un collo montante e un nodo. La gonna plissettata sul davanti. Una cucitura su tutta la lunghezza della schie­na. Delle tasche di sbieco con larghi revers. Polsi alla moschettiera... (Si alza bruscamente dal letto. Bacia la Donna grassa) Ciao, cara, devo scappare. Telefonami! Addio, cara... Mi raccomando, telefonami! Il mio numero lo sai. Ci conto. Ciao, cara, ciao! (Esce)

La donna grassa            - (mette via il lavoro a maglia) Al­lora lei se ne lava le mani, signor Dzidek.

Il protagonista               - Completamente.

La donna grassa            - E io che ero venuta a trovarla con tante speranze. Pensavo che si sarebbe ricordato della nostra vecchia conoscenza e avrebbe teso teneramente la mano a una povera donna sola e abbandonata. Ma cosa può importarle se la secrezione dei miei ormoni gonadotropi è aumentata in modo anormale. Proprio cosi, signor Zbyszek...

Il protagonista               - Le ho già detto tante volte che mi chiamo Wacek.

La donna grassa            - Proprio cosi, signor Wacek, ho dei mal di testa sempre più frequenti, vampate di calore al­la testa, capogiri, dolori alle reni. Ultimamente mi sono anche accorta di avere lievi disturbi digestivi e sbalzi nell'elettrocardiogramma. Il dottore ritiene che sia suf­ficiente prendere estradiolo per via orale, sarebbe ancor più efficace il dietilstilbestrolo, ma non posso prender­lo perché mi dà nausee e dolori di pancia... E lei, si­gnor Wacek, che cosa mi consiglierebbe in questa situa­zione? Se non fosse perché la conosco fin da bambino, mi creda che non mi rivolgerei mai a un uomo per una cosa cosi intima.

Il protagonista               - (leggendo il giornale) Al primo po­sto nella campagna della produzione di quest'anno si è collocato in Polonia lo zuccherificio "Strzyzy" del di­stretto di Hrubieszòw.

La donna grassa            - Com'è cambiato il mondo. La gente è diventata completamente indifferente alle sofferenze del proprio prossimo. (Si odono voci di bimbi: "Mamma. Mamma. Mammina." La Donna grassa esce. Il Protago­nista disteso sul letto continua a leggere il giornale. Entra il Coro dei vecchi. I vecchi si siedono ai propri posti)

Coro dei vecchi             - Fa' qualcosa, muoviti, pensa, Lui se ne sta sul letto e il tempo passa. (// Protagonista si copre il volto col giornale) Dovresti dire o fare qualcosa, cerca di animare l'azione, magari anche solo ficcandoti le dita (// Protagonista continua a tacere) Non succede niente, che cosa vuol dire?

Il protagonista               - Lasciatemi in pace.

Coro dei vecchi             - Meno male che non dorme.

Il protagonista               - Dite che devo far qualcosa? Non so (sbadiglia)... forse...

Coro dei vecchi             - Di nuovo si addormenta, santo cielo! Eppure non c'è pan senza farina, in teatro bisogna recitare, si deve checchessia rappresentare!

Il protagonista               - Ma è sufficiente che il protagonista si gratti la testa, fissi la parete.

Coro dei vecchi             - È già qualcosa.

Il protagonista               - Ma non mi va di fare niente.

Coro dei vecchi             - Eppure perfino in Beckett qualcuno soffre, sogna, aspetta, ciancia, piange, crepa, cade, si gratta la pancia. Muoviti, sennò il teatro mandera in rovina.

Il protagonista               - Al circo delle pulci oggi danno l'Amleto, lasciatemi in pace, io me ne vado...

Coro dei vecchi             - Fermati!

Il protagonista               - Me ne vado.

Coro dei vecchi             - Dove?

Il protagonista               - Al cesso.

Coro dei vecchi             - È ubriaco.

Il protagonista               - Stupidi, lasciatemi dormire.

Coro dei vecchi             - Di nuovo ti metti a dormire, si può sapere che vuol dire?

Il protagonista               - Ah no. Io la faccio finita con loro! (Afferra sul tavolo un acuminato coltello da cucina, si avvicina ai Vecchi, che restano a sedere immobili. Il Protagonista trafigge uno dopo l'altro i Vecchi, e ta­glia la testa al terzo. Poi stende il Coro disteso sul pa­vimento. Si siede sul letto e sorride al pubblico. Si lava le mani. Cammina eccitato per la stanza, sempre più svelto. Si ferma. Si accosta alla parete e vi appoggia le mani) Su, prendi a testate il muro, avanti! Ma dove stai andando? Si può sapere, dove? Da quella scimuni­ta? All'ospedale, dall'umanità, in frigorifero, dalla vodka, tra le aringhe, tra le cosce, tra le gambe inguainate di seta, tra le tette di una ventenne. Lo vedi! Su, mordi, morditi le mani. Sono un ottimo pasto. Tutto ti muore sotto le mani, perché non credi a nulla. Pezzo d'asino, dove vuoi arrivare? Sono 38 anni che ti stai scalmanando per raggiungere qualcosa. Ma cosa? Il sole? La verità? Un muro, si. E adesso, ci sei ora al muro. Ah fratelli miei, fratelli della mia razza, della mia generazione. È a voi che parlo. Non vi posso capire, giovani e vecchi. (// Protagonista si rivolge verso il pubblico) Come è po­tuto avvenire? Non lo capisco. Eppure c'ero, e in me c'erano tante cose diverse e adesso non c'è più nulla. Qui. È vuoto qui dentro! No, non voglio! Non mi ben­date! Non voglio che mi bendiate gli occhi! (Silenzio) Voglio tenerli aperti fino alla fine. (Entra nella stanza una ragazza giovane e graziosa. Golfettino, gonna attil­lata. Tiene in mano la borsetta, una rivista, un libro, una mela. Attraversa la stanza due volte. Tipico esem­plare da concorso di bellezza. Si siede al tavolo. Dà un'occhiata al giornale. Si pettina. Tira fuori lo spec­chietto ecc. ecc. Si rivolge al Protagonista)

La ragazza                     - Una sfogliatina, per favore.

Il protagonista               - (come vergognandosi, parlando fra sé) Ma si, certo. In fondo... Si può anche farlo, chi me lo impedisce?

La ragazza                     - Una sfogliatina e un caffè, per favore.

Il protagonista               - (al pubblico) Quando ancora vivevo... ma davvero sarete scandalizzati... sarete annoiati, esila­rati da tutta questa storia.

La ragazza                     - Una sfogliatina e un caffè, per favore.

Il protagonista               - Cosa c'entra il caffè?

La ragazza                     - Ma non ha capito? Parlo forse male il polacco?

Il protagonista               - Perché lei non è polacca?

La ragazza                     - Meine Hobbies: Reisen, Biicher, Theater, Kunstgewerbe... Ich suche auf dieserà Wege eìnen froh-mutigen und charakterfesten Lebensgefàhrten... ich bin vollschlank, keine Modepuppe...

Il protagonista               - Lei è tedesca?

La ragazza                     - Si.

Il protagonista               - Molto piacere. Però, vede, sono co­stretto a farle notare che qui c'è un errore.

La ragazza                     - Ach, so?

Il protagonista               - Questa è un'abitazione privata. Qui ci abito io... Naturalmente sono molto lieto... non sia im­barazzata, la prego. Devo dirle una cosa... du bist wie eine Blume...

La ragazza                     - Ma allora questo non è il "Krokodil"?

Il protagonista               - Ah, i giovani, tutti storditi... quanti anni ha lei?

La ragazza                     - Diciotto... Ma era aperto, avevo visto del­le persone, signori e signore, che conversavano, prendevano il caffè...

Il protagonista               - (si siede al tavolo accanto alla Ragaz­za, le prende le mani fra le sue. La guarda a lungo in viso. La Ragazza gli sorride) La prego. Voi giovani riuscite a ridere di tutto... o forse sono soltanto degli stupidi giornalisti a rappresentarvi cosi... io ho fiducia in voi... non rida, la prego. Vorrei chiederle qualcosa. Solo pochi minuti... Voglio dirle... Ho sentito che parla­va tedesco. Lei è tedesca? Si. Ecco, veramente non è che abbia niente di speciale da dirle. Non pensi che vo­glia sedurla, che voglia portarla a letto.

La ragazza                     - Effettivamente qui c'è un letto, le chie­do scusa, non l'avevo notato.

Il protagonista               - Dio mio, se soltanto potesse capirmi. In fondo è cosi semplice. Mi conceda solo qualche mi­nuto e poi me ne vado, ma ho il dovere di dirglielo e lei ha il dovere di ascoltarmi. Voglio dirle come sono felice che lei ci sia. Che lei esista in questo mondo, cosi, che abbia diciott'anni, con questi occhi, questa bocca, questi capelli, e che sorrida. Cosi dev'essere. Proprio cosi. Una ragazza, con il volto chiaro e pulito, con oc­chi che non hanno visto... che non hanno visto. Voglio dirle solo una cosa: stia tranquilla che non ho nessun rancore nei suoi confronti, e le auguro ogni felicità. Le auguro di sorridere sempre cosi e di essere felice. Vede, io sono sommerso dal fango, dal sangue... suo padre e io, siamo stati a caccia nei boschi. La ragazza    - A caccia? Di che?...

Il protagonista               - L'uno dell'altro. Con carabine, fucili... no, non starò a raccontarglielo... Adesso i boschi sono tornati quieti, non è vero? C'è silenzio nei boschi. La prego, sorrida... In te è tutta la speranza e la gioia del mondo. Devi essere buona, pura, contenta. Devi amarci. Noi tutti siamo stati in una terribile oscurità sotto terra. Ecco, volevo dire ancora una volta: io, vecchio partigia­no polacco, le auguro ogni felicità. Auguro felicità alla vostra gioventù come alla nostra. E ora salutiamoci. Non ci rivedremo più. Tutto questo discorso dev'essere stato un po' ridicolo. E stupido, tremendamente stupido. Pos­sibile che non si possa dire, spiegare niente a un altro essere umano? Che non si possa comunicare quel che c'è di più importante... mio Dio! (Un attimo di silenzio. Ancora una pausa. Dal megafono si ode un grido inarti­colato. Poi i comandi più distinti: "Aufstehen! Aufste-hen!" Il Protagonista si alza in piedi, e si mette "sul­l'attenti" vicino alla sedia. La Ragazza, come se non aves­se udito nulla, guarda con stupore il Protagonista)

L'altoparlante                - "Raus! Alles raus! Maul halten, Klap-pe zu, Schnabel halten! Willst du noch quatschen? Du hast aber Mist gemacht! Du Arschloch, Schweinhund, du Drecksack!"   - (Il Protagonista resta fermo accanto al­la parete. Preme il volto contro il muro. Il megafono ta­ce. Silenzio. La Ragazza si alza ed esce in punta di pie­di. Lascia sul tavolo la mela rossa. Un minuto di silenzio)

Coro dei vecchi             - (declama):

Non temere

questa è la tua stanza

non vedi

qui c'è il tavolo e li l'armadio

sul tavolo la mela

hai paura dei mobili

sciocchino

quel signore non verrà più. Tu hai paura della sedia di un vecchio giornale di qualcuno che bussa di una voce nell'altra stanza sei strambo oppure forse lo fai per distinguerti.

Sorridi

quel signore non verrà più

non nasconderti negli angoli

non stare contro il muro

nessuno te l'ha ordinato

di metterti al muro

di' qualcosa, rispondi. (Entra nella stanza il Professore con la cartella sotto braccio. Si siede al tavolo. Inforca gli occhiali. Non presta attenzione a niente e a nessuno. Parla. Fa delle domande. La parte del Professore può essere assegnata allo stesso attore che già aveva fatto quella dello Zio. Invece dei baffi ha gli occhiali)

Il professore                  - Mi raccomando di non perdere la calma. Ha tutto il tempo.

Il primo vecchio            - Che cosa ci fa lei qui?

Il professore                  - Oggi deve dare l'esame di maturità. Son qui per questo.

Il primo vecchio            - Va bene, ma perché tanta fretta, perché oggi?

Il professore                  - È già in ritardo di vent'anni. Non pos­so più aspettare.

Il primo vecchio            - Su cosa vertono le domande?

Il professore                  - (per tutto il tempo assorto a sfogliare le sue carte) Su diversi argomenti. Si sieda. Può pre­pararsi intanto.

Il primo vecchio            - Davvero, ma lei si rende conto...

Il professore                  - Che cosa mi sa dire in merito all'an­nessione della Rutenia Subcarpatica alla corona polacca? (Il Secondo vecchio porge al Protagonista una tazzina di caffè. Lo accompagna al letto, lo corica e gli stende sopra la coperta)

Il primo vecchio            - Con la morte del re Daniele ebbe inizio un periodo di decadenza nella Rutenia Subcarpati­ca. E’ bensì vero che uno dei suoi figli, Szwarno, essen­do genero di Mendog, occupò per breve tempo il trono lituano, ma sull'altro, Leone I, le cronache tramandano un giudizio alquanto negativo. Dopo di lui regnò breve­mente suo figlio Giorgio I, il quale riunì nelle sue mani i principati di Wlodzimierz e di Halicz. I suoi figli, Andrea di Wlodzimierz e Leone II di Halicz, perdettero a vantaggio di Giedymin le regioni del Podlasie e del Polesie, ma successivamente strinsero con costui buoni rapporti, e uno dei figli di Giedymin, Lubart, impalmò Busza, figlia di Andrea. Nipote di entrambi i principi era Boleslaw, figlio del principe di Masuria, Trojden, il quale aveva sposato una figlia di Giedymin, che era per­ciò sorella di Aldona, moglie di Casimiro il Grande...

Il professore                  - (guardando le carte) Ottimo, perfetto. Bravo giovanotto, vedo che lei è perfettamente preparato ad affrontare i problemi della vita. Veramente lei ha già superato brillantemente il suo esame, ma devo porle an­cora qualche domanda, lei mi comprende, una mera for­malità,.. Mi dica, che cosa ha Ietto ultimamente?

Il primo vecchio            - Il giornale.

Il professore                  - E sul giornale?

Il primo vecchio            - La piccola posta.

Il professore                  - Mi riferisca con parole sue.

Il primo vecchio            - C'era una certa Marysia che du­rante le vacanze si è innamorata di Wacek, poi sono stati insieme per un po', ma precedentemente Wacek, che per Marysia era stato il primo, ardente amore, andava con Jadzia, cosa che lui aveva tenuta nascosta a Marysia. Ora Wacek è andato a fare il militare, e io gli ho scritto che aspetto un bambino, ma la cosa era succes­sa prima, Wacek non rispondeva ma poi mi scrisse che lui un bambino Io aspetta con Jadzia, la quale però an­dava con Tadek. I miei genitori non mi permettevano di andare con Jacek, perché Wacek era più giovane di me di 50 anni. Cara Amica, io ho ora 16 anni, e quando conobbi Gienko avevo appena otto anni e credevo nella gente. Ora ho perso la mia fiducia in Wacek e sono mo­strata a dito in tutto il paese. Consigliami, cara Amica, cosa devo fare. Mi trovo in una situazione tanto più grave, in quanto la mia mamma che era stata sterile per 70 anni ora è guarita e aspetta anche lei un bambino. Credi che per me ci possa essere ancora un'esistenza possibile?

Il professore                  - Voi giovani siete portati esclusivamen­te a godere la vita... È un fatto, un fatto ben triste... ma chi dovrà soffrire a questo mondo...

Il primo vecchio            - Giusto, signor professore.

Il professore                  - Che piani ha per il futuro?

Il primo vecchio            - Mi accingo allo studio del cinese.

Il professore                  - Veramente lodevole... E quanti anni ha lei?

Il primo vecchio            - Ottanta...

Il professore                  - Bene, giovanotto, tieni a mente che tutto quello che accumuliamo da giovani sarà poi un prezioso tesoro nella vecchiaia. Grazie. Non ho altre domande da fare. (il Primo vecchio riprende il proprio posto tra i compagni. Il Coro dei vecchi siede di nuovo al completo accosto al muro) Ah, un momento. Dimenti­cavo. Dimmi ancora, che cos'è che ti fa amare Chopin?

Il primo vecchio            - Chopin celò sotto i fiori le bocche dei cannoni, signor professore, e rese illustre il nome della Polonia nel mondo.

Il professore                  - Va bene, ma che cosa provi ascoltando tutto l'anno la sua musica?

Il primo vecchio            - Provo una profonda gratitudine per il compositore.

Il professore                  - (scuote la testa) E dicono che la no­stra gioventù è cinica e indifferente.

Il protagonista               - (si alza e fa un cenno col dito al Profes­sore) Signor professore! Favorisca ora qui da me (Il Professore va a sedersi sul letto accanto a lui. Il Prota­gonista protendendo verso il Professore la mano aperta) Cos'è questa, signor professore?

Il professore                  - Una mano.

Il protagonista               - (serra la mano) E questo?

Il professore                  - Un pugno.

Il protagonista               - (aprendo e chiudendo la mano) Mano, pugno, mano, pugno, mano, pugno. Con la mano si può uccidere, strozzare, scrivere una poesia o delle ricette, si può anche carezzare. (Accarezza il Professore sulla guancia. Prende in mano la mela) Che cos'è?

Il professore                  - Una mela.

Il protagonista               - (indica un bottone) E questo?

Il professore                  - Un bottone.

Coro dei vecchi             - Botanica Bomeo bonifica bordello bonzo bottone bonaccia borghigiano bombola Bonifacio                                  - (Il Coro dei vecchi si interrompe d'improvviso... i vec­chi tacciono come folgorati. Nella stanza è entrata la Segretaria. È la stessa personcina che all'inizio emetteva la Voce da sotto le coperte. La gonna attillata mette in risalto le natiche tondeggianti. Il Coro dei vecchi la segue con lo sguardo... La Segretaria si siede sul letto. Apre la cartella dei documenti)

La segretaria                 - La firma, signor direttore. (Il Prota­gonista firma in silenzio, con il dito indice, i vari docu­menti)

Coro dei vecchi             - Si je trépasse entre tes bras, Madame Je suis content: aussi ne veux-je avoir Plus grand honneur au monde que me voir En te baisant dans ton sein rendreI'àme.

La segretaria                 - Ronsard. Gli amori di Cassandra. Set-tantanovesimo sonetto.

Coro dei vecchi             - Questa poi!

La segretaria                 - Licenziosa ma licenziata. (Al Protago­nista) C'è un giornalista che attende sotto la finestra, vorrebbe intervistarla.

Il protagonista               - Domani.

La segretaria                 - È dallo scorso anno che aspetta. Lei capisce, signor direttore, al giorno d'oggi conta anzitutto la celerità delle informazioni, le agenzie aspettano le no­tizie più recenti, le indiscrezioni, i pettegolezzi...

Il protagonista               - (al Professore) Mi scusi, sono molto occupato. (Il Professore si alza. Sulla porta si volta an­cora)

Il professore                  - Ancora una piccola domanda. Non avrebbe per caso da imprestarmi mille zloty? No?... Cen­to... Mi spiace. Ciao, bambino(Se ne va con la sua borsa e la sua barba)

La segretaria                 - (sbadiglia e si stira) Sono cosi stanca, ho sonno. Vado a letto. (Si mette a letto e comincia a dormire. Varie persone passano per la stanza, come cam­minando su un marciapiede. Un tizio con la cartella. Una giovane coppia. Si fermano, si guardano intorno per as­sicurarsi di non essere visti, poi si baciano a lungo con passione. Due signore di mezz'età traversano rapidamen­te la scena dicendo: "la carne, della carne, nella carne, con la carne, di carne, senza carne." Escono anche loro. Entrano i genitori del Protagonista. La Madre con un dito alle labbra. Si fermano accanto al letto. Il Padre guarda l'orologio)

Il padre                         - Si, è ormai ora! (La Madre scambia con lui un'occhiata d'intesa) Vedi, Wladek... dobbiamo parlare un po' di certe...

La madre                       - Tadek...

Il padre                         - Vedi, Tadek, oggi voglio parlarti come si parla con un uomo. Si sa, gli anni corrono... Avrai cer­tamente osservato nel tuo organismo certe inquietanti trasformazioni. La tua barba si fa più dura e più fitta, i capelli cadono a poco a poco, la voce diventa più rauca con un... A volte fai certi sogni, e poi ti risvegli e pensi a diverse cose...

La madre                       - (con commozione) Ti ricordi, Kornel, non molto tempo fa gli mostravi la finestrella da cui la cico­gna lo aveva scaricato nel nostro appartamento... Povere noi mamme...

Il padre                         - Vedi, figliolo, scopo della vita è la perpe­tuazione della vita stessa. Il mezzo più rudimentale usato a questo scopo dalla natura è la riproduzione asessuata. Essa si opera per scissione o per gemmazione. L'indi­viduo si suddivide di solito in due parti, oppure su di lui comincia a crescere una specie di gemma, che dopo un certo tempo si distacca formando un nuovo individuo.

La madre                       - Questo non me l'avevi mai detto...

Il padre                         - Celebre è la partenogenesi del moscerino dell'aceto. Non meno interessante quella della filossera.

Coro dei vecchi             - Capra caprone capricorno capelve­nere Castiglia casamatta castigare casseruola

Il padre                         - (guarda l'orologio) Non è certo il caso di dilungarsi in una minuziosa descrizione della esteriore meccanica dell'amore in tutte le specie animali. Richie­derebbe troppo tempo e sarebbe del resto fuori posto e di scarso interesse. Nei grilli il maschio possiede un appa­rato musicale, mentre la femmina è dotata di un organo dell'udito, potentemente sviluppato, situato tra le zampe posteriori. Analogamente nelle cicale soltanto il maschio è in grado di emettere suoni... Tali suoni sono forse dei richiami d'amore?

La madre                       - Non lo so.

Il padre                         - (guarda l'orologio) Ma c'è sempre tempo per apprendere... La cosa migliore, Wacek, è non lasciarsi frastornare da queste sciocchezze. (Il padre si china sopra il Protagonista dormiente, lo bacia sulla fronte. I geni­tori escono)

Il protagonista               - Peccato che tu stessi dormendo. C'era qui mio padre che raccontava un sacco di cose interessanti.

La segretaria                 - Hai un padre? Che buffo.

Il protagonista               - E una madre, anche.

La segretaria                 - Ha, ha, ha, ha. (Cioè ride)

Il protagonista               - Cos'hai da ridere?

La segretaria                 - Non riesco a immaginarti in forma di embrione. Allora dovevi essere piccino cosi, come la punta del mio pollice?

Il protagonista               - Naturale...

La segretaria                 - E poi poppavi?

Il protagonista               - Mi allattavano con la bottiglia.

La segretaria                 - E facevi la cacca, la cacchina dorata nelle fasce... E i baffi, la barba?... Quando è cominciato tutto questo?

Il protagonista               - Lunedì scorso.

La segretaria                 - Oh, sentite che vocione ha messo su il mio gallettino...

Il protagonista               - Povero papà...

La segretaria                 - Perché povero? Raccontami del tuo vecchio.

Il protagonista               - Se mio padre fosse capitano di vascello vescovo se avesse una sciabola una stella un [nastro un trono una corona se avesse scoperto l'America ottenuto un'onorificenza se in una parola si staccasse anche di poco dalla gente comune e grigia

La segretaria                 - Tesoro, la gente non è grigia.

Il protagonista               - ... se fosse diverso da questa gente grigia e comune se fosse un antropofago Gina Lollobrigida un cosmonauta. Ma lui era un piccolo impiegato in una cittadina di provincia come me come te come noi tutti. Gente simile se ne va presto. La si dimentica. Voi uscirete di qua e mi dimenticherete. Non è vero che già mi state dimenticando? (La Segretaria prende in mano la mela)

Il protagonista               - Quand'ero un ragazzino, sognavo di diventare pompiere. Volevo avere l'elmo scintillante, il cinturone, l'accetta. Mi immaginavo a portar fuori da una casa in fiamme una ragazzetta che conoscevo, e tutti mi ammiravano, mi ringraziavano, mi davano la medaglia. Correvo per il cortile a braccia aperte. (// Protagonista apre le braccia e fa con la voce il verso di un motore) E allora mi pareva di essere un aeroplano e aviatore. Gio­cavo anche a fare il cavallino... Quando cominciai a an­dare a scuola i miei sogni cambiarono, volevo diventare viaggiatore, milionario, poeta oppure santo.

La segretaria                 - E ora?

Il protagonista               - Ora sono sempre me stesso. Ho va­gato per tanto tempo, prima di arrivarci. A me stesso.

La segretaria                 - É cosa si vede dentro se stessi? Che cosa c'è?

Il protagonista               - Niente. È tutto fuori. Li ci sono volti, alberi, nubi, morti... e tutto questo non fa che scorrere attraverso di me. L'orizzonte si restringe continuamente. Quando chiudo gli occhi vedo tutto distintamente. È con gli occhi chiusi che riesco a vedere amore, fede, verità...

La segretaria                 - Non me ne intendo di queste cose.

Il protagonista               - Si, è cosi...

La segretaria                 - (porge la mela al Protagonista) Man­giala... lasciati tentare... Si è addormentato... (Si mette a sedere sul letto, sorride, morsica la mela) Gli uomini so­no tremendamente infantili. Aspirano per tutta la vita a qualcosa, e quando hanno raggiunto lo scopo cominciano a disperarsi. Si affannano, si ammazzano. Non potrebbe mai maturare un seme in uno di loro. Sono sbadati. Nes­suno di loro sarebbe capace di custodire per nove mesi un frutto nel ventre. Per fortuna tocca a noi generare e portare avanti la vita... Loro sono degli astrattisti nati. Portano in sé la morte.

Coro dei vecchi             - (ad alta voce) Colui che ancora nella culla affrontò l'Idra.

La segretaria                 - Ssss... silenzio...

Coro dei vecchi             - (declama sotto voce): In giovinezza annienterà i Centauri, All'inferno sottrarrà le vittime, Salirà fino in cielo a cogliere lauri.

La segretaria                 - Lasciatelo in pace! (Il Coro dei vecchi ripiega i seggiolini e lascia in punta di piedi la stanza. La Segretaria si guarda nello specchietto. Diverse persone attraversano la stanza. Alcuni passano frettolosi, altri adagio. Conversano animatamente, leggono il giornale, ri­chiamano bambini invisibili, si salutano. Un giovane e una ragazzina, si fermano a baciarsi, poi vanno oltre. Entra il Giornalista. Attraversa tutta la stanza, poi torna in­dietro. Si guarda attorno, come cercando una casa che non conosce. Si addentra nella stanza, si ferma accanto al letto in cui dorme il Protagonista. La Segretaria non gli bada. Prende sottobraccio uno che sta passando in quel momento e esce dalla stanza)

Il giornalista                  - (si accende una sigaretta, cammina su e giù. Spegne la sigaretta. Afferra il Protagonista per un braccio) Signore, signore! (Il Protagonista emette dei suoni inarticolati) Si svegli, sono io!

Il protagonista               - (sedendosi sul letto) Cosa?! Chi?!

Il giornalista                  - Sono io, devo porle alcune domande.

Il protagonista               - Lei, a me?

Il giornalista                  - (tira fuori di tasca il notes) La sua segretaria le avrà certamente ricordato...

Il protagonista               - Ah, lei è il giornalista? Non ha visto una mela sul tavolo?

Il giornalista                  - No.

Il protagonista               - Magari sarà stato lei a mangiarsela, la mela... Dell'albero del bene e del male.

Il giornalista                  - (ride) No, non l'ho mangiata.

Il protagonista               - (assorto) Siete capaci di tutto, voi giornalisti...

Il giornalista                  - Vorrei parlare con Lei seriamente. In occasione dell'anno nuovo la nostra agenzia desidera condurre un'inchiesta con delle personalità in vista e an­che con comuni...

Il protagonista               - ... semplici...

Il giornalista                  - ... certo, con la gente semplice e comune.

Il protagonista               - Ebbene?

Il giornalista                  - Si vorrebbe sapere, qual è il suo scopo nella vita?

Il protagonista               - L'ho già raggiunto, e ora mi riesce un po' difficile spiegare...

Il giornalista                  - Ma lei è contento di vivere?

Il protagonista               - Si... no... si... si, ecco.

Il giornalista                  - E perché?

Il protagonista               - Che ne so io?

Il giornalista                  - E chi dovrebbe saperlo?

Il protagonista               - Non so.

Il giornalista                  - E che cosa vorrebbe fare ancora?

Il protagonista               - Be'... ho diversi piani, vorrei, insom­ma... a dire il vero...

Il giornalista                  - (prende nota. Riflette un po', poi brusca­mente) Quali sono le sue opinioni politiche?

Il protagonista               - E chi ha delle opinioni politiche alle cinque di mattina? Ma lei è matto! Vorrebbe che avessi delle opinioni a quest'ora! Bisogna lavarsi prima, vestirsi, fare le proprie cose, pulirsi i denti, cambiarsi la cami­cia, metter la cravatta, infilarsi i calzoni e solo allora si può cominciare con le opinioni politiche...

 Il giornalista                 - Comprendo... Lei crede nella salvezza?

Il protagonista               - Si... no... ecco, direi... fino a un certo punto... ma mi fa certe domande!

Il giornalista                  - Se non erro, lei è un uomo semplice?

Il protagonista               - Si.

Il giornalista                  - Lei sa che il destino del mondo è nelle sue mani?

Il protagonista               - Fino a un certo punto.

Il giornalista                  - Che cosa intende fare, per difendere la pace nel mondo?

Il protagonista               - Non lo so.

Il giornalista                  - Lei si rende conto che in caso di guerra atomica l'umanità verrebbe distrutta?

Il protagonista               - (quasi allegramente) Certo, certo.

Il giornalista                  - E che cosa fa per scongiurare un simile flagello?

Il protagonista               - (ride) Nulla.

Il giornalista                  - Ma lei ama l'umanità?

Il protagonista               - Certamente.

Il giornalista                  - E perché?

Il protagonista               - Non lo so ancora. Mi è difficile spie­garmi, sono appena le cinque di mattina, ripassi verso mezzogiorno, forse allora lo saprò.

Il giornalista                  - (rimette in tasca il notes) Non posso dire di aver cavato molto da lei.

Il protagonista               - È venuto troppo tardi.

Il giornalista                  - Arrivederci. (// Protagonista tace. Mu­sica concreta: rumori della città)

 

FINE