Casagrande Vincenzo, servitore per nascita

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Valerio Elampe

Valerio Elampe

CASAGRANDE VINCENZO, SERVITORE PER NASCITA

(prima guerra mondiale)

due atti

personaggi:

CENTINO

MENICO

MELINA

CARMAGNOLA

MARIO

CECILIA

DORINA

ASSUNTA


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

(Esterno. Spiazzo erboso. Fuori scena è la casa della Gomba, alla cui costruzione  lavorano cantando MENICO e CENTINO)

            Io parto per l’America

            sul lungo bastimento,

            parto col cuor contento

            per non vederti più.

           

Voce di MENICO. Buttane un’altra. Ancora un carico di pietre della Talloria e i muri sono finiti. Poi dobbiamo pensare alla copertura. Quella è una spesa che vale una giornata di prato. Ma se Carmagnola ci aiuta, può farci risparmiare almeno cinquanta scudi. Impasta dell’altro fango.

CENTINO. (entra e impasta del fango in un secchio) Cosa si compra con cinquanta scudi?

Voce di MENICO. Eh, tante cose. Cento mine di grano, venti quintali, solo per dirne una. Io credo che Carmagnola non si tirerà indietro. (entra)

CENTINO. Voi lo avete aiutato quando era il momento. Il fango è pronto.

MENICO. Fammi vedere. (caccia una mano dentro il secchio) Bravo, Centino. E’ spesso che va bene. Andiamo. Adesso continui a lanciarmi le pietre. (esce)

CENTINO. (esce portando il secchio)

Voce di MENICO. Aspetta che salgo. Gettane una.

Voce di CENTINO. Prendete!

Voce di MENICO. E sta’ attento, che le pietre sono dure. (riprendono a cantare)

            Ma prima di partire

            voglio passare in piazza

            vedere quella ragazza

            che piangerà per me.

MELINA. (entra, portando al braccio un fagotto avvolto in un asciugamani; lo depone per terra e lo apre; esso contiene pane, lardo e una bottiglia di vino; stende l’asciugamano e vi sistema frettolosamente il cibo e il vino; quindi, volgendosi verso la parte dalla quale sono usciti Menico e Centino, appoggia le mani contro i fianchi e chiama senza fare un passo) Menico!

Voce di MENICO. (smettendo di colpo di cantare) La tua padrona ci chiama. Guarda se ha portato da mangiare.

CENTINO. (entra)

MELINA. Si capisce che ho portato da mangiare. In caso contrario, non so cosa sarei venuta a fare.

CENTINO. Vostra moglie ha detto di sì. (siede)

Voce di MENICO. Ho sentito.

MELINA. (a Centino, che ha afferrato un pezzo di pane) Posa quel pane! Aspetta che si serva il tuo padrone.

CENTINO. (posa il pane e china il capo; forte, per farsi sentire da Menico) E’ già pronto.

Voce di MENICO. Scendo all’istante!

MELINA. Sta’ tranquillo che quando c’è da mangiare non si fa aspettare. Gli viene il fuoco dentro i pantaloni.

MENICO. (entra) Ce l’avete con me? (siede e agguanta del pane)

MELINA. Guardatelo!

MENICO. Cosa c’è, adesso?

MELINA. Si butta addosso al mangiare come un maiale. Potevate almeno pulirvi le mani.

MENICO. (depone il pane) Delle balle! (si frega in fretta le mani sui pantaloni) Siete contenta adesso? (riprende il pane; a Centino) Prendi del pane. Non aspettare che te lo dica io. Mangia!

MELINA. Fareste bene a pensare a vostro figlio, invece di fare culo e camicia con il servitore.

MENICO. Mario?

MELINA. Stamattina ho dovuto chiamarlo tre volte. Adesso è là che dorme con gli occhi spalancati.

MENICO. Questo vuol dire che ieri sera è scappato un’altra volta!

MELINA. Vostro figlio ce la fa sotto il naso e voi neanche ve ne accorgete.

MENICO. Adesso andate. Se tirate il latte alla vacca, fate attenzione. Quella bestia, bisogna starle attorno con le orecchie dritte. Tornando, passate dai Manzoni e dite a Carmagnola che devo parlargli. In quanto a Mario, come arrivo a casa, mi sente!

MELINA. L’ho tenuto d’occhio. Sta in piedi, ma ha il cuore che dorme. In mezz’ora che zappava, ha tagliato due viti nel culo.

MENICO. Stasera è la volta che uso di nuovo la cinghia.

MELINA. E farete bene a farlo! (esce)

MENICO. (forte, dietro a Melina che se n’è andata) Questo lo so da me! (a Centino) Tu mangia, mangia, va’!, che tu non sei come quel disperato, grazie a Dio. (cigolio di carretta)

CENTINO. (si alza e guarda fuori)

MENICO. Il sabato che viene ti porto in Alba con me, al mercato.

CENTINO. C’è Dorina dei Boschi che sale per la strada con la sua carretta.

MENICO. Scommetto che porta la pasta a cuocere al forno di Cecilia delle Delizie.

CENTINO. Ma se uno guarda una donna in mezzo alle gambe, è vero che poi diventa cieco?

MENICO. Chi te l’ha detto?

CENTINO. Quando ero piccolo, la padrona che mi teneva prima di voi.

MENICO. E tu?

CENTINO. E io ho sempre avuto paura. Quando le donne si chinano e di dietro si alza la gonna, io mi volto dall’altra parte.

MENICO. (ride) Stai fresco, se credi ancora alle storie che raccontano le vecchie. Adesso sei un uomo. Devi pensare a sposarti. Ti tiri in casa una donna che ti faccia da padrona, ma che sia a comando.

CENTINO. Sposarsi, si sposano tutti.

MENICO. Bravo, merluzzo! Non è mica come cacciarsi una capra nella stalla. Devi fare attenzione a chi ti vai a prendere. Ma se... (indicando col capo) Dorina ti piacesse, io sarei contento. Mettiamo uno di mezzo e lo facciamo dire a suo padre.

CENTINO. Dorina?!? (guarda verso la strada) Dorina, quella? Ma i suoi di Dorina sono contenti se la figlia sposa un servitore?

MENICO. Tu non pensarci. Ti sistemo io che quelli dei Boschi si leccano i gomiti quando vengono a saperlo. Però prima occorre che le informazioni siano buone. Noi andiamo dal prevosto. Per te c’è qualche difficoltà. Tu sei un trovatello.

CENTINO. Voi, padrone, non mi trattate come un servitore.

MENICO. In Alba portiamo la vacca al mercato e ci facciamo uscire i soldi per i coppi. Tanto è una bestia ribelle. Finito il mercato, passiamo da un notaio. Ti voglio intestare la Gomba.

CENTINO. La Gomba?

MENICO. Te ti ho preso che eri un bambino. Mi ricordo come se fosse ieri. I tuoi padroni ti avevano portato a Feisoglio, sul mercato dei servitori. Ci mettiamo d’accordo sul tuo conto e loro ti dicono di venire con me. Tu ti volti e metti la mano nella mia. Era fredda come il ghiaccio. Poi alzi la testa, mi guardi con la faccia seria e mi dici: signor padrone, andiamo pure. Io allora ho capito subito che tu come figlio mi saresti piaciuto. Un figlio solo è troppo poco. Mario non avrà nulla da dire sul conto di suo padre. Quando morirò, la Cerretta sarà sua. E la Cerretta è l’eredità che suo nonno ha lasciato a me. Dopo le nozze voglio che porti la tua sposa a Torino. Così vedete il mondo. Quando andate a tirare il biglietto?

CENTINO. Il giovedì della settimana che viene.

MENICO. Se diamo subito avvio all’affare, magari ti sposi ancora prima di partire soldato. In caso contrario, quando torni, è la prima cosa che fai.

CARMAGNOLA. (entra) Buondì, Menico. La vostra sposa mi ha detto che avete da parlarmi.

MENICO. (mentre accende un toscano) Ho bisogno di un favore da voi. Lavorate sempre alla fornace del Gallo?

CARMAGNOLA. Sì.

MENICO. A che ora incominciate al mattino?

CARMAGNOLA. Alle sette.

MENICO. Se noi una mattina per le quattro veniamo con voi alla fornace a impastare e fare le forme e poi al padrone paghiamo fango e cottura, sarebbe un bel risparmio. Cosa ne dite?

CARMAGNOLA. Domani stesso ne parlo col padrone.

MENICO. Le ore che fate in più ve le pago io.

CARMAGNOLA. Di questo non vi dovete preoccupare.

MENICO. Noi, Centino, è meglio che ci muoviamo. (si alza)

CENTINO. (mentre si alza a sua volta) Comandate.

MENICO. Sapete? Può darsi che entro due mesi il nostro Centino si sposi.

CARMAGNOLA. Con chi?

MENICO. Abbiamo pensato a Dorina dei Boschi. La conoscete?

CARMAGNOLA. I suoi di casa la mandano ogni settimana a farmi il bucato. Vi siete già intesi?

MENICO. No. L’affare non è ancora partito.

CARMAGNOLA. E allora vi dico che una di queste sere faccio un passo fino ai Boschi e porto io l’ambasciata.

MENICO. Siete un uomo di gran cuore, se ci fate un’opera buona come questa.

CENTINO. (a Carmagnola) Voi nella vita non vi siete sposato.

CARMAGNOLA. Eh, io... (a Menico) La tosse mi è andata via, sapete? E dei gonfiori non è rimasto altro che un alone.

MENICO. Se penso a come vi ho trovato... Chi vi ha preso a bastonate voleva farvi più male di quello che vi ha fatto. (a Centino) Metti a posto il mangiare.

CENTINO. (esegue ed esce)

MENICO. (spegne il toscano, si sputa sulle mani, prende il secchio; a Carmagnola, che si sta allontanando) Io credo che quella gente... voleva farvi morire

Voce di CENTINO. (riprende a cantare a squarciagola)

SCENA SECONDA

(Interno: cucina della Cerretta. Sul proscenio, di lato, CENTINO sta intarsiando la corteccia di un bastone. Al centro, seduto al tavolo, MENICO fuma un toscano. Verso il fondo, su una panchetta, è collocato un secchio, vicino al quale siede MARIO a torso nudo. MELINA è intenta a medicargli la schiena)

MELINA. Guardate, se era il caso di conciare vostro figlio in questo stato!

MENICO. Eravate contenta che usassi la cinghia.

MELINA. Voglio vedere, se gli viene il tetano e se lo porta via. Morto questo, morti tutti. Di figli ne abbiamo uno, non dodici, (con intenzione) e nemmeno due! (versa un sorso di grappa sulla schiena di Mario)

MARIO. Ah!

MENICO. State attenta. Non vedete che gli fate male?

MELINA. Ah, sono io quella che devo stare attenta!

MARIO. (alzandosi) Accidenti, come brucia!

MELINA. Vieni qui. Se non stai fermo, come faccio? Devo finire di lavare e poi ti metto di nuovo la benda.

MARIO. (sedendosi) Voi però fate piano!

MENICO. Se brucia, ti sta bene: Un’altra notte, prima di scappare, ci pensi sopra due volte.

MELINA. (mentre lacera uno straccio di tela bianca per farne delle bende) Io non so perchè stasera tardate tanto a salire di sopra. Domani vi dovete alzare presto, se volete arrivare per tempo sul mercato.

MENICO. Aspettiamo visite.

MELINA. (a MARIO, che esegue) Alza le braccia. (prende a fasciare il torace del figlio) Visite?

MARIO. Pa’, perché non portate anche me, domani?

MENICO. Tu sei già venuto due volte. Domani tocca a Centino.

MARIO. Viene anche Centino.

MENICO. Se vuoi che ti porti di nuovo con me, devi rigare diritto. E chiuso l’argomento! (a Melina) Avete preparato le robe?

MELINA. Sono di sopra, ai piedi del letto. C’era una camicia che devo dargli due punti sul collo. Adesso salgo con Mario, che va a dormire, la porto giù e l’aggiusto. Tanto, se dovete vegliare, questo lume lo tenete acceso. (a Mario) Metti la maglia e andiamo. (accende una candela e ne ripara la fiamma con la mano; a Mario) Da’ la buona notte a tuo padre.

MARIO. Buona notte, pa’. (esce, seguendo MELINA)

MENICO. Buona notte. (si volta verso Centino) Fammi vedere quel bastone.

CENTINO. (mostrando il bastone) Sono arrivato a metà.

MENICO. E’ proprio ben fatto.

CENTINO. (riprendendo a lavorare) Gli ultimi giri glieli do per traverso.

MENICO. (dopo una breve pausa, a capo chino) Centino!

CENTINO. (voltandosi) Comandate.

MENICO. (senza alzare la testa) Il giorno che tiri il biglietto andiamo insieme all’orfanotrofio e io ti prendo per figlio. Da stasera, se vuoi... chiamami pa’.

Voce di CARMAGNOLA. Si può entrare?

MENICO. Oh, Carmagnola. Venite avanti e sedetevi.

CARMAGNOLA. (entra e siede) Ho parlato con quelli dei Boschi.

MENICO. (sedendo) Avete parlato? Ah, bene! E allora, cosa ci dite? Non fateci stare sulle spine.

CARMAGNOLA. Ci aspettano il sabato che viene, di sera, dopo mangiato. C’è qualche difficoltà, ma in via di principio si può trattare. (a MELINA, che sta entrando) Buona sera, Melina.

MELINA. Buona sera. (siede sulla panchetta e prende a rammendare una camicia)

MENICO. Ah, dunque, ci sono delle difficoltà.

CARMAGNOLA. In ogni caso, tutta la faccenda sarebbe da rimandarsi a dopo il soldato. E poi...

MELINA. (subito interessata) Ma di che parlate?

MENICO. Non vi riguarda. (a Carmagnola) E poi?

CARMAGNOLA. Dicono che è soltanto un servitore.

MENICO. E voi?

CARMAGNOLA. Io non ero autorizzato ad aggiungere altro. Vi aspettano. Non hanno accennato al fatto che è figlio di enne enne.

MELINA. Santa Vergine! E’ di Centino che stanno parlando.

MENICO. Sono gente che hanno già le loro faccende da nascondere.

CARMAGNOLA. Voi dite?

MENICO. Ho sentito delle voci, ma non sulla ragazza. La ragazza è in regola. Avete trattato la dote?

CARMAGNOLA. Sono disposti a tirare fuori i napoleoni che la vendita del vino ai Francesi gli ha reso in questi ultimi due anni. Ce n’è quasi per duemila lire. Ma vogliono l’ipoteca su due giornate di vigna, a beneficio della figlia, da parte dello sposo. Sapete? Non sono riuscito a capire quale sia il padre della nostra Dorina. Tutti e tre se la prendono calda per maritarla come si deve.

MENICO. (a Melina) Andate in cantina e portateci una bottiglia.

MELINA. (alzandosi e andando) Ecco a cosa serve una donna: a fare da serva! (esce)

MENICO. (guarda Melina uscire; poi, piano, per non farsi udire da lei) Con Centino sono a posto, ve lo dico io. Se è due giornate che vogliono, Centino dispone almeno del doppio. Voglio mettergli in testa la Gomba. Oggi abbiamo finito la travatura del tetto. Mancano solo più i coppi.

CARMAGNOLA. I vostri di casa lo sanno che avete intenzione di darla a Centino?

MENICO. Voglio farvi una confidenza. Sono dieci anni che penso a questo giovanotto. Da quando l’ho preso al mercato, mi sono sentito in dovere di dargli un avvenire. Per dieci anni ho fatto il mezzadro alla Gomba prima di poterla comprare. E sempre lavorando la Cerretta. Ma la mia vecchia, niente!, saprà quando sarà il momento. (a denti stretti, dopo aver guardato verso l’esterno) Adesso è meglio che non tocchiamo più questo tasto.

CARMAGNOLA. Ah!

MELINA. (entra, portando una bottiglia e due bicchieri)

CARMAGNOLA. Qui c’è la vostra Melina con le bevande.

MENICO. (ammiccando) Avete capito?

MELINA. A forza di parlare, vi si sarà seccata la lingua.

CARMAGNOLA. Siete proprio una brava padrona di casa. Il vostro Menico è un uomo fortunato.

MELINA. Certe volte le fortune non sono reciproche.

MENICO. (strappandole la bottiglia dalle mani) Date qua.

MELINA. (posa i bicchieri sul tavolo e va a sedersi sulla panchetta, riprendendo il proprio lavoro)

MENICO. (si alza) E perché vogliono aspettare a dopo il soldato?

CARMAGNOLA. Dicono che la leva del novanta ha fatto la guerra dell’undici e non è ancora stata congedata.

MENICO. Questo cosa significa? (sbocca la bottiglia)

CARMAGNOLA. Eh, significa che chi ci comanda pensa alla guerra.

MELINA. Cosa dite? Un’altra guerra! Non bastano i morti di quella passata?

CARMAGNOLA. Quando tengono le leve vecchie sotto le armi, non è un buon segno.

MELINA. Se viene la guerra, è la volta che il nostro Mario deve partire. Quando le cose vanno troppo bene, bisogna aspettarsi una disgrazia. Erano tre anni che non tempestava.

CARMAGNOLA. Cosa dite, Melina?

MENICO. Quando una donna apre la bocca, è come se parlasse Giolitti.

CARMAGNOLA. Giolitti?

MENICO. La mia padrona ha capito.

MELINA. Guardate solo le parole che rivolge a sua moglie! (a Carmagnola) Oh, lui non vuol dire il ministro. Giolitti è il nome che Nunzio del Garbelletto ha dato al suo asino.

MENICO. (fa per versare da bere, ma si ferma) Manca un bicchiere.

MELINA. Sono due.

MENICO. E noi siamo tre. Portatene un altro per Centino. (versa il vino nei due bicchieri, mentre MELINA si alza ed esce)

CARMAGNOLA. Centino quest’anno tira il biglietto e loro lo sanno. Dice che se va a fare la guerra, può anche accadere che non torni vivo. E allora Dorina resterebbe vedova prima di arrivare ai vent’anni.

MENICO. Pensano a tutto! (porge un bicchiere a Carmagnola) Tenete.

CARMAGNOLA. (lo prende) Grazie.

MELINA. (entra e depone un bicchiere sul tavolo) Siete contento, adesso? (torna a sedersi)

MENICO. (versa del vino nel terzo bicchiere e lo porge a Centino) Prendi, questo è per te.

CENTINO. Grazie. (prende timidamente il bicchiere, guardando Melina con la coda dell’occhio)

CARMAGNOLA. (alza il bicchiere) Salute!

MENICO. Che vi faccia bene. (beve, imitato da CARMAGNOLA e da CENTINO)

CARMAGNOLA. Eh, per la guerra credo proprio che abbiano ragione. E’ quasi un anno che le altre nazioni combattono.

MENICO. Questo lo sanno tutti. Non c’è bisogno che ce lo vengano a dire quelli dei Boschi.

CARMAGNOLA. E l’Italia è piena di teste calde che fanno un gran baccano e chiedono al re di entrare nel conflitto.

MENICO. Ma si sa che Giolitti non vuole. Giolitti, il ministro.

CARMAGNOLA. (si alza) Eh, Giolitti, di questi tempi! Giolitti sta zitto. E’ scritto sul giornale. Be’, buona notte. (si avvia ed esce dopo la battuta di Menico)

MENICO. Buona notte. E grazie di tutto, per ora. (siede)

MELINA. (si alza; mani sui fianchi, parla con rabbia, restando alle spalle di Menico) Adesso pensa a sposare il servitore. Cos’avete in quella testaccia quadra? Con la sua donna non dice niente. Prima gli estranei. Prima deve venirlo a sapere tutto il paese. Questa volta mi avete proprio preparato un bel piatto. Ma se provate a toccare la roba, allora mi sentite.

MENICO. Vi sento già adesso.

MELINA. (puntando l’indice) La roba non si tocca. La roba è tutta di Mario. Mario è figlio nostro e non voglio che soffra dei torti per causa di questo... bastardo.

MENICO. (senza scomporsi) Andate a dormire.

MELINA. (viene avanti di un passo) Se solo toccate la roba, (forte) vi faccio interdire!

SCENA TERZA

(Interno: cucina della Cerretta. MENICO e CENTINO, seduti al tavolo, mangiano. MELINA, in faccende, entra ed esce)

MENICO. (a Centino) Mangia, mangia. Stamattina la padrona fa il caffè. Il caffè scalda lo stomaco e così non ci fa più male la frescura.

MELINA. Vi preparo pane e lardo da portarvi dietro e una bottiglia di vinetta.

MENICO. Oggi la vinetta ve la tenete per voi.

MELINA. Oh, bella! E cosa vorreste portarvi, da bere?

MENICO. Niente.

MELINA. Niente?

MENICO. Proprio così, donna. E neanche da mangiare. A mezzogiorno andiamo al Falcone. (a Centino) E’ un’osteria dalle parti di piazza Cherasca. Con diciannove soldi ti danno una mezza di barbera, due bei piatti di buzzecca e una portata di carne tanto grossa, che si mangia in due e ce n’è in abbondanza.

MELINA. Anche all’osteria, adesso! (esce)

MENICO. ( forte, dietro a Melina) E per l’intanto portateci il caffè. (piano, a Centino) Hai finito?

CENTINO. Sì.

MENICO. (posando una mano sul capo di Centino; commosso) Bravo, Centino, bravo. (forte, voltandosi verso la parte dalla quale è uscita Melina) Allora, questo caffè?

MELINA. (mentre entra e serve il caffè) Il caffè! E non di grano bruciato come quello che facciamo tutti i giorni. No! Di caffè. Caffè, caffè! Quello che si dà alle persone di riguardo.

MENICO. (a Centino) Prendilo subito, finché è caldo. (beve il caffè, imitato da CENTINO) Questo sì che è caffè, vero, Centino?

MELINA (crollando il capo) Voi avete le farfalle nel cervello:

MENICO. Allegra, donna! Ce n’è anche per voi che restate a casa. Prima di tornare, andiamo dal macellaio. Vi porto il bollito. Ma un pezzo di quelli, che vi leccate quei peli neri che vi sono cresciuti sotto il naso.

MELINA. (alza le spalle, stizzita) Oh! (esce)

MENICO. (alzandosi) E’ meglio che partiamo. Va’ nella stalla. Svegli la vacca e la fai alzare. Prendi il bastone.

CENTINO. (prende il bastone) Vado. (si avvia)

MENICO. Ma sta’ attento, mi raccomando.

CENTINO. Non temete... (si ferma) pa’. (esce di corsa)

MENICO. (guardando verso la parte da cui è uscito Centino, con voce rotta, dopo una breve pausa) Melina, (si schiarisce la gola) sentite!

MELINA. (entra) Cosa c’è ancora?

MENICO. Ordinate a Mario di andare alla Gomba. Davanti alla casa c’è un buco che ho incominciato ieri a scavare. Ditegli di portare avanti il lavoro. Voglio ricavare uno stagno, che ci sia una riserva d’acqua per le vigne. Vanga e badile sono dentro la casa. Buondì. ( si mette il cappello ed esce)

MELINA. (mani sui fianchi, senza muoversi) Buondì.

MARIO. (entra sbadigliando; siede al tavolo e appoggia il capo sulle braccia, come per continuare a dormire; breve pausa)

MELINA. Ti sei svegliato?

MARIO. (alza il capo) Ho sentito il pa’ che si lavava. Sono partiti?

MELINA. Andati! Vuoi da mangiare?

MARIO. Non ho fame.

MELINA. E’ meglio che metti qualcosa nello stomaco. Poi il pa’ dice che devi andare alla Gomba a continuare lo scavo dello stagno.

MARIO. Datemi del pane.

MELINA. Pane asciutto? (esce)

MARIO. Magari con un po’ di vinetta. Ci faccio la zuppa. Non ho voglia di bagnare nell’olio.

MELINA. (entra portando in mano pane e salame che depone sul tavolo davanti a Mario)

MARIO. (meravigliato) Salame?

MELINA. Salame.

MARIO.  Salame! Siete sicura che poi il pa’ non ci trova da dire?

MELINA. Tu non pensarci. Mangia.

MARIO. (addenta pane e salame)

MELINA. E non fare economia. Adesso ti porto il vino. (esce)

MARIO. (con la bocca piena) Anche il vino?

MELINA. (rientra con in mano una bottiglia che porge a Mario) Centino si sposa. Tuo padre ha fatto parlare a quelli dei Boschi per Dorina.

MARIO. Dorina?

MELINA. Dorina. Prendi. E’ barbera.

MARIO. (prende la bottiglia, la porta alla bocca e beve alcune sorsate con avidità; quindi la depone sul tavolo e si pulisce la bocca con il dorso della mano) E io? Quando mi sposo?

MELINA. Il servitore se ne va all’osteria? Bene! Il figlio del padrone mangia il salame e beve la barbera! Finisci in fretta, che poi devi andare alla Gomba. (esce)

MARIO. (mangia con avidità)

Voce di CENTINO. (sconvolto) Padrona! Mario! Padrona!

Voce di MELINA. Chi è che grida?

MARIO. (alzandosi; con la bocca piena) E’ Centino che chiama.

Voce di CENTINO. (mentre bussa con violenza) Aprite, padrona, aprite!

MELINA. (entra) Nostro Signore, è Centino! Apri la porta.

MARIO. (apre) Cosa c’è?

CENTINO. (compare nel vano della porta) Il padrone...

MELINA. Vieni dentro, vieni dentro. Non stare lì, che ti sentono tutti. (chiude la porta alle spalle di CENTINO, che è entrato)

CENTINO. Lassù, in cima alla strada, sotto le Delizie...

MELINA. Signore, Signore! Cosa c’è?

CENTINO. Il padrone ha la pancia squarciata. La vacca gli ha dato una cornata.

MARIO. Il pa’! Una cornata!

MELINA. E’ morto, è morto!

CENTINO. No, non è morto. E’ lui che mi ha detto di correre alla Cerretta.

MARIO. Andiamo a prenderlo. Cosa aspettiamo?

CENTINO. Qualcuno ci ha già pensato. Tra un minuto sono qui. Gli uomini là d’intorno si sono svegliati. Quando hanno capito quello che succedeva, tre sono corsi dietro alla vacca. Gli altri hanno sollevato il padrone mentre gridava e adesso lo portano qui. Non sembra una cosa tanto grave. Dovete salire a preparargli il letto.

MELINA, Il letto? Già, il letto, subito il letto. (esce di corsa)

MARIO. Bestia maledetta! Adesso che la riportano nella stalla, ti giuro che l’ammazzo a forza di calci nella pancia.

CENTINO. Se ci riescono ad acchiapparla. Avessi visto come si è messa a galoppare. E muggiva, e muggiva. Ha preso la strada che passa per la Bollana. Quando la gente è arrivata, la vacca ormai non l’ha più vista nessuno. Si sentiva soltanto gridare e ogni tanto il rumore di un ramo che si squarciava. Deve essere entrata in mezzo alle gaggie.

MARIO. Allora la prendono. E’ andata a mettersi in prigione.

CENTINO. Questo non vuol dire. Quando è scappata quella di Berto, l’hanno trovata sfracellata sotto le rocche di Perno.

Voce di CECILIA. Melina! Melina!

MARIO. Mamma, ci sono! (mentre esce di corsa) Venite, correte! Sono già nel cortile.

MELINA. (entra urlando) O Madonna, Menico! Madonna mia, me l’hanno ammazzato! (esce di corsa)

CECILIA. (entra) Che disgrazia, Centino, che disgrazia! Adesso lo portano di sopra passando per la scala esterna che è più larga e ha meno giri. A te lo posso dire: tanto tu con lui non eri niente. Sono sicura che muore. Povero Menico! Perde sangue che sembra una fontana. Ha sporcato dappertutto. (guarda il secchio) Oh, bene, il secchio è pieno. (lo prende) In questi casi bisogna sempre far bollire dell’acqua. (esce)

MELINA. (entra) Centino!

CENTINO. Agli ordini, padrona.

MELINA. Adesso tu vai al Gallo. La strada devi farla tutta di corsa. Laggiù c’è un’osteria. Entri. Comandi un bicchiere e ti fai dire il medico dove abita di casa. Poi torni con lui. Ha il calesse. Tieni. Qui hai una lira per il vino.

CENTINO. (prendendo i soldi) Parto subito! (si avvia)

MELINA. Centino!

CENTINO. (fermandosi) Comandate.

MELINA. E non metterti in testa di fregarmi sul resto.

 SCENA QUARTA

(Esterno: angolo di paese in prossimità della chiesa. Una campana suona da morto. In scena è ASSUNTA, vestita da umiliata. Mangia del pane, che taglia servendosi di un coltellino con la lama ricurva. DORINA entra e le gira intorno, guardandola, con circospezione)

ASSUNTA. Chi sei tu? Mi sembra di averti già vista.

DORINA. Io sono Dorina.

ASSUNTA. Dorina? Da dove vieni?

DORINA. Dai Boschi.

ASSUNTA. Ah, sei la figlia di quelli dei Boschi?

DORINA. Mia madre si chiama Tilde.

ASSUNTA. Sei venuta per la sepoltura?

DORINA. I miei stanno potando le viti e perciò hanno mandato me.

ASSUNTA. Sembra che dobbiamo aspettare. Il morto non è ancora arrivato.

DORINA. Allora mi siedo. (si siede per terra)

ASSUNTA. Si capisce che dalla Cerretta non sono due passi. Il suo tempo ci vuole tutto.

DORINA. Voi mangiate del pane.

ASSUNTA. Te ne fa piacere?

DORINA. Mio padre dice che non bisogna mai chiedere niente a nessuno. Noi quest’anno non siamo ancora andati al mulino.

ASSUNTA. Zitta! (si pone in ascolto) Sono qui che arrivano.

(si sente recitare le litanie in latino: VOCE. Mater intemerata!, CORO. Ora pro eo, e così via; intanto il dialogo tra ASSUNTA e DORINA prosegue)

ASSUNTA. Sono già vicini alla chiesa.

DORINA. Vi siete messa il costume da umiliata.

ASSUNTA. E tu, non ti vesti da niente?

DORINA. I miei non ci hanno ancora pensato. Perché non siete andata incontro al morto?

ASSUNTA. Alla mia età ormai sono vecchia e la strada mi stanca.

DORINA. Ma poi, magari, lo accompagnate al camposanto.

ASSUNTA. Oh, questo sì.

DORINA. (con entusiasmo) Ci vengo anch’io!

ASSUNTA. Senti? Sono entrati dentro la chiesa. A momenti incominciano a cantare.

DORINA. E’ vero che Menico ha fatto una brutta morte?

ASSUNTA. L’ho sentito anch’io. Sembra che una vacca gli abbia dato una cornata.

DORINA. Mio padre ha detto che certe bestie non bisogna lasciarsi tirare ad acquistarle.

ASSUNTA. Eh, Menico... mai in chiesa, mai in chiesa! La morte che ha fatto qualcuno gliel’ha mandata.

(Trambusto fuori scena. ASSUNTA e DORINA si voltano a guardare verso la chiesa e si alzano)

ASSUNTA. Vergine santa, è venuto male a qualcuno. Ma è Melina!

DORINA. La portano fuori.

(Entrano di corsa due UOMINI, che indossano il costume da battuti e sorreggono MELINA, priva di sensi e dura come uno stoccafisso. Dietro di loro entrano CECILIA, vestita da umiliata, e CENTINO)

CECILIA. Stendetela per terra. (vedendo Assunta) Oh, Assunta! Avete visto che cosa succede? (a Centino) Centino! (gli porge un fazzoletto) Bagnalo nello stagno. Fa’ presto!

DUE UOMINI. (dopo aver deposto Melina per terra, escono, mentre CENTINO se ne va dalla parte opposta correndo; DORINA, a sua volta, si sposta e si protende a guardare CENTINO che è uscito)

ASSUNTA. (avvicinandosi) Bisogna farle fresco. Prendete il ventaglio. (porge il ventaglio a Cecilia) Cos’è stato?

CECILIA. (agitando il ventaglio davanti al volto di Melina) Come si è messa nel banco, è andata in terra come un sacco.

ASSUNTA. Magari è l’odore di chiuso che le ha fatto mancare il respiro.

CECILIA. Sarà. Ma negli ultimi due giorni ha fatto una vita, povera Melina!

CENTINO. (entra di corsa e si trova davanti a Dorina; si ferma col fazzoletto in mano e la guarda smarrito, con la bocca aperta; DORINA lo guarda a sua volta e poi china il capo)

ASSUNTA. Anche soltanto lo spavento, volete mettere?

CECILIA. Certo che, come figura, non so se ce n’è un’altra più brutta.

DORINA. Tu sei Centino!

CENTINO. (chinando a sua volta il capo) E tu sei Dorina dei Boschi.

CECILIA. (si guarda attorno) Centino, sbrigati con quel fazzoletto!

CENTINO. (consegna il fazzoletto a Cecilia)

ASSUNTA. Bagnatela sopra la fronte. (CECILIA esegue) C’è, c’è. Apre gli occhi. (chinandosi su Melina) Come vi sentite?

MELINA. (si alza a sedere e si passa le mani sulla faccia) Mi è preso uno sbalordimento, che io non so.

CECILIA. Fatevi coraggio, adesso è passato.

(Si ode cantare il Dies irae gregoriano: un versetto dalle voci femminili e l’altro dalle voci maschili)

MELINA. Nostro Signore, incominciano a cantare. (si alza e si avvia; quindi si ferma e richiama con severità CENTINO, il quale si era voltato a guardare Dorina) Centino, vieni! (esce, seguita da CENTINO)

DORINA. Entro anch’io. Mi piace tanto sentir cantare. (esce in fretta dietro a Centino)                                                                                        

ASSUNTA. Vai, vai, che adesso veniamo anche noi.

CECILIA. (Si assicura che Dorina sia uscita, poi prende ASSUNTA sottobraccio e la trascina in disparte, al proscenio) Ah, se sapeste! Che morte, che morte! Subito sembrava che il male fosse passato, ma poi, quando è stato sul letto... Hanno chiamato il medico del Gallo.

ASSUNTA. Il medico? E cosa ha fatto?

CECILIA. Che cosa volete che facesse? Ha preso uno scudo e se n’è  andato.

ASSUNTA. E Menico?

CECILIA. Eh, Menico... Ha gridato fin che ha avuto del fiato. Mio fratello l’ha sentito dalle Delizie. (guarda fuori scena e fa cenno di tacere) Ssst!

ASSUNTA. Cosa c’è?

CECILIA. (a denti stretti) Guardate chi arriva.

ASSUNTA. (guardando fuori) Chi?

CECILIA. Ma come? Non lo conoscete? Ssst!

CARMAGNOLA. (entra; in una tasca della sua giacca è infilato un giornale) Buon giorno.

CECILIA. Buondì, Carmagnola. Anche voi per la sepoltura?

ASSUNTA. Siete in ritardo. Hanno già incominciato a cantare.

CARMAGNOLA. Si sente, si sente. Vengo da Alba.

CECILIA. Scommetto che siete andato a comprare il giornale.

ASSUNTA. (allibita) Il giornale?

CECILIA. Carmagnola compra il giornale tutte le settimane.

ASSUNTA. Siete un avvocato?

CECILIA. Cosa dite? Lavora alla fornace del Gallo. (a Carmagnola) E cosa hanno scritto sopra il giornale?

CARMAGNOLA. Brutte notizie. La guerra si vicina.

ASSUNTA. La guerra? Oh, povera me!

CARMAGNOLA. Be’, io entro in chiesa. Addio. (esce)

CECILIA. Ma come? Non conoscete Carmagnola?

ASSUNTA. Non l’ho mai visto. E dire che alla messa non sono mai mancata.

CECILIA. Lui non va in chiesa.

ASSUNTA. Eh? Non va in chiesa? Ma chi è?

CECILIA. Sono sei mesi che Menico l’ha trovato.

ASSUNTA. Trovato? Cosa dite?

CECILIA. Proprio così. Era steso in un fosso, più di là che di qua, con la testa insanguinata. Qualcuno lo aveva preso a bastonate.

ASSUNTA. Vergine santa!

CECILIA. Ebbene, Menico se lo è portato in casa e lo ha fatto guarire. Non so gli scudi che ha speso con il medico del Gallo.

ASSUNTA. (guardandosi attorno, con circospezione) Io dico che è un frammassone.

CECILIA. (spaventata) No!

ASSUNTA. Guardate, due anni fa qualcuno ha trovato un morto in un fosso, proprio come il vostro amico.

CECILIA. Oh, amico!

ASSUNTA. Lo hanno seppellito nel camposanto di Monforte. Ebbene, l’indomani il becchino ha trovato la tomba scoperchiata e la cassa vuota. La gente ha detto che era un framassone e che i suoi erano tornati a prendersi il corpo per bruciarlo.

CECILIA. Ma chi sono questi framassoni?

ASSUNTA. Sono i nemici della fede.

CECILIA. Come si fa a riconoscerli?

ASSUNTA. Un modo c’è. Quando uno legge nei libri o sopra il giornale, in questo caso c’è da dubitare.

CECILIA. Allora Carmagnola, col suo giornale... E Menico ha fatto tutto quello che ha fatto per aiutarlo!

ASSUNTA. Eh, cara Cecilia, certe disgrazie...

CECILIA. Avete proprio ragione!

ASSUNTA. Certe disgrazie si possono anche capire. Lo confidavo poco fa, prima che voi arrivaste, a quella ragazza, Dorina dei Boschi.

CECILIA. (scandalizzata) Dorina dei Boschi?

ASSUNTA. Eh? C’è qualcosa da dire anche su Dorina?

CECILIA. E come no? Carmagnola l’altra sera è andato ai Boschi e poi è passato alla Cerretta. L’hanno visto. Ho idea che Menico buonanima gli abbia fatto parlare per suo figlio Mario. E dire che su quelli dei Boschi me ne hanno riportata una che vengo rossa soltanto a pensarci.

ASSUNTA. Cosa, cosa?

CECILIA. Voi la conoscete quella Tilde che si è sposata ai con uno di loro?

ASSUNTA. Ebbene?

CECILIA. Andiamo. Non voglio perdermi la predica. Voglio sentire quello che dice il prevosto di Menico, nonostante tutto. (si avvia, seguita da ASSUNTA; quindi si ferma) Ebbene, questa Tilde ha sposato uno dei fratelli, ma come donna... (si fa il segno della croce) la usano in tre!

 SCENA QUINTA

(Interno: casa di Carmagnola. Di lato è collocato un tavolo con alcune sedie. Quasi al centro, verso il proscenio, campeggia un mastello per il bucato. Ad esso è appoggiato un asse per lavare. La scena è deserta)

DORINA. (entra reggendo una paletta colma di cenere, che versa e livella per bene nel mastello; depone a terra la paletta vuota e si rialza, voltando le spalle alla porta) Se Dio vuole, per oggi ho finito. Lascio la roba a bagno nell’acqua con la cenere. Domani ritorno, risciacquo e stendo. (prende a ravviarsi i capelli, cantando)

MARIO, (entra, non visto, e si ferma un momento ad osservare Dorina, rimanendo alle sue spalle; quindi, dopo una smorfia di compiacimento per l’inattesa fortuna, si avventa sulla ragazza, abbracciandola da tergo)

DORINA. (allibita) Vergine santa! (si divincola) Lasciami andare!

MARIO. (cerca di baciare Dorina) Un bacio, un bacio!

DORINA. (lottando con forza per liberarsi) Lasciami andare, ti dico!

MARIO. Dammi un bacio, Dorina! Vedrai che piace anche a te.

DORINA. (riesce finalmente a svincolarsi; appioppa un ceffone in faccia a Mario e si fa il segno della croce)

MARIO. (portando una mano sulla guancia colpita) Ehi, sei matta?

DORINA. Maiale! Tu vuoi farmi commettere un peccato.

MARIO. Ah, come brucia!

DORINA. Così impari. Chi sei tu?

MARIO. Come, chi sono? Sono Mario della Cerretta.

DORINA. Il padrone di...

MARIO. Proprio lui, sì: il padrone di Centino. Non c’è Carmagnola?

DARINA. Carmagnola è andato alla censa. Aveva finito il tabacco.

MARIO. Allora lo aspetto. (siede)

DORINA. (contrariata) Forse arriva tardi.

MARIO. Non fa niente. Io non ho fretta. Sono venuto apposta per salutarlo. Domani parto. Parte anche Centino. Andiamo alla guerra. Chissà se torniamo.

DORINA. Alla guerra?

MARIO. Non lo sapevi che l’Italia è entrata in guerra? Ti spedisco una cartolina.

DORINA. Sei capace a scrivere?

MARIO. Si capisce! Io ho fatto la terza. Davvero non mi hai più riconosciuto?

DORINA. Ti ho visto alla sepoltura di tuo padre, ma non ho capito che eri il figlio del defunto.

MARIO. Guardavi soltanto Centino, eh? Io so tutto. Non ti conviene fare la furba con me. Io ti ho vista nuda.

DORINA. Non è vero! Sei un bugiardo.

MARIO. Questo lo dici tu.

DORINA. Non è vero! Non è vero! Vuoi soltanto farmi arrabbiare.

MARIO. Una volta ero andato al pascolo vicino alla Talloria e tu eri dall’altra parte che cantavi. Io ho incominciato a guardarti da in mezzo alle foglie degli alberi. A un certo punto ti sei chinata per pisciare e io ti ho vista dappertutto.

DORINA. Non è vero. Tu non hai visto niente.

MARIO. Dai, che te lo ricordi anche tu. Quando te ne sei accorta, hai incominciato a tirarmi le pietre. Lo sai che mi hai preso? Proprio qui, sulla testa.

DORINA. Ti stava solo bene! Io tiravo alla cieca, perché avevo sentito muovere le foglie. Subito credevo che fosse un cane. Poi tu ti sei messo a gridare.

MARIO. Ti ho vista! Ti ho vista! E correvo tutto intorno saltando sopra i cespugli.

DORINA. Gridavi tanto forte che io per la vergogna sono andata a nascondermi.

MARIO. (si alza) E lasciati baciare, Dorina! (fa per avvicinarsi)

DORINA. Sta’ in là!

MARIO. Un bacio solo. Hai della labbra così belle, che io divento matto, se non mi permetti di baciarti.

DORINA. Non sono mica una di quelle che vai a trovare quando è notte.

MARIO. Cosa ne sai tu?

DORINA. Anche i muri delle cascine lo sanno.

MARIO. Ma un bacio, cosa vuoi che sia un bacio? (si avvicina e tenta di abbracciarla un’altra volta)

DORINA. Guarda che lo dico a Carmagnola.

MARIO (ritraendosi) Sei scema?

DORINA. Provati solo, e poi vedi se non lo faccio.

MARIO. Perché mi tratti così? Tu mi piaci.

DORINA. E tu no!

MARIO. Se fosse Centino, invece...

DORINA. Centino non va in giro a trovare le spose di nascosto dai mariti.

MARIO .  Anche questo sai?

DORINA. Lo dicono tutti.

MARIO. Però lui, se ti chiede un bacio, sono sicuro che non fai storie.

DORINA. Centino sì, Centino lo sposo.

MARIO. Se lui è d’accordo.

DORINA. Se non fosse stato d’accordo, Carmagnola non sarebbe andato a parlare con mio padre.

MARIO. E se viene a sapere che ti sei fatta vedere da me tutta nuda ? Quando arriva, glielo dico.

DORINA. Centino viene qui?

MARIO. Anche lui vuole salutare Carmagnola.

DORINA. Allora è meglio che me ne vada. (si copre il capo con uno scialle) E tu, provati solo a raccontargli le tue bugie.

MARIO. Cosa sono queste minacce?

DORINA. Niente. Dico a mio padre che mi sei saltato addosso. (esce di corsa)

MARIO. (si alza, si ferma nel vano della porta e grida verso l’esterno) Scappa, scappa. Va’ a parlare con tuo padre, se lo sai di chi sei figlia!... No! Cosa fai? (si sentono i colpi prodotti da pietre che battono contro il muro) No, le pietre no. Ahi! (entra e si bagna in fretta la fronte dolorante) Maledetta! La testa, sempre la testa mi va a prendere.

Voce di DORINA. (da lontano) Mario! Mario! Vieni fuori.

MARIO, E’ ancora quella matta. (forte, uscendo) Cosa vuoi, adesso?

Voce di DORINA. (c.s.) Te sei una merda che il mio culo non si degnerebbe di cagare!

Voce di MARIO. (che si allontana) Ah, se ti prendo! Ah, Madonna, se ti prendo! Corri, corri solo, brutta strega che non sei altro! Corri, corri, che ti aggiusto per le feste!

(pausa)

CARMAGNOLA. (entra, siede accanto al tavolo, inforca un paio di occhiali, estrae dalla tasca il giornale, lo apre per leggere, ma poi cambia idea e incomincia a caricare la pipa) Oggi Cino è tornato da Alba più tardi del solito, ma non ha dimenticato di comprarmi il giornale. (accende la pipa e riprende il giornale) Sono curioso di vedere cosa c’è scritto, ora che la guerra è stata dichiarata. (apre il giornale)

CENTINO. (compare nel vano della porta) Buondì, Carmagnola.

CARMAGNOLA. Oh, Centino! Vieni, vieni.

CENTINO. (avvicinandosi al tavolo) Sono passato a salutarvi. Vado alla guerra.

CARMAGNOLA. (depone il giornale sul tavolo) Siediti.

CENTINO. (siede) Mario è già andato via?

CARMAGNOLA. Parte anche lui?

CENTINO. Abbiamo tirato il biglietto insieme. Hanno mandato la cartolina a tutti e due nello stesso giorno. Oggi mi ha detto che veniva da voi e mi aspettava. Poi avremmo attraversato insieme il bosco per tornare alla Cerretta.

CARMAGNOLA. Si sarà fermato per la strada a parlare con qualcuno.

CENTINO. Voi l’avete fatto il soldato?

CARMAGNOLA. No. Io sono stato a casa. Siamo andati al mandamento a tirare il numero. Partiva fino al centocinquanta e io ho tirato su il centocinquantotto.

CENTINO. Avete avuto fortuna.

CARMAGNOLA. Anche tu staresti a casa, se potessi, non è vero?

CENTINO. Eh, sì, avete proprio ragione. Ma quando il dovere chiama, uno non deve tirarsi indietro. Se dipendesse da me... Sapete? In questi giorni ho provato a figurarmi la guerra. La cosa più brutta deve essere la paura.

CARMAGNOLA. Hai già assaggiato la grappa?

CENTINO. No. La padrona la tira fuori quando viene qualcuno, ma brindano solo i membri della famiglia.

CARMAGNOLA. Ti daranno della grappa da bere e la grappa manda via la paura. Quando partite?

CENTINO. Questa notte, due ore prima che venga giorno. Andiamo a piedi fino in Alba. Poi prendiamo il treno per Mondovì. Di là non so. La mia padrona resta da sola. Speriamo che la guerra non vada per le lunghe. La campagna ha bisogno delle braccia degli uomini

CARMAGNOLA. E allora statevene a casa.

CENTINO. Cosa mi dite, adesso?

CARMAGNOLA. Quelli che andate ad ammazzare sono tutti poveracci come te, o come me.

CENTINO. Ma voi, Carmagnola, chi siete, per dirmi delle cose così?

CARMAGNOLA. Un pacifista. Uno che vuole la pace.

CANTINO. Non sarete mica... Adesso capisco: voi siete un rosso e mi volete fare del male. Io sono già un servitore, e per di più senza padre e senza madre, e questo basta da solo a darmi il credito che si dà all’ultima ruota del carro. Non ho bisogno che mi veniate a scaldare la testa con le vostre idee. (si alza) Questa sera mi avete dato un cattivo consiglio. (si avvia verso l’uscita) Buona notte. (esce) 

CARMAGNOLA. (rimane un attimo immobile, quindi riapre il giornale e legge) Compagni lavoratori, di fronte alla guerra in atto, la nostra parola d’ordine è: nè aderire, nè sabotare. (alza il capo; perplesso) Mah!


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

(Interno: cucina della Cerretta. MELINA e CECILIA sono sedute al proscenio, intente a cucire)

CECILIA. Cosa volete scaldarvi? Siamo nei suoi giorni dei temporali. I santi grossi portano tutti un temporale. Si incomincia con san Giovanni e con san Pietro. Poi c’è l’altra coppia, sant’Anna e san Giacomo, e adesso san Lorenzo.

MELINA. Non me la prendo per il tempo. Con tutte le disgrazie che ci capitano, il tempo passa in secondo piano.

CECILIA. Ah, se mi parlate delle disgrazie, allora vi devo proprio dare ragione. La guerra ha fatto piangere tanta di quella gente!

MELINA. Voi non vi dovete lamentare. La guerra non vi ha toccati.

CECILIA. Noi non avevamo nessuno dell’età giusta. Ma gli altri... Non passa mese senza che dal comune portino il mortorio per qualcuno, Voi, nella disgrazia, avete avuto fortuna.

MELINA. La vera disgrazia in questa casa non l’ha portata la guerra.

CECILIA. Volete dire di Menico buonanima?

MELINA. Sono partiti una mattina lui e il servitore. Se doveva capitare una disgrazia, voi a chi avreste voluto che toccasse?

CECILIA. Che domanda mi fate, adesso?

MELINA. Perchè la cornata, la vacca, se doveva darla, che la desse pure. Dal destino non si fugge. Ma almeno, slancia la testa dall’altra parte, bestia della malora! Almeno questo. Dall’altra parte c’è il servitore? E pazienza! se deve morire qualcuno, che muoia. A chi tocca dispiace, ma chi resta non cade tanto dall’alto. Cosa volete che sia trovare un altro servitore? Questo, poi, non sa neanche chi l’ha messo al mondo.

CECILIA. Il vostro Menico gli voleva bene.

MELINA. Era una delle sue stravaganze! (annuisce sovrappensiero) Una donna senza un uomo non è più niente per nessuno. Ho fatto delle vite in questi tre anni per salvare la campagna, ma non so a cosa sarà servito.

CECILIA. Quelli dei Sordi hanno dovuto mettere l’ipoteca sulla cascina. Padre e madre sono rimasti da soli. La figlia, a suo tempo, è andata sposa a uno di Montelupo. I maschi sono alla guerra.

MELINA. Cosa se ne faranno di tutti questi soldati?

CECILIA. E come se non bastasse, li hanno già chiamati due volte in comune a prendere il mortorio. Cosa volete che ne facciano dei soldati? Una gran parte li mandano a morire. Quelli che scampano, quando la guerra finisce, li vedremo tornare.

MELINA. In questa guerra la gente muore come i vitelli. Chissà i giovanotti che stanno nascosti in questi boschi. Ogni tanto i carabinieri passano a cavallo e fanno delle domande, Non lo sapevo che quelli dei Sordi hanno già perso due figli.

CECILIA. Come? Non lo sapevate?

MELINA. Io parlo poco con la gente. Da quando Carmagnola mi ha letto la lettera che ha scritto il mio Mario, ho già il dispiacere che mi basta.

CECILIA. Cosa dite? Cosa dite? Il vostro Mario ve lo rendono vivo e ve lo rendono prima degli altri.

MELINA. Uno di questi giorni faccio un passo fino ai Sordi, a trovare quella povera Amalia.

CECILIA. Pensate che calamità, se perdessero anche il terzo, con la voglia che avevano da giovani quei due di mettere al mondo dei maschi.

MELINA. Voi come lo sapete?

CECILIA. Oh, Matteo non ne faceva mistero con nessuno. Figuratevi che quando hanno avuto la figlia, si disperava perchè era nata una femmina. Appena Amalia ha finito la quarantena, l’ha portata dal vecchio della Crocetta, che le guardasse il bottone della pancia e dicesse se poteva ancora dargli dei bambini. Ebbene, quello l’ha esaminata ben bene e alla fine ha concluso di sì. Vedete un po’, ne ha ancora avuti tre. Tre maschi e tutti robusti. Certo che la guerra gli ha portato via un bel capitale.

MELINA. Le disgrazie non vengono mai sole. Sono come la tempesta: hanno i suoi posti fissi da battere. Guardate solo la nostra famiglia.

CECILIA. Voi avete avuto le vostre. Ma io so chi è che manda le disgrazie. Sono le masche! (riponendo il lavoro) E’ meglio che vada.

MELINA. Volete già andare?

CECILIA. Il temporale ha sfreddato l’aria, Da qualche parte è caduta la tempesta. (mentre si alza) Se mi parlate di Menico, allora vi capisco. Ma il vostro Mario non dovete addolorarvi troppo per quello che gli è capitato. Non è una cosa grave.

MELINA. Lo so, lo so. Ma intanto, per una madre sono dispiaceri. Chissà il male che ha patito. A lavorare, ho paura che non sia più quello di prima. Volete proprio andare?

CECILIA. E meglio. Ma non vi scomodate. Magari torno domani. (si avvia)

MELINA. Tornate. Tornate quando volete.

CECILIA. (quando ormai è vicina all’uscita) Il vostro Mario, cosa volete disperarvi? Avete da vedere che quando arriva, col suo bel piede di legno, non lo distinguete dal Mario di prima.

SCENA SECONDA

(Interno: casa della Gomba. Stanza vuota, senza mobili. La scena è deserta)

CENTINO. (entra; è vestito da soldato, con lo zaino sulle spalle; si ferma e si guarda intorno) La Gomba! Non credevo più di tornare a vederla. (depone lo zaino, siede per terra, si toglie gli scarponi e si massaggia i piedi) E’ una bella casa. Bisognerà pensare ai mobili: un letto a due piazze, una tavola e qualche sedia. Ma che sia roba robusta, roba che dura.

DORINA. (compare nel vano della porta)

CENTINO. Dorina!

DORINA. (viene avanti, si ferma di fronte a Centino e mentre parla lo esamina dalla testa ai piedi) Sei tornato vivo. Andavo alle Delizie a portare la pasta a cuocere al forno. Sei tutto intero. Mario ci ha lasciato un piede.

CENTINO. Mario? E’ tornato?

DORINA. Per il piede gli sta bene.

CENTINO. (accende una sigaretta)

DORINA. Fumi?

CENTINO. Ho preso il vizio quando ero in trincea. Sono contento che ti ho vista. Sei stata la prima persona che ho incontrato.

DORINA. Mi racconti della guerra, se sto qui a parlare con te?

CENTINO. Della guerra? Se ti fermi, restiamo da soli.

DORINA. Di te mi fido. Tu non mi manchi di rispetto. Se era Mario... (siede per terra, lontano da Centino; si copre bene le gambe con la gonna)

CENTINO. Povero Mario! Gli resta un piede solo.

DORINA. Cosa vuoi che sia un piede? Se perdeva tutta la gamba, era peggio. In principio camminava con le stampelle. Adesso si aiuta con il bastone. Ma viene il giorno che mette da parte anche quello e cammina da solo.

CENTINO. Quando è tornato?

DORINA. Saranno tre mesi. Chissà i posti che hai visto! Se non era per la guerra, il mondo non lo vedevi così da vicino.

CENTINO. Il mondo non è tanto diverso dal nostro. E’ sempre fatto di acqua e di terra, come queste colline e le Tallorie che corrono al fondo delle valli.

DORINA. Il mare, l’hai visto?

CENTINO. No. Sono passato accanto a dei laghi e uno era così grande che non ho visto fin dove arrivava. Le montagne invece non ci sono mancate.

DORINA. Le montagne si vedono anche da casa mia.

CENTINO. Ma noi c’eravamo proprio in mezzo e a qualcuna siamo anche saliti sopra a fare le battaglie. Il primo giorno che sono andato in una trincea, pioveva e c’era un palmo di fango dappertutto. Subito mi sono gettato per terra, ma dopo ho tirato su la testa adagio adagio e ho guardato dall’altra parte. E’ stato lì che ho visto il primo soldato nemico. Doveva essere un tipo tranquillo, perchè sporgeva di tutto il torace sopra il fossato.

DORINA. E tu?

CENTINO. E io mi sono fatto coraggio: ho imbracciato il fucile e ho preso la mira.

DORINA. Gesù mio, il fucile!

CENTINO. Ma poi lo vedo che si accende una sigaretta e ride guardando i suoi che sono nascosti. Allora mi viene da pensare che la guerra non c’è, che lui a casa ha qualcuno che lo aspetta e, se non faccio attenzione, mi metto a gridare: sta’ giù che qualcuno ti spara! Ma quello all’improvviso si volta, mi vede, prende il fucile e tira un colpo verso di me.

DORINA. Ti ha preso?

CENTINO. No. La pallottola si è piantata nel fango. Ho sentito gli spruzzi sulla faccia. Allora ho premuto il grilletto.

DORINA. L’hai ammazzato?

CENTINO. Ha piegato la testa su una spalla e non l’ha più spostata di un dito. Eh, la guerra! Tu volevi che ti parlassi della guerra. Non è mica stata bella, sai? Ma qui, cosa è capitato in tutto questo tempo? 

DORINA. Oh, qui, niente. La cosa più grossa era quando dal comune portavano il mortorio per qualcuno. Sai che a casa mia c’è un bandito?

CENTINO. Un bandito? Cosa fa un bandito a casa tua?

DARINA. Sta nascosto! Se i carabinieri lo prendono, lo fucilano. Ce n’è tanti per i boschi. Continuano a nascondersi anche adesso che la guerra è finita. Per prudenza i miei non mi lasciano più andare da Carmagnola a lavargli la roba. Quello che sta con noi ci aiuta in campagna e mio padre lo mantiene. E’ uno di Alba. Prima di diventare bandito, faceva il panettiere. Quando vediamo i carabinieri arrivare, lui si cala nel pozzo della cantina. E’ asciutto, ma i carabinieri non lo sanno.

CENTINO. Cosa?

DORINA. Che è asciutto. Loro credono che ci sia l’acqua dentro e allora non guardano. Una volta si sono fermati a bere. Il comandante ha parlato con mio padre. Dice che cercano i disertori: i soldati che venivano  in licenza e,  invece di tornare al fronte, si fermavano a casa. Tu non sei mai venuto a casa in licenza.

CENTINO. Se ci fosse ancora stato il padrone buonanima... Ma lui è morto. E allora, chi venivo a visitare? Tu credi che ci sia qualcuno contento, adesso che sono tornato?

DORINA. Io! Io sono contenta.

CENTINO. Ma tu Dorina, lo prenderesti in marito un servitore?

DORINA. Mio padre non so. Per parte mia, ti sposerei anche senza una lira.

SCENA TERZA

(Interno: cucina della Cerretta. CENTINO è seduto al proscenio. MELINA è in faccende e parla entrando e uscendo dalla stanza)

MELINA. Sono due ore che sei arrivato. Che stai bene lo abbiamo visto. Sali sul fienile. Getti giù una dozzina di fascine e le sistemi davanti alla casa.

CENTINO. Aspetto Mario.

MELINA. Eh, Mario il fienile per un po’ se lo sogna.

CENTINO. Devo parlargli.

MELINA. Puoi parlare con me. La padrona sono ancora io.

CENTINO. Le fascine ve le preparo prima di notte, state tranquilla.

MELINA. Può darsi che tu te ne debba andare da questa casa.

CENTINO. Cosa dite?

MELINA. La campagna è rovinata. Per qualche anno non ci dà niente. Non so se abbiamo i mezzi per mantenere un servitore.

CENTINO. Ci sono sempre due cascine.

MELINA. Eh, cascine!

CENTINO. La Cerretta e la Gomba.

MELINA. La Cerretta passi. Ma una cascina la Gomba! Sono tre giornate e qualche tavola.

CENTINO. Tutta vigna. Tutto nebbiolo. Certo, le viti sono malandate.

MELINA. Le hai viste?

CENTINO. Sono passato di là, prima di salire alla Cerretta.

MELINA. La Cerretta è peggio. La vigna era già vecchia. Bisogna rifare l’impiantamento. Si capisce che un servitore ci farebbe comodo. C’è da scavare i solchi per rivoltare il terreno e sotterrare i sarmenti.

CENTINO. Io non me ne vado, se non siete voi che mi scacciate.

MELINA. Non so se ci sarà da mangiare tutte le volte che avremo fame. La guerra a tanti ha preso la vita. Noi ci ha rovinati mandando all’aria la campagna. Cosa vuoi da Mario?

CENTINO. E’ un argomento che ci riguarda tutti.

MELINA. La guerra ha rovinato anche lui. Non è più lo stesso, dopo che ha perso il suo piede.

CENTINO. Vedrete che col tempo si abitua e ritorna quello di prima.

MELINA. (immobile, con le mani piantate sui fianchi) Una volta sembravi muto e adesso ti è venuta la parola. Da quando sei tornato, tieni testa pari pari alla  padrona. Voglio sperare che questo vizio ti passi, se decidi di restare qui, con noi.

CENTINO. Salendo dalla Gomba ho guardato se Mario era in campagna, ma non l’ho visto.

MELINA. (nuovamente in faccende) E’ meglio che incominci a chiamarlo padrone e a dargli del voi.

CENTINO. Del voi a Mario? Credete che vostro figlio pretenda questo da me?

MELINA. Sono io che lo pretendo.

CENTINO. Come volete.

(Dall’esterno proviene il rumore di un carro che si avvicina e si arresta: ruote ferrate, scalpiccio di zoccoli sull’acciottolato, un Leuh! del conducente, seguito da qualche rado colpo di zoccolo sulle pietre)

MELINA. Mario è sceso in Alba con il gerente della bottega. Che cosa è andato a fare te lo dice di persona. Sono arrivati in questo momento. Per il padrone, magari incominci da domani. Adesso vado incontro e lo aiuto. Il viaggio lo avrà abbattuto. Si stanca per niente. (esce)

Voce di MELINA. Avete fatto?

Voce di UOMO. Per fare, abbiamo fatto. Il vostro Mario vi dice. Abbiamo cercato di agire per il meglio, per il bene di tutti.

Voce di MELINA. Non passate dentro neanche un momento?

Voce di UOMO. Un’altra volta. Adesso lasciatemi andare. Per i soldi, fate un passo alla bottega la settimana che viene. Buondì, Melina.

Voce di MELINA. Buondì.

(Rumore di carro che si avvia e si allontana)

Voce di MELINA. Vieni, Mario. E’ arrivato Centino. Vuole parlare con te.

Voce di MARIO. Lasciate stare. Cammino da solo.

MELINA. (entrando) Non ti fa male il piede?

MARIO. (entra; cammina aiutandosi con un bastone; a Centino, senza entusiasmo) Eihlà, Centino. Sei tornato?

CENTINO. (si alza) Sì, Mario.

MARIO. Sta’ seduto. (si lascia cadere su una sedia e allunga la gamba mutilata, massaggiando polpaccio e ginocchio) Vedo che sei in buona salute.

CENTINO. Mi hanno detto del piede.

MARIO. Poteva capitarmi di peggio.

MELINA. Come l’avete aggiustata con quello della bottega?

MARIO. Come volete che l’abbiamo aggiuistata? Ci dà metà del valore. Alla scadenza, se non paghiamo, si prende tutto. Datemi dell’acqua.

CENTINO. (si alza) Vado io. (prende l’acqua nel secchio e la porge a Mario)

MARIO. Grazie. (beve) Mia madre mi ha detto che volevi parlarmi.

CENTINO. E’ una cosa che riguarda il padrone buonanima.

MARIO. Parla.

CENTINO. Qualche giorno prima di morire, mi aveva fatto delle promesse.

MELINA. Delle promesse? Quali promesse?

CENTINO. Aveva mandato Carmagnola a parlare con quelli dei Boschi, se mi davano Dorina come sposa.

MELINA. Questo lo sappiamo. E allora?

CENTINO. E allora aveva intenzione di adottarmi come figlio.

MELINA. Questo non può farlo. Il padrone non c’è più.

CENTINO. Lo so.

MELINA. La sua morte è stata un colpo per tutti.

CENTINO. Ma una cosa c’è che potete mantenere.

MELINA. (un sospetto scoppia nella sua mente, improvviso come una fucilata) Ti ha promesso della roba?

CENTINO. Sì.

MELINA. E allora fai bene a dimenticarti quello che ha detto. (con intenzione) Se te l’ha detto.

MARIO. E mamma! State brava.

MELINA. Ti sembra vero che il pa’ gli abbia promesso della roba?

MARIO. Se Centino lo dice, io gli credo.

MELINA. E allora, perchè non ha lasciato una riga di scritto?

CENTINO. E’ mancato il tempo. Il giorno in cui siamo partiti per Alba, voleva passare a trovare il notaio, dopo il mercato.

MELINA. Che cosa aveva intenzione di darti?

CENTINO. La Gomba.

MELINA. La Gomba! Sei matto?

MARIO. (a Melina) Andate di là e portateci la bottiglia della vinetta. (si massaggia all’altezza della caviglia, mentre MELINA esce)

CENTINO. Fa male?

MARIO. Solo a quest’ora della giornata. Oggi sono andato dal notaio con Ielmino della bottega.

CENTINO. Me lo ha detto la padrona.

MARIO. Da oggi sulla Gomba c’è l’ipoteca.

CENTINO. L’ipoteca?

MARIO. Non si è potuto evitare. Per rimettere in sesto la campagna ci vogliono  soldi sopra soldi.

CENTINO. Madonna santa, l’ipoteca! (breve pausa) E se i cascinieri dei Boschi si rifanno vivi, cosa diavolo gli vado a  dire?

MARIO. Gli garantisci che entro quattro anni paghiamo l’ipoteca e la Gomba resta tua. Le promesse di mio padre sono anche le mie. Dorina non la perdi. Magari rimandate le nozze a quando diventi padrone.

CENTINO. Quattro anni. E se l’ipoteca non riusciamo a pagarla?

MARIO. Allora, non so Dorina, ma alla Gomba puoi dare l’addio per sempre.

SCENA QUARTA

(Interno: cucina della Cerretta. La scena è deserta)

CARMAGNOLA. (entra e si ferma) Cecilia! (va verso il fondo e chiama) Cecilia, dove siete?

Voce di CECILIA. Chi è che chiama?

CARMAGNOLA. Sono Carmagnola. Scendete.

CECILIA. (entra trafelata) Allora, cosa mi dite?

CARMAGNOLA. Viene.

CECILIA. Sia lodato il Cielo!

CARMAGNOLA. Finisce di scaricare il letame. Poi attacca il cavallo al barroccio e viene alla Cerretta. Non c’è nessuno in casa?

CECILIA. Il medico se n’è andato adesso.

CARMAGNOLA. E gli altri?

CECILIA. Non c’è stato verso. Hanno dovuto andare alla Gomba con quello della bottega. Dice che domani viene uno nuovo per la schiavenza e bisogna liberare le stanze della mobilia. Mario e Centino sono andati insieme per sgomberare la casa più in fretta.

CARMAGNOLA. La padrona?

CECILIA. Melina riposa.

CARMAGNOLA. Se riposa è meglio.

CECILIA. Adesso che si sveglia, non lasciatevi scappare niente della Gomba.

CARMAGNOLA. State tranquilla.

CECILIA. E’ Mario che vuole così. Non c’è pro a farla star male, visto il punto in cui si trova.

CARMAGNOLA. Ne parlate come se avesse già un piede nella tomba.

CECILIA. Un piede è poco. Chi entra all’ospedale, il più delle volte torna a casa in una cassa.

CARMAGNOLA. D’accordo. Ma non fatela morire prima del tempo. Cosa ne pensa il medico?

CECILIA. Oh, il medico! Il medico dice che all’ospedale la guardano meglio e quindi possono parlare. Lui non parla. Lo so io di che malattia si tratta. Sono quattro anni che la guerra è finita, ma questa donna non si è mai risollevata. Ha continuato a consumarsi poco per volta, come una candela, e adesso si spegne perchè la fiamma ha divorato la cera e anche lo stoppino. Non vi sedete?

CARMAGNOLA. (sedendo) Può darsi che abbiate ragione.

CECILIA. Ieri ho visto Assunta. Mi ha detto che viene a lavarvi la roba sporca tutte le settimane. Magari un giorno che è da voi, passo a trovarla.

MARIO. (entra, seguito da CENTINO) Svegliate mia madre! Cino è dal cancello che aspetta con il barroccio.

CECILIA. Oh, santissima Vergine! Allora bisogna sbrigarsi. (esce di corsa)

MARIO. (a Carmagnola) Siete andato voi a chiamare Cino?

CARMAGNOLA. E’ venuta Cecilia ad avvisarmi.

MARIO. Abbiamo approfittato un’altra volta. Avete visto cosa ci capita?

CENTINO. Voi credete che la padrona tornerà guarita?

MARIO. Cosa dici? Va già bene se la riportano indietro viva.

CARMAGNOLA. Sentite, l’accompagno io in Alba. Tanto ho finito il turno alla fornace e per oggi non ho altro da fare. A voi invece non mancano le cose da guardare.

MARIO. Ma...

CARMAGNOLA. Tua madre è più sicura con me che con te. Io sono pratico della città.

MARIO. Come volete.

Voce di CECILIA. Fate attenzione.

CENTINO. La padrona è già pronta.

CECILIA. (entra sorreggendo MELINA; ha con sè una coperta) Ecco qui la nostra malata. Adesso se ne va qualche giorno all’ospedale e poi torna a casa che saltella come un grillo.

MELINA. State zitta, Cecilia. Tanto non mi ingannate?

CECILIA. Cosa dite? Ingannarvi, io?

MELINA. Andiamo, Mario.

MARIO. Viene Carmagnola con voi. Vi accompagna fino dentro all’ospedale. E’ lui che ha deciso in questo modo.

MELINA. Carmagnola?

CARMAGNOLA. Se voi siete d’accordo.

MELINA. Che differenza volete che ci sia? Non so perchè affrontare ancora questa spesa. Può essere quella che ci mette in ginocchio per sempre.

CENTINO. Chissà le cure che vi fanno. Io sono sicuro che alla fine vi mettono a posto.

MELINA. Tu, cosa parli a fare?

CECILIA. Centino ha ragione.

MELINA. Io lo so perchè parla così. La Gomba se n’è andata a quello della bottega e lui rimane a bocca asciutta, senza niente.

MARIO. Chi ve l’ha detto?

MELINA. C’era bisogno di venirmelo a dire, per sapere che scadeva l’ipoteca e noi non abbiamo i soldi per pagarla? (a Centino) Se non era per te, il padrone sarebbe ancora vivo e io non mi troverei in questo stato. (a Carmagnola) Datemi il braccio.

CECILIA. (a Carmagnola) Fate piano, eh! (porgendo la coperta) Tenete. Quando l’avete sistemata sul sedile, le coprite le gambe con la coperta.

CARMAGNOLA. (prende la coperta) State tranquilla. (a Melina) Andiamo. (esce sorreggendo MELINA; esce anche MARIO; CECILIA, tenendo dietro agli altri, estrae un fazzoletto e si asciuga ripetutamente gli occhi; CENTINO rimane immobile, guardando per terra)

Voce di MARIO. Mamma, tornate presto!

Voce di MELINA. Tu cerca di riguardarti, adesso che vivrai da solo. E voi, Cecilia, posate quel fazzoletto. Per piangere, aspettate almeno che sia morta. Andiamo, Cino.

(Rumore di calesse che si avvia)

MARIO. (entra e siede) Cecilia è andata a casa. Domani torna a vedere se ci serve qualcosa. (si massaggia la gamba; CENTINO siede) Cha abbiamo perso la Gomba non vuol dire. Tu, se vuoi, puoi fermarti alla Cerretta.

CENTINO. La Cerretta è vostra. Siete voi il figlio della padrona.

MARIO. Resta con me. Per adesso rimani a fare il servitore. Col tempo vedrai che riusciremo a mettere da parte dei soldi e comprare qualche giornata di terra anche per te.

CENTINO. Magari.

MARIO. L’importante è che continuiamo a stare insieme. Io sono affezionato a te come lo era mio padre.

CENTINO. (alzandosi, con entusiasmo) Allora rimango. Avete da vedere cosa riuscirò a fare con queste braccia!

(Bussano alla porta)

MARIO. Hanno bussato. (si alza) Guarda cosa vogliono.

CENTINO. (esce)

MARIO. (siede; dopo una pausa) Centino, che c’è? (riprende a massaggiarsi il polpaccio) Signore Iddio, che male! (alza il capo a guardare nella direzione della porta) Perchè state fuori? Centino, venite in casa. (pausa) Centino!

CENTINO. (entra) Eccomi, padrone.

MARIO. Chi c’è?

CENTINO. Era Masino del Vallone. Non ha voluto entrare.

MARIO. Masino, il sensale?

CENTINO. E’ venuto per conto di quelli dei Boschi.

MARIO. Allora è per Dorina.

CENTINO. Sì, è per Dorina.

MARIO. Di sicuro vogliono che ti sposi.

CENTINO. No. (chinando il capo) Hanno saputo della Gomba.

MARIO. E allora?

CENTINO. E allora... adesso Dorina hanno deciso di maritarla con voi.

SCENA QUINTA

(Interno: casa di Carmagnola. Sono in scena CECILIA e ASSUNTA. ASSUNTA sta ancora armeggiando attorno al mastello del bucato, ma dopo poche battute andrà a sedersi vicino a CECILIA)

CECILIA. (abbozzando un frettoloso segno di croce) Angeli del Cielo! Ma siete sicura di quello che dite?

ASSUNTA. Viene da lontano. Dice che laggiù tutti i contadini hanno la testa calda. Ho saputo che hanno portato Melina all’ospedale.

CECILIA. E’ già tornata. Carmagnola, un rosso?

ASSUNTA. L’ha detto lui.

CECILIA. Lui? Ma come?

ASSUNTA. L’altra sera all’osteria. C’era anche mio marito. Carmagnola parlava con Nunzio del Garbelletto. Ma è poi guarita?

CECILIA. Chi?

ASSUNTA. Melina.

CECILIA. Macchè! Pensate che non si alza nemmeno per andare di corpo, con licenza parlando.

ASSUNTA. E come fanno?

CECILIA. Eh, povera gente! Se la sbrigano come possono. Ogni tanto vado io a dargli una mano.

ASSUNTA. Allora era meglio se l’avessero lasciata all’ospedale.

CECILIA. E brava, voi! Avete idea dei soldi che ci vogliono? In meno di una settimana hanno speso cento lire. Venti lire al giorno più il consulto e le medicine! Ma ditemi di Carmagnola. Cosa ha raccontato Carmagnola a Nunzio?

ASSUNTA. Tutto. Sapete perché lo hanno preso a bastonate?

CECILIA. No. Perché?

ASSUNTA. Perché una volta dice che i lavoranti della cascina dove c’era lui hanno fatto una sciopero contro il fattore e l’hanno preso a pugni in faccia e a calci nella pancia. Due giorni dopo il fattore è morto. Allora gli uomini del padrone sono andati a cercare Carmagnola e lui è scappato. Voleva arrivare in Francia. Ma loro l’hanno raggiunto che era già dalle nostre parti e gli hanno fatto quello che gli hanno fatto.

CECILIA. E voi venite ancora a piantarci i piedi in casa sua?

ASSUNTA. Io gli lavo la roba, ma non sto certo a sentire le cose che dice. Tanto con me parla poco.

CECILIA. Parla poco con tutti. Gli manca il dono della parola.

ASSUNTA. E invece no! Il dono della parola ce l’ha, eccome! Quando è tornato dalla Francia, perchè una prima volta c’era andato per davvero, passava nelle campagne a fare la predica ai contadini.

CECILIA. La predica?

ASSUNTA. Ma i preti suonavano le campane a martello e i contadini gli tiravano le pietre per convincerlo a scappare.

CECILIA. Bravi!

ASSUNTA. Eh, ve lo devo proprio dire: questo mondo ha incominciato a battere i coperchi. Qui, grazie a Dio, ci siamo ancora salvati. Ma nelle città, apriti cielo! Non hanno capito che Nostro Signore nel diciannove ha mandato un avvertimento? La spagnola non è venuta per niente! Guardate solo il destino di una persona. Se doveva morire, la spagnola mi sembra che fosse l’occasione buona.

CECILIA. Di chi parlate?

ASSUNTA. Di Melina.

CECILIA. Lei era già vecchia! La spagnola i vecchi l’hanno scampata. A morire sono stati i giovani. Sono i giovani che fanno andare male il mondo. L’avvertimento è venuto per loro.

CARMAGNOLA. (entra) Buona sera, (a Cecilia) Vedo che siete stata di parola.

CECILIA. (si alza) Buona sera.

ASSUNTA. (si alza) Io ho finito. Le robe sono stese sul balcone dietro la casa. Vi ho aspettato per dirvi che poco fa è passato il servitore della Cerretta.

CARMAGNOLA. Centino?

ASSUNTA. Ha lasciato detto che sarebbe subito tornato.

CARMAGNOLA. Sta bene. Lo aspetto.

ASSUNTA e CECILIA. Buona sera. (escono)

CARMAGNOLA. Buona sera. (siede ed accende la pipa)

CENTINO. (compare nel vano della porta; dal bastone appoggiato su una spalla pende un misero fagotto) Sono passato a salutarvi. (posa bastone e fagotto per terra e viene avanti di un passo) Vado via.

CARMAGNOLA. Vai via?

CENTINO. Non posso più stare alla Cerretta.

CARMAGNOLA. Cos’è successo?

CENTINO. Niente.

CARMAGNOLA. E allora, cosa c’è?

CENTINO. C’è che, quando sono arrivato alla Cerretta, era come se fossi nato servitore e non pensavo che la vita potesse essere diversa. Ma poi il destino mi ha fatto incontrare il padrone che anche voi avete conosciuto. Lui mi prende a ben volere. Mi tratta come un figlio. Mi fa delle promesse. Mi vuole dare la Gomba. Dovevo capirlo subito che la vacca, ammazzando il mio padrone, ne cancellava insieme le promesse. Invece me le sono tenute dentro sette anni e adesso non posso più accettare di vedermi portar via la ragazza solo perchè sono un servitore. Dorina sposa Mario. Questa sera gliela portano a vedere. Doveva andare lui, secondo le regole. Ma gli usano un riguardo per via del piede e gli risparmiano la strada. Fanno tutto con la fretta. La padrona ha poco tempo. Se hanno fortuna, ce la fanno a sposarsi prima che arrivi la sua ora.

CARMAGNOLA. Allora è per Dorina che te ne vai.

CENTINO. Non mi vedranno più alla Cerretta. Che facciano le loro cose che devono fare, ma non davanti a me. Io me ne vado. Vado via come sono venuto, senza niente. Questa notte dormo sotto un ponte.

CARMAGNOLA. Povero Centino!

CENTINO. Se almeno ci fosse una spiegazione, uno che la colpa è sua.

CARMAGNOLA. Certo che c’è: la guerra.

CENTINO. Cosa dite, la guerra?

CARMAGNOLA. E’ la guerra che ti ha rovinato.

CENTINO. Io sono tornato tutto intero.

CARMAGNOLA. Non fa niente. A tanti ha preso la vita. A Mario ha preso un piede, a te la Gomba e la donna.

(PRIMO FINALE)

CENTINO. A quest’ora alla Cerretta mangiano cena e poi viene Dorina. Io credo che Dorina, quando arriva, si darà uno sguardo attorno per cercare se mi vede. Poi magari lo domanda alla padrona. Dov’è Centino? Se n’è andato. A quell’ora sarò già lontano.

CARMAGNOLA. Dove andrai?

CENTINO. Torno da dove sono venuto. Vado a Feisoglio. Là c’è il mercato dei servitori. Sano, sono sano e un padrone che mi prende lo trovo di sicuro. Addio, Carmagnola, e scusate se io, i vostri discorsi... (raccatta bastone e fagotto e se li carica su una spalla)

CARMAGNOLA. Addio, Centino, e buona fortuna.

CENTINO. (mentre si avvia) Grazie!

(SECONDO FINALE)

CENTINO. A quest’ora alla Cerretta mangiano cena e poi viene Dorina. Io credo che Dorina, quando arriva, si darà uno sguardo attorno per cercare se mi vede. Poi magari lo domanda alla padrona. Dov’è Centino? Se n’è andato. A quell’ora sarò già lontano.

CARMAGNOLA. Dove andrai?

Voce di DORINA. Aspetta a rispondere. (compare nel vano della porta)

CENTINO. (si volta) Dorina!

DORINA. Da oggi in avanti non sarai più solo. (si avvicina a Centino) Vengo con te, Centino.

CARMAGNOLA. (esce per un’altra stanza)

CENTINO. Ma tu...

DORINA. Sono scappata da casa e quindi non ci resta molto tempo. Tra meno di un’ora mio padre mi cercherà per salire con me alla Cerretta. Prima di allora dovremo essere partiti. Davvero pensavi che avrei preso Mario per marito?

CENTINO. Io sono restato senza niente, mentre Mario possiede pur sempre la  bella Cerretta.

Voce di CARMAGNOLA. E tu hai la bella Dorina!

DORINA. (accenna col capo nella direzione da cui sono venute le parole di Carmagnola) Eh! Non sono niente, io?

CENTINO. Cosa dici? Tu sei tutto, Dorina! Sono io a esser povero in canna. Non posso mica andare con te, a cercarmi un padrone sul mercato di Feisoglio!

CARMAGNOLA. (rientra con in mano un borsello e un sacco sulle spalle)

DORINA. Voi, Carmagnola, siete stato in Francia.

CARMAGNOLA. Sì, ci sono stato a lavorare. E’ il posto che fa per voi. L’ho pensato subito, non appena ti ho vista arrivare E’ abbastanza lontano, perché nessuno qui venga a sapere dove siete scappati. Ma dovete far presto. Li avrete tutti contro.

DORINA. Sulla strada credo di sapere quanto basta. Me ne avete parlato tante di quelle volte. (a Centino) Quando venivo a lavare la sua roba.

CENTINO. Ah!

CARMAGNOLA. Oggi ho messo a cuocere il pane. (protendendo il sacco) Tenete. E’ ancora caldo.

DORINA. Prendi il sacco, Centino.

CENTINO. (eseguendo) Grazie.

CARMAGNOLA. (mostrando il borsello) E questi sono due soldi che avevo messo da parte per farvi il regalo di nozze. Perciò sono vostri.

CENTINO. Ma noi...

CARMAGNOLA. Perchè voi vi sposerete, nevvero?

CENTINO. Oh, sì! Non appena potremo, eh, Dorina?

CARMAGNOLA. Dandoli a voi, mi sembra di saldare il debito di gratitudine che non ho avuto il tempo di pagare alla buonanima del tuo padrone. Inoltre, vedete?, io nella vita mi sono ostinato a lottare per la giusta causa, per l’avvento del bene di tutti. Ma oggi, con quel che succede, ho qualche ragione per domandarmi se  questo sia possibile. E mi viene da pensare che l’aiuto che posso dare a voi due sia l’unico bene che mi rimane da fare. Perciò (porge il borsello) prendete questo borsello e fate buon uso di quanto contiene.

DORINA. Io e Centino prenderemo volentieri i vostri soldi (prende il borsello) perchè ce li offrite col cuore...

CENTINO. ...e perchè non sappiamo che cosa ci aspetta nella vostra bella Francia. La fortuna noi andiamo a cercarla a casa degli altri e troveremo certamente qualcuno scontento di doverla dividere con noi. Addio, Carmagnola. E se un giorno...

CARMAGNOLA. Non ci pensare, Centino. Andate.

CENTINO. Andiamo, Dorina. (si china per prendere bastone e fagotto)

DORINA. Sì, Centino. (lascia cadere il borsello e si china per raccoglierlo)

CENTINO e DORINA. (i loro sguardi si incrociano; si guardano, si alzano, si gettano uno nelle braccia dell’altro, si abbracciano stretti, si staccano, si sorridono, si caricano di tutta la loro mercanzia ed escono di corsa ridendo e gridando) Addio, Carmagnola!

CARMAGNOLA. (asciugandosi una lacrima) Addio.

SIPARIO

 

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