Cecilia (ovvero la scuola dei padri)

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C E C I L I A

C E C I  L I A

ovvero

LA     SCUOLA    DEI   PADRI

di

JEAN ANOUILH

Traduzione italiana

di

Luigi Lunari

PERSONAGGI

MONSIEUR ORLAS

CECILE, sua figlia

ARAMINTHE, governante di Cécile

IL CAVALIERE

MONSIEUR DAMIENS, padre di Araminthe

VALLETTI, SPADACCINI


Un giardino di vasi di piante d’arance. La casa é a destra, a sinistra un piccolo padiglione cinese o altro purché molto grazioso. In scena, Monsieur Orlas é seduto su una sedia rustica ed Araminthe è in piedi accanto a lui. Vestiti borghesi epoca Luigi XV, o forse anche Luigi XVI — ma quanto più falsi possibile.

M. ORLAS — Araminthe, sono molto preoccupato. Ho sempre pensato che voi siete troppo giovane e troppo carina per occuparvi di mia figlia.

ARAMINTHE - Eravamo in quattro candidate a questo posto di governante. Le altre tre erano vecchie o brutte più che a sufficienza. Perché avete scelto me, signore?

M. ORLAS - Ma proprio perché eravate giovane e bella. Ma qualche volta ho paura di aver pensato solamente a me stesso. Trovarmi di fronte a tavola ogni giorno una befana mi é sembrato al di sopra delle mie forze. Temo pertanto di essere stato un cattivo padre. Avrei dovuto affidare Cécile a un vecchio gendarme e, quanto a me, sopportarlo stoicamente. Avrei potuto mangiare per conto mio, o leggere il giornale a tavola.

ARAMINTHE — Tra le altre cose, signore, voi stesso mi avete chiesto di insegnare alla signorina Cécile che leggere mangiando é del tutto fuori posto.

M. .ORLAS — Sono stato un pazzo! Tanto per cominciare, avete la stessa età.

ARAMINTHE - La signorina Cécile ha diciassett’anni e io ne avro presto ventitré.

M. ORLAS - E’ la stessa cosa.

ARAMINTE - Scusate se vi contraddico, signore. Io sono convinta di avere imparato molte cose in questi cinque anni. In primo luogo, a diffidare degli uomini.

M. ORLAS (lmprovvlsarnente) - Perché mi dite questo?

ARAMINTHE — Per rispondere a quel che sembra preoccuparvi. Io mi sento perfettamente in grado di difendere la signorina Cécile, la cui giovinezza e inesperienza potrebbe in effetti lasciarsi ingannare da un po’ di belle parole. In questo dovete darmi atto, signore:  io non mi lascio infinocchiare.

ì4.ORLAS - Mi chiedo perché facciate di tutto per essere sgradevole con me, Araminthe.

ARAMINTHE - Che cosa ho detto di sgradevole?

M. ORLAS — “Io non mi lascio infinocchiare.” Che cosa significa? Che io ho tentato di irìfinocchiarvi? Questa retorica da giova­nette in fiore é sempre stato arabo per me. Vi ho fatto qualche volta un complimento? Bell’affare! Voi non siete più una bambina, avete ventitré anni. Io sono sempre stato molto sensibile all’amore, e per quanto sia padre di Cécile non sono ancora tanto vecchio da non poter amare, grazie a Dio! Credete che sia facile vivere con una splendida ragazza come voi per la casa? Ogni giorno vi vedo lì di fronte a me, a tavola, sorridermi mentre Cécile sogna chissà che cosa. . . La sera saliamo tutti e tre al piano di sopra e la vostra camera é a due passi dalla mia. Sono stato un pazzo! Avrei dovuto scegliere un gendarme!

ARAMINTHE - Siete ancora in tempo.

M. ORLAS - Si é sempre in tempo a rendersi infelici per niente. Non parlo del dispiacere che ne avrebbe Cécile, che vi si é molto affezionata. E’ proprio la mia vita che ne resterebbe intristita. Mangerei in fretta per abbreviare il supplizio e senza dubbio mi verrebbe mal di stomaco… e il mal di stomaco inacidisce il carattere. D’altra parte non sopporterei il pensiero di sapervi in un’altra casa, in preda alla cupidigia d’altri uomini. Siete una bambina. Avete ventitre anni, non dimenticatelo! Che cosa ne sapete della vita? Qui siete capitata in casa di un vero gentiluomo, che vi rispetta. Andate in casa del barone, ad educare sua figlia, come so che vi è stato proposto di recente: tempo due giorni, verrà a grattare alla porta della vostra camera.

ARAMINTHE - Quanto a questo, tocca a me darvi atto, signore: voi avete aspettato un’ intera settimana.

M. ORLAS - Sono un gentiluomo, ve l’ho detto. E poi, voi non mi avete aperto.

ARAMINTHE - Come non aprirei al barone se avessi la disgrazia di perdere la vostra fiducia e dovessi un giorno andare a servizio da lui.

M. ORLAS - Non vorrete comunque paragonarmi al barone!

ARAMINTHE - Mi pare d’aver sentito dire che eravata insieme a scuola dai Padri, e che anno più anno meno avete la stessa età.

M. ORLAS - Sì, ma lui li dimostra. Comunque, lasciamo perdere questa questione. Se io in un modo o nell’altro non vi avesi notata - io conosco le contraddizioni femminili! - voi sareste stata la prima a rimanerne offesa.

(Si alza, pensieroso)

Sono molto preoccupato, Araminthe. Quel cavalierino gira un po’ troppo per questa casa.

ARAMINTHE - Ama la signorina Cécile e la signorina Cécile lo ama.

M. ORLAS - Ma che cosa ne sanno alla loro età? Anzitutto, quel ragazzo non ha un soldo. Suo padre é un po’ tirato e ha già due figli maggiori sulle spalle: e anche se facesse monache tutte e tre le figlie, non avrebbe ugualmente i soldi per fargli una posizione. Potrebbe farne un Cavaliere di Malta, sempre che suo zio defunga in tempo. Ma é tutto quello che può sperare. E quindi, sia in un caso che nell’altro, il matrimonio é fuori discussione. Devono smetterla di vedersi.

ARAMINTHE - Si vedranno di nascosto.

M. ORLAS - Per mille diavoli, signorina, e me lo dite proprio voi? Voi dovrete essere lì ad impedirglielo!

ARAMINTHE - Anche lo volessi, sarebbe al di sopra delle mie forze. La loro passione vincerà ogni ostacolo. E comunque non lo vorrei, signore. Non posso veder soffrire per amore.

M. ORLAS - Ah, davvero? Le sofferenze di quel bellimbusto, se io gli vietassi di vedere Cécile, vi sarebbero insopportabili; le mie invece, dopo sei mesi che inaridisco alla vostra porta, le sopportate benissimo.

ARAMINTHE — Se vi avessi aperto, signore, credete che avrei potutocontinuare a meritare la vostra fiducia presso la signorina Cécile?

M. ORLAS - Non cambiate le carte in tavola. Certo, io esigo che siate severa con Cécile che è ancora una bambina, ma.

ARAMINTHE - Abbiamo la stessa età.

M. ORLAS — Voi avete ventitre anni, che diamine!, e lei ne ha soltanto diciassette. In sei anni una donna fa a tempo a conoscere il mondo, a giudicare della qualità di un uomo e della sincerità di un sentimento. Io non vi capisco, Araminthe, Tanto più che non potete non vedere come io sia follemente innamorato di voi.

ARAMINTHE — Credo in effetti che non si possa non vederlo, signore. Voi vi mettete tutta i’indiscrezione possibile. Sono quotidia­namente costretta a prodigi di abilità, onde la signorina Cécile non se ne accorga. Se non la smettete di andare in cerca del mio ginocchio sotto la tavola, un giorno o l’altro potreste imbattervi nel suo.

M. ORLAS — Una piccola carezza di papà non sorprenderebbe certo la mia bambina. La abbraccio e la bacio cento volte al giorno!

ARAI4INTHE — Se la cogliesse il sospetto che la piccola carezza di papà è destinata ad  altro ginocchio, credo che ne resterebbe alquanto ferita, signore. E più profondamente di quanto la vostra leggerezza possa immaginare.

M. ORLAS (borhotta, un po’ sognante) - La mia leggerezza... la mia leggerezza. . . (Improvvisamente chiede, con altro tono:) Sono dunque un cattivo padre, secondo voi, Araminthe? Non me lo perdonerei mai!

ARAMINTHE - Voi desiderate con tutto il cuore essere il miglior padre del mondo, signore; ma credo che spetti a me badare a che questo almeno dei vostri desideri si realizzi. Ecco perché io tengo le ginocchia sotto la sedia in una posizione per me assai sconioda, ve l’assicuro, e perché non sento quando alla sera voi venite a grattare alla mia porta.

M. ORLAS (si avvicina, un po’ ignobile) - E se mettessi Cécile in convento (un convento un po’ allegro, di vacanza, per cosi dire) — o se la mandassi per qualche tempo da sua zia la badessa? Avrebbe un sacco di cuginetti con cui giocare...

ARAMINTHE - Non vorrete infliggerle questo dolore, e separarla dal suo cavaliere? E poi, senza la signorina Cécile, il mio posto non sarebbe più in questa casa. Io la difendo, signore, ma anche lei difende me. Non potremmo fare l’una a meno dell’altra, in mezzo ai pericoli che tutte e due corriamo.

M. ORLAS (sospira) - La vita é un abisso di contraddizioni, Ara minthe! Mi ritiro nel mio studio a riflettere su tutto questo. Non posso credere che non esista una soluzione che concili il dovere e la felicità.

ARAMINTHE — Credo che gli uomini, signore, non abbiano cercato altro da quando sono usciti dalle caverne per tentare di vivere in società. Il matrimonio é la sola cosa che essi hanno inventato per tentar di conciliare, .per un dato tempo, queste due nozioni.

M. ORLAS — Per un tempo molto breve, Araminthe. Credete a un uomo che ne ha corso la ventura. Dopo di che, è come in quegli espe­rimenti di chimica di cui si compiaceva il nostro vicino, il signor di Voltaire. Il miscuglio all’inizio spumeggia; poi la felicità, che è volatile, evapora e nell’alambicco altro non rimane che la grossa pietra grigia del dovere. (Chiede, preoccupato:.) Il cavaliere verrà qui anche oggi?

ARAMINTHE - Come ogni pomeriggio.

M. ORLAS — Non lasciateli soli nemmeno un minuto! Questi ragazzi si accarezzano e si baciano non appena voltate le spalle.

ARAMINTHE — E’ più che naturale, alla loro età.

M. ORLAS (un po’ secca.mente.) — E’ più che naturale anche alla mia eppure ne faccio a meno. (Fa per uscire, cambia idea, le si avvicina. ) Araminthe, é troppo crudele. Lasciate una volta almeno che vi abbracci?

ARAMINTHE (respingencfolo, ferma e sorridente) - No, signore. Neppure una volta piccola cosi.

M. ORLAS (uscendo, lndispettito) - Siate implacabile con quei due! Che neppure le loro sedie si tocchino! E se fanno merenda, tenete d’occhio la tovaglia. Troppo facile allungare una gamba. sotto il tavolo. Oh, là! E insegnate a mia figlia come bisogna star seduti su una sedia perché nessuno vi sfiori il ginocchio!

ARAMINTHE (sorride) — Temo che questo esercizio le sembrerà meno

necessario che a me, signore.

M. ORLAS (esce, sospirando) — Sono un uomo molto infelice, Araminthe!

(Entra il Cavaliere.)

IL CAVALIERE - Araminthe!

ARAMINTHE - Signore?

IL CAVALIERE — Arrivo forse troppo presto?

ARAÌ{INTHE — Voi arrivate sempre troppo presto, signor cavaliere. Ci siamo appena alzati da tavola.

IL CAVALIERE - Eppure ho aspettato più di un’ora qui in strada prima di farmi annunciare. Quanto tempo perduto, Araminthe! Si vede che non avete mai amato. Ah, Araminthe!, quando avrete la mia età...

ARAMINTHE - Temo che ormai non mi succeda più, signore.

IL CAVALIERE (esclamando) - Di amare o di essere amata, bella come siete?

(Le prende le mani e gliele bacia.)

ARAMINTHE (ritira le mani, ridendo) - No, signore: d’avere la vostra età. E’ un incidente che già mi è successo tre anni or sono. E dicono che è una cosa non si ripete mai.

IL CAVALIERE - E’ terribile, Araminthe, avere vent’ anni ormai da tre giorni.

ARAMINTHE — Ci si abitua, vedrete. E non appena ci si è abituati, non li si ha più.

IL CAVALIERE — Sarà presto vecchio, Araminthe, e non ho ancora vissuto. Tu dici che sei arrivata alla tua età senza amare. Non ti si stringe il cuore, al pensiero di avere sprecato la tua vita?

ARAMINTHE - Per dir la verità, signor cavaliere, qualche speranza l’avrei ancora.

IL CAVALIERE - Hai ragione. Carina come sei, niente è ancora perduto per te. Lo sai che se non amassi Cécile morirei dalla voglia di baciare le tue mani? Tu sei la mia sorellina.

ARAMINTHE (ritira le mani) - Datemi pure del tu se la cosa vi diverte, ma non date troppa confidenza alle mie mani, per piacere.

IL CAVALIERE (improvvisamente) - Sai che sono proprio disperato, Araminthe?

ARAMINTHE - Questa é nuova! Come ieri?

IL CAVALIERE — Molto di più. Ho avuto una spiegazione estremamente tempestosa con mio padre, questa mattina. Mi ha proibito di rivedere Cécile. Mi ha fatto giurare che avrei varcato questa soglia per l’ultima volta.

ARAMINTHE - E voi avete giurato?

IL CAVALIERE — Con ogni sorta di restrizione mentale. Ma alla fin fine vi sono stato costretto.

ARAMINTHE - E’ un uomo senza cuore!

IL CAVALIERE - Io credo che sia soprattutto senza soldi. La dote di Cécile é poca cosa. (I padri sono gli esseri più incredibili che io conosca, Araminthe; io non avevo ancora ottenuto un bacio da Cécile che lui, dal notaio del signor Orlas, aveva ottenuto le più esaurienti informazioni sulle sue sostanze. ) Dice che non vuol altro che la mia felicità, ed io gli credo, ma che prima deve sistemare i miei due fratelli maggiori: a me non resterà niente. Pocso scegliere tra due soluzioni. Aspettare la morte di mio zio e diventare Cavaliere di Malta, il che esclude Cécile poiché si richiede il celibato, oppure sposare un barile di scudi, il che parimenti esclude Cécile.

ARAMINTHE - E l’avrebbe trovato?

IL CAVALIERE — Che cosa?

ARAMINTHE - Il barile di scudi.

IL CAVALIERE - Sì. Molto grosso. Ma lei é magra, racchia da far paura e per giunta vecchia. Una donna che ha quasi venticinque anni!

ARAMINTHE — Tra due anni sarà dunque vecchia anch’io. Non siete per niente cortese, signor cavaliere..

IL CAVALIERE (le bacia le mani) - Tu non mi capisci. Ma naturale che se si trattasse di te, l’età on conterebbe... (Si interrompe. ) No, ecco: neanche se si trattasse di te, io amo Cécile... eppure baciare le tue mani mi piace. Tu che hai conosciuto la vita, dici che tutto sarà sempre così ingarbugliato nel cuore?

ARAMINTHE - Sempre.

IL CAVALIERE — Tu non ci lascerai, per lo meno, se sposerò Cécile! Tu sei sua sorella, insomma, e io voglio sposare anche te… come sorella.

ARAMINTHE (ridendo) - La mano di Cécile e di tanto in tanto le mie due mani, non é vero? Signor cavaliere, per aver vent’anni soltanto da tre giorni state sbrigando già molto bene i vostri piccoli affari.  Ma io vi vedo avviato a non avere né l’una né le altre. Come pensate di sposare Cécile dal momento che la sua dote é poca cosa e voi non avete niente del tutto?

IL CAVALIERE — Ah, non te l’ho ancora detto! Ho preso una decisione.

ARAMINTHE - Sentiamola.

IL CAVALIERE — Rapisco Cécile questa sera stessa. Vi sono costretto, onde rivederla, dal momento che ho giurato di non venire più qui. La rapisco con te, beninteso.

ARAMINTHE - Non dovrei dirvelo: credo la signorina Cécile sia abbastanza folle da seguirvi. Ma io sono qui per dissuaderla.

IL CAVALIERE — Avresti cuore di impedirci di amarci?

ARAMINTHE - Di impedirvi di fare una follia, certamente sì. Avete

pensato alle conseguenze del vostro progetto?

IL CAVALIERE — Le conseguenze sono semplicissime. Dopo Rousseau, grazie a Dio, sono di moda i padri sensibili. Una volta sposati, Araminthe, bisognerà sì lasciargli fare un po’ di chiasso per la forma — ma poi non potranno far altro che darci la loro benedizione.

ARAMINTHE - La benedizione può darsi che si rassegnino a darvela; ma i soldi certamente no.

IL CAVALIERE — Non pensi che facendo far suore le mie tre sorelle mio padre potrebbe far qualcosina anche per me?

ARAMINTHE — Non conosco la situazione del vostro signor padre, ma mi pare che voi disponiate con troppa facilità della vocazione religiosa delle vostre sorelle!

IL CAVALIERE — Bah, Araminthe, sono racchie. Uno sposo tollerante come Gesù Cristo non lo trovano più. E poi, é la vita eterna assicurata. Qui in terra passa tutto così in fretta! Pensa, l’hai detto tu stessa: avevi vent’anni solo tre anni fa, e sei già così disillusa. Condannandole al paradiso, evitiamo loro chissà quante occasioni d’amarezza e tentazioni di peccato. E poi, io amo tanto Cécile!

ARAI4INTHE (puntandogli un dito sul petto) — Questo bel cuoricino tutto nuovo che batte, per tutto, a tutta forza, m’ha tutta l’aria di un bel sassolino, signor cavaliere.

IL CAVALIERE - Disingànnati, io sono molto sensibile. Mi accade a volte di versare fiumi di lacrime. Ma non si può versarne sempre su tutti. Va al di là delle forze umane. Bisogna pur scegliere.

ARAMINTHE — Comunque, lasciamo le vostre sorelle. Ve la caverete con un brutto pensiero. Anche se le circostanze lo obbligassero a lasciarvi sposare Cécile, sono sicuro che il vostro signor padre non avrebbe cuore di sacrificarvele tutte e tre. Dovete pertanto valutare bene le conseguenze del vostro gesto. Saprete vivere in povertà?

IL CAVALIERE — Che cosa intendi per povertà, Araminthe? Potrò comunque farmi fare un vestito nuovo di tanto in tanto?

ARAMINTHE - Sì. Per modeste che siano le sostanze del signor Orlas, sono certa che non lascerà né Cécile né voi sprovvisti di nastri e di merletti. Ma voi siete un bel ragazzo, cavaliere, dl ottima famiglia. Possibile non abbiate mai sognato una bella posizione? La vita a corte, le feste, il favore del re, magari il comando di un bel reggimento?

IL CAVALIERE (esclamando, infelice) — Non sogno altro da quando ho quindici anni, tu pensa! Ma amo Cécile. E tu sei crudele, Araminthe: perché ti diverti a rigirare il coltello nella piaga?

ARAMINTHE — Per sapere se posso darvi anch’io il mio consenso.

IL CAVALIERE - Darei tutto il mondo pur d’essere a cavallo, alla testa dei miei uomini, e lanciarmi alla carica! L’odore della polvere, il balenio delle lame nude al sole, la morte... Ah, che vita meravigliosa!

ARAMINTHE — Allora, mio caro cavaliere, non bisogna prendere in groppa anche Cécile. Ci si lancia male alla carica con una donna che si ama sulle spalle. Non chinate la testa. Guardate me.

(Gli solleva la testa. Egli le prende le mani e le bacia.)

IL CAVALIERE - Oh, le tue mani, le tue mani! Io adoro le due mani, Araminthe.

ARAMINTHE - Voi adorate le mie mani, adorate le cariche a cavallo, adorate Cécile, ma ho paura che in fondo non adoriate che voi stesso. Rifiuto il mio consenso, signore. Voi. non rapirete la mia pupilla.

IL CAVALIERE — Tu scherzi, Araminthe. Io mi ucciderò.

ARAMINTI-IE — Il mio mignolino mi dice che non é vero.

IL CAVALIERE — E tu gli credi? Fammelo vedere, voglio confonderlo!

         

          (Le prende il mignolo e lo bacia. Entra Monsieur Orlas. )

M. ORLAS - Cavaliere!

IL CAVALIERE (lo saluta) — Signore, vi bacio le mani.

M. ORLAS — Anche le mie? Vi sembra naturale, cavaliere, che io non possa aprire una porta, in questa casa, senza trovarvi inpegnato a baciare qualcuno?

IL CAVALIERE - Salutavo Araminthe.

M. ORLAS - E tra poco saluterete mia figlia. Siete un giovanotto che saluta un po’ troppo, cavaliere. Le mie occupazioni mi obbligano ad andare e venire in casa mia. Fate in modo che d’ora in avanti mi sia concesso aprire le porte senza timore.

IL CAVALIERE (si inchina con gravità) - V’assicuro che vi presterà attenzione, signore.

(H.Orlas è uscito.)

Gli ho parlato con sufficiente rispetto? Mi sembra di essermi comportato in modo perfetto.

ARAMINTHE - Perfetto.. Solo che vi ha sorpreso mentre baciavate le mani della donna che egli corteggia, e stesera dovete rapirgli la figlia.

IL CAVALIERE - Che cosa mi dici? Il signor Orlas ti fa la corte? Questo non lo tollero!

ARAMINTHE - Davvero? E a che titolo?

IL CAVALIERE — Non te l’ho detto? Tu sei mia sorella. Vado a cercarlo immediatamente e a chiedergli ragione della sua condotta. Sappi, Araminthe, che non permetterò a nessuna d’ imnportunarti.

ARAMINTHE - Chi vi dice, anzitutto, che mi importuni? E quanto a chiedergli ragione della sua condotta, aspettate domani. Siccome anche lui vorrà chiedervi ragione della vostra, ve la caverete con un’ unica spiegazione.

IL CAVALIERE — Sarebbe una follia aspettare domani, lui sarà in posizione di vantaggio e io, per forza di cose, avrà perso una .buona metà dei miei argomenti. Ci vado subito!

AEAMINTHE (lo ferma) - E se io ve lo impedisco, di andarci?

IL CAVALIERE — Le sue avances dunque ti lusingano?  Ui uomo di quasi quarant’anni, con un piede già nella fossa? Tu mi fai paura, Araminthe. Tu non sai leggere nel tuo cuore. Tu non puoi amare quel vegliardo!

ARAMINTHE - Chi vi ha detto che l’ami?

IL CAVALIERE — Tu ami me, Araminthe. Come un fratello, perché io amo Cécile, ma tu ami me.

ARAMINTHE — Questa é nuova, veramente!

(Entra Cécile, rossa di collera.)

CECILE — Signore, vi sto aspettando al luogo convenuto ormai da un’ora. So che é da molto tempo che siete qui, poiché ho sentito suonare al cancello. E vi trovo a parlare con Araminthe.

IL CAVALIERE (avvicinandosi a lei) — Cécile, amore mio, stavo mettendo a punto con lei le ultime disposizioni per questa sera. Mio padre mi ha obbligato a giurare che non verrò mai più in questa casa; le cose precipitano: é necessario ch’io vi rapisca stasera stessa.

CECILE — Signore, se avete tanto poca urgenza di vedermi quando venite qui, che ne sarà quando saremo sposati e potrete vedermi ogni momento? Sarà opportuno ch’io rifletta ancora, ora non so più se lasciarmi rapire o no.

IL CAVALIERE (vuole prenderle le mani) - Cécile, amore mio!

CECILE — No, signore. Ditele ad altre, queste parole d’amore che sapete dire così bene, baciate altre mani, signore.

IL CAVALIERE — E’ un’infamia! Chi ha osato dirvelo? Vostro padre,

non é vero?

CECILE - Non vedo mio padre dall’ora del pranzo ed egli non mi ha detto assolutamente nulla. Ma conosco da abbastanza tempo gli uomini ed ho capito tutto mentre vi attendevo.

IL CAVALIERE — Chi ha potuto essere tanto vile da riferirtelo, Cécile? E’ vero che ho baciato le mani di Araminthe, ma stavo ringraziandola per aver accettato d’aiutare il nostro amore...

CECILE -. Che dite, signore? Ho inteso bene? Voi avete baciato le mani d’Araminthe? Ah, veramente, io cado dalle nuvole!

IL CAVALIERE — Ma avete appena detto voi stessa che vi avevano detto che mi avevano visto!

CECILE - Vi ho detto che nessuno m’ha detto niente, signore! Avete voluto prendervi la briga voi stesso di farmi. questa rivelazione, il che se non altro é molto leale da parte vostra. Andate! Questa confessione, per crudele che sia, vi conserva la mia stima, anche se avete perduto il mio amore. Addio, signore.  Rispettate il giuramento che avete fatto a vostro padre. Non fatevi rivedere mai più.

(Esce.)

IL CAVALIERE (si getta ai piedi di Aramintbe) - Araminthe, muoio ai tuoi piedi in questo preciso istante! Fermala, dille che l’amo, dille che non ti amo. Le tue mani, sono dolci alle mie labbra, è vero, ma é il piacere di un istante. Come Cécile si allontana, le tenebre scendono su questo giardino! Corri, falle capire che io amo soltanto lei, Araminthe, e io ti giuro che ti amerò per sempre!

ARAMINTHE - Va bene, signore. Il tempo passa. Rinuncia al piacere di rilevare le vostre contraddizioni e vado a cercare di risolvere questo problema. Voi, preparate tutto per questa sera.

IL CAVALIERE - Acconsenti dunque a che io la rapisca?

ARAMINTHE — Vedrò al momento buono se lasciare andare le cose fino

in fondo. Acconsento comunque a che voi facciate finta di rapirla. Forse in questo avete ragione: può essere un modo per convincere i vostri padri.

IL CAVALIERE - Grazie! Ti adoro, Araminthe!  Dammi le tue mani!

ARAMINTHE - Signore, siete l’incoscienza fatta persona!

IL CAVALIERE - E’ vero, dimenticavo. Non lo farò più. Oppure, solo dopo aver sposato Cécile, quando non rischierò più di perderla.

ARAXINTHE (esce ridendo) — Potete contarci, signor previdente!

IL CAVALIERE (rimasto solo) — Ah, con’é divertente vivere! Corro ad

avvertire i miei spadaccini: stasera saremo forse costretti ad impiegare la forza. Adoro Cécile, adoro Araminthe, le rapisco tutte e due, ed ho soltanto vent’anni e tre giorni!

(Esce.

La scena resta vuota un istante. Forse un piccola musica, poi entrano Monsieur Orlas e Cécile che passeggiano. )

M. ORLAS - Cécile, devo parlarvi. E’ da molto tempo che lo desidero  ma anche se né voi io né facciamo gran cosa delle nostre giornate, non mi riusciva proprio di trovarne il tempo. Le piccole cure di questa casa mi opprimono. Voi siete molto giovane, Cécile, e imparerete crescendo che vivere é tutto un tribolare. Tuttavia, direte voi, basta alzarsi al mattino e coricarsi alla sera, e con un po’ di pazienza il giorno passa…  Per poco che si prenda gusto ai piaceri della tavola, e che uno o due amici vengano a trovarvi e a far quattro chiacchiere al pomeriggio, il gioco é fatto. E’ ora di andare a letto e dimenticare. Ma purtroppo la testa lavora.

CECILE - Sì, papà.

M. ORLAS - Sì, papà!, non vuol dir niente. Io non vi chiedo di stare ad ascoltarmi educatamente pensando ad altro, Cécile. Io vi chiedo di fare uno sforzo per cercar di capire quel che vi dico. E’ troppo facile fare la brava bambina, e pensare:  ‘I padri sono dei bestioni, ottusi per definizione; vivono con i loro pregiudizi di un’altra epoca, non sanno niente di quel che é bello o meno. Ascoltiamolo col dovuto rispetto, dato che così si usa. — Sì, papà. Ve lo prometto, papà, — ma come volta le spalle, contirìuiamo a far di testa nostra.”

CECILE - No, papà.

M. ORLAS - No, papà! é la stessa cosa. Vi chiedo un po' meno rispetto, Cécile, ma una piccola luce nei vostri occhi che mi dimostri che mi state ascoltando. Se ci parliamo io come un padre e voi con una figlioletta, ci lasceremo tra poco, voi con una reverenza, io con una buffetto sulla guancia, e non ci saremo avvicinati d’un passo. Preferirei che voi rinunciaste ai privilegi della vostra età e che mi accordaste, per un momento, l’attenzione e la considerazione che avreste per una

ragazza come voi.

CECILE - Voi sapete che io vi obbedisco sempre e rispettosamente in tutto, papà.

M. ORLAS - Beh, adesso fate la finta tonta! Non é questo che vi sto chiedendo, e voi lo sapete benissimo. Però, qualcosa nei vostri occhi vi ha tradita e io penso che mi avete capito. Voi siete, Cécile, un esserino vivace, furbo, saggio come un vecchio cinese, con le vostre arie di follia, ma delle convenzioni millenarie hanno eretto un’invalicabile barriera tra di noi. Siccome io sono vostro padre e voi siete mia figlia, ecco che ci sentiamo obbligati a recitare l’uno e l’altra dei ruoli ben precisi. Quello che sto per dirvi é bollato a priori nella vostra mente come cosa banale, conformista, noiosa. Siete molto ingiusta, Cécile. . . Immaginate per un istante che io non sia vostro padre: io vi assicuro che sono un uomo molto divertente e assai simpatico.

CECILE - Sì, papà.

M. ORLAS (amaro) — Sì, papà! Non rispondete neanche, sono sicuro che procederemo più in fretta. Voglio anzitutto farvi una confes­sione, Cécile: io e voi abbiamo più o meno la stessa età. (La guarda soddisfatto.) Ah, ci sono riuscito a stupirvi, malgrado tutto! Ma voi diffidate ancora, lo vedo bene. Vi state dicendo che sì, é un esordio incoìsueto, ma che é meglio restar comun­que sulla difensiva. Anche questo andrà a finire come al solito nei soliti divieti e nella solita morale. Nient’altro può uscire dalla bocca di un padre, lo sappiamo benissimo. Sapete che cosa mi ricordate in questo momento, Cécile? Un povero prigioniero che lo stato maggiore nemico sta interrogando... Eppure voi siete grande e bella; tra un anno, tra un mese, chi lo sa, domani stesso magari, sarete passata anche voi dall’altra parte della barricata: sarete una donna. Allora potremo comprenderci meglio, oppure sarà forse troppo tardi. Avrei voluto trovare ben prima la strada del vostro cuore.

CECILE - Ma il mio cuore vi appartiene, papà.

M. ORLAS - Come una piccola scatola chiusa di cui si é smarrita la chiave. Io non saprò mai che cosa c’é dentro.

CECILE - Non so quel che volete dire, signore.

M. ORLAS - Ah, non avete detto papà, questa volta!  E' un passo avanti!  Voglio farvi una seconda confessione, Cécile: non solamente noi abbiamo la stessa età, ma vi dirò che voi mi piacete molto.  E' un'occasione per tutti e due di affrancarci dale convenzioni.  S voi foste un brutto ranocchio, una bigotta, o un'oca, semplicemente, non mi sarebbe mai venuta neppure l'idea di tentare di farmi notare da voi.  E invece ecco qui che da dieci minuti faccio dello spirito per rendermi piacevole e non sono sicuro nemmeno d'esser riuscito a stupirvi un po'.  E' molto triste, Cècile. Vedrete, a mano a mano che crescerete, che al mondo non ci sono poi tanti uomini interessanti. Ne avevate uno sottomano.  Ed è scoraggiante che solo perché si trattava di vostro padre non gli abbiate prestto la minima attenzione.

CECILE (dopo una pausa) - Voi mi fate forse un po' troppa fretta, signore. E' il nostro primo incontro. Dovremo rivederci.

M. ORLAS - Grazie, Cècile!  Siete una ragazza intelligente; vedo che non mi ero ingannato.  E siete la saggezza fatta persona.  Sono stato un  po' precipitoso, in effetti.  Devo proprio essere rimasto quasi ancora un bambino, per credere di poter forzare un cuore…  Ci metteremo tutto il tempo che sarà necessario.  (Visto?,  per certe cose la sapete più lunga di me.)  Lasciate che vi baci la mano come una signora. Pendo nota che mi aete promesso un altro appuntamento, Vogliamo fare questa sera, dopo cena, qui in giardino?  Faremo finta tutti e due di salire in camera nostra, e quando tutti dormiranno ci ritroveremo qui. Meglio che nessuno sia al corrente dei nostri incontri.

CECILE (balbettando, smarrita) -  Questa sera, signore?

M. ORLAS - Sì. Vi sembra troppo presto?  Volere riflettere un poco?

          (Cécile tace)  Ebbene, rispondete!  C'è qualcosa che non va?

CECILE (d'un tratto) - Dal momento che volete che vi si parli con franchezza: signore, questa sera sono già occupata.

M. ORLAS (sobbalza) - Siete già occupata? Dopo cena?  Came sarebbe a dire? Ho paura di aver sentito male.

CECILE - Sono già occupata. Non posso dirvene di più, signore.

M. ORLAS - Già occupata?!

CECILE - Sì, e vi chiedo  scusa.. ma non posso dirvene di più, signore.

M. ORLAS (di colpo fuori di sé) - Non potete dirmene di più, signorina? Ma lo sapete che state facendovi beffe di me, in questo momento? E che questo non intendo tollerano? Avete un altro appuntamento, magari? Rispondete! (Cécile tace.) Cécile, sono vostro padre ed esigo che mi rispondiate! Ah, questo è davvero proprio bella! “Signore, stasera sono già occupata!” Aver la faccia tosta di venirmelo a dire, a me, a suo padre, a diciassett’anni! Pensate forse di farmi complice dei vostri mali affari, piccola sciagurata? E il rispetto che mi dovete in ogni circostanza, dove lo mettete? Dimenticate dunque chi sono, e dovrò io nicordarvelo? Ah, mi pento, ve l’assicuro, della mia credulità e della fiducia che vi ho dato; ma saprà ben io d’ora in avanti trattarvi come meritate. Salite in camera vostra, signorina. (Cécile fa per parlare.) E senza una parola! Resterete là fino a nuovo ordine e vi giuro che farò in modo che non ve ne possiate muovere stasera! Andate!

(Cécile gli fa la reverenza e rientra in casa. Sulla soglia si volta e gli dice, semplicernente, con disappunto:)

CECILE - Lo vedete com’é difficile, signore.

M. ORLAS (dopo che Cécile é uscita) — “Lo vedete com’è difficile, signore!” Quale impudenza! A suo padre! Ma non vi è dunque più nulla di sacro! (Ad Araminthe, che entra. ) Araminthe, sono fuori di me!

ARAMINTI{E - Che é successo, signore?

N.ORLAS — Avevo formulato il progetto di parlare a cuore aperto a Cécile. Mi ero ingegnato di metterla a suo agio, di farle capire che non era il padre, ma un amico a parlarle. Speravo di riuscire a penetrare quel piccolo enigma e di farmi finalmente capire: le propongo un appuntamento in giardino, una volta calata la notte, pensando che un tocco romanzesco possa facilitare la nostra conversazione, le avevo chiesto di essere sincera con me edi dimenticare chi fossi, e sapete voi che cosa mi risponde?

ARAMINTHE (ridendo) - Che questa sera non può perché è già occupata.

M. ORLAS (sobbalza) - Per mille diavoli, signorina! Ci. si fa dunque beffe di me in questa casa! Voi siete al corrente?

ARAMINTHE - Signore, avete voluto che Cècile vi parlasse da amica e io trovo davvero commovente la prova di confidenza che essa vi ha dato dicendovi così semplicemente la verità. E’ esatto: questa sera la signorina Cécile è già occupata.

M. ORLAS - Mia figlia stasera è già occupata! E la sua governante in persona me lo conferma in tutta serietà! Siamo in un asilo di dementi. E sarebbe forse indiscreto, signorina, chiedervi con chi é già occupata mia figlia questa sera?

ARAMINTHE - Sì, signore. Sarebbe estremamente indiscreto. Si tratta di un segreto tra noi due.

M. ORLAS - Si tratta di un segreto tra voi due! Questa è veramente bella! Araminthe, io sono molto addolorato. Cécile non è altro che una testolina senza cervello, ma speravo che almeno voi non mi sareste fatta beffe di me. Io sono un uomo molto solo, Araminthe. Ho l’aria allegra, ma il più del tempo sono letteralmente disperato. Quando mi chiudo nel mio studio, voi tutti credete che io lavori? (A che cosa, mio Dio?, non ho mai fatto niente in vita mia.) Tutta la casa cammina in punta di piedi per non disturbarmi. In realtà, sapete che cosa faccio, in quel sancta sanctorum? Me ne sto seduto alla scrivania per ore e ore, guardando il muro di fronte a me.

ARAMINTHE — Dovreste venire a chiacchierare con noi, signore. Saremmo felici, vostra figlia ed io, di potervi distrarre.

M. ORLAS — Non mi sento in gran confidenza con voi. Intuisco che tra voi c’è sempre un qualche piccolo segreto che appartiene a voi soltanto. Ridete come due pazze sopra i vostri ricami, mormorandovi dio sa che cosa all’orecchio; arrivo io, e subito smettete. Si direbbe proprio che io vi geli.

ARAMINTHE - E’ il rispetto che tutte e due vi dobbiamo, signore, che ci frena. Voi siete il padrone, avete gravi preoccupazioni; noi pensiamo che dovete avere ben altre cose in testa che non le nostre sciocchezze.

M. ORLAS - E’ un errore. Io non niente in testa, sappiatelo, Araininthe:niente all’infuoni della mia noia. Il mio patrimonio è modesto, ma si amministra da solo, e io non ho mai avuto la fortuna, a differenza della maggior parte degli uomini della mia età, di prendere sul serio la politica. Quando avevo vent’anni, vivevo anch’io di sciocchezze come voi, e il tempo mi fuggiva tra le dita. Ho creduto che fosse necessario assumere una posa, per darmi importanza crescendo negli anni. Ed ogni giorno che passa io mi chiudo un po’ di più in questa ridicola prigione in cui sono il mio unico carceriere. Perché non volete farmene uscire voi, Araminthe, amandomi? Sarebbe un atto di carità.

ARAMINTHE — Credo che nessuno abbia mai amato nessuno se non per il proprio piacere, signore. Ma voi siete ancora giovane e piacente. Perché non vi trovate un’amante? E’ una cosa che occuperebbe le vostre giornate.

M. ORLAS (esclamando) - Ma senti un po’! Che bella domanda! Dovrei essere io a farvela!

ARAMINTHE - Conosco, in questa città, almeno due o tre donne giovani e belle che ne sarebbero deliziate.

M. ORLAS — Le conosco anch’io. E me ne importa meno di un fico secco.

ARAMINTHE - Eppure, se si tratta di guarirvi?

M. ORLAS — L’amore non è una medicina! Passato il piacere, e il piacere passa in fretta, una giorno ve ne accorgerete, bambina mia, io non saprei dir loro due parole, monirei di noia ai loro piedi. Tanto vale starmene solo di fronte al muro del mio studio. Io almeno non mi obbligo a parlare.

ARAMINTHE - E in tutta sincerità, credete che avreste più cose da dire a me, signore, se io vi apnissi la mia porta? Passato il piacere, e il piacere passa in fretta, come mi avete appena insegnato, sarebbe esattamente lo stesso.

M. ORLAS - Con voi?

ARAMINTHE — Con me, signore, perché voi non mi amate come io voglio che mi si ami quando sarà il momento. Voi vi annoiate: io sono giovane e fresca, vivo in casa vostra, ecco spiegato il gran mistero. Poco fa mi avete parlato del barone; ditemi onesta­mente, quale uomo, trovandosi nella vostra situazione, non proverebbe, ad ogni buon conto, a dare una grattatina alla mia porta, alla sera, salendo le scale per andare a letto? Voi non fate altro che conformarvi al più banale ordine delle cose, e lo stesso faccio io non aprendovi. Siate certo che quando saprò d’amare e d’essere amata — io ho l’udito fine — sentirò grattare alla mia porta.

M. ORLAS (severamente) - E quel giovinotto che poco fa vi baciava le mani, signorina, se grattasse, lui, lo sentireste? Non sono nato ieri, Araminthe: eravate ancora bambina, quando altre donne, che li avevano imparati prima di voi, mi facevano già certi trucchetti. Finitela di raccontarmi frottole! Non è degno di voi - nè di me. Mi si sono aperti gli occhi, alla fin fine, mia cara mascherina. Cécile non è che un paravento, il che spiega tutte le vostre compiacenze; è per voi che quel ragazzo viene qui!

ARAMINTHE - E se fosse, signore? Sono signorina, sono libera. Chi potrebbe aver qualcosa a nidire?

M.QRLAS - Io, perdiana!

ARAMINTHE - Voi, davvero? E a che titolo?

M. ORLAS - A titolo... Non fatemi uscire dai gangheri! Vostro padre vi ha affidata a me, Araminthe. A lui io sono mallevadore del vostro onore. Io sono di manica larga, posso essere addirittura un debole per troppa condiscendenza, ma su questo punto non ho mai scherzato. Se voi siete tanto pazza da socchiudere un giorno o l’altro la vostra porta a quel bellimbusto, il mio dovere sarà quello d’avvertire subito vostro padre. E lo farò, siatene certa.

ARAMINTHE - E se la porta l’avessi aperta a voi, signore, chi si sarebbe incaricato d’avvertirlo?

M. ORLAS (un po’ imbarazzato) - Ma in questo caso... Smettetela di scherzare, Araminthe! I vostri scherzi non fanno ridere che voi.

ARAMINTHE - E voi, smettetela di vivere tra le nuvole, signore. Non è per me che quel cavalienino viene qui. E’ per Cécile; lo san­no tutti e voi per primo. Voglio anzi confidarvi un segreto, se mi giurate di non raccontarlo a nessuno. Prima giurate. Non mi fido molto di voi. Siete un uomo leale, ma avete due o tre per­sonalità diverse, e qualche volta ve le confondete anche voi.

M.ORLAS — Va bene. Giuro. Ma al diavolo se ci capisco qualcosa.

ARAMINTHE - Su quel che avete di più caro al mondo, e che non lo direte a nessuno. Forza! E sputate, dev’essere un giuramento con tutte le forme.

M. ORLAS - Araminthe, voi mi state prendendo in giro. Ecco: la mano.. . sputato.

ARAMINTHE — Ebbene; il cavaliere pensa tanto poco a me, che stasera rapisce vostra figlia.

M. ORLAS (sulle prime stupefatto, scoppia a ridere) - Ah, ah, questa è bella davero! Mi prendete dunque per un babbeo? Per un padre da commedia? Vi immaginate magari che stasera mi metta sù un mantello scuro e vada a prendermi un’infreddatura in giardino per vedere se c’è per caso una scala? Raccontatela ad altri, signorina!

ARAMINTHE - Direi che sarebbe prudente. Se Cécile vi ha detto lei stessa di essere occupata stasera, una ragione ci deve pur essere.

M. ORLAS — Chiuderò Cécile a chiave in camera sua, per evitare a quella povera bambina di venire a recitare non so quale squallida parte tra voi e il vostro innamorato, signorina! E dormirò tra due guanciali, sappiatelo. Dopo tutto, se voi avete deciso di rovinarvi, non è cosa che mi riguardi!

ARAMINTHE - Senza dubbio. Ma fossi io al vostro posto, un piccolo giro di ronda lo farei, per vedere che davvero non venga rapito qualcuno.

M. ORLAS — Va bene, scherzate pure. Ora vedo bene che non mi amate e che non mi amerete mai. Mi ritiro nel mio studio a riflettere sulle misure da prendere per non soffrire più di tanto. Sono troppo vecchio ormai per disperarmi. Vi dirò domani quel che avrò deciso. Addio, Araminthe! Vedete in me un uomo profondamente ferito. (Fa un passo, poi si volta.) Perché c’è una cosa che voglio dirvi. Ho grattato alla vostra porta, è vero; ma sempre senza insistere troppo. E — dio sa pertanto quanto ami i piaceri dell’amore — ero quasi felice che voi non mi apriste.

ARAMINTHE (balbettando, a sua volta sgomenta) - Che dite, signore?

M.  ORLAS (continua) — Sì. Voi siete forse già l’amante di quel ragazzo e io mi sto coprendo di ridicolo dicendovi queste cose. Non mi è sempre facile rispettare le donne, Araminthe: c’è qualcosa, in una gonna che ondeggia sotto un busto flessuoso, che rapisce al mio animo la nozione stessa del rispetto — e purtuttavia, davanti alla vostra porta muta (il cuore ha di queste contraddizioni inesplicabili) mi era quasi dolce, nella mia amarezza d’uomo, imparare a rispettarvi. Voilà. Chiedete stasera a quel giovanottello se capisce qualcosa di tutto questo.

(E’ uscito. Araminthe, rimasta sola, sorride felice, e mormora. )

ARAÌMINTHE - Bastava dirlo, signore... E voi che vi davate tanta pena! ... Ecco che senza volerlo avete trovato le parole che aprono le porte delle donne.  Poveri piccoli uomini, poveri galletti! Come ne hanno l’età, gonfiano le loro penne di conquistatori... Si sapessero che basta mostrarsi un pochino feriti e tristi per ottenere tutto senza combattere... Comunque non tocca certo a noi insegnarglielo!. .. Quanto a lui, sono tranquilla: appena si farà notte sarà in giardino: mantello grigio scuro, pistole in tasca e il sapore di sangue sulle labbra. Può darsi che si prenda un raffreddore, può darsi che vi trovi l’amore... O magari tutti e due. Vedremo! Non lo sa ancora neppure l’autore.

(Esce, dopo una piccola reverenza. La scena resta vuota e la notte prende a calare in tutta tranquillità accompagnata da un ritornello scherzoso. Quando é calata del tutto — abbastanza in fretta per la stagione — compare in scena un uomo avvolto in un mantello grigio scuro.

L’uomo dal mantello grigio scuro si avanza con circospezione. Fa un segno. Due uomini dal mantello scuro escono dall ‘ombra e lo raggiungono. )

L’UOMO - Ssst!

GLI UOMINI - Ssst!

          (Un’altra ombra in mantello scuro esce dalla casa, il volto nascosto tra le pieghe del mantello. E’ Monsieur Qrlas. L’uomo dal mantello grigio scuro fa segno ai suoi uomini di allonta­narsi.  M. Orlas e l’uomo dal mantello girano prudentemente l’uno attorno all’altro.)

M. ORLAS (sottovoce) - Il signor Damiens?

M. DAMIENS (come sopra.) - Il signor Orlas?

M.  ORLAS - Sono io. (Si salutano. )

M. DAMIENS - Vi ringrazio, signore, d’avermi avvertito.

M.  ORLAS - Non ditelo neppure, signore, non ho fatto che il mio dovere. Anch’ io, signore, sono padre, come voi.

(Indica le due ombre in attesa.)

Quei signori sono con voi?

M.  DAMIENS - Due uomini d’armi che ho preso la precauzione di condurre con me. Ho pensato che potrebbe essere necessario rispondere alla forza con la forza.

M.  ORLAS — Avete agito saggiamente, signore. Io stesso mi sono armato di pistole.

(Le mostra, disotto il mantello.)

M.  DAMIENS - Come posso ringraziarvi, signore?

M.  ORLAS - E’ la cosa più naturale del mondo, signore. Voi mi avete affidata Araminthe, il suo onore mi sta a cuore quanto a voi. Ma voi tremate? Non abbiate paura.

M.  DAMIENS — Sono padre, signore, e vi dirò senza false vergogne, signore, (sono un vecchio uomo di legge), che non sono molto uso alle battaglie.

M.  ORLAS - Non sono certo più bellicoso di voi, signore. Ma se è in gioco l’onore di mia figlia o quello della vostra (le metto tutte e due sullo stesso piano) io sono pronto a far fuoco. Il buon diritto, d’altronde, è dalla nostra parte.

M.  DAMIENS - Sì. Non vi nascondo, purtuttavia, che avrei preferito un bel processo. Piazzato come sono e con flagranza di reato, avrei distrutto la controparte. Ahimé, avremmo rischiato di arrivare troppo tardi!! Gli innamorati vanno più in fretta di noi, signore. Siete padre anche voi. Sapete quant’é difficile proteggere una figlia!

M.  ORLAS - A chi lo dite, signore! Prima di smascherare la loro tresca, per un momento ho temuto io stesso per mia figlia. Questi giovani del giorno d’oggi non rispettano più niente. Mi pare che ai nostri tempi avevamo più scrupolo per l’onore delle famiglie.

M. DAMIENS - Bah! Siamo stati dei brutti clienti anche noi. Potrei raccontarvi un sacco di storie che mi hanno visto piuttosto imprudente. Avevo il sangue caldo, a vent’anni.

M. ORLAS — Se ne parlava ancora quando sono arrivato all’età per capire. Siete stato un gran bel mandrillo, signore!

M. DAMIENS - Eh, eh!

M. ORLAS — Le signore di questo paese ne sanno qualcosa. Un tempo non pronunciavano il vostro nome senza arrossire.

M. DAMIENS — Eh, eh!...

M. ORLAS — Ero bambino ancora, signore, e già sognavo di eguagliare un giorno le vostre gesta.

M. DAMIENS - Eh, eh! Mille grazie, signore! E’ pur vero che ne ho trovate poche di difficili, sotto il defunto sovrano! Credo però che in seguito anche di voi si sia alquanto chiacchierato nella nostra cittadina, signore?

M. ORLAS — Bah! Ho spezzato anch’io qualche cuore che mi ha reso il favore. Tutto qui. Non si è giovani per nulla.

M. DAMIENS — Tuttavia, signore, noi facevamo le cose con garbo. Non eravamo come questi giovanotti...

M. ORLAS — Che non hanno rispetto per niente e per nessuno, signore.

M. DAMIENS - Noi ci limitavamo alle donne sposate. Un cornuto in più o in meno, dopo tutto, non era poi la fine del mondo!

M. ORLAS — Qualche servetta all’occorrenza, qualche contadina disponibile... ma le signorine di buona famiglia, signore!...

M. DAMIENS - Senza pensare all’onore dei padri!...

M. ORLAS - Dobbiamo essere spietati, signore! Attenzione, nascondiamoci. Mi sembra di scorgere un’ombra, in fondo al viale dei tigli. Deve trattarsi del nostro avventuriero.

M. DAMIENS - Dite che sia tipo da snudare la spada? Questi signorini della nobiltà credono che sia loro tutto permesso.

M. ORLAS - Il diritto è dalla nostra parte, signore, e comunque, con i vostri spadaccini, siamo in quattro.

M.  DAMIENS - Sì. Ma sarebbe meglio in ogni caso non correre il rischio di una qualche ferita. Nascondiamoci non troppo vicino. A un segnale lanceremo i nostri uomini.

M.  ORLAS — Non abbiate paura, daremo a quel moccioso quel che si merita prima che pensi a sguainare la spada.

(Entra il Cavaliere, avvolto in un mantello scuro. SI avvicina alla casa, fa un segnale. Araminthe si affaccia alla finestra.)

IL CAVALIERE - Sei tu, Araminthe?

ARAMINTHE - Si, sono io.

(Si affaccia sulla soglia, avvolta in un mantello, e gli si avvicina. )

IL CAVALIERE — E Cécile?

ARAMINTHE - Adesso viene. Ma c’è un piccolo contrattempo di cui vi dirò tra poco. Bisogna che vi nasconda un momento, di qui. (Lo trascina verso il piccolo padiglione cinese e ve lo fa entrare. ) Siate muto come una tomba fino al mio ritorno, e qualsiasi cosa sentiate, non muovetevi.

(Lo chiude dentro.)

IL CAVALIERE (nel padiglione) — Ma perché mi chiudi a chiave?

ARAMINTHE — Per essere sicuro di ritrovarvì al momento buono.

Silenzio. Neanche una parola. Tutto va bene.

(Torna alla casa e fa un segnale. Esce dalla casa Cécile, nascosta da una mantella. )

CECILE - Sei tu, Araminthe?

ARAMINTHE - Sì. Adesso potete venire; tutto si svolge come previsto. Io salgo a prendere le nostre cose. Voi aspettateini qui.

OECILE - Dov’é il cavaliere? Lo sai che al buio ho paura.

ARAMINTHE - Non si ha paura la sera che ci si fa rapire, signorina! . . . Il cavaliere vi raggiunge subito.

           (Fa un altro segnale e sparisce dentro la casa. Il signor Orlas, nascosto sotto il mantello e grottescamente masoherato, si avvicina e si aggira attorno a CécIle che fatica a riconoscerlo e s’inquieta.)

M. ORLAS (in un soffio) - Siete voi?

CECILE (come sopra) - Sì. Siete voi?

M.ORLAS - Sì. (A parte) E’ caduta in trappola. Fingiamo di essere colui.

CECILE - Ho un po’ paura.

M. ORLAS - Non temete, bambina mia. Sono qui io.

CECILE - Siete sicuro almeno di amarmi? Siete ancora in tempo.

M. ORLAS - Non dubitatene, mia diletta. Sono vostro per sempre.

CECILE — Che strana voce avete! Non la riconosco neppure.

M. CRLAS — Perché sto parlando a bassa voce, per paura che qualcuno ci senta.

CECILE - Appena anche lei sarà qui, ci metteremo subito in salvo. I vostri cavalli e gli spadaccini sono alla porticina?

M. ORLAS - Come previsto. (A parte.) Furfanti. Si portavano via anche mia figlia.

CECILE - Che cosa dite?

M. ORLAS — Dico: “E’ molto cara, si, ma perché portarla con noi?” Non staremmo meglio senza di lei?

CECILE - Signore, io sono forse un po’ folle, ma non intendo lasciarmi rapire senza il mio chaperon.

M.ORLAS - Beh! Uno chaperon, quella mocciosa? E che dirà suo padre?

CECILE - E che dirà il mio? Bisogna pur rassegnarsi a qualche piccolo inconveniente quando ci si fa rapire.

M, ORLAS (a parte) - Qualche piccolo inconveniente! Non la prendono certo sul tragico!

CECILIE — Che cosa continuate a mormorare? Non riesco a vedervi in viso.

M. ORLAS - Stavo dicendomi che ci darà fastidio e che saremmo stati meglio da soli, mia adorata.

CECILE — E’ mia sorella, signore, e non faccio mai niente senza di lei. Comunque, dovete giurarmi che non le bacerete mai più le mani.

M. ORLAS (a parte) - Ah, ah! Ci siamo.

CECILE - Ci rapite tutte e due, ma è solo me che sposate.

M. QRLAS - Ne dubitereSte, amor mio? (A parte.) Avevo visto giusto, il signorino pigliava due piccioni in un colpo solo. (A Céclle) Le mie premure verso di lei sono state sempre e soltanto un comodo paravento. D’altronde, perché parlare di matrimonio? L’amore, l’amore soltanto non è sufficiente?

CECILE - Io vi amo, signore, e tanto basta in effetti per seguirvi, ma non credete sia necessario conformarsi alle leggi?

M. ORLAS - Che brutta parola su quelle dolci labbra! Esiste altra legge che quella dei nostri cuori?

CECILE — Ma insomma, signore, e mio padre?

M. ORLAS — Che c’importa di quel vecchio sospettoso! Noi viaggeremo, mia diletta. Saremo di quei personaggi prestigiosi, invisi ai deboli di spirito che non hanno mai osato dare tutto all’amore: saremo gli amanti. Gli amanti! Hai mai sentito pronunciare questa parola senza turbarti, Araminthe?

CECILE (indie treggia un poco, mormorando) - Araminthe?

M. ORLAS — Non è meglio questo che non una casa da governare, con dei piccoli frignoni sempre attaccati alla sottana, una serva con i suoi tegami da lavare? La vita quotidiana è come una sabbia mobile che inghiotte l’amore. Per noi invece l’amore sarà ogni mattina una cosa nuova da conquistare e da difendere. Ci saranno tra noi scenate spaventose, ci infliggeremo sofferenze atroci; ci strazieremo senza poter mai fare a meno l’uno dell’altra; schiavi e tiranni al tempo stesso. Nei festini che riempiranno le nostre notti, gli uomini ti passeranno accanto desiderandoti, il loro desiderio ti rivelerà a te stessa, e tu giocherai a farmi soffrire. Io non saprà mai se mi ami vera­mente, nè che cosa nasconderanno i tuoi sorrisi; e se ti accadrà d’assentarti un’ora, un verme mi roderà il cuore per sempre. Perché tu non farai che mentirmi e sarai per me un eterno mistero.. . Questo è vivere, Araminthe! Questo è essere donna, e amare!

CECILE (che ha riconosciuto suo padre durante la battuta, ba un piccolo sorriso) — Mio dio, signore, come vi ingannate. Io non ho nessuna voglia di lasciarvi mai, neppure per un’ora — e nessuna intenzione di mentirvi. E quanto a farvi del male, ma che follia! Soffro già anche troppo alla più piccola ombra nei vostri occhi. Io voglio soltanto essere vostra in tutta tranquillità, e sapere che è per sempre. Voi siete molto giovane, è chiaro, e non conoscete le fanciulle. Neanche le più pazze, signore, desiderano altro che quel che vi ho detto.

M. ORLAS - Non hai dunque mai letto le vite delle grandi amanti? Esse non amavano che se stesse, povera bambina mia! Gli uomini non erano che una pasta da manipolare a loro piacimento. Un semplice strumento del loro trionfo, come i belletti e i gioielli. Non ti tenta l’idea di essere una di queste dee mostruose, di fare strage di cuori attorno a te?

CECILE — Ma neanche per idea, figuriamoci. Amare soltanto se stessi, dev’essere molto monotono. E tutte quelle donne famose, credete che se fossero riuscite una buona volta ad essere felici con un uomo, avrebbero avuto tanta voglia di cambiare? Io a quelle donne non ci penso mai, ma se dovessi pensarci un giorno sarebbe certo per compatirle di non aver mai trovato l’amore, tutto qui.

M. ORLAS — L’amore, l’amore... Che ne sai tu dell’amore, alla tua età?

CECILE — Tutto quello che non si impara, signore, cioè quasi tutto.

M.ORLAS (si avvicina) - Ebbene, ti insegnerà il resto...

CECILE — In verità, signore, le vostre labbra dicono cose strane, che io ascolto con molto imbarazzo. Toglietevi quella maschera, ora. Sapete bene che malgrado il buio vi ho riconosciuto. Che cosa direbbe vostra figlia, che vi ama e vi rispetta, se sapesse che parlate così ad altre fanciulle nelle tenebre?

M. ORLAS (sulle prime sorpreso, si scopre) — Ebbene sì, sono io, Aramlnthe, dato che m’hai riconosciuto. Sono colui che da sì lungo tempo ti desidera. Ho voluto sventare questo ridicolo rapimento, perché so meglio di te che tu non puoi amare quel ragazzino. Quanto a Cécile, non aver paura: è una bambina che non sa ancora niente. Non pensarci: la metteremo in un conven­to, o la manderemo da sua zia, e questa sera tu seguirai me. Perché io ti amo, m’intendi, Araminthe? Io ti amo come un pazzo e non posso più vivere senza di te!

CECILE (con la sua vera voce) — Lo so anch’io da tanto tempo che voi amate Araminthe; ma se l’amate quanto dite, perché non la sposate, papà?

M.QRLAS (sobbalza e indietreggia, gridando) — Papà?! Chi siete dunque? Sciagurata fanciulla! Possibile che abbiate avuto cuore di farvi beffe così di vostro padre?

CECILE — Sono stata forse io ad abbordarvi, signore? E’ stata forse mia l’iniziativa di questa strana conversazione?

M. ORLAS - Piccola sciagurata! Dimenticate senza indugio tutto quello che vi ho appena detto. Non c’era niente di vero!

CECILE (tranquillamente) — Signore, non vi ho neanche ascoltato.

M. ORLAS — Sappiate che vi avevo subito riconosciuta e che volevo soltanto svergognarvi.

CECILE - E allora perché tutta questa commedia? Sarebbe stato così facile dire chiaro e tondo a Araminthe che l’amate.

M. ORLAS (severo) - Signorina, spetta a vostro padre farvi delle domande, e non a voi! Che cosa facevate qui in giardino a quest’ora avanzata della notte in abito da viaggio? Con chi credevate di avere a che fare prima di riconoscermi?

ARAMINTHE (che appare in scena, sorridente) — Al cavaliere, signore, che l’ama e che voleva rapirla proprio stasera per sposarla e farla felice. Non ve l’avevo detto?

M. ORLAS - Osate dunque comparirmi davanti, signorina? Sappiate che esistono delle leggi, in questo paese, che proteggono l’onore dei padri. Ad altri che a me spetterà valutare il vostro ruolo, poiché intendo rivolgermi alla Giustizia. Stavate per farvi complice di un delitto, signorina! Il matrimonio è cosa sacra, sappiatelo dalle mie proprio labbra. Esso solo può santificare l’amore. Non rischiavate forse, favorendo questo rapimento notturno, di far di mia figlia una di quelle donne perdute che si sono rese infelici per sempre anteponendo l’amore al dovere? Rispondete!

ARAMINTHE — Signore, ero alla finestra che vi ascoltavo quando poco fa cercavate di convincermi del contrario. Vi è davvero toccata una pessima parte, forse è meglio non insistere e mettere giù quelle pistole che in mano vostra rischiano di far del male a qualcuno. Non avete visto come abbiamo saputo noi, povere fanciulle, difendere il nostro onore senza di voi — e qualche volta anche contro di voi? Cécile ha risposto per me alle vostre follie, come meglio non avrei saputo fare io stessa. Non ci accorderete un po’ più di rispetto e di fiducia, d’ora in avanti?

M. ORLAS - Vieni tra le mie braccia, adorabile fanciulla! Cécile è stata saggia, è vero. Se ti amavo, perché non dirtelo e non domandare semplicemente la tua mano?. . . Ora so che anche tu mi amavi.

CECILE — Potete baciarla, signore, io non guardo.

M.  ORLAS — Grazie, Cécile. Ma lo faccio con tanta tenerezza che tu puoi essere nostra testimone.

(Irrompe lfonsieur Damiens con i suoi uomini d’arme. )

M.DAMIENS — Orsù dunque, miei bravi! Sono nostri!

(Si precipitano su Monsieur Orlas)

Vi sorprendo, signore, in atto di baciare mia figlia!

Flagrante delitto. Ratto con violenza. Stavolta le galere non ve le toglie nessuno!

(Riconosce Orlas. )

Come? Che significa questo tradimento? Siete voi, signore, ch’ io trovo di notte impegnato a baciare Araminthe?

M.  ORLAS - Vi spiegherò, signore...

M.  DAMIENS — Signore, vi credevo un padre e non siete che un seduttore! Sognavo io forse, e proprio voi mi giuravate or ora, pistole alla mano, di proteggere l’onore delle signorine di buona famiglia?

M. ORLAS (dando inizio a imbarazzate spiegazioni) - Signore, l’amore é la mia scusa. Questo sentimento più forte d’ogni cosa...

M.  DAMIENS — Ad altri, signore, contatela ad altri! Non sono tipo da condir via con due parole. Terreste dunque in così poco conto quel che v’è di più sacro, signore? Sareste uno di quegli uomini fatui che non si fanno riguardo veruno della reputazione di una signora?

M.  ORLAS - No, signore. Vi sono tuttavia delle circostanze in cui 1’ amore…

M.  DAMIENS — Fanfaluche! State parlando a un padre, signore, badate bene. L’amore èuna parola che un padre non intende! Ho avuto il grande torto di fidarmi di voi, che in fondo non siete che un ragazzino.

M.  ORLAS - Ma, signore....

M.  DAMIENS — Rispetto per i miei capelli bianchi! Potrei essere vostro padre, signore.

ARAMINTHE (tra le braccia di monsieur Orlas) - Grazie, papà! Avete trovato la bella parola che mi convince ad amarlo.

M.  DAMIENS - Amarlo! Amarlo! Tutti e quanti non avete in bocca che questa parola. Io solo dunque non ne avrei più l’età? Questa me la pagherete cara, giovanotti!

M.  ORLAS — Ora siete ingiusto, signore. Anche voi avete amato a suo tempo, me lo confessavate voi stesso poco fa, e in questo sentimento c’é qualcosa che vince ogni cosa. Ed è pertanto per questo.

(Scorge il Cavaliere di Cécile che é stato liberato, e che ora sta abbracciandola.)

Un momento, signore, ecco qui il nostro bellimbusto! (Gli si avvicina, indignato.)

Signore, non sto sognando? State baciando mia figlia, nel mio giardino, di notte, in mia presenza?

IL CAVALIERE - Signore, io l’amo!

M.  ORLAS — Debole scusa, signore!

IL CAVALIERE - Ma l’avete appena detto anche voi, signore...

M.  ORLAS — Troppo comoda, quella parola, giovanotto, e sulle mie labbra ha tutt’altro senso che sulle vostre. Ah, mio giovane libertino, so quale torvo disegno avevate perpetrato! Ma, grazie a dio, sono arrivato a tempo. Luogo alla giustizia, signore! E sapete il prezzo di tutto questo? Le galere, signore, le galere.

IL CAVALIERE- Signore, non avrete il cuore! ...

M.  ORLAS — State parlando a un padre, signore, custode dell’onore di sua figlia. Un padre! Vi é nella maestà di questa parola qualcosa che avrebbe pur dovuto trattenervi.

M.  DAMIENS (che lo raggiunge) — Ah, ce la contate proprio bella! E io cosa sono, signore? Non cercate di girare la frittata con l’onore di vostra figlia quando sono io che vi domando conto dell’onore della mia.

M.  ORLAS - Ma dal momento che vi ho detto che l’amo, signore!...

IL CAVALIERE — Ma dal momento che anch’io vi dico che l’amo!...

ARAMINTHE (facendosi avanti) - Questa piccola commedia comincia a farsi un po’ troppo lunga. Non pensate che ormai si sia detto tutto? Padre mio, il signor Orlas mi sposa; signore, il cavaliere ha l’onore di chiedervi la mano di vostra figlia. Non credete che si possa ormai lasciare i nostri mantelli scuri e discutere di tutto questo in altra parte che non sia il giardino? La notte è fresca, rischiamo tutti di prenderci un malanno, e io ho fatto preparare una cenetta.

          (Batte le mani. Entrano in scena due valletti con dei candelabri; altre candele s’accendono dentro la casa.)

Se volete darvi la pena d’entrare in casa, la tavola è già apparecchiata.. . Ci sono anche dei musicisti, che ho fatto venire di nascosto, e un grande torta di fidanzamento con i nostri quattro nomi scritti con i canditi.

M.  ORLAS — Tu lo sapevi dunque che tutto si sarebbe concluso così, saggia fanciulla?

ARAMINTHE — Ero dentro alla segrete cose della commedia, signore, e a teatro tutto si conclude sempre per il meglio.

M. ORLAS (prendendo per il braccio il signor Damiens) - Signor Damiens, andiamo a tavola! E’ la conclusione naturale, in Francia. Nozze, battesimi, duelli, funerali, scandali, affari di Stato, tutto è pretesto per arrivare a questo. D’altronde la mia cuoca è un genio. Anche soltanto per lei, dovreste esser lieto di entrare a far parte della mia famiglia... E dite anche ai vostri spadaccini di venire a farsi dar da bere in cucina. (Al cavaliere) E anche ai vostri, signore, che stanno aspettando, a quanto pare, al cancelletto.

IL CAVALIERE - Mille grazie, signore! Ma mi sono accorto che sono gli stessi.

M.  DAMIENS - Come? Li farò impiccare!

M.  ORLAS (conducendolo via) - Fategli grazia, signore. Sono gli unici due spadaccini della nostra piccola città, ed hanno così poco lavoro.

(Passano in corteo all’interno della casa illuminata, di dove giungono scampoli di musica. Durante l’uscita, Cécile, rimasta indietro, sembra imbronciata. Il cavaliere le si avvicina)

IL CAVALIERE — Ebbene, Cécile, siete sulle soglie della felicità e non volete entrare in casa?

CECILE — Sto per prendere una decisione di capitale importanza, signore.

IL CAVALIERE - Vi giuro, amore mio, che non bacerò mai più le mani di Araminthe.

CECILE - Ci conto, signore. Ma ho molto riflettuto su quanto mio padre mi ha detto poco ..... . Effettivamente sono sempre stata molto ingenua. ... E credo proprio, fatta ogni debita considerazione, che sarò io a farvi soffrire.

(Entra in casa, il cavaliere la segue, preoccupato, e la musica si fa più distinta, allegra, mentre cala il sipario.)

FINE