Ceneri alle ceneri

Stampa questo copione

Ceneri alle ceneri {Ashes to Ashes) - la cui stesura è stata terminata da Pinter nel febbraio del 1996 -, prodotta dal Royal Court Theatre, è stata rappresentata per la prima volta il 12 settembre 1996 all'Ambassadors Theatre di Londra con la seguente di

CENERI ALLE CENERI

(Ashes to Ashes)

Commedia

Di HAROLD PINTER

Traduzione di Alessandra Serra

PERSONAGGI

Devlin         un uomo sui quarantanni

Rebecca     una donna sui quarant'anni

 L'azione si svolge ai giorni nostri.

Commedia formattata da


 Una casa in campagna. Una stanza al piano terra. Un'ampia finestra. Ol­tre la finestra, il giardino. Due poltrone. Due lampade. Verso sera. Estate. La stanza si oscura durante la commedia. Le luci delle lampade aumentano. Alla fine della commedia la stanza e il giardino so­no appena distinguibili. La luce delle lampade è diventata molto forte ma non illumina la stanza. Devlin è in piedi con un bicchiere in mano. Re­becca è seduta. Silenzio.

Rebecca                          - Beh... per esempio... lui si piegava su di me mostrandomi il pugno. E poi con l'altra mano mi afferrava la nuca e mi spingeva il viso verso il suo. Il pugno... mi sfiorava la bocca. E ani diceva, «Baciami il pugno».

Devlin                            - E tu lo facevi?

Rebecca                          - Certo. Gli baciavo il pugno. Le nocche. Poi apriva la mano e mi porgeva il palmo... da ba­ciare... che io baciavo. (Pausa). Poi cominciavo a parlare.

Devlin                            - Cosa dicevi? Dicevi cosa? Cosa dicevi?

Pausa.

Rebecca                          - Dicevo: «Mettimi la mano attorno alla go­la». Glielo sussurravo nella mano, mentre gliela baciavo, ma lui la sentiva, la sentiva attraverso la mano, sentiva la mia voce nella mano, la sentiva li.

Silenzio.

Devlin                            - E lo faceva? Ti metteva la mano attorno al­la gola?

Rebecca                          - Oh si. Lo faceva. Lo faceva. E ce la tene­va, delicatamente, molto delicatamente, tanto de­licatamente. Mi adorava, sai.

Devlin                            - Ti adorava? (Pausa). Che significa, ti adora­va? Cosa vuol dire? (Pausa). Vuoi dire che non ti stringeva la gola? È questo che vuoi dire?

Rebecca                          - No.

Devlin                            - Allora cosa? Cosa vuoi dire?

Rebecca                          - Mi stringeva... un po'... la gola, sì. Quel tanto da farmi piegare la testa all’indietro, delica­tamente, ma lo faceva davvero.

Devlin                            - E il corpo? Il tuo corpo dove se ne andava?

Rebecca                          - II mio corpo se ne andava all'indietro, len­tamente, ma se ne andava davvero.

Devlin                            - E cosi le tue gambe si aprivano?

Rebecca                          - Si.

Pausa.

Devlin                            - Le gambe ti si aprivano?

Rebecca                          - Si.

Silenzio.

Devlin                            - Ti senti ipnotizzare?

Rebecca                          - Quando?

Devlin                            - Ora?

Rebecca                          - No.

Devlin                            - Davvero?

Rebecca                          - No.

Devlin                            - Perché no?

Rebecca                          - Da chi?

Devlin                            - Da me.

Rebecca                          - Te?

Devlin                            - Cosa pensi?

Rebecca                          - Penso che sei una testa di cazzo.

Devlin                            - Una testa di cazzo? Io! Stai scherzando.

Rebecca sorride.

Rebecca                          - Scherzando, io? Starai scherzando tu.

Pausa.

Devlin                            - Lo capisci perché ti faccio queste domande. Vero? Mettiti al mio posto. Non posso farne a me­no. Ci sono tante di quelle cose che non so. Non so niente... di tutto questo. Niente. Buio pesto. Ho bisogno di luce. O pensi che le mie domande non siano legittime?

Pausa.

Rebecca                          - Quali domande? Pausa.

Devlin                            - Senti. Ci terrei che tu me lo descrivessi più chiaramente.

Rebecca                          - Descrivertelo? Che significa descriverte­lo?

Devlin                            - Fisicamente. Cioè, che aspetto aveva? Sai, lunghezza, larghezza... altezza, stazza. Cioè, a prescindere... dalla sua indole, se cosi si può chiamare... dal suo carattere... o dalle sue tendenze... spirituali... vorrei, beh, ho biso­gno... di avere una idea più chiara di lui... non proprio un'idea chiara... un'idea, perché... in realtà non ho la minima idea... oggi come og­gi.... del suo aspetto. Che aspettoaveva? Non riesci a dargli una forma, una forma concreta? Ne voglio un'immagine concreta, sai... un'imma­gine che possa portarmi appresso. Riesci solo a parlare delle sue mani, una sul tuo viso, l'altra sulla nuca, poi di nuovo la prima sulla gola. Avrà qualcos'altro oltre le mani. E gli occhi? Non aveva occhi?

Rebecca                          - II colore?

Pausa.

Devlin                            - Sì, è proprio quello che ti sto chiedendo... amore.

Rebecca                          - Che strano sentirsi chiamare amore. Nes­suno mi ha mai chiamata amore. Tranne il mio amante.

Devlin                            - Non ci credo.

Rebecca                          - A cosa non credi?

Devlin                            - Al fatto che nessuno ti abbia mai chiamata amore. (Pausa). Tu pensi che io faccia un uso im­proprio di questa parola?

Rebecca                          - Quale parola?

Devlin                            - Amore.

Rebecca                          - Ah già, mi hai chiamata amore. Che buf­fo.

Devlin                            - Buffo? Perché buffo?

Rebecca                          - Come fai a chiamarmi amore? Io non so­no il tuo amore.

Devlin                            - Sì che lo sei.

Rebecca                          - Beh io non voglio essere il tuo amore. È l'ultima delle cose che voglio. Non sono l'amore di nessuno.

Devlin                            - E una canzone.

Rebecca                          - Cosa?

Devlin                            - «Im nobody's baby now».

Rebecca                          - E «You re nobody's baby now». E co­munque, io non ho usato la parola baby. (Pausa). Non riesco a descrivertelo.

Devlin                            - Te lo sei dimenticato?

Rebecca                          - No. Non me lo sono dimenticato. Non è questo il punto. E che se n'è andato anni fa.

Devlin                            - Se n'è andato? E dove?

Rebecca                          - Se n'è andato per lavoro. Aveva un lavo­ro.

Devlin                            - Che lavoro?

Rebecca                          - Come?

Devlin                            - Che tipo di lavoro? Che lavoro?

Rebecca                          - Credo avesse a che fare con un'agenzia di viaggi. Che fosse una specie di accompagnatore. No. No, mi sbaglio. Quello era solo un lavoro part-time. Nel senso che era solo una parte del suo lavoro all'agenzia. Era molto in alto. Aveva grosse responsabilità.

Pausa.

Devlin                            - Che tipo di agenzia?

Rebecca                          - Un'agenzia di viaggi.

Devlin                            - Che tipo di agenzia di viaggi?

Rebecca                          - Era una guida. Sai, una guida.

Devlin                            - Una guida turistica?

Pausa.

Rebecca                          - Ti ho mai raccontato di quel posto... di quella volta che mi ha portato in quel posto?

Devlin                            - Quale posto?

Rebecca                          - Sono sicura di avertelo detto.

Devlin                            - No. Non me lo hai mai detto.

Rebecca                          - Che buffo. Potrei giurarlo. Di avertelo detto.

Devlin                            - Non mi hai mai detto niente. Non mi hai mai parlato di lui, prima. Non mi hai mai detto niente. (Pausa). Quale posto?

Rebecca                          - Ah, era una specie di fabbrica, credo.

Devlin                            - Che significa, una specie di fabbrica? Era una fabbrica o no? E se era una fabbrica, che tipo di fabbrica era?

Rebecca                          - Non so, facevano delle cose... come in tutte le fabbriche. Ma non era la solita fabbrica.

Devlin                            - Come mai?

Rebecca                          - Portavano tutti il berretto... gli operai... un berretto floscio... e quando entrava lui se lo to­glievano, quando mi precedeva tra le file di ope­rai.

Devlin                            - Si toglievano il berretto? Vuoi dire che si scoprivano il capo?

Rebecca                          - Sì.

Devlin                            - E perché?

Rebecca                          - Me l'ha detto dopo, era un segno di gran­de rispetto.

Devlin                            - E perché?

Rebecca                          - Perché era a capo di una fabbrica dove si rigava dritto. Avevano completa fiducia in lui. Ri­spettavano la sua... integrità, i suoi... principi. Si sarebbero buttati in mare da un precipizio se lui lo avesse chiesto, mi disse. Avrebbero cantato in co­ro se lui li avesse diretti. Diceva, anzi, che aveva­no molto orecchio.

Devlin                            - E a te come ti prendevano?

Rebecca                          - Me? Oh, erano adorabili. Quando sorri­devo. Subito tutti mi sorridevano, nessuno esclu­so. (Pausa). Solo che quel posto era... cosi umido. Troppo umido.

Devlin                            - E non erano vestiti per quel clima?

Rebecca                          - No.

Pausa.

Devlin                            - Mi pareva avessi detto che lavorava per un'agenzia di viaggi.

Rebecca                          - C'era un'altra cosa. Dovevo andare in ba­gno. Ma non riuscivo a trovarlo. L'ho cercato dappertutto. Doveva pur essercene uno. Ma non sono riuscita a scoprire dove. (Pausa). Si, lavora­va per un'agenzia di viaggi. Era una guida. Anda­va alla stazione è camminava su e giù lungo i bi­nari e strappava i bambini dalle braccia delle ma­dri urlanti.

Pausa.

Devlin                            - Davvero? Silenzio.

Rebecca                          - A proposito. Mi sento profondamente tur­bata.

Devlin                            - Davvero? Perché?

Rebecca                          - Per via della sirena della polizia che è pas­sata un paio di minuti fa.

Devlin                            - Quale sirena?

Rebecca                          - Non l'hai sentita? Non puoi non averla sentita. Un paio di minuti fa.

Devlin                            - E allora cosa?

Rebecca                          - Mi ha profondamente turbata. (Pausa). So­no proprio turbata. (Pausa). Non vuoi sapere il per­ché? Beh, te lo dirò lo stesso. Se non lo dico a te, a chi vuoi che lo dica? Ora te lo dico. Mi ha colpito. Vedi... ho pensato che mentre la sirena si affievoli­va per me, per qualcun altro stesse diventando sempre più forte.

Devlin                            - Vuoi dire che ci sarà sempre qualcuno che la starà sentendo, da qualche parte? È questo che vuoi dire?

Rebecca                          - Si. Sempre. E per sempre.

Devlin                            - E questo ti rende più sicura?

Rebecca                          - No! Mi rende insicura! Terribilmente in­sicura.

Devlin                            - Perché?

Rebecca                          - Detesto sentirla affievolirsi. Detesto l'eco che si allontana. Detesto che mi lasci. Detesto per­derla. Detesto che sia qualcun altro a posseder­la. La voglio mia, sempre. È un suono cosi bello. Non trovi?

Devlin                            - Non preoccuparti, ce ne sarà sempre un'al­tra. Ce n'è una che ti sta venendo incontro adesso. Credimi. La risentirai fra pochissimo. A minuti.

Rebecca                          - Ne sei sicuro?

Devlin                            - Sicurissimo. Sono molto indaffarati, quelli della polizia. Hanno cosi tanto da fare. Hanno tante di quelle cose di cui occuparsi, da tenere d'occhio. Non smettono mai di ricevere segnala­zioni, il più delle volte in codice. Non c'è un solo istante del giorno in cui non corrano da un ango­lo all'altro del mondo, con le loro macchine, a si­rene spiegate. Perciò consolati. Dai. Non rimarrai mai più sola. Non rimarrai mai più senza sirena della polizia. Te lo prometto. (Pausa). Senti. A proposito di quel tizio di cui mi parlavi prima... cioè quello di cui stavamo parlando... se così si può dire... quand'è che lo hai conosciuto? Cioè quand'è esattamente che è successo tutto quan­to? Non riesco... come dire... a mettere a fuoco. E stato prima o dopo che mi hai conosciuto? È piuttosto importante. Penso che tu te ne renda conto.

Rebecca                          - A proposito, c'è una cosa che muoio dalla voglia di dirti.

Devlin                            - Cosa?

Rebecca                          - Mi è successa mentre scrivevo un appunto, degli appunti per la lavanderia. Beh... insomma... stavo facendo la lista per la lavanderia. Ho appog­giato la penna su quel tavolino ed è rotolata a terra.

Devlin                                        - No?

Rebecca                          - E rotolata giù, sul tappeto. Davanti ai miei occhi.

Devlin                            - Mio Dio.

Rebecca                          - Una penna, una innocentissima penna.

Devlin                            - Non puoi sapere se è davvero innocente.

Rebecca                          - Perché no?

Devlin                            - Perché non sai da dove viene. Non sai quante altre mani l'hanno usata, quante altre mani ci hanno scritto, cosa ne hanno fatto. Non ne co­nosci la storia. Non conosci la storia dei suoi geni­tori.

Rebecca                          - Una penna non ha genitori. Pausa.

Devlin                            - Non puoi star seduta li a dire cose simili.

Rebecca                          - Si che posso star seduta qui.

Devlin                            - Non puoi star seduta li a dire cose simili.

Rebecca                          - Vuoi dire che non ho il diritto di stare se­duta qui? Non posso sedere su questa sedia, in ca­sa mia?

Devlin                            - Dico che non puoi stare seduta li su quella sedia né su né in nessun'altra sedia a dire cose si­mili, il fatto che abiti qui o no non c'entra.

Rebecca                          - Non ho il diritto di dire cosa?

Devlin                            - Che quella penna è innocente.

Rebecca                          - Tu pensi sia colpevole?

Silenzio.

Devlin                            - Ti sto dando troppa corda. Te ne sei accor­ta? Ti sto lasciando andare. O forse sono io a la-sciarmi andare. E pericoloso. Lo sai? Sono nelle sabbie mobili.

Rebecca                          - Come Dio.

Devlin                            - Dio? Dio? Pensi che Dio stia affondan­do nelle sabbie mobili? Lo trovo un concetto davvero disgustoso. Se è lecito chiamarlo concet­to. Attenta a come parli di Dio. È l'unico Dio che abbiamo. Se te lo lasci sfuggire non tornerà più. Non si volterà nemmeno a guardarti. E poi che farai? Lo sai com'è quel vuoto? È come una partita Inghilterra-Brasile a Wembley e nello sta­dio nemmeno un'anima. Te lo immagini? I due tempi in uno stadio completamente vuoto. La partita del secolo. Silenzio assoluto. Senz'ombra di spettatori. Silenzio assoluto. A parte il fischio dell'arbitro, qualche vaffanculo e un po' di buon calcio. Se giri le spalle a Dio vuol dire che il grande e nobile gioco del calcio cadrà per sempre nell'oblio. Niente goal nei tempi supplementari dopo i tempi supplementari dopo i tempi supple­mentari, niente goal nel tempo eterno, nel tempo infinito. Assenza. Stallo. Paralisi. Un mondo senza un vincitore. (Pausa). Spero che tu abbia afferrato il concetto. (Pausa). E ora lasciatelo di­re. Poco fa hai fatto... se cosi si può dire... hai fatto un'allusione indiretta a quel tuo tizio... al tuo amante?... e a bambini e madri eccetera. E binari. Da ciò deduco che volevi parlare di una qualche atrocità. E ora vorrei chiederti questo. Chi ti autorizza a mettere in discussione tali atrocità?

Rebecca                          - Non mi autorizza nessuno. Non mi è suc­cesso mai niente. Non è successo mai niente a nes­suno dei miei amici. Non ho mai sofferto. E nem­meno i miei amici.

Devlin                            - Bene. (Pausa). Vogliamo parlare un po' più intimamente? Parliamo di cose più intime, parlia­mo di cose personali, di qualche tua esperienza re­cente. Cioè, per esempio, quando il parrucchiere ti prende in mano la testa e comincia a lavarti i ca­pelli con delicatezza, a massaggiarti la cute, quan­do te lo fa, quando i tuoi occhi sono chiusi, e lui te lo fa, gode della tua piena fiducia, non è cosi? Non è solo la testa che ti tiene in mano, vero, ben­sì la tua vita, il tuo benessere... spirituale. (Pausa). Ciò che voglio sapere è... quando il tuo amante ti teneva la mano sulla gola, ti ricordava il tuo par­rucchiere? (Pausa). Parlo del tuo amante. Quello che ha tentato di assassinarti.

Rebecca                          - Di assassinarmi?

Devlin                            - Di darti la morte.

Rebecca                          - No, no. Non ha tentato di assassinarmi. Non voleva assassinarmi.

Devlin                            - Ti ha soffocato e ti ha strangolato. Più o meno, non fa molta differenza. Secondo le tue de­scrizioni. O mi sbaglio?

Rebecca                          - No, no. Ha avuto pietà di me. Mi adorava.

Pausa.

Devlin                            - Aveva un nome, questo tizio? Era stranie­ro? Io dov'ero a quei tempi? Cosa vuoi farmi ca­pire? Che mi hai tradito? Perché non ti sei confi­data con me? Perché non me l'hai confessato? Ti saresti sentita molto meglio. Davvero. Potevi considerarmi un prete. Avresti potuto mettermi alla prova. Ho sempre desiderato essere messo al­la prova. Era una delle ambizioni della mia vita. Ho perso la mia grande occasione. A meno che tutto questo non sia successo prima che ci cono­scessimo. In tal caso non sei obbligata a dirmi niente. Il tuo passato non mi riguarda. Non mi sognerei mai di raccontarti il mio. Non che ne abbia uno. Quando dedichi una vita agli studi non hai voglia di essere importunato dalle scioc­chezze della vita, dalle tette, sai, da quella ro­ba li. Hai la mente altrove. Hai una brava padrona di casa, che ti porta su uova e bacon anche dopo le undici di sera, il letto è caldo, il sole si leva nel punto giusto, la minestra è fredda? Il se­dere della cameriera lo palpi solo una volta ogni morte di papa, ammesso che ci sia... la cameriera, non il sedere... certo sono cose che non succedo­no se hai moglie. Quando hai moglie lasci che pensieri, idee, riflessioni seguano il loro corso. Vale a dire che non lasci mai che vinca il miglio­re. In culo al migliore, è sempre stato il mio mot­to. È chi va avanti a testa bassa col bello e col cattivo tempo, quello che alla fine ce la fa. Un uomo coraggioso e determinato. (Pausa). Uno a cui non gliene frega un cazzo. Uno con un rigoro­so senso del dovere. (Pausa). Le ultime due affer­mazioni non sono in contraddizione. Credimi. (Pausa). Riesci a seguire il filo del discorso?

Rebecca                          - Ah, ecco, mi sono dimenticata di dirti una cosa. Una cosa davvero strana. Guardavo dalla fi­nestra il giardino, il giardino fuori dalla finestra, in quella casa nel Dorset, era mezza estate, ti ri­cordi? Ah no, tu non c'eri. Non c'era nessun al­tro, credo. No. Ero per conto mio. Ero sola. Guardavo fuori dalla finestra e ho visto una gran folla che attraversava il bosco, verso il mare, diret­ta al mare. Sembravano tutti molto infreddoliti, indossavano cappotti, benché fosse una giornata splendida. Una splendida e calda giornata, tipica del Dorset. Portavano tutti delle borse. C'erano... le guide... che li accompagnavano, che li guidava­no. Attraversavano il bosco e li vedevo lontani che attraversavano la scogliera giù fino al mare. Poi li ho persi di vista. Mi incuriosii e andai di sopra al­la finestra più alta della casa, da dove potevo ve­dere la spiaggia da sopra le cime degli alberi. Le guide... scortavano quella folla sulla spiaggia. Era una giornata cosi bella. Non un filo di vento, il so­le che splendeva. E li ho visti entrare in mare. La marea che lentamente li ricopriva. Le borse che galleggiavano su e giù sulle onde.

Devlin                            - Quand'è stato? Quando hai vissuto nel Dorset? Io non ci ho mai vissuto nel Dorset.

Pausa.

Rebecca                          - A proposito, qualcuno l'altro giorno mi ha detto che esiste un disturbo che si chiama elefan­tiasi mentale.

Devlin                            - Che significa «qualcuno mi ha detto?» Che significa «l'altro giorno?» Di cosa parli?

Rebecca                          - Elefantiasi mentale significa che quando versi una goccia d'olio, per esempio, questa subito si espande a macchia d'olio. Diventa un mare d'olio che ti circonda tutto e finisci per affogare in uno spesso mare d'olio. È terribile. Ma la colpa è solo tua. L'hai voluto tu. Non ne sei la vittima, bensì la causa. Perché sei stato tu il primo a versa­re l'olio, sei stato tu a consegnare loro il fagotto.

Pausa.

Devlin                            - Il cosa?

Rebecca                          - II fagotto.

Pausa.

Devlin                            - Dove vuoi arrivare? Sei disposta ad affoga­re nel tuo stesso olio? Sei disposta a morire per il tuo Paese? Senti. Che ne dici, tesoro? Perché non usciamo, prendiamo la macchina, andiamo in città a vederci un film?

Rebecca                          - Che strano, molto tempo fa... in un so­gno... qualcuno mi chiamava tesoro. (Pausa). Al­zai lo sguardo. Stavo sognando. Non so se alzai lo sguardo nel sogno o dopo aver aperto gli occhi. Ma nel sogno c'era una voce che mi chiamava. Di questo sono certa. Di questa voce che mi chiama­va. Mi chiamava tesoro. (Pausa). Si. (Pausa). Uscii nella città gelida. Anche il fango era ghiac­ciato. E la neve era di un colore strano. Non era bianca. Anzi no, era bianca ma c'erano anche al­tri colori. Come delle vene che le scorrevano sot­to. E non era nemmeno liscia, com'è la neve, co­me dovrebbe essere. Era piena di cumuli. E quando arrivai alla stazione vidi il treno. C’era altra gente. (Pausa). E vidi il mio migliore amico, l'uomo a cui avevo dato il cuore, quello che sape­vo sarebbe stato il mio uomo fin dalla prima vol­ta che lo incontrai, il mio adorato, il mio prezio­so compagno, lo vidi passeggiare lungo i binari e strappare tutti i bambini dalle braccia delle ma­dri urlanti.

Silenzio.

Devlin                            - Hai visto Kim e i bambini? (Lei lo guarda). Dovevi vedere Kim e i bambini oggi. (Lei lo fissa). Tua sorella Kim e i bambini.

Rebecca                          - Ah, Kim! E i bambini, si. Si. Si, certo che li ho visti. Abbiamo preso il tè insieme. Non te l'ho detto?

Devlin                            - No.

Rebecca                          - Certo che li ho visti.

Devlin                            - Come stavano?

Rebecca                          - Ben comincia a parlare.

Devlin                            - Davvero? E che dice?

Rebecca                          - Oh, cose come: «Il mio nome è Ben». Cose cosi. «Il nome di mamma è mamma». Cose cosi.

Devlin                            - E Betsy?

Rebecca                          - Cammina a quattro zampe.

Devlin                            - No, davvero?

Rebecca                          - Credo che comincerà a camminare prestis­simo. Sul serio.

Devlin                            - Forse anche a parlare. A dire cose come: «Il mio nome è Betsy».

Rebecca                          - Si, certo che li ho visti. Ho preso il tè con loro. Mah... poverina mia sorella... non sa cosa fare.

Devlin                            - In che senso?

Rebecca                          - Beh, lui vorrebbe tornare... sai... non fa che telefonarle e chiederle se può tornare. Dice che non ce la fa più, che con l'altra è finita, che vi­ve da solo, che con l'altra è finita.

Devlin                            - Ed è vero?

Rebecca                          - Cosi dice lui. Dice che gli mancano i bam­bini.

Pausa.

Devlin                            - E sua moglie non gli manca?

Rebecca                          - Dice che con l'altra è finita. Che non è mai stata una cosa seria, sai, solo sesso.

Devlin                            - Ah. (Pausa). E Kim? (Pausa). E Kim?

Rebecca                          - Non lo vuole più. Mai più. Dice che non dividerà mai più il letto con lui. Mai. Mai più.

Devlin                            - Perché?

Rebecca                          - Mai più.

Devlin                            - Ma perché?

Rebecca                          - Certo che ho visto Kim e i bambini. Ho preso il tè con loro. Perché me lo chiedi? Pensavi che non li avessi visti?

Devlin                            - No. Non sapevo. E che tu mi avevi detto che saresti andata a prendere il tè con loro.

Rebecca                          - Si che sono andata a prendere il tè con lo­ro! Perché non avrei dovuto? È mia sorella. (Pausa). Indovina dove sono andata dopo? Al cinema. Ho visto un film.

Devlin                            - Ah si? E cosa?

Rebecca                          - Una commedia.

Devlin                            - Ah-aah? Divertente? Hai riso?

Rebecca                          - Gli altri ridevano. Gli altri spettatori. Era divertente.

Devlin                            - Ma tu non hai riso?

Rebecca                          - Gli altri si. Era una commedia. C'era una ragazza... e un uomo. Facevano colazione in un ristorante chic di New York. Lui la faceva ri­dere.

Devlin                            - Come?

Rebecca                          - Beh... le raccontava delle barzellette.

Devlin                            - Ah, capisco.

Rebecca                          - Poi nella scena seguente la portava in una spedizione nel deserto, in camper. Lei non era mai stata in un deserto prima. Ha dovuto imparare tutto.

Pausa.

Devlin                            - Sembra divertente.

Rebecca                          - C'era un uomo seduto davanti a me, alla mia destra. E rimasto immobile durante tutto il film. Non si è mai mosso, era rigido, come in rigor mortis, non ha riso una sola volta, sembrava un cadavere. Io mi sono spostata, mi sono spostata il più lontano possibile.

Silenzio.

Devlin                            - Senti, ricominciamo di nuovo. Noi viviamo qui. Non vivi... nel Dorset... né da nessun'altra parte. Vivi qui con me. Questa è la nostra casa. Hai una sorella deliziosa. Vive qui vicino. Ha due bellissimi bambini. Tu sei la loro zia. E ne sei feli­ce. (Pausa). Hai un magnifico giardino. Adori il tuo giardino. Lo hai creato con le tue stesse mani. Hai un vero pollice verde. E anche delle bellissime dita. (Pausa). Hai sentito quello che ti ho detto? Ti ho appena fatto un complimento. Anzi, te ne ho fatti parecchi. Ricominciamo di nuovo.

Rebecca                          - Non credo che possiamo ricominciare di nuovo. Abbiamo cominciato... molto tempo fa. Cominciato. Non possiamo ricominciare di nuovo. Possiamo finire di nuovo.

Devlin                            - Ma non abbiamo mai finito.

Rebecca                          - Oh, si. Molte molte molte volte. E possia­mo finire di nuovo. Di nuovo e di nuovo. E di nuovo.

Devlin                            - Non stai facendo un uso improprio della pa­rola fine? Fine significa fine. Non si può finire «di nuovo». Si può finire una sola volta.

Rebecca                          - No. Si può finire una volta e poi finire di nuovo. (Silenzio. Cantando sottovoce) «Ceneri alle ceneri...

Devlin                            - E polvere alla polvere...

Rebecca                          - Se la donna non ti finirà...

Devlin                            - L'alcol ci riuscirà...»[1]. (Pausa). Ho sempre saputo che mi amavi.

Rebecca                          - Perché?

Devlin                            - Perché ci piacciono le stesse melodie. (Silen­zio). Ascolta. (Pausa). Perché non mi hai mai detto di questo tuo amante prima d'ora? Avrei tutto il diritto di essere molto arrabbiato. Lo sai? Avrei tutto il diritto di essere molto arrabbiato. Lo capi­sci, vero?

Silenzio.

Rebecca                          - A proposito, c'è una cosa che volevo dirti. Ero in piedi in una stanza di un palazzo molto alto nel centro della città. Il cielo era pieno di stelle. Stavo per chiudere le tende ma poi rimasi alla fi­nestra per un po' a guardare le stelle. Poi guardai giù. Vidi un vecchio e un bambino camminare per strada. Trascinavano entrambi una valigia. La va­ligia del bambino era più grande di lui. Era una notte molto chiara. Per via delle stelle. Il vecchio e il bambino camminavano per strada. Si tenevano per mano, quella libera. Mi domandai dov'erano diretti. E quando stavo per accostare le tende all'improvviso vidi una donna che li seguiva, con un bambino in braccio. (Pausa). Ti avevo detto che la strada era ghiacciata? Era ghiacciata. Perciò lei era costretta a procedere con molta attenzione. Scavalcare quei cumuli. Le stelle brillavano. Segui il vecchio e il bambino finché non svoltarono l'an­golo e scomparvero. (Pausa). Lei rimase immobile. Baciò il suo bambino. Era una bambina. (Pausa). La baciò. (Pausa). Ne ascoltò il battito del cuore. Il cuore della bambina batteva. (Le luci si sono ab­bassate. Le lampade sono fortissime. Rebecca è sedu­ta immobile). La bambina respirava. (Pausa). Me la tenevo stretta. Respirava. Il cuore batteva.

Devlin le si avvicina. In piedi accanto a lei la guar­da dall'alto. Lui chiude il pugno e glielo mette da­vanti al viso. Le afferra la nuca con la mano sini­stra. Porta il suo viso verso il pugno chiuso. Il pu­gno le sfiora la bocca.

Devlin                            - Baciami il pugno. (Lei non si muove. Riapre la mano e le mette il palmo sulla bocca. Lei non si muove). Parla. Dimmelo. Dimmi: «Mettimi la ma­no attorno alla gola». (Lei non parla). Chiedimi di metterti la mano attorno alla gola. Lei non parla, non si muove. Lui le mette la mano sulla gola. La preme delicata­mente. La sua testa si piega all'indietro. Restano immobili. Lei parla. C'è un'eco. Lui allenta la presa.

Rebecca                          - Ci portarono ai treni

Eco                                 - ai treni

Le toglie la mano dalla gola.

Rebecca                          - Stavano portando via i bambini

Eco                                 - i bambini

Pausa.

Rebecca                          - Io avvolsi la mia bambina nello scialle

Eco                                 - nello scialle

Rebecca                          - E ne feci un fagotto

Eco                                 - un fagotto

Rebecca                          - Lo tenni sotto il braccio sinistro

Eco                                 - il braccio sinistro

Pausa.

Rebecca                          - E riuscii a passare con la mia bambina

Eco                                 - mia bambina

Pausa.

Rebecca                          - Ma la bambina cominciò a piangere

Eco                                 - a piangere

Rebecca                          - E l'uomo mi richiamò

Eco                                 - mi richiamò

Rebecca                          - E mi chiese cos'hai lì

Eco                                 - hai lì

Rebecca                          - Allungò una mano per farsi consegnare il fagotto

Eco                                 - il fagotto

Rebecca                          - E io gli consegnai il fagotto

Eco                                 - il fagotto

Rebecca                          - Quella fu l'ultima volta che tenni il fa­gotto

Eco                                 - il fagotto

Silenzio.

Rebecca                          - Poi salimmo sul treno

Eco                                 - sul treno

Rebecca                          - E arrivammo in questo posto

Eco                                 - questo posto

Rebecca                          - E incontrai una donna che conoscevo

Eco                                 - che conoscevo

Rebecca                          - E mi chiese cos'è successo alla tua bambi­na

Eco                                 - tua bambina

Rebecca                          - Dov'è la tua bambina

Eco                                 - tua bambina

Rebecca                          - E io dissi quale bambina

Eco                                 - quale bambina

Rebecca                          - Non ho una bambina

Eco                                 - una bambina

Rebecca                          - Non so niente di nessuna bambina

Eco                                 - nessuna bambina

Pausa.

Rebecca                          - Non so niente di nessuna bambina. Lungo silenzio. Buio.

FINE


[1] E’ una nenia cantata dai bambini che in realtà fa: «Ceneri alle cene­ri e polvere alla polvere se il Signore non ti vorrà il diavolo ti pren­derà». La troviamo anche in Figli e amanti di D. H. Lawrence nel capitolo Defeat of Miriam (La sconfitta di Miriam).