Achille Campanile
CENTOCINQUANTA
LA GALLINA CANTA
Un atto
PERSONAGGI
Cecilia, moglie di
Tito
Battista
Avvocato Bianchi
Avvocato Neri
Il Conte
La Contessa
Il Cuoco
La Cameriera
Il tenore Palewski
Suonatori
Salotto in casa di Tito. Tito ha la veste da camera sui pantaloni della marsina; sfoglia un giornale. In fondo, Battista il domestico, in frac, sta impalato sotto la porta in attesa di ordini.
I.
Cecilia, Tito, Battista.
CECILIA (entrando in gran toletta, con un piccolo specchio in mano, nel quale si guarda) Andiamo?
TITO (guarda l'orologio) È presto cara. Sono appena le nove e mezzo e per andare in casa dei vicini, basta mezzo minuto: si esce dalla nostra porta e s'infila la loro. Non amo arrivare primo ai ricevimenti.
CECILIA (seccata) E tu sai bene che io non voglio perdere le romanze che canterà Palewski.
TITO (scettico) Uhm, Palewski! Come fosse chissà chi!
CECILIA Né più né meno che il più grande tenore vivente, per tua regola. Conosce e canta tutte le opere, tutte le romanze e tutte le canzoni.
TITO Bene, bene. Sta' tranquilla che non perderemo il tuo Palewski. C'è un mezzo semplicissimo. Appena udremo i primi accordi dell'orchestra, faremo il nostro ingresso in omaggio al celebre tenore.
CECILIA St! (Tende l'orecchio, in ascolto, fissando la parete di destra)
TITO Che c'è?
CECILIA Mi pare che cominci la musica. Ascoltate anche voi, Battista.
Ascoltano tutti e tre fissando la parete di destra.
TITO No. È una tromba d'automobile, lontana, nella notte... (S'alza, toglie lo specchio a Cecilia che ha finito di acconciarsi. Si mira estasiato della propria immagine. Poi presenta lo specchio a Cecilia, mettendoglielo sotto gli occhi come fosse una fotografia) Guarda come sono simpatico!
CECILIA Ma questa sono io, stupido.
TITO (riprende lo specchio e si guarda di nuovo) Sono io, ti dico. Del resto, Battista giudicate voi se sono io o è lei.
BATTISTA (prende lo specchio, vi si guarda) Mi duole dover dire che non è né il signore né la signora, ma sono io.
TITO (riprende lo specchio e si specchia) Ah, è vero, è Battista. (Tende l'orecchio come sopra)
CECILIA Che hai?
TITO Mi par di sentire la voce del famoso tenore. (Ascoltano tutti e tre c. s.) No. È un cane che abbaia lontano, nella notte. (Accende una sigaretta e apre il giornale)
CECILIA Auff! (Sfoglia una rivista di mode)
TITO (canta con disinvoltura)
Cinquecento
la gallina canta
lasciala cantare
la voglio maritare.
CECILIA (alza il capo e lo guarda severa) Che hai detto? Ripeti.
TITO Che cosa? Canticchiavo.
CECILIA (sempre pia severa) Ripeti quello che canticchiavi.
TITO (canticchia di nuovo)
Cinquecento
la gallina canta
lasciala cantare
la voglio maritare.
CECILIA (con grande disprezzo) Imbecille!
TITO (stupito) Perché?
CECILIA Non sai niente e vuoi sempre canticchiare. E non ti accorgi che fai delle figure ridicole.
TITO (seccato) Ma si può sapere che ti succede?
CECILIA Mi succede che sei un asino come ne ho visti pochi, ecco.
TITO Oh, insomma! (S'alza) Questa è una provocazione.
CECILIA Ma che provocazione! Informati prima di aprire bocca. Si dice centosessanta e non cinquecento.
TITO Che cosa?
CECILIA La canzone di poco fa. (Canta con aria professorale)
Centosessanta
la gallina canta
lasciala cantare
la voglio maritare.
TITO (ride mefistofelicamente) Ah, ah, ah! Centosessanta! Mi pare che questa volta la signora maestra prenda un granchio fenomenale. Si dice cinquecento. S'è sempre detto e sempre si dirà cinquecento.
CECILIA Ma perché ti ostini? Non vedi che sei ridicolo? Si dice centosessanta.
TITO Cinquecento.
CECILIA Oh, benedetto Iddio, ti vuole entrare in testa che con cinquecento manca la rima?
TITO Non m'importa nulla. lo me ne infischio delle rime, io. Grazie al cielo, non sono poeta! E se anche lo fossi...
CECILIA (pronta a saltare) Se anche lo fossi?
TITO (crudele) Se anche lo fossi farei versi sciolti per non darti soddisfazione.
CECILIA (con rabbia) Centosessanta!
TITO Cinquecento e basta! Non uno di meno. Del resto rimettiamoci a un arbitro. Battista!
BATTISTA (che finora ha ascoltato avidamente, si ricompone subito e si dà un'aria indifferente) Signor barone.
TITO Tu eri qui e hai udito tutto.
BATTISTA Non mi sarei mai permesso. (Dignitoso)
TITO Imbecille.
BATTISTA Ebbene, SI, ho udito, ma le giuro che non dirò niente a nessuno.
TITO Non si tratta di questo. Rispondi: cinquecento o centosessanta?
BATTISTA Mi duole dover contraddire il signor barone, ma in fede mia debbo dichiarare che, fin dalla più tenera età, ho sempre udito centosettanta. (Canta, corretto come sempre)
Centosettanta,
la gallina canta,
lasciala cantare,
la voglio maritare.
CECILIA Pezzo d'asino!
TITO (urla) Fannullone! Non immischiarti mai più nei discorsi dei tuoi padroni. Del resto, io rimango del mio parere. Cinquecento, cinquecento! (Canta)
Cinquecento,
la gallina canta,
lasciala cantare,
la voglio maritare.
CECILIA (canta assieme, rabbiosa)
Centosessanta,
la gallina canta,
lasciala cantare,
la voglio maritare.
BATTISTA (in fondo, a mezza voce, insieme, malignamente)
Cento settanta
la gallina canta
lasciala cantare
la voglio maritare.
TITO (si tappa le orecchie ed urla) Cinquecento, cinquecento!
CECILIA (comincia a piangere) Ma si può andare avanti così. Con un marito simile? Questa è una vita d'inferno ed io non resisto.
TITO Ma smettila, presuntuosa!
CECILIA (piange) Mi offende, anche!
TITO (freddamente) lo non offendo. Rilevo soltanto la gravità d'una situazione insostenibile fra noi.
CECILIA Sono anch'io di questo parere e domani andrò da un avvocato.
TITO (beffardo) Ma vacci, finalmente, da quest'avvocato. Sono anni che lo dici. Perché lo fai aspettare tanto? Vacci. Anch’io andrò da un avvocato.
CECILIA (ghignando) Ah, ah, mi fai ridere coi tuoi avvocati.
TITO E tu coi tuoi. Anzi, guarda, non voglio aspettare nemmeno fino a domani; subito anderò da un avvocato. Battista, presto, il cappello e il bastone.
Battista consegna.
CECILIA Sarai carino in pigiama, cappello e bastone. Mi fai proprio ridere.
BATTISTA (insegue Tito) Il frac, signor barone!
Escono.
II.
Cecilia sola. Poi Tito e l'avvocato Bianchi.
CECILIA (piange. Poi va al telefono e forma un numero) Venti... cinquecento... No, ho sbagliato. Centosessanta, centosessanta, la gallina canta... Oh, Dio, la mia povera testa! ...Pronto? È lei, avvocato? Si, sono io. La prego di venire subito a casa... Urgentissima... Si, un'altra scenata pochi minuti fa. Dobbiamo separarci... No, stasera... Dove? A teatro? Ma anderà al second'atto. Venga, la prego. Subito? ...Si, grazie. (S'abbatte affranta sulla poltrona. Suona il campanello; a Battista che entra) Fra poco verrà l'avvocato Neri. Lo farete entrare subito e m'avvertirete. (Esce tristemente a sinistra, mentre dalla comune entra Tito in fretta, seguito dall' avvocato Bianchi)
TITO (a Bianchi) Accomodati un momento, vado a chiamare mia moglie.
BIANCHI Mi raccomando, sii calmo. Passeresti dalla parte del torto.
TITO Non dubitare.
BIANCHI Quanto agli alimenti, io direi centosessanta...
TITO (con forza) No! Cinquecento!
BIANCHI Ma sei pazzo? Vuoi rovinarti?
TITO Scusa, ero distratto. Con permesso. (Esce a sinistra)
Si sente suonare alla porta. Bianchi sta guardando i quadri alle pareti, o altro, e non vede entrare l'avvocato Neri, che è in abito da sera.
III.
Bianchi, Neri, Battista. Poi Cecilia e Tito.
Neri entra dalla comune, seguito da Battista, al quale, senza voltarsi, consegna, con aria stanca, il bastone, poi i guanti, quindi il mantello e il gibus. Battista, avendo le mani occupate col bastone e i guanti, riceve il cilindro in testa e il mantello sulle spalle.
NERI Avvertite la baronessa. (Si volta e non riconoscendo Battista, che sembra un elegante signore, gli fa un inchino) Oh scusi.
BATTISTA (s’inchina) Vado ad avvertire la baronessa. (Via solenne come un gran signore)
CECILIA (entrando seguita da Tito e da Battista; a Battista) Andate ad avvertire i nostri vicini che non andremo alloro ricevimento, perché sto poco bene.
Battista via.
TITO e CECILIA (agli avvocati) Buonasera.
Scambio di saluti.
BIANCHI (si volta e solo ora si accorge della presenza di Neri. Ha un gesto di sdegno) Ah, perdio, no. (Fa per andarsene)
TITO Dove vai?
BIANCHI Me ne vado. Ti prego di non trattenermi, perché non posso restare un minuto di più in una casa dove si trovi questo abominevole leguleio, il quale ha l'anima più nera e orrida della faccia.
NERI (sdegnato) Sono io che me ne vado, perché non posso vedere senza orrore questo sconcio mozzorecchi. Oggi stesso voglio allontanarmi dalla vostra città e andarmi a nascondere, se mi è dato, in luoghi dove egli non possa più venire a presentarsi ai miei occhi.
Prendono i soprabiti fulminandosi con gli occhi.
BIANCHI Me ne vado io.
NERI Anch'io.
BIANCHI Allora... (cambiando tono) andiamocene tutti e due. (A Neri) Tu che strada fai?
NERI Passo per il Corso e tu?
BIANCHI Anch'io.
NERI Allora possiamo fare la strada insieme.
Si pigliano sottobraccio ed escono conversando amabilmente.
TITO Ma venite qui, in nome di Dio! (Gli avvocati rientrano) C'è una tragedia in casa e voi ve ne lavate le mani.
CECILIA Vi supplico, restate.
IV.
Detti, Contessa e Conte.
Entrano il Conte e la Contessa vicini di casa; la contessa parla col birignao cioè affettatamente e pronunziando spesso e invece di a.
LA CONTESSA (a Cecilia) Oh, chera! Bettista è venuto e dir ci che non potete venire el nostro ricevimento perché stei poco bene, e, siccome il tenore Pelewski non è encore erriveto, vengo e sentire come stei.
CECILIA (col fazzoletto agli occhi, la conduce via a sinistra) Vieni, vieni, ti racconterò tutto.
TITO (conduce via il Conte a destra) E tu vieni con me. A te racconterò io tutto. Figurati...
V.
Avvocato Bianchi e avvocato Neri.
Rimasti soli gli avvocati parlano con aria grave.
BIANCHI Dunque hai saputo?
NERI Vagamente.
BIANCHI Tragedia in casa al solito.
NERI C'è stata un'altra scenata, lo so, ma ignoro i particolari.
BIANCHI Lui pare si sia messo a cantare con la sua vocina...
NERI E vuoi che si mettesse a cantare con la vocina di un altro?
BIANCHI Non cominciare a confutarmi coi tuoi soliti cavilli. Lui, dunque, si sarebbe messo a cantare. (Canta con aria grave)
Cinquecento
la gallina canta...
Conosci?…
NERI Sì, sì, perfettamente. (Canta con aria di profonda competenza)
Lasciala cantare.
la voglio maritare.
BIANCHI Benissimo. Lei pare l'abbia corretto un po' bruscamente, osservando che si deve dire:
Centosessanta
la gallina canta
lasciala cantare
la voglio maritare.
NERI Ma diamine è ovvio.
BIANCHI (impermalito) Niente affatto. Si dice cinquecento.
NERI Centosessanta.
BIANCHI (alzando la voce) Non insistere.
NERI Non ti ostinare! Centosessanta.
BIANCHI Cinquecento! Del resto, ne riparleremo dopo. (Continua il racconto...) Così si sono inaspriti da tutte e due le parti e le cose stanno a questo punto, che una soluzione definitiva s'impone; credo che l'unica sia una separazione legale.
NERI Ma non si può tentare un accomodamento su una via di mezzo; sulla base, che so io, di trecentoventicinque? Lui scende un po', lei sale e s'incontrano a mezza strada.
BIANCHI Macché! Lui ha insistito per cinquecento, lei non ha spostato da centosessanta e ogni tentativo di accomodamento vano. Intransigenza assoluta da tutte e due le parti. Del resto credo che faranno bene a separarsi. Capirai, sono anni che vanno avanti a questo modo, tra continue scene. Non si può, non si può. Lui, specialmente, ha bisogno di riposo di tranquillità. Che si dividano. È l'unica cosa che possano fare, ormai.
NERI Sta bene. Lui le passerà gli alimenti.
BIANCHI Questo lo vedremo. Bisogna anzitutto stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Nomineremo un collegio di periti. lo sono fermamente convinto che la versione giusta sia cinquecento.
NERI (scaldandosi) lo, centosessanta.
BIANCHI E tu sei un imbecille.
NERI E tu un furfante della più bell'acqua. Un furfante in mala fede.
BIANCHI Mi renderai ragione. (Gli dà la carta da visita)
NERI E tu a me. (Gli restituisce la stessa carta da visita, non trovandone una propria) Ti mozzerò le orecchie!
VI.
Detti, Cecilia, la Contessa, Tito e il Conte. Poi Battista, il Cuoco, la Cameriera.
Da sinistra rientrano Cecilia e la Contessa, da destra Tito e il Conte.
CONTESSA Scusa Chera. A me sembra né cinquecento, né centosessanta, ma centotrenta! Se no come ci sarebbe la rima? È tanto chiero. (Canta sgangheratamente)
Centotrenta
la ghellina chenta
Lescela chentere
la voglio meritere.
CECILIA Tu non t'intendi di musica. Centosessanta!
LA CONTESSA Centotrenta!
IL CONTE Ma andiamo! Né centosessanta, né cinquecento, né centotrenta, ma centottanta. Centottanta. (Canta)
Centottanta
la gallina canta
lasciaI a cantare
la voglio maritare.
TITO Tu sei sempre stato debole in aritmetica.
LA CONTESSA (al Conte) Che dici, pezzo d'asino? È centotrenta.
IL CONTE Centottanta!
CECILIA Centosessanta!
TITO Cinquecento!
BIANCHI Mille!
NERI (furibondo) Un milione!
IL CUOCO (entrando, in berretto bianco, col mestolo in mano) Mais, mon Dieu, qu'est-ce-que-c'est que tout ce brouhaha?
TITO (piano al Conte) Il nostro chef è francese.
IL CUOCO L'on dit:
Cen t -qua tre- vingts-dix
la poule chante
laisse qu'elle chante
je veux la marier.
CAMERIERA (accorrendo) Centoquaranta!
Tutti s'agitano e urlano contemporaneamente il proprio numero, cercando di sopraffarsi con la voce, come se stessero alla Borsa, quando all'improvviso si sente un rumore d'applausi dall'appartamento vicino. Tutti tacciono in ascolto.
TITO Che c'è?
LA CONTESSA Mio Dio! È arriveto il celebre tenore Pelewski. Che fortuna. Bettista, Bettista! Andete a pregherlo di venire i subito qui con i professori d'orchestra. (Battista esce) Il tenore Pelewski sa tutte le chenzoni del mondo. Deve sapere enche questa. Gliela feremo chentere, e vedremo chi ha regione.
TUTTI Benissimo.
Fanno ala all'ingresso del celebre tenore.
VII.
Palewski, suona tori e detti.
Palewski entra con grande prosopea, seguito dall'orchestra che fa un accordo e si schiera in fondo. Tutti s'inchinano.
IL CONTE Illustre amico, vi preghiamo...
LA CONTESSA (tirandolo via) Perlo io. Sente...
CECILIA (tirandola via) Lascia dire a me.
TITO Aspetta.
CECILIA (c. s.) Lascia parlare me.
TITO Anche questa disgrazia dovevo avere. Come se non bastassero le altre. Una moglie che sa tutto, che capisce tutto, che ragiona meglio di tutti.
CECILIA Accidenti a quando apro bocca.
TITO (solennemente) E’ inutile che riepiloghi i fatti, purtroppo noti...
CECILIA Questo lo sappiamo.
TITO (la guarda in cagnesco) E allora parla tu.
CECILIA (stizzita) Ma va' avanti.
TITO No. Voglio che parli tu.
CECILIA Uffa! Adesso me ne vado. Ma non capisci che il tenore ha da fare? Vieni al dunque.
TITO Se mi lasciassi parlare, ci saremmo arrivati da un pezzo.
CECILIA E parla! Chi te lo impedisce?
TITO Ah, pazienza che stai per scapparmi!
PALEWSKI È necessario che io assista a questa riunione?
BIANCHI Ma se vi siete affidati agli avvocati, dovete lasciar parlare noi. (A Palewski) De minimis non curat praetor...
CONTESSA Insomme, noi le preghiemo di volerci chentere une romanze.
PALEWSKI Volentieri, contessa.
LA CONTESSA Grazie, maestro.
PALEWSKI (dignitoso rettifica) Prego: commendatore.
TITO (a Palewski) Lei conosce, professore...
PALEWSKI (c. s.) Prego: commendatore.
TITO Scusi tanto. Conosce, commendatore, quella canzone che dice: «La gallina canta, lasciala cantare, la voglio maritare?»
PALEWSKI (tra la crescente ammirazione dell’uditorio) Eh! È il mio cavallo di battaglia. Nient'altro che questo. S'immagini che l'ho cantata in presenza dello zar e di tutti i re, imperatori e principi d'Europa. Mi ricordo, una volta, a Parigi, staccarono i cavalli della mia vettura e mi portarono in trionfo, dopo che ebbi cantata questa canzone. A Pietroburgo non potettero staccare i cavalli, perché ero in automobile, ma staccarono addirittura le ruote dell'automobile, per portarmi in trionfo; a Londra, prima staccarono i cavalli dalla vettura, poi staccarono le code ai cavalli, poi staccarono i crini delle code dei cavalli. (Con una vocina) A Instambul staccarono tutto; a Frascati mi bastonarono.
CECILIA Allora, ce la faccia sentire.
L'orchestra attacca e Palewski si prepara maestosamente, in posa melodrammatica schiarendosi la voce.
PALEWSKI (tra l'attenzione generale, canta) Uno...
Sorpresa e costernazione di tutti.
TITO Uno?
PALEWSKI Si. La canzone comincia dall'uno e bisogna salire fino alle centinaia.
BIANCHI Stiamo freschi.
PALEWSKI (canta)
Uno, la signora si veste di bruno
per andare in società,
ma scordando la gonnella
mette solo i falbalà!
TUTTI (in coro conservando atteggiamenti seri di persone in un salotto)
Mira la dindondella
Mira la dindondà!
PALEWSKI Due,
Ho mangiato un arrosto di bue,
come disse quella là
Ch'era negra e molto bella
nel mangiar la sua metà.
TUTTI Mira la dindondella
Mira la dmdondà!
PALEWSKI Tre,
vuoi sapere tu perché
il marito è la metà?
Se sua moglie è troppo bella
lo riduce una metà.
TUTTI Mira la dindondella
Mira la dindondà!
PALEWSKI Quattro...
TITO (interrompe) Scusi si potrebbe saltare, arrivando subito alle centinaia?
PALEWSKI Salto senz'altro al pezzo che l'interessa. (Canta) Cento... (Un interminabile vocalizzo, seguito con ansia da tutti) ...o... o... o... o... (Ogni tanto sembra che stia per concludere, tutti si preparano a udire la fine, ma il vocalizzo riprende, all'uso dei cantanti d’opera che gorgheggiano; l'effetto della scena è affidato alla varietà degl'interminabili gorgheggi e all’ansia con cui i circostanti li seguono, facendo controscene, in attesa della conclusione, che sembra sempre prossima e non arriva mai) ...o... o... o... o... o...
TUTTI (ansiosi) Eh? ...
PALEWSKI o... o... o... o... o...
TUTTI Ah?
PALEWSKI o... o... o... o... o...
TUTTI Ih!
PALEWSKI ...cinquanta!
TUTTI (con sospiro di sollievo) Oh! Uh!
PALEWSKI (attacca imperterrito il seguito della canzoncina-tiritera infantile)
...la gallina canta
lasciala cantare
la voglio maritare
le voglio dar cipolla
cipolla è troppo forte
le voglio dar la morte
la morte è troppo scura
le voglio far paura
canta il gallo
canta la gallina
la sera s'avvicina
la signora Caterina... (ecc. ad libitum)
Il canto è interrotto dagli applausi e da grida di «bravo! »; il tenore s'accascia in una poltrona, spossato, tossendo.
LA CONTESSA (lo circonda di cure esagerate, gli batte la mano dietro la schiena) indicandogli il soffitto e dicendogli) L'uccellino, l'uccellino, guardi l'uccellino!
IL CONTE (a tutti) Cosicché, avete sentito? Avevamo torto tutti. Si dice centocinquanta. E nessuno ci aveva pensato!
NERI (a Cecilia) Signora Cecilia, il marito è sempre il marito. Un giorno potreste pentirvi. Via, fate pace, abbracciatelo!
LA CONTESSA (a Cecilia) Abbrèccialo, abbrèccialo, il merito è sempre il merito.
BIANCHI (a Tito) lo ci rimetto, perché perdo una causa, ma, caro Tito, debbo dirti: per questa volta riconciliati. Avevate torto tutt'e due. E, poi, la moglie è sempre la moglie. Su, abbracciatevi! (Lo spinge tra le braccia di Cecilia)
I due s'abbracciano; a un segnale di Palewski l'orchestra attacca e tutti cantano in coro, facendo corona ai due coniugi.
TUTTI (in coro)
Centocinquanta
la gallina canta
lasciala cantare
la voglio maritare;
ecc. ecc.
Sipario