C’era una volta e adesso c’è ancora

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c'era una volta

C’ERA UNA VOLTA

…. E ADESSO C’E’ ANCORA

Commedia in due atti

di TONINO CONTE

PERSONAGGI

CANTASTORIE

GEPPONE

MOGLIE

FIGLI

VENTO

MOGLIE VENTO

PRIORE

TITOLARE

VARI

Commedia formattata da

Nota: nel corso delle prove o anche durante le prime re­pliche dello spettacolo, si dovranno aggiungere battute all'attore che impersona il Cantastorie e agli altri attori, in modo da stabilire un contatto diretto col pubblico nei pas­saggi da una fiaba all'altra. Queste battute non avranno il compito di coprire i cambiamenti di scena, ma la funzione di commento all'azione scenica avvenuta e di introduzione all'azione seguente.

ATTO PRIMO

(La scena è vuota. Gli attori entrano col carretto, alcuni dentro, altri spingendolo. Sono vestiti molto semplicemente come giovani del giorno d'oggi. Il carretto si ferma al cen­tro, ne scendono gli attori e montano il fondale formato da 6 lenzuoli appesi a corde sostenute da pali grezzi di legno. L'attore che interpreta la parte del Cantastorie indossa ci­lindro e gilet mentre gli altri preparano sul fianco del car­retto i cartelloni illustrati. Preparata la scena gli attori si schierano in fila, faccia al pubblico, come un coro. Daranno la loro voce ai personaggi della fiaba narrala dal Cantastorie, il quale con la bacchetta indicherà i disegni e di volta in volta l'attore che deve dare la voce al personaggio)

Cantastorie                    -  C'erano una mamma e un babbo con tre­dici figli tutti maschi. Ne nacque un altro e gli misero nome Quattordici. Crebbe in fretta e diventò grande e la mamma gli disse: "È ora che anche tu aiuti i tuoi tredici fratelli che sono nel campo a zappare. Prendi questo cesto con la colazione per te e per loro e raggiungili". Gli diede un cesto con quattordici pagnotte, quattordici forme di ca­cio e quattordici litri di vino, e Quattordici andò. A metà strada gli prese fame e sete e mangiò tutte e quattordici le forme di cacio, e le pagnotte, e bevve tutti i quattordici litri di vino. I fratelli, rimasti a bocca asciutta, gli dissero: "Prendi un bidente anche tu e mettiti a zappare". E Quattor­dici: "Si, ma voglio un bidente che pesi quattordici lib­bre". I fratelli gli trovarono un bidente che pesava quat­tordici libbre, e Quattordici disse: "Facciamo chi fa prima a zappare fino in fondo al campo?". Si misero a zappare tutti e quattordici, e Quattordici arrivò per primo in fondo al campo. Da allora in poi, Quattordici lavorò coi fratelli: lavorava per quattordici ma mangiava anche per quattor­dici e i fratelli diventarono magri come acciughe. Allora il padre gli disse: "Vattene un po' per il mondo". E Quattor­dici ci andò. C'era un contadino grosso che aveva bisogno di quindici zappatori, e Quattordici gli disse: "Io lavoro per quattordici e mangio in proporzione, quindi pretendo la paga per quattordici. Se mi prendete a questo patto, io vengo". Il contadino grosso volle metterlo alla prova e prese lui insieme a un altro uomo, cosi Quattordici più uno faceva quindici. Andarono a zappare e mentre l'uomo dava un colpo di bidente, Quattordici ne dava quattordici e presto zappò tutta la campagna. Quando ebbe tutta la campagna zappata, il contadino grosso pensò che non gli conveniva dargli la paga per quattordici e pensò a un sistema per li­berarsi di lui, e gli disse: "Sta' a sentire, devi farmi un servizio. Devi andare all'inferno con sette mule e quattor­dici bigonce a caricarle d'oro da Lucibello". E Quattordici: "Certo che ci vado, datemi solo una tenaglia che pesi quat­tordici libbre". Avuta la tenaglia, frustò le mule per la strada dell'inferno, finché arrivato alle porte dell'inferno, dis­se a quei diavoli: "Chiamatemi Lucibello". E loro: "Che vuoi dal nostro capo?" "Il mio padrone mi manda a riem­pirgli quattordici bigonce d'oro." "Vieni giù." gli rispose Lucibello. Quando fu giù quattordici diavoli gli s'avventa­rono contro per divorarlo. Ma appena un diavolo apriva la bocca. Quattordici gli prendeva la lingua con la tenaglia e lo lasciava morto. Ci rimase solo Lucibello capo dei dia­voli. "Come faccio a riempirti d'oro le bigonce se m'hai ammazzato i diavoli che dovevano caricarle?" "Le carico io," gli rispose. Riempi d'oro le bigonce e disse: "Grazie, me ne vado." "Credi di andartene cosi, strillò Lucibello, e aperse la bocca per mangiarselo. Quattordici prese la lingua con la  tenaglia   anche  a lui, lo alzò da  terra, se lo mise a tracolla appeso alla tenaglia, e via dall'inferno con le mule cariche d'oro. Arrivò a casa del padrone e legò il diavolo al piede della tavola di cucina. Lucibello chiese: "Che cosa devo fare ora?" "Prenditi il mio padrone e tornate­ne all'inferno con lui.". Il diavolo non se lo fece dire due volte, e Quattordici restò lui padrone di tutto. Chiamò suo padre, sua madre e i suoi tredici fratelli, e con loro fece festa.

 Il regalo del Vento Tramontano      

(// carretto viene adattato a teatro da burattini in cui gli attori recitano, visibili a mezzo busto, con la testa coperta da grandi maschere e con costumi sgargianti)

Cantastorie                    -  Un contadino di nome Geppone abitava nel podere di un Priore avaro, su un colle dove il vento tra­montano distruggeva sempre frutti e piante. E il povero Geppone pativa la fame con tutta la famiglia. Un giorno si decide.

Geppone                       -  Visto che non posso prendermela col Priore che mi ha assegnato un podere cosi male esposto, voglio andare a cercare questo vento che mi perseguita. Addio moglie,   addio figli, io parto.

Moglie                           -  Fai buon viaggio, Geppone. (Escono sei bambini in fasce, pupazzetti di stoffa infilati sulle braccia degli attori, che si agitano e pigolano come pulcini)

Figli                               -  Ciao papà, ciao papà, ciao papà, ciao papà!

Cantastorie                    -  Cammina cammina Geppone arrivò a Ca­stel Ginevrino, dove abitava il Vento Tramontano, e bussò alla porta.

Moglie  Vento               -  Chi picchia alla porta del Vento Tramon­tano?

Geppone                       -  Son   Geppone,  non  c'è vostro marito?

Moglie  Vento               -  È andato a  soffiare un  po'  tra i  faggi e torna subito. Entrate ad aspettarlo in casa.

Geppone                       -  Uhuhuhuhuhuh!...   che   aria   fredda.

Moglie  Vento               -  È mio marito che torna.

Geppone                       -  Buongiorno, Vento.

Vento                            -  Chi sei?

Geppone                       -  Son  Geppone.

Vento                            -  Cosa cerchi?

Geppone                       -  Tutti gli anni mi porti via i raccolti, lo sai bene, e per colpa tua muoio di fame con tutta la famiglia. Vento        -  E perché sei venuto da me? Prenditela col Priore che ti ha dato il podere più brutto.

Geppone                       -  Non posso, perché se protesto il Priore chia­ma le guardie e mi fa arrestare.

Vento                            -  Io cosa posso  farci?

Geppone                       -  Anche tu mi hai fatto male, cerca di rimediare in qualche modo, son nelle tue mani.

Moglie  Vento               -  Marito, mi sembra un buon uomo.

Vento                            -  Mi ha fatto compassione. Geppone, piglia questa scatola, quando   avrai fame  aprila, comanda   quel che vuoi e sarai obbedito. Ma non darla a nessuno.

Geppone                       -  Grazie, Vento.

Cantastorie                    -  Geppone tutto allegro fece la strada in sen­so inverso e tornò a casa proprio all'ora di cena.

Geppone                       -  O   moglie!

Moglie                           -  O Geppone, com'è andata?

Geppone                       -  Benone,   state   a   vedere.   Scatola,   porta   pane vino e companatico. (Dalla scatola spunta fuori un braccio che porge roba da mangiare per tutta la famiglia)

Moglie                           -  Oh   che   meraviglia,   qui   c'è   da   mangiare   per tutti. (Escono i  bambini  tutti  insieme)

Figli                               -  Pio, pio, pio, pio, pio, pio, pio, pio, pio... (Man­giano  velocemente facendo sparire tutti i cibi)

Geppone                       -  Non dire al Priore che  ho portato  questa sca­tola, se no me la  soffia.

Moglie                           -  Io dir qualcosa? Dio me ne liberi.

Geppone                       -  Adesso   che ho la  pancia piena,  mi sento  un gran   signore.

Moglie                           -  Bambini, a nanna, sciò, sciò, sciò... (/ bambini in fila indiana escono uno alla volta da sinistra a  destra)

PrioRe                           -  Donna,  è   tornato   tuo   marito?

 

Moglie

                                      -  Si,  signor  Priore.

PrioRe                           -  Ah, si?  E  come è andata.

Moglie                           -  Bene, signor Priore.

PrioRe                           -  Son contento. E che ha portato di bello?

Moglie                           -  Niente.

PrioRe                           -  Come,  niente.

Moglie                           -  Solo una  scatoletta.

PrioRe                           -  E che c'è in quella scatoletta?

Moglie                           -  Niente, signor Priore.

PrioRe                           -  Come niente?

Moglie                           -  Non c'è niente. Ma si figuri che se uno ordina, quella porta  da  mangiare.

PrioRe                           -  Ah,  si?  Mandami  qui  Geppone.

Moglie                           -  Geppone, ti vuole il Priore.

Geppone                       -  Buongiorno, signor  Priore.

PrioRe                           -  O  Geppone, so che hai una scatola molto pre­ziosa. Me la   fai vedere?

Geppone                       -  Di quale scatola parlate?

PrioRe                           -  Geppone, non dire bugie che è peccato.

Geppone                       -  Ma questa scatola non vale niente.

PrioRe                           -  Niente,   eh?

Geppone                       -  Con questa scatola io ci mangio.

PrioRe                           -  Geppone, la devi dare a me.

Geppone                       -  E io come resto?  Lei sa che ho  perso tutti i raccolti.

PrioRe                           -  Se mi dai codesta scatola ti darò tutto il grano che vuoi, tutto l'olio che vuoi, tutto il vino che vuoi. Altri­menti...

Geppone                       -  E va bene. (Dà la scatola al Priore e torna a casa)

Moglie                           -  Che voleva il Priore?

Geppone                       -  Mi ha preso la scatola. E ancora grazie se manterrà la promessa e mi darà mezzo sacco di grano.

Moglie                           -  Siamo di nuovo allo stento. Cosa mangeremo?

Geppone                       -  Le tue chiacchiere! È per causa tua che ho perso la scatola. Il Vento me l'aveva raccomandato di non dirlo a nessuno.

Moglie                           -  E tu torna dal Vento e fatti regalare un'altra scatola.

Gippone                        -  Di ripresentarmi a lui non  ho più il coraggio.

Moglie                           -  Fatti coraggio, se no qui moriamo di fame.

Figli                               -  Pio, pio, pio, pio, pio, pio, pio, pio...

Geppone                       -  Animo, mi tocca  partire.

Cantastorie                    -  Geppone   cammina  di   nuovo   fino   al   Ca­stello Ginevrino e  bussa alla porta del  Vento Tramontano.

Moglie  Vento               -   Chi  è?

Geppone                       -  Geppone.

Moglie  Vento               -  Marito, è di nuovo Geppone.

Vento                            -  Fallo entrare.

Geppone                       -  Buongiorno,   Vento.

Vento                            -  Cosa vuoi,  Geppone?

Geppone                       -  Ti ricordi la scatola che mi avevi dato? Me l'ha presa il padrone e a me tocca sempre patire fame e stento.

Vento                            -  Te l'avevo detto di non darla a nessuno. Ora va' in pace, io  non ti dò più niente.

Geppone                       -  Per carità, solo tu puoi rimediarmi questa di­sgrazia.

Vento                            -  Non ci sento.

Geppone                       -  Pensa ai miei figli.

Moglie  Vento               -  Non ti fa compassione?

Vento                            -  Mi fa compassione. Vedi questa scatola? È d'oro. Non aprirla se non quando avrai una gran fame. Se no, non ti  ubbidisce.

Geppone                       -  Grazie,   Vento,   corro   a   casa.

Moglie                           -  Com'è   andata?

Geppone                       -  Benone, ho portato una scatola più bella dell'altra.

Moglie                           -  Proviamola subito.

Geppone                       -  Scatola,   provvedi   a pane vino   e companatico. (Questa volta dalla  scatola escono  due  braccia  armate di un bastone e cominciano a picchiare a destra e a sinistra)

Geppone e Moglie        -  Aiuto! Al soccorso! Siamo morti!

Figli                               -  Piiiiiii!   Piiiiiiii!   Piiiiiiiii!

Moglie                           -  Chiudi la scatola.

Geppone                       -  È un brutto scherzo del Vento Tramontano.

Moglie                           -  Adesso che facciamo?

 

Geppone                       -  Senti,  va' dal padrone e digli che ho portato una scatola più bella dell'altra.

Moglie                           -  Buongiorno, signor  Priore.

PrioRe                           -  È  tornato  Geppone? E cosa ha portato?

Moglie                           -  Pensi signor Priore, una scatola meglio dell'altra: tutta d'oro!

PrioRe                           -  Oh, davvero?

Moglie                           -  Ma questa volta non vuol darla a nessuno.

PrioRe                           -  Mandami Geppone.

Moglie                           -  Ti chiama il Priore.

Geppone                       -  Riverisco, signor Priore.

PrioRe                           -  Mi rallegro, Geppone, mi rallegro che sei torna­to. Mi fai vedere la nuova scatola?

Geppone                       -  Si, e poi mi pigliate anche questa.

PrioRe                           -  No, non  te la piglio.

Geppone                       -  Eccola  qua.

PrioRe                           -  Geppone, dàlia a me. Che vuoi fartene tu che sei un contadino di una scatola d'oro?

Geppone                       -  Questa  me la  tengo.

PrioRe                           -  Ti dò in cambio l'altra e poi qualcosa di giunta.

Geppone                       -  Be' andiamo: mi renda l'altra e le dò questa.

PrioRe                           -  Affare fatto.

Geppone                       -  Badi signor Priore questa si deve aprire solo se si ha una gran fame.

PrioRe                           -  Mi  va giusto   bene.  Domattina  ho la  visita  del Titolare, lo faccio star digiuno fino a mezzogiorno, poi gli apro la scatola e avrà la sorpresa. (Esce)

TitolaRe                        -  Io sono il Titolare, sono molto importante, e ho una gran fame. Priore!

PrioRe                           -  Al vostro  comando.

TitolaRe                        -  Noi. vuoi darmi da mangiare?

PrioRe                           -  No! Cioè, si!

TitolaRe                        -  In cucina il fuoco è spento.

PrioRe                           -  Vedrà, signor Titolare...

TitolaRe                        -  Cos'ho da vedere? In dispensa non ci sono prov­viste.

PrioRe                           -  Ma non ce n'è bisogno.

TitolaRe                        -  Come? Non hai messo in tavola neanche un tozzo   di   pane.

PrioRe                           -  Ora ci penso io. Scatola mia, scatola d'oro, servi pane vino e companatico. (Dalla scatola escono due brac­cia che stringono un bastone e tirano giù botte ai due)

TitolaRe                        -  Ahhhh! E questo me lo chiami pane? Priore, me la pagherai.

PrioRe                           -  Geppone, me  l'hai fatta.

Geppone                       - (voce fuori scena) L'avete voluta voi la scatola.

PrioRe                           -  Salvami da questo diavolo di bastone.

Geppone                       -  Voi cosa mi date?

PrioRe                           -  Tutto  quello  che  vuoi.

Geppone                       -  Voglio un campo più grande, e che non sia esposto al Vento Tramontano.

PrioRe                           -  Prenditi la scatola, e prendi anche il campo, e va' con Dio! (Appare Geppone e si scopre che le braccia che picchiano sono le sue. L'attore che lo impersonava si toglie la maschera e continua a picchiare il Priore e il Ti­tolare fino a far rotolare via le loro maschere)

Geppone                       -  Prendi questo, questo e ancora questo, e va' all'inferno. Non ho più bisogno di te Priore, e nemmeno di te, Titolare dei miei stivali! (Rivolto al pubblico) Ragazzi, avete visto che lezione?

Pierino Pierone

Cantastorie                    -  Pierino   Pierone era un bambino che anda­va a scuola. Per la strada di scuola c'era un orto con un pero, e Pierino  Pierone si  arrampica a mangiar pere. Sotto il   pero passò la Strega Bistrega.

Strega                            -  Perino   Pierone   dammi   una   pera con la   tua bianca manina che a vederle, son sincera sento   in   bocca   l'acquolina.

Pierino                           -  Questa   si   sente   l'acquolina  in   bocca   perché vuol mangiare me, non le pere. Io non scendo. Strega Bi­strega ti tiro una pera.

 

 

Strega                            -  La pera è caduta per  terra, proprio dove è pas­sata una mucca e ha lasciato  un   suo   ricordino.

Pierino                           -  Pazienza.

Strega                            -  Un corno!

Pierino   Pierone   dammi   una  pera

con la   tua bianca manina

che a vederle, son sincera

sento   in  bocca   l'acquolina.

Pierino                           -  Io non scendo, Strega Bistrega, ti butto un'altra pera.

Strega                            -  Questa volta  la  pera è  caduta dove un cavallo ha lasciato un laghetto.

Pierino                           -  Pazienza.

Strega                            -  Un corno!

Pierino Pierone dammi  una pera

con la   tua bianca manina

che a vederle   son sincera

sento   in  bocca   l'acquolina.

Pierino                           -  Uffa! M'hai convinto Strega Bistrega, scendo dal ramo e ti porto la pera.

Strega                            -  Bravo   Pierone   Pierino

sei   un   bravo   ragazzino.

Pierino                           -  Ecco a te, streghina.

Strega                            -  Ti ho preso! (La Strega apre il sacco e ci mette dentro Pierino, lega il sacco e se lo mette in spalla, si in­cammina verso casa) Guarda che bel prezzemolo in que­sto prato, mi fermo un momento per raccoglierne un maz­zetto. (Posa il sacco e si mette a raccogliere prezzemolo. Pierino intanto riesce ad aprire il sacco, ci ficca dentro una pietra e scappa. La Strega riprende il sacco e se lo mette in spalla)

Ahimé!   Pierino   Pierone

pesi come   un   pietrone. (La Strega arrivata a casa bussa al portone, sua figlia si af­faccia alla finestra)

Margherita                    -  Chi  è?

Strega                            -  Margherita Margheritone

vieni   giù,   apri   il   portone

e prepara il calderone

per bollire  Pierino   Pierone.

Margherita                    -  Mammina,  t'apro subito il portone perché ho la fame di sette buoi e voglio  mangiarmi  Pierino Pierone. (Accendono il fuoco e ci mettono su il calderone)

Strega                            -  Bolle?

Margherita                    - (dopo aver sentito l'acqua col dito) Non bolle.

Strega                            -  Bolle?

Margherita                    -  Non   bolle.

Strega                            -  Bolle?

Margherita                    -  Bolle!

Strega                            -  Allora lo butto. (Rovescia il sacco nella pentola e la pietra manda fuori l'acqua bruciando le gambe a tutte e due)

Ahi!   Pierino Pierone

m'hai   scottato  il   sederone.

Margherita                    -  Mamma  mia, cosa vuol dire:

porti   i   sassi   da bollire?

Strega                            -  Me l'ha  fatta!

Figlia mia riaccendi il fuoco

io ritorno qui  fra poco. (Cambia  il  vestito, si mette una parrucca  bionda e va  via di corsa col sacco)

Pierino                           - (che è tornato sul pero) Che belle pere, che belle pere.

Strega                            - (falsando la voce) Pierino Pierone dammi una pera

con la tua  bianca manina

che a vederle, son sincera

sento in bocca l'acquolina.

Pierino                           -  Strega Bistrega sei una vecchia bacucca

anche se ti sei messa la parrucca.

Strega                            -  Non son  chi credi, son sincera

arrivata son qui stamattina

dammi  una pera, dammi una pera

con la tua bianca manina.

 

Pierino                           -  Non  dò pere alla  Strega   Bistrega

se no mi prende, e nel  sacco mi lega.

Strega                            -  Pierino   Pierone   dammi una   perina

con   la   tua   bianca   manina.

Pierino                           -  Uffa!   Strega Bistrega,  mi  fai  pena

scendo dal ramo e ti dò  la pera.

Strega                            -  T'ho preso. (Lo ficca nel sacco e lo porta via. Arrivata a casa bussa alla porta)

Margherita                    - (affacciandosi   alla   finestra) Ho   fame!   Ho fame!  Ho fame!  Ha fame!

Strega                            -  Margherita   Margheritone

apri subito il portone.

Margherita                    -  Questa volta non  ci  scappa.

Strega                            -  Senti  bambina   figlia   di   strega, vado   a   cogliere l'insalata,   mentre   io sono   via   fallo   in   spezzatino   con   pa­tate.

Margherita                    -  Ci penso io. (Slega il sacco e fa spuntare la testa del bambino)

Pierino Pierone fammi un piacere metti la testa su questo tagliere.

Pierino                           -  Ma quello che hai in  mano   è  un coltello?

Margherita                    -  Ma che coltello, è un rastrello.

Fammi  il piacere, fammi il piacere metti la testa su questo tagliere.

Pierino                           -  Eh? Come? Fammi un po' vedere.

Margherita                    -  Cosi, stupido, metti il collo

e   lo  allunghi   come   un   pollo. (Margherita  mette   la   testa   sul   tagliere,   Pierino  prende  il coltello, le taglia la testa e la mette a friggere in padella)

Pierino                           -  Margherita   Margheritone

Margheritone   Margheritina

ti ho tagliato la testolina. (Si sentono arrivare da lontano i passi della Strega) Ahimé, torna la Strega, io mi arrampico sul camino.

Strega                            -  Margheritina   figlia   mia   bella chi  t'ha messa   li   in   padella?

Pierino                           -  Io!

Strega                            -  Come hai fatto a salire lassù sulla cappa del ca­mino?

Pierino                           -  Ho messo una pignatta sopra l'altra e sono salito.

Strega                            -  Ci provo anch'io. (Mette una pentola sopra all'al­tra e tenta di salire, ma sul più bello rotola nel fuoco e prende a bruciare) Aiuto, brucio, brucio, brucio, brucio!

Pierino                           -  Strega Bistrega

il fuoco ti frega!

Strega Bistrega

il  fuoco ti frega!

Strega                            -  Se  mi spegni ti dò   un tesoro.

Pierino                           -  Dov'è   il   tuo   oro?

Strega                            -  È   nascosto   li   nel   muro.  (Pierino   tira  fuori   il tesoro dal muro)

Pierino                           -  Oro   d'oro  e  princisbecco

ce  n'è  proprio  un   bel  mucchietto.

Strega                            -  Adesso mi  spegni? Sono infiammata

Son  quasi   tutta  consumata. Pierino           - (rivolto al pubblico)  Bambini, voi che ne dite?

La   spengo  o  non la   spengo?

Faccio   quello   che   mi dite. (Secondo la risposta del pubblico,  Pierino spegne la Strega o la fa bruciare fino all'ultima briciola)

E di Margherita Margheritone

che ne facciamo?

Se volete io le riattacco la testa.

Si? Ci proviamo. (Fa sedere Margherita in terra, le mette la testa sul collo e gliela cuce con ago e filo, poi ci passa sopra un po' di saliva)

Margherita                    -  Ho fame!

Pierino                           -  Tira   la  coda   al   cane.

Margherita                    -  Ora   ti   mangio.

Pierino                           -  Marameo! Vienimi a prendere. (Pierino scappa inseguito da Margherita e dalla Strega che se non è stata spenta   continua   a   gridare)

Strega                            -  Brucio! Chi mi spegne? Chi ha pietà di una povera Strega? Bambini, spegnetemi, spegnetemi!

 

ATTO SECONDO

Peppi sperso per il mondo

Cantastorie                    -  C'era una volta una madre vedova con due figlie femmine e un maschio che si chiamava Peppi e non sapeva come buscarsi un pezzo di pane. La madre e le sorelle filavano, e Peppi disse: (durante l'azione che se­gue il cantastorie si cambia a vista per interpretare la parte di 1" Contadino incontrato da Peppi. Interpreterà poi altri personaggi a seconda delle  necessità)

Peppi                             -  Madre,   sapete  cosa   vi   dico?   Vi   domando   bella licenza  e  me ne vado  sperso   per  il mondo.

MadRe                          -  Vai, figlio mio, e non tornare più indietro.

Peppi                             -  Facciamo   cosi:    se   divento   ricco   torno   indietro, se resto povero non torno più.

MadRe                          -  Addio,  figlio.

Peppi                             -  Addio, madre. (Peppi si mette sulla strada e cam­mina. Fermandosi)m Chi mi vuole per garzone che lo voglio per padrone. (Riprende il cammino. Si ferma ancora) Chi mi vuole per garzone che lo voglio per padrone.

1° Contadino                -  Ehi, chi sei?

Peppi                             -  Avete bisogno di un  picciotto?

1° Contadino                -  Da dove vieni?

Peppi                             -  Dal paese più povero del mondo.

1° Contadino                -  Eh, cane! cane! Dagli addosso!

Peppi                             -  Me   ne   vado,   non  vi  arrabbiate.  (Si  rimette a camminare)

Chi  mi  vuole per garzone

che lo voglio per padrone.

Chi mi vuole per garzone

che lo voglio per padrone.

2° Contadino                -  Tu!

Peppi                             -  Viva Maria!

2° Contadino                -  E viva Maria! Che abbiamo?

Peppi                             -  Se avete bisogno di un picciotto...

2° Contadino                -   Aspetta:   ci deve  essere il boaro che  se ne   va.   Andiamo a   chiederlo al padrone. Padrone,   c'è   un picciotto  qua, che cerca lavoro.

Padrone                         -  Si, fagli fare colazione, che quando scendo ne parliamo.

23 Contadino                 -  Mangia Peppi, c'è pane e ricotta.

Peppi                             -  Non butto  via  neanche le briciole. (Peppi man­gia in fretta sorvegliato dal contadino)

Padrone                         -  Sei tu  il picciotto?

Peppi                             -  Ai  vostri comandi, signor padrone.

Padrone                         -  Domattina  vai coi buoi, ma senti, figlio  mio: qua se ci vuoi stare c'è il semplice mangiare e nulla più.

Peppi                             -  Io ci sto. Sia quello che vuole Dio.

2°Contadino                 - Peppi, qui c'è un pane e un po' di com­panatico. Prendi i buoi e portali a pascolare. Attento a non tornare prima che tramonti il sole.

Pfppi                             - (porta i buoi al pascolo) Questa è la mia giornata dìlavoro:   mi  sveglio col  sole,  tutto il giorno   sto  dietro ai buoi, a mezzogiorno mangio pane e ricotta e bevo ac­qua di sorgente, poi di nuovo con le bestie, col bello e col brutto tempo, con pioggia e con vento, giorni feriali e giorni festivi, sempre solo, senza mai vedere in faccia un cristiano, e quando il sole sta per calare, torno alla fattoria per buttar­mi a dormire su un  mucchio di paglia. Che vita è questa? (Peppi torna alla fattoria)

Padrone                         -  Peppi!

Peppi                             -  Oh!

Padrone                         -  Che hai?

Peppi                             -  Niente. (Peppi torna al pascolo coi buoi) La mia giornata è  sempre la  stessa;  al mattino vado via coi buoi, a mezzogiorno mangio pane e ricotta, la sera me ne torno alla   stalla  sempre intrombato in   viso. (Peppi torna a casa coi buoi)

Padrone                         -  Peppi!

Peppi                             -  Oh!

Padrone                         -  Che hai?   

Peppi                             -  Niente.

 

Padrone                         -  Niente, Peppi? Perché non me lo dici?

Peppi                             -  Cosa ci   ho  da   dirvi? Sta venendo  carnevale,  e neanche stavolta mi darete "un po' di soldi che vada a far' festa con mia madre e le sorelle?

Padrone                         -  Ih, di tutto mi puoi discorrere, fuorché di sol­di. Se vuoi pane, quanto ne vuoi, ma soldi niente.

Peppi                             -  E   se   dovessi   comprare   un   po'   di   carne,   come faccio?

Padrone                         -  I patti te li ho fatti prima: non so cosa dirti. (Peppi va al pascolo)

Peppi                             -  Anche questo giorno me la passo con i miei santi buoi. In questo mondo non cambia mai niente: il sole se ne sta sempre appeso sopra, i buoi stanno sempre con le quattro zampe in terra, il padrone è sempre il padrone, e io sono sempre Peppi.

Bue                               -  Peppi!

Peppi                             -  Chi mi chiama? È l'apprensione che ho in cuore che mi fa sentire quel che non c'è.

Bue                               -  Peppi!  Peppi!

Peppi                             -  Ma chi è che mi chiama?

Bue                               -  Sono io.

Peppi                             -  Come!  Parli?

Bue                               -  Io si che parlo.

Peppi                             -  O bella, un bue che ragiona.

Bue                               -  Che hai che metti un muso cosi lungo?

Peppi                             -  Cos'ho da avere? Viene carnevale e il padrone non mi dà niente.

Bue                               -  Senti cosa devi dirgli, Peppi, stasera quando ci vai. Gli devi dire: "E neanche il bue vecchio mi date?". A me il padrone non mi può vedere, perché non ho mai voluto la­vorare, e mi regalerà a te. (Peppi torna alla fattoria)

Padrone                         -  Peppi, che hai, con quel viso come una trom­ba lunga sette canne?

Peppi                             -  Ci ho da dirvi una cosa: neanche il bue vec­chio mi volete dare, che ha più anni lui della civetta? Al­meno quando arrivo a casa lo scanno e metto un po' a mollo quella sua carne dura.

Padrone                         -  Quello pigliatelo, ti regalo anche un pezzo di corda per portartelo via.

Peppi                             -  Grazie, padrone. Allora, con vostra licenza, io vado a casa a salutare mia madre.

Padrone                         -  Fai  buon  viaggio,  e   soprattutto   torna  presto

Peppi                             -  Andiamo, Bue, che il viaggio è lungo. Bandito

Re                                 -     Genti   di  tutte   le   contrade!   Udite!   Udite! Udite!   Udite!   Genti  di   tutti i ceti!   Udite!   Udite!  Udite! Udite!   Chiunque si sente di lavorare e finire in un giorno una salma di  terra,   si piglia la figlia del  Re in moglie;  se è sposato, due tumuli di monete d'oro; se non ce la fa, il collo tagliato. Promesso e firmato:   Re Bagnacallo.

Peppi                             -  Caspita, la  figlia  del Re in sposa!

Bue                               -  Ci   vogliamo  provare   noialtri,   Peppi?

Peppi                             -  E  proviamoci (Si avvicinano alla porta  del  pa­lazzo reale)

Sentinella                      -  Alto  là!

Peppi                             -  Presentatemi al Re, voglio fare la prova.

Sentinella                      -  Tu? Sei  troppo stracciato.

Peppi                             -  Ho un bue e braccia buone per lavorare.

Sentinella                      -  Va' via! Va' via!

Peppi                             -  No che non vado via!

Re                                 -  Che è  questo  baccano?

Sentinella                      -  Sire, un picciotto vuol fare la prova. Ma ha la faccia del morto di fame.

Re                                 -  Be', se ci rimette la testa, avremo un morto di fame in meno nel reame. Voi che ne dite?

Ministro 1                     -  Uno più...

Ministro 2                     -  ...uno meno...

Re                                 -  Meglio uno meno.  Fatelo  passare,

Peppi                             -  Ai piedi di sua Maestà.

Re                                 -  Cos'abbiamo?

Peppi                             -  Intesi il bando, e vorrei  vedere se posso farcela io con quella salma di terra.

Re                                 -  Ma l'hai inteso  tutto, il bando?

Peppi                             -  L'intesi:   se  non   ce   la  faccio,   ne  va   di  mezzo il collo.

Re                                 -  Povero ragazzo.

Ministri                         -  Hih, hih,  hih!   Poverino.

 

 

Peppi                             -  Però, Maestà, deve darmi l'aratro e un po' di fieno, perché  io non ho niente,  essendo di  passaggio.

Re                                 -  Dategli fieno e aratro.

Ministri                         -  Signorsì. (/ Ministri consegnano a  Peppi fieno e aratro)

Peppi                             -  Maestà, voglio cominciare subito.

Re                                 -  E allora sotto.

Peppi                             -  Alò   Bue!   Alò!   Il   giorno   è   corto  e  la   terra   è grande. Alò!   Alò!

Re                                 -  Con l'aiuto di Dio, è andato.

Ministro 1                     -  Maestà,  il   picciotto  va   svelto.

Ministro 2                     -  Maestà,  quel bue lavora  come dieci  bestie.

Ministro 1                     -  Maestà,  che  facciamo?

Re                                 -  E che dobbiamo fare?  Non  possiamo mica tagliar­gli la testa prima  che  tramonti  il sole.

Ministro 2                     -  Non   vede   che   quello   là   sta   finendo   di arare?

Ministro 1                     -  Non vorrà mica dare sua figlia a quel brut­to villano?

Re                                 -  E voialtri cosa mi consigliate?

Ministro 1                     -  A   mezzogiorno   gli   mandiamo   una  gallina al forno...

Ministro 2                     -  ...del sedano  tenero tenero...

Ministri                         -  ...e una  bottiglia di vino oppiato.

Re                                 -  Mandate   subito   la  serva.

Ministro 1                     -  Serva!   Porta   la colazione  al  picciotto.

Serva                             -     Obbedisco. (La   serva  porta   il  cesto  del  man­giare nel campo) Signor   Peppi, questo ve lo  manda  il   Re in persona.

Peppi                             -  Gli bacio le mani.

Serva                             -     Venite a mangiare, che raffredda.

Peppi                             -  Prima voglio finire  di arare.

Serva                             -    Che   premura  avete?   Ormai   non  vi rimane   da arare che un triangolo di  terra grande quanto un cappello da prete.

Peppi                             -  Allora mangio, ma prima ne dò al bue.

Bue                               -  A me mezza manna di fieno, che son vecchio. (Pep­pi e il Bue mangiano)

Peppi                             -  O che bellezza, il campo è quasi tutto arato, viene un capolavoro.  Tra un'ora finisco, sposo la figlia del Re e divento ricco. Quando poi muore il Re, divento re io, e a te Bue ti  faccio primo ministro. Voglio comprarmi un ca­vallo bianco, un vestito di seta e cosi tutto insignorato tor­no da mia madre. Scommetto che non mi riconosce. Mi pa­re di vederla qui impalata, a bocca aperta, povera vecchia... (Sbadiglia)   ...un   sogno...  (Sbadiglia)   Le   dico:    te   l'avevo detto che tornavo a casa ricco?... (Si addormenta)

Re                                 -  Si addormenta?

Ministro 1                     -  Si addormenta.

Ministro 2                     -  Si è addormentato.

Re                                 -  Sssst!   Sssst!   Silenzio  su tutto  il regno.   Non voglio sentire volare una mosca.

Ministro 1                     -  Silenzio!

Ministro 2                     -  Silenzio!

Re                                 -  Ssssst!  Guai se si  sveglia.

Ministro 1                     -  Ssssssst!

Ministro 2                     -  Ssssssst!

Re                                 -  Ssssssst!...   rrroon...   sssssst...   rrrroon...  (A   forza   di zittirsi uno con  l'altro si addormentano tutti e tre con la testa appoggiata sul balcone)

Bue                               -  Ehi, ehi!

Peppi                             -  Ahhhh?...  Ahahahahahaaaa...

Bue                               -  Alzati, alzati, che ne va di mezzo il collo.

Peppi                             -  Ahhhhh!  che è successo? Mi sono addormentato. Il sole è già basso, qui ci rimetto la testa.

Bue                               -  Peppi,  finiamo.

Peppi                             -  Alò Bue! Alò! Alò!

Re                                 - (svegliandosi) Eh? Silenzio! Che è stato?

Ministro 1                     -  Silenzio!

Ministro 2                     -  Silenzio!

Re                                 -  Che silenzio e silenzio! Imbecilli, quello si è rimesso ad arare.

Ministro 1                     -  Accidenti,   s'è    svegliato.

Ministro 2                     -  L'oppio   era  poco.

Re                                 -  Bestioni!   Sono infuriato.

Ministro 1                     -  Ha finito di arare.

 

Ministro 2                     -  Il  sole è tramontato.

Ministri                         -  Amen!

Re                                 -  Adesso che facciamo?

Ministro 1                     -  Offritegli le  monete  d'oro.

Ministro 2                     -  È povero in canna,  e si porterà via  i due tumuli d'oro, senza neanche guardare in faccia vostra figlia.

Re                                 -  Fatelo venire.

Ministri                         -  Avanti  il   vincitore!

Peppi                             -  Papà, mi benedica.

Re                                 -  Oh, hai finito?

Peppi                             -  Ho finito?

Re                                 -  Cosa vuoi? Due tumuli di monete d'oro? L'oro è bello, sai?

Peppi                             -  Ma vostra figlia dev'essere più bella ancora.

Re                                 -  Come, non vuoi i quattrini?

Ministri                         -  Non vuole i quattrini!

Peppi                             -    Scapolo   sono,  Maestà, che   me  ne  faccio delle monete  d'oro?  Ora è moglie che voglio  prendere.

Re                                 -  Ho dato la mia parola  di  Re:   e moglie avrai.

Tutti                              -  Viva Peppi! E viva anche il suo Bue!

Bue                               -  Ora che ti sposi mi devi ammazzare e tutte le mie ossa le devi mettere in una corba e andarle a piantare una per una nella terra che hai arato. La mia carne invece devi dire al cuoco  di cucinarla come vuole:   da carne  di coni­glio, di pollame, di lepre, di castrato e anche di pesce.

Peppi                             -  No, Bue, non ti voglio ammazzare.

Bue                               -  Guarda, io sono vecchio, se non mi ammazzi di tua mano, io muoio di malattia soffrendo il doppio.

Ministro 1                     -  Ma si, ammazziamolo.

Ministro 2                     -  Cosi non dovremo comprare carne per il ban­chetto di nozze.

Re                                 -  Cuoco, cucina la carne del vecchio Bue come carne di coniglio, di lepre, di pollame, di castrato e di pesce.

Cuoco                           -  'gnorsi, cosi farò.

Re                                 -  Che Peppi sia vestito da gran signore. (/ due Ministri vestono Peppi come un Principe) Adesso facciamo il ma­trimonio.

Ministro 1                     -  Entra la reginotta!

Ministro 2                     -  Omaggio alla reginotta.

Re                                 -  Figlia mia, questo è tuo marito:   lo prendi?

Reginotta                      -  Lo prendo.

Re                                 -   Figlio   mio, questa è   tua moglie:    la prendi?

Peppi                             -  Si, papà, la prendo.

Re                                 -  Vi benedico marito e moglie.

Ministri                         -  Lunga vita agli sposi!

Tutti                              -  Viva gli sposi!

Re                                 -  Adesso facciamo festa.

Cuoco                           -  Il pranzo è servito.

Ministro 1                     -  A tavola.

Ministro 2                     -  Tutti a tavola. (Siedono tutti attorno alla ta­vola imbandita e mangiano).

 Tutti                             -  "Che profumo."

"Ma questa è proprio lepre."

"Questo è pollo vero."

"Bestia giovane questa."

"Bella carne."

"Tenera tenera."

"Senti, è pesce."

"Un fagiano più fagiano   di questo non  l'ho mai

mangiato."

"E tutto questo ben di dio è venuto dal vecchio

Bue di Peppi."

"Ci ha fatto la sorpresa."

"Che squisitezza."

"Che bellezza."

Re                                 -  Ce l'avete tutti la pancia piena?

Tutti                              -  Si,  Maestà.

Re                                 -  Allora ci addormentiamo. Buonanotte a tutta la com­pagnia.

Tutti                              -  Buonanotte Maestà. (Tutti si addormentano rannic­chiandosi sulla sedia e tirando la testa nelle spalle come uc­celli. Lentamente cala la luce. Si sente la grossa russata del Re alla quale risponde la russata in sordina di tutti gli altri)

Peppi                             - (che aveva fatto finta di dormire) Ehi, cuoco reale.

Cuoco                           -  Uaaaaa!... Che accade?

Peppi                             -  Dammi le ossa del vecchio bue.

Cuoco                           -  Prendi, Reuzzo.

(Si riaddormenta. Peppi prende la cesta delle ossa e le pianta nel campo poi torna a dormire a fianco della Reginotta. Le ossa si trasformano in alberi fioriti

carichi di frutta mentre lentamente  toma la luce)

Reginotta                      - (svegliandosi)  Oh,  che   sogno   ho   fatto?   Mi pareva come  tante ciliege,  tante mele, che mi prendessero in bocca e tante rose, tanti gelsomini. (Si alza e stacca dei frutti dagli alberi e li porta alla bocca) Non  è sogno, non è sogno, questa è mela che si tocca!

Peppi                             - (si sveglia e prende della frutta) Non è sogno, non è sogno, son ciliege che ho in bocca.

Re                                 - (svegliandosi) Buongiorno, figli miei.

Peppi e Reginotta         -  Buongiorno, papà.

Re                                 -  Eh? Che è tutta questa frutta? Ministri, sveglia!

Ministro 1                     -  Aranci,  limoni,  susini,   viti,  peri,  meli,   tutti carichi di frutta.

Ministro 2                     -  Son fioriti nella  terra arata da Peppi.

Ministro 1                     -  Sudditi, sveglia!

Sudditi                          -  "Che meraviglia,   è  un   miracolo   di Peppi." "Ti mettono voglia di mangiarle." "Vado   a coglierne   un cesto  per   la colazione."

(/ sudditi si avvicinano agli alberi per cogliere la frutta)

Re                                 -  Sudditi, alt! Questo giardino è proprietà reale, e que­sta frutta è riservata alla mia mensa particolare.

Ministro 1                     -  Sciò!  Sciò!  State lontani.

Ministro 2                     -  Tornate tutti alle vostre case.

Re                                 -    Convoco   immediatamente   il   consiglio   dei   ministri.

(Escono tutti fuorché il Re e i due Ministri) Situazione d'e­mergenza.   Quel   contadino   si   mette   a   fare   miracoli   senza neanche chiedermi il permesso.

Ministro 1                     -  Siamo sicuri che è lui?

Re                                 -  Chi vuoi che sia?

Ministro 1                     -  Prima la carne di bue diventa carne di ogni animale.

Ministro 2                     -  Poi in una notte crescono quintali di frutta.

Ministro 1                     -  Di prima qualità.

Ministro 2                     -  E per giunta fuori stagione.

Ministro 1                     -  Senza contare che voi siete il più eccelso col­tivatore di frutta del reame.

Re                                 -  Concorrenza sleale!  Se quello fa crescere la frutta a colpi di bacchetta  magica,  la frutta  dei miei giardini non vale più un fico!

Ministro 1                     -  Delitto di lesa Maestà!

Re                                 -  Perché?

Ministro 2                     -  Perché lede i vostri interessi privati.

Re                                 -  Voi cosa mi consigliate?

Ministro 1                     -  Innanzitutto ordinate di abbattere le piante abusive.

Re                                 - Ordinato.

Ministro 2                     -  E in quel campo ci farete seminare cipolle.

Re                                 -  Ben detto. Voi invece sapete cosa dovete fare? Parlare con mia figlia e fatele spiattellare tutto quello che sa.

Ministri                         -  Passiamo all'esecuzione. (/ Ministri portano via tutti gli alberi, poi vanno dalla Reginotta)

Ministro 1                     -  Ma tutte queste cose, le fa tuo marito?

Ministro 2                     -  È lui che fa crescere gli alberi, non è vero?

Reginotta                      -  E io che ne so?

Ministro 1                     -  Come, non lo sai?

Ministro 2                     -  Quel villano ha cosi poca stima di sua moglie?

Ministro 1                     -  Una moglie di sangue reale!

Reginotta                      -  Peppi mi rispetta.

Ministro 1                     -  Ma non ti dice i suoi segreti.

Ministro 2                     -  Sciocca, domandagli come fa.

Reginotta                      -  Eh, stasera gli domando.

Ministro 1                     -  Brava.

Ministro 2                     -  E   poi   diccelo   subito. (/   Ministri   escono.

Entra Peppi che prende  per mano la  Reginotta e insieme vanno a letto)

Reginotta                      -  Peppi!

Peppi                             -  Dormiamo.

Reginotta                      -  Ma come hai fatto a far crescere tutta quella frutta?

Peppi                             -  Non ci pensare, dormi.

Reginotta                      -  Ma io sono tua moglie, voglio saperlo.

Peppi                             -  Ma che te ne importa? Dormi.

Reginotta                      -  Racconta.

Peppi                             -  Adesso  no, perché  casco  dal  sonno.

Reginotta                      -  Dimmelo subito.

 

Peppi                             -  Io te lo dico in un orecchio, ma tu non dirlo a nessuno.

Reginotta                      -  Lo giuro.

Peppi                             -  Senti,   allora.  (Le  parla  all'orecchio.   Buio.   Quan­do torna la luce la corte è riunita al completo)

Ministro 1                     -  Facciamo una   scommessa, Reuzzo?

Peppi                             -  E quale?

Ministro 2                     -  Che siamo capaci di dire come avete fatto a far crescere gli alberi nel  campo?

Peppi                             -  Scommettiamo.

Ministro 1                     -  Allora, voi ci scommettete tutta la roba che avete avuto qui.

Ministro 2                     -  Tanto prima eravate povero come un cane.

Ministro 1                     -  Noi tutto quello che possediamo.

Peppi                             -  Scommettiamo.

Ministro 2                     -  Testimone tutta la corte.

Re                                 -  Sentiamo.

Ministro 1                     -  Avete fatto scannare il vecchio Bue, e semi­nato le sue ossa di notte, nel campo che avevate arato di giorno.

Peppi                             -  Di mia moglie mi fido, ma chi glielo ha detto, il Sole? L'avete indovinato.

Ministro 1                     -  Dacci tutta la tua roba.

Ministro 2                     -  E torna morto di fame come prima.

Peppi                             -  Glielo ha detto il Sole! (/ Ministri spogliano Peppi di tutti i  vestiti principeschi e lo lasciano  stracciato  come prima)  Papà, vi domando bella licenza, parto per un lungo viaggio.

Re                                 -  Torni? Qui un piatto di minestra lo trovi sempre.

Reginotta                      -  Prendi la tua bisaccia.

Peppi                             -  Addio, moglie mia. (Peppi si mette in viaggio e dopo aver camminato tutto il giorno arriva alla capanna di un eremita che ha la barba bianca lunga fino al petto) Salute a voi, padre eremita.

I Eremita                       -  Chi sei?

Peppi                             -  Son Peppi.

I Eremita                       -  Che vai cercando? Il Sole! Ih, figlio, cammina diritto finché trovi un altro eremita più vecchio di me. (Pep­pi riprende a camminare e arriva da un altro eremita con la barba lunga fino ai ginocchi)

Peppi                             -  Padre reverendo, sia benedetto.

II Eremita                     -  Che abbiamo? Che abbiamo? Son cent'anni che non vedo un'anima.

Peppi                             -  Mi sa dire dove spunta il Sole?

II Eremita                     -  Ih, figlio, cammina diritto finché trovi un altro eremita più vecchio di me. (Peppi si rimette in cam­mino e arriva da un vecchio con la barba lunga fino ai piedi)

Peppi                             -  Gran padre, bacio le mani.

Ili Eremita                     -  Che vai cercando in questi deserti?

Peppi                             -  Mi sapete dire dove spunta il Sole?

Ili  Eremita                    -  Ih, figlio, sei arrivato appena in tempo, il

Sole sta per nascondersi sotto il suo mantello.

Peppi                             -  Che devo fare?

III Eremita                    -  Sali su quella collina e chiamalo forte, per­ ché è un po' sordo. (Peppi sale sulla collina da dove si vede il Sole)

Peppi                             -  Sole! O Sole!

Sole                               -  Eh? Chi è?

Peppi                             -  Sono io, Peppi.

Sole                               -  Chi? Parla più forte.

Peppi                             -  Sole! O Sole traditore, tu solo mi potevi ingannare, e non me lo dovevi fare, traditore!

Sole                               -  Io? Non fui io che ti ingannai, non fui io.

Peppi                             -  Sole, tu solo mi potevi ingannare.

Sole                               -  Non fui io, sai chi fu?

Peppi                             -  Chi fu?

Sole                               -  Tua moglie, cui confidasti il segreto.

Peppi                             -  Già, non ci avevo pensato. Allora scusa, Sole.

Sole                               -  Per stavolta ti scuso, Peppi.

Peppi                             -  C'è un piacere che puoi farmi  soltanto tu, Sole mio:   dovresti tramontare a mezzanotte, cosi mi ripiglio la mia roba.

Sole                               -  Va' pure, che questo piacere te lo faccio volentieri.

Peppi                             -  Grazie, Sole. (Mentre il Sole tramonta Peppi fa il viaggio di ritorno e si presenta alla reggia) Sono tornato.

Ministro 1                     -  Ah!

 

Ministro 2                     -  Ah! Ahah!

Peppi                             -  È questa l'accoglienza che mi fate?

Re                                 -  Sei qui? Passa in cucina e fatti dare un osso da rosic­chiare.

Reginotta                      -  Ti trovo un po' sciupato.

Peppi                             -  Sentite, ministri, facciamo un'altra scommessa.

Ministro 1                     -  E cosa scommetti? Di roba non ne hai più.

Ministro 2                     -  Nemmeno le scarpe ti sono rimaste.

Peppi                             -   Be', io ci scommetto  il  collo, e  voialtri  la mia roba che vi siete presi.

Ministro 1                     -  Bene, allora  tu il collo, noi la  roba tua, e per sopramercato anche la nostra.

Ministro 2                     -  Ma cos'è questa scommessa?

Peppi                             -  Il Sole quando tramonta?

Ministro 1                     -  È diventato matto.

Ministro 2                     -  Non sa neanche quando tramonta il Sole.

Re                                 -  Ma come! alle nove tramonta.

Ministri                         -  Alle nove.

Peppi                             -  E io dico che tramonta a mezzanotte.

Reginotta                      -  Ha perso la ragione, non lo voglio più come marito.

Peppi                             -  Scommettiamo?

Ministri                         -  Scommettiamo.

Re                                 -  Andiamo tutti a guardare il Sole, manca poco al tra­monto. (Si mettono tutti affacciati al balcone tranne Peppi che rimane sotto)

Ministro 1                     -  Il Sole è al posto giusto.

Ministro 2                     -  Si avvicina al tramonto.

Re                                 -  Con una puntualità veramente regale.

Reginotta                      -  Sta per tuffarsi giù.

Peppi                             -  O Sole, è questa la parola che m'hai data?

Sole                               -  Scusa Peppi, me n'ero scordato.

Ministro 1                     -  S'è fermato.

Ministro 2                     -  La tira in lungo,

Reginotta                      -  Non va giù.

Ministro I                      -  Tentenna come un ubriaco!

Re                                 -  E sono già le nove e mezza.

Ministro 1                     -  Che aspetta a tramontare?

Ministro 2                     -  Quello tira avanti come fosse mezzogiorno.

Reginotta                      -  Suonano le dieci.

Peppi                             -  Grazie, Sole, sei stato di parola.

Re                                 -  Suonano le undici.

 

Peppi                             -  Grazie, Sole.

Ministri                         -  È suonata mezzanotte.

Re                                 -  Il Sole è tramontato.

Peppi                             -  Non ve l'avevo detto?

Re                                 -  E bravo Peppi!

Reginotta                      -  Bravo Peppi!

Ministro 1                     -  Hai vinto la scommessa.

Ministro 2                     -  Prendi la tua roba, e anche la nostra.

Peppi                             -  Ebbene, vi voglio mostrare il cuore di un  villano. La vostra roba io non la voglio, ridatemi solo la mia.

Re                                 -   Rivestite il   Reuzzo  

Peppi.                            - (/   Ministri rimettono a Peppi gli  abiti principeschi.  Peppi e la Reginotta si met­tono al centro del balcone uno a fianco dell'altro, accanto al Re,  circondati dai Ministri e dalla Corte)  Suonate  tutte le trombe! (Squilli di trombe. Tutti i personaggi si immobilizza­no nella loro posizione. La luce si concentra sul gruppo iso­landolo; dopo alcuni secondi il Cantastorie viene alla ribalta togliendosi il costume dell'ultimo personaggio che ha inter­pretato)

Cantastorie                    -  La storia di Peppi sperso per il mondo po­trebbe finire qui, e concludersi con le parole: "e i due giova­ni vissero felici e contenti", ma io voglio raccontarvi qualco­s'altro del seguito. Il vecchio Re di li a poco mori e Peppi da Reuzzo fu fatto Re e la Reginotta fu la sua Regina. (/ Mini­stri tolgono la corona e lo scettro al Re e li passano a Pep­pi: gli mettono anche il mantello d'ermellino) Anche sua madre mori, le sue sorelle si maritarono a principi di san­gue reale e piano piano Peppi dimenticò le sue umili origini diventò superbo e schizzinoso. Si fece crescere una gran barba nera e diventò un Re severo. (/ Ministri gli mettono una barba finta. A sinistra si riforma la scena iniziale con un altro ragazzo vestito come Peppi. La Madre e le sorel­le sono le stesse) In un paese del reame c'era un'altra madre vedova, con due figlie femmine, e un maschio che si chia­mava Nanni, e non sapeva come buscarsi un pezzo di pane.

Nanni                            -  Madre, sapete cosa vi dico? Vi domando bella licenza e me ne vado sperso per il mondo. (// ragazzo scende dal palcoscenico e si inoltra fra il pubblico)

Chi mi vuole per garzone

che lo voglio per padrone. (Tutta la compagnia si unisce in coro alla canzone di Nanni)

FINE