Cerimonie per un addio

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Cerimonie per un addio

Cerimonie per un addio

PERSONAGGI:

BRUNO

GIANNA

SILVIA

ENRICA

STEFANO

PRIMO UOMO

SECONDO UOMO

TERZO UOMO

RAGAZZA

SCENA:

Un salotto ampio ed elegante.
Sul fondo, le corsie di una scala che conduce a un piano superiore.

Grandi finestre e, in avanti, porte sia a sinistra (che conducono in ambienti di servizio) che a destra.
In un angolo, una televisione provvista di videoregistratore e, di fianco, un impianto stereo.


SCENA PRIMA

Quel giorno

(Bruno, in pigiama e vestaglia, è seduto sul divano. Il suo aspetto è contratto, sofferente. Gianna, in camicia da notte, parla oltre una porta socchiusa che, evidentemente, conduce in una stanza interna.)

GIANNA: Dora, per piacere, calmati. E cerca anche di capire certe reazioni. - Fa' una cosa, adesso... prova a distenderti. (Più piano)  E' meglio che te ne resti un pochino in camera tua. (Chiude con cautela la porta)

BRUNO: (Dopo alcuni istanti, dal divano, scattando)  Ma che si levi dai piedi, razza di cretina! - Se cià le crisi se le vada a sfogare da un'altra parte senza stare tanto a rompere i coglioni!

GIANNA: Bruno, ti prego...

BRUNO: Perché ciavrebbe ragione, hai capito! Si sente in diritto, lei - si sente in diritto!...

GIANNA: Ma ragione di che? Cerca pure di capirla, povera donna...

BRUNO: All'inferno!

GIANNA: Si preoccupa, è umano.

BRUNO: Chiudi chiudi chiudi - non la voglio nemmeno sentire, chiudi!

GIANNA: Cosa chiudo?

BRUNO: Chiudi la porta, non la voglio sentire.

GIANNA: Ma è chiusa la porta.

BRUNO: (Alzandosi)  Non c'è aria qui. Bisogna respirare.

GIANNA: Apro io, sta' seduto.

BRUNO: Dove vai?

GIANNA: Ad aprire.

BRUNO: Che?

GIANNA: La finestra.

BRUNO: Ma vaffanculo! La vuoi piantare pure tu di agitarti come - come... E statti un po' ferma, cazzo!

GIANNA: Calmo, amore, calmo.

BRUNO: Sto calmo, sto calmo.

GIANNA: Non stai calmo per niente, se invece...

BRUNO: Ti dico che sto calmo!

GIANNA: Sì, va bene - però lo stesso ascolta... Se invece di tutta questa frenesia tu ti mettessi un pochino disteso cercando di riflettere, non sarebbe meglio?

BRUNO: Ma non dire stronzate! A riflettere... - Io non lo so: apre la bocca e parla!

GIANNA: Non apro la bocca e parlo. Ti chiedo di ragionare.

BRUNO: Per fare che? - Ragionare per fare che? - Io sto qui che non so dove cazzo mettere le mani, non so che cazzo è successo e debbo ragionare - distendermi e ragionare - ... (Picchia contro un mobile)

GIANNA: E resta seduto.

BRUNO: Vado a pisciare, si può? - (Suona il telefono. Risponde)  Pronto?... Ah! -

GIANNA: Chi è?

BRUNO: Cristodiddio, ce l'hai fatta finalmente!

GIANNA: Chi è?

BRUNO: (A lei)  E zitta! - (Al telefono)  Oh - dici che stavi a casa tutta la... - Beh, sei scemo? Cosa ridi? - Sarai mica ubriaco?... - Non me... non me ne fotte assolutamente niente, stammi a sentire... - Sta' zitto e stammi a sentire! - Corri alla macchina e raggiungimi, ma subito!... - Porca puttana, Stefano, se ti dico corri e corri, sarà successo qualcosa, no... - Ma mi vuoi ascoltare se ti dico di venire subito qui... - E non rompere il cazzo che mi serve il telefono - sbrigati! (Riaggancia e ricade a sedere)

GIANNA: Viene, sì?...

BRUNO: E' mezzo sbronzo.

GIANNA: Ma viene...

BRUNO: (Senza darle ascolto, dopo una breve pausa, più calmo)  Devo - sai cosa? Bisogna telefonare a Silvia.

GIANNA: A chi?

BRUNO: Alla madre, dirglielo. Farla tornare.

GIANNA: Amore, però... aspetta un attimino, scusa. Non ti ci buttare così a peso morto. In fondo sino adesso cos'è stato? Una telefonata. Va bene, ma può essere uno scherzo.

BRUNO: E di chi?

GIANNA: Ma di chiunque.

BRUNO: Non era uno scherzo.

GIANNA: Ma perché no? Da cosa puoi dirlo?

BRUNO: Perché non si fanno certe voci al telefono.

GIANNA: Che voci?

BRUNO: Non si fanno quelle voci, non si fanno!

GIANNA: E non potrebbe esssere l'impressione per quello che ti hanno detto?... (L'altro non risponde)  Cerca... capisci quello che dico?... - Lucidamente...

BRUNO: (Quasi senza ascoltarla) Sì, lucidamente... - Io, però, lucidamente, vendo tutto - sai che significa? - Eh?... Lo faccio. Lo faccio, Gianna, lo faccio! - Se poi dovrò ricominciare da capo, ricomincio da capo, ma lo faccio.

GIANNA: E smettila!

BRUNO: Tutto mi vendo, ma mia figlia debbono ridarmela. (Ascoltando rumori da fuori e chiamando)  - Enrica!... (Attimi di silenzio. Nessuno risponde)  Che ore sono?

GIANNA: Le undici e venticinque.

BRUNO: E anche tu! Senti bene quello che dico:... io adesso non guardo più in faccia nessuno - finita la pacchia! Mi capisci? Si levano le tende - chiuso!

GIANNA: Che vuoi dire?

BRUNO: Se le cose stanno così io non guardo più in faccia a nessuno. Io posso prendere e ammazzare - tutti li posso ammazzare, va bene?... Vado a rubare, guarda - che possono volere da me? Eh? Che cosa?...

GIANNA: Bruno, sta' calmo!...

BRUNO: Soldi? Solo soldi?... E quanti?! - Ma quanti ne vogliono io li trovo - li trovo, li trovo. Miei, non miei: li trovo. Per soldi non me l'ammazzano mia figlia, bastardi! - Mi vendo l'azienda, la squadra: chi me lo impedisce? Tu me lo impedisci? La polizia? Chi? - Se voglio farlo chi me lo può impedire? Nemmeno il padreterno! - Ma pure quello che non ciò, se voglio - tutto! - ... Mi possono togliere il sangue dalle vene - gli occhi... gli occhi dalla testa, ma mia figlia torna - non me l'ammazzano - così non me l'ammazzano... Cristodiddio, ma perché non succede niente? Perché non suona?...

(Una breve pausa.)

GIANNA: (Cedendo)  Bruno - ti supplico... io non so cosa fare - dimmelo tu, ma ti prego - non trattarmi come quella che non può - che non c'entra niente... Non tagliarmi fuori in questo modo. Fammi sentire che per me ha un senso - adesso, qui - starti vicina.

BRUNO: Sì, sì...

GIANNA: Sì cosa,

BRUNO: Capirai! Proprio questo mi serve: una stronza che ha paura di essere piantata!...

GIANNA: Oh, no - io... io non dicevo lasciarmi come se tu volessi lasciarmi - ma ora, lasciarmi in questo stato, come una che - ti serve meno che a niente. Nemmeno a parlarti. - Se non mi dici qualcosa, se non mi spieghi...

BRUNO: Sì, facciamo le spiegazioni adesso - spiegare che?... (Cercandosi intorno)  Dove hai messo il numero di prima?

GIANNA: Che numero?

BRUNO: Quello che avevo prima!

GIANNA: Questo?...

BRUNO: Dammi! (Leggendo dal foglietto forma il numero)

GIANNA: A chi telefoni?

BRUNO: (Al telefono)  Pronto?... Sì, di nuovo io. Mi-mi perdoni - ché volevo sapere - nessuna notizia, per caso?... - Ah, non è ancora tornata... - Sì, certo, ma una telefonata... ecco, sapere magari dove possono stare... - No, no, ci mancherebbe - è che... (respira profondamente)  dovrei parlare subito con mia figlia ma qui ancora non si vede... - Sì, appunto, sarebbe importante. Almeno per avere notizie. - Mi faccia questo piacere, sia gentile. Anche se tardi, mi raccomando... No, no, è una cosa mia, stia tranquillo - che debbo parlarne con mia figlia... - Sì, ecco, è so... - Per piacere, magari se mi chiama è meglio che non faccia trovare occupato. Sì grazie... Buonanotte. (Riattacca)

GIANNA: Non ha chiamato?

BRUNO: Eh?

GIANNA: L'amica.. A casa sua non ha fatto sapere niente?

BRUNO: Dice di no.

GIANNA: Beh, va bene allora..

BRUNO: Cosa "va bene"?

GIANNA: Niente, pensavo - che così è meglio.

BRUNO: Che meglio? Non sapere niente è meglio?

GIANNA: Ma pensa se fosse tornata e se... O se avessero chiamato anche lì...

BRUNO: Fammi accendere!

GIANNA: Cioè, così è normale.

BRUNO: Fammi accendere!

GIANNA: Ce l'avevi tu l'accendino.

BRUNO: (Lanciando via la sigaretta e alzandosi)  Ciavevo un cazzo!

GIANNA: E dove te ne vai adesso?... - Contròllati, Bruno - sei fuori di te. (Bruno si allontana, uscendo a destra per una porta laterale)  Bruno!... (Una pausa)  C'è bisogno che ti prepari qualcosa?... (Nessuna risposta)

(Una pausa. Si sentono colpi da una stanza interna. Un rubinetto aperto. Bruno rientra. Ha la vestaglia aperta.)

GIANNA: Che hai combinato?

BRUNO: Ciò la cosa di farla e non la faccio. Vado, sto là e non faccio un cazzo... - (Sedendosi spossato)  Ma dimmi tu in che accidenti di situazione... - Hai trovato l'accendino?

GIANNA: Se nemmeno l'ho visto!

BRUNO: (Respirando profondamente)  Non chiamano più. (Una pausa)  Quelli stasera non chiamano più.

GIANNA: Ma t'hanno detto qualcosa? Cioè che poi... Insomma, quand'è che avrebbero richiamato?

BRUNO: Non lo so - non adesso.

GIANNA: Tu però con lei non hai parlato... (Silenzio)  Eh? Dimmi... Hai parlato anche con lei?...

BRUNO: Come con lei?...

GIANNA: Appunto, non le hai parlato...

BRUNO: (Guardando fisso davanti a sé)  Che c'è lì?...

GIANNA: Lì dove?

BRUNO: Lì, cazzo, lì.

GIANNA: I fiori?...

BRUNO: Ma non i fiori!

GIANNA: Sono fiori quelli.

BRUNO: (Portandosi una mano sugli occhi)  Occristo, qui ricominciamo coi moscerini...

GIANNA: Lo vedi? Ora poi finisce che ti senti di tutto. E' la suggestione.

BRUNO: Quand'è la visita, non mi ricordo?

GIANNA: Mercoledì. - Vedrai che stavolta la risolviamo.

BRUNO: Quello si è messo in testa di operarmi: sì è capito benissimo.

GIANNA: Ma no, è un po' l'aria che ha e che dà sempre quest'idea di... di - preoccupazione...

BRUNO: (Prostrato)  Oh, Giannina mia, Giannina mia...

GIANNA: Amore.

BRUNO: Io penso... Ma può succedere una cosa simile? Eh?... Per me no che non può. Ora non posso nemmeno... capirlo cos'è. E'... un rumore - qui - dappertutto...

GIANNA: Che rumore?...

BRUNO: Ti prendono, ti tolgono una figlia - eh?... Ti dicono ora è roba nostra - capito come?... Eh? Che m'hanno... Tu pensa come se ti ficcassero una mano in pancia - e ti togliessero quello che ciài- eh?... Lo capisci o no?...

GIANNA: Sì, certo.

BRUNO: Eh?

GIANNA: Ma sì, sì.

BRUNO: No!

GIANNA: Sì, ti dico.

BRUNO: E che fai?

GIANNA: Ti ascolto.

BRUNO: No! Non capisci un cazzo, tu! - A te ti rompe solo i coglioni che adesso devo chiamare mia moglie - è solo a questo che pensi!

GIANNA: (Fredda, per non reagire)  Io penso che tu ti stai comportando come un pazzo - insulti, bestemmi e quella telefonata può essere stata di qualsiasi deficiente e basta.

BRUNO: Che cambi discorso?! Di' se non è vero!

GIANNA: Non è vero. - Te l'ho detto, sei contento?

BRUNO: Non te ne sbatte un cazzo di Enrica?

GIANNA: Certo, certo - non me ne sbatte un cazzo.

BRUNO: Tanto mica è tua figlia.

GIANNA: Rispondimi: con lei hai parlato? - Ma sta' fermo e guardami! Vuoi rispondermi?!...

BRUNO: Eh?

GIANNA: La sua voce l'hai sentita? L'hai riconosciuta?

BRUNO: (Ora nuovamente disorientato)  Ma lei dove?

GIANNA: Al telefono!... - Bruno, con chi hai parlato? - Che ti hanno detto? - ... E vuoi cercare di essere ragionevole almeno per due minuti?

BRUNO: Mi hanno detto questo. Che l'hanno presa.

GIANNA: Va bene - poi?

BRUNO: Che dobbiamo fare quello che vogliono. Ah, no - prima... che sta con loro - poi che si deve fare quello che vogliono.

GIANNA: E poi?

BRUNO: Che devo aspettare. Che chiameranno.

GIANNA: E la polizia: t'hanno detto loro di non chiamarla?

BRUNO: Non so, non... sì, di non farlo. - No, non l'hanno detto.

GIANNA: E allora perché non la chiami?

BRUNO: Non adesso.

GIANNA: Vieni un attimo qui, fa' vedere...

BRUNO: Pure questo... - Io non lo so - potrebbe essere un pasticcio, ecco... Poi ancora non...

GIANNA: Dio mio, sei fradicio... Devi cambiarti - Ma senti tu, proprio zuppo! (Si allontana)

(Bruno, rimasto solo, si aggira per la stanza. Si accosta alla porta interna.)

BRUNO: (Con rabbia, picchiando un pugno)  E basta!

GIANNA: (Rientrando con un paio di calzoni del pigiama in mano)  Bruno, che succede?

BRUNO: (Alla porta)  Piantala di pregare! Sta' zitta!

GIANNA: Oh, insomma - ma cosa te la prendi con lei? Se ne sta chiusa lì, in camera sua, ma che vuoi?

BRUNO: Voglio che la sento e deve starsi zitta: e ciù-ciù-ciù-ciù, sempre questa cantilena di merda, e basta! - Quella che prega, tu che mi stai addosso, io che non so dove sbattere la testa - ma porca puttana, dico, rendetevi conto!...

GIANNA: Ma sì che ci rendiamo conto. Cambiati i calzoni, piuttosto.

BRUNO: Che ore sono?

GIANNA: (Guardando)  Le undici e mezza.

BRUNO: Sarebbe presto, no... - Per tornare, dico.

GIANNA: Certo che è presto.

BRUNO: (Serra e allenta nevroticamente i pugni)  In fondo non rientra mai a quest'ora..

GIANNA: Cambiati, dài.

BRUNO: Per tornare sarebbe presto.

GIANNA: Ma sì che è presto.

BRUNO: Tante volte è capace di fare anche le - le... le due, le tre...

GIANNA: Te li lascio qui. - E sta' fermo con queste mani.

BRUNO: Dammi da bere.

GIANNA: Vuoi dell'acqua?

BRUNO: No, coso lì - la bottiglia.. Madonna, vedo tutto... tutti moscerini.

GIANNA: (Andando a versare)  Sdraiati. Resta un po' con gli occhi chiusi. (Una breve pausa)  Guarda, ora ti racconto una cosa... - C'è stata una volta - quando stavo ancora, tempo fa, a casa coi miei - che arriva una telefonata... Oh, premetto: c'era mio padre che stava malissimo - magari sarà anche stata una coincidenza, questo non lo so - insomma, arriva una telefonata, vado a rispondere, e sento questo che...

(Suona il telefono. Breve pausa.)

BRUNO: (Rispondendo)  Sì, pronto?!... - E' tornata? - Se è tornata me la passi!... - Sì, me la passi!... (Segue una lunga pausa, molto tesa)  Me la passi, cristo!, mi faccia parlare con lei!...

(La porta laterale viene dischiusa. Gianna accorre perché la cameriera non esca)

BRUNO: (Al telefono)  Quando?... - Sì, ma quando?... (Ancora una pausa)  Senta, non faccia il coglione, me la passi! - Chiami un tassì e la faccia venire qui... - ma porcoddio c'è mia figlia di mezzo, si può essere tanto stronzi!... - Me ne fotto che si sente male - che le hanno fatto?... - Sì che sape... - Già prima sì... - Basta basta, lasci stare... lasci stare, lasci stare... (E riabbassa continuando, passivo, a parlare)  Non chiami nessuno - non chiami... nessuno. (Casca a sedere. Una pausa)  L'hanno presa. E' tornata la sua amica a casa.

(Si sente piangere dietro la porta)  Piangi, piangi... - Dice è tornata. Testa di merda! Cosa cazzo vuoi che capisca? - Di', tua figlia... - Si sente male, non può venire al telefono - capito?... Pensa a sua figlia, lui, che ce l'ha in casa... (Tira sù la cornetta e forma un numero)  Prepara un caffè.

GIANNA: A chi telefoni?... (Lui ha una smorfia di insofferenza)  A Stefano?... (L'altro annuisce)  Starà venendo.

BRUNO: (Aspettando che qualcuno risponda)  Gianna, chiamala tu sua madre.

GIANNA: Io? Ma nemmeno ci conosciamo, non ci ho mai parlato.

BRUNO: (Segnando)  Questo è il numero. Poi la chiami.

GIANNA: Ti prego, non farmelo fare.

BRUNO: Tu non farlo fare a me.

GIANNA: Le dico solo di venire, va bene? - Nient'altro.

BRUNO: Basta che la chiami. - Porci!

GIANNA: Rimetti giù, starà venendo.

BRUNO: Porci! - Porci!

(Una pausa.)

GIANNA: Sù, dammi che la chiamo.

BRUNO: Che ore sono?

GIANNA: (Guardando)  Le undici... e trentotto, quasi e quaranta.

BRUNO: (Senza riabbassare)  A che ora è arrivata la prima telefonata?

GIANNA: Sarà un'ora all'incirca.

BRUNO: Meno meno.

GIANNA: Dopo le dieci e mezzo.

BRUNO: Erano già le undici. Bisogna ricordarselo. (Sempre senza riabbassare, appunta su un foglio. Dimenandosi, stringe le gambe come per trattenere lo stimolo dell'urina)

GIANNA: Riabbassa, dài. E' inutile che stai così a...

(Suonano alla porta.)

BRUNO: Questo è Stefano, vai ad aprire.

(Buio.)

SCENA SECONDA

(Il giorno dopo.)

(In scena: il Primo uomo, il Secondo e Stefano. Il Primo si tiene di spalle agli altri due guardando oltre la finestra di quinta, alla sinistra degli spettatori. Tiene premuto contro l'orecchio un walkie-talkie. Il Secondo è seduto al capo opposto della scena. Sfoglia un quotidiano. Ha di fianco a sé un tavolinetto sul quale è posto un usuale apparecchio telefonico di colore grigio, lo stesso che abbiamo visto nella scena precedente.
Stefano, più al centro, sta chino su di una macchina da scrivere presso un improvvisato scrittoio e batte rapido sui tasti. Ha una sigaretta tra le labbra e molte cicche riempiono il portacenere di cui si serve. Anch'egli ha a portata di mano un telefono, ma diverso: rosso fiammante e concepito secondo una logica di arredamento.

Le luci sono quelle di un pomeriggio autunnale.)

PRIMO UOMO: (parlando nel walkie)  Senti, fa' una cosa: sposta la Volvo giù all'ingresso del cavalcavia e lascia Andrea all'uscita di servizio. Qui, per adesso, bastiamo noi. Ultima cosa: d'accordo così. Abbiamo parlato con la famiglia della ragazza, lì - dell'amica: non facciamo nessuna denuncia. Diciamo scomparsa e basta. Mi raccomando: occhio a paparazzi e affini. Qua ce ne siamo ritrovati due che stavano entrando dalla finestra della cucina. Ora sono le...(controlla) sedici e quarantacinque - aspettiamo la telefonata con le richieste entro le diciassette. Okay, non c'è altro. Passo e chiudo. (Spegne. Si gira a guardare Stefano che batte a macchina)  Fra quanto pensa che saranno pronti questi comunicati?

STEFANO: (Battendo)  Niente, già fatto. Ho solo cercato di impostare le notizie più o meno come abbiamo detto.

PRIMO UOMO: Vorrei dare un'occhiata prima di passarli alla stampa.

STEFANO: (c.s.)  Se aspetta solo un minuto...

PRIMO UOMO: Faccia, faccia. (Guarda fuori)  Incredibile come sanno fiutare puzza di bruciato lontano un miglio! - Ma li guardi!

STEFANO: (c.s.)  Chi?

PRIMO UOMO: Tutti quelli, lì. Non sono ancora molti, ma è un segnale. In questi casi, a me, ci crede?, sono i piccoli cronisti che fanno più paura. Ti si mettono addosso e sono capaci pure di contarti quanti respiri fai al minuto. E' il dramma di quando certe cose succedono in provincia. Nei grossi centri si disperde, è più facile lavorare - qua, invece... visto come? - Ti piazzano subito questa bella cassa di risonanza... E' un pasticcio. Cioè, complica. L'ho capito dal primo momento che non sarebbe stato facile. (Guarda l'ora)  Si ricorda allora come abbiamo detto per l'amica?... (L'altro non risponde)  Avvocato!... Si ricorda quello che abbiamo concordato a proposito dell'altra ragazza?...

STEFANO: Sì, sì - che si era allontanata e non stavano più insieme. (Massaggiandosi gli occhi)  Dio mio, comincio a vedere doppio.

PRIMO UOMO: E che poi l'ha cercata fino quasi a mezzanotte, ma senza mettere un'ora precisa: ha scritto così?...


(Suona il telefono grigio. Il Secondo risponde.)

SECONDO UOMO: Sì?... - Ma è già scesa?... Dunque partite adesso?... - Con la macchina, dico... - Va bene, ho capito. (Riattacca)  La moglie è arrivata all'aeroporto. Partendo ora dovrebbero essere qui... (guarda l'ora)  per le sei, più o meno.

PRIMO UOMO: Non vorrei proprio trovarmi al posto del povero Bacci. (A Stefano, per chiarirgli)  Il collega che è andato a prenderla: toccherà a lui informarla, strada facendo. Speriamo che sia una donna... Insomma, che sappia capire la situazione e comportarsi - soprattutto in questi primi giorni...

STEFANO: Lo è, lo è...

PRIMO UOMO: Quanti anni sono che è andata via?

STEFANO: Quattro.

PRIMO UOMO: (Più piano)  E... l'altra, invece, quant'è che sta qui?

STEFANO: Tre anni.

(Suona ancora il telefono grigio.)

SECONDO UOMO: Sì?... - S^, è qui... - No, nel modo più assoluto. Quello... - Ecco, esattamente quello che sa anche lei. Si è allontanata da casa ieri sera e aspettiamo notizie... - Per piacere, non insista... - Non mi faccia essere scortese: non insista. (Riattacca)

PRIMO UOMO: Mi immagino fra due o tre giorni: sarà un bordello, se questo è l'andazzo. (Suona ancora il telefono grigio)  Rieccolo là!...

(Mentre il dialogo continua si udranno, ma appena percettibili, le risposte del Secondo molto simili alle precedenti. E così sarà anche in seguito.)

PRIMO UOMO: (A Stefano, accennando ai fogli)  Posso?...

STEFANO: (Stremato, staccandosi dalla macchina da scrivere e accendendosi l'ennesima sigaretta)  Troverà un po' di errori di battitura.

PRIMO UOMO: (Scorrendo la cartella che ha tra le mani)  Oh, avvocato... - Le ricordo quello che le ho chiesto. Quando può buttarmi gù una piccola scheda - ma una nota è più che sufficiente - di carattere, come dire?... sulla situazione finanziaria, qui - tra l'azienda, la squadra di calcio e redditi vari. So che è imbarazzante - ma, capirà: indispensabile. Sul nostro riserbo, peraltro, potete stare più che tranquilli.

STEFANO: Lei continua a chiederlo a me, ma le ho detto: non sono certo la persona più indicata.

PRIMO UOMO: E allora ditemi, basta che me lo fate sapere. Dovrete pure metterci nella condizione di fare il lavoro per cui ci pagate! Ora non dico lei ma, insoma, mi capisce...

STEFANO: Sì, sì - la capisco benissimo.

PRIMO UOMO: A me basta una cosa approssimativa: per avere un'idea, ma chiara. Sapere... eventualmente, fino a che punto potremo trattare, e se sarà il caso di farlo. Certo, volesse darci una mano direttamente lui sarebbe la cosa migliore, ma capisco che in questo momento non sia nemmeno il caso di parlarne.

STEFANO: Guardi, io non posso prometterle niente. Se è per una valutazione così, in linea di massima...

PRIMO UOMO: Avvocato, mi affido a lei.

(Suona il telefono grigio. La telefonata che segue, tenuta tra parentesi, la si udrà in sottofondo.)

SECONDO UOMO: (... No, adesso non posso disturbarlo per nessun motivo... - Se vuole, lasci detto a me, riferirò senz'altro... - No, io proprio non posso dirle niente... - No, niente... - Senta, sia gentile, non possiamo tenere occupato il telefono... - Grazie, buongiorno.)

STEFANO: (Al Primo, continuando)  In ogni caso, per quando le serve?

PRIMO UOMO: Beh, al più presto, è ovvio.

STEFANO: Ma tipo oggi, domani?...

PRIMO UOMO: Domani al massimo.

STEFANO: (Allontanandosi)  Vado a darmi una sciacquata, non mi reggo più in piedi.

PRIMO UOMO: Cerchi pure di dormire, se ci riesce. (Stefano esce. Dopo una breve pausa, al Secondo)   Oh, tu! Mi raccomando il rapporto per l'archivio: domattina deve partire per Roma.

(Il Secondo annuisce senza alzare gli occhi dal giornale.)

PRIMO UOMO: E vedi di non fare una cosa stitica al tuo solito. Dacci un po' sotto. (L'altro sbuffa. Lui torna a guardare fuori)

Nel giro di una settimana avranno messo sù tende e baracchini. Quando poi verrà fuori del sequestro... (Una pausa)  Fosse solo per lui o per il fatto in sé - ma quello che alla lunga romperà i coglioni è il capitolo calcio...

SECONDO UOMO: Eh?

PRIMO UOMO: La squadra.

SECONDO UOMO: Ah!

PRIMO UOMO: E quando le cose cominciano a prendere una certa piega sono sempre rogne.

SECONDO UOMO: Tipo?

PRIMO UOMO: Tipo che ti ritrovi appresso pure i giornali sportivi e tutta una serie di casini che vedrai.

SECONDO UOMO: Ma è una squadretta.

PRIMO UOMO: Sì, ma intanto qui è seguita.

(Una pausa. L'altro legge e lui torna a scorrere i comunicati.)

PRIMO UOMO: Certo, meglio che si fa una bella dormita. Non ha capito un cazzo, sono tutti da rifare. Mica gli è entrato in testa che qua, adesso, bisogna mettere chiaro e tondo che se n'è andata con qualche amichetto e chiuso.

SECONDO UOMO: (Senza staccare lo sguardo dal giornale)  Ci vorrebbe dell'altro caffè.

PRIMO UOMO: Ce n'è ancora nel thermos.

SECONDO UOMO: Ma è vecchio di stamattina. Fa schifo. (E legge)

PRIMO UOMO: (Sollevando l'apparecchio rosso e guardando sotto)  Queste mosche devono essere strepitose. Dio, non vedevo l'ora di provarle!... (Osserva)  Stupende! - Oh, non fossi stato io, il gran capo mica voleva decidersi a prenderle!... -

SECONDO UOMO: (c.s.)  Dove le avete trovate?

PRIMO UOMO: Allo stand di Zurigo, l'anno scorso.

(Suona il telefono grigio. Il Secondo alza chiamando: "Pronto!" più volte. Non riceve risposta e riabbassa.)

PRIMO UOMO: Anzi, che ancora con gli scherzi ci siamo contenuti!

(Da sinistra entra Gianna. Indossa un tailleur elegante ma semplice.)

PRIMO UOMO: Ah, signora...

GIANNA: Ma fuori, quella gente... Non si può cercare di mandarla via?

PRIMO UOMO: Mi dispiace, non dipende da noi.

GIANNA: Dio mio, possibile che non si rendano conto...

PRIMO UOMO: Purtroppo bisogna abituarsi. Durante il primo periodo, poi, non molleranno la presa nemmeno per cinque minuti. Lo so per esperienza. Sa come dico io? Che la gente - è brutta gente.

Sembra cattiva come cosa ma è vera.

GIANNA: L'avvocato sapete dov'è?

PRIMO UOMO: E' andato a darsi una rinfrescata. Poveraccio, era distrutto. (Gianna fa per avviarsi)  E, mi scusi... la donna, di là... si sente meglio?

GIANNA: Insomma, così.

PRIMO UOMO: Meno male, va'!... (Breve pausa)  Poi - mi chiedeva il collega, se fosse possibile avere un altro goccio di caffè...

GIANNA: Glielo dirò. (Esce per la direzione opposta a quella da cui è entrata)

PRIMO UOMO: (Guardando fuori)  Diciassette meno dieci. Dovremmo esserci - per quanto...

SECONDO UOMO: Hanno deciso chi è che dovrà trattare?

PRIMO UOMO: L'avvocato, credo. - Speriamo bene.

SECONDO UOMO: Ma questo, poi, ne ha di soldi?

PRIMO UOMO: Ne avrà. Certo se glielo domandi... (Con un gesto)  Caca al culo, eh! - Vedono il fisco dappeertutto.

SECONDO UOMO: Pare che sia indebitato fino al collo.

PRIMO UOMO: E allora vuol dire che ce n'ha.

(Rientra Gianna.)

GIANNA: (Al Primo)  Mi dia il thermos che ve lo riempio.

PRIMO UOMO: Però se deve farlo lei non si preoccupi.

GIANNA: Mi dia! La macchinetta è già pronta.

PRIMO UOMO: (Dandoglielo)  Io la ringrazio. (Una breve pausa)  Ma per la vostra cameriera non sarà il caso di chiamare qualcuno? - Se è una cosa di cuore... -

GIANNA: No, ne soffre. Ma si sta già riprendendo.

(Fa per uscire. Si ferma. Guarda il telefono rosso. Pausa.)

PRIMO UOMO: (Per sciogliere l'imbarazzo)  Vedremo un po'. - Sempre che non fossero dei mitomani.

GIANNA: Non erano dei mitomani.

PRIMO UOMO: Oh, non ci sarebbe da meravigliarsi. Facendo questo mestieraccio s'impara. Ci sono persone capaci di attaccarsi a tutto. Io, guardi, non me ne stupirei affatto. Ci vorranno almeno due o tre giorni per cominciare a orientarsi, ma seriamente. (Suona il telefono grigio. Il Secondo risponde)  Senta che roba! (Anche stavolta all'altro capo del filo nessuno parla)  Senta, senta... (Il Secondo riattacca)

GIANNA: Vado a preparare il caffè.

(Sulla soglia opposta compare Stefano. Si sta riabbottonando la camicia.)

STEFANO: Gianna!... (Gianna si volta a guardarlo)  Che sono quelle valigie?

GIANNA: Poi ti dico. (Esce)

PRIMO UOMO: (Rispondendo a un richiamo del walkie)  Eccomi... - No, niente. Nessuna chiamata. Bacci si metterà in contatto con voi dalla machchina, quando staranno per arrivare. Passo... - Okay, passo e chiudo. (Spegne. Una pausa)  Lo so, sono momenti terribili. (Controlla)  Le cinque e cinque.

(Stefano, senza replicare, va a sedersi presso il suo tavolino da lavoro)

Ah!... Poi dovrei dirle una piccola cosa che ci sarebbe da cambiare nei comunicati - ma una sciocchezza. Da mettere un pochino meglio, ecco.
(Breve pausa)  Senta, la pregherei... Oh, non certo per controllare ma solo, diciamo, per mantenere una linea di azione coerente - se potessimo essere informati circa le notizie che passerete anche nei prossimi giorni alla stampa. E' importante.

STEFANO: Anzi! Sapete voi come vanno fatte queste cose. (Stentando, pur seduto, a mantenere l'equilibrio)  Mi scusi, ma anch'io comincio a dare un po' i numeri.

PRIMO UOMO: Ma no, no - ora, per adesso, va bene così. Dicevo in seguito. Poi non è solo per allentare questa cortina di gente addosso che già non è piacevole - ma anche, più in là, quando si dovranno prendere decisioni di carattere... economico. Insomma, dipende da come vorrete impostare le trattative.

STEFANO: Per il riscatto?

PRIMO UOMO: Dipende. Se la famiglia eventualmente deciderà di prendere in considerazione le richieste che verranno fatte - io non lo so e non intendo assolutamente interferire a questo livello di decisioni...

STEFANO: Stava dicendo, comunque?...

PRIMO UOMO: Sì, niente. Problemi grossi possono crearli polizia e magistratura col blocco dei capitali. Lei lo saprà meglio di me. Questo, certo, se si vuole trattare - e, in ogni caso, è una strada che è meglio lasciarsi aperta.

STEFANO: Ma in base... Dio mio... in base alla vostra statistica - lei cosa pensa... - cioè... che tipo di richieste dobbiamo aspettarci?

PRIMO UOMO: Bah... Siamo qui solo da poche ore - e avrà notato, anzi, con quale rapidità abbiamo già organizzato...

STEFANO: (Interrompendo)  Sì, sì - ma io dico in base alle vostre statistiche!

PRIMO UOMO: (Decidendosi)  Meglio saperlo: le richieste all'inizio sono sempre... abnormi. Fatte per mettere il panico. Ma non bisogna farsi troppo impressionare. Si arriva spesso a pagare un terzo, a volte un quarto... - Spareranno alto, questo è sicuro. Comunque, anche per sapere qualcosa, sarà dura.

STEFANO: Dura in che senso?

PRIMO UOMO: Dura nel senso che si faranno aspettare. Per logorare. Per... cioè, per spezzare la schiena e spesso funziona - che già avere notizie sembra un regalo che ti fanno e, quando succede, uno si sente quasi riconoscente. (Stefano ha una smorfia)  Io dico almeno un paio di settimane. Ricordo un caso, ora non faccio nomi, in cui la cifra venne comunicata ben quattro, dico quattro mesi dopo il giorno del sequestro, per cui...

GIANNA: (Rientrando col thermos)  Le tazzine le avete?

PRIMO UOMO: (Prendendo il contenitore)  Lasci stare, facciamo da noi. Mi dispiace che si è dovuta disturbare personalmente.

GIANNA: Ce n'è un bel po'. Dovrebbe bastare.

PRIMO UOMO: Per carità, va benissimo.

(Gianna si aggira per la stanza. Cerca qualcosa. La trova. E' molto tesa.)

STEFANO: (Alla donna)  Allora?... Non ho capito cosa pensi di fare.

GIANNA: Di andarmene.

STEFANO: Andartene?!

GIANNA: L'avrei fatto stanotte, guarda.

STEFANO: Ma per Silvia?...

GIANNA: Lascia stare, per piacere. (Esce)

PRIMO UOMO: (Dopo una breve pausa, mentre il Secondo risponde per l'ennesima volta al telefono)  Così se ne va... - Non capisco perché. (Offrendo, a Stefano)  Ne verso anche per lei?... (L'altro fa un cenno di rifiuto con la mano)  Ma con la figlia in che rapporti erano?... (Stefano, per tutta risposta, scrolla le spalle come a dire: "normali") E con l'altra?... Con la moglie?...

STEFANO: Mai incontrate, credo.

PRIMO UOMO: Ecco, magari può essere stato questo. - Ah, una cosa importante... (E prende agendina e penna per appuntare)  Che lei sappia, la ragazza soffre di disturbi particolari - come salute, insomma...

STEFANO: Questo pure sarà meglio farselo dire dal padre.

PRIMO UOMO: Intendo se ha bisogno di medicine o no.

STEFANO: No, non mi risulta.

PRIMO UOMO: Età esatta?...

STEFANO: Sua?... Non so se venti o ventuno.

(Rientra Gianna con delle borse da viaggio. Una breve pausa.)

STEFANO: Ma davvero te ne vai?

GIANNA: Fra poco, sì.

STEFANO: Mi sembra una decisione un po' eccessiva.

GIANNA: Non è una decisione, non è una fuga, non è niente.

STEFANO: Ma perché torna Silvia?

GIANNA: Perché me l'ha chiesto lui. (Breve pausa)

Comunque c'è altro di cui preoccuparsi adesso, e non certo del fatto se io resto o me ne vado.

STEFANO: Mi sembra un po' insensato mettere in mezzo, così, cose che non c'etrano.

GIANNA: Cos'è che non c'entra? La mia storia con Bruno?

STEFANO: Direi di sì.

GIANNA: Che sciocchezze stai dicendo? Questi sono terremoti. Da ieri siamo tutti diversi.

STEFANO: Dico quello che penso. Per me è una fesseria, e doppia: tua e sua.

GIANNA: Poi io sono debole. E vigliacca. Non ce la farei nemmeno.

STEFANO: Ma per te saresti rimasta?...

GIANNA: Stefano, per piacere, piantala!... (Agli altri)  Di là ha chiamato?

PRIMO UOMO: Chi?

GIANNA: Dora.

PRIMO UOMO: No.

(Gianna va a socchiudere la porta. Guarda dentro e la richiude piano.)

PRIMO UOMO: Signora, scusi se mi ripeto... (Indicando il telefono rosso)  Ma lei è sicura che chiameranno su questo?

GIANNA: La telefonata di stamattina è arrivata qui e hanno detto che d'ora in avanti useranno solo questa linea.

PRIMO UOMO: Dunque il numero non può che averglielo dato la ragazza...

GIANNA: Per me è sicuro. E' un numero privato che, qui in casa, abbiamo solo noi.

PRIMO UOMO: Voi chi?

GIANNA: Bruno, Enrica ed io. Stanotte, difatti, hanno chiamato sull'altro e quello sono in molti a conoscerlo. Stava anche sui vecchi elenchi del telefono.

STEFANO: Tanto non chiamano.

PRIMO UOMO: Che le ho detto? Questi stress sono calcolati, non creda.

(Suona il telefono grigio.)

SECONDO UOMO: (Rispondendo)  Sì?... - Ma lei chi è?... - Sì, ma mi dica chi è... - E con chi desidera parlare?... - Mi scusi un istante!... (A Gianna)  Signora, dovrebbe essere per lei.

(Gianna va a prendere la cornetta.
Una nota: durante la telefonata entrerà in scena Bruno, venendo giù dalle scale. Indosserà un paio di pantaloni scuri e una camicia bianca tenuta col colletto slacciato e le maniche rimboccate. Ai piedi delle pantofole. Terrà in mano un orologio da polso e un foglietto ripiegato. Si farà avanti a passi lenti, arrivando sino al centro della stanza, dove si fermerà restando immobile e attirando su di sé la preoccupata attenzione delle persone intorno.)

GIANNA: (Al telefono)  Pronto?... Ah, Luisa... - Sì, allora d'accordo per stasera... - No, per questo non devi preoccuparti, assolutamente. (Si accorge di Bruno)  Come?... - Sarò da te in giornata, spero non tardissimo. Aspetto qui mio fratello da un momento all'altro, l'ho sentito stamattina: passa lui a prendermi e mi porta da te... - Ma no, ti dico, non preoccuparti... - Per piacere, non mi fare sentire in colpa... (è evidente che vorrebbe chiudere)  Ma sì, viene apposta... - Ti ringrazio, sei un angelo... No, no - davvero non è il caso, credimi. A stasera, ciao... (Costretta ancora a rispondere)  Non adesso... - A stasera. Ti abbraccio. (Riaggancia)

PRIMO UOMO: Signora... tenendo conto della situazione, ora che va via la prego di essere il più... ecco, di usare la massima discrezione possibile.

(Tutti guardano Bruno, che fissando un vaso di fiori innanzi a sé, si copre con la mano libera prima un occhio poi l'altro, come a controllare la vista.)

GIANNA: (A Bruno)  Hai sentito? - Vengono a prendermi fra poco.

BRUNO: Chi?

GIANNA: Mio fratello.

BRUNO: E Silvia?...

GIANNA: Non so.

BRUNO: (Agli altri)  Mia moglie?

PRIMO UOMO: Ah! Non avevo... Sì, è già per strada. L'aereo è atterrato più o meno un'ora fa.

(Suona il telefono grigio. Il Secondo uomo sta per rispondere ma Bruno, con un balzo, gli è addosso e gli strappa dalle mani l'apparecchio che scaglia furente per terra. Una pausa. Riprende il fiato. Si siede sul divano. Poggia, con un gesto lento, il foglietto ripiegato sul basso tavolo da cocktail che ha di fronte.)

BRUNO: Che giorno è?

STEFANO: Lunedì.

BRUNO: Lunedì. (Guarda l'orologio)  Lunedì, diciassette e quindici... - Diciassette e quindici di lunedì, venti... - venti?...

STEFANO: Venticinque febbraio.

BRUNO: Andrebbero segnate queste cose. (Con un gesto simile al precedente poggia sul tavolo anche l'orologio. Respira profondamente. Una breve pausa)  Stavo pensando - io ho diverse amicizie nella polizia, e allora.. potremmo cercare una... una strada. Pensavo... - Stavo guardando, sopra, nella su agenda, alcuni... nomi, per dire - che io non so, forse è il caso di... considerare, quantomeno. Cioè, nomi - perché... io ne ho viste qui di persone, anche che giravano per casa... ragazzi che a me non è che mi convincessero e glielo dicevo: non mi va che li frequenti. Io ora ho preso... ho fatto un piccolo elenco. (Pausa)  Cioè, dico: - questi che ora sono stati... ma è gente che doveva sapere, magari conoscere, ecco... - Pure... quella sua amica. - Non voglio adesso far credere cose... - D'altronde ne parliamo qui - per cercare anche... Magari andando alla cieca, ma che potremmo fare altrimenti?... - Allora, così, pure quella sua amica che non vuole parlare... Che accetta tanto facilmente quello che noi le abbiamo chiesto: avrebbe dovuto farlo?... Lei c'era - sa chi! Lo sa! - Pure avesse visto solo - ombre  - ma le ha viste!... Anch'io... cioè, mi metto nei suoi panni: se io avessi visto solo ombre, ma sapendo cosa, e quello che anche a me stavano facendo - mi spiego? - potrei starmene zitto? Non dirlo? - Io no. E allora, mi domando, è strano. C'è qualcosa che... Non è normale che lei - e che pure tutti nella sua famiglia - siano d'accordo se noi - ma per fatti diversi che non c'entrano con loro - basta niente per convincerli - allora i conti non tornano. E se poi nemmeno a me vogliono far sapere, non tornano. (Breve pausa)  Adesso questa - questa ragazza... sì, la conosco ma per me c'aveva a che fare - cià  molto a che fare proprio con tutti quel giro lì che stavo dicendo. Gente... che bisognerebbe sapere qualcosa. Io ora questi nomi ve li voglio dare. Li ho segnati qui. Ma dicevo... - La polizia - io conosco chi potrebbe... ma senza dare, ecco, senza dare - in modo pericoloso - troppo significato... Insomma, che si sappia come - si è d'accordo, no? - come è meglio che non succeda... : troppa risonanza, sì... (Una breve pausa)   Per collaborare. (Una breve pausa)  Qui non c'è da - avere coraggio o non averlo - ma solo fare ! - Io ho delle idee, penso e... Aspettiamo, ma non si può solo aspettare - solo stare... Guardare che ore sono! - Stare appesi a quello che... ecco: appesi alle lancette di - di... Perché noi crediamo che il tempo sia qui e se non fosse solo qui - nell'orologio, in quello che si muove - ma nell'orologio, in quello che sta fermo, ne-nel cinturino che sta fermo, nel quadrante che sta fermo - se non succede niente?... - Mettiamo, poi si scopre che il tempo è fermo, che è una cosa? Che le quattro e un quarto sono lo stesso che le cinque e un quarto?... (Brandendo l'orologio)  Non è lo stesso?... (Una pausa)  Ma io... posso mandarci di mezzo tutti, sapete? (A Gianna)  Già te l'ho detto a te, ieri: tutti!... - E quella ragazza voglio che... Cristo, li ha visti! Visti! E non vuole dirlo?! - E io, se lei non vuole dirlo - e se poi, io stesso vado a chiederle: non dirlo - dovrei essere, io, tanto bestia da convincermi che, sì, bisogna sapere, imparare come si aspetta? Questo, merda? Questo? - Ora ve li darò questi nomi e li darò anche alla polizia. Me ne fotte niente a me che voi sapete come si fa e come non si fa e quali altri cazzi possano mettersi in mezzo - me ne fotto! Io voglio solo che se l'inferno me l'ha presa - fosse il diavolo in persona o chi cazzo vi pare, io mi tiro sù le maniche e ci ficco le mani nude, nell'inferno, per ritirarla fuori. Viva!...(Una breve pausa)  Ho preso appunti. Li ho segnati questi nomi. Voglio che si indaghi. Fatelo voi, lo faccia la polizia - ma un'ora come questa - non voglio passarla più un'ora così. (Li guarda)  Oh! E' a voi che sto dicendo! Vi pago per questo,  o no?...

PRIMO UOMO: (Azzardando)  Per quello che riguarda il discorso polizia io già l'ho spiegato come la vedo. Consiglio di essere molto cauti.

BRUNO: Cauti...

PRIMO UOMO: Sono cose delicate e bisogna andarci con i piedi di piombo. (Lo chiamano al walkie. Risponde)  Sì, dimmi... (Pausa)  Bene, ascolta. Non lo fare accostare qui davanti; digli di fare il giro della casa. Altro?... Chiudo. (A Gianna)  Signora, credo sia arrivata la macchina per lei.

GIANNA: (Andando alla finestra)  Sì, è mio fratello.

PRIMO UOMO: Verrà giù dall'altra parte. E' meglio: con tutta quella gente là fuori... - Penso ci sarà bisogno di un aiuto per i bagagli...

GIANNA: No, ho solo queste borse. Per il resto tornerò.

STEFANO: (Guardando fuori)  I fotografi già gli stanno correndo dietro.

PRIMO UOMO: Uh! Quando ti si incollano addosso sono peggio delle zecche.

(Bruno e Gianna si guardano.)

GIANNA: Sembra che scappo, vero?...

BRUNO: Sono io che sembra che ti caccio.

GIANNA: No, sembra di più che scappo.

BRUNO: Non potresti fare granché.

GIANNA: Comunque, quando... cioè, in un secondo tempo...

BRUNO: Sì, lo so.

GIANNA: Vorrei aspettare ancora qualche minuto.

BRUNO: Non serve.

STEFANO: (Guardando l'ora)  Quasi le cinque e mezza.

PRIMO UOMO: Era quello che temevo.

(Suonano a una porta interna.)

 GIANNA: Lo posso fare entrare?

BRUNO: No, vai.

STEFANO: Gianna, dammi! Ti aiuto.

GIANNA: Lascia, lascia.

PRIMO UOMO: (A lei)  Mi raccomando... Soprattutto se le capita di parlare con dei giornalisti, e le capiterà senz'altro...

(Suona il telefono rosso. Alcuni secondi, poi buio.)

SCENA TERZA

(Un mese dopo.)

(Silvia è seduta al centro della scena, e ascolta: da oltre le porte di sinistra, difatti, giungono risatine di uomo e di donna, e frasi smozzicate.)

RAGAZZA: (Da fuori)  E se ti dico smettila, smettila!

SECONDO UOMO: (c.s.)  Che smetto? Non sto facendo mica niente...

RAGAZZA: (c.s.)  Sì, niente...

SECONDO UOMO: (c.s.)  E cosa? Sentiamo!...

RAGAZZA: (c.s.)  E sù, che ho tutto da sbrigare!... - Guarda, se proprio vuoi farmi compagnia cerca almeno di darmi una mano.

SECONDO UOMO: (c.s., ridendo)  E che stavo facendo, scusa?...

RAGAZZA: (c.s., facendogli il verso)  Ah! Ah! Le risate!... (Per qualcosa)  E piantala! Sta' attento che te le taglio queste zampacce se non la finisci!

SECONDO UOMO: (c.s.)  Basta basta... Giuro che faccio il bravo.

(Rumori di stoviglie.)

RAGAZZA: (c.s.)  Prendi qui - almeno aiutami...

SECONDO UOMO: (c.s.)  Certo che c'abbiamo guadagnato nel cambio, eh... - Ora mi dispiace per la vecchia che se n'è dovuta andare...

RAGAZZA: (c.s.)  Che vecchia?

SECONDO UOMO: (c.s.)  Quella che stavaa qui quando siamo arrivati noi; quella prima di te.

RAGAZZA: (c.s.)  Tanto, pure io, quanto credi che resista! -

SECONDO UOMO: (c.s., con un po' di scena)  Beh, che sarebbe? Mi vuoi lasciare? Non si fa: così, appena conosciuti...

SECONDO UOMO: (c.s.)  Che lasciare! Ma a filarmela già ci penso. Lavorare in questa situazione: te lo raccomando!... - Aspetta un attimo.

(Entra in scena. Silvia la fulmina con uno sguardo. Una pausa.)

SILVIA: (Secca)  Che hai fatto, tu?

RAGAZZA: (Disorientata)  Come che ho fatto?... Stavo sbrigando la cucina.

SILVIA: Hai parlato, per caso, con qualche giornalista?

RAGAZZA: Io?...

SILVIA: Vieni un po' qui. Hai parlato con i giornalisti?

RAGAZZA: (Avvicinandosi mentre alle sue spalle compare, impacciato, l'uomo)  E per dire cosa?

SILVIA: Ti cercano al telefono, ti fermano per strada, t'aspettano quando esci - lo so.

RAGAZZA: Non è vero.

SILVIA: Sì che è vero. Lo so. Che ti hanno chiesto? Tu che gli hai detto? - Ti avranno offerto delle cifre, dei soldi...

RAGAZZA: Ma no, niente.

SILVIA: (All'uomo)  Ha parlato con i giornalisti?

SECONDO UOMO: No, non mi risulta che sia successo. Non so.

SILVIA: Non sa?!... Che lei non sappia mi sorprende. Siete qui per sapere. Per controllare. Almeno questo. E' il vostro mestiere o sbaglio?... No, mi dica: sbaglio?

SECONDO UOMO: Che ci abbiano provato non mi stupirebbe.
Può essere. Questo è il loro mestiere: ognuno il suo.

SILVIA: Allora sì?!...

RAGAZZA: Ma sì cosa? - Io sono venuta in questa casa in un momento che ci voleva pure del coraggio, se permette - ma io faccio il mio lavoro e ci sono venuta perché c'era bisogno e qui faccio quello che devo fare e basta!

SILVIA: In questa casa tu ci sei venuta a ragion veduta. Per combinare i tuoi porci affari e comportarti dalla puttanella che sei!

RAGAZZA: Cosa? Vuol ripetere! - Ah, ma queste se le rimangia! Non si creda che gliele perdono, sa!

SILVIA: Non perdoni tu a me? Ah!

SECONDO UOMO: (A Silvia)  No, mi scusi, ma se lo dice adesso perché ha sentito qualcosa di là - beh, no! Mi prendo la colpa io, ma nemmeno può esagerare il senso, così, di qualche battuta.

SILVIA: Perché vi sembra una cosa degna  - oggi, qui dentro?

SECONDO UOMO: Comunque è sempre meglio se ne parla con me.

SILVIA: E la signorina, invece, con chi ne parla?

RAGAZZA: Ancora! Ma con nessuno! Perché se la prende contro di me adesso?

SILVIA: Perché sei una serpe! - Lo so benissimo come avete fatto a gara voi della vostra razza, tutto il vostro giro, per piazzarvi qui dentro - perché lo sapevate che c'era da affondare le mani, che c'era da prendere, da spogliare il cadavere - come iene !... Certo che ci sei venuta. E sai che bel coraggio! Già con i soldi in tasca ci sei venuta. Ormai pure questo ci tocca sopportare: che tutti, ormai, possono venire a metterci le mani addosso: anche una come te.

RAGAZZA: La sua cattiveria, mi creda... Io non l'ho mai vista una cattiveria così. Non l'ho mai vista io, ma dovunque sono stata, di gente fatta a questo modo - sopra mia madre glielo posso giurare! - Che ciò più rispetto io di quello che è successo, più io che lei.

SILVIA: Ma pulisciti la bocca, sgualdrina! Dice "rispetto"... Una che si fa alzare le gonne quando qui, tra queste mura, bisogna ingoiare lacrime e silenzio - quando, adesso, io sto aspettando di sapere di che orrori sta morendo mia figlia.

RAGAZZA: Ciò più rispetto io che lei! Ciò più rispetto io che lei! - Io che sua figlia nemmeno la conosco. Ma cianno più rispetto quelli che lo sentono alla televisione, che lo leggono sul giornale. Perché se le piace credere che sono andata a dirlo in giro quello che neanche so - nemmeno è per questo, non si creda!

SILVIA: Ah, no!

RAGAZZA: Ma se le faccia alzare lei le gonne! Ci vada a letto con suo marito: per questo che si azzarda! E poi vuole farmi delle colpe... Beh, mi dispiace se per caso, oddiomio!, le è toccato di sentire qualche... scemenza che si può anche dire, che capita scherzando... - Mi dispiace.

SILVIA: Brava! Te lo stai togliendo il gusto di annusare il dolore altrui, razza di cagnetta!

RAGAZZA: E allora lo dica! Se è vero che lo sa lo dice: cos'è che avrei fatto io? - E quando? Come?

SILVIA: Sta' zitta! Non t'azzardare nemmeno a rispondere.

RAGAZZA: M'azzardo, eccome se m'azzardo! E magai, perché lei va fuori di testa, io debbo pure trovarmi a passare qualche guaio.

SILVIA: Dammene solo il modo!...

RAGAZZA: Eh no, deve dirmelo! Qua ora sono io che lo voglio. Perché sono finiti i tempi in cui si crede di vivere, sa! Di servi e padroni, sono finiti! Ma meglio allora andare per davvero a fare la donna di strada, è più pulito, che prendere i soldi per farsi trattare in questo modo.

SILVIA: E fallo! Tanto non credo che avrai problemi.

RAGAZZA: Grazie! Ci fa proprio una bella figura.

SECONDO UOMO: Per piacere però - così non è possibile... (A Silvia)  Signora.. Io ora non voglio dire, né per lei né per la signorina, ma se ha delle... non dico prove, ma la sensazione precisa che qualcuno sia andato a estorcere... Non so cosa: delle informazioni, forse? Delle dichiarazioni?...

SILVIA: E dovrei saperlo io?

RAGAZZA: Ma non lo senti che è pazza? Completamente pazza.

SECONDO UOMO: E sta' un po' buona anche tu!

RAGAZZA: Fattelo dire, fattelo dire! - Sono proprio curiosa di sapere chi gliel'ha detto.

SILVIA: Certo, perché io sono la folle isterica che parla a vanvera. Perché non si vede certa gente quello di cui è capace.

SECONDO UOMO: Se però non ha la certezza... Qua già è duro trovare qualcosa di chiaro a cui aggrapparsi...

SILVIA: (All'uomo)  In un mese di martirio - ma vissuto come io posso averlo vissuto: da madre - si impara il vostro mestiere cento volte meglio di voi.

RAGAZZA: Eccoli, questo sono i suoi bei ragionamenti! (Suona, da sopra, un telefono)  E una dovrebbe farsi insultare e starsi pure zitta!

SILVIA: E allora prima?... Me lo sono inventato forse quello che ho sentito? - Delle vostre schifezze me lo sono inventato?

RAGAZZA: Guardi, giusto per quello che sta passando!...

TERZO UOMO: (Affacciandosi sù per le scale)  Signora, può venire al telefono? - E' suo marito.

SILVIA: (Senza ascoltarlo, alla ragazza)  Giusto cosa, per quello che sto passando?

RAGAZZA: Che mi limito, zitta, a prendere e a togliere il disturbo - per farle vedere che so rendermi conto, io, di certe situazioni.

SILVIA: Facile, adesso che quello che volevi te lo sei già preso!

TERZO UOMO: (Chiamando)  Signora...

SILVIA: (Continuando)  Però ti giuro, ascolta bene!, che se davvero viene fuori che sei stata capace di farti i soldi sulla pelle di mia figlia io ti ammazzo - lo giuro che ti vengo a prendere e t'ammazzo!

RAGAZZA: Ma si ricoveri! Sa quanto sarebbe stato meglio per suo marito, poveraccio, se gli fosse rimasta in casa l'amica che ciaveva - e come la capisco, quella, se bene ha fatto a scapparsene ma di corsa! (Se ne va sbattendo la porta)

SILVIA: (Gridandole dietro)  E già, perché siete della stessa pasta voi due! Sapete capirvi al volo, poverine.

SECONDO UOMO: Per carità, cerchi di controllarsi. Si calmi.

TERZO UOMO: (Dopo una breve pausa di imbarazzo)  Se può salire... Suo marito le vorrebbe parlare... (Lei si volta, per capire)  E' in linea: sù nello studio.

(Ancora una pausa, infine Silvia sale a rispondere.)

TERZO UOMO: (Scendendo)  Oh... Ma che era tutto quel macello?

SECONDO UOMO: Era che qua c'è un'aria che non si regge più.

TERZO UOMO: Di', qualcosa a che fare con la ragazzina di là?

SECONDO UOMO: Ma niente... Non sapevamo che stesse dietro la porta e mi ha sentito mentre le dicevo qualche cretinata.

TERZO UOMO: (Ridendo)  Che maledetto! Dài, racconta.

SECONDO UOMO: Figurati! Così, si scherzava... - No, proprio una scenata senza motivo, poi inventandosi accuse assurde.

TERZO UOMO: E cioè?

SECONDO UOMO: Assurde.

TERZO UOMO: Beh magari, in queste condizioni, si può anche arrivare al punto da menare colpi a casaccio senza guardare in faccia a nessuno.

SECONDO UOMO: Ma tu dovevi sentirla! Quello che non è riuscita a dire!...

TERZO UOMO: E l'altra?

SECONDO UOMO: L'altra che le rispondeva. Una cosa imbarazzantissima, e io in mezzo che non sapevo dove sbattere la testa.

(Rumori da fuori. Una brusca frenata. Una portiera viene aperta e richiusa con forza. Il Terzo va a guardare dalla finestra.)

TERZO UOMO: Eccone un altro che arriva con la luna storta.

(Va ad aprire. Entra il Primo uomo con un'espressione furente. Nessuno dei due si azzarda a rivolgergli la parola.)

PRIMO UOMO: Qua chiuso, eh! - Non è più aria: finisch! - O si cambia registro o via - perché se dobbiamo continuare a farci prendere in giro da questi pazzi irresponsabili col rischio, poi, di trovarci davvero ficcati nella merda fino al collo, allora meglio saperlo sin da adesso e pace!

TERZO UOMO: Beh, che è successo.

PRIMO UOMO: Te lo dico subito che è successo! (Poi d'improvviso, più tra sé)  Ma, cristo!, io vorrei sapere noi qui cosa ci stiamo a fare!

SILVIA: (Comparendo sulle scale)  Chi è? Stefano?...

PRIMO UOMO: (Quasi aggredendola)  No, non sono Stefano, signora. Perché lei invece lo sa dove sta l'avvocato adesso, vero che lo sa?...

SILVIA: Lo sto solo - aspettando.

PRIMO UOMO: Aspettando, eh! - Senta, vediamo di capirci: è un mese che ci stiamo spaccando le ossa, rischiando a tutti i livelli, anche di credibilità, per stare appresso a questa storia; praticamente abbiamo mollato tutto il resto - lei immagino che ne sia al corrente; poi lo vede, non è che non lo vede!...

SILVIA: Siete pagati per fare quello che fate. O che almeno dovreste fare.

PRIMO UOMO: Il fatto che siamo pagati non vi consente comunque di usarci, perché questo è il succo della faccenda!, come una ridicola copertura e di ridurci a degli zimbelli solo buoni per buttare fumo negli occhi e basta. Qui si va anche contro la legge, signora mia - lo sa questo? - E vorreste tirarci in mezzo, proprio a noi!, come dei poveri allocchi?...

SILVIA: Non so di cosa stia parlando.

PRIMO UOMO: Vuol farmi ridere? - Che l'avvocato, e da quasi ben due settimane, sta conducendo trattative delle quali siamo tenuti completamente all'oscuro: questo lei non lo sapeva?

SILVIA: Non vi fa onore confessare di essere all'oscuro proprio voi!

PRIMO UOMO: Ci fa onore, se, come vede, la cosa non ci è sfuggita.

SECONDO UOMO: Ma sfuggito che? Santiddio, spiegati.

TERZO UOMO: Qui non si è saputo niente: nessuna telefonata, niente.

PRIMO UOMO: E non era qui che si doveva sapere.

SECONDO UOMO: Forse per la cosa dei giornali che diceva prima lei...

PRIMO UOMO: Insomma, dov'è andato l'avvocato?

SILVIA: Non posso risponderle.

TERZO UOMO: So che sarà qui fra poco.

PRIMO UOMO: (Alla donna)  Sbaglio se dico che è andato a un incontro?... (Silenzio)  E' da loro che è andato?

SILVIA: No.

PRIMO UOMO: Signora, sono sotto controllo tutte le linee telefoniche: di casa e degli uffici - non poteva essere che continuassero solo a chiamare per non dire nulla... - Abbiamo saputo, mi creda.

SILVIA: Non siete stati voi a saperlo, ma qualcun altro per voi.

PRIMO UOMO: Mi risponda!

SILVIA: E la smetta di parlarmi così!

PRIMO UOMO: Si era detto: non si tratta! Non si trattta! - Detto e ripetuto. Si era d'accordo. Tutto il nostro lavoro è stato impostato di conseguenza. Si era detto o no che non si doveva trattare?... Che questi sono - roba da poco, dilettanti. Possiamo arrivarci benissimo, noi, a beccarla gente come questa! Abbiamo risolto casi anche molto più difficili e suo marito lo sa. Di mosse false già ne hanno fatte e ne faranno. Ma, insomma, ne avremo di esperienza per dirlo, no!...

SILVIA: Non stiamo trattando. Non possiamo.

PRIMO UOMO: E ci ha pensato che la magistratura potrebbe anche bloccarvi i soldi? Ci ha pensato?

SILVIA: Le ripeto che non stiamo trattando.

PRIMO UOMO: Ma ci sono stati dei contatti, questo sì.

SILVIA: Non contatti... - Messaggi.

PRIMO UOMO: Che messaggi?

SILVIA: Loro ci hanno solo - fatto sapere dove avremmo trovato questi messaggi.

PRIMO UOMO: E come ve lo hanno fatto sapere?

SILVIA: Mio marito ha ricevuto delle lettere. Loro sapevano che c'era di mezzo la polizia, e che c'eravate voi e non dovevate entrarci.

PRIMO UOMO: Cos'erano questi messaggi?

SILVIA: (Dopo una pausa)  Fiale.

PRIMO UOMO: Fiale?...

SILVIA: Fiale di sangue.

SECONDO UOMO: Occristo!

PRIMO UOMO: Quante?

SILVIA: Una volta.

PRIMO UOMO: E adesso dov'è andato l'avvocato?

SILVIA: C'è un altro messaggio. Diverso, hanno detto.

PRIMO UOMO: Merda! Merda! Merda!

TERZO UOMO: Ma chi può dire, scusi, che sia... che quel sangue sia di vostra figlia?

SILVIA: Noi sappiamo che può essere.

PRIMO UOMO: Quand'è che avete saputo dell'ultimo messaggio?

SILVIA: Oggi.

PRIMO UOMO: (Dopo una breve pausa, con altro tono)  Ma non pensa.. non avete nemmeno pensato che avremmo comunque potuto fare qualcosa? - Che questo caso è roba nostra e che ci stiamo lavorando noi - non ci avete pensato?... (Silvia non lo ascolta e guarda fuori)  Non vi è passato nemmeno per la testa che quello che mettiamo al vostro servizio è una competenza e un impegno che vi lega anche moralmente a mantenere un comportamento chiaro e preciso nei nostri confronti - e che noi non siamo burattini da tenere buoni mazzati e cornuti per fare da schermo e tutto lì, mi capisce?... - Allora davvero dobbiamo credere di essere stati chiamati qui solo per ritrovarci vittime di un sopruso, non so se mi spiego! - E me lo dica se sembra che non stia parlando abbastanza chiaro.

SILVIA: A me sembra - che sia come un mercato che avete tirato sù attorno a ... alla nostra carne - alle nostre carni. Un mercato schifoso.

SECONDO UOMO: Lei oggi, mi perdoni, non sa davvero quello che dice.

SILVIA: Siete tutti qui a toccare, con le vostre - sporche mani. (Al Primo)  Ma che vuole? Come osa? - Cosa vuole? Cosa cerca? - Cerca la vita di mia figlia? - O mia figlia?... - Come vanno le vostre graduatorie? A punti? - Vi basterebbe anche di essere voi a trovare il cadavere? Sarebbe già qualcosa? - O proprio è la conquista della taglia? Dite!... (Silenzio)  Non sapete stare al vostro posto? - Cercate di imparare e stateci!

PRIMO UOMO: Perfetto. E' proprio al nostro posto che vogliamo stare. E' questo l'impegno che vi siete assunti.

SILVIA: Sto capendo bene?... Saremmo noi, adesso, a doverci preoccupare delle vostre pretese?...

PRIMO UOMO: Ci avete tirato dentro a questa faccenda e se ora ci sbattete la porta in faccia potrebbe essere molto spiacevole... - Mi consenta la durezza ma nessuno, qui, ci sta per giocare.

(Una pausa.)

TERZO UOMO: Il nostro collega, signora - le ha parlato, forse, con una certa irruenza dovuta anche alla stanchezza e all'angoscia per le ore che stiamo vivendo: senza più sonno, quasi scordandoci spesso di mangiare... Ma se volesse valutare seriamente il peso delle responsabilità che ci siamo assunti, forse riuscirebbe a capire.

(Ancora una breve pausa.)

SILVIA: Avete quasi il potere, con la vostra follia, di non farmi pensare a quello che sto aspettando. Quasi riuscite a distrarmi.

PRIMO UOMO: Sicuramente non mi sono espresso bene - sicuramente. Ma abbiamo accettato... - ora non badi alle parole che uso: sono due notti di fila che non chiudo occhio - abbiamo accettato di entrare nel vostro inferno, poiché di questo si tratta, lo sappiamo bene: sono inferni che conosciamo - per cui adesso, vogliamo arrivare sino in fondo.

(Rumore di una macchina che arriva.)

SILVIA: Eccolo!

(Una pausa. Suonano alla porta. Uno degli uomini va ad aprire. Stefano entra con una busta tra le mani. Alcuni secondi di imbarazzato silenzio.)

PRIMO UOMO: Può informarci, avvocato. Ma non avrebbe dovuto essere lei ad occuparsi di questi affari.

SILVIA: (Al nuovo arrivato)  Cos'è?

STEFANO: (Tirando fuori dalla borsa un tape)  Un nastro.

SILVIA: E cosa c'è - cosa c'è dentro?

STEFANO: Bisogna vederlo.

SILVIA: (Strappandoglielo dalle mani e poi correndo al televisore)  Dammi!... Si può mettere - si può mettere qui, sì?...

PRIMO UOMO: Signora, no!

SILVIA: No cosa?

PRIMO UOMO: Avvocato, glielo dica lei che non lo guardi. Cioè non prima almeno... Non subito.

STEFANO: Silvia, ha ragione. E' meglio che sia prima qualcun altro a farlo.

SECONDO UOMO: (Al Primo)  Glielo debbo togliere?

SILVIA: Ma cosa vuole togliere, lei? Cialtrone!

SECONDO UOMO: E la smetta di insultarmi!

TERZO UOMO: (Al Secondo)  Calmo, calmo.

STEFANO: (Alla donna)  Perché vuoi farlo?

(Lei non risponde. Dopo qualche fatica le riesce, infine, di sistemare il tape nel suo scomparto.)

STEFANO: Aspetta almeno Bruno.

SECONDO UOMO: Potrebbe essere molto sgradevole.

SILVIA: (Armeggiando)  Come funziona qui? Come si accende?

STEFANO: (Dopo una pausa, accendendo)  Così.

(Buio.)

SCENA QUARTA

(Sei mesi dopo.)

(Silvia è seduta sul divano al centro della scena. Bruno, d'un lato, sta sistemando una cassetta nell'impianto stereo. E' fasciato con una benda bioculare, ha di fianco a sé un bastone. Nonostante l'impossibilità di vedere si muove con una certa disinvoltura.)

BRUNO: (Accendendo)  Questa musica la compose

un amico per noi. "Un omaggio

per chi ti ama." Praticamente

per te è l'omaggio e tu non l'hai mai saputo.

SILVIA: Un amico? E quale amico?

BRUNO: Quel mio amico musicista che purtroppo

ti mancò il tempo di conoscere, ricordi?

SILVIA: Gesù, tu parli - ma di almeno...

BRUNO:                                                      Sì, di almeno

quasi trent'anni fa. Cioè, ancor prima

del nostro matrimonio.

SILVIA: Sapevo dell'amico...
Me ne parlavi talmente tanto allora!
Ne avrò persa la memoria, se da allora

non ti ho più inteso raccontarmi niente.

BRUNO: Più niente?... Non ti avrò detto più di lui,

o forse poco.

SILVIA:                        Più niente.

BRUNO: Niente di niente, è questo che vuoi dire?

SILVIA: Niente di niente.

BRUNO:                                Forse negli anni... -

Se ne dicono tante sulla vita a due -

si inventano battute, si scrivono commedie;

e certo non a caso. Negli anni è indubbio

che è sceso un certo... ghiaccio tra di noi.

SILVIA: Un male che dagli anni

si è contagiato ai mesi e ai giorni.
Come una rogna che scortica la pelle,

come un'infezione.

BRUNO:                             Dio, che orrore!

SILVIA: Che orrore, certo.

BRUNO:                                Già, ma io intendo

riferirmi all'immagine, non al fatto.

SILVIA: Ma è l'immagine di un fatto, Bruno.
Che ha avuto tre decenni di agonia;

che m'ha visto assistere impotente

a te che svuotavi il nostro tempo

come si svuotano

case per un trasloco.
Sì ridi ridi... Così tu l'hai svuotato

di ciò che per la casa è la mobilia

e, per il tempo, il senso della vita.

BRUNO: Il senso della vita: e che sarebbe?

SILVIA: Per me, tua moglie, le abitudini, non pensi?

BRUNO: (Ridendo)  Tu dici abitudini ma intendi

solo pratiche sessuali.

SILVIA:                                  Adesso!

Adesso sì, che tolti

di mezzo i gesti e le concrete

cose della vita non rimangono

che le nude parole a denunciare

l'intimità ridotta a questo:

all'espressione: 'pratiche sessuali'.

(Una pausa.)

BRUNO: Bene, dunque...
E' la metà di un anno, Silvia: sono già sei mesi

che sei tornata in questa casa e abbiamo atteso

il tranello dell'ultima giornata

prima che tu parta per trovarci

- no, direi meglio: per ri trovarci -

faccia a faccia a sibilarci contro

qualcosa di noi, alla fin fine.

SILVIA:                                             Alla fin fine sì.

(Una pausa)

Hai sempre equivocato, e il succo dell'equivoco

era per me penoso.

BRUNO:                             Che equivoco?

SILVIA: Non dirò l'equivoco ma perché penoso.
Volerti - volerti dentro , sì volere

le tue mani, il tuo corpo addosso era la maniera, l'unica

per avere il tuo mondo e col tuo mondo

me stessa in te.

BRUNO:                       Però son furbo.
Al faccia a faccia io mi presento

bendato e cieco.

SILVIA:                        Tu le conosci

le espressioni che uso quando parlo.

BRUNO: Fin troppo bene le conosco ma, qui, il trucco

è di nasconderti le mie.

SILVIA:                                     Solo per poco.

BRUNO: Ma quanto basta. E renditi poi conto

che se ora accetto un colloquio come questo,

che mi costringe di nuovo a certi - climi... - E fammi dire!

Bene, lo accetto

solo per dovere.

SILVIA:                         E verso chi, dovere?

Verso di me?

BRUNO:                    Oh, no.
E' un dovere per entrambi. Pure tu che credi

di toglierti uno sfizio a dirmi queste cose,

nella realtà è che sei costretta a farlo.

(Una breve pausa)

Posso venirti vicino, cara?... Seduto intendo.

(Nessuna risposta. Bruno, nell'avvicinarsi, inciampa e rischia di cadere.)

SILVIA: (Immobile)  Francamente mi dispiace

partire lasciandoti così.
Ma tu dici - insisti che non hai bisogno.

BRUNO: Difatti. Per pochi giorni... - Poi domani

verrà questa ragazza...

SILVIA:                                     Ma è sicuro?

BRUNO: Sicuro, sì. Ci tiene, dice, se serve

a darmi un po' una mano.

SILVIA: Però ti ci vorrebbe una persona apposta.

BRUNO: Altri intrusi? Per carità! Via te, via tutti.

SILVIA:                                                                       E lei?

BRUNO: Ammetterai che per lei è diverso. Verrà così...

un'oretta al giorno, dice - e nemmeno tutti i giorni.

SILVIA: Sembra caruccia.

BRUNO:                                Non è per quello.
Non sopporto più... corpi, di carne e ossa,

corpi veri, mi capisci? Io voglio

la solitudine, quella dei sensi.

SILVIA:                                                E appunto

la cecità ti si addice.

BRUNO:                              Pensi?

SILVIA:                                              Davvero. Anzi,

hai ritardato forse troppo

con la tua operazione; fossi stato

così bendato mesi fa... Beh, avresti avuto

la scusa migliore per non vedere

quello che ho avuto solo io il coraggio

e molti la voglia  di vedere.

BRUNO:                                          Tu non sapevi

che avresti visto, perciò hai potuto.
Non è stato per me peggio conoscerlo origliando

tra le frasi pietose, penetrando

negli occhi e nelle facce di chi vide

quel nastro maledetto?...

SILVIA:                                           Forse gli altri

furono pietosi e vollero tacerti - ma non lo feci io!
E non per non tacere a te bensì perché

mi era impossibile tacere. Perché non sempre

si è ridotti al silenzio dall'orrore quello vero: il suo -

altro che il nostro, che se la spassa

a metà tra le parole e i fatti! - Non sempre è meglio

ignorarlo nelle sue forme esatte.
Per viltà, così, ci si guadagna il peggio:

immaginando. Ti compatisco, Bruno.

BRUNO: Immaginare? Forse, ma con limiti precisi.
Non cercasti in tutti i modi di inchiodarmi

ai fatti, appunto: al muto orrore

che in te trovò parole? Tutto

mi hai detto, mi raccontasti

per filo e per segno tutto:

della tavola

su cui era stesa, legata - e delle stanghe

per divaricarle le gambe e dello straccio

ficcato tra i denti e dei disegni

sul muro e dello sguardo... del colore

del muro, e dello sguardo

che tu m'hai detto... Insensato, insensibile -

SILVIA:                                                                       Stordito.

BRUNO: Stordito, ecco. Ma anche insensato.
Su quello sguardo, mia cara, non me l'hai detta giusta.
Su quello sguardo sì che mi hai lasciato

la voglia e il modo di fantasticare immaginando il vero.

Lo vedo, quello sguardo; né stordito né altro, ma voltato

senza vergogna su di noi a cercarci.

SILVIA: E ti ha trovato quello sguardo, Bruno?

BRUNO:                                                                  Me sì,

me - che non l'ho spiato ma saputo.

SILVIA: Ecco, fantastichi.

BRUNO:                                No! No!

SILVIA:                                                 Sì che fantastichi.

La cruda realtà non era il modo

in cui guardava tutti quelli che sapeva

l'avrebbero guardata - noi compresi! -

La crudissima realtà è che lei guardava

coloro che in quell'istante  la stavano guardando.
Poi, strizzati, quegli occhi io li ho visti

inondati di sperma, e già tutto

il suo corpo era invaso e percorso

di sudicio sperma

di bestie, e tu dici:

"Lei, senza vergogna.."
Che maschio balordo! Ma se tutto

non aveva altro scopo che questo: che noi,

sentendola in lei la vergogna

la portassimo in noi nelle nostre

insopportabili carni. Era come

se quei cani dicessero: "Eccolo

il meglio di voi - non è questo?
Pagate e riavrete

il suo corpo che almeno respira."

Quel corpo che tu avresti mai immaginato che fosse

e sino a tal punto nient'altro che corpo?

Di cosce, di glutei, di bocca e vagina? - Potevi

immaginarla nostra figlia che fosse

nient'altro che questo? Enrica, mia  figlia - quel corpo

che io, con i miei  occhi, ho visto?

(Una pausa.)

BRUNO: Che stranezza questa che ci consente

di rinunciare, volendo,

all'uso dello sguardo ma non dell'udito.
Non ti ho urlato: "Basta!" e non so perché. Forse

potessi vederlo adesso, quel nastro, lo vedrei.
Forse è da tempo che vorrei vederlo.
Ma tu mi parli così e m'imponi

disgusto e distruzione poiché ti sforzi

- ah, ti capisco e mi commuove - di condividere il dolore.
Ma questa tragedia, Silvia, ha un nome:

umiliazione, che non si può spartire.
Annientamento di sé negli altri

che ci vengono annientati.
Enrica non è più niente per noi, siccome noi

non siamo stati niente per lei.

SILVIA: Più niente?

BRUNO:                       Niente di vivo, intendo.

SILVIA: Non vuoi crederla viva?

BRUNO:                                          Sì, cerco di non farlo.
Una parte di me continua,

senza che io mi sforzi, a crederla viva.
Un'altra parte di me sforzandosi

mi obbliga a pensarla morta.

SILVIA: E quale parte di te fra queste,

ti dà più pace?

BRUNO:                       Lo dici per colpirmi.
Brava, e a che pro?
Non c'è più niente da fare ormai.

SILVIA: Ce n'è mai stato? E se c'è stato

l'hai fatto? Ne sei certo?

BRUNO: (D'un fiato)  C'è stato ed è stato fatto, Silvia!
Ho fatto tutto, ho fatto pure il peggio.
Ho accettato di parlare con quei mostri,

ma di parlarci come si parla con chiunque -

di parlarci, mi capisci?, ràgio-

nevolmente.  Ho accettato

di pensarli neanche mostri. Ho finito

per attendere con ansia di sentire

quelle voci maledette - quasi al punto

che quando ci hanno tolto da pagare

- e tu lo sai che cosa non ho fatto

per averli quei soldi ma li ho avuti! -

e già sapevo dove e quando si poteva...
Ah, ti vedo: quella piega della bocca!...
Ma credimi, davvero! Con loro ero d'accordo!
Beh, a parlarci con quelli, sembra assurdo,

io quasi m'intendevo e non è poco

se dovevo - ma cos'altro? - scongiurarli

se quanto mi chiedevano era troppo,

che nemmeno vendendomi...

SILVIA:                                              Che cosa?
La casa ti è rimasta, l'azienda, la tua squadra...

BRUNO: Di chi il consiglio? Non fu tuo? Ma giusto.
Servivano dei liquidi, però non si poteva

far nulla allo scoperto. Vendere, ad esempio.
Ma quei soldi ci stavano, con tutto

che dovetti supplicarli di ridurre le pretese -

beh, accettarono. Ero pronto. Chi è poi stato

a tradirci? Sù, rispondi! - Chi ha voluto il

sequestro della cifra? Colpa mia

se non rimase

da fare altro che questo: che pregare? -

SILVIA: L'avessi visto quel nastro, Bruno,

non parleresti così.

BRUNO:                                Ma così come?

Non dovevo guardarlo, non potevo.
Almeno per tentare

quello che mai, altrimenti, avrei tentato.
Per riuscire a parlarci come ci ho parlato,

con quella gente - ma come avrei potuto?...

SILVIA: Guardalo adesso... Ah, no - impossibile.
Hai sempre un alibi. Prima era giusto

non farlo, ora le bende.

BRUNO: Che bende? Dovrei andare

a chiederlo a quei porci di farmelo vedere.
Beh, ci ho provato, lo sai? - In questura

sono stati molto tecnici, ma comici:

avrei potuto vederlo piantonato

da qualche giovanotto

già in sollucchero e pronto ad eccitarsi.

SILVIA: E quante volte, e in quanti

l'avranno già visto? Non ci pensi?

BRUNO: No, non ci penso. Cioè, non penso

solo più a questo. Non c'è spazio

dentro di me per una cosa sola

che possa separarsi dalle altre.
Non possiedo più emozioni distinguibili,

memorie distinte. Questo è tragico.

Ma io sarò un uomo , se un uomo è così:

questo grumo di dolore

che si divide solo nelle sue appendici,

nelle parti del suo corpo.

SILVIA: Vorresti che sia così ma non sarà così.

(Una breve pausa.)

BRUNO: Che dramma. T'accorgi

come sfuggiamo facilmente dal parlare

di quello che ci accade?... Che ci è accaduto.

SILVIA: Tu lo fai, non io.
Parlando di te parlo di Enrica.

BRUNO: Di Enrica? E come?

SILVIA: Nel senso più generico, è probabile.
Parlo di quello che la vita mi ha sottratto.
Scopertamente. Ci distanziamo

ancora uno dall'altra

con l'obbligo di mutarci

in ombre, in corpi non più corpi

e di mutare in ombra tutto ciò che, sembra, esiste.

BRUNO: E questo è un duro impegno

che assolveremo solo - restando soli.

SILVIA: Temi, forse, che ti chieda di tenermi?

BRUNO: Tenerti come?

SILVIA:                          Qui con te.

BRUNO: So che sei il tipo che potrebbe farlo.

SILVIA: Perché non richiami la tua amica,

quella di prima? - Ritornerebbe.

BRUNO: Ne abbiamo taciuto per mesi e proprio adesso...

SILVIA: Non si poteva che adesso. (Silenzio)  Solo adesso.

BRUNO: La musica ti piace?...

SILVIA:                                     Forse.

BRUNO:                                                  E' bella.

SILVIA: Non voglio giudicare. Per te, si vede,

significa qualcosa.

BRUNO: Anche per te dovrebbe.

SILVIA:                                           E perché mai?

BRUNO: Ti è stata dedicata.

SILVIA: Me lo racconti oggi.
Non trovo in questa musica

niente che mi riguarda.

BRUNO: Vuoi che spenga?

SILVIA:                                  No, lascia.
Non dico mica che mi dà fastidio.

(Una breve pausa.)

BRUNO: Siamo a luglio ma si stenta

a riconoscere l'estate.
Certe sere mi sembra quasi freddo.

SILVIA: Io e te forse, a questo punto,

non siamo adatti nemmeno a giudicare

di un'estate se sia calda oppure no.
Dovremo superarla e tanto basta.

(Lei si alza. Una pausa.)

BRUNO: Ti prego, mandami

quel quaderno di Enrica che mi hai detto.
Magari solo in fotocopia, lo farai?

SILVIA: Sono poesiole.

BRUNO:                         Tu mandalo.

SILVIA: Non sperare di leggerti citato.

Ah, ne compaiono di nomi!

BRUNO:                                          Di chi? Che nomi?

SILVIA: Nomi di tanti, e ce n'è uno

che compare più di tutti:

di un compagnuccio che si chiamava Marco.
Si chiama o si chiamava, non lo so.

BRUNO:                                                      E poi?

SILVIA: Poi niente. Disegnetti, i soliti:

cuori, fiorellini - ah, un po' di foto.

BRUNO:                                                       Foto di chi?

SILVIA: Ma che foto vuoi che siano? -

Così, lì... cantanti - quelli, sì, che stanno

sui giornaletti loro,

poi qualche calciatore un po' belloccio.

BRUNO:                                                             Me lo mandi?

SILVIA: Ma perché?

BRUNO: Mi va di averlo.

SILVIA: Appena arrivo

ne faccio una copia e te la mando.

BRUNO: Grazie.

SILVIA:             Pure tu,

se trovi cose che mi vuoi mandare...

BRUNO: Non so cosa.

SILVIA:                        Trovandole, magari...

BRUNO: Non so cosa ma, eventualmente, certo.

SILVIA: Grazie altrettanto.

BRUNO:                                Prego.

(Una pausa.)

SILVIA: Ma dunque - chi era

questo amico musicista

di cui tanto parlavi allora,

che poi, così, è scomparso

e che stasera d'improvviso hai riesumato?

BRUNO: Te lo dico se accetti di ascoltare

un po' della sua musica in silenzio.

(Buio.)

SCENA QUINTA

(Un anno e mezzo dopo.)

(Al centro della scena la tavola è apparecchiata con fastosa eleganza. Vi troneggia nel mezzo un secchiello per il ghiaccio con dentro una bottiglia di champagne già stappata. Presso la tavola siedono Stefano ed Enrica. Un terzo posto è vuoto. E' sera.

L'atmosfera di tutta la scena risulterà molto rarefatta, quasi più attenta a ciò che avviene fuori piuttosto che dentro, a ciò che è taciuto piuttosto che alle cose dette.)

STEFANO: L'avranno bombardato di domande...

ENRICA: Così.

STEFANO: Beh, posso immaginarlo.

(Una pausa. Sulle scale compare Bruno.)

BRUNO: (Scendendo)  Fatto. Anche sopra ho tolto. (Va a controllare i telefoni per la stanza)  Staccato anche qui... - Lì pure. - Siamo a posto.

ENRICA: Basta che vieni a metterti seduto. Abbiamo fame.

STEFANO: E sete.

BRUNO: (Sedendosi)  Arrivo, arrivo.

STEFANO: I calici traboccano.

BRUNO: Lo vedo che traboccano! Sei matto? - Lo sai, non bevo più.

STEFANO: Beh, ma stasera!...

BRUNO: Un dito era più che sufficiente. Per forma più che altro.

ENRICA: E dài, se non ti va lo lasci. Tu hai sempre qualche storia!...

BRUNO: (Dandole un bacio)  Dolce che sei!

STEFANO: (Levando il bicchiere)  Non diciamo a chi - nemmeno ha senso.

(Brindano. Una breve pausa.)

BRUNO: Enrichetta, guarda un po'... il telecomando per caso è sul carrello?

ENRICA: Sì, sta qua.

BRUNO: Me lo passi?

ENRICA: Tieni.

STEFANO: Ma a che ora sarebbe?

ENRICA: (Accennando ai piatti)  Comincio a mettere?

BRUNO: Lascia qui. Facciamo il giro. (All'altro)  Che dicevi?

STEFANO: A che ora va la trasmissione?

BRUNO: (Accendendo)  Eh, più o meno adesso.

STEFANO: Ma qui?

BRUNO: Non so, questo cos'è?... - No, non qui. - E' che mi saltano i canali...

ENRICA: Ma ora mangia in santa pace. Fa' una cosa: registra, così poi te la rivedi.

BRUNO: (Pestando sul telecomando)  Qui dovrebbe.

STEFANO: Mi sa che è presto.

ENRICA: E lascia, dài! - Preparo io?

BRUNO: Che faccio? Tengo acceso?...

(A Enrica che gli sta riempiendo il piatto)  No, per carità! - Di questo non ne mangio neanche mezzo.

STEFANO: (A Enrica)  Per te hai già preso?

ENRICA: Ho preso, ho preso. Tu non pensare a me - dài, sèrviti.

STEFANO: Se spegni è meglio. O almeno togli l'audio.

ENRICA: (Già mangiando)  Buon appetito.

BRUNO: (Spegnendo)  Tra che finisce il film e le reclams...

STEFANO: Ma insomma, di', che t'hanno chiesto?

BRUNO: Ora lo senti. (E mangia)

STEFANO: Va bon, lo sento.

(Una breve pausa. Anche lui comincia a mangiare. Poi, ad Enrica)

STEFANO: Ma tu lo sai?

ENRICA: Sì che lo so, ci stavo.

BRUNO: Direi buonino... Un po' salato.

STEFANO: Beh, che ha detto?

ENRICA: Si è dato un po' di arie.

BRUNO: Mica vero. - Per voi non è salato?

ENRICA: No, non molto.

STEFANO: (A Enrica)  Ma a te mica ho capito: ti si vede?

ENRICA: A me? Che scherzi?

BRUNO: C'era quello che voleva, gliel'ha chiesto.

STEFANO: Quello chi?

BRUNO: Il coso, quello che conduce.

ENRICA: Povero: ridotto a coso. (Alzandosi)  Vado a prendere del pane. (Va)

BRUNO: Pensava, piuttosto, che venissi pure tu.

STEFANO: Io che venissi?! E che c'entro io?...

BRUNO: C'entri si vede, se t'aspettava!...

STEFANO: A me nessuno, però, m'ha detto niente.

BRUNO: Di pasticci infatti ne combinano parecchi.

STEFANO: Comunque poco male.

(Una pausa, i due mangiano.)

ENRICA: (Tornando a mani piene)  Anche del vino.

STEFANO: Oh, brava - questo sì.

BRUNO: Poi è un tipetto che c'è poco da fidarsi.

STEFANO: Ma almeno dimmi: t'ha soddisfatto?

BRUNO: Non c'era niente da soddisfarmi.

ENRICA: Ma va', che ci tenevi.

BRUNO: Che c'entra? Era il motivo: per questo ci tenevo.

ENRICA: (Dandogli un bacio)  Sei tu che sei dolce, altro che io!

BRUNO: (Riaccendendo)  Pubblicità, forse ci siamo. (Un attimo)  No, ci manca. (Rispegne)

(Una breve pausa. Mangiano.)

STEFANO: Fra un po', là fuori, sai che macello!...

ENRICA: (A Stefano)  Lo stadio era stupendo. Peccato non ci fossi.

STEFANO: Lo so, purtroppo non c'è stato verso.

BRUNO: Vino?

STEFANO: Grazie.

ENRICA: Appena.

STEFANO: Mica è uno scherzo: la promozione! - Chi mai l'avrebbe detto, e invece hai visto?... Se pensi che eravamo partiti per salvarci! - (Una pausa)  E ammettilo, sù, che sei felice!

BRUNO: Boh, ancora quasi non ci capisco niente.

STEFANO: Neanche sembra vero, ma lo è.

BRUNO: (Riaccende)  Io però me lo sentivo. (Spegne)

STEFANO: Sì, facile dirlo adesso - ma all'inizio...

BRUNO: Però me lo sentivo.

(Da fuori, suoni di clacson.)

STEFANO: Beata gioventù che se lo possono permettere!

ENRICA: Tutta la notte ti terranno sveglio, figurarsi...

STEFANO: A stare svegli per questo c'è da metterci la firma.

BRUNO: Me lo sentivo perché Enrica porta bene.

ENRICA: (Sorpresa)  Come, scusa?

BRUNO: Sin da quando venisti la prima volta, solo a farmi da infermiera.

ENRICA: Non da infermiera.

BRUNO: Insomma, se ci ripensi: in quelle condizioni!...

ENRICA: No, dimmi: com'è la cosa che ti porto bene?...

BRUNO: E' questo. E mi ci sento quasi in colpa per quanto ti ho sfruttata.

ENRICA: Sfruttata me?...

STEFANO: (Riferendosi alle scorribande di macchine fuori)  Ma senti tu che roba!

BRUNO: (A lei)  Nel senso buono, ma in un anno... sì, quasi un anno e passa, è come se ti avessi solo usata.

ENRICA: Andato a sbafo: è questo che vuoi dire?

STEFANO: Insomma, Enrica: sei la mascotte della squadra, abìtuati!

ENRICA: Ma va'!

BRUNO: Davvero.

ENRICA: Però, a saperlo!

BRUNO: Ora lo sai.

STEFANO: Olio! Olio!

ENRICA: (Passando)  Olio toccato da mani benedette.

BRUNO: (Riaccende)  Dio, 'sto film! Ma quanto dura? (Spegne)

(Una pausa. I rumori dei clacson si sono fatti sempre più assordanti e vicini, come se le macchine si fossero fermate davanti la casa a fare quel baccano d'inferno. Dalle finestre penetra anche la luce di alcuni fari.)

BRUNO: A casa tua saranno in ansia. Forse se chiami...

ENRICA: Non c'è bisogno. Ancora due minuti e poi vi lascio...

(Una pausa. Clacson.)

STEFANO: (A Bruno)  Impazziti sono: questa gente per te che non farebbe!

ENRICA: C'è del dolce in frigorifero.

BRUNO: (Alzandosi)  Non t'alzare, vado io.

ENRICA: (Anche lei fa per alzarsi)  Perché? Aspetta.

BRUNO: Ma vuoi startene seduta? Va aperto, scongelato e tutto il resto.

ENRICA: Scongelato?...

BRUNO: Insomma, sistemato. (Va)

(Una breve pausa.)

STEFANO: Una cosa così gli ci voleva.

ENRICA: Per tutti ci voleva.

(Da fuori, inni e slogans.)

STEFANO: Tu lo sai, vero, perché ti ha chiesto qui...

ENRICA: Chiesta come?

STEFANO: Che venissi: in tutto questo tempo.

ENRICA: No, ma posso immaginarlo.

STEFANO: Un giorno, poi, ti dirò qualcosa.

ENRICA: Cosa?

STEFANO: Adesso come faccio?

ENRICA: E come mai ti va di dirmela così, di punto in bianco...

STEFANO: Mi va perché qui sembra che cominciano... a mollare un po' certe tensioni.

ENRICA: C'entra cosa? - Sicuramente Enrica.

STEFANO: C'entra quella sera di voi due... (Si ferma in ascolto)

ENRICA: No, non sta tornando.

(Da fuori, e durerà crescente sino alla fine della scena, si ode, scandito, il coro: "Pre-si-den-te!-Pre-si-den-te!")

 STEFANO: Pensa che al principio lui di te non si fidava - cioè, di quando... (Si blocca)  No, però se te lo dico è perché poi tutto è cambiato... (Si blocca ancora)  Dopo, dopo.

ENRICA: (Forte)  Bruno, hai bisogno di una mano?

BRUNO: (Da fuori)  No, tranquilla - ho quasi fatto.

ENRICA: Scongelare il gelato: si è mai sentita?

STEFANO: E quello, o quelli, delle telefonate - degli... scherzi, che tu sappia, ancora insistono?

ENRICA: A volte me ne parla, a volte no.

STEFANO: Così continuano?

ENRICA: Penso di sì.

STEFANO: Sciacalli!

ENRICA: Ne ha bisogno, però, ci credi?

STEFANO: Eh?

ENRICA: Sì, di pensare che siano ancora - loro.

STEFANO: Così ti ha detto?

ENRICA: Quasi le aspetta. Anzi: mi meraviglia che stasera abbia staccato tutto.

(Una breve pausa.)

ENRICA: Tu sentili... "Presidente! Presidente!", e poi si scopre che il merito è quasi tutto mio.

BRUNO: (Rientrando col gelato)  Che c'è?

ENRICA: Dicevo di quelli fuori: così lo devi a me.

BRUNO: Praticamente.

ENRICA: M'aspetto un bel regalo, non ti scordare.

STEFANO: (A lui)  Ma al tuo popolo, almeno, ti sei mostrato?

BRUNO: Eh, come no! (Guardando sulla tavola)  Mancano i piatti.

ENRICA: (Facendo per alzarsi)  Adesso posso?...

BRUNO: Sì, fa' il piacere, va'...

(Mentre Enrica si alza, lui poggia la torta gelato e riaccende il televisore col telecomando.)

BRUNO: No, Enrica, aspetta - guarda!... Vieni che sta per cominciare.

(Buio.)

SCENA SESTA

(Tre anni dopo.)

(In scena, Bruno ed Enrica. Il televisore è acceso e manda lampi colorati per la stanza. Il volume è tenuto molto basso. Si può percepire, forse, la cronaca di una partita di calcio.)

BRUNO: Ho fatto male i calcoli, pensavo

che potessi restare almeno a cena.

Ormai ci si vedrà chissà fra quanto.

ENRICA: Ci si vedrà quando ritorno.

BRUNO:                                              E quando?

ENRICA: Quando lo sai: a febbraio.

BRUNO:                                            E' un anno.

ENRICA:                                                                Giuro:

ti scriverò.

BRUNO:               Non farlo. Mi intristisce.

ENRICA: Non vuoi sapere cosa sarà di me?

BRUNO: Oh, se per questo lo saprò comunque.

ENRICA: Ma non da me.

BRUNO:                          Nemmeno se mi scrivi.

ENRICA: Tu pensi che lo dico e non lo faccio.

BRUNO: Sì che lo fai, sei il tipo che lo fa.

ENRICA: E allora? Non capisco.

BRUNO:                                       Tu non sei...

mica dentro  le lettere che scrivi:

quella è carta, ma non è... questo non è:

mani, ad esempio - e questo... cosa ridi?...

Pupille, sopracciglia - te che parli,

che ti vedo, ti odoro - che sei qui.

ENRICA: Te le sogni di notte queste cose?

BRUNO: Che sbuffi e che tossisci: pure questo.

ENRICA: Ma insomma: parto, cosa debbo farci?

BRUNO: Tu tossisci per lettera, se puoi!

Mandane una che tossisce e, guarda,

ti giuro che la leggo e ti rispondo.

ENRICA: Alla prima infuenza che mi prendo...

BRUNO: Anche Enrica mi ha scritto dalla sua -

prigione, una ne ha scritta. Vuoi vederla?

Non tossisce né niente ma è la cosa

più muta che conosca. Vuoi vederla?

(Una pausa.)

ENRICA: Non ti sapevo tanto sordo, dammela!

(Bruno va a prendere la lettera. Solo nel vederla Enrica mostra di essere scossa.)

ENRICA: Dio santo, già sta urlando, Bruno. - Urla.

(La tira fuori dalla busta. Non la guarda, la tocca; la massaggia coi polpastrelli per ogni angolo del foglio.)

ENRICA: Non sono le parole...

BRUNO:                                   Che fai?

ENRICA:                                                  Senti...

Qui, senti: la pressione della penna

più forte e più leggera, sulla carta.
Dalla penna poi sali alle sue dita,

a quel modo di scrivere che aveva:

le vocali staccate, i segni lunghi...

E le 'i' fatte solo col puntino;

quel punto senza un gambo su cui stare

pigiato, ma con forza - per dovere.
Mi ricordo che la prof diceva sempre:

"La 'i' si riconosce dal puntino.
Per piacere, non fate di scordarlo."

E lei non lo scordava; la odiava

quella vecchia. Io so che questo è il segno

di una piccola e antica strafottenza...
mai scordata. (E tocca)  Ecco, qui dall'altra parte

puoi contarle le 'i', puoi carezzarle.

Dalle dita risali alla sua mano

quando poggia la penna e si riposa,

e al polso su cui preme tutto il braccio

e alla spalla un po' china che si curva

lasciando indietro l'altra, la sinistra;

e al dorso di trequarti, e al viso, l'onda

di capelli che cade e si solleva

lì sulla fronte; e tutto il resto, tipo...

Le maniche un po' gonfie della maglia

che strusciano sbaffando sulla pagina.
Cos'è? Ti meraviglia? - Ma è normale:

beh, quasi cinque anni a fare temi... -

Confessa, hai mai toccato  questo foglio?...

E' il modo che hanno i ciechi di guardare.

BRUNO: Non mi piace chiamarti col suo nome.

ENRICA: Che c'entra questo?

BRUNO:                                 Non mi piace e basta.

ENRICA: Se chiami me non è il suo nome, è il mio.

BRUNO: Ma così: lo stesso  - insoma, è strano.

ENRICA: Non intendo cambiarlo.

BRUNO:                                          Adesso, ormai...

ENRICA: La stai prendendo molto male, vedo.
Sei stato anche tu a spingermi, ricordi?...

BRUNO: Per te sono contento. Dài, ridammela!
(E si fa ridare la lettera)

Mi hai detto, allora, che non prendi niente?

(Enrica fa cenno di no)

Tre anni, vuoi o non vuoi, sono qualcosa.
Un po' che ci si abitua... Sì che a tutto

in fondo ci si abitua: sia al guadagno

che alla perdita - è sulle prime, spesso

che sembra un po' tutto insopportabile.

(Va a riporre la lettera)

Tu che sei brava a leggere le lettere...

ENRICA: Forse non mi hai capito.

BRUNO:                                          No, davvero:

come non t'ho capito? - Tu puoi dirmi...
Anzi: devi, e farò quello che dici...

(Si blocca)

che giornata curiosa, e un po' tremenda...

Tutto insieme: stanotte tu che parti...

e stamane... Ma aspetta, aspetta... (e cerca)  - Guarda:

(mostrando il nastro)

... la polizia me l'ha ridato oggi.

"Può riprenderlo." - "E cosa debbo farne?"

"Ne faccia quel che vuole." - Adesso è mio.

(Una breve pausa)

Hai sentito dei fogli urlare - e questo?...

ENRICA: Sei riuscito a vederlo?

BRUNO:                                      Avrei dovuto?

ENRICA: Vorresti?

BRUNO:                   Quello che dici faccio.

(Enrica prende il nastro. Una pausa. Si avvicina alla televisione. Si china sul videoregistratore.)

BRUNO: (Quasi urlando)

Tu vuoi questo? - Davvero che lo vuoi?...

Ma sai che c'è lì dentro? - Te ne supplico!

(Enrica spinge i tasti della registrazione. Una pausa.)

ENRICA: (Guardando)

E' come se bruciasse, non ti pare?...
(Una breve pausa)

E infatti brucia. (Con un sorriso)  Spero t'interessi

la partita che fanno, quando vuoi

così te la rivedi.

BRUNO:                       Tu non pensi

che sia stato un vigliacco a non vederlo?

ENRICA: Come me.

BRUNO:                  Come te?...

ENRICA:                                      Di', ma lo sai

che ho tutto sottosopra e che ore sono?...

BRUNO: No, dài: un minuto ancora, solo uno!

ENRICA: Bruno, non posso. E' tardi.

BRUNO:                                             Ma ti prego! -

ENRICA: (Accennando al nastro)

Per sorvegliarti intanto che finisce?

BRUNO: Pure per questo. Siediti... - Un istante.

(Lei si siede)

Tre anni fa, ai tempi quando cominciasti

a venire da me: a frequentarmi...

ENRICA: (Interrompendolo)

Due. Ma perché continui a dire tre?

BRUNO: Sono due?

ENRICA: Eh, sì - se calcoli.

BRUNO:                              Beh, due.
Due anni fa, intendo quando hai cominciato

a venire da me: a frequentarmi,

come dicono alcuni con malizia...

- in questa città tu lo sai che a chiacchiere...

Ecco, insomma, Enrichetta - due anni fa...

vorrei che mi dicessi: ... ero diverso?

ENRICA: Tu? Ma è proprio di te che vuoi sapere?

BRUNO: Di me, sicuro.

ENRICA:                      E' strano.

BRUNO:                                          Cosa è strano?

ENRICA: Che mi chieda di te, non l'hai mai fatto

da quando, come dicono, noi due...

BRUNO: Non di questo, ti prego.

ENRICA:                                       Ma lo dicono,

e tu lo sai. Sei tu che me l'hai detto.

BRUNO: Te l'ho detto per farmene una colpa.
(Una pausa)  Mi guardi, non capisci. Sì, una colpa.

Da due anni ti voglio in questa casa...
Che tu venga, e tu vieni!, per usarti...
Dio, che brutta parola! Ma che altro?...
Nel senso buono, sì - ma per usarti.

ENRICA: Non è vero. Lo sai che se ci vengo

ci vengo perché voglio.

BRUNO:                                   Già una volta,

ma quasi un po' scherzando, te lo dissi:

"Perché mi porti bene", ti ricordi? (Lei annuisce)

Era un modo, quello, di fartelo capire.
Io che ti do? Niente! - Tu a me, moltissimo.
Mia figlia, innanzitutto. T'ho succhiato

quanto di lei ho ritrovato in te,

quello che tu di lei sapevi - tutto

quel mondo condiviso fra di voi

che era il suo mondo, a me - imprevedibile.

Sei venuta, in due anni, solo a darmi.

ENRICA: Ti ripeto: lo sai che se l'ho fatto

qualcosa m'avrà spinto.

BRUNO:                                    Ecco, appunto:

Enrica, cosa?

ENRICA:                  Oh, Bruno - andiamo, smettila!

BRUNO: E' come se scacciassi un importuno.

ENRICA: Detesto cavillare, mi conosci.

BRUNO: Non è un cavillo. Cosa? - Ma che guardi?

ENRICA: Il nastro, se continua.

BRUNO:                                    E un altro fatto:

di quella sera, quando l'hanno presa:

tu a me non l'hai mai detto cosa è stato.

ENRICA: Non l'ho mai detto? Stai scherzando?

BRUNO:                                                                E' vero:

Com'è stato, ma veramente - mai!

(Enrica si volta fissa a guardare il nastro.)

ENRICA: So quello che pensavi di me allora.

BRUNO: Perché non lo dicesti? - Denunciarlo:

mi capisci? Va bene noi, ma tu?...

ENRICA: Offriste anche dei soldi per non farlo.

BRUNO: Ma se quelli nemmeno li hai voluti!

ENRICA: Da questo il tuo sospetto?

BRUNO:                                            Che sospetto?!

Se Stefano t'ha detto...

ENRICA:                                   Sì, non conta.

Cioè non conta che sospettasti allora,

conta il sospetto questo tuo di adesso.

BRUNO: No, ti sbagli - è che sono tante cose...
Sì, tante, e pure più importanti.

ENRICA:                                                  Tipo?

BRUNO: Essere qui, e nonostante quello

che tutti quanti vanno a dire in giro!

ENRICA: Non dovevo nemmeno salutarti?...

BRUNO: Devi dirmi una cosa, però giura...

Ho un po' di vergogna: giura che rispondi.

ENRICA: Oddio, che sarà mai?

BRUNO:                                  Tu giura.

ENRICA:                                                  Giuro.

BRUNO: Forse - mi ami?... Forse è questo - dimmi!

ENRICA: Amarti, Bruno? Amare te?

BRUNO:                                               Io cerco

di capire da quello che mi dici...
Da come ti comporti, soprattutto.
Tu che hai vissuto della mia tortura

vivendomi qui a fianco, ma perché?

Sono suo padre io - ma tu perché?

(Enrica sorride.)

ENRICA: Innamorata di te?... Oh, no - che orrore.

(Sorride)

Ascolta: Enrica ed io... Noi ci amavamo.
(Pausa)

Oh, non c'è nulla da stupire: nulla,

ché tutto accadde in quell'adolescenza

in cui, fra donne, l'amicizia è amore...
o perlomeno spesso. Lì, a quell'acme

forse già estremo... proprio allora accadde.

(Una pausa. La ragazza guarda fissamente Bruno)

Il vuoto è stato per entrambi enorme.
Perciò mi davi mentre io ti davo:

io a te la mia Enrica, tu a me la tua.
Le uniche, forse, che siano mai esistite.

BRUNO: L'amavi?...

ENRICA:                   Quanto lei amava me. -

(Una pausa.)

ENRICA: T'appare tutto sotto un'altra luce?

BRUNO: Mi appare cosa  sotto un'altra luce?

ENRICA: Di noi, di quella sera - questi anni

che abbiamo condiviso: questo sforzo

che abbiamo fatto insieme di cambiare,

o almeno di resistere.

BRUNO: Ripetilo.

ENRICA:             Ripeto cosa?

BRUNO:                                    Come hai detto.

ENRICA:                                                               Ho detto

di questo nostro sforzo...

BRUNO:                                     Ma no, prima!

ENRICA: Che ci amavamo, Bruno. - Debbo ancora?...
(Una breve pausa)

Anch'io l'ho persa come tu l'hai persa:

se non meno di te, diversamente

ma non meno di te l'ho persa anch'io.

Così spero che almeno certi dubbi...

BRUNO: Non essere ridicola, che dubbi!

ENRICA: Ne hai sempre avuti, di' se non è vero! -

BRUNO: Che c'entra questo? Io cerco di capire

e tu m'accusi di accusarti - è buffo.

ENRICA: Ricordo solo che l'hai fatto e basta.
Quel che t'ho detto è perché tu capisca.


(Una pausa.)

BRUNO: Sapevo d'un ragazzo...

ENRICA:                                     Che ragazzo?

BRUNO: Sì, c'era uno - che si chiamava... Marco? -

ENRICA: Aveva me, non c'era nessun altro.

(Suona il telefono. Lui nemmeno si volta)

Non rischiamo, ti prego: non rispondere.

(Il telefono continuerò a suonare sino alla fine)

BRUNO: Amava te?... E da quanto tempo?...

ENRICA: Tempo... -

Per quanto  tempo!... - Povero Bruno, sappilo:

il nostro lutto è stato pari, e a dirlo

mi sento un po' una ladra. Mi perdoni?

BRUNO: (Accarezzandola su una guancia)

Oh, piccola... Enrichetta mia! - Enrichetta!...

(Si ode lo scatto del videoregistratore)

Il tempo solidifica il pensiero...

ENRICA: Però adesso davvero ti saluto.

(E va a prendere la sua borsa.)

BRUNO: I gesti, le parole, quel che dici -

così che parli - e dài che parli, parli...
Forse sai come, ma non più di cosa.

ENRICA: Bruno, è finita. Io vado, tu se puoi...

ti prego non rispondere: son quelli.

(Lo bacia sulle labbra, e va. Una breve pausa.)

BRUNO: (Già solo)

Perché ne parli come fosse morta?

(Il telefono continua a suonare. Bruno, infine, alza il ricevitore. Annuisce. Chiude gli occhi. Respira profondamente. Annuisce ancora. Sempre a occhi chiusi scivola a sedere, in silenzio, ascoltando. Dopo alcuni secondi, buio.)