Che bel mestiere fare il giardiniere

Stampa questo copione

IL MATRIMONIO DI ZIO CLODOVEO

Che bel mestiere fare il giardiniere

commedia comico brillante in due atti di Stefano Palmucci

tutti i diritti riservati – spalmucci@omniway.sm

La commedia è ambientata nella Repubblica di San Marino.

Per location diverse occorre cambiare alcuni toponimi e le cariche pubbliche citate.

Personaggi:

-Sergio    impiegato pubblico    

-Nevio    direttore di Sergio    

-Carla     sorella di Sergio      

-Franco   il giardiniere          

-Donato   cognato di Sergio     

-Adua     mamma di Sergio    

-Silvana   amante di Nevio        

-Ramona bandante russa       

Salotto di Adua, comunemente ammobiliato. Divano, telefono, quadri (di cui almeno due orrendi), mobilia varia. Un’entrata principale in fondo più o meno al centro. Due porte a sinistra verso la cucina e il bagno, due a destra verso le camere che si aprono verso la scena.

In scena Sergio. Visibilmente nervoso. Si siede sul divano. Poi si alza. Si siede sulla poltrona. Si alza ancora, consulta l’orologio. Finalmente suonano alla porta. Entra Nevio. Ha l’aria furtiva. Indossa un impermeabile col colletto rialzato, occhialoni neri e un cappello calato sugli occhi.

Sergio:     (con circospezione) venga, presto. Entri.

Nevio:      (anche lui molto circospetto, entra rapidamente) tutto a posto, Stambazzi? Qualche novità?

Sergio:     nessuna. Tutto sotto controllo. La…persona…non è con lei?

Nevio:      no, siamo d’accordo che mi raggiunge qui tra un quarto d’ora. Le ho lasciato l’indirizzo.

Sergio:     ah, perfetto.

Nevio:      a noi servono giusto un paio d’ore, non di più.

Sergio:     nessun problema, direttore. Mia madre è partita stamattina presto, per cui potrete stare tranquilli

Nevio:      non c’è pericolo che rientri?

Sergio:     assolutamente. Si fa una settimana alle Baleari, con i pensionati.

Nevio:      (inizia a tranquillizzarsi ed accomodarsi) però! Se la spassano, eh?

Sergio:     la Federazione ce la mette tutta per farne fuori qualcuno: cene, gite, viaggi, pellegrinaggi, castagnate. Ma i più tengono botta. Anzi, si fortificano.

Nevio:      mi parlava anche di una badante russa?

Sergio:     si. Ha approfittato della vacanza di mia madre per tornare qualche giorno dalla sua famiglia.

Nevio:      perfetto. Noi faremo quello che dobbiamo fare poi cercheremo di lasciare tutto come abbiamo trovato.

Sergio:     Non si preoccupi, direttore. Eventualmente penso io a sistemare

Nevio:      d’altronde negli alberghi è diventato impossibile, s’incontra sempre qualcuno che si conosce. Bisogna passare i cento chilometri e poi non si è mica tranquilli lo stesso.

Sergio:     lei sa bene direttore che se posso aiutarla in qualsiasi modo, lo faccio ben volentieri.

Nevio:      lo so, Stambazzi, e stia tranquillo che avrò modo di ricambiare. Intanto, quando ci sarà da fare il piano ferie dei dipendenti, le darò priorità assoluta.

Sergio:     grazie direttore. A me basterebbe di approfittare di qualche ponte. Se non mi da una mano lei, mettersi d’accordo con i colleghi è impossibile. Sono tutti ponte...fici professionisti.

Nevio:      ci penserò io a fare pontefice lei

Sergio:     Se poi si ricordasse di parlare della mia questione col Segretario di Stato, per me sarebbe proprio vitale.

Nevio:      gliel’ho detto Stambazzi. Giovedì lo devo incontrare e vedrà che gli strapperò la promessa per l’aumento di livello che merita.

Sergio:     grazie direttore, troppo buono.

Nevio:      se non ci si aiuta tra noi uomini. Per queste cose possiamo fidarci solo della mutua solidarietà maschile.

Sergio:     giusto direttore. Mi consideri pure a sua disposizione

Nevio:      se questa mia avventura divenisse di dominio pubblico, sarei rovinato. Sia privatamente che professionalmente. Questo per dirle quanto mi fidi di lei. Coinvolgendola, mi sono messo nelle sue mani.

Sergio:     gliene sono grato, direttore. Non le darò modo di pentirsi.

Nevio:      lo spero proprio. Ormai siamo tutti e due sulla stessa barca.

Sergio:     (azzardando una battuta) speriamo non sia il “Titanic” (Nevio non coglie).

Nevio:      anzi, ormai posso anche dirle chi è

Sergio:     se ritiene…

Nevio:      è la Silvani, quella dell’ufficio controverifiche

Sergio:     ah, ho capito. Ma non lavorava all’ufficio servizi?

Nevio:      le abbiamo creato un posto tutto per lei. Ora verifica le verificazioni verificate dalla sezione controlli dell’ufficio verifiche.

Sergio:     ah, sempre inquadrata nel dipartimento…

Nevio:      (annuendo e completando la frase) Complicazione affari semplici

Sergio:     ho capito. Beh, complimenti.

Nevio:      Grazie, Stambazzi.

Sergio:     A proposito, direttore, per quanto riguarda il nostro ufficio, volevo sottoporle alcune mie idee che potrebbero migliorare l’organizzazione del lavoro.

Nevio:      (colpito) ah, lei avrebbe delle proposte per l’organizzazione del lavoro

Sergio:     si. Niente di trascendentale, beninteso. Solo alcuni suggerimenti che ho potuto elaborare dall’osservazione della pratica quotidiana…

Nevio:      beh, ne parliamo in altra occasione, eh? Mi mostri la camera da letto piuttosto, è di qua?

Sergio:     si. Se intanto si vuole accomodare e dare un’occhiata in giro, io prendo in cucina degli stuzzichini che ho preparato e qualche cosa da bere. (lo accompagna alla porta della prima camera di destra)

Nevio       (uscendo) perfetto, io allora intanto comincio ad ambientarmi…

Sergio esce in cucina. Scena vuota alcuni secondi. Dalla porta principale entra Carla. E’ tranquilla credendo di essere sola. Si volta per appendere il soprabito e non si avvede di Sergio, che rientra dalla cucina.

Sergio:     (con un cabaret in mano) Carla! Cosa ci fai qui?

Carla:      (spaventata, poi si riprende) Sergio! Che spavento. Ma non dovresti essere al lavoro?

Sergio:     sono passato solo un momento per controllare…che tutto sia a posto (guarda preoccupato verso la camera)… te invece?

Carla:      (imbarazzata) eh…anche io…sono venuta per vedere se la mamma aveva chiuso le finestre, il gas …

Sergio:     si, si ho già controllato io, tutto in ordine (posa il cabaret).

Carla:      (sente un rumore) ma…c’è qualcuno di là?

Sergio:     eh, infatti, sono con una persona, anzi se potevi lasciarci…

Carla:      ma scusa la porti a casa di mamma questa pers…(comincia a guardarlo storto)?

Sergio:     no…non pensare…ti proibisco di pensare…quello che stai pensando

Nevio:      (entrando) di là è tutto perfetto, Stambaz…(vede Carla e resta sorpreso).

Carla:      (a Sergio) infatti, è pure peggio di quello che stavo pensando.

Sergio:     direttore, questa è mia sorella. Carla, il dottor Nevio Giardi, mio direttore d’ufficio.

Carla:      piacere, direttore

Nevio:      (sorpreso) ah, piacere

Sergio:     (per rompere l’imbarazzo, inventa) il direttore è qui per … comprare … un quadro … di mamma. Siccome sta arredando il suo ufficio, è in cerca di quadri da appendere alle pareti.

Carla:      e tu lo hai portato a vedere quelli di mamma? ma non sono di gran valore, almeno che io sappia. Poi non credo che lei voglia privarsene. A quale era interessato?

Nevio & Sergio:  (unisono ma indicando quadri diversi) quello!

Nevio & Sergio:  (ancora unisono, scambiandosi i quadri) quello!

Nevio:      (per risolvere) ero indeciso tra questi due.

Carla:      (a Sergio) ma ne hai parlato con mamma?

Sergio:     gliel’ho…accennato. Poi la cosa è ancora a livello estremamente preliminare

Nevio:      (finge di interessarsi ai due quadri) eh si, sono ancora mooolto indeciso. Stupendi entrambi.

Sergio:     (a Nevio con intenzione) se vuole tornare a vedere anche quelli in camera, direttore, così intanto io congedo mia sorella (da a Nevio il cabaret)

Nevio:      (comprendendo) certamente. Arrivederci, piacere di averla conosciuta.

Carla:      piacere mio, direttore (Nevio s’avvia verso la camera e ci entra).

Sergio:     ora, Carla, se ci vuoi lasciare, (sibilando) per cortesia…

Carla:      niente affatto, fratello! Si da il caso che anche io debba incontrare una persona.

Sergio:     tu devi incontrare una persona? qui? oggi? e perché?

Carla:      non sono affari tuoi, Sergio

Sergio:     certo che sono affari miei. E’ casa di mamma, questa. E di là c’è il mio direttore!

Carla:      appunto. Sbrigati a portarlo fuori di qui.

Sergio:     Carla, ti prego, è in ballo una faccenda di lavoro piuttosto importante. Ti spiegherò con calma, ma ti supplico di non mettermi i bastoni tra le ruote. La cosa migliore che puoi fare in questo momento è andartene, credimi.

Carla:      non ne ho alcuna intenzione, Sergio. Sono settimane che sto combinando questo incontro.

Sergio:     ma si può sapere con chi…? (gli viene un dubbio) un uomo!!

Carla:      anche il tuo è un uomo!

Sergio:     ti ho spiegato che la mia è una questione di lavoro!

Carla:      e la mia invece no. E con questo?

Sergio:     oh Cristo santo ma ti rendi conto di cosa mi stai dicendo? E…e Donato?

Carla:      Donato…sono anni che con Donato….

Sergio:     oh, per la miseria…

Carla:      ma finiscila su, siamo entrambi adulti e vaccinati e queste sono cose che succedono. Figli non ne abbiamo e quindi non faccio del male a nessuno, mi pare.

Sergio:     e a tuo marito non pensi? A lui non fai del male?

Carla:      ma figurati, quando mai se ne accorge, è sempre impegnato col suo lavoro….

Sergio:     …il lavoro che vi dà da mangiare, se non sbaglio

Carla:      se per caso avessi voluto ascoltare una bella predica, me ne sarei andata in chiesa, grazie

Sergio:     Ma proprio oggi, qui, adesso…

Carla:      esatto: oggi, qui e adesso. Quindi smamma. Anzi, smammate.

Sergio:     d’accordo Carla, non entriamo nel merito. Non mi sembra il momento e forse come tu dici non sono affari miei

Carla:      ecco. Appunto.

Sergio:     ma non puoi almeno rimandare il tuo incontro a domani? Ti supplico

Carla:      ci vediamo anche domani se lo vuoi sapere. Mamma non va spesso in vacanza ed io ho intenzione di approfittare.

Sergio:     Benissimo. Un’opportunità unica per una promozione che aspetto da quindici anni e che non si ripresenterà più che se ne va in fumo per colpa di…per colpa di…si può sapere almeno per colpa di chi?

Carla:      Lo vedrai tra poco, se non te ne vai. (Sergio incrocia le braccia e la guarda) è…(tra i denti) anco.

Sergio:     chi?

Carla:      (ancora tra i denti)…ranco

Sergio:     chi?!?

Carla:      (questa volta decisa) Franco, il giardiniere di mamma.

Sergio:     Franco il giardiniere! Benissimo!.

Carla:      ho poche pretese, io. Non me la faccio con il direttore

Sergio:     Carla!

Carla:      Non alzare la voce. E comunque se può servire per tranquillizzarti non c’è nessun coinvolgimento emotivo. E’ solo un rapporto fisico.

Sergio:     benissimo! Allora incontratevi in palestra! (suonano alla porta. Carla va ad aprire, entra Franco, furtivamente).

Carla:      Entra (Franco si avvede di Sergio e rimane sorpreso, ma non più di tanto, si salutano freddamente, conoscendosi di vista) Non ti preoccupare, è venuto a controllare il gas, se ne sta andando.

Sergio:     non me ne sto andando!

Nevio:      (entrando dalla camera) Stambazzi, hanno suonato?

Sergio:     si, direttore. È… il giardiniere

Nevio:      il giardiniere?

Sergio:     si, è venuto a visionare certe piante malate di mamma. (con intenzione) Su Carla accompagna velocemente il giardiniere a vedere le piante (le indica l’altra stanza)

Carla:      (con astiosa malizia) prego giardiniere, venga ad irrorare la piantina. (escono)

Nevio:      (seccato) Stambazzi, le ricordo che tra pochi minuti…

Sergio:     basteranno per sistemare tutto, direttore, glielo assicuro.

Nevio:      lo spero per lei, ma soprattutto per me.

Sergio:     mi dia solo un attimo (si precipita verso la camera di Carla)

(Nevio passeggia nervosamente, sta per rientrare nella sua camera, poi sente armeggiare alla porta, s’ingalluzzisce e va a vedere saltellando. Apre invece Ramona).

Ramona:    (sorpresa) chi è tu?

Nevio:      come chi è tu? Chi è tu, piuttost…ehm chi è lei, piuttosto

Ramona:    questa casa signora Adua. Io badante signora. Tu estraneo. Io chiama polizia (si dirige al telefono)

Nevio:      no no, macchè polizia. Sono un amico di Sergio Stambazzi, sono qui con lui.

Ramona:    Sergio figlio di signora. Lui no qui, tu estraneo.

Nevio:      si Sergio è qui, è di là con sua sorella.

Ramona:    (diffidente) figlia di signora no qui, tu molto estraneo.

Nevio:      (spazientito) le dico che sono di là entrambi, e c’è anche il giardiniere, su vada a vedere.

Sergio:     (rientrando) Ramona! Cosa ci fa qui? lei doveva essere in Russia

Ramona:    aereo no partito, sciopero.

Sergio:     oh no, ci mancava solo lo sciopero. E il prossimo quando parte?

Ramona:    io no parte più. Stare qui. Io riposa senza signora. Dopo viene anche mio uomo.

Sergio:     chi è che viene??

Ramona:    mio uomo. Io sola senza signora. Paura. No dormire sola.

Nevio:      Benissimo. Una casa di appuntamenti. Un porto di mare.

Sergio:     direttore, stia tranquillo. Provvedo immediatamente.

Nevio:      si rende conto, vero Stambazzi, che questa non è esattamente la situazione che mi aveva prospettato?

Sergio:     Non nego che si sia presentato qualche piccolo, lievissimo imprevisto ma vedrà che risolverò tutto in un attimo.

Nevio:      Credo che sia meglio che telefoni e disdica la mia faccenda.

Sergio:     Sono mortificato, direttore. Queste visite impreviste sono state proprio…impreviste.

Nevio:      questo fa saltare tutto, Stambazzi. La mia questione ma anche la sua.

Sergio:     come? Anche la mia?

Nevio:      avevamo fatto un patto, Stambazzi. Non creda che a me non costi niente, spendermi in prima persona con il Segretario di Stato per la sua promozione.

Sergio:     Aspetti un momento, direttore. Forse possiamo rimediare.

Nevio:      a questo punto ne dubito molto seriamente

Sergio:     ma no, ascolti. Ora sistemo mia sorella e l’inseminator … ehm il giardiniere di là, i russi li chiudiamo in cucina; alla fine dei conti la situazione non sarà molto diversa da quella che le avevo prospettato.

Nevio:      rispetto alla situazione che mi aveva prospettato, ci sarebbero cinque persone in più, sotto questo tetto. A me pare una differenza piuttosto rilevante, non le pare?

Sergio:     beh forse non tanto

Nevio:      lo è, Stambazzi.

Sergio:     Mi tratterrò per tutto il tempo e mi assicurerò che tutto fili liscio. La prego, direttore, si fidi di me. L’ho mai delusa?

Nevio:      l’ultima volta che mi sono fidato di lei, mi aveva promesso un appartamento vuoto per un paio d’ore.

Sergio:     per lei e la sua compagna, sarà come vuoto. Non vi accorgerete di alcuna presenza indiscreta, glielo garantisco.

Nevio:      (ci pensa un attimo, guardandolo) mmm…lei sa quanto io tenga al buon esito di questo incontro. E’ disposto ad assumersi ogni responsabilità di eventuali inconvenienti?

Sergio:     certo direttore, senza alcuna esitazione.

Nevio:      va bene, proviamoci. Ma non me ne faccia pentire.

Sergio:     grazie direttore, non se ne pentirà. (a Ramona) Ramona, lei fili in cucina e resti lì. Pulisca, sistemi, ma che non le venga in mente di tornare di qua.

Ramona:    io no pulisca. No da la straza. Io abita qui per questi giorni, ma per me questo è periodo di ferie, riposo.

Sergio:     va bene, faccia come crede ma si ricordi che qui abbiamo una faccenda importante da discutere e non vogliamo essere disturbati per nessun motivo. Sono stato chiaro?

Ramona:    Io capisce situazione. Io armena, no scema (esce in cucina).

Nevio:      e sua sorella ed il giardiniere?

Sergio:     vado a parlarci. Non disturberanno (suonano alla porta). Deve essere il russo, vada pure in camera, direttore, ci penso io. (Nevio esce, Sergio va ad aprire. Entra Donato).

Donato:     (visibilmente trafelato) ciao Sergio. E’ un miracolo averti trovato!

Sergio:     Donato!!! Cosa ci fai tu qui?

Donato:     una coincidenza straordinaria. Passavo di qua per caso e ho visto la tua macchina parcheggiata fuori.

Sergio:     non puoi stare qua!

Donato:     (disperato) oh Sergio, devi aiutarmi, solo tu puoi farlo.

Sergio:     (cerca di spingerlo fuori) Ti aiuterò moltissimo. Da domani sono a tua disposizione

Donato:     una cosa da non credere, da non credere: tua sorella…tua sorella…oh Cristo santo non riesco nemmeno a dirlo.

Sergio:     non c’è problema. Ora vai a casa, ti schiarisci le idee, magari ti scrivi quello che volevi dirmi, ti fai uno schemino organico con tutti gli argomenti e domani me lo illustri.

Donato:     Sergio lei…lei…mi tradisce, capisci?

Sergio:     eh, che parolone…non si possono dire queste cose a cuor leggero, sai, ci vogliono le prove, i fatti, le circostanze….

Donato:     (mostra un cellulare) eccole, le prove!

Sergio:     cos’è quello?

Donato:     è il suo telefonino. Questa mattina lo ha dimenticato sul comodino. Controlla tu stesso, leggi la messaggeria.

Sergio:     per piacere, ora non posso né voglio controllare la messaggeria del suo telefonino, ma sono sicuro che hai male interpretato.

Donato:     questo mi pare un sogno, un incubo.

Sergio:     sono certo che uscire da qui per te sarà come risvegliarti.

Donato:     ma come siamo arrivati a questo? Eh? Non riesco davvero a capirlo…

Sergio:     (sempre spingendolo) vedrai che alla luce del sole, tutte le cose ti appariranno più chiare.

Donato:     ma che lo ho fatto io, eh? Che lo ho fatto?

Sergio:     nulla, che vuoi averle fatto?

Donato:     sono mancato in qualcosa? Ho dimenticato un anniversario? Non ho adempiuto regolarmente ai doveri coniugali?

Sergio:     e che ne so, io.

Donato:     lavoro dieci ore al giorno, io. Le riunioni, lo stress. Uno non può stare sempre al cento per cento.

Sergio:     uh, guarda che ora si è fatta! (guarda il polso dove non ha l’orologio) Tardissimo

Donato:     ma se non hai l’orologio

Sergio:     ho l’orologio biologico. Quando arriva una certa ora il mio organismo mi avvisa che è arrivata.

Donato:     e che ora è?

Sergio:     è ora che te ne vada!

Donato:     Sergio, ti assicuro che sono sconvolto. Devi starmi vicino. Impediscimi di compiere qualche sciocchezza.

Sergio:     allora senti Donato, sarò franco e chiaro: ho di là Giardi, il mio direttore con il quale devo concludere un affare importantissimo e in questo momento non posso permettermi di badare a né a te né a nessun altro.

Donato:     (un tempo) ah, è così che la metti? Bene. Benissimo. Allora sai cosa ti dico? ti dico che io adesso vado a cercare tua sorella e chiunque sia con lei. Di quello che succederà dopo non rispondo e la responsabilità sarà anche tua!

Sergio:     (calmo) perfetto. Probabilmente è a casa vostra. Vai lì e aspettala.

Donato:     allora io vado eh?

Sergio:     si vai, vai…

Donato:     guarda che c’è poco da scherzare eh? io vado

Sergio:     e chi scherza? Su vai

Donato:     (che si era trattenuto ora crolla sul divano piagnucolando con la testa tra le mani) ma perché mi ha fatto questo? Perché?

Sergio:     vai a casa Donato, fatti un bel pianto, sfogati. Ma cerca di capire: se il dott. Giardi scopre che qui c’è mio cognato disperato che cerca mia sorella, farà saltare tutto. (tenta di scuoterlo) Donato, su Donato…(entra Nevio)

Nevio       Stambazzi! (sarcastico) Altri ospiti?

Sergio:     eh…ah…è…Don Ato, il prete. E’ venuto a benedire. Lo liquido in un momento.

Nevio:      Mi pare un po’ depresso per essere uno che dovrebbe essere venuto a portare il conforto della fede.

Sergio:     sta…pregando. Anzi pare caduto in uno stato di trance di ascesi mistica.

Nevio:      si sbrighi a ridestarlo. Gli sventoli sotto il naso un’offerta cospicua e vedrà come se ne corre via.

Sergio:     Ho solo venti euro.

Nevio:      (gliene allunga 50) Ecco, gli dia anche questi

Sergio:     ma, direttore, non vorrei approfittare

Nevio:      non si dia pensiero: li metteremo sul conto spese dell’ufficio (se ne torna in camera).

Sergio:     (torna ad occuparsi di Donato) forza Donato, riprenditi. E’ ora di andare

Donato:     (alzandosi a fatica) Oddio Sergio, Sergino, non mi sento bene. Oddio, mi viene da vomitare.

Sergio:     Oh porca miseria, ci mancava solo questa.

Donato:     aiuto, Sergio, devo andare in bagno… (pare sul punto di vomitare)

Sergio:     di qua Donato, vieni di qua (lo accompagna in bagno sorreggendolo e imprecando)

Scena vuota per un attimo, poi dalla porta socchiusa entra Silvana. Si guarda intorno titubante. Dalla porta della camera esce Carla, le due sono sorprese e si squadrano un momento

Silvana:     hops. Chiedo scusa. Questa non è via della mimose, 36? Ero attesa da una persona. Devo avere sbagliato appartamento.

Carla:      (credendo di cominciare a capire) No, no. Venga pure, non ha sbagliato appartamento. Io sono la sorella della “persona”. Allora stava aspettando lei, altro che quadri da vendere.

Silvana:     quadri da vendere? Non capisco. Forse ho proprio sbagliato.

Carla:      (riferendosi a Sergio) E poi si permette di farmi le prediche, le paternali. A me. Proprio bravo. Ma da che pulpito.

Silvana:     (ancora non capendo) suo fratello c’è?

Carla:      certo che c’è. È di là. Adesso glielo chiamo. (si avvia, poi si ferma) lei sa che mio fratello ha dei bambini, vero?

Silvana:     (un po’ spiazzata) si, lo sapevo…

Carla:      Lo sapeva. E non gliene importa niente?

Silvana:     non m’importa…in che senso?

Carla:      non le importa niente. Nell’unico senso possibile

Silvana:     mi scusi ma non la seguo

Carla:      non mi segue perché non mi vuole seguire, evidentemente

Silvana:     non la seguo perché non capisco cosa intende, se non le dispiace

Carla:      si, infatti mi dispiace. E anche parecchio, se lo vuole sapere

Silvana:     e allora, se le dispiace così tanto, mi spieghi cosa intendeva dire

Carla:      niente, guardi, non intendevo niente. Se non lo capisce da lei…

Silvana:     no, da sola non ci arrivo, infatti. Se mi fa la cortesia di spiegarlo, oppure voleva solo tirare il sasso e poi nascondere la mano?

Carla:      Proprio per niente, guardi. Sono abituata a prendermi tutte le mie responsabilità, io, e a risponderne in prima persona. Non mi nascondo di certo dietro un dito.

Silvana:     allora non vedo il problema nel rendermi partecipe del suo ragionamento, visto che ormai lo ha introdotto.

Carla:      volevo semplicemente dire che secondo me, prima di imbarcarsi in certe avventure, bisognerebbe informarsi se ci sono di mezzo dei bambini. Perchè sono i primi a soffrire, di certe situazioni.

Silvana:     (inizia ad indispettirsi) allora senta, prima di tutto, per imbarcarsi in certe avventure bisogna essere in due, quindi le responsabilità vanno almeno equamente ripartite. Secondo, per quanto lei sia la sorella, questi non mi sembrano affari suoi. Terzo (pausa)…

Carla:      terzo?

Silvana:     terzo, non mi ricordo. Ho perso il filo.

Carla:      comunque ha ragione, le chiedo scusa. Effettivamente questi non sono affari miei. Se mi sono permessa di intromettermi è solo perché sono molto affezionata alla sua famiglia e per quello che posso vorrei cercare di difenderla.

Silvana:     non si deve scusare, la capisco benissimo. Ma lei cerchi di capire anche il mio imbarazzo. Non pensavo certamente di incontrarla e di conoscerla in queste circostanze.

Carla:      Io pure sono imbarazzata, creda. E, comunque, per dire la verità sono l’ultima persona che può dire qualcosa, in questa materia. Vado a vedere dov’è mio fratello. (esce verso la cucina. Silvana resta pensierosa. Esce dalla camera Nevio)

Nevio:      (entusiasta) Silvi!! Finalmente sei arrivata!! Hai trovato subito il posto?

Silvana:     (ancora perplessa) Si, ho trovato subito.

Nevio:      dove hai parcheggiato?

Silvana:     sulla seconda traversa, a circa duecento metri.

Nevio:      benissimo. Qui c’è stato qualche piccolo inconveniente, ma abbiamo la camera grande di là tutta per noi, fino mezzogiorno. Ma che cos’hai, Silvi? Sembri titubante. Non avrai qualche ripensamento? Eh? È tanto che aspettiamo questa occasione.

Silvana:     mi avevi assicurato che saremmo stati soli.

Nevio:      hai ragione, Silvi, anche io lo pensavo. Purtroppo sono successi degli imprevisti veramente…imprevisti. Però di là in camera saremo soli e tranquilli, su questo non ci piove.

Silvana:     Ci mancherebbe, Nevio. Ma non è questo il punto

Nevio:      e qual è allora? (si guarda intorno) non dirmi che hai fatto qualche incontro spiacevole

Silvana:     No, no. Per niente.

Nevio:      ho cercato di fare il possibile per evitarti ogni incontro. Per la verità, avevo anche avuto ampie rassicurazioni in merito.

Silvana:     non mi è dispiaciuto, ti ripeto. Anzi mi ha fatto riflettere.

Nevio:      riflettere in che senso?

Silvana:     Non so se ho fatto bene a venire qui, oggi.

Nevio:      Oh Silvi, sono mortificato. Ma non devi lasciarti condizionare. A volte certe persone dicono certe cose solo per mestiere. Non lo pensano veramente, né sono depositari della verità assoluta.

Silvana:     però possono farti aprire gli occhi su certe situazioni.

Nevio:      Senti, ti va di parlarne con calma? Eh? vai ad accomodarti in quella stanza, che io arrivo subito.  

Silvana     si, va bene (esce verso la camera grande).

Nevio:      (rimane solo ed impreca tra i denti) quel prete maledetto!! Chissà che predica le ha fatto. (Sergio esce esausto dal bagno) Stambazzi!! Dov’è quel prete, lo ammazzo!!

Sergio:     Che prete? Ah, il prete. Si, è di là direttore, ma perché…? (Nevio si dirige verso il bagno) no, direttore, non entri lì!! (Nevio apre la porta del bagno e si ode un conato. Nevio richiude automaticamente)

Nevio:      (allibito) Stambazzi cosa sta succedendo qua dentro? è sicuro che quello sia un prete?

Sergio:     (inventando) si, è un prete…esorcista. Sta rimettendo l’anima al diavolo.

Nevio:      se ne occupi lei. Gli requisisca l’obolo e lo cacci fuori da qui immediatamente, quel prete impiccione.

Sergio:     lo consideri fuori. Appena finito…l’esorcismo, provvedo.

Nevio:      e che impari a farsi gli affari suoi. (se ne torna in camera.)

Sergio:     (tra sé) un aspetto positivo della permanenza di Ramona: non dovrò pulire io…l’esorcismo (dalla propria camera esce Franco) no, no! Vi avevo intimato di non uscire per nessun motivo fino a quando non fossi venuto io ad avvisarvi.

Franco:     si, me lo aveva detto Carla ma io…cercavo…una birra. (non si capisce se ci è o ci fa)

Sergio:     (spiazzato) ah, una birra.

Franco:     si, fresca per piacere

Sergio:     (sarcastico) certo, fresca la voleva la birra. Mica calda, vero?

Franco:     no, fresca. Calda chi la vorrebbe?

Sergio:     allora la informo che dietro quella porta (indica il bagno) c’è mio cognato!!

Franco:     (guarda verso la porta ma non fa un piego) ce la ha lui le birre?

Sergio:     no, non ce le ha le birre. E’ disperato.

Franco:     forse possiamo uscire e comprarle all’alimentari. Certo non saranno così fresche.

Sergio:     (cercando di fare comprendere la situazione) c’è mio cognato di là, capisce? il marito di Carla, quello che state allegramente cornificando. Se vi trova qui, farà un quarantotto, non so chi potrà uscirne vivo.

Franco:     il marito di Carla?

Sergio:     esatto!

Franco:     sua sorella?

Sergio:     certo, mia sorella. Di chi cavolo di Carla crede che stiamo parlando?

Franco:     (senza scomporsi più di tanto) allora forse bisognerebbe informarla

Sergio:     bravo genio. Torni di là e la avvisi, ma le dica di non uscire dalla camera per nessuno motivo. Suo marito non immagina che voi siate qui.

Franco:     ma lei non c’è più di là. E’ uscita prima di me.

Sergio:     oh Cristo Santo ma dove...?!? forse in cucina. Venga con me (lo conduce in cucina controllando che la porta del bagno non si apra)

Franco:     (impassibile, mentre vanno) giusto, in cucina. Forse possiamo trovare delle birre (escono in cucina).

(dalla porta principale entra Adua con una valigia. Si sistema tranquillamente evidentemente pensando di essere sola. Posa con cura la valigia e si leva il soprabito. Esce dalla cucina Sergio, che resta di sasso)

Sergio:     (con un filo di voce)…mà!. Cosa ci fai qui??

Adua:       oh, Sergino, veh. Abito ancora qui io, finché non mi mettete nei vecchioni, ti sei scordato? Te piuttosto cosa fai qui.

Sergio:     eh? (guarda con preoccupazione le varie porte) Ero passato a vedere se tutto era a posto.   

Adua:       di già? Sono stata via neanche due ore.

Sergio:     e perché sei tornata? Non eri partita?

Adua:       macchè, mi volevano fregare

Sergio:     ti volevano fregare? chi?

Adua:       quelli dell’agenzia. (Estrae dalla borsa un depliant) Leggi. Leggi mo qui

Sergio:     (leggendo) Una settimana alle Baleari, nella fantastica Maiorca.

Adua:       Ecco vedi, io volevo andare a Maiorca con gli altri. Invece loro a me mi volevano mettere in un cantone.

Sergio:     in un cantone? Come in un cantone?

Adua:       (gli mostra un altro depliant) Leggi. Leggi a lì

Sergio:     (leggendo) Mirador. Albergo tre stelle a Palma di Maiorca.

Adua:       ecco vedi. Mi volevano mettere a un palmo da Maiorca. Mo sopra quella carta quanto è un palmo? Può essere anche un bel po’ di strada.

Sergio:     ma no, mà. Cos’hai capito? Palma di Maiorca è la città, la capitale, si chiama così. Vi avrebbero messi tutti insieme. Ma vuoi che sia…

Adua:       a sì? Beh, comunque io non sto bene. Mi sento la testa pensante. Non so, va a capire, mi sa che mi venga fuori l’affluenza.

Sergio:     sì, l’affluenza alle urne. Adesso così hai perso anche la caparra.

Adua:       non credo. Deve essere ancora nella valigia. Non l’ho aperta per niente. L’avevo portata dietro se per caso la sera faceva freschino.

Sergio:     no, dicevo quello che hai pagato, se non ci vai lo perdi, non te lo restituiscono.

Adua:       forse lo posso cambiare. Andrò la prossima volta, in autunno fanno la crociera nei paesi tropicaldi

Sergio:     si si…pensa mà, che non è partita nemmeno la Ramona.

Adua:       come non è partita? E dov’è adesso?

Sergio:     è di là in cucina, vai un po’ a vedere, fatti raccontare tutta la faccenda dello sciopero.

Adua:       (avviandosi, tra se) vigliacca miseria, volevo stare un po’ di giorni in pace …(esce verso la cucina).

Sergio:     (bussa alla camera grande. Sottovoce) direttore! (dopo un po’ esce Nevio. Indossa un accappatoio bianco)

Nevio:      Stambazzi, cosa c’è ancora?

Sergio:     purtroppo è tornata mia madre.

Nevio:      oh porca…non avrei dovuto fidarmi di lei. E adesso?

Sergio:     non cambia niente, direttore. Mi assicurerò io che non siate comunque disturbati. Poi verrò a darvi il via libera (dalla cucina esce Adua).

Adua:       dì, Sergino…(vede Nevio) oh bondì (a Sergio) e questo chi è?

Sergio:     (imbarazzato) éh?…chi?

Adua:       come chi? Quell’uomo lì!

Sergio:     aah…quello? Quello è…è…è il dottore!

Adua:       il dottore?

Sergio:     non stavi poco bene? L’ho mandato a chiamare. (A Nevio, in disparte) mi regga il gioco.

Adua:       ah! (a Nevio) Oh, buongiorni signor Dottore, ala ringrazio di essere venuto così di prescia. Lei è un dottore nuovo?

Nevio:      ehm…si! sono della condotta di…Montegiardino, ma oggi sostituisco il dottor…(verso Sergio, che però non sa) il dottore di qui insomma, che sta male

Adua:       la Stefanelli? Mo quella non è un dottore, è una dottoressa

Nevio:      beh, io sostituisco il dottor Mularoni che doveva sostituire la dottoressa Stefanelli. Stanno tutti male, c’è l’influenza in giro.

Adua:       ah, dottore, mi sa che l’ho presa anche io. Mi visiti subito: ho lo stomaco sottosopra, mi sento le guerre intestinali. Non avrò l’affluenza in incubatrice?

Nevio:      eh? No, no. Mi sembra di no, ha un bel colorito. (non sa come sbrigarsela) dica trentatrè.

Adua:       trentatrè.

Nevio:      bene. Prenda due aspirine e vada subito a letto. (Sergio fa segno di no) Anzi no. Aria, aria fresca ci vuole. Prenda due aspirine e poi esca di fuori.

Adua:       Mi tocca guardare se ce le ho, mi sembrava di averle finite. Forse mi sono rimaste quelle fosforescenti.

Nevio:      Ecco, prenda quelle, vanno benissimo.

Adua:       mo è sicuro che devo uscire di fuori? Non mi verrà un accidente?

Nevio:      beh, vada in bagno (Sergio fa ancora segno di no) no, macchè bagno, è matta, signora? In bagno no, ci sono i germi. Stia in cucina, ecco in cucina.

Adua:       ma lei dottore, non mi deve visitare? Come fa così, in due e due quattro, a fare la prognosi?

Sergio:     La scusi, dottore. Mia madre è abituata ad esprimersi in dialetto

Nevio:      ah si? Beh, io invece non lo parlo. Capisco solo qualche espressione.

Adua:       mo io sono buona di parlare anche l’italiano. Solo con qualche parola delle volte mi avruccio.

Sergio:     adesso basta mà, non possiamo trattenere il dottore con tutti questi particolari.

Adua:       Mi dispiace di disturbarla fuori dal suo onorario, ma mi fa male anche il piede, oggi. Ho le vene che mi vengono fuori, le vene vanitose. Lei è anche pediatra? Oh, scusi, volevo dire pedofilo?

Sergio:     no, mà. Il dottore dei piedi si chiama podologo, po-do-lo-go. Questo dottore qui è un dottore normale, di condotta. Ma forse è meglio che aspetti la Stefanelli, che ti conosce meglio.

Adua:       ah, davvero, lei sa tutte le cose che ho avuto e anche di più, conosce le mie malattie ereditiere, tutto il mio albero ginecologico

Nevio:      ecco, allora forse…

Sergio:     Mà, adesso il dottore si va a preparare per visitarti di là, nella tua camera. Te aspetta in cucina che così lui intanto tira fuori tutto quello che gli serve per visitarti bene.

Adua:       aspetta, Sergino, fammi prima spiegare al dottore la gravidanza del mio male.

Sergio:     il dottore ha capito benissimo. (con allusione verso Nevio) forse dottore è meglio che si vada a preparare per la visita completa nella stanza di là …

Nevio:      si, giusto, vado a predisporre tutti i miei strumenti per la visita. Mi occorrerà un’oretta buona buona…

Sergio:     si prenda pure il tempo che le serve, dottore

Adua:       (a Sergio) anche te dovresti fare un checiap ogni tanto….guarda il tuo povero babbo. Non ha visto un dottore per settant’anni e poi? Tutto d’una botta…trach! (a Nevio) Ha  avuto un cactus celebrale e in un momento è andato. Mio marito era alto, forte, impotente…come lei dottore.

Sergio:     (a Nevio) voleva dire imponente, (ad Adua) ne avessi inzeccata una, mamma, anche per sbaglio…

Nevio:      beh, io vado. …(Nevio torna in camera)

Adua:       (a Sergio) dì, Sergino, ma se ha bisogno di un’ora per prepararsi, per farmi la visita quanto ci vorrà?

Sergio:     te non ti preoccupare mà, ci metterà il tempo che ci vuole. Se stai male bisogna guardare, controllare, non si può prendere la cosa così, sottogamba (la accompagna in cucina)

Adua:       aspetta che devo andare in bagno un momento

Sergio:     (le si para davanti) non si può!

Adua:       come non si può?

Sergio:     non hai sentito il dottore? ha detto che ci sono i germi

Adua:       e io come faccio? Dai che sto un minuto

Sergio:     un minuto o un’ora è uguale. Adesso mandiamo la Ramona a pulire ben bene tutti i germi, poi potrai andare.

Adua:       bisogna che si sbrighi, però, se no va a finire che me la faccio addosso (la accompagna verso la cucina e vi entrano)

Donato:     (esce dal bagno distrutto, piagnucola, ha un fazzoletto in mano. Si siede sconsolato sul divano. Estrae da una tasca un telefonino) non doveva, non doveva….(esce Franco dalla cucina, ha una lattina di birra in mano. Si siede tranquillamente vicino a Donato. Per un po’ pensano ognuno per i fatti suoi, Franco si gusta la birra, Donato continua a disperarsi e piagnucolare. Poi si avvede di Franco, lo guarda un attimo). Lei è fortunato, sa?

Franco:     (si guarda intorno poi indica sé stesso come per chiedere: io?)

Donato:     sì, proprio lei.

Franco:     perché?

Donato:     perché lei ha a che fare con le piante. Le piante non tradiscono, come fanno le persone.

Franco:     mica vero, sa? Ci sono piante che lei può curare, concimare, annaffiare regolarmente e loro si seccano lo stesso.

Donato:     anche loro? Questo è proprio un mondo infame…

Franco:     no, sa qual è il bello delle piante, invece? Che loro non pensano. Non si fanno problemi loro, si seccano e basta. Oppure non si seccano, ma senza pensarci. Questo è il loro bello.

Donato:     come vorrei essere una pianta, in questo momento.

Franco:     noi invece, ah, siamo sempre lì a farci mille problemi. Da una bolla di sapone siamo capaci di costruire dei castelli in aria così ingarbugliati e complicati, che poi possono crollarci addosso per la loro stessa complicazz …(si corregge) complicatezz …(ancora) complicità.

Donato:     eh, se anche la mia fosse solo una bolla di sapone, sarebbe troppo bello. Ma io ho le prove concrete, reali, inconfutabili. Qui, nella messaggeria di questo maledetto telefonino.

Franco:     magari può essere che abbia frainteso quello che c’è scritto, e che nella sua testa da un niente si sia costruito chissà cosa.

Donato:     Lei dice? E allora senta, senta cosa scrive la fedifraga (smanetta nel cellulare). Ecco qua, messaggi inviati (legge): “non posso farti venire qui, mio marito potrebbe rientrare in ogni momento”.

Franco:     Ecco. Questo per esempio potrebbe essere un messaggio per la sarta, se lei ha il braccino corto…

Donato:     per la sarta eh? e questo ti vu bi?

Franco:     taglia vestito blu.

Donato:     bi ci, bi ci?

Franco:     ben cucito.

Donato:     due volte?

Franco:     rafforzativo

Donato:     (sempre leggendo) “non vedo l’ora di farmi abbracciare dalle tue braccia possenti”

Franco:     questo in effetti è un po’ più compromettente. Che sia un sarto?

Donato:     (c.s.) “possiamo vederci a casa di mia mamma, la prossima sett. sarà in vacanza”. (Franco stringe le spalle). Ah, voleva incontrarlo qui. Vediamo cosa dice lui: “perfetto quando?”. Risposta: “lunedì alle 10”. (ha un sussulto). Ma è oggi. (guarda l’orologio) E sono le 11. Allora sono qui adesso! Sotto questo tetto!! (si alza) Fammi vedere da chi provengono questi messaggi. (continua a consultare il cellulare) Giardin. Giardin. (ci pensa, poi come illuminato punto il dito verso Franco) GIARDI N…EVIO!!! Il direttore di Sergio! Ma allora è di là con lui!! vigliacchi!! (sconvolto, afferra qualcosa a mo di arma).

Franco:     (ancora seduto) no, guardi, non credo…

Donato:     li ammazzo!! (si dirige deciso verso la camera grande, spalanca la porta e vi entra. Si odono cinque urli, nell’ordine: Donato, Silvana, Nevio, ancora Silvana, ancora Donato. Donato esce tenendo un fazzoletto davanti la bocca, in preda a nuovi conati di vomito, si precipita verso il bagno e vi entra. Silvana esce dalla camera calzando una scarpa sola, vestita alla meglio e corre fuori dal portone principale. Esce infine Nevio furibondo).

Nevio:      Stambazzi!! Stambazziiii!!

Sergio:     (si affaccia dalla cucina e con un filo di voce) si, direttore?

Nevio:      (cambiando tono rispetto ai precedenti) Stambazzi…(Franco ancora seduto continua a sorseggiare la sua birra. Cala il sipario).

FINE PRIMO ATTO


SECONDO ATTO

      Stessa scena del primo. Sono passati quindici minuti. In scena Franco, seduto sul divano a gustarsi la sua birra e Sergio che invece passeggia nervosamente.

Carla:      (spunta la testa dalla cucina) Ehi. Pssst! Pssst! Via libera?

Sergio:     (guarda verso il bagno) si, vieni pure.

Carla:      (entrando) dov’è?

Sergio:     in bagno.

Carla:      bene. Io me ne fuggo. Per fortuna avevo parcheggiato lontano (si dirige in punta di piedi verso la porta principale).

Sergio:     guarda che è inutile. Donato ha scoperto tutto.

Carla:      (di sasso) come ha scoperto tutto?

Franco:     questa mattina hai lasciato il cellulare sul comodino e tuo marito ha frugato nella messaggeria.

Carla:      oh, oh. Sono in un brutto guaio.

Franco:     eggià.

Carla:      come l’ha presa?

Sergio:     mettiamola così: in questo momento la differenza tra me e lui è che lui ha un conato di vomito e io ho un vomito di cognato.

Carla:      non avrebbe dovuto frugare nella mia messaggeria.

Sergio:     sta a vedere che adesso viene fuori che è colpa sua.

Franco:     sta tranquilla Carla. Tuo fratello ha ideato un ingegnoso stratagemma per risolvere tutti i problemi.

Carla:      che stratagemma?

Sergio:     beh, la situazione è alquanto complicata e forse ormai compromessa, ma io mi sono spremuto le meningi e ho partorito un piano che forse può raddrizzare le cose.

Carla:      (scettica) e cosa prevede questo piano? Posso fidarmi?

Sergio:     stai tranquilla, è un buon piano. Ha avuto anche l’approvazione di mister genio, qua (indica Franco).

Franco:     (annuendo) mmm. Ottimo piano.

Sergio:     allora, ricapitoliamo. In quella stanza c’è il mio principale, al quale ho promesso di riportare la sua amante.

Franco:     che invece a giudicare da come correva, sarà già a qualche chilometro di distanza.

Sergio:     di là invece c’è Donato, convinto che tu te la faccia col mio direttore

Carla:      cosa??

Franco:     nella tua agenda mi avevi memorizzato come “giardin.” Lui ha creduto che fosse l’abbreviazione di Giardi N…evio, il capo di tuo fratello.

Sergio:     lo aveva visto qui. All’inizio non ci aveva fatto caso, ma poi si vede che ha collegato le due cose.

Carla:      oh san Gaudenzio….

Sergio:     ma questo per noi è un colpo di fortuna, perché possiamo continuare a far credere a Donato che effettivamente tu hai circuito il mio principale. Dovremo però dirgli che ti sei prestata su mia insistenza e solo per amore fraterno, per farmi avere la sospirata promozione.

Carla:      non credo sia molto consolante per lui, sapere che me la faccio con il tuo direttore - a fin di bene - anziché col giardiniere, per puro sfizio.

Sergio:     ma noi gli racconteremo che tu hai accettato al solo patto di prestarti quel tanto che sarebbe bastato per convincerlo ad aiutarmi: qualche lusinga, promesse, ammiccamenti e niente altro.

Carla:      questo può essere più accettabile. Vai avanti

Franco:     resta da giustificare quello che lui ha visto

Carla:      che cosa ha visto?

Franco:     due corpi seminudi nella penombra di quella stanza.

Carla:      oddio. E se gli dicessimo la verità? Che non ero io quella che ha visto con il tuo direttore? Forse così potrei cavarmela

Franco:     comincerà a pensare che non era Giardi il tuo vero amante.

Carla:      hai ragione. E allora?

Sergio:     e allora gli diremo che non erano affatto seminudi, che ha visto male. Che semplicemente tu, Carla, ti stavi prestando ad ascoltare le sue perversioni, una specie di seduta psicanalitica. Ma ben decisa a non permettergli di passare alle vie di fatto.

Carla:      mi pare un po’ forzata, ma può starci.

Sergio:     per quanto riguarda il mio direttore, invece, lo faremo uscire con un espediente dalla sua stanza, dove, di soppiatto ed indossando una sottoveste, ti dovrai introdurre tu.

Carla:      io? E perché?

Franco:     Per fargli credere, nella penombra della stanza, che sei la sua Silvana.

Carla:      (guarda male Sergio) ma sei scemo?? Io passare per quella là? Ma figurati, sarà pure il tuo degno capo, ma non è mica cieco, sordo e deficiente…. Mi dispiace ma questa parte del piano mi pare faccia acqua da tutte le parti

Franco:     se vi ha scambiate tuo marito, perché non dovrebbe farlo anche quel Giardi? La stanza è semibuia, ha le imposte serrate.

Sergio:     ammetto che questa è la parte più azzardata. Tutto dipenderà da quanto saremo convincenti. Le persone in fondo finiscono per credere a quello che vogliono credere.

Carla:      (sarcastica) ma che fine psicologo. E quando si avvicinerà? Io che faccio? Che dico?

Sergio:     niente, non dovrai dire niente, per carità. Solo mugolii, piccoli gemiti. Penserà che sei ancora un po’ imbronciata.

Franco:     (con orgoglio) e qui entro in azione io. Il mio ruolo nel piano sarà quello di venire ogni pochi minuti a disturbarvi, con scuse varie.

Sergio:     Non solo lui, ovviamente. Vi daremo una mano tutti, a turno.

Franco:     Così non riuscirà ad avvicinarsi più di tanto. Pare che questo Giardi debba assolutamente andarsene a mezzogiorno, per una riunione improrogabile.

Sergio:     per le azioni di disturbo potremo utilizzare anche Ramona. E mamma, che è convinta in buona fede che Giardi sia un dottore. Non manca tanto a mezzogiorno.

Carla:      A me pare una cosa talmente folle….

Sergio:     talmente folle…che potrebbe funzionare?

Carla:      non volevo dire questo, esattamente.

Sergio:     purtroppo è l’unica possibilità che abbiamo in questo momento, per salvare capra e cavoli.

Franco:     già. Abbiamo esaminato tutte le possibili alternative, ma non ve ne sono di migliori.

Carla:      (a Franco) tu sembri proprio contento di gettarmi tra le braccia di quello là, vero? Non provi un minimo impulso di gelosia, un gesto, un pensiero. Eh, dimmi. In questo momento ce l’hai un pensiero?

Franco:     certo che ce l’ho un pensiero. (pausa) Penso che andrò a farmi un’altra birra, tra poco. (delusione di Carla)

Sergio:     le cose hanno preso una piega talmente negativa, Carla, che a questo punto solo tu puoi salvarci.

Carla:      fate presto a parlare voi, ma in quella stanza, con lui, ci sarei io da sola a dover gestire la situazione. E se mi dovesse scoprire?

Sergio:     Purtroppo non possiamo prevedere tutto. Se le cose non dovessero andare come previsto, dovrai inventare qualcosa, a seconda della situazione.

Carla:      Ma non riesco a fare queste cose, io. Non ci sono portata. Non so recitare.

Franco:     (anche verso il pubblico) si, di questo ormai si sono resi conto tutti, credo. Dovrai sforzarti e fare del tuo meglio.

Carla:      (ci pensa un attimo, Franco e Sergio pendono dalle sue labbra) va beh, proviamoci.

Sergio:     ok, brava! Vai in camera a prepararti, dunque. Ma stai in campana. Quando sentirai la parola d’ordine vorrà dire che stiamo distraendo Giardi e tu dovrai uscire ed introdurti di soppiatto in camera di mamma.

Franco:     fai attenzione: quello sarà l’unico momento in cui assolutamente non dovrà vederti, perché il trucco riesca.

Carla:      d’accordo, ormai siamo in ballo, balliamo. (si volta verso la camera poi ha un ripensamento) ah, un momento.

Sergio:     sì?

Carla:      qual è la parola d’ordine?

Sergio:     ah, giusto. (verso Franco) qual è la parola d’ordine?

Franco:     eh…sim sala bim!

Sergio:     macchè…facciamo: birra!

Carla:      (ripete) birra. Ok. (tra sé, avviandosi) gli autori del piano perfetto…cominciamo bene (esce. Franco la segue)…

Sergio:     lei dove và?

Franco:     eh, io vado ad aiutare Carla a…prepararsi

Sergio:     (ci pensa un attimo) si, potrebbe non essere una cattiva idea. Ma torni subito ad avvisarmi non appena sarà pronta.

Franco:     (felice) si (ed esce. Entra dalla cucina Adua)

Adua:       allora Sergino, quel dottore è pronto?

Sergio:     non credo, mamma. Ancora non ci ha fatto sapere niente.

Adua:       dì, lo sai chi c’era sul pullman con me stamattina?

Sergio:     come faccio a saperlo, mamma?

Adua:       c’era la mamma di Giorgio!

Sergio:     ah, giusto. Siccome nel mondo ce n’è solo uno di Giorgio…

Adua:       Giorgio Bilozzi, su. L’avvocato. Da bambini eravate amici

Sergio:     eravamo compagni di scuola, mamma. Non amici

Adua:       pensa che si è associato con lo studio più grande di tutta San Marino. Otto avvocati. Un ufficio di centottanta metri nell’attico dell’Amiral poil.

Sergio:     (con sufficienza) eh, ho piacere per lui

Adua:       ci pensi? Centottanta metri. Come due volta la tua casa

Sergio:     cosa c’entra mamma? dove vuoi arrivare?

Adua:       eh, se avessi continuato a studiare, quella volta

Sergio:     ah, ecco dove volevi arrivare…

Adua:       noi te lo abbiamo detto in tutte le maniere, un sacco di volte

Sergio:     tranquilla, mamma, non hai nulla da rimproverarti. Stai continuando a dirmelo anche adesso.

Adua:       Potresti riprendere a studiare anche adesso, se solo lo volesti

Sergio:     mamma, per favore

Adua:       quanti ce ne sono, che prendono la laura anche di sera.

Sergio:     un sacco. Prendono la laura di sera e la marianna di notte

Adua:       io non dico per criticare, ma come fate a vivere in quattro in quella casa minuscola…

Sergio:     allora aspetta che ti inviti un’altra volta

Adua:       avevo detto che non volevo criticare

Sergio:     invece secondo me alla fin fine ci sei riuscita lo stesso.

Adua:       Giorgio, per festeggiare, s’è comprato la macchina nuova. Una bi-e-vu. Quelle grosse. Grigia. Una tipo gippete.

Sergio:     he, gioppete e giappete. Dai mamma lascia andare…

Adua:       vado in cucina a fare il caffè, ne vuoi una tazzina?

Sergio:     no, mamma, grazie. Adesso non ho proprio tempo.

Adua:       (come non sentendo ed avviandosi verso la cucina) un bel caffè forte che ti tira su

Sergio:     No, mamma, davvero

Adua:       (sempre non sentendoci) ci prendiamo un bel caffè insieme, come ai vecchi tempi. Speciale, fatto con la mia moka

Sergio:     non lo voglio, mamma!

Adua:       (uscendo in cucina) te lo metto su subito (esce)

Franco:     (uscendo dalla camera) Ecco fatto. Carla versione Silvana è pronta

Sergio:     Bene. Lei stia pronto a darmi una mano: da questo momento ha inizio il piano.

Franco:     sincronizziamo gli orologi?

Sergio:     no, si accerti solo che il cervello sia sincronizzato con il resto del corpo. (Franco annuisce. Sergio bussa alla porta di Nevio) direttore…(all’uscita di Nevio, compiaciuto) Gliel’ho riportata.

Nevio:      (si illumina) davvero??...bravo Stambazzi! Dov’è?

Sergio:     in bagno

Nevio:      vado da lei.

Sergio:     no! Mi ha pregato di dirle di attenderla, sa come sono le donne. Lo spavento, la corsa, si è tutta scompigliata, è voluta andare in bagno a rassettarsi un momento.

Nevio:      speriamo faccia presto. Non mi è rimasto tanto tempo.

Franco:     (ingenuamente) ma è già pronta. Ho controllato io

Nevio:      ma di che s’impiccia lei? Cosa ha controllato?

Sergio:     (per rimediare) no, direttore, il giardiniere si riferisce alla … gomma … per innaffiare…il prato. Mi avvisa che è pronta.

Nevio:      (a Franco) ecco allora vada, vada ad innaffiare il prato, lei

Sergio:     (a Nevio) intanto magari potrei approfittare per illustrarle quelle mie proposte per l’organizzazione dell’ufficio…

Nevio:      Stambazzi! Le pare il momento?

Adua:       (esce dalla cucina) Oh dottore, allora è pronto?

Nevio:      (guarda Sergio) eh? No, ancora no.

Adua:       qui rischiamo di arrivare alle candele greche.

Sergio:     (in disparte) abbia pazienza due minuti con mia mamma, direttore, tanto deve aspettare.

Nevio:      (rassegnato ma rinfrancato) va bene. (ad Adua) Su, allora, signora. Avanti, mi dica cosa si sente. (si siede sul divano)

Adua:       (si accomoda vicino Nevio) Allora dottore, anzitutto io sono sempre stata sana come un pesce lesso, ma da due anni ho qualche problemino. Tutto è cominciato da quando mi hanno fatto quella infezione.

Sergio:     iniezione, mamma, iniezione. (inizia a frapporsi tra la parete di destra, dove stanno le porte delle camere e il divano, dove sta Nevio)

Adua:       ecco giusto, quella iniezione. Avevo mangiato un fracasso di fragole, e ho scoperto che sono energica, mi fanno venire l’orticultura. Un infermiere che non lo sapeva mi ha fatto un’iniezione, non mi ricordo se era indovinosa o sottocatania

(intanto Sergio fa ampi cenni a Franco di seguirlo. Nevio si volta di scatto e Sergio finge di scacciare una mosca).

Sergio:     era sottocutanea, mamma. (a Franco) Lei ha finito la sua BIRRA? (si apre la porta della camera di Carla).

Franco:     (non capisce, agita la lattina) no, non ancora (la porta si chiude)

Adua:       è vero, me l’ha confiscata qui, nel glutine (indica il gluteo). M’è venuto fastidio e sono ramazzata al suolo: ho fatto una saracca quella volta! Mi hanno dovuto portare subito all’ospedale.

Nevio:      ah, si, immagino…

Adua:       sono rimasta sei giorni in protesi riservata, sembrava un coma irresistibile.

Sergio:     chi vuole una BIRRA? (la porta si riapre) vado a prenderne un po’.

Franco:     (ingenuamente) fermi tutti! (la porta si richiude) ormai ho imparato dove sono, ci vado io! (va in cucina)

Adua:       il cuore non batteva più. Mi hanno dovuto mettere il blekedecher. Adesso sto bene, però le fragole non le posso più neanche guardare e come vedo una siringa svenisco.

Nevio:      ho capito. (ormai calato nella parte) Quindi un quadro clinico complicato. Scusi un attimo (si alza e va verso Sergio) Stambazzi ci ho ripensato, m’è venuta sete. Veda se quel giardiniere può portare anche a me una birra (si apre la porta della camera di Carla)

Sergio:     (quasi urlando) no! No! Ora no, per carità!! (la porta si chiude)

Adua:      (ancora seduta) Cosa dici, Sergio? Su non essere sgarbato, se il signor dottore vuole una birra…(di nuovo si apre la porta)

Sergio:     no! Non ora! (riprendendosi) non è il momento direttore

Adua:       Eh, ho fatto una vita io, mica come adesso. I miei figli li ho partoriti da sola, sa? Non c’era neanche l’ostrica, quella volta.

Nevio:      ah, certo.

Sergio:     nonostante tutto, mamma, ci hai cresciuto a tutta BIRRA! (si apre la porta e finalmente Carla scivola nell’altra camera)

Adua:       a proposito, dottore, lei è stipendiato dalla mutua? Non mi farà pagare il ticchete?

Nevio:      no, il ticchete si paga solo per fare la tacchete

Adua:       bene. Ecco, allora dottore, ci dicevo che da ieri sera mi fa male la gola.

Nevio:      ha preso qualcosa?

Adua:       come sempre, quando sento quel rusghino faccio i gargarozzi con l’una tantum.

Nevio:      bene, ha fatto benissimo.

Sergio:     scusate un attimo. Torno subito. (si infila nella stanza dove c’è Carla)

Adua:       mo adesso, dottore, ha cominciato a farmi male anche questa costiccia…senta dottore, senta qua, forse nel pullman, a stare seduta, si sarà inquinata? Capirà, due ore con l’aria confezionata a tutta manetta…

Nevio:      le fa male lo sterno?

Adua:       no no, è all’interno, senta qua

Nevio:      (tenta di svincolarsi) no, però non credo sia incrinata, non mi sembra

Adua:       senta senta, dottore, è tutta sporgente (prende la mano di Nevio e se la mette sotto le costole per farlo sentire)

Nevio:      (imbarazzato) no, a me non pare proprio…

Adua:      no, lì no, ecco qui, più su, ahi ahi, sente?

Nevio:            dove? Qui? non sento nulla, provo a spingere un poco?

Adua:      ecco si, lì, ha trovato il punto, sente?

Nevio:            sto spingendo, le faccio male?

Adua:      no, non sento niente. Spinga forte. Ecco si, lì, haaaa….

(qualche battuta prima, dal bagno esce Donato, sempre più stravolto e col solito fazzoletto alla bocca. Ancora non scorge i due, nascosti dallo schienale del divano, ma sentendoli si porta lentamente di lato sino a vedere lo spastico amplesso. Inorridisce)

Donato:     vade retro satana!!

Nevio:      (liberandosi e alzandosi) ohoho…ancora lui!

Donato:     volevi approfittare anche di lei, adesso?!? Porco!

Adua:       (alzandosi a sua volta) Donato cosa fai qui? mo cosa ti salta in mente? Chiedi subito scusa al signor dottore.

Donato:     altre che scuse, Adua. Io lo strozzo, quel pervertito!

Nevio:      senta lei sarà anche prelato, ma la mia pazienza ha un limite e lei lo ha superato di parecchio!

Sergio:     (uscendo dalla camera) Donato!! Don Ato, si calmi, si calmi (lo prende in disparte) è tutto un equivoco, si è sbagliato, venga, venga un momento in cucina che il signor Franco le spiegherà bene tutto il malinteso (lo spinge dentro la cucina).

Adua:       (verso il bagno) cos’è sta puzza? (entra in bagno).

Sergio:     direttore, abbia pazienza.

Nevio:      ne ho avuta fin troppa. Parlerò con il vescovo di quel prete. Don Ato avete detto che si chiama? Ato è il nome o il cognome?

Sergio:     (spiazzato, improvvisa) Ato è…il nome.

Nevio:      mai sentito. Che nome è?

Sergio:     si, era il nome di un santo che faceva guarigioni miracolose: San Ato.

Nevio:      lo farò trasferire in una missione africana.

Sergio:     si calmi direttore. (poi compiaciuto) La sua Silvana è di là che la aspetta

Nevio:      di là? Ma se non l’ho vista passare.

Sergio:     lei sa direttore che certe donne, se vogliono, sanno essere sinuose come le pantere (fa il gesto dell’artiglio) ahrrg ahrrg…

Nevio:      (con maliziosa complicità) ahrrg, ahrgg (entra in camera con balzi goffi e grotteschi).

Sergio:     (da solo, và verso la cucina) bene. Passiamo alla seconda parte del piano.

Adua:       (esce dal bagno) dì, Sergino, cosa è successo nel bagno?

Sergio:     niente mamma, una perdita del sistema fognario. Adesso mandiamo la Ramona a pulire.

Adua:       e cosa diceva il dottore a Donato, che è un prelato?

Sergio:     no, mamma. Pre-nato, ha detto, prenato. E’ pure settimino lui.

Adua:       davvero? Non lo sapevo mica

Sergio:     si si, è nato a sette mesi, pesava un chilo e due

Adua:       e perché gli davi del lei?

Sergio:     del lei? Ma no, mamma, su. Cominci anche a diventare un po’ sorda adesso? (entrano in cucina)

Dopo poco entra dall’esterno Silvana. E’ quasi del tutto ricomposta, titubante, vedendo che non c’è nessuno arriva sino alla porta della camera grande e sta per iniziare ad origliare quando entra dalla cucina Franco

Franco:     (vedendo Silvana che origlia, tossisce) …buongiorno

Silvana:     (si ricompone e cerca di giustificarsi) oh, buongiorno, ero qui prima con una persona che poi…lei chi è scusi?

Franco:     sono Franco, il giardiniere

Silvana:     ah, ecco. Le dicevo che ero con una persona…

Franco:     (interrompendola) so tutto, era con quel Giardi. Ma non c’è più lì. E’ uscito. Forse a cercarla.

Silvana:     Ma ho visto la sua macchina, è ancora parcheggiata qua fuori

Franco:     Ah, è vero, giusto. E’ andato con Sergio, il padrone di casa. (si siede sul divano)

Silvana:     (pensierosa) crede che torneranno presto?

Franco:     non so.

Silvana:     posso aspettare, dieci minuti. Forse mi sono fatta prendere dallo spavento e sono stata precipitosa a scappare a quel modo.

Franco:     non so se staranno solo dieci minuti. Si sieda. (Silvana si accomoda e stanno alcuni secondi in silenzio) Una birra? (Silvana fa no con la testa)

Silvana:     (dopo ancora alcuni secondi di silenzio) lei sa…, è al corrente…? (Franco fa si con la testa) Non deve giudicarmi male.

Franco:     e chi la giudica? Mica sono il padreterno, io.

Silvana:     non so perché mi sono lasciata coinvolgere in questa cosa. Non è da me, capisce?

Franco:     certo che capisco.

Silvana:     lei pensi quello che vuole, ma per me non è usuale.

Franco:     basta guardarla in faccia.

Silvana:     cosa intende dire?

Franco:     intendo dire che si vede subito che per lei non è una cosa da tutti i giorni. Che non è quel tipo di donna

Silvana:     e come fa a dirlo, lei?

Franco:     perché io faccio il giardiniere.

Silvana:     e questo cosa c’entra, scusi?

Franco:     vede, quando gli altri uomini lavorano, io aiuto le signore ad occuparsi dei giardini delle loro case. Le conosco bene le donne come lei.

Silvana:     e come sarebbero le donne “come me”?

Franco:     lei è la tipica donna insoddisfatta del lavoro che svolge, che va in palestra tre volte alla settimana e che fa una dieta dissociata tranne che nel week-end.

Silvana:     complimenti. Fin qui ci ha preso. E poi?

Franco:     legge l’oroscopo tutte le mattine ma non ci crede. Poi è una donna sola

Silvana:     sola io? Ma sa quanti amici ho?

Franco:     non conta. A lei piace la solitudine. La cerca. Lei è capace di sentirsi sola anche in mezzo a tanta gente. Per questo cerca un uomo come lei, che sappia distinguersi dalla moltitudine.

Silvana:     (colpita) dovrebbe fare l’indovino, lei.

Franco:     sulle donne, non sbaglio mai. Questione d’esperienza. 

Silvana:     con la sua professione, le capitano molte occasioni?

Franco:     molte? E’ una parte integrante del mio mestiere, conoscere e consolare donne sole.

Silvana:     (curiosa) E lo fa…a…pagamento?

Franco:     (fa no con la testa e sorride) puro piacere.

Silvana:     con quella faccia da birbante, lei ha l’aria di saperla lunga.

Franco:     (compiaciuto) la lunghezza non è tutto.

Silvana:     (civettuola) sa che a casa mia ho una bellissima edera rampicante che ha cominciato a seccare, da una parte?

Franco:     bisogna intervenire subito, allora. Ce n’è giusto una che dà sulla finestra di quella cameretta (indica la prima camera). Se vuole le faccio vedere come opero in questi casi.

Silvana:     ah, volentieri. (si alzano) Per certi lavori bisogna mettersi nella mani di un esperto.

Franco:     eggià, prima che si secchi completamente, perché poi è troppo tardi. (escono nella cameretta)

Adua:       (entrando dalla cucina) dottore, (va alla porta della camera e bussa) dottore ho trovato le mie analisi, le vuole vedere?

Nevio:      (si affaccia, per fare in fretta) si me le dia e aspetti di là (gliele strappa)

Adua:       le ho fatte una settimana fa, la Stefanelli non le ha ancora viste. Io non ci capisco niente, ma ho un brutto preservativo.

Nevio:      anche io, guardi, ho un pessimo preservativo. Non sapevo che li facessero anche neri, un colore che tra l’altro snellisce…

Adua:       (non cogliendo) guardi lì, dottore: polistirolo alto, piastrelle basse, libido nel sangue.

Nevio:      quella ce l’ho anche io, creda, e piuttosto alta in questo momento. Non si preoccupi, vada, vada. Analizzerò le sue analisi assieme alla mia assistente che intanto mi ha raggiunto (chiude).

Adua:       (a Sergio che è appena uscito dalla cucina, con un secchiello per il ghiaccio e bottiglia) è un po’ strano quel dottore eh? adesso c’ha anche l’infermiera, ma cos’è che deve preparare?

Sergio:     deve preparare, mamma, su, stai tranquilla, vedi, mi ha chiesto di portargli anche questo materiale anafilattico, dopo ci dice lui quando è pronto. (Adua entra perplessa in cucina, Sergio bussa alla porta della camera) direttore vi ho portato qualche cosa da bere, gradite?

Nevio:      (si affaccia velocemente) grazie

Sergio:     per quelle mie proposte in ambito lavorativo…(Nevio gli chiude la porta in faccia) la situazione si aggrava, urgono rinforzi (rientra in cucina)

Franco e Silvana escono dalla cameretta. Hanno atteggiamenti molto confidenziali. Si dirigono verso la porta principale

Silvana:     allora siamo d’accordo per domani pomeriggio?

Franco:     se non riesco ti telefono, ma dovrei liberarmi.

Silvana:     mi raccomando, ti aspetto (esce dalla porta principale, Franco si volta, entra dalla cucina Ramona)

Ramona:    questa casa tutti matti.

Franco:     eh, si, finora ne ho visti pochi di veramente schietti (si siede sul divano)

Ramona:    ora io deve andare camera signora a fare piccola pulizia, se capito bene.

Franco:     si, fa parte del piano del signor Sergio.

Ramona:    io fa piano, ma loro sentire lo stesso me mentre pulisco.

Franco:     non ti preoccupare. Tu prendi il cestino, dai una radanata, non so…

Ramona:    forse meglio io aspetta camera vuota, per pulire

Franco:     oh no. No, no. Devi andare a pulire proprio perché c’è gente dentro.

Ramona:    io prima no capito, adesso capito meno.

Franco:     tu vai ed esegui. In Russia ci sono i soldati, no? E tu fai come un bravo soldato. Non devi capire: esegui e basta.

Ramona:    io ferie questi giorni, signori non capisce questo?

Franco:     in guerra non ci sono ferie.

Ramona:    io scappata da guerra in mio paese. Ma qui peggio che là (Ramona bussa nella camera)

Nevio:      (affacciandosi) si?

Ramona:    io deve fare piccola pulizia

Nevio:      (sbrigativo) no grazie, adesso no. Comincia dall’altra camera (rientra).

Ramona:    vede? Questa casa tutti matti.

Franco:     aspetta. Ti faccio vedere io come fare (va alla porta e bussa lui)

Nevio:      (affacciandosi scocciato) che c’è ancora?

Franco:     mi scusi, dovrei dare un’occhiata alla chenzia

Nevio:      (c.s.) non c’è qui. Provi nell’altra stanza. (rientra)

Franco:     (resta basito. Va a sedersi sul divano, accanto a Ramona. Se ne stanno per un po’ ognuno con i propri pensieri) senti ma noi che c’entriamo con questa storia? Perché ci hanno coinvolti?

Ramona:    io no sa. No capisce. Io no deve capire. Io bravo soldato: esegue e basta.

Franco:     Giusto. Impari presto tu. (un attimo di silenzio poi le prende la mano) A noi hanno detto di andare nell’altra stanza.

Ramona:    (sorpresa, ma solo un attimo) io bravo soldato: Esegue e basta (si alzano ed entrano nell’altra stanza, mano nella mano).

Sergio:     (entra dalla cucina) dove sono finiti tutti? Finiranno per fare andare all’aria il mio piano. (consulta l’orologio) Beh, ormai ci siamo. (va a bussare alla porta di Nevio) Direttore, mancano dieci minuti a mezzogiorno e la via è libera. (qualche secondo di attesa, poi esce Nevio. Ha la camicia sbottonata, le scarpe e giacca in mano. Si mette vicino il divano a sistemarsi. Sergio lo osserva come in attesa di un commento, ma Nevio per un po’ si sistema e non dice niente).

Sergio:     (alla fine, azzarda) E’…andato tutto bene?

Nevio:      (minimizzando) si si, benissimo…

Sergio:     quindi è rimasto soddisfatto?

Nevio:      (non risponde, cambia argomento) un po’ ingrassata, la Silvani eh?

Sergio:     (in imbarazzo) no, non direi. Lei trova?

Nevio:      e pure più alta (o bassa a seconda delle attrici che interpretano le rispettive parti)

Sergio:     sarà…un’impressione. Ho letto su una rivista che uno studio di una università americana ha stabilito che in alcuni giorni dell’anno siamo più alti o più bassi addirittura di alcuni centimetri a seconda….

Nevio:      Stambazzi, per chi mi ha preso? Su, la pianti di prendermi per il sedere.

Sergio:     (getta la maschera) se n’è accorto eh?

Nevio:      Che si credeva, che mi ero rincitrullito tutto d’un botto? Certo che me ne sono accorto. Subito.

Sergio:     (avvilito) eppure il piano era perfetto. Dove abbiamo sbagliato?

Nevio:      Glielo dico io dove avete sbagliato: la Silvani è un ghiacciolo, quella un uragano!!

Sergio:     (incredulo) ma…avete consumato!?!?

Nevio:      (fa un cenno compiaciuto con la mano: tre) …e domani si replica!

Sergio:     oh, per la miseria…

Nevio:      Stambazzi, lei è un genio. Io non le sono grato: di più! In un colpo solo mi ha liberato di un’amante titubante e complicata e mi ha regalato una bomba inesplosa, libera da ogni inibizione!!

Sergio:     (ancora incredulo) si figuri, direttore..

Nevio:      ho fatto proprio bene a fidarmi di lei e lasciarla fare, non avrei mai creduto potesse capitarmi una cosa simile.

Sergio:     allora questo significa che si adopererà comunque per la mia promozione?

Nevio:      (euforico) glielo faccio vedere io se mi adopererò (prende un telefonino e compone un numero) non perdo neppure un attimo. Se lo merita proprio. (al telefono) Si pronto? Sono Giardi, chissà se posso disturbare il Segretario di Stato? Si, grazie, è importante. (attende) Segretario, mi scusi, sono Giardi. Per la dotazione organica del mio ufficio, ne parlavamo ieri. Sarebbe assolutamente necessario aumentare di un livello il collaboratore amministrativo, Stambazzi. Sergio sì. Sì. sì, vota bene, certamente. Bene e numeroso, stia tranquillo. Garantisco io. Si, i requisiti ci sono, diploma e cinque anni di esperienza. No, no, nessun richiamo, son sicuro, è uno in gamba, anzi forse ha qualche encomio, casomai. Si, va bene. (a Sergio) si sta facendo portare il suo dossier.

Sergio:     il Segretario di Stato ha un dossier su di me?

Nevio:      certo, tutti abbiamo un dossier dal Segretario di Stato. (di nuovo al telefono) si, vede? (di colpo, impallidisce) cosa? No, non sapevo niente. Ma veramente? Ma glielo assicuro, assolutamente niente, come potevo sospettare? Mi scusi, Segretario. Sono mortificato. Capisco benissimo, ci mancherebbe. D’accordo, scusi ancora il disturbo, la prossima volta verificherò meglio.

Sergio:     (con un filo di voce) che c’è?

Nevio:      (a mò di rimprovero) Stambazzi, io sono in debito, ma lei non deve farmi fare queste figure.

Sergio:     che figure, non capisco?

Nevio:      (spiegando) nel suo dossier c’è un appunto, risalente a meno di tre mesi fa. Il cognato di un suo cugino acquisito è stato segnalato ad un comizio di ALLEANZA LIBERALE! (come se fosse la cosa più grave del mondo).

Sergio:     no!!?! Il cognato di un mio cug….Fausto!!! lo sapevo, la pecora nera della famiglia.

Nevio:      come fa a sperare di ottenere qualcosa con questi scheletri vergognosi nell’armadio?

Sergio:     (rassegnato) sapevamo che era una testa calda, ma nessuno immaginava che potesse arrivare a tanto.

Nevio:      Mi dispiace, Stambazzi. Io avevo promesso di aiutarla, ma lei mi aveva taciuto questo particolare increscioso.

Sergio:     non ci avevo proprio pensato, direttore

Nevio:      ha sentito anche lei la telefonata, io ce l’ho messa tutta

Sergio:     certo direttore, ho sentito e la ringrazio comunque, creda. Ha fatto tutto quello che poteva…

Nevio:      aveva un’opportunità unica, ma ormai se l’è giocata…

Sergio:     già…

Nevio:      eh, Stambazzi. Non so davvero in che altro modo aiutarla. Le darò priorità per il piano ferie, a questo punto non vedo cos’altro possa fare per lei

Sergio:     non si preoccupi, direttore, capisco benissimo, davvero non posso chiederle altro.

Nevio:      (per rincuorarlo) senta, perché non mi parla di quelle sue proposte di organizzazione in ambito lavorativo?

Sergio:     la ringrazio direttore, ma in questo momento proprio non me la sento

Nevio:      forza Stambazzi, magari troviamo il modo per darle una mano in un altro modo

Sergio:     è gentile da parte sua, ma ora sono proprio a terra

Nevio:      (Guarda l’orologio) Senta, mi sono rimasti due minuti d’orologio e intendo dedicargleli tutti. Sarò attento e ricettivo. Quando le ricapita un’occasione come questa?

Sergio:     (titubante) dice che dovrei approfittare?

Nevio:      certo che deve approfittare! E di corsa…

Sergio:     d’accordo allora, ci proverò

Nevio:      bravo Stambazzi. Sono tutt’orecchi.

Sergio:     dunque, una delle principali problematiche che avrei individuato è attualmente quella relativa all’uso dei bagni, in quanto spesso vi accedono anche estranei, utenti, a volte persino turisti…

Nevio:      Stambazzi! Ma come? Con lo sforzo che in questo momento sta facendo l’Amministrazione, per dare una nuova immagine di sé, tesa alla trasparenza, all’apertura verso il pubblico, lei mi vuole inchiavare i cessi?

Sergio:     beh, non ho detto inchiavare.

Nevio:      i giornali ci andrebbero a nozze: “lo Stato si fa in otto…ma non fatevela sotto”

Sergio:     io pensavo di posizionare dei cartelli..

Nevio:      “siamo meglio che alla Nasa, ma la pipì fatela a casa”

Sergio:     no, ma magari si sarebbe potuto…

Nevio:      “qui le pratiche puoi sbrigare, ma a casa tua devi evacuare”. Improponibile…

Sergio:     (sempre più mortificato) dice, eh?

Nevio:      dia retta, Stambazzi. Lei pensi solo a svolgere bene il sul lavoro e lasci le scelte di carattere gestionale al Governo.

Sergio:     comunque non avevo detto di inchiavare, io…

Nevio:      vuole il ponte dei morti? Avrà il ponte dei morti

Sergio:     ma quest’anno cade di domenica!

Nevio:      a sì? eh, non so più che dirle, Stambazzi, lei è proprio sfortunato. Beh, ora devo proprio scappare: tempo scaduto. Ci vediamo in ufficio. (esce saltellando dal portone).

Sergio:     (un attimo, poi lo segue) direttore, aspetti. L’otto dicembre cade di giovedì, se si potesse…(esce)

Carla esce dalla camera e finisce di assettarsi. Esce dalla cucina Adua

Adua       c’è tuo marito di là. Mi sembra più sbattuto del solito

Carla:      ora lo porto a casa

Adua:       sai chi c’era sul pulmann con me, stamattina?

Carla:      no, mamma, come faccio a saperlo?

Adua:       c’era la mamma della Marina

Carla:      che Marina?

Adua:       la Marina Stacchiotti, su, eravate amiche da ragazzine.

Carla:      andavamo a nuoto assieme, non è che fossimo grandi amiche

Adua:       quella che ha sposato De Matteis. L’ingeniere.

Carla:      so chi ha sposato la Marina Stacchiotti.

Adua:       è lui che ha fatto tutto quel complesso nuovo giù alle Gualdre. Ormai è padrone di mezzo San Marino.

Carla:      immagino cosa stai per dirmi, mamma

Adua:       ti faceva il filo anche a te da ragazzi, se non sbaglio

Carla:      si, sbagli. Te lo ripeto per la centesima volta, non mi faceva il filo.

Adua:       siete stati anche a mangiare la pizza

Carla:      assieme ad almeno altri dieci ragazzi, mamma, tutte e due le volte.

Adua:       mica dovevi sposare lui. Forse dovevi solo considerare qualche altro candidato. Questo volevo dire. Non ti mancavano, mi pare.

Carla:      mamma, in fondo sono contenta di avere sposato Donato.

Adua:       a me pare molto in fondo, Carluccia. In fondissimo.

Carla:      Comunque mamma ora sono affari miei, non tornerò a casa, stai tranquilla.

Adua:       s’è tenuto una villa tutta per sé, alle Gualdre. Anche se ne avrà già dieci.

Carla:      dove ho lasciato la mia borsa? (sposta cuscini per cercare la borsa)

Adua:       forse si saranno già trasferiti alla casa al mare, a Riccione

Carla:      dove cavolo l’ho messa? (torna in camera)

Entra dalla cucina Donato

Adua:       oh, Donato, veh. Lupus in favelas

Donato:     parlava di me? E con chi?

Adua:       con la mia figlia. Adesso viene oltre.

Donato.     Ah, bene.

Adua:       devi cercare di dormire un po’ di più, Donato, hai due occhietti inaquariti

Donato:     eh, sapesse, Adua. Ho avuto una giornata…

Adua:       te lavori troppo, glielo dico sempre a mia figlia.

Donato:     no, è solo un momento particolare

Adua:       non bisogna pensare solo ai soldi e al successo, ragazzi.

Donato:     è vero, la salute è più importante.

Adua:       quando c’è la salute e l’amore, il resto non conta. Giel’ho sempre detto ai miei ragazzi

Donato:     sono d’accordissimo, Adua.

Adua:       beh, io torno in cucina. Ti saluto.

Donato:     ci vediamo, Adua (Adua esce, entra Carla dalla camera) oh Carla, povera Carluccia mia…

Carla:      Donato! (evidentemente fingendo) non sapevo tu fossi qui.

Donato:     mi hanno raccontato tutto. Povero amore ti sei dovuta prestare contro la tua volontà.

Carla:      non ci pensare Donato. Sai, Sergio ci teneva così tanto, ho temuto che potesse compiere qualche sciocchezza se non lo avessi assecondato.

Donato:     è stato pesante? Fin dove si è spinto quell’essere spregevole?

Carla:      per fortuna sono riuscita a tenerlo a dovuta distanza. Mi hanno dato tutti una mano.

Donato:     quindi il piano di Sergio ha funzionato?

Carla:      alla perfezione, è andato meglio di come immaginavo.

Donato:     ora è tutto finito, non ci pensare più

Carla:      magari lo fosse. Domani dovrò tornare ed avere di nuovo a che fare con quel depravato.

Donato:     no! Un’altra volta?!?

Carla:      si, purtroppo. Ancora non si è convinto ad aiutare Sergio. Ci vorranno per lo meno due o tre sedute.

Donato:     Carla, tu sei così brava, sai essere così persuasiva, vedrai che saprai trovare gli argomenti più convincenti, ne sono sicuro.

Carla:      ce la metterà tutta, Donato, non dubitare. Ma non oltre il limite stabilito.

Donato:     Giusto. Lasciamolo cuocere nel suo brodo e poi quando avremo ottenuto il suo aiuto per tuo fratello, lo lasceremo con un palmo di naso.

Carla:      non merita altro.

Donato:     sai che, a pensarci bene, quell’uomo mi fa quasi pena?

Carla:      addirittura?

Donato:     ma si, uno così, va solo compatito

Carla:      tu dici?

Donato:     certo cara. Lui potrà pure essere il direttore generale di un importante ufficio, avere un ottimo stipendio, una bella macchina, ma una donna come te, quello, non la potrà avere mai!

Carla:      giusto Donato. Mai!  

Donato:     una donna così, se la può solo sognare

Carla:      si, solo sognare!

Donato:     potrai mai perdonarmi, Carla, per avere dubitato di te?

Carla:      ti ho già perdonato, tesoro. Tutti gli elementi portavano oggettivamente a pensare che io fossi in colpa.

Donato:     ma perché non mi hai detto niente? Potevi spiegarmi tutto dall’inizio.

Carla:      sinceramente non pensavo neppure io di finire coinvolta fino questo punto. Le cose sono successe da sole, e nel momento in cui sono precipitate, lo hai scoperto da te. E nel peggiore dei modi, povero amoruccio mio.

Donato:     per fortuna Sergio mi ha spiegato come stavano realmente le cose. E soprattutto quel giardiniere, Franco, mi ha aiutato ad inquadrare le cose nella giusta prospettiva. E’ molto in gamba, sai. Dovremmo chiamarlo a lavorare anche nel nostro orto.

Carla:      perché no? Potrebbe iniziare già dalla prossima settimana.

Donato:     gli parlerò io. Andiamo a casa, ora?

Carla:      a casa? Ma non c’è nulla da mangiare.

Donato:     ti invito a pranzo, allora. Che diamine, non usciamo mai, ce lo siamo meritati un buon pranzetto fuori, no?

Carla:      giusto Donato, ce lo siamo proprio meritati. Chi più di noi?

Donato:     hai ragione! ah, dimenticavo il mio stomaco però, me lo sento ancora sottosopra.

Carla:      possiamo ordinare un bel risotto in bianco, se vuoi.

Donato:     giusto. Lo prenderai anche tu?

Carla:      no caro. Oggi per me, cannelloni…(escono).

Dopo un attimo entra Ramona dalla camera, canticchia qualcosa sistemando cuscini. Dall’esterno rientra Sergio col morale sotto i piedi. Va a sedersi sul divano

Ramona:    piano signor Sergio no funzionato?

Sergio:     pare che abbia funzionato per tutti, tranne che per me

Ramona:    perché no funzionato per signor Sergio?

Sergio:     avevo organizzato tutto per la mia promozione, ma non l‘avrò mai. Sul mio salto di livello posso metterci una bella pietra sopra, ormai. Tombale.

Ramona:    perché questo livello così importante per signor Sergio?

Sergio:     perché avrei preso più soldi. La paga più alta, capisce?

Ramona:    quanto alta? Molto di più?

Sergio:     no, non tanto, qualcosina.

Ramona:    allora perché così importante per signor Sergio?

Sergio:     eh, perché, cara Ramona. Vede, c’è tutta una sociologia dietro il livello retributivo. Dove lavoro io, nella pubblica amministrazione, lei viene considerata in base al suo livello retributivo. E’ l’elemento che si adopera per misurare il valore delle persone.

Ramona:    questo molto brutto. In Armenia persone considerati in lavoro per quello che loro fa, per loro impegno, volontà, dedizione.

Sergio:     beh, naturalmente il livello non è l’unico parametro di giudizio. Ce ne sono anche altri. Per esempio la macchina che possiedi…

Ramona:    signor Sergio ha bella macchina?

Sergio:     la mia macchina, Ramona, è così scassata che spesso ai semafori i lavavetri mi lasciano qualche spicciolo

Ramona:    e al lavoro che livello è signor Sergio?

Sergio:     settimo livello.

Ramona:    e livelli vanno in su o in giù?

Sergio:     eh, in su. Funziona così. Al primo livello ci sono i più intelligenti. Al secondo quelli un po’ meno, al terzo meno ancora, fino ad arrivare ai decimi ed undicesimi livelli, che sono quelli che proprio non capiscono niente.

Ramona:    allora secondo me signor Sergio merita primo o secondo livello.

Sergio:     (sorridendo amaramente) Grazie Ramona, ha proprio ragione. Mi merito il primo livello.

Ramona se ne esce verso la cucina, Sergio è tristissimo sul divano. Dalla camera esce Franco, che invece è raggiante. Si siede vicino a Sergio, che è sul punto di piangere. Si scambiano qualche occhiata, la differenza di umore è lampante. Poi Franco si rivolge entusiasta a Sergio.

Franco:     una birra?

Sergio:     (con ampio gesto e alzandosi) ma và a cagare, và…(esce in cucina. Franco è sempre contento).

FINE