Che inenarrabile casino!

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                                                           EUGENE IONESCO

                                      CHE INENARRABILE CASINO!

Traduzione di Sandro Bajani dal francese

Personaggi

in ordine d'entrata in scena

Il Padrone. Jacques Dupont. Pierre

Ramboul.

Lucienne.

La Cassiera (Janine).

Il Personaggio.

Il Padrone Del Bistrot.

La Padrona Di Casa.

La Signora Del Cagnolino.

Il Marito Della Signora Del Cagnolino.

L'Uomo Col Bastone.

La Portinaia.

Il Padrone Del Ristorante.

La Cameriera (Agnese).

Il Vecchio Signore.

La Vecchia Signora.

Primo Cliente Del Ristorante. 

Secondo Cliente Del Ristorante.

Il Rivoltoso.

La Rivoltosa.

Primo Operaio.

Secondo Operaio.

Una Donnetta.

La Madre Del Ferito.

Il Ferito.

Primo Poliziotto.

Secondo Poliziotto.

Il Giovane.

La Figlia Della Portinaia.

La Madre Del Personaggio.

Il Maestro Di Scuola.

La Figlia Di Agnese.

Il Figlio Di Jacques Dupont.

Il Figlio Del Giovane.

Il Figlio Del Rivoltoso.

Ce formidabile bordel! È stata rappresentata per la prima volta al Théàtre Moderne (Produzione Pleins-Feux de Pa­ris) il 14 novembre1973; regia di Jacques Mauclair, scene e costumi di Jacques Noè'l, musica di Francisco Semprun e Michel Christodoulidès.(1)

[1])         Dato l'alto numero di personaggi, ogni attore, tranne Jacques Mauclair che           interpretava il Personaggio, recitava in vari ruoli.


SCENA PRIMA

Scena: Un ufficio.

Il Padrone        Non è il modo di fare.

Jacques             Uno scherzo da prete.

Pierre               Non mi stupisce da parte sua.

Lucienne          Ha ereditato. Ha il diritto di an­darsene. Se non ha più bisogno.

Pierre (a Lucienne) Lei ha sempre avuto un debole per lui. Ora dovrebbe piantarla.

Lucienne       Oh!

Padrone        Quando ha avuto bisogno di noi... lo abbiamo aiutato. Ed ora se ne va, e chi                    s'è visto s'è visto. Taglia la corda. Ci av­visa tre giorni prima. Ma gli farò                                  pagare il preavviso. Non è facile trovare un impiega­to che lo sostituisca!

Pierre                       Però non era un bravo impiegato.

Jacques         A chi lo dice! è d'una pigrizia!

                        Non è una gran perdita. L'ho avuto davanti agli occhi per quindici anni.

Pierre            Che cosa ne farà del suo gruzzolo?

Padrone        Avrebbe potuto investirlo nell’azienda.

Pierre            Uno come lui le avrebbe creato del­le noie.

Jacques         Per me, son ben felice di non ve­dere più il suo brutto muso. Ne avevo                              abbastanza, tutti i giorni, tutti i giorni.

Pierre            Però vi piaceva andare insieme al bistrot. Il pomeriggio s'addormentava sul                      lavoro. (A Jacques Dupont)   È lei che me lo ha detto.

Padrone        A me non la dava ad intendere. Lo sapevo benissimo.,

Pierre  (a Lucienne)              Non ti dispiace ugual­mente un pochino?

Lucienne       Lo conoscevo da tanto tempo.

Pierre  (a Lucienne) E’ stato il tuo amante. Un amante come quello...

Lucienne       Hopreferito te a lui. Dal mo­mento che l'ho lasciato per te.

Pierre            Si vestiva come un barbone.

Padrone        Può ringraziarmi se non l'ho mai cacciato via. A calci nel culo.

                        Ed ora che potrebbe darci una mano col suo malloppo, nessuna gratitudine.                     Era un debito morale, in definitiva. L'azienda ha bisogno di esse­re rimessa                      in carreggiata.

Jacques         Io avevo certe idee politiche. Lui è reazionario.

Padrone        Ah, questo no. Nessuno è più si­nistrorso di lui.

Pierre            D'altronde, le sue idee non valeva­no molto. In realtà non aveva idee precise                     su niente.

Jacques         A me diceva sempre che le cose, quali che siano, non hanno una ragione.

Pierre            E’ lui che non aveva una ragione.

Jacques (a Pierre)     Perché lei di ragioni ce n'ha?

Pierre (a Jacques)    E lei allora?

Jacques         Eppure io a qualcosa credo, io...

Pierre            So benissimo a che cosa lei s'imma­gina di credere. Non passa giorno che                          non ce lo venga a dire, ed è sempre la stessa co­sa. Sono idee fisse,                            ossessioni.

Padrone        Non è il momento di litigare.

Jacques         Quando tornerà, gli diremo che cosa pensiamo di lui.

Pierre            Gli faremo una testa così.

Padrone        Non basta. Gliene dirò quattro.

Lucienne       Ma che cosa vi ha fatto? Ora ha i soldi. Può farne quello che vuole.

Padrone        Non si abbandonano in questo modo le persone che ti hanno aiutato. Inol­tre,                   è stupido. Se avesse investito il suo de­naro nella ditta, avremmo fatto grossi                  affa­ri. Sapete bene che l'azienda ha dei debiti.

Jacques         Oh, lei signor padrone dice così perché vuol chiudere bottega, ma di soldi in                    cassa ne ha tanti.

Padrone        Può controllare, se vuole. Non ho nulla da nascondere.

Pierre            Non spetta a Dupont di farlo, spet­ta a me! Sono io il delegato del personale.

Padrone (a Pierre)    Lei aveva grandi vedu­te quando è rientrato nella ditta. Era pieno di                                  idee. Vedeva in grande. Dove sono an­date a finire le sue idee? Ora si                            è adagiato nel quieto vivere. Si è esaurito in fretta, mio caro.

Pierre                       Non si tratta di me, ma di lui. Io ho fatto quel che ho potuto.

Padrone                    Non è molto.

Jacques                     Ho sempre pensato che fosse uno sporco borghese.

Pierre                       Un borghese barbone.

Padrone                    I barboni sono borghesi mancati.

Jacques         Veniva in ufficio con la barba lun­ga. Puzzava di alcool. Che cosa crede, che                    fosse piacevole?

Lucienne       Non era sempre così.

Pierre (a Lucienne)   Non mi dirai adesso che la colpa è mia, che era così perché lo hai                                      lasciato per me!

Lucienne                   Non ti faccio nessun rimprove­ro. Questo non l'ho mai detto. Sono io                                che ho voluto lasciarlo.

Jacques                     Diceva che era vestito male per­ché non aveva soldi per comprarsi un                                abito. Ve ne accorgerete, fra poco, quando verrà. Si sarà fatto vestire                              dal miglior sarto. Ci prenderà in giro.

Lucienne                   Non è il tipo.

Jacques                     Emanava odor di noia.

Padrone                    Non gli piaceva lavorare. Il lavoroè la felicità. Gli chiederò che ci                                     paghi il debito morale. Deve ammontare a parec­chi milioni.

Jacques                     Che schifoso!

Pierre                       Che imbecille!

Jacques                     Guarda un po' se in America ci devono essere ancora degli zii che                                     non san­no scegliere i propri eredi.

Padrone                    Ce lo ha nascosto per bene, il suo zio d'America.

Lucienne                   Non sapeva neanche lui di aver­ne uno. Se lo era dimenticato. Era il                                  fratel­lo di suo padre. Nemmeno suo padre, ave­va conosciuto.

Padrone                    Sua madre si è uccisa per lui. Mi ha pregato lei stessa di assumerlo.                                   Diceva che mi sarebbe stato riconoscente. Pensate un po' voi.

Pierre                       Un uomo come lui non può esserlo. E pensare che abbiamo passato                                   il nostro tempo a trattarlo coi guanti.

Jacques                     Non è un uomo.

Padrone                    Avrei dovuto mandarlo via a suo tempo, muovermi prima di lui. In                                   ogni ca­so, l'avrei sbattuto fuori.

Jacques                     Troppo tardi.E’ lui che si è mosso per primo.

Pierre                                  Lei è stato troppo buono, padrone.

Padrone                    Mi piace fare del bene. È la mia debolezza. Ma non ci casco più.

Pierre                       Lei ha troppo buon cuore. Vedrà che ricomincerà.

Padrone                    Ho troppo buon cuore. È la mia natura. Me ne faranno passare delle                                  altre.

Jacques                     Che schifoso!

Pierre                       Che imbecille!

Padrone                    Che ingrato!

La Cassiera              Non era poi così cattivo.

Lucienne  (alla cassiera)      Vero che non era poi tanto cattivo?

Pierre                       Era una persona ignobile.

            Entra da destra il Personaggio; ha unaspetto modesto ed è vestito modestamente.

Pierre (girandosi verso di lui, contempora­neamente agli altri) Finalmente con noi, caro               amico.

Jacques         E’ gentile da parte sua, venire a trovare i vecchi amici.

Padrone  (stringendogli la mano)  Ha avuto una bella fortuna. Le faccio i mie complimenti.

Lucienne       Sono molto contenta di rive­derla.

Pierre            Siamo tutti contenti di rivederla.

Jacques         Siamo contenti per lei.

Pierre            Lo diciamo sinceramente, senza gelosia.

Padrone        Adesso che è ricco, ci lascia. Non le serbiamo rancore. È del tutto normale.                      No, no, mi creda, lei ha perfettamente ra­gione. Forse non era nemmeno                                  tanto adat­to a lei, questo lavoro. Avrei voluto offrirle qualcosa di più                                     importante. Purtroppo, nella mia modesta azienda, non c'era un posto degno              di lei. Avrei voluto ingrandir­mi, avrei avuto bisogno di capitali. Voi lo                              sapete, ho dei progetti. Insieme avremmo potuto fare grandi cose, buoni                          affari.                         

   Il Personaggio rimane silenzioso. Si aspetta per qualche istante la sua reazione.

Jacques         Mi ero abituato a lei, vecchio mio. Tanti anni passati insieme, faccia a                               faccia, una vita. Eravamo come fratelli.

Padrone        Per me, lei era un figlio.

Pierre            E ora, come intende riorganiz­zare l'esistenza?

Silenzio del Personaggio.

Lucienne       Ancora non lo sa

Cassiera       Lasciate che ci pensi.

Lucienne       Intanto, si prenderà un po'di ri­poso.

Padrone        Non è che intende prender moglie?

Jacques         Spero che non farà questa scioc­chezza.

Pierre            Per il momento approfitterà della buona sorte. È ancora giovane. Può                               aspettare.

Padrone        Non ha paura di far fuori il capi­tale? Sarebbe meglio che lo investisse. Un                        buon investimento. Almeno una parte. (Si­lenzio). Oh, non pensi che lo dica                   perché desidero che lei impieghi il suo denaro nell'azienda. Certo, avrebbe                    interesse a farlo.

Jacques         II padrone pensa soltanto all'inte­resse di lei.

Pierre (dopo una pausa) Anch'io ho investito dei soldi nell'azienda. Ci ho rimesso qualcosa.                 Era un momento sfavorevole.

Padrone (a Pierre)   Qualcosina ha pure guadagnato.

Pierre            Non ho recuperato tutto.

Padrone        Un apporto nuovo... (Un'oc­chiata al Personaggio, che se ne sta sempre zitto).                  Un apporto nuovo le farebbe guada­gnare dieci volte di più. Venti volte tanto              a chi ci portasse il suo contributo. In quel mo­mento c'era la crisi. Ora la                                    situazione è pro­spera. Ho dei soci molto agguerriti.

            Silenzio.

Lucienne                    Si ricorderà di noi? Non ci di­menticherà del tutto?

Pierre (a Lucienne)  Per questo è venuto. Per farci sapere che non ci dimenticherà... Che non                            ti dimenticherà. È impossibile che ci si dimentichi di te.

Padrone                     Ma certamente. Ha un cuore d'oro.

Jacques                     Proprio così, ha un cuore d'oro.

Padrone (al Personaggio)    In ogni caso, la voglio ringraziare... sì, la voglio ringraziare per                                          l'aiuto che ci ha dato, per il tempo che  ha dedicato all'azienda.                                         Il tempo è denaro. Senta, è quasi l'ora del pranzo, offro                                                            l'aperitivo. Al ristorante Bel Cantuccio. Ma non faccia                                                      complimenti. È del tutto nor­male. Ah, lo conosce bene, lei, il                                            Bel Can­tuccio.

Jacques (al Personaggio)     Ci abbiamo pas­sato bei momenti.

Padrone (al Personaggio)    Si accomodi, prego. Si accomodi, la seguiamo. (A Lucienne e                                              alla cassiera) Anche loro, prego.

            Lucienne, la cassiera, il Personaggio escono.

Pierre (al padrone)   È uno schifoso.

Jacques                     Gliel'ho detto. Uno sporco bor­ghese.

Padrone Uno scherzo da prete. Un ingrato. (A Pierre e a Jacques) Dopo di loro, do­po di loro.

Escono

SCENA SECONDA

Scena:Un bistrot. La scena può essere co­struita all'istante. Si sposta per esempio il tavolo della prima scena. Luci al neon. Spostamento di sedie. Dietro al tavolo diventato bancone, c'è il padrone del bistrot, che può essere imper­sonato dal padrone della ditta, che si è prov­visto di un grembiule e di un paio di baffi, e si è tolto gli occhiali. Tutto in vista del pubblico. Dietro al bancone compaiono le bottiglie, una fila di bottiglie. Il padrone del bistrot può esse­re eventualmente impersonato da un altro atto­re, secondo le possibilità finanziarie della pro­duzione.

Entrano Pierre Ramboul, Jacques Dupont, la cassiera, Lucienne e il Personaggio.

Janine   (la cassiera, parlando verso destra, os­sia verso la parte opposta al bancone,                    mentre gli altri attori sono riuniti attorno al ban­cone, coi bicchieri vuoti davanti)     Un se­condo brindisi, signore, dopo quello che abbiamo fatto per lei?

Jacques  Rimanga ancora un po'.

Pierre            Sta dicendo a cenni che ha un impe­gno. Ma che impegni vuoi che abbia?

Lucienne       è un po' contrariato.

Pierre (al Personaggio) Ce l'ha un po' con lei perché lei ha deciso di andarsene così in fretta.               È naturale: ci si dà sulla voce, ci si fa la testa grossa, ma in definitiva ci si vuol               be­ne quando si lavora insieme, per anni.

Jacques         Una vita. (Al Personaggio) Non è così?

Pierre            Un altro giro. E raggiungiamo il pa­drone.

Jacques         Abbiamo tempo. Si ricomincia al­le due! Bisogna pur farlo un pranzetto di                        addio! (Al Personaggio) No, non si distur­bi. Tocca a me. Lei verrà a trovarci                         ancora e ci offrirà lo champagne.

Il PAdrone Del Bistrot   Stavolta tocca a me.

Cassiera        No, è il mio turno.

Padrone        Le signore sono invitate. Noi sia­mo galanti. Un giro di pernod, vi va?

Pierre            E’ il meno dannoso.

Jacques         Non appesantisce. Risveglia.

Il padrone del bistrot versa da bere; tutti vuotano il bicchiere d'un fiato.

Cassiera Ora però tocca a me.

Jacques         Ah, no, non le consento di sper­perare l'incasso del locale, signora cassiera.

Janine            Signorina, non signora. (Al Perso­naggio) Contavamo di sposarci, una volta.                     Ora non mi sposo più.

Pierre    (a Janine)  Avrebbe per caso compromesso il suo avvenire per causa sua?

                (Indica il Personaggio) Sono cose che si di­cono, poi si dimentica.

Janine            Non sono cose che dico. Ho fatto un'esperienza, e mi basta.

Jacques    (indicando il Personaggio) Il no­stro amico si sentirà a disagio.

Janine             Anch'io devo lasciarvi. Ci saranno clienti alla cassa. (Si alza, si dirige verso il      Personaggio che si alza a sua volta). Posso darle un bacino? (Lo bacia. Il         Personaggio, che si era alzato, torna a sedersi. Al Perso­naggio) Tornerà da noi? Oh, non ci credo molto.

Se ne va.

Jacques (al Personaggio)    Con la sua aria timida, lei, conia sua trasandatezza, il suo aspetto,                 le sue goffaggini, è stato ugual­mente amato dalle donne.

Pierre            Il Don Giovanni delle povere tapine. Un altro giro. (Al Personaggio che ave­va                fatto un gesto). Ma no, ma no, lei non c'entra... Più tardi... Tocca a me.

                        (A Lucienne) Anche tu lo rimpiangerai. (Vuota­no tutti, d'un fiato, i bicchieri                      della nuova tornata). Vi lascio. (A Lucienne) Oh, tu puoi rimanere ancora. Gli              dirai addio con comodo. (Dando una gran botta sulla schie­na al Personaggio)               Vecchio donnaiolo, e con la barba lunga per giunta! Ora lei potrà comprarsi un               bel vestito. (A Lucienne, sot­tovoce) Non è che gli fai la corte adesso che è                        pieno di soldi? Non sarà perché è ricco che è meno stupido e meno                                 pappamolla. Lo so, anch'io non ho confermato le speranze Che venivano                                  riposte in me. Ma questa non è una ragione. (A voce alta) Bene, vi lascio.                       Divertitevi. Io torno al lavoro, al dovere.

            Esce.

Lucienne   (al Personaggio)  Ascolta.

Jacques      Un altro giro. Anche per voi, pa­drone.

Lucienne   (al Personaggio) Ascolta.

Jacques (ai due) Se avete qualcosa da dir­vi, non mettetevi a disagio per me. Sono sordo e                    muto come una tomba, se è neces­sario. Come tutti, so benissimo quel che c'è               stato fra di voi. E come no... Ramboul pa­reva che avesse un grande avvenire               quando è entrato da noi, or sono... or sono...

Il Personaggio        Cinque anni e un mese.

Jacques                     Cinque anni e un mese... Ha fatto malissimo a investire il capitale                                      nell'impre­sa.

(Al Personaggio)        Lei fa bene a tenersi il suo denaro, io l'approvo. Lei ha ragione da                                     vendere. È molto più prudente.

Lucienne  (al Personaggio) Io l'ho abban­donata un mese dopo.

Jacques         Ora potremmo festeggiare i vostri cinque anni di matrimonio.

Lucienne  (al Personaggio)  Ascolta. Ascol­ti. Io vorrei dirle... Vorrei dirti...

   Lo trascina verso il tavolino, al quale Lu­cienne e il Personaggio siedono.

Padrone  (ai due)      Vi porto i bicchieri.

Jacques  (al Personaggio e a Lucienne)  Non disturbatevi. Io bevo al banco col pa­drone.          Quando avete finito (indica il Per­sonaggio) di farvi le confidenze, mangerò con lui         il nostro ultimo sanguinaccio con le mele.

Padrone  La specialità della casa. (Al Per­sonaggio) Un sanguinaccio come questo                     non lo si trova da nessuna parte. (Il padro­ne del bistrot ha portato i                            bicchieri a Lucienne e al Personaggio, che siedono al tavolino, e torna ora                     dietro   il banco, dì fronte a Jac­ques) Un altro bicchiere, e questa volta                           tocca a me.

Lucienne  (al Personaggio)  Dal momento che in ogni modo lei deve... tu devi parti­re...            Ora ti posso dire tutto. Con te ho agito da stupida. No, non voglio riconquistarti.     Ma devi sapere che non è stata del tutto col­pa mia.

            Il Personaggio approva con la testa.

Jacques  (al padrone del bistrot)  Ha letto la notizia, vero? Sul giornale di oggi? Che cosa             ne dice? La cosa non mi stupisce.

Lucienne  (al Personaggio) Non capivo più niente di me. Tu, di te capivi ancora meno                 Cera qualcosa che mi sfuggiva, nel nostro amore, qualcosa che mi sfuggiva. Ora             inve­ce credo, credo...

Padrone Del Bistrot (a Jacques) Vo­gliono distruggere i piccoli commercianti, gli                     artigiani, bisogna fare qualcosa.

Lucienne  (al Personaggio) Ci amavamo lo stesso, credo. Io perlomeno ti amavo.

            Ma con te non si sa mai. Sei sempre così va­go, così poco chiaro. Ti saresti                        dovuto spie­gare...

Jacques (al padrone del bistrot) Soprattut­to lei non deve lasciarsi intimidire.

            Lo si di­ceva ieri sera all'assemblea.

Lucienne (al Personaggio) Non osavi. Non ti decidevi. Sei veramente un perso­naggio   enigmatico. Sì, Ramboul, certo... Ce l'hai con me a causa di Ramboul. Ero veramente            distrutta, non sapevo più che cosa fare. Quando lui è comparso, sembra­va così            energico, così pieno di volontà, così pieno di avvenire. Mi portava a ballare, mi ha        portata due volte a teatro, in un ristoran­te elegante, metteva allegria, c'era            l'orchestrina. Poi si è stancato di tutti questi diver­timenti. Ho capito che con te non è     che stessi peggio. Lui prometteva tutto. È il suo difetto. Tu non promettevi niente.

            È il tuo difetto. Ma lui, almeno per un certo tempo, mi faceva vedere bella l'esistenza,     poi ha perso i soldi che aveva. Non mettere i tuoi nell'impresa. Non sarà mai una         grossa im­presa. Sono del tutto disinteressata quando ti dico questo. Non te lo dico           perché tu mi riprenda. Forse è colpa mia. Ero molto delusa di non riuscire a farti amare la vita, di non saperti dare slancio, una specie di speranza. Pensavo che tu non       mi amassi vera­mente. Se tu mi avessi veramente amata... Sai, l'amore sposta le          montagne. L'amore spezza il ferro. L'amore distrugge gli osta­coli. Niente gli resiste,      losappiamo bene. Almeno, così dicono. E’ la nostra mediocrità che ci fa rinunciare.

            Il grande amore non conosce la rassegnazione. Chi lo sa? In altre condizioni, tutto           sarebbe andatobene.Forse un gran fuoco covava sotto la cenere. Purtroppo, negli          spazi grigi della nostra interiorità ci sono soltanto macerie, che stanno sotto altre           macerie, che stanno sotto altre macerie. Ma forse unavolta c'era un tempio. Colonne          luminose, un altare ar­dente.. . È una supposizione. Forse non c’è che il caos e       nient’altro. Forseè stata la mancanza di denaro che ci ha tolto ogni entusiasmo, è        stato il lavoro oscuro e monotono che facevano.

        Potremmo tentare anco­ra. Non perché ora sei ricco, sì forse perché ora sei ricco, certo      sei più libero, mi coin­volgeresti nella tua libertà, in una libertà ri­trovata. Potremmo          viaggiare, vedere terre bellissime, prenderemmo l'aereo, andrem­mo lontano, al di là            dell'oceano, andrem­mo nelle isole. Vedi, ho già due capelli bianchi... E se tu nelle         isole ti annoiassi... sono tanto dispiaciuta. Posso bere ancora un bicchiere? (Al         padrone) Ci porti altri due bicchieri. Sì, dello stesso.

        Il padrone va a portare due bicchieri a Lucienne e al Personaggio.

Padrone    Ecco, ragazzi.

Jacques (dopo aver seguito con lo sguardo il padrone e dato un'occhiata a Lucienne e al           Personaggio, che per un istante hanno smesso di parlare)  Un altro anche per me.       Paga lui. Un bicchiere in più, per lui non conta.

    Il padrone torna al banco, versa da bere a Jacques e a se stesso, mentre Lucienne e il Personaggio, senza parlare e mentre gli altri due li guardano, bevono lentamente.

    Jaques e il padrone vuotano i loro bicchieri d’un fiato, si voltano l'uno verso l'al­tro guardano strizzando l'occhio.

LUCIENNE (al Personaggio) Credi che tutto sia perduto? Credi? Non avrei dovuto dire         quel che ti ho detto. Potevo scriverlo, sarebbe stato meglio. Scrivendo, si riflette       meglio. Si capiscono meglio le cose. Ora ti troverai una ragazza giovane. Con i soldi   si trova tutto. Forse non troverai nessuno. Perché non cercherai. Dì una parola. Lo so           che mi stai ad ascoltare, sono sicura che ti sto annoiando. Non sono affatto sicura che     non ti  sto annoiando. Sono sicurissima che ti sto annoiando. Sei tanto strano. Oh, tu         non puoi essere nemmeno strano. Non sono mai riuscita a capire chi eri. (Pausa).    Non sono mai riuscita a capire chi eri. Non sono mai riuscita a sapere quello che    vuoi. Tu non hai mai parlato tanto. Eppure, ogni tanto, dicevi qualcosa. Dicevi che il         tempo era bello, mi hai detto che mi amavi. Mi ami ancora? Ti ricordi ancora di me?        Non puoi dire che non sia accaduto nulla. Sarebbe un peccato che per te non fosse             accaduto nulla. Ma non può essere. Dicevi che avevo belle gambe, un bel corpo,          occhi ridenti. Le gambe sono ancora belle. I miei occhi non sono spenti. Ascolta,       pensi di po­termi dare ancora qualche speranza? Non ora, fra qualche giorno, fra   qualche mese, posso aspettare. Con Ramboul è stato un disastro. Lo so. È          superficiale. Dice tutto quello che gli viene in mente. Si vanta.. È più noioso della         noia. Più noioso di te. Tor­nerai a trovarmi? O meglio, scrivimi. Vuoi che ti dia il     numero della mia casella posta­le? Dimmi qualcosa, parla.  (Il Personaggio tace). È          

        la tua ultima parola? Sarei vissuta due volte per niente. E tu lo stesso. Anche tu sei        infelice. Ma no, tu non sei nemmeno infelice. E così? (Il Personaggio tace). È la     tua ultima parola? (Il Personaggio tace). Sono triste. Ma non ce l'ho con te. Penso           di sbagliarmi se penso che non sei come gli al­tri. (Silenzio). Bene, o meglio,        purtroppo, devo andare. Posso darti un bacino? (Lo bacia sulla fronte) Non mi dai          un bacio? Per un addio o un arrivederci.

            Il Personaggio si alza. Dà un bacio a Lucienne in punta di labbra.

Personaggio Io ... Io...        

Lucienne       Sempre così. Scrivimi. Credo scriverai. Oh, non lo credo veramente.  (Finisce                  il bicchiere. Si alza. A Jacques e al padrone del bistrot) Arrivederci.                                  (Al Personaggio) Arrivederci. Ricordati, io sono qui.

                        Se ne va

Il Personaggio si siede di nuovo.

SCENA TERZA

Gli Stessi,senza Lucienne

Jaques (dirigendosi verso il tavolino, a cui il aggio è sempre seduto)  Allora, se ne                   andata la mignotta? Non volevo disturbare. Avevate delle cose da dirvi             probabilmente. Non ho voluto stare a sentire. So essere discreto, io.

            (E invece non aveva fatto altro, assieme al padrone, che stare a sentire) So essere            discreto ma certe cose si sanno ugualmente, (Alzando il bicchiere che ha in mano)    Porto con me il bicchiere per bere con te. Posso? Ti disturbo? Tutto, si sa. (Si siede al      posto di Lucienne) Permetti che mi sieda? Ah, insomma... Quindici anni insieme,  non       è uno scherzo! Dunque, si sa tutto. Che mignotta... Ah, tu non vuoi che io la chiami        così... Ma certo, Lucienne non ha fatto un buon affare sposando Ramboul. Ma tu hai         fatto in tempo a prenderti la tua parte. Non che fossi geloso, io, avevo le mie ragazze,    e poi avevo mia moglie, non mi annoiavo di certo, avevi ragione. Non è per darti un     dispiacere ma mi chiedo che cosa ci trovava, in te. Sei sempre stato piut­tosto tetro,          immusonito; no, immusonito non è la parola giusta, triste ecco. Avevi sempre l'aria di   tornare daun funerale. Ep­pure, non avevi famiglia. Non avevi amici, o almeno non      dicevi di averne. Sei un bel ti­po. Io ti volevo bene lo stesso. Eravamo co­me fratelli,      come ti ho detto. Ne beviamo un altro? Padrone! Altri due. E un altro per lei. (Breve       silenzio). Allora, che cosa mi racconti? Che cosa ne farai dei tuoi soldi? Non vorrai             arricchire il boss. Ce ne ha com­binate abbastanza! E un pescecane, non lo avresti    detto. È anche gentile. Ma... obiet­tivamente è un pescecane. Un pescecane obiettivo.   Un nemico di classe. Avremmo potuto fare qualcosa tu ed io. Organizzare una cellula             nell'azienda. Con te non è pos­sibile. Te ne fregavi. Eri un debole. Avevi paura. La           cosa ti dava fastidio. Non ci credevi. Tredici anni, non quindici... no, tredici o    quindici? Come tutto passa!Come passa, eh, la vita quando non si combina un cazzo...    Ma tu non avevi la coscienza di classe! Oh, ti volevo bene, ti voglio ancora bene, sei          come un fratello... Quindici anni insieme... o tredici... Quindici anni insieme...      Quindici o tredici?

Personaggio  Facciamo quattordici.

JAQUES   Sì, quattordici, e non se ne parli più. E che cosa si fa della vita quando non si             hanno ideali? Bisogna dare la propria vita per un ideale. (Al padrone) Ancora due! ( Il     padrone li porta). Altrimenti, è una rottura di palle, non si è utili a niente, non si            niente. (Il padrone arriva coi bicchieri, li posa sul tavolino). E uno per lei. (Al             Personag­gio) Ho tentato di tirarti fuori dal brago. Non c'è stato niente da fare. Tu non muovi un dito. Delle ingiustizie te ne freghi. Per questo ti guardavo male. Ti guardavo        male ma ti volevo bene. Eravamo come fratelli. Quindici anni insieme. Faccia a           faccia. O tredici.

personaggio      Quattordici

Jaques  Tu non ti rendi conto fino a che punto sono responsabili le persone come te

            (Lo fulmina con lo sguardo e con l'indice). Etu sei responsabile. Le ingiustizie     generate dalla società, dal sistema, te le pren­di tu sulle spalle, e le nascondi, le            giustifichi tutte. Lasciatelo dire, il sistema sei tu. È tua la colpa. Eh sì, con tutti gli        anni di lavo­ro che abbiamo passato insieme! Quindici anni, o tredici, è lo stesso. Come puoi pen­sare    che le cose cambino, se tu non vuoi ? Ma coi soldi che hai    adesso, potresti fare   qualcosa. Potresti darci una mano. Non bi­sogna dare i soldi ai             poveri. Devono spro­fondare nella loro miseria, così si ribellano. I soldi bisogna darli      ai sindacati. Servono per pagare i dirigenti, i giornalisti, i militan­ti, la gente che   lavora. Ma tu, tu non capi­sci. Sei un egoista. (Al padrone) Altri due bicchieri,      padrone.         

            Beh, uno soltanto, lui non beve più. O anche due. Uno sarà per lei. (Al      Personaggio) Se ti chiedessi il tuo denaro per aiutare i militanti, penseresti che me lo   voglia bere. Per cui non lo voglio. Sei uno schifoso.

Padrone  (portando un bicchiere a Jacques, e vuotando il suo tutto d'un fiato, in piedi)

                Non deve dirgli queste cose, signor Jac­ques. Siamo tutti degli schifosi .

Jaques  (bevendo anche lui in un colpo solo ) Più o meno. Ma tutti siamo vittime di           condizioni obiettive.

Padrone  Beh, sapete, io ho sgobbato tutta vita, non ho nemmeno un titolo di studio... Ho        fatto il garzone parrucchiere, poi [cameriere nei ristoranti, ho sgobbato, poi a forza di

            braccia mi sono fatto il negozio, il bistrot, e adesso sono il padrone. Bene, il denaro io     me lo tengo. Non lo dò di certo a questo e a quello. Ognuno s'arrangi Questa è la          società.

Jaques Questa è la giungla. E lei è un capitalista. Lei è un nemico del popolo.

Padrone  (a Jacques) E lei, uno che si per­de nei sogni, in sogni che sono sempre falliti. Sogni che svaniscono quando ci si risveglia. Se non si trae profitto dalla vita, non            resta che uccidersi. Beh, io cerco di trarne profitto.

Jaques  (al padrone) Lei non trae nessun profitto. Lei lavora dal mattino alla sera, come ha        detto. Dall'alba fino a mezzanotte passata. Anche lei, anche lei è alienato.

Padrone Neanche per sogno. Io mi diverto, Bevo coi miei clienti e tutti i miei clienti sono         amici miei. (Al Personaggio) Non è così, signore? Non l'ho sempre trattata be­ne, nei        tredici o quindici anni in cui è venu­to qui a mangiare tutti i giorni?

Jacques (al Personaggio) Le voglio bene lo stesso. (Al padrone) Anche a lei voglio bene.          Ora ci porti tre bicchieri e beva con noi. Siamo democratici. (Al Personaggio) Sono          un po' nervoso, tu non sarai più ac­canto a me, devo abituarmi all'altro. Ti vo­levo bene come a un fratello. Avevi sempre raffreddore, ti soffiavi il naso con un faz­zoletto        sporco. Mi ero abituato. Devo abi­tuarmi ai fazzoletti sporchi di quest'altro. Al tirar su     col naso di quest'altro. Sarà ma­gari un buon diavolo, ma non come te. Avrà le sue      manie, si pulirà le orecchie, si metterà le dita nel naso, sputerà per terra. Ma la società           nuova non sarà nemmeno questa. (Al padrone, indicando il Perso­naggio) Lui vuol           bere ancora. Porti ancora tre bicchieri. Oh, me ne sbatto, io, del pa­drone della ditta,             non è mica sempre festa. Ora si festeggia la tua partenza. Preferirei festeggiare la             partenza dell'altro, io, di quello che deve venire. Se dovrò aspettare altri quindici anni,           sarà il momento che andrò in  pensione. Quando sarò in pensione, più tempo per fare            politica, e le cose ranno. Vedrete che le cose cambieranno. Nel frattempo si può        

            strippare. Paga lui. Manzo alla borgognona per tutti e due, per tutti e tre. E del vino        rosso, ma non del qualsiasi, no, non quello grosso e pesante che si dà ai proletari: vino          finissimo, beaujolais.

Padrone  Ho qualcosa di meglio. Un chàteauneuf, è più corposo. Ho del borgogna. Va             meglio col manzo alla borgognona. (Come se avesse detto una battuta spiritosa) Ah   ah, come si vede, nella vita si può essere anche allegri. Il borgogna è per i bor­gognoni.         Per i borgognoni veraci e per quelli adottivi.

Jacques   Prenderò la cittadinanza borgognona.

Padrone  Non è il caso. Il borgogna è migliore a Parigi che in Borgogna. Lo producono per      l'esportazione.

Jacques   Perché non ce ne porta una bottiglia?

Padrone  Porto anche la pappatoria. (al Personaggio) Vecchio mio, bisogna che la giustizia... (Il padrone porta i piatti). Si sieda con noi, padrone. Prenda una sedia. (Il padrone esegue. Al Personag­gio) Vedi, ragazzo mio...

Padrone (seduto) Ah, il borgogna!

Jacques è la cosa più importante... è l'es­senziale. (Al Personaggio) Vedi, ragazzo mio... (Il padrone torna coi bicchieri e ver­sa da bere. Tutti e tre sorseggiano il loro vi­no). Allora, alla vostra.

Padrone   Alla vostra.

Jacques Vedi, ragazzo mio... Quindici an­ni a lavorare insieme, beh, son cose che contano...      Come farò con l'altro... (Al pa­drone e al Personaggio) Alla vostra, alla vo­stra...     Quindici anni insieme, o anche tre­dici, contano nella vita di un uomo. Dite quel che volete, ma non sono uno scherzo. (Al padrone e al Personaggio) Alla vostra, alla      vostra... Perché, come ti dicevo, e mi devi credere, toh, non c'è più vino nella       bottiglia.

Padrone  Se ne porta un'altra.

Jacques  Ah, no, non bisogna esagerare.

Padrone  Tre bicchieri soltanto, è il mio turno.

             Va cercare i bicchieri e li porta in fretta

Jacques Ebbene, il capo può dire quel che vuole , ma in ufficio oggi non ci vado. Non è uno      scherzo, l'ultimo giorno che ci si vede. Ma non sarà l'ultimo. Tornerai a trovarci.

Padrone (al Personaggio) Io l'ho sempre servita bene, signore, che lo volesse o no, tornerà a      trovarci, signore, in nessun altro posto lei sarà trattata bene come qui.

Jacques    Alla vostra.

A Padrone    Alla vostra.

Vuotano i bicchieri d'un fiato. Il Padrone va a cercare i bicchieri sempre più in fretta, in un movimento ininterrotto.

Jacques  (al Personaggio) Tornerai, vecchio mio... Non si dimenticano i compagni. Non  ci       amavamo sempre... E poi, a te, ho sempre rimproverato... Insomma, ti deciderai. Sono    sicuro che ti convertirai, ah, non per andare a messa, ma per entrare             nell'organizzazione.

IL PADRONE  e  Jacques (bevono il loro vino) Alla vostra, alla vostra. Ma ora è il mio             turno...

Personaggio            No, è il mio.

Il padrone va a cercare altri bicchieri e tor­na coi bicchieri pieni.

Jacques (al Personaggio)  Tredici anni in­sieme, no, quindici anni.

Padrone  (continuando a portare bicchieri e ripartendo per cercarne altri) Un man­zo alla borgognona così non lo troverete mai più, è la mia specialità e me ne vanto. E il mio chàteauneuf è adattissimo col cassoulet.

Jacques (al Personaggio) Forse ti hanno già sostituito. Ah, vorrei vederlo in faccia, quest'altro. No, preferirei non vederlo in faccia. Ne avevo piene le scatole della tua. Quindici anni insieme, eh... (Al padrone e al Personaggio) Alla vostra.

Padrone Alla vostra. E un cassoulet come il mio non c'è in tutta Parigi. Mia madre era di Tolosa e qui dentro sidro non ce n'è. (Andando a cercare altri bicchieri) E birra nemmeno. Va bene per i crucchi.

Jacques (al Personaggio) Non lo dico per darti un dispiacere.

Padrone (portando altri tre bicchieri) Vi ricordate ... la guerra? Erano durissimi ma corretti. Sotto le armi, già, siamo tutti uguali.

Jacques e Padrone (vuotano il loro bicchiere insieme al bicchiere del Personag­gio)

            Alla vostra.

Padrone  (al Personaggio) Alla tua. Sono autorizzato a darti del tu. Hai mangiato da me per      quindici anni.

Jacques Per quindici anni abbiamo lavorato insieme. Tutti i giorni, eh? Giorno dopo giorno. Per fortuna, c'erano anche le notti.

Padrone (portando dei bicchieri, a Jacques) Di notte, ti rifacevi, mascalzone.

(Indicando il Personaggio)   Lui no.

Jacques Ah, lei non lo conosce. Ha avuto la sua Lucienne , ha avuto la sua Janine. Ma si non      ti stupire, non lo crederesti mai guardandolo in faccia.

Jacques, Padrone e Personaggio   Alla tua alla tua, alla tua.

             Andirivieni del padrone. Jacques ripete.

Jacques  Quindici anni nello stesso ufficio, me ne frego del capo. E poi, ne avevo piene le         scatole della tua faccia. Ma ci si voleva bene lo stesso.

        Il padrone arriva con altri bicchieri.

Jacques, Padrone e Personaggio   Alla tua, alla tua, alla tua.

            Jacques e il padrone si abbracciano. Ab­bracciano anche il Personaggio, che tenta di                  mettersi un po' da parte, lasciando tuttavia che i due eseguano.

SCENA QUARTA

Il Personaggio, la Vecchia Signora

Il palcoscenico è vuoto. Soltanto una sedia, al proscenio, un po' a sinistra degli spettatori. Davanti alla signora seduta si trova il Perso­naggio, vestito come nelle scene precedenti, vale a dire con un soprabito grigio, un cappello grigio, scarpe nere. Quando si toglierà il so­prabito, apparirà naturalmente in abito grigio. Porta una cravatta di color nero.

La Vecchia Signora (è una piccolo bor­ghese, ha in testa un cappellino con grosso spillone. Naturalmente, porta un tailleur scuro)

Non si preoccupi signore, potrà arredare l'appartamento molto facilmente. Faccia come me, prenda ogni cosa alle Gallerie Centrali. Sono qui accanto, a quattrocento  metri. Hanno buoni prodotti fabbricati in serie da artigiani provetti e onesti. Se non c'è, la fanno venire dal magazzino. Sono una succursale delle Gallerie Centrali che si trovano in centro. Fanno arrivare tutto quel che si vuole. Non creda che qui in periferia si manchi di tutto. Non si manca proprio di nulla. Ora che ho comprato l’appartamento, le posso dire che ha fatto bene. Si costruisce molto in questo periodo e gli appartamenti si vendono sulla mappa. Non so se lei è come me. Ma io, signore, quando  mi fanno vedere una mappa, non  ci capisco niente. E poi le case moderne sono fatte alla bell'e meglio, gli imprenditori le costruiscono per far quattrini, non resistono più di vent'anni; lo fanno apposta per costruirne altre e guadagnare altri soldi solo dopo vent'anni. È meglio avere sotto gli occhi la casa finita, così com'è. La mappa confonde le idee. Nelle case nuove sono sottili. Si sentono i vicini tossiscono, quando tirano lo sciacquone.  Si sente tutto quel che dicono. Si sente quando sputano. Si sente tutto, tutto, tutto. Non vado oltre, lei mi capisce benis­simo. Bisogna investire nei muri, è chiaro, è quel che ho fatto io, ma in muri buoni, in muri veri, non in mattoni forati e cartape­sta. Signore, le ho tentate tutte, ma l'edili­zia è ancora il settore più sicuro. Ci sono gli agenti di borsa, tu gli presti il tuo denaro, loro ti promettono mari e monti, ti dicono che avrai 1’8, il 9, il 10,1’11, il 12 per cento, e poi si sa che cosa succede, se la battono coi tuoi soldi. Gli agenti di borsa sono dei ladri. Ma mi dica lei chi non è ladro al giorno d'oggi! Qualcuno dice che è sempre stato così, ma io non penso. Una volta la gente era più onesta. C'erano ancora artigiani se­ri, che credevano nel loro mestiere, e ama­vano le cose fatte bene. Ora, tutti se ne infi­schiano altamente! Certo, qualche soldino a interesse bisogna metterlo, con precau­zione, perché dobbiamo pur vivere con una piccola rendita e far fruttare tranquilla­mente la nostra casa. Io i soldi li metterei più volentieri in una banca agricola ma non voglio dare consigli a nessuno!

Per me, le banche agricole sono le più solide, perché si fondano sul grano. I muri sono muri, il grano è grano, non c'è niente che dia maggior sicurezza. Cosa c'è di più essenziale, signo­ri grano? Senza grano non ci sarebbe non ci sarebbe pasta, e senza pane potremmo nutrirci, e il grano, signore, non è un titolo di borsa, non è un’azione, e i titoli e le azioni non sono affatto sicuri in un momento di crisi economica come quello che stiamo attraversando! Quindi, signore, lei qui starà d'incanto. L'immobile non è né vecchio né nuovo. Abita al terzo piano, in periferia non lontana, la più prossima centro, se vuole andarci ci sono gli autobus, i tram non ci sono più ma ci sono i taxi ha fretta. Signore, questa casa non ha più di cento anni. Ma che bisogno ha di andare a Parigi tutti i giorni, che cosa ci andrebbe a fare, lei che è in pensione? Certo, l'ingresso è buio. (Il Personaggio segue con lo sguar­di gesti della vecchia signora che dà indica­ti particolareggiate sull'appartamento). Manell'ingresso chi ci sta? Serve soltanto per il passaggio. Per entrare e per uscire, questo si chiama «ingresso». Accanto alla  porta, là, sulla sinistra, c'è il bagno, come ha potuto notare. L'impianto è solido, l'ho fatto cambiare da poco. Quando tirerà la catenella, non le rimarrà in mano. Avrà notato le pareti. Ma basta una mano di bianco e tutto si sistema. E poi c'è la porta a vetri, lì, che immette nel grande locale in cui ci troviamo. Come vede, prende luce da tre finestre. È molto ampio, molto lumino­so, ne può fare un salotto-sala da pranzo, e subito dopo, accanto al bagno, c'è la cuci­na, come ha potuto notare, e ci sono le due camere che danno sul cortile. Lei può attrezzare una di queste camere a camera da letto e dell'altra, mi creda, lei è ancora gio­vane, può sposarsi, avere bambini, può far­ne una stanza per i marmocchi. È meglio per un uomo non invecchiare in solitudine. Essere soli non è sempre divertente. Ma in definitiva, in queste cose non c'entro e non voglio dare consigli. È il mio parere ma non glielo voglio certo imporre. Quando si han­no bambini, si hanno anche dei fastidi. Si ri­schia l'ingratitudine, non

sempre, ci sono i buoni, ci sono i cattivi. Insomma, bisogna prendere la vita dal verso migliore. Se pro­prio non vuole sposarsi, della stanza dei bambini può fare un ripostiglio... Ci può mettere le valigie, gli abiti. In questa stanza lei vede (indica col dito in direzione del   pubblico), c'è questa finestra che dà sulla stradina, e poi a sinistra (il Personaggio guarda) l'altra finestra che dà sulla rue de Chàtillon e sta all'estremità della stradi­na. Lì si sentono passare gli autocarri, gli autobus, c'è un po' di rumore, non posso negarlo, ma viene da lontano. Per me, è come un rumore di cose che rotolano, mi calmava, mi  faceva dormire. Ma posso capire, non tutti sono fatti come me, c'è gente che s’innervosisce. Le auguro di essere fatto come me. Poi qui, all'altra finestra, lei trova la stradina, come ho già detto. È tutto un altro mondo. Da un lato, la grande città; dall’altro, la provincia. Da questo lato tutto è tranquillo, signore. In due passi, lei si trova a centinaia di chilometri. Tranquillocome non mai. Come un cimitero. Ma un cimitero che vive, signore, se così posso dire, Tanti vecchi pensionati, non pensionati giovani come lei, pensionati vecchi, pensionati veri. C'è il russo bianco, signore, che è una persona estremamente civile. È un duca, signore. È stato cacciato dalla rivoluzione. Pensi un po' lei. Cacciare gente come questa, così educata, così civile! Va sempre in giro col cane. Un cagnolino carino, cari­no come nessuno. Bene educato, civile, proprio come il padrone. Tale il padre tale il figlio. La signora del secondo piano, an­che lei ha un cagnolino. Molto meno educa­to, quello. Anche la sua padrona non è tan­to gentile. Una volta il piccino mi ha adden­tato la scarpa. E poi nella stradina, signore, dove vede quegli chalets e quei cortiletti, e quegli alberi là, proprio di fronte, ci sta una vecchia coppia, signore, due vecchietti che sembrano due innamorati. Escono insie­me, stanno sempre insieme. Uno sostiene l'altro, l'altro si appoggia al bastone. Si scambiano bacini. È una delizia, signore. Tutte le volte che li vedo, mi vengono le la­crime agli occhi. E poi a destra della casa, lei vede l'altra casetta, ci abita un signore anziano, come avrà occasione di notare. Esce tutti i giorni, se non è malato. Non è un individuo allegro. Per questo le dicevo, signore, che lei non deve fare la stessa fine, deve prender moglie. E poi, alla sinistra dello chalet, c'è un altro chalet, ed è lì che abita la mammona. Qui le cose sono meno allegre. Lei esce tutte le sere e si mette da­vanti alla porta ad aspettare il figliolo, lo aspetta da vent'anni. Questi è andato non si sa se in guerra o in America. Non lo sa nemmeno lei, è passato tanto tempo! Ma lei rimane lì , tutte le sere, nel vano della porta con un ombrello, se piove, o seduta su una sedia che ha messo davanti alla porta, se fa bello. Guarda a destra, sempre a destra, dallo stesso lato, e aspetta, aspetta... senza parlare.  Ancora pochi anni fa, piangeva, si lamentava, tornava dentro in lacrime. Ora è più tranquilla. Non parla nemmeno più da sola. Rimane fino a notte, poi prende la sua sedia e torna dentro. A parte questo, signore  il posto è ridente. In primavera, ci

sono bei fiori in tutti i giardini, grandi fiori, veramente grandi, come non ce ne sono in centro. E di tutti i colori. Crescono meglio che in città e meglio che nella periferia nord. Qui, nella periferia sud, fa più caldo, naturalmente. Quindi, soprattutto di domenica c'è un grande cielo azzurro, soprattutto di domenica. Di solito il cielo comincia farsi azzurro il giovedì. E poiché qui siamo più vicini all'equatore che in centro o nella periferia nord, il sole è molto più grande e molto più vicino. Anche le giornate sono più lunghe e di notte le stelle sono più numerose. Guardavo fuori talvolta, quando soffrivo d'insonnia o tornavo dal ci­nema. Tornavo dal cinema con mio marito. È morto, signore. Per questo le vendo la ca­sa. Non posso vivere qui dentro senza di lui. Ah, mio marito, signore, se lei sapesse. Lei non può sapere che cosa vuol dire esse­re vedova. Ah, signore, non le auguro di sa­perlo. Non ci separavamo mai. Da quarant'anni. Aveva fatto tutti i mestieri. Commerciante, uomo d'affari, imprendito­re, tecnico, macchinista di teatro, suggeritore, ha anche avuto una lavanderia auto­matica non lontano da qui, saranno due­cento metri, l'ha ceduta al suo socio. Ecco, ci può portare la biancheria, e alla fine è di­ventato capostazione. Voleva entrare nella polizia, aveva predisposizione. Oh, signo­re, era un erudito. Aveva letto tutti i poli­zieschi, ne aveva una magnifica collezione. È morto di colpo, signore, così. Stavamo chiacchierando, una sera, lui non era con­tento di come aveva passato la giornata. Aveva avuto delle storie con un suo forni­tore, era un po' nervoso e poi avevamo bi­sticciato un po'. Bisticciava sempre con me quando aveva delle seccature col suo forni­tore. Poi facevamo la pace accanto al fuo­co, là, dove lei vede che c'è il camino, c'era­no due poltrone rosse una di fronte all'al­tra. Io lavoravo a maglia di fronte a lui e lui se ne stava col libro in mano, o col giornale aperto alla pagina di cronaca nera. Eppure era un uomo molto buono, signore, lei non sa, signore, quant'era buono. Si rifugiava nella fantasia, forse. Poi ha portato la mano al petto, si è alzato, io mi sono spaventata e gli ho detto: «Jean, che ti prende?» Lui è caduto lungo disteso, signore, è caduto lun­go disteso. Ed era molto alto, superava i due metri. Quando l'ho visto lì per terra, in quel modo, mi son sembrati quattro. Come se fosse crollata una colonna. Ho chiamato il medico, ho chiamato il sacerdote, avevo perso la testa, signore. Non avrei mai pen­sato che potesse accadere una cosa del ge­nere. Chi se l'aspettava? Pensavo stupida­mente che la vita potesse durare per sem­pre. Ho pianto fra le braccia del sacerdote. Bisognava aspettarselo, mi ha detto il sa­cerdote, capita sempre. O presto o tardi, ma capita. Il buon Dio lo ha chiamato a sé. Al buon Dio lui non ci credeva. Io ci crede­vo, io sono credente, lo ritroverò un giorno sotto un albero, in un giardino pieno di fio­ri. Il medico mi ha detto che era morto per arresto cardiaco. Gli ho chiesto «come un arresto cardiaco?» e lui mi ha detto «si muore sempre quando il cuore si arresta e non batte più». E pensare che era forte, signore, come un turco. Con un pugno avrebbe ucciso un toro.

Andavamo d'ac­cordo. Una volta, era ubriaco, mi ha dato uno schiaffo, mi ha fatto uscire il sangue dal naso, mi ha spezzato un dente ma mi ha chiesto scusa. Ah, era un uomo che sapeva stare al mondo. Io non posso vivere in que­sta casa senza di lui. Vado ad abitare da una nipote nubile, in Provenza, in riva al mare. Ha due camerette, per noi due bastano. Mia nipote vuole ritirarsi con una piccola rendita, e col denaro che le porto io, il de­naro dell'appartamento e qualche picco­lo fondo d'investimento, possiamo vivere tutte e due modestamente. Non abbiamo grandi necessità. Vivremo senza preoccu­pazioni per un bel po', una decina d'anni forse o quindici anni o anche venti. Io non vivrò più a lungo, ora so che cos'è la morte. So che si può morire. So che tutto ha una fi­ne, e pensare che non ci credevo. Ebbene, ora vivrò con mia nipote, non morirò sola e abbandonata. Non le sarò di peso, visto che le porto dei soldi. Io non voglio essere di peso agli altri poiché, signore, quando uno non serve più a niente e ha bisogno di assi­stenza, eh sì, signore, gli si augura la morte per toglierselo di torno. Io stessa ho assisti­to mia nonna perché mia madre era morta giovane, bene, quando mia nonna se n'è andata, ho detto finalmente, ho tirato un respiro, eppure le volevo bene, signore, le volevo bene, lei non può immaginare quan­to bene le volevo. Poi mi sono sposata. Ma bisogna prevedere ogni cosa. Io sono vec­chia. Mia nipote non è più giovanissima. Ora, bisogna pensare a tutto, prevedere tutto e penso anche all'avvenire di lei quan­do io sarò morta, col denaro che ricaverà dall'appartamentino sulla costa e che po­trebbe vendere a qualche americano, tro­verà un posto in una casa di riposo ma di un certo lusso, sì, di un certo lusso. Perché ne ho viste anche di tristi, ma quando l'ospita­lità è buona, quando i vecchietti vengono curati bene, se ne vanno senza accorgerse­ne. Perdono peso, diventano sempre più sottili, passeggiano in giardino col loro bastone, gli uomini, ed anche le donne, pas­seggiano, diventano sottili, poi si vedono soltanto le loro ombre, si crede che siano ancora lì perché ci sono le loro ombre ma loro non sono più lì, ci sono soltanto le om­bre e poi anche le ombre svaniscono, con dolcezza, come se una nuvola nascondesse il sole oscurando ogni cosa. Negli altri rico­veri, nei cattivi ricoveri, vengono maltrat­tati, signore, vengono addirittura uccisi, mi è stato detto, con le iniezioni, vengono as­sassinati perché sono di troppo, non hanno mezzi e vengono massacrati. Oh, basta... Se si sapesse tutto. Ma le sto dicendo la ve­rità. Bene, signore, lei può arredare l'ap­partamento come vuole. (Si alza) Dipende dalle sue preferenze, io me ne vado, me ne vado.

Personaggio    Senta, signora, c'è un bi­strot nelle vicinanze ?

Vecchia Signora   Oh, sì, signore, sta sul­la strada, all'angolo?con l'avenue de Chàtillon.          All'angolo della stradina. Troverà tut­to ciò che desidera. Ci andavo talvolta con mio          marito e tornavamo insieme, con trepi­dazione, tutti eccitati. (Con eleganza) Ha una          cantina eccellente, coi vini della mi­gliore produzione, i più fini, ed è un uomo di gusti            raffinati, di gusti raffinati... Signo­re, mi consenta, devo partire, mi dileguo.

(Va verso la porta, si volta per dire) Dimen­ticavo: in confidenza, non fidatevi della         portinaia.

Esce.

SCENA QUINTA

Entra da destra la signora con un cagno­lino.

La Signora    Buongiorno, signore. La di­sturbo? Non posso disturbare, dal momen­to che          la casa non è ancora sistemata. Vedo una sedia. Posso sedermi? Abito esatta­mente       sotto di lei, alla destra della scala, al secondo piano. Ho già avuto occasione di       notarla, quando lei è venuto a vedere l'ap­partamento prima di comprarlo. Ha fatto    bene a comprarlo signore, i muri sono la co­sa più sicura. L'anziana signora che glie           l’ha venduto era una persona garbata. Le avrà detto che era vedova, le avrà parlato        di suo marito. Racconta sempre la stessa storia. Chiacchiera, parla un po' a vanvera, è           l'età. Io sono diversa. A parte questo, era una persona garbata. La rimpiangeremo. La     si rimpiange già fin d'ora. Sa, a me piace co­noscere la gente che sta qui. Lei gioca a             bridge? Mi fa piacere riunire persone in ca­sa mia, gente che abita qui, che si conosce.      Ci si diverte di più. Non bisogna essere orsi. Diversamente, soli soli ci si annoia. Mi     han­no detto che lei si è ritirato dagli affari, non vuole più lavorare? Un'eredità, non è            così? Come vede, si sa già tutto. Che cosa non si sa! Non sono io che ho fatto    domande. Mi hanno raccontato gli altri. La portinaia. È una che chiacchiera, signore,       non si fidi di lei, ma non è una cattiva donna. Un po' chiacchierona. Spesso dice male   della gen­te. Ma non lo fa per cattiveria. Le porti­naie, le conosciamo. Ha la lingua       biforcuta. Dipende dal mestiere. Ma solo la lingua è da vipera. Per il resto, si può      andare d'ac­cordo. È disposta a fare dei servizi. Le si dà una piccola gratifica, oh, non      molto, non bisogna abituarla. Bisognerà che le trovia­mo una moglie, signore. Ma la      troverete da solo. Bisogna sposarsi. Il matrimonio è una bella cosa. Ma per me è una     sofferenza. Io non ho vissuto sempre in periferia. Per que­sto ho abitudini mondane.        Le piacciono le riunioni mondane? Da me, le riunioni non sono del tutto mondane.          Sono cose in fami­glia. Siamo tutti una grande famiglia. Chi abita nella casa, i vicini,      formano una gran­de famiglia, non è così? Ma lei non creda che io inviti chiunque.        Lei, per esempio, io la inviterei subito. Si vede che è una perso­na per bene, che è un             signore. È carino, il mio cagnolino. Ne avevo sette, signore. È un grosso impegno. Ci      si deve occupare di loro come se fossero dei bambini. Dipende dal fatto che non ho            avuto figli. Non è che non li ho voluti. La colpa è di mio marito. Insomma, è un fatto     di discrezione, non vo­glio entrare nei particolari. È molto scor­butico, sa, mio marito.     Il matrimonio tal­volta è un inferno. Lui non è come me. Sempre lì ad accudirlo, a             coccolarlo, lei può immaginare...  Avevo sette cagnolini e   mio marito. Ero veramente     una schiava. Lo fa­cevo volentieri ma ero una schiava.  Anche lui ha bei modi ma       sta sempre a lamentarsi, a brontolare, e ha bisogno di questo e ha bi­sogno di       quest'altro. È lui che ha voluto ve­nire ad abitare in periferia. Non voleva più             vedere nessuno. Non faccia come lui, si­gnore, adesso è pentito ma ormai è tardi. Talvolta vorremmo cambiar casa ma gli ap­partamenti in centro ora costano         troppo. Mio marito ha delle azioni, dei soldi da par­te, dei valori, ma lei sa          com'è, coi tempi che corrono, i valori non hanno più valore. In ogni caso, ne hanno di      meno. Tutto dimi­nuisce. La vita aumenta. Quel che dovreb­be aumentare diminuisce e quel che do­vrebbe diminuire aumenta. Ci sono mo­menti in cui non ne posso più.          Sempre la stessa casa, le stesse storie, gli stessi proble­mi, ne ho fin sopra i capelli.          Succede che prendo e vado. Pianto lì tutto. Poi torno. Non posso lasciare la casa             abbandonata; e mio marito, coi nervi che si ritrova, ha biso­gno che ci si occupi di lui.      Lei non mi crede­rà. Io sembro allegra, sono ancora giovane, non sono troppo brutta,       così almeno mi di­cono, mi fanno i complimenti, gli uomini si voltano per la strada a       guardarmi, ma io non rimango mai lontana troppo a lungo. Quando penso che lui è là      che non fa nulla e che geme. Ha tutto quel che desidera e si la­menta continuamente. Non ha pazienza, ha i nervi, non sa prendere la vita dal lato buono. Bisogna prendere    la vita dal lato buono, signore, altrimenti che cosa farem­mo? Non potremmo vivere.       Ma possiamo noi vivere veramente? Si vuole vivere la propria vita, non la si vive, e la      si perde. Si sbaglia sempre. Si erra, e si perde la strada. Allora, come le dicevo, io    torno, rientro a casa mia. Rientro stanca. E sono felice di ritrovare quel buon uomo,   mi piazzo qui e organizzo le mie riunioni. E poi, il solito tran tran. Dura quel che             dura. E poi, non ne posso più. Mi sento soffocare, caro si­gnore, mi sento soffocare. E             riparto. E ri­torno. E riparto. E ritorno. E riparto. E ri­torno. Ed è così in continuazione.     Dove an­dare, signore, e dove rimanere? Io voglio tutto, non ho nulla o forse tutto          quello che ho mi sembra che non sia nulla. Ah, se si ì potesse ricominciare da capo! Io   saprei come fare! Lei crede che saprei come fare? Farei altre sciocchezze,             sicuramente. È cre­tina la vita, eh! C'è gente che è più infelice di noi, non bisogna             prendersela. E invece ce la prendiamo mica male. Come dobbia­mo prenderla la vita,       Lei crede che saprei come fare? Farei altre sciocchezze, sicuramente. È cre­tina la vita,   eh! C'è gente che è più infelice di noi, non bisogna prendersela. E invece ce la     prendiamo mica male. Come dobbia­mo prenderla la vita, per non prendercela? Vivere     è noioso, signore. Sono matta, io, un po' matta, non troppo, comunque devo stare     attenta. Ci vuole misura nell'esser matti. Viviamo per niente? Sembrerebbe di no.         Sembrerebbe di sì. Insomma, non si sa. Bravo chi sa rispondere. È lì la questio­ne.       Dovremmo poter guardare sempre sot­to di noi. Mai sopra. Se si guarda sopra, si vede     che gli altri sono più felici di noi. Se si guarda sotto, si vede che ce ne sono di più         infelici. Questo ci consola, ci diciamo che c'è di peggio. Ma, le chiedo io, possiamo    accontentarci del meno peggio? Ah, questo basso mondo non è proprio un             divertimento. Mi scusi se le parlo con tanta franchez­za, la conosco da poco ma lei mi      ispira con­fidenza. É poi, io sono sincera. Mi piace parlare con franchezza. Io dico         tutto, anche a mio marito. Ebbene, lui non è contento. Non vuole che gli confidi tutto     ciò che ho nel cuore. Non c'è niente da fare. Che cosa vuole di più, la gente? Che cosa         vuole di più da noi? Vuole possederci. Vuole prenderci tutto, ed io rimango lì per così    dire tutta nu­da. E allora non posso più dare nulla. Qual­cuno, si dice, continua a dare. Si dice che più si dà più si è ricchi. Lei ci crede, signo­re? Questa è filosofia. Ma come le dicevo, lui non è contento lo stesso. Si annoia, an­che lui non ne ha mai abbastanza.     Nessuno ne ha mai abbastanza. Tutti vorrebbero tutto. Tutto cosa? Non si sa        nemmeno di che si parla. Tutto cosa? Lo chiedo a lei... La vita... Ah, la vita! Ma non    voglio più an­noiarla. Ne ho già dette, di cose. Le hanno mai parlato in questo modo?...         Ah, se sa­pesse. Niente gli piace, a mio marito. Nien­te gli piace. E anche a me, in             definitiva. Sia­mo tutti uguali. E si dice che esiste il buon Dio. E poi, pensare sempre       che c'è qualcu­no che è più infelice di te può anche conso­larti, ma ti prende anche un po' di malinco­nia quando vedi tutti quei miserabili, quan­do pensi a tutte quelle   miserie. A forza di guardare ti potrebbero venire le vertigini, e rischi di caderci            dentro. Ah, questo non lo vorrei, signore, non sopporterei la miseria. E tuttavia,   tuttavia...

             C'è il cielo azzurro. C'è il cielo grigio. E poi, c'è tutto questo. E poi i giornali, e poi la      politica. Non mi di­vertono, a me, i giornali. La politica nem­meno, non mi diverte più.            Alcuni hanno troppo, altri non hanno abbastanza. Io non ne ho abbastanza. Vede che       cosa succede quando si guarda in alto? è molto meglio guardare in basso. Niente che   valga la pe­na, glielo dico io. Ci si annoia. Ci si an­noia... Non si ha idea quanto. Verrà      alle nostre riunioni, vero? Sarà ricevuto benis­simo. Noi sappiamo come si riceve.        Arrive­derci signore.(Si dirige all'uscita) A pre­sto. (Va verso l'uscita, si gira) E si   ricordi. Non si fidi della portinaia.

            Esce.

SCENA SESTA

Da destra, rispetto agli spettatori, arriva il marito della signora del cagnolino.

Nel frattempo il Personaggio ha gettato in un angolo il cappello e il soprabito. Si è se­duto sulla sedia, poi si è alzato d'improvviso dopo aver avuto appena il tempo di ripren­der fiato.

Il Signore     Buongiorno, signore. Forse la disturbo. So che la disturbo. Oh, lei è una   persona civile e non mi dirà mai che la di  disturbo. Ma forse non la disturbo davvero. Mia moglie è appena uscita da casa sua. Ne avrà raccontate, di cose. Ma non sono      venuto per questo. Sono venuto per cono­scerla. Dobbiamo conoscerci, aiutarci l'un      l'altro. Non le svelo nessun segreto. Mia moglie è matta. Chissà che cosa le ha      raccontato. Oh, io sono discreto. E non dirò nulla. Deve sapere, signore, che è una don­na insoddisfatta dell'esistenza. Mai conten­ta. Ma lei dice che sono gli altri che       non so­no mai contenti. Non è vero. Lei non sa più che cosa fare. La vita è             tremenda per una donna di quel genere. Non vuole avere fi­gli. Io li avrei voluti.   Lei       ha fatto di tutto per             non averne. Io le dicevo che se avesse avuto dei figli si       sarebbe annoiata di meno. Ne conveniva ma ha voluto tentare prima coi cani. Ne       ha preso un'intera nidiata. A me non piacciono gli animali, preferisco i bambini, ma       insomma nemmeno detesto a gli animali. Li ha avvelenati, signore. Per fortuna non         abbiamo bambini. Avrebbe fatto la stessa cosa! Ora sarebbe in prigione  Le ho detto:            non sei contenta di essere sfuggita alla prigione? In ogni caso stai me­glio a casa tua.           Questo ti dovrebbe dare conforto. Lei si annoia. Si può avere molta pazienza, si può            essere un uomo vero, ma qualche volta se ne ha abbastanza. Bisogna dimostrare             giudizio con le persone che non ne hanno. Lei organizza delle riunioni in casa. I   vicini, gli amici del quartiere. Vuole sempre vincere. Non gioca per denaro ma vuole   sempre vincere. Oh, le piace anche il denaro. E che cosa ne fa? Lo mette nei salvadanai che tiene in casa. Rompe tutto, i piatti, strappa le tende, lascia qualsiasi cosa sul pavimento per poterlo sporcare. E le ca­pita di farlo davanti alle persone che convo­ca per le riunioni mondane. E le maltratta. Loro per un po' la prendono sul ridere, poi si scocciano e non vengono più. Lei ne invi­ta degli altri. È per questo che è venuta a farle visita. Allora ne cerca degli altri. Fra un po' avrà esaurito il quartiere. E quando nessuno vuole venire, lei esce, ha degli amanti, non so come riesca a trovarli, è piuttosto scipita, a me poco importa, io prendo le mie misure. E poi ogni volta che trova qualcuno, crede che i guai siano finiti.

Ma si annoia, signore, finisce per annoiarsi con chiunque. Altre volte quel che le sto di­cendo non è del tutto vero, altre volte lei se la ride, una specie di ilarità isterica. La cosa è persino divertente. Ma a me non sta bene. Quando va in furia, rompe i piatti, quando è allegra in quel modo pazzo continua a romperli, per aumentare la propria alle­gria. Lei dirà che dovrei farla curare. Ci ho pensato anch'io. L'hanno vista diversi me­dici. Uno non ha resistito. Lei gli saltava sempre al collo. Si è tolto la vita. Gli aveva trasmesso la sua pazzia. Eppure era un me­dico dei pazzi. Era pazzo anche lui perché era un medico dei pazzi. Curare i pazzi non è un piacere. E contagioso come un virus. Non le dico questo perché non venga al bridge, alle riunioni. Ma si accorgerà da sé come stanno le cose. Io cerco delle persone amiche. Mi piace bere un bicchiere al caffè. La inviterò. Ce ne sono di buoni nel quar­tiere. Ma quella donna, che cos'ha quella donna io non lo so, non lo so proprio. Ba­sterebbe poco perché guarisse. Una parola, forse. Una parola. Ma quale? Lei però non si lasci abbindolare. Non lo dico perché so­no geloso. Come le ho detto, non m'importa niente. Lo dico per lei, signore, stia at­tento. Rischia di ammalarsi, con quella donna. Lei mi sembra una persona di buon senso, equilibrata, di ottimo carattere, mi sembra di sano intelletto. Potrebbe uscirne sconvolto. Quando ha i suoi attacchi, quel­la, farebbe crollare la torre Eiffel. Rende­rebbe nevrasteniche le case. Le pietre! I ca­merieri dei caffè! Andremo magari più lon­tano. Ho la macchina. Berremo un goccetto, non molto. Bere non è di mio gusto, ma mi fa piacere lo stesso. Che ne dice? Eh, che ne dice lei? Oh, ma non voglio tediarla. Me ne vado. La sto tediando. È il tedio di mia moglie che passa attraverso di me. Venga a trovarci ugualmente. Ci faremo quattro risate. Dunque, arrivederci. A pre­sto. In confidenza, non si fidi della porti­naia.(Se ne va.Ritorna un attimo dopo)Mia moglie è una cattivissima cuoca. Si dirà poi che la colpa è sempre degli uomini. (Se ne va davvero).

Il Personaggio si siede sulla sedia. Nuovo ingresso. Il Personaggio si rialza di scatto un'altra volta.

SCENA SETTIMA

Arriva dalla stessa porta un signore, preferibilmente alto di statura, dai capelli bianchi, zoppica e si appoggia ad un bastone

IL SIGNORE        Mi scusi se entro all'improv­viso. Vedo una sedia. Mi scusi se la            prendo. Faccio fatica a stare in piedi. Sono venuto per fare la sua conoscenza. È             necessario che ci conosciamo. È necessario conoscersi reciprocamente, per potersi    apprezzare. Una volta conosciuta una persona, si può incominciare ad amarla o a             prenderla in simpatia. Lei mi è già simpatico. Mi piace molto simpatizzare con la gente. Che faremmo se non potessimo simpatizzare? Le guerre si fanno perché non ci   si conosce ab­bastanza. O perché non ci si conosce per niente. Ne ho viste, di guerre.            Come vede, zoppico, sono stato ferito in guerra. Ecco, si faceva la guerra a gente che        non si conosceva, con la quale non ci si poteva intende­re proprio perché parlava   un'altra lingua. Se noi avessimo imparato la loro lingua, se essi avessero imparato la   nostra, ci sarem­mo incontrati prima, non ci saremmo fatti la guerra. In breve, non           voglio tediarvi ol­tre, sono rimasto invalido per tutta la vita. È una tragedia, signore,        una tragedia. Non leggo più i giornali. Mi rendono infelice. Dia un'occhiata ai      giornali, io ormai non lo faccio più, non ci sono che carneficine, omicidi, epidemie,    inondazioni, pestilen­ze, terremoti, genocidi, incendi, tirannie. A che cosa mira tutto     questo? Le spiegazio­ni che vengono date, lo sfruttamento dell’' uomo da parte            dell'uomo, le ingiustizie sociali, le carenze economiche, son poca cosa, mi sembra, per             giustificare il massa­cro universale. Le ideologie, le rivendica­zioni, non possono    spiegare tutto, stanno molto al di qua dei cataclismi che si verificano. Le ideologie         sono sopraffatte dalla vio­lenza. Sono soltanto un pretesto per la vio­lenza, un mistero.    Tutto è mistero. E tutto è violenza. È stato detto « amatevi l'un l'al­tro », in verità si             sarebbe dovuto dire « man­giatevi l'un l'altro». D'altra parte «amate­vi l'un l'altro»             vuol     dire proprio questo. Si mangia quel che si ama. Il mondo è fatto male. Chi lo ha           fatto    non è riuscito nell'in­tento. Siamo obbligati a mangiare, viviamo in un sistema economico chiuso. Nulla ci viene da altre parti, e siamo obbligati a mangiare, a     mangiarci, per sopravvivere. Guardi un po' nel microscopio e veda quel che succede        nelle cellule: gli esseri micro­scopici si divorano l'un l'altro. Poiché tutti vogliono            vivere. Ma perché è stato messo dentro di noi questo desiderio di vivere? Perché il       creatore che ha fatto questo fottu­to mondo ha voluto che la sua opera duras­se nel      tempo. Allora ha messo dentro di noi questo desiderio di vivere e questo deside­rio di     mangiarci, di ucciderci reciproca­mente, poiché, ho appena finito di dirlo, viviamo in      un sistema economico chiuso. Se potessimo non desiderare di vivere, il pro­cesso avrebbe termine. Ma lui non vuole che abbia termine. Allora ci costringe a             vivere, a sopravvivere, coi nostri desideri che esplodono. Ho tentato di spegnere in         me i desideri. Desiderio di tutto, desiderio di qualunque cosa, desiderio di niente. Il      desi­derio del niente è sempre un desiderio. Non crede lei che stiamo vivendo    all'infer­no? Che l'inferno è qui? Siamo tutti asseta­ti, affamati, pieni di       brame e se      dovessimo appagare la nostra fame, appagare la no­stra sete, soddisfare i nostri    

            desideri, insor­gerebbero altri desideri, e avremmo ancora fame e ancora sete. Ha l'immaginazione fertile, Lui. Ne inventerà delle altre, il fur­bacchione, a bizzeffe. Non    bisognerebbe lasciarlo fare. Siamo tutti schiavi, dipendia­mo gli uni dagli altri, chiediamo sempre agli altri di appagare i nostri desideri. Potessi impedirmi di bere             l'acqua, di mangiare il pane. La cosa è possibile. Ho tentato di non mangiare,       io, e     di non bere per tre giorni, ma non ho potuto resistere oltre. Dovrem­mo toglierci la      vita. Non è facile. Perché Lui ha messo dentro di noi anche l'istinto di conservazione, la paura della morte. Lui ci difende da noi stessi. Ha inventato la pau­ra. A dire la         verità, io ho davvero paura di tutto. Lei non si sente minacciato?    Ho soprattutto           paura   quando non ci sono perico­li. Mi domando che cosa si sta preparando     contro di noi. C'è qualcosa che cova nel si­lenzio, nella tregua. Ho l'impressione che i            muri stiano oscillando. Che un terremoto sia in preparazione. Ho l'impressione che      gli oggetti siano sostituiti da altri oggetti che sembrano gli stessi di prima ma che non      lo sono. Avvengono, credo, continue sosti­tuzioni. La sedia sulla quale sto seduto in       questo momento non èla stessa che c'era quando sono entrato. Tutto si muove             sento   più, ma scricchiolii, dislocamenti in­sidiosi, ce n'è sempre. È strano. Perché lo fa? Ad        ogni istante tutto rischia di spaccar­si, di rompersi in due. Mi meraviglio che non sia         ancora accaduto. Me lo aspetto da un momento all'altro. Lei non deve credere che io      manchi di saggezza, al contrario, io sono assennato, assennatissimo. Ma non posso         accettare qualsiasi cosa. Chi ha più senno? Chi accetta qualsiasi cosa o chi ha deciso    di non accettare niente? La rasse­gnazione è un segno di saggezza? A volte, mi vien         voglia di pensare che la saggezza è un'altra forma di follia. Ci fosse almeno concessa      la possibilità di imparare qualco­sa. Non possiamo conoscere nulla, siamo degli sprovveduti. Siamo stati privati della possibilità di concepire questo mondo per­ché             non si può concepire né il finito né l'in­finito né ciò che non è né finito né infinito.             Viviamo in una prigione che è una specie di scatola. Questa scatola è inscatolata in          un'altra scatola, che è inscatolata in un'al­tra scatola, che è inscatolata in un'altra   scatola, che è inscatolata in un'altra scatola, inscatolata in un'altra scatola, e così di        seguito            , all'infinito. E l'infinito, come le dice­vo, non si può concepire. Tutto è             inconcepibile. E i grandi dotti non ne sanno di più. Non potere nemmeno immaginare     l'uni­verso da un estremo all'altro, in ciò che si può chiamare da un estremo all'altro             poi­ché l'universo non ha forse estremi. Se non altro, concepire il non estremo. Noi        siamo fatti per non sapere. Io posso sapere una sola cosa, una sola, ed è che non posso             sa­pere. Io non posso sapere niente. E questo, io non lo ammetto. Gli è indifferente che    io lo ammetta o no, poiché ci ha fatti così, poi­ché ci ha fatti per non sapere. Di             proposito. E si costruisce, signore, e si costruisce, si­gnore, si fabbrica, si fanno aerei,       si fanno cannoni e obici, si fa l'elettricità, cose astronautiche, si va nello spazio. Ci si       inge­gna per fare un po' di tutto. Si possono fare lavorucci nell'inesplicabile.             Nell'inestricabile. Che guazzabuglio! Bene, ci rivedre­mo, spero, ora me ne vado.            Torneremo a parlare di tutto questo. Ho fiducia in lei, lei mi fa capire molte cose. (Si    alza, se ne va) Arrivederci, signore. Un'altra cosa: non si fidi della nostra portinaia.

Esce.

                                  SCENA OTTAVA

Il Personaggio va a sedersi sulla sedia e ri­mane immobile per qualche istante. Dopo un po', alza la testa, guarda il soffitto, poi il pavimento, poi attorno a sé. Lentamente, si dirige a destra. Le sue scarpe scricchiolano sul pavimento. Ha l'aria un po' spaventata. Si china, tasta il pavimento, le scarpe. In punta di piedi, delicatamente, appoggia la mano sulla parete di destra per accertarne la solidità. Alza le spalle come a dire «è soli­do». Va verso la parete di fondo, ripete lo stesso gesto. Va pure alla parete di sinistra. La tocca delicatamente poi più forte, poi preme con tutte le sue forze. Fa l'atto di indietreggiare. Indietreggia ancora di qua che passo. Aspetta qualche istante. Alza le spalle.

Personaggio                          Regge bene.

Si mette al centro della stanza e guarda verso il soffitto.

            Alza un'altra volta le spalle, ma ha sem­pre l'aspetto inquieto. D'improvviso si diri­ge verso il punto della stanza dove aveva get­tato il soprabito. Si fruga nelle tasche, ne estrae un pacchetto di sigarette, poi, con pru­denza, in punta di piedi, si dirige verso la se­dia, ha l'intenzione di sedersi. Esita. Si ac­certa che la sedia sia solida e che resista. Si siede, si sistema. Accende una sigaretta e ri­mate lì, seduto, qualche istante, fuma.

            Alcuni istanti di silenzio.

            Si guarda attorno per gettare il mozzico­ne. Finalmente si decide e getta a terra il mozzicone, lo schiaccia col piede, guarda di nuovo verso il soffitto.

            Guarda il soffitto.

            Riprende il pacchetto di sigarette che ave­va messo in tasca, ne prende una, la rimet­te nel pacchetto e si rimette il pacchetto in tasca.

Si alza, rimane qualche istante immobile di fronte al pubblico. Si mette improvvisa­mente a saltare, quindi si ferma.

Rimane ancora per un po' immobile, poi si precipita verso l'angolo di sinistra metten­dosi di fronte al pubblico dove si suppone che ci sia una finestra. Tira un'immaginaria cortina e guarda il pubblico, vale a dire nella strada.

Silenzio.

Personaggio                     E’allegro.

Si allontana dalla finestra, fa il giro dell’appartamento, tenendo le mani dietro la schiena, parecchie volte di seguito, ispezio­nando i luoghi. A un certo momento, esce dal fondo. Lo si sente camminare per un cer­to tempo nelle altre stanze dell'appartamen­to, poi il Personaggio riappare. Il periodo in cui il Personaggio è assente dal palcoscenico deve durare abbastanza a lungo, forse un minuto o due. Va di nuovo a sedersi sulla se­dia, estrae il pacchetto di sigarette, prende una sigaretta, si mette il pacchetto in tasca, accende lentamente una sigaretta, guarda nel vuoto, sempre piuttosto a lungo, ha una faccia inespressiva.

Arriva la portinaia. È una donna d'una quarantina d'anni, di aspetto abbastanza mite. Entra dal fondo. Prima che entri, la si sente dire:

La Portinaia     Buongiorno, signore. Sono la custode. (Il Personaggio si gira brusca­mente     mostrando qualche segno di appren­sione, volta la schiena al pubblico quando la          portinaia appare. L'aspetto di lei è del tutto inoffensivo) Buongiorno, signore. I suoi        mobili sono giù. Li porteranno fra qualche minuto. Lei ha molti mobili. Dovrà fare      diverse conoscenze nel quartiere. Non deve vivere solitario come un orso. Nella sua        situazione, può essere contento. Bisogna es­sere allegri, dentro. Se si conserva un po' di sole nel cuore, tutto diventa allegro e gio­vane anche se il cielo è grigio. È quello    che faccio io. È bello esistere. Le troverò una domestica che le governi la casa. Lei di     si­curo non saprà nemmeno usare un' aspira­polvere! Vede, signore, c'è da stupirsi di         tutto. Io ascolto molto parlare le persone, mi piace sentire quel che dicono, è il mio            mestiere essendo la custode. Cosa vuole, sono curiosa. C'è sempre qualcosa      d'interesse in quel che le raccontano, anche quando dicono delle bestialità, dipende      dall'intelligenza. Gente ce n'è un mondo. E ci sono dei mondi nel loro mondo. Ci sono    fatti, ci sono drammi, ci sono commedie. Hanno tutti avuto delle avventure. Certi        vecchi sono morti. È così, tutto finisce e tutto si rinnova. (Si sente un rumore. La     portinaia esce un istante. Ritorna con una cassetta) Sono già arrivate delle bottiglie.           No, signore, io non bevo. (Posa la cassetta, che in seguito il Personaggio metterà             nella credenza, quando questa arriverà) Me ne vado, signore, devo occuparmi del           cane e preparare la minestra. La cosa la disgusta? Lei non sa signore quanto mi           appassiona badare al cagnolino e alla minestra. Io chiacchiero troppo, sono la custode, devo proprio andare. Ah, un'ultima cosa, ma detto fra di noi, nevvero, non si fidi della         si­gnora del cagnolino, lei non sa fino a che punto è cattiva, un'autentica vipera, e suo      marito non è molto meglio, e il russo che è venuto a parlare con lei mi hanno detto che è una spia. L'aspetto ce l'ha. Io ne sono convinta. Non si fidi delle persone che fin­gono       di esserle amiche. La vogliono circui­re, la vogliono tenere fra le loro grinfie, le             toglierebbero la gola, la ucciderebbero. Ma non si deve preoccupare, signore, a parte       questo sono persone gentili. Se lei vuole, e se è gentile, posso riferire altri particola­ri.       No, no, signore, niente cognac, le dico, non ne voglio. Io non bevo mai. Tranne il        pastis.

                              Se ne va.

                            SCENA NONA

      

Si sente un rumore proveniente dal fondo della scena. Il Personaggio si alza e si volge in direzione del rumore. Si vede comparire una grossa credenza gialla. Il Personaggio si dirige verso la credenza che si muove su rotelle. Spinge  la credenza gialla contro la parete destra del palcoscenico. Il Personaggio si allontana un po’, contempla a lungo la credenza, assume un aspetto soddisfatto. Apre la credenza, prende  una bottiglia di cognac, un bicchiere, si versa da bere, beve un bicchiere. Rimette

la bottiglia nella credenza, ci ripensa, si versa un altro bic­chiere, lo beve. Poi rimette al loro posto la bot­tiglia e il bicchiere.

       Si sente un altro rumore e si vede apparire, sempre dalla porta di fondo, un tavolo roton­do che ha le gambe fornite anch'esse di rotelle. Il Personaggio spinge il tavolo fino al centro della scena, guarda di nuovo il tavolo con sod­disfazione, gli passa la mano sopra come per togliere la polvere benché il tavolo sia pulito e lucido. Poi, sempre dal fondo, arrivano sei se­die, una dopo l'altra, che il Personaggio dispo­ne, lentamente, senza precipitazione alcuna, attorno al tavolo. Si allontana un poco per contemplare il tavolo, le sedie, e la credenza. In precedenza, aveva messo la prima sedia, quella presente all'inizio, in disparte, verso l'angolo di sinistra. Quindi arriva, sempre dal fondo, un tappeto rotondo di un rosso rosato ch'egli dispone sotto al tavolo dopo avere, con una certa fatica, collocato il tappeto sotto alle sedie e al tavolo che ha sollevato uno dopo l'al­tro. Altre quattro sedie arrivano dal fondo ch'egli colloca ai due lati della grande creden­za. Da sinistra, vale a dire da destra rispetto agli spettatori, arrivano due poltrone azzurre e viola, una dopo l'altra. Anche le poltrone naturalmente  si muovono su rotelle. Egli le di­spone di fronte al pubblico, alla destra del pub­blico, nel punto in cui si suppone ci sia la fine­stra. Come per provarle, si siede su una poltro­na e quindi, un po' più a lungo, sull'altra. Ha l'aria di sentirsi a suo agio. Resta così per qual­che tempo, si alza, va a provare una dopo l'al­tra  le sei sedie che si trovano attorno al tavolo, le rimette al loro posto. Arriva dal fondo una tela arrotolata, la svolge e la fissa alla parete di fondo. La tela deve essere abbastanza grande perché il pubblico possa riconoscere il soggetto del quadro: due cani padre e madre, e il cagnetto  figlio, dei setter. Arriva dal fondo un primo tavolino. Il Personaggio lo afferra, cerca con lo sguardo sul palcoscenico un posto  adatto all'oggetto. Lo trova, colloca il tavolino,  fra le due poltrone. Arriva un altro tavolino, ch’egli colloca in mezzo al palcoscenico. Arri­va una cassa dalla quale il Personaggio estrae uno dopo l'altro tre vasi: uno per il tavolo, uno per il primo tavolino, un altro per il secondo tavolino. Appare dal fondo un grande divano verde. Egli dispone il divano dietro le poltrone

Poi cambia idea e mette le due poltrone dietro il divano, poi da un lato e dall'altro del divano. Arriva un'altra cassa ed egli ne estrae un lampadario con paralume arancione. Fa ac­cendere il lampadario, lo contempla, poi lo spegne, poi lo riaccende, poi torna a spegner­lo. Dalla soffitta, scendono doppie cortine ros­se, ornate di foglie nere. Le appende nel vuoto. Una pendola sorge dal fondo. Il Personaggio colloca la pendola a lato della grande creden­za. Con un calcio, rimanda verso il fondo le due o tre casse che ora sono vuote. Contempla l'intero complesso, tutti gli oggetti, uno per uno, va a sedersi sul divano, poi vi si stende so­pra. Incrocia le mani dietro la nuca e fischietta. Smette di fischiettare, chiude gli occhi, stende le braccia lungo il corpo. Resta immobile in questa posizione per un certo tempo. Poi, bru­scamente, si alza, si dirige alla credenza, pren­de di nuovo la bottiglia del cognac, si versa da bere, un bicchiere, un altro, poi rimette la bot­tiglia nella credenza, passa saltellando da un mobile all'altro, guarda dalla finestra immagi­naria, scompare dal fondo. Una pausa abba­stanza lunga, la scena rimane vuota, tutta in­gombra. Si sente il Personaggio camminare sul fondo e canticchiare. Ricompare, sempre dal fondo, con uno strofinaccio in mano, e si mette a lucidare il pavimento, sotto il tappeto, sotto le sedie, in tutti gli spazi liberi. Estrae dalla ta­sca posteriore  dei pantaloni una bottiglia piatta di cognac, beve un sorso a garganella. Si rimette la bottiglia in tasca. Ricomincia a lucidare il pavimento. Cala il sipario.

FINE DELLA SCENA NONA

 

Il sipario può abbassarsi alla fine di questa scena, oppure si possono semplicemente abbassare le luci. Il sipario viene abbassato nel caso in cui si decidesse di fare un intervallo a questo punto. In ogni modo, qualora si abbassino semplicemente le luci, si sentiranno immediatamente nell’oscurità che consente il cambiamento di scena i rumori indicati più sotto. Se c’è l’intervallo, gli stessi rumori si sentiranno nel buio prima che la rappresentazione riprenda.. Si sentono rumori di autobus in movimento, motori di motocicletta, richiami come borborigmi: sentunpo’, checcè, fischi, grida sovrapposte di un uomo e di una donna che bisticciano, grida, una risata, un grido, una tromba, un brulicare di passi nella strada. E rumori reali oppure inventati, ecc.

SCENA DECIMA

Una Coppia, Uomo e Donnadi una certa età; Due Uomini; La Cameriera, Il Padrone; Il Personaggio.

Grossi pupazzi possono rappresentare altri personaggi.

Scena: La sala di un ristorantino di perife­ria, quasi provinciale. Sul fondo, il banco. Il padrone è al banco. Un uomo solo seduto a un tavolo. Due o tre altri tavoli attorno ai quali al­cuni pupazzi seduti rappresentano gli avvento­ri (questo nel caso in cui non vi siano attori o comparse in numero sufficiente). Un grande specchio può eventualmente contribuire a dare l'impressione che gli avventori siano più nu­merosi. In primo piano, un tavolino vuoto. Per qualche istante, abbastanza lungo, la gente mangia in silenzio. Sempre in silenzio, la ca­meriera entra ed esce dal fondo, a destra, por­tando dei piatti e posandoli sui tavoli ai quali sono seduti gli avventori. Si fa sentire, piano, il rumore sordo dei veicoli che passano sulla  strada. L'uomo al banco beve un aperitivo quindi si dirige verso un altro tavolo e si siede. Vaghi mormorii poi di nuovo un silenzio piut­tosto cupo.

Entra da sinistra, vale a dire da destra ri­spetto agli spettatori, il Personaggio. Si sente il rumore, leggero, della porta che si apre. Il personaggio viene avanti fino al centro della scena, guarda attorno a sé. Gli va incontro la cameriera, giovane, piacevole, di bella presenza senza malgrado l'aspetto un po' stanco.

Padrone                          Signore.

   Gli altri personaggi seduti ai tavoli non restano alcuna attenzione al Personaggio.

La Cameriera      Vuole mangiare?  (Il Per­sonaggio accenna di sì col capo. Poi indica il         tavolino che sta al proscenio). Certo, si accomodi pure lì se vuole.

Il Personaggio ringrazia, sempre accen­nando col capo, e va a sedersi. Poi si alza per Appendere all'attaccapanni il soprabito e il appello. Torna a sedersi mentre la camerie­ra apparecchia la tavola e porta la lista.

Il Personaggio prende la lista.

Tutto questo con diverse pause.

Cameriera        Prende un aperitivo?(Il Per­sonaggio fa cenno di sì). Lo prende qui o al bar?

Personaggio     Al banco. (Guarda verso il banco)        No, qui.

Cameriera        Un pastis ?  È appena arrivato.  O un Campari?  Pastis o Campari?

                           Anche il Campari è appena arrivato.

Personaggio            Campari.

Cameriera        Con ghiaccio e seltz?

Personaggio                         Doppio.

Cameriera    Poi?(Pausa. Il Personaggio consulta la lista, indeciso). Le proporrei una sardina sott'olio. Sì? Bene. Una sardi­na sott'olio. Poi?(Il Personaggio è                                   indeciso). Una bistecca? Del manzo alla borgognona?

Personaggio            Bistecca! No, manzo! No, bistecca ben cotta.

Cameriera               Con patate fritte? Bene. Con patate fritte.

Personaggio            E del camembert.

Cameriera                Perché non prende del brie? E’ migliore. E’ fatto come si deve. Lo                                   vuole il dessert? È fatto come si deve. Lo vuole il dessert? Bene.                                                Deciderà in seguito. Vuole bere qualcosa? Le consiglierei il beaujolais.                          Della cantina della casa. Ora le porto il Campari.

                                   (Porta immediatamente il Campari. Il Personaggio lo beve d'un fiato).                             Oh! Di già!

Personaggio            Ho sete. Grazie. Beaujo­lais, ma non mezza bottiglia, una intera.                                    (Mentre la cameriera si allontana per esegui­re l'ordinazione, il                                          Personaggio mette i go­miti sul tavolo, col viso fra le mani. Beve d'un                          fiato il Campari)      Un altro!

Cameriera               Non così in fretta, le può far male.

Non sembra che il Campari abbia fatto male al Personaggio. Che ora appare diste­so. Ha un tantino la faccia da cuorcontento. Guarda attorno a sé, sorridendo, soprattutto dal lato del pubblico, dove dovrebbe trovar­si la strada ch'egli vede attraverso i vetri. Si vede il padrone che beve tutto solo un bic­chiere al banco.

Nel frattempo la cameriera va silenziosa­mente a servire sia gli avventori reali sia gli avventori-pupazzi, se ci sono. La gente mangia in silenzio. Si sente soltanto qualche rumore della strada. In seguito i movimenti diventeranno irreali e la cameriera si muove­rà in maniera irreale in una sorta di danza. Dopo un certo tempo, i rumori della strada diventeranno quasi musicali per sottolineare ulteriormente tale aspetto d'irrealtà.

Il Personaggio mostra alla cameriera il bicchiere vuoto.

Cameriera               Subito.

Personaggio (guardandosi attorno)   Tut­ta quella gente...

Il Vecchio Signore (al tavolo della coppia anziana, alla vecchia signora)  Ti piaccio­no           queste rillettes?

Personaggio (guardando di nuovo verso il pubblico) Qualcosa si sta muovendo.

Vecchio (alla moglie)    Dove andremo a fi­nire? Siamo governati da imbecilli. Con gente di     questa fatta che ci governa, non possiamo andare lontano...

Primo Uomo (solo al suo tavolo)    Si andrà troppo lontano invece. Un giorno lo si ve­drà!         Non saranno contenti quando vedran­no il bel risultato!

I due vecchi guardano l'uomo e si rituffa­no sui loro piatti.

La Vecchia   (al suo tavolo) Non so dav­vero quel che si dovrebbe fare. Tu l'hai già fatto?

Secondo Uomo         (al primo)        Oh, sì, certo.

            Arriva la cameriera, portando il vassoio con le ordinazioni. Posa il vassoio sul tavolo.

Cameriera    Ecco il Campari, ecco il suo beaujolais. La sua bistecca, il suo formag­gio.             (Dispone il piatto di portata, i piatti, le posate, con grazia. Il Personaggio afferra il       bicchiere di Campari e lo tracanna d'un fia­to). Lei è troppo avido, signore, e beve          troppo. Le può far male.

Personaggio            Oh, no.

Cameriera    II nostro vino è buono, sa? I nostri aperitivi pure. È tutta roba fresca, quello         che teniamo. Il nostro è il miglior ristorante del quartiere. Si fa la cucina della        padrona. Ma lo stesso non bisogna esagera­re. Tutti i nostri clienti mangiano con appe­tito. Il nostro è il miglior ristorante del quartiere. C'è anche una birreria che             vorrebbe essere elegante, non ci va nessuno.

Personaggio  (dopo aver vuotato il bicchie­re)        Vorrei venirci tutti i giorni. Mi può   riservare lo stesso tavolo?

Cameriera    Vedo che lei è attaccato alle sue abitudini. In un piccolo ristorante non si prenota. Ma se lo desidera, posso chiede­re al padrone.

            Va dal padrone e discute silenziosamente con lui.

            Il padrone accenna di sì con la testa. Nel frattempo, il Personaggio si versa un     bicchiere di vino. Beve. Gli altri hanno tutti la testa sul piatto. La cameriera torna dal

            Personaggio.

Cameriera   Sì, signore, il padrone ha ac­cettato. Tutti i giorni alle dodici e mezza. Allora,                    d'accordo.

Personaggio            Grazie. Lei chi è?

Cameriera               Mi chiamo Agnese. Sono la cognata del padrone. Anche un mio cugino                           lavora qui. È il padrone che fa gli acquisti all'ingrosso.

Personaggio            Lei crede che la cosa starà in piedi indefinitamente?

Agnese                      Noi non ci saremo più e la cosa sa­rà ancora in piedi. Non si dia pena.                                Stia tranquillo.

D'improvviso una luce sulla tovaglia; è un raggio di luce che viene proiettato dall'alto.

Personaggio                        Oh, straordinario.

Agnese                      È semplicemente un raggio di luce.

Personaggio                        (una pausa dopo ogni pun­to) Questo cambia tutto. È strano. Stra­no, e                               del tutto nuovo.

            Febbrile.

Agnese          Mi scusi, signore. Ho da fare. Ma no, no, non l'abbandono. Ritornerò.

           

            Si muove.

            Qualcosa sembra trasformarsi nell'atmo­sfera del ristorante. La luce si è diffusa un           po' dovunque. Il Personaggio si siede, si rialza, si siede, si rialza.

Uno Degli Uomini  (al tavolo, chiamando la cameriera) Signorina, i miei funghi per favore.

          Le voci e i movimenti sono un po' sfasati e le ordinazioni più banali sono quasi     cantate, i movimenti quasi di danza.

Vecchio        (alzandosi e tornando a sedere)         Il nostro sanguinaccio, per favore.

Altro Uomo(al tavolo)       La mia insalata di patate.

            La cameriera obbedisce alle richieste.

Personaggio            Patate.(Estasiato)      Forchet­te, piatti, coltelli.

            Rumore melodioso di piatti e posate.

Padrone        (sempre cantando)      Sono belle.   Sono buone, Quel che è buono è bene.

Personaggio            Oh, il beaujolais!

Padrone   (sempre danzando e cantando)               Il vino è sole in bottiglia.

Cameriera(si muove danzando e cantan­do)          Arriverò, pazienza. Tutto arriverà.

           

            La luce diventa sempre più intensa.

Vecchia Signora    (al tavolo)     Tutto arri­verà. Come si sta bene qui.

Primo Uomo  (al padrone)   Padrone, posso offrire un bicchiere?(Va verso il banco e beve       un bicchiere col padrone).        Devo tor­nare al lavoro. Ma ho ancora tempo.

Il Personaggio indica alla cameriera la bottiglia vuota.

Cameriera    Ne vuole un'altra? Non le sembra troppo?

Vecchio        (sempre cantando) Sono in pen­sione da quindici anni.

Cameriera    Ecco il vino.

Vecchia        Ma noi siamo vivi, vivissimi.

Personaggio                        II caffè.

Secondo Uomo         Ah! Se tutti i giorni fosse domenica.

Vecchio        Non è mai la stessa cosa.

Padrone        (al primo uomo)         Un altro bic­chiere, è il mio turno.

La cameriera porta il beaujolais, il caffè, riparte. Quasi danzato.

Primo Uomo             Accetto, grazie.

Vecchio        Con tre, siamo a nove.          Si alza.

Primo Uomo (alla cameriera)         Non beve un  bicchiere con noi?

Cameriera    Non posso, signore, come ve­de sono carica di piatti. Devo servire. Ber­rò un                     goccio più tardi.

Primo Uomo   (girandosi verso la sala guarda da ogni lato. Ha l'aria euforica) Non c'è spesso il sole in questo periodo dell'anno.

Vecchia        (alzandosi anche lei)             Difficile a dirsi.

  

    Si alzano tutti e guardano verso la sala. A poco a poco ma abbastanza in fretta la luce scompare e tutto ritorna nel grigiore. I vec­chi e gli altri si girano, tornano a sedersi. L'uomo riprende il suo posto. I movimenti danzanti si esauriscono. Il Personaggio tor­na a sua volta a sedersi. Il canto ridiventa mormorio poi silenzio. Tutti tacciono. I visi ritornano cupi.

Il Personaggio si alza d'improvviso. Si ri­siede.

Il rumore delle stoviglie non è più musi­cale.

   Tutti guardano il Personaggio, stupiti, e ricominciano a mangiare.

Personaggio                        (alla cameriera)          Hanno spento.

Cameriera    Di che cosa parla? Tutto è co­me prima. Ho l'impressione che lei non si senta a      suo agio. Le porto un cognac.

      Gli avventori hanno un aspetto assente e cupo come se in effetti nulla fosse accaduto. Mangiano in silenzio.

      La cameriera, che si era avvicinata, lo guarda per un attimo senza reagire, poi si allontana.

Personaggio (guardando dalla finestra, va­le a dire di fronte al pubblico) Qualcosa si     muove, qualcosa si muove. (Si alza. Nessuna reazione nella sala). Non sentite nulla?

   Torna a sedersi. La gente continua a man- ire in silenzio. Si sente il rumore dei piat­iti e delle posate. Tutto è ritornato greve o neutro.

   Quindi, rumore violento, proveniente dall'esterno, di motociclette. Se è possibile, sullo sfondo, si faranno passare ombre di motociclisti sulle loro moto. Nel medesimo istante in cui i rumori cessano, entrano ru­morosamente, agitati, vociferanti, gli altri.

   Un uomo passa sul fondo con la testa fa­sciata, poi due. Un uomo entra, col fucile a tracolla, si dirige al banco con passo deciso. La gente che si è rimessa a desinare gli dà appena un'occhiata e continua a mangiare.

Il Rivoltoso (marziale)  Un pastis! Vengo dagli scontri, ho caldo.

            Arriva una donnina, nervosa, scura di pelle, che si dirige anch'essa al banco.

La Donna      Postis!

La gente, ai tavoli, volge il capo, guarda il rivoltoso.

Rivoltoso    In piazza si sta combattendo.

A poco a poco, i clienti ascoltano con sempre maggiore attenzione, poi uno dopo l'altro si alzano e vanno a circondare il rivol­toso e la sua compagna.

Vecchio Mai vista una cosa del genere! La Donna Rivoltosa Non sentite le esplosioni?

Tutti tendono l'orecchio e si girano verso il lato da cui, in lontananza, giungono effettivamente i rumori ancora deboli della battaglia.

Donna            È vero.

VECCHIO       Ma sì, vengono dalla piazza. Ci vado tutte le domeniche a fare la mia                               passeggiata della domenica. Domenica scorsa l'atmosfera era tranquilla, prima                         di dome­nica tutto sarà finito.

Donna            Certo, è una cosa passeggera.

PADRONE                  Per la verità, un po' di rumore c'è. Bene, si ricomincia. Era un pezzo                                  or­amai.

RIVOLTOSA              Si continuerà oltre domenica!

VECCHIO                   Allora non avrò più la mia do­menica.

RIVOLTOSA              Fra poco sarà sempre domenica Per questo si combatte.

VECCHIO                   In attesa, non avrò più la mia domenica.

PRIMO Uomo            Se c'è lo scontro, è già do­menica.

SECONDO Uomo       Si farà sul serio questa volta?

Padrone                    Sta succedendo qualcosa anche in centro.

Cameriera               No, soltanto qui in periferia.

Rivoltoso                 Del centro chi se ne frega. Chi se ne frega dei ricchi.

Rivoltosa                 Per il momento, ci occupiamo dei fatti nostri. C'è già fin troppo da fare,                           per il momento facciamo pulizia davanti al­la nostra porta.

   A poco a poco, col procedere della scena, i rumori della battaglia si faranno più inten­si. Col procedere della scena, si vedranno del pari trascorrere sul fondo individui ar­mati, immagini che rimpiazzeranno le im­magini dei civili, di coloro che non parteci­pano e alla fine si sostituiranno a questi. I ru­mori si intensificheranno sempre più e dietro alla finestra passerà gente coperta di sangue. Si vedranno anche poliziotti che corrono col manganello in mano all'inseguimento degli insorti. Più tardi, si sentiranno anche dei canti e un grande strepito. Ma tutto questo avverrà progressivamente e i grossi effetti si serberanno per il momento finale, culmi­nante, della scena.

Secondo Uomo         Io questo lo capisco.

Cameriera               Con la vita che si fa!

Rivoltosa   (guardandosi attorno con aria di disprezzo) Per fortuna ci sono ancora uo­mini!       (Batte sulla spalla del rivoltoso) Senza un ragazzo come questo ci sarebbe poco da           stare allegri. Con lui, li avremo in pugno.

Rivoltoso Sarà così.

Padrone(al rivoltoso)          Un altro bicchiere, offro io.

Vecchio         Anch'io ho fatto la rivoluzione, quando ero giovane in Sardegna.

Donna            Mio marito è un vecchio anarchico.

Primo Uomo             Io vi capisco. Purché la cosa non finisca lì.

Padrone                    Anch'io vi capisco.E’ la società.

  Verso la fine della scena i due uomini, il vecchio e la vecchia si trasformeranno an­ch'essi in rivoluzionari. E in ultimo, al mo­mento di uscire, si cambieranno d'abito, avranno fucili e pistole alla cintura, si mette­ranno barbe e parrucche folte.

Vecchio        Ai miei tempi, ai miei tempi, ah, io c'ero nel '47, ma ora preferirei morire                           tranquillo nel mio angolino.

Donna            Ad ogni buon conto questo non ci impedirà di dormire.

Secondo Uomo         Siamo francesi.

Cameriera(al Personaggio)           Oh, lei, quanto a questo.

Padrone        La Francia è il paese delle rivolu­zioni, è come il Messico.

Rivoltoso     (al Personaggio)      Di lei possia­mo fare a meno.

Padrone        C'è stato l'89.

Rivoltosa(al Personaggio) Gente della sua risma la conosciamo. Non è con lei che      costruiremo la nuova casa.

Cameriera(al Personaggio)           Questo non fa per lei.

Primo Uomo            (guardando il Personaggio)   Si vede bene che genere d'uomo è lei.

Padrone        Dopo l'89, abbiamo avuto il '37, il '47, il '57, il '67, il '77, l'87 e ancora l'89.

Vecchio        II cerchio si chiude.

Rivoltosa     Non si chiuderà mai. Che schi­fosi!

   Quando tutti avranno fatto gruppo attor­no al rivoltoso, il Personaggio sarà il solo

che non avrà lasciato il suo posto.

Rivoltoso                  Adesso o mai più.

Rivoltosa                  Glielo faremo capire.

Cameriera                Certamente che glielo faremo capire.

Primo Operaio          Bisogna cambiare.

Padrone                     Se è così, offro io per tutti.

Secondo Operaio    Bravo!

Donna                        Bravo! D'accordo.

Cameriera(al Personaggio) Non si di­sturbi. Le porto il bicchiere al tavolo.

Donna            Offrirà da bere anche a lui?

Cameriera    è un cliente.

Gli porta il bicchiere e torna verso il grup­po.

Rivoltosa     Non poteva durare.

Donna            Con ragazzi come voi...

Vecchio        Bisogna andare fino in fondo. Ah, se avessi la vostra età!

Rivoltosa     Un paese di parassiti! Una so­cietà malata.

Donna            Non se ne può più.

Tutti              Oh, sì, certo.

Primo Uomo                Non si meritano che il di­sprezzo.

Secondo Uomo         II disprezzo non è suffi­ciente.

Rivoltosa     Bisogna finirla. Ci vuole il san­gue. La voluttà e la morte.

 Rivoltoso    Saranno eliminati. Sarà meglio per tutti.

Padrone        È giusto.

Rivoltosi      Noi saremo giusti.

Rivoltosa     La giustizia è dura, se ne accor­geranno.

Donna            Tutti coloro che sguazzano nella corruzione e nell'ingiustizia. Il rogo della                        piazza Rossa.

Cameriera                II pugnale fra i denti.

Primo Uomo             I ricchi!

Secondo Uomo         I poveri!

Padrone                     II proletariato!

RIVoltosa                  Antirivoluzionarismo prima­rio.

Rivoltoso                Dittatura, sì ma nella libertà.

donna                        Purché sia liberamente consentito.

Padrone                    Lo sarà.

VECCHIO                           I canti dell'avvenire.

rivoltosa                 Pagheranno col sangue e nel sangue.

cameriera                Bisogna ammetterlo, se la sono voluta con la loro corruzione.

PRIMO Uomo                        Gli sporchi borghesi.

DONNA                      Gli operai sono poveri perché bevono, sono tutti alcolizzati.

SECONDO Uomo       E la droga allora!

PADRONE                  La società dei consumi.

DONNA                      Collettivismo, individualismo!

CAMERIERA             La nostra società dei consumi.

PRIMO Uomo            Bevono il sangue del popolo.

Secondo Uomo         Tutti venduti!

Rivoltoso    (con voce spaventosa e dando pu­gni sul banco, mentre qualche bicchiere ca­de a                terra e va in frantumi) E la fraternità ! Non bisogna dimenticare la fraternità!

 Un istante, un certo silenzio, tutti sembra­no un po' impauriti. Smettono di mangiare per qualche istante nell'immobilità.

Padrone        (alla cameriera)          Raccolga.

            La cameriera esegue. Poi le discussioni ri­prendono.

Rivoltosa     Questo glielo cacceremo in go­la coi pugni, con il coltello. Gli apriremo la              pancia.

Donna            Ne abbiamo le scatole piene.

Vecchio        Ha ragione, lo diceva poco fa, non dobbiamo dimenticare la fraternità.

Cameriera               Non dobbiamo dimenticare la fraternità.

Primo Uomo                         Non dobbiamo dimenticare la fraternità.

Secondo Uomo         No, non dobbiamo di­menticare la fraternità.

Padrone                    La fraternità.

Rivoltosa                 Sangue! li squarteremo! voglio vedere le budella uscire dalle loro                                      pance.                                  

Cameriera               Gli uomini rimangono gli stessi.

Primo Uomo             Solamente la gioventù ha l'entusiasmo che ci vuole.

Padrone                    I giovani sono coglioni.

Primo Uomo             I vecchi sono coglioni

Secondo Uomo         Ci sono dei giovani che sono coglioni e dei vecchi che sono coglio­ni,                                quando si è coglioni si è coglioni per tut­ta la vita.

Cameriera               Non se ne può più, accidenti, andare e venire, e sgobbare e badare ai                                mocciosi.

Rivoltosa    (con grinta sinistra e facendo stri­dere i denti)   La rivoluzione per il piacere.

  Ogni persona è già diventata un'altra o quasi. Si conserva il nome dei personaggi per evitare confusioni.

Donna            Per il piacere.

            Gli altri personaggi cambiano vestiti, tranne la cameriera, il padrone e il Personaggio se il numero degli attori è limitato.

Primo Uomo    (brandendo un pugnale)       Per il piacere.

Rivoltosa     E sarà sempre festa, vivremo nella festa, nella perpetua gioia. (Tutti           impugnano le armi, poi un silenzio durante il quale rimangono con le armi in pugno). Queste cose mettono fame, ho un buco nel­lo stomaco.

Padrone        Vi invito tutti a pranzo.

Rivoltoso     Mi farebbe piacere ma mia moglie mi aspetta per il pranzo; se vuole of­frirci un                 bicchiere alla svelta, volentieri. E dei panini.

  Il padrone versa da bere. Tutti bevono.

Poi alzano il bicchiere e dicono:

Tutti              Abbasso gli sbirri!

Rivoltosa     Con la testa degli sbirri faremo polpette.

Rivoltoso     (alla cameriera)         Più in fretta, cara. Muoversi con i panini. Ora bisogna                     obbedire, troietta, non è più come prima.

Rivoltosa     Tutto è cambiato, non è più co­me prima.

Cameriera    (al rivoltoso)               Faccio del mio meglio. Lei è maleducato, se non le va ha                solo da andarsene.

Donna            L'educazione è una cosa borghese.

Rivoltoso   (alla cameriera e al padrone)   Siete dei commercianti. Anche voi in defi­nitiva       siete sfruttatori.

Cameriera    Sono una lavoratrice, mi gua­dagno il pane col sudore della fronte, voi parlate e               basta.

Rivoltoso    Puttana!

Cameriera    Oh!

Personaggio (alzandosi da tavola, al rivoltoso)   Signore, non si vergogna?

Rivoltoso     Sporco piccolo borghese. Vie­ni un po' qua. (Il Personaggio si avvicina).              Schifoso!

Dà un pugno in faccia al Personaggio poi io sbatte sulla sedia.

Rivoltosa     Ben fatto!

Padrone        Ma insomma, è un mio cliente.

    La cameriera dà due formidabili schiaffi al rivoltoso. Il rivoltoso cade a terra, si rial­za, si tasta la mascella. Scoppio di risa, poi tutti, tranne la cameriera e il padrone, si girano verso il

Personaggio accasciato sulla sedia mostrando il pugno.

Tutti Schifoso!

Il rivoltoso resta immobile col pugno ri­volto verso il Personaggio, mentre la came­riera si dirige verso il Personaggio, prende il fazzoletto che sta nella tasca del Personag­gio e ne asciuga il viso insanguinato.

Cameriera   Tutto questo non fa per lei.

Si sente moltiplicato il chiasso di fuori, scoppi, grida, chiaramente gli scontri non avvengono più soltanto sulla piazza. Si sen­tono crepitare i mitra, si sentono grida, si ve­de passare sulla strada, infondo alla scena, gente con fucili e bandiere.

Rivoltosa     Si avvicinano, si combatte nel quartiere, andiamo anche noi, e che tutto salti                   in aria e vada a puttane!

Srotola uno stendardo.

Rivoltoso     Viva la bandiera!

Donna           Viva la muerte!.

Primo Uomo             La rivoluzione è sulle strade.

  Nel frattempo il Personaggio beve il suo grappino, tenendo il fazzoletto sull'occhio pesto.

Padrone                    Non se ne vada senza pagare il conto.

Cameriera               II conto, il conto.

Secondo Uomo         Si farà pagare dal Comi­tato rivoluzionario.

Rivoltosa                 Si farà pagare dal mio culo.

Padrone                    E allora merda!

Cameriera               E allora merda!

Personaggio            Posso fare qualcosa?

PAdrone                    Fare che cosa?

PERSONAGGIO         Dare una mano a riordi­nare.

Cameriera               Ci arrangeremo da soli. Lei stia tranquillo.

Personaggio            Un cognac, per favore.

Cameriera   (riordinando assieme al padrone)   Adesso glielo porto.

SCENA UNDICESIMA

Padrone        Io la rivoluzione l'ho già fatta.

                        Mi sarei messo alla testa.

Cameriera    Ora lei è troppo stanco, è trop­po vecchio.

Padrone        Non è per questo, ma perché non sono rivoluzionari, sono reazionari.

Cameriera    E i loro avversari?

Padrone        Sono reazionari anche loro. Gli uni sono pagati dai Lapponi, gli altri dai                           Turchi.

Cameriera    Ha pur visto il muso da Otto­mani che avevano.

Padrone        Su, non sia razzista adesso.

Cameriera    Sì, io sono razzista. Io sto con tutte le razze, non sono antirazzista.

SCENA DODICESIMA

Entra una donnetta, con aria spaventata.

La Madre Del Ferito         Dio mio, il mio bambino, aiutatelo.

Entra un giovane ferito, con la testa fasciata   il padrone e la cameriera si precipita­no per sostenerlo. Il ferito cade a terra.

Madre           Glielo avevo detto di starsene tran­quillo.

Cameriera    Che cosa non dobbiamo vede­re! In che tempi viviamo...

Padrone        è il figlio della signora, la vedova che abita qui accanto e che ha perduto il                       marito lo scorso anno. I giovani di oggi non hanno idea di che cosa sia il                              pericolo.

Madre           Povero bambino, povero bambino mio!

Una Donnetta         Non s'è mai visto niente di simile. Che tempi! Eppure il nostro è un                       quartiere tranquillo.

Madre (sul corpo del figlio)   Che cosa gli hanno fatto? Era così dolce, così carino.

Donnetta      Si lavora tutta la vita, si va in pensione, si crede di stare in pace. Non si può                     più stare in pace da nessuna parte.

Padrone        Questa è la vita. Si muore. (Alla madre del ferito che continua a singhiozza­re).                 Forse guarirà.

Donnetta      I giovani hanno sette vite.

Cameriera    Per il momento è svenuto.

Donnetta      Guardi, si muove ancora.

Padrone        Effettivamente si muove ancora. Ha dei sussulti.

Cameriera    Scostatevi un po', lasciatelo respirare.

Padrone        Ma davvero respira?

Donnetta      Le gambe, sì, hanno dei sussul­ti, si dimena un po'... come una rana.

Madre           Un medico, chiamate un medico.

Cameriera    Bisognerebbe telefonare all’’ospedale, che lo vengano a prendere.

Padrone        Le ambulanze non possono cir­colare. Ci sono barricate dappertutto.

Cameriera    Ci sono intasamenti. Il traffi­co è interrotto.

Donnetta      (rivolgendosi alla madre)      Col­pa sua. Non doveva immischiarsi.

Padrone        Ma chi deve immischiarsi allora?

Madre           Te l' avevo detto caro, te l'avevo detto chiaramente, la rovina sono i compa­gni.    Te l'avevo detto di non andare con loro.

Padrone        Ma chi erano mai i suoi com­pagni?

Donnetta      Delinquenti del quartiere... René e Michel.

Padrone        E dove sono adesso?

Donnetta      Sulle barricate, naturalmente, fanno anche questo pur di non lavorare. Padrone Anch'io quand'ero giovane sta­vo sulle barricate. Ma non mi sono lasciato        prendere nella rete.

Madre           Anche Michel e René sono morti!

Donnetta      Anche loro! Fra poco non ci sa­ranno più giovani.

Cameriera    Ha voluto seguirli fino alla morte.

Donnetta      Questa è fedeltà.

Madre           Chiamate, telefonate, chiamate.

Padrone  (alla cameriera)    Chiami lo stesso l'ambulanza. Forse verranno.

Cameriera    Tenterò.

            Va a telefonare.

Padrone        Tenteremo di fargli bere qualcosa di forte. Questo forse lo risveglierà.

Il padrone e la donnetta tentano di schiu­dere le labbra al ferito per dargli da bere.

Cameriera    Non è possibile usare il telefono. I fili sono tagliati. In ogni modo è tutto             chiuso, è festa.

Madre            Loporto a casa. Aiutatemi. Non abito lontano. Aiutatemi. Lo adagerò sul suo                  letto, sul letto che aveva da bambino. Chiamerò il medico. Quand'era un                         marmocchio, gli ha salvato la vita due volte.

Cameriera    è vero, non abita lontano.

Entrano due poliziotti e un uomo.     

Primo Poliziotto                Che succede?

Secondo Poliziotto           Circolare.

Padrone                                Siamo a casa nostra.

Secondo Poliziotto           Chiudi il becco.

Madre                                    Lo salvi, agente. Lo trasporti all’ospedale.

Primo Poliziotto                Un altro rivoltoso.

Secondo Poliziotto           Sgombrare.

Primo Poliziotto                Come è successo?

 Padrone                               Non si sa. È entrato, si è acca­sciato. Ora è lì in un lago di                                                   sangue.

Primo Poliziotto                II suo sangue.

Madre                       Non è colpa sua, agente. Era così dolce, così carino. Si è lasciato                                       trascinare. Ha creduto a quel che gli dicevano.

Donnetta                  La colpa non è mai di nessuno.

                                  Si dice sempre così. Quand'era ragazzino mi rubava i polli.

Primo Poliziotto    Lei taccia.

Secondo Poliziotto (alla madre) Non è più possibile curarlo, non lo vede, è agoniz­zante,                    sta crepando.

Primo Poliziotto                È già morto.

Madre           Non dica così, povero bambino, povero bambino mio! Gli piaceva tanto                           andare sul cavallo a dondolo.

Primo Poliziotto (alla madre)       Lei chi è?

Cameriera    Ma è sua madre, non vede?

Primo Poliziotto    Ho chiesto chiè, come si chiama, qual è il suo stato civile.

Secondo Poliziotto (alla madre) Docu­menti. (Agli altri) Documenti.

Tutti esibiscono i documenti.

Padrone        Io sono il padrone.

Cameriera    Io sono la cameriera.

Primo Poliziotto (al Personaggio) E lei, che sta facendo lì senza far niente?

Cameriera    E’ un cliente.

Primo Poliziotto                Un cliente, un clien­te...

Secondo Poliziotto           Che cosa faceva lì il suo cliente?

Cameriera                            Viene tutti i giorni a man­giare.

Primo Poliziotto (al Personaggio)            Do­cumenti?

Secondo Poliziotto           Quando c'erano gli scontri, che cosa faceva?

Primo Poliziotto    Era in combutta con gli agitatori?

Cameriera                È inoffensivo.

Padrone                    è un coglione.

Primo Poliziotto    Nessuno le chiede il suo parere. Si affittano camere qui?

Padrone                    Non tengo più camere.

Cameriera (ai poliziotti)      Andate a con­trollare, non ci sono letti.

Madre  (ai poliziotti)             Portatelo all'ospeda­le, ve ne prego. Sta perdendo sangue.

L'Uomo          Non vuole capire. Il sangue lo ha già perso tutto.

Madre           Non è vero. Può ancora guarire.

Donna            E’ morto, signora, è morto.

Uomo                         Se non è una disgrazia, un quartiere così tranquillo! Pacifici pensionati,                             eravamo Abbiamo sgobbato tutta la vita e adesso c'è la rivoluzione.

Donna            II chiasso che fanno.

Padrone        Mi hanno fracassato tutto.

Primo Poliziotto    Lo porteremo all'obitorio.

Secondo Poliziotto           La sbarazzeremo della seccatura.

Madre           Non separatemi dal mio bambino.

Primo Poliziotto (alla madre)       Lei è untipo sospetto, lei.

Cameriera                E perché mai?

Secondo Poliziotto           Non è lei che deve fare domande.  

PRIMO Poliziotto             E voi tutti, giudizio, se no vi sbatto dentro.

Padrone  (ai poliziotti)          Non volete bere un bicchiere prima di andarvene?

Cameriera    Dal momento che hanno fracassato tutto, non c'è più niente. 1

PRIMO Poliziotto Ci prendete in giro?

Padrone        Ecco, c'è ancora una bottiglia di Suze.

PRIMO Poliziotto Come vede, quando c'è la buona volontà...

Il padrone serve da bere ai due poliziotti che bevono d'un fiato. Per far questo vanno al banco.

Madre Occupatevi del mio bambino.

Secondo Poliziotto           Quanto rompe, quella. Ci occuperemo anche di lei. Non si agiti.

Donna            Si agita invece, è normale.

Il primo e il secondo poliziotto prendono il moribondo e lo trasportano fuori.

Secondo Poliziotto (alla madre)   E lei, ci segua.

Madre           Non separatemi dal mio bambino.

Primo Poliziotto (al padrone e all'uo­mo) Voi, acciuffate quella donna e schiaffatela nella      camionetta.

Il padrone e l'uomo afferrano la madre e la fanno uscire a forza. Questa si mette a ur­lare. Anche il ferito, trasportato dai poliziot­ti, è uscito.

Donna            Tenterò di tornare a casa.

Cameriera    Stia attenta. Sulla strada spa­rano ancora.

Donnetta      Devo dar da mangiare al gatto.

Uomo                         L'accompagno signora. Anch'io de­vo dar da mangiare al mio gatto.

Escono entrambi.

Fuori crescono i rumori e i colpi di mitra.

Padrone        Li hanno uccisi sulla soglia.

Poco prima si erano udite le grida della donna e dell'uomo, appena usciti.

Cameriera (dopo un'esplosione più forte delle altre) L'ambulanza è saltata in aria. Anche la      camionetta coi poliziotti è saltata.

Padrone        Glielo avevo detto di rimane­re. (Fischio di pallottole che entrano dalle finestre. I vetri vanno in frantumi. Una bot­tiglia cade e si spezza). Fanno fuori le mie ultime bottiglie.

Cameriera    Ora è come se stessimo fuori. Guardi, marciano a passo cadenzato e cantano.

            (Si sentono i rivoltosi cantare). Oh, guarda (rivolgendosi al Personaggio), una      pallottola ha forato il suo cappello sull'at­taccapanni.

Padrone        Chiuda la saracinesca. Più in fretta, per Dio!

            Il padrone e la cameriera abbassano la sa­racinesca. Il Personaggio fa l'atto di volerli

            aiutare.

Cameriera (al Personaggio) Non si di­sturbi. Beva il suo cognac. (Il Personaggio torna a        sedersi per bere. Nel frattempo la ca­meriera e il padrone finiscono di abbassare la         saracinesca).   Uff! È fatta!

Padrone                    Ora siamo in casa nostra. Si rom­pano pure l'osso del collo, quegli                                      schifosi! Mi hanno fatto fuori tutte le bottiglie!

Personaggio            Cognac non ce n'è più?

Padrone                    Vado a cercarlo. Ce n'è un po' in cantina. L'ho messo da parte dopo                                 L'altra             rivoluzione.

Personaggio            Quale? Quella del '40?

Padrone                   Quella del '32.è ancora meglio, è più vecchio. Vado. (Alla cameriera)                             C'è un             po’ di pane e del prosciutto dietro il banco.

Scompare.

Cameriera (al Personaggio) Le fa ancora , male? Non è niente. Vediamo un po' la ferita.        Un bel pugno. L'occhio è risparmiato. Solo intorno, un po'. Le sistemo la ben­da. Ha        voluto difendermi. È stato molto gentile.

Personaggio             Non so.

Cameriera    Non sarà che lei è un po' mat­to? Pure? È quel che mi piace di più in lei. Lei          deve essere molto infelice. (Il Personaggio alza le spalle). Ma non è nemmeno           felice. (Il Personaggio grugnisce e alza le spalle). Né felice né infelice. È ancora           peggio che essere infelici. Lei crede che io parli così, tanto per dire? Lei mi è molto   simpatico. (Il Personaggio alza le spalle). Crede che non si possa avere simpatia per         uno come lei? Si sbaglia. (Un attimo di silenzio). È inutile chiedersi perché, sono    cose che non si spiegano. Lei mi pare sconvolto. Le porterò del prosciutto e del pane.             Ne vuole? (Il Personaggio indica il bicchiere). Ancora del  cognac? È troppo. Beh,    glielo porto ma è l'ultimo. (Va a cercare il cognac e glielo porta. Il Personaggio lo           tracanna. Si sente, dalla cantina, la voce del padrone che can­ta). Ohi anche lui             adesso. Un altro che non si tira indietro nel bere. (Al Personaggio) Vorrei davvero         fare qualcosa per lei. Ho conosciuto una persona che le assomigliava. Non era malato,          non aveva niente. Aveva tutto quel che poteva desiderare. Pensi un po', si è tolto la         vita. E lei, lei non ha voglia di togliersi la vita? (Il Personaggio alza le spalle). C'è           qualcuno che le ha volu­to bene?

Personaggio            Mia madre.

Cameriera    Sì, ma poi? Capisce quel che voglio dire? In questo momento sono libe­ra,            disponibile. Se lei volesse... Ma bisogna volerlo, bisogna desiderarlo. Le insegnerò a vivere giorno dopo giorno, le insegnerò ad essere felice. E non faccia quegli occhi.       Non sto dicendo delle sciocchezze. Non posso vivere senza un uomo. Non si può      vivere senza un uomo. La prenderò per mano e la porterò con me. Mi lasci fare, mi          segua soltanto. (Si sente sempre la voce arrochita del padrone che viene dalla             cantina e qual­che crepitio di mitra proveniente dall'ester­no). Lei mi fa tenerezza, non           so perché. Mi piace in lei questo aspetto. Lei non è come gli altri. Non dice niente?    Non le importa nulla di quel che dico? Le ripeto che sono disponibile. Si vede bene         che lei non ha nessuno. Il nostro sarà un sentiero senza rovi, il cammino sarà agevole.      Ho le mani un po' sciupate, con qualche ruga, è inevi­tabile, lavoro e lavo i piatti, ma il           mio corpo ha la pelle liscia. I miei occhi sono belli, guardi, sono ancora giovane,          anche lei è giovane. Io le insegnerò, le insegnerò tutto. Lei è partito male, ha preso          una cattiva strada. Con me prenderà quella buona. (Gli accarezza la mano, che lui      ritrae) Co­m’è, scontroso, lei. Ha voluto difendermi, non lo dimenticherò. Non so quel          che mi prende, con lei non mi comporto come con gli altri. Con lei io mi sento     diversa. Ha mai amato qualcuno, lei, oltre a sua madre? È stato amato da qualcuno?        No, da nessuno. E per quale motivo, perché è malato, per­ché non sa spiegarsi, perché             non ha fiducia? Gliela darò io la fiducia. Quelli si uccidono, Si scannano fra di loro,     sono invidiosi gli uni degli altri e si sfruttano l'un l'altro. Noi pos­siamo essere   d'esempio per tutti loro. Ci deve pur essere un inizio, un piccolo inizio d'amore e di             felicità, un piccolo inizio di fi­ducia e d'amore. Loro ci guarderanno, si stupiranno e         poi ci seguiranno. Per viali lunghissimi, viali a perdita d'occhio, sotto rosai senza spine.

   Si sente sempre la voce arrochita del pa­drone e, provenienti dall'esterno, insulti: «schifoso», «verme», «abbasso», «al mu­ro», «non ci sfuggiranno!», «facciamoli fuori!» «nessuna pietà per quei maiali!» ecc. Arriva il padrone ubriaco.

Padrone (alla cameriera)  è ancora qui il tuo cliente?

Cameriera    Non poteva uscire dal mo­mento che avevamo chiuso.

Padrone (alla cameriera)  Non alzare la sa­racinesca. Lasciala com'è. Che succede fuori?

(Si dirige verso la saracinesca semi­chiusa, si mette carponi, guarda nella stra­da)  Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, set­te, otto. Ci sono soltanto otto morti.

Cameriera    Forse sono feriti o moribondi.

Padrone        Due sono poliziotti. Benissimo. Non dovevano immischiarsi.

Cameriera    Immischiarsi è il loro me­stiere.

PADRONE    Dovevano fare un altro mestiere. Quando la gente si vuole scannare, è un             delitto cercare di impedirlo. Intanto mi hanno distrutto il negozio, anche questo è i delitto.

Cameriera (al Personaggio) Vieni, ora si può passare, i feriti e i moribondi non sono    pericolosi. Ci sono chiazze di sangue sulla strada, non ti preoccupare, non ti     sporcherai le scarpe, ti guiderò io. Dove c'è il san­gue, spunteranno i fiori.

Padrone Se i clienti si uccidono fra di loro, che ne sarà delle mie scorte?

Cameriera  (al Personaggio) Vieni !  (Gli si avvicina e lo abbraccia) Su, portami da te. So       da che parte dobbiamo andare. Su, su, vieni! (Lo prende per mano) Vieni, amor mio,   vieni, mio caro.

Padrone (alla cameriera) Non le ho dato il Annesso di andarsene. Deve mettere ordine qui      dentro.

Cameriera (al Personaggio)  Devi abbassarti, per passare sotto la saracinesca.

  Personaggio obbedisce, la cameriera  il Personaggio si avvicinano carponi all'apertura della saracinesca, il Personag­gio si alza.

Personaggio (al padrone)    Non ho pagato il conto.

Cameriera    Abbassati e vieni. Spicciati. (Il Personaggio si rimette carponi. La came­riera       prima di uscire)             Non si preoccupi per i guasti, padrone, tornerò a far pulizia.

            (Al Personaggio)        Andiamo!

Il Personaggio e la cameriera escono.

Padrone        Avevo dei clienti e me li hanno massacrati. Se la godono, ora, sbudellati, con       la pancia all'aria sulla carreggiata. Avevo un abbonato, me lo ha preso lei. Ma che           cosa le è venuto in mente, a quella? (Abbassa la saracinesca) È strano, non han­no      tolto la luce. (Si guarda attorno, vetri in­franti, sedie rovesciate). Per fortuna ho una      polizza di assicurazione. Prevede tutto, l'incendio, l'inondazione, la guerra e le     rivoluzioni. (Incomincia a fare un po'di ordi­ne, rialzale sedie, per esempio, ecc. Di      nuo­vo, baccano all'esterno). Toh, si ricomin­cia. Forse riescono ad arrivare. Chissà.

SCENA TREDICESIMA

            La Portinaia, Un Giovanecol fucile a tracolla, La Signora del cagnolino.

Il Giovane    Ecco la mia chiave.

La Portinaia            Bene, la tengo io. Dove va con quel fucile? A fare la rivoluzione?

            Credevo che fosse finita.

il giovane     Non si preoccupi, ricomincerà; e proprio qui, sotto le sue finestre.

            Entra la signora del cagnolino.

la signora    Ecco la mia chiave. Vado a fare la rivoluzione.

PORTINAIA   Suo marito è già stato ucciso.

Signora         Proprio per questo, lo devo sostituire.

Portinaia      Bene, ma mi lasci fare le pulizie. Il nuovo inquilino deve tornare.

signora         Dov'è la domestica che lei aveva preso, la ragazza muta?

PORTINAIA  È stata uccisa. Ì

giovane         Come si vede, tutti fanno la rivoluzione.

Portinaia      Lei non faceva la rivoluzione. Era andata a fare la spesa. Le hanno detto di                      fermarsi per esibire i documenti, ma non si sa se fossero i rivoltosi o i                            poliziotti. Lei non ha risposto all'intimazione. Allora hanno sparato.

Signora         Bisogna andare ugualmente a fa­re la rivoluzione.

Portinaia      Io ho troppo da fare. Devo oc­cuparmi della casa.

Giovane        Torneremo quando avremo fra­cassato tutto.

Portinaia      Voi fate la rivoluzione perché non c'è più metafisica. Non ve ne rendete conto,                ma è la condizione esistenziale che è cattiva, la condizione sociale ed                                economica è abbastanza sopportabile. È cattiva, non dico di no. Tuttavia,                             abbiamo potuto con­statare e non da oggi che tutte le società so­no cattive. Non               esistono buone società. La tirannia, la dittatura, il liberalismo, il capi­talismo,                         sono tutte cattive cose. Nessuna economia, liberale o sociale che sia, può                         soddisfare i bisogni economici dell'umani­tà. Lo si è visto, lo si vede. Leggete i                        giorna­li. Vogliono nascondervi la verità ma la ve­rità traspare ugualmente,                    malgrado tutto.

                        Ci sono soltanto genocidi e massacri da un capo all'altro del mondo.

GIOVANE       Non si occupi di queste cose, lei non ci capisce niente.

PORTINAIA   (sempre scopando) Lei mi dice questo perché io faccio la portinaia! Quindi lei                 non è democratico affatto.

Giovane        Io non sono per la democrazia, sono per il popolo.

Portinaia      II popolo sono io.

SIGNORA       Lei non è il popolo liberato, lei è il popolo servile.

GIOVANE      Lei è pagata dai padroni.

PORTINAIA   Qui non ci sono padroni. Ci so­no dei pensionati.

SIGNORA       Hanno una mentalità da padroncini

GIOVANE      (alla signora) Vieni con me, bel­lissima? Faremo insieme la rivoluzione e               l'amore.

SIGNORA       Oh, sì! Dopo la rivoluzione o pri­ma?

GIOVANE      Durante. In continuazione. La soluzione è l'esplodere dei nostri desideri.

Signora     Che bellezza!

Giovane     Di tutti i desideri.

Signora     (al giovane)    Io ti desidero.

Giovane     Andiamo, cara. Non sei affatto carina ma la rivoluzione ti fa bella. Viva la                       morte! (Alla portinaia) Addio, signora por­tinaia. Io la disprezzo.

Signora      Io la compiango. Lei è una schiava.

Portinaia   E le sue riunioni mondane? I suoi tè e i suoi cocktails? Che ne sarà di queste                    cose? Le abbandona?

Signora    Penso di tornare tutti i giorni, dal­le cinque alle sette, fra uno scontro e l'al­tro.

Giovane    Nella misura del possibile. (Alla signora) Preferisco sdraiarmi con te sull'er­ba                   o sull'asfalto, riparati dalle barricate, fra le cinque e le sette.

Portinaia             (sempre scopando) Non sapete quel che volete. Esitate fra la voglia di vive­re e                la voglia di morire. Eros e Tanatos. Il piede in due scarpe.

Giovane     (alla signora) Andiamo, bella. Sbrighiamoci. Quella non sa quel che dice.

PORTINAIA E voi non sapete quel che fate. State preparando l'apocalisse.

GIOVANE     Discorsi del cazzo.

PORTINAIA Due pericoli reali minacciano l'umanità: la sovrappopolazione e il degrado                       dell'ambiente.

SIGNORA     Lei sta dicendo delle banalità.

PORTINAIA Come voi. Soltanto le mie ba­nalità sono vere, le vostre sono false.

GIOVANE     Merda!

Portinaia            Voi uccidete e nello stesso tempo fate dei figli. Che contraddizione aber­rante!

SIGNORA     Merda!

PORTINAIA Siete maleducati tutti e due.

GIOVANE     L'educazione è borghese.

SIGNORA     L'educazione è borghese.

PORTINAIALa borghesia è lei. Sono i bor­ghesi che fanno la rivoluzione.

SIGNORA     Io non sono più borghese. Prima di tutto, io sono vedova. Mio marito è morto                 sulle barricate. E ho un amante proletario.

GIOVANE     {alla signora) Hai sentito? I mitra non si sentono quasi più. Non bisogna                          lasciare che la cosa si esaurisca. Andiamo a dar man forte.

La signora e il giovane se ne vanno, ab­bracciati.

Portinaia        Contate piuttosto sulla tecnica. Ma voi ve ne fottete della tecnica. Vi                               dispiacerebbe che tutto finisse. No, voi non volete che finisca.

Voce  Del Giovane  (che sbatte la porta) Sarebbe una rottura di palle. Che cosa fa­remmo,                        se non ci fosse la rivolta?

Portinaia          (sempre scopando) Non la vo­gliono, la tecnica. E non vogliono la ragio­ne.                       (Rumori di armi da fuoco, all'esterno). Chissà se potrà tornare l'inquilino. La               si­tuazione si sta di nuovo guastando. Ora so­no sulla strada qui davanti. Prima              erano sul viale. Bisognerà chiudere ogni apertura. I materassi, dove sono i                       materassi? Dovesse arrivare, che almeno possa stare tranquillo. (Appoggia i                      materassi contro le finestre. Si rivolge al pubblico, quindi idealmente, alla                 strada). L'era delle rivoluzioni è terminata. Tutti i regimi sono cattivi, ma tutti                i regimi sono già insediati. La si fa ancora, la rivolu­zione, ma non serve più a                nulla. Ora la parola passa alla tecnica e all'industrializzazione. Ma in tal caso                    non c'è più passionalità. Che cosa farebbero, quelli, in mancanza passionalità?             Si annoierebbero, dicono. Due secoli di rivoluzioni per ottenere la tirannia la                         dittatura. Hanno mai portato ad altro le rivoluzioni? Anche la tecnica non è              cosa buona. Ricopre il nostro pianeta rifiuti. Fa del nostro pianeta un rifiuto.                    Fra cinquant’anni ci saranno trenta miliardi di abitanti. È qui il problema. Il                vero problema. Si può tornare indietro? No, non si può. Stiamo scivolando                        nell'abisso, non ci possiamo fermare. Questo è lo sbaglio che fatto il Creatore               (Ha ripreso la scopa, parla gesticolando con la scopa in mano) È la                                  condizione esistenziale che genera la cat­tiva società, la cattiva economia, la                      cattiva             politica. Ogni tanto, per fortuna, intervie­ne la polizia e la repressione.                   Senza la poli­zia e la repressione ci si scannerebbe in ma­niera ancora più                         abominevole. Nei nostri paesi, anche la repressione è rinunciataria, anche la                     polizia si rivolta. I suoi desideri la fanno scoppiare. Io sono per la libertà. Mi                         chiedo se sono ancora per la libertà indivi­duale. Gli uomini sono pazzi.                             Bisogna pure tenerli a freno. Nei paesi totalitari, almeno, c'è l'ordine. Nella                     tetraggine, ma c'è l'ordi­ne. Nessuno più si muove. (Spazza il pavi­mento con                  una certa indignazione) E poi io me ne frego. Per me il mondo può saltare in                     aria. Può schiantare! Può entrare in ebolli­zione! Può scoppiare! Può prender                     fuoco! L'avventura dell'uomo è durata abbastan­za. Che tutto finisca e non se                  ne parli più. Il Creatore ha fatto un buco nell'acqua.

                    Continua a scopare.

SCENA QUATTORDICESIMA

La Portinaia, Il Personaggio, La Cameriera

Entrano il Personaggio e la cameriera.

Portinaia      Ah! eccolo qua! (Scorgendo la cameriera) Buongiorno, signora.

Cameriera    Io sono l'amica del suo inquilino. Forse addirittura la sua fidanzata.

                        Abi­terò con lui.

Portinaia      Congratulazioni, signore. Ha fatto molto bene. È una brutta cosa vivere soli. È                ancora peggio che vivere in due o in parecchi. Non pensavo più che lei                             riuscisse a tornare. Che putiferio sulla strada!

Cameriera    Ma chi sono i contendenti?

Portinaia      Loro stessi. Voglio dire quelli dello stesso partito. Sulla barricata che sta in                      fondo alla strada c'è una bandiera verde con un quadrato rosso in mezzo.                              All'altro capo della strada, c'è la stessa bandiera. Ma qui siete al sicuro tutti e                        due. Ho chiuso ogni fessura. Si sentono appena i rumori di fuori. Ho messo                 cuscini, materassi, sacchi pieni di sabbia. Ho provviste in cantina. Il tempo                       necessario perché la faccenda si quieti. Arrivederci signore, arrivederci                             signorina        

                       

Cameriera    E’ bello qui da lei. Voglio dire qui da te. Ci diamo del tu, no? Sembra di essere               in vacanza. Non è proprio la spiag­gia, ma si sta bene lo stesso. Sai come mi                 chiamo?  No, non lo sai. Mi chiamo Agne­se. Che fatica abbiamo fatto per                    arrivare fin qui. Hanno sparato sul fazzoletto bianco che agitavi. Ha un buco in                        mezzo, ora. Ma tu sei illeso. C'è un altro buco nel tuo cap­pello, siamo a quota                  due. Baciami. Ti ricor­di il mio nome? Agnese. Distenditi sulla poltrona. Mi                  metterò al tuo fianco, ai tuoi piedi. (Il Personaggio si siede poi si alza). Dove                vai? Perché ti avvicini alla finestra? Non aprirla. Ma non aprirla, ti dico.                           Perché la vuoi aprire? Dove vai adesso? (Il Perso­naggio si dirige verso                             l’angolo a sinistra do­ve si trova un fucile, lo stesso che il giovane della scena                    precedente ha dimenticato an­dandosene). Lascia stare quel fucile, non sei                        capace di usarlo. (Il Personaggio esami­na attentamente il fucile.                                     Inavvertitamente, tira il grilletto. Parte un colpo). Stai attento potevi                                    uccidermi. (Il Personaggio sembra spaventato dallo sparo). Per fortuna hai                      colpito il materasso. Ci fosse stata una testa al posto del materasso che cosa                     sarebbe successo? (Il Personaggio continua a deam­bulare nella stanza, col                     fucile a tracolla). Vuoi combattere? Con chi? (Il Personaggio alza le spalle).               Non lo sai. Contro chi? (Il Personaggio alza le spalle). Non lo sai. Non hai                         paura? (Il Personaggio dice di no con la testa). Sei coraggioso?

                        (Il Personaggio dice di no con la testa). Né paura, né coraggio.

                        (Il Personaggio si dirige verso la porta). Ri­mani qui, ascolta.

                        (Il Personaggio si fer­ma). Rimetti il fucile al suo posto. (Il Per­sonaggio è in                     piedi, immobile, al centro del palcoscenico. Si sente qualche debole crepi­tio di               armi che viene da fuori). Hai sentito? Rispondono al tuo richiamo. No, non è                   l'eco. Una fucilata è come l'abbaiare di un cane. Un cane abbaia e cento gli                   rispondono. Dammi invece un bicchiere di arancia­ta. Il cammino che abbiamo                  fatto in mezzo agli spari mi ha messo sete. Ho caldo. Si sta bene qui.

                        Si sdraia sul divano, si stira.

Personaggio                        Qualcosa.

Cameriera               Come qualcosa?

Personaggio            Penso che devo fare qual­cosa.

Cameriera           Perché? Per chi?

Personaggio            (alzando le spalle) Ah... questo... Difficile.

Cameriera                Mettiti in poltrona. Su, ascol­ta.

           

Il Personaggio si siede in poltrona. Pausa.

Personaggio  Però, lei sa... no, tu sai...

Cameriera     Bisogna fare qualcosa. Ho ca­pito. Conosco la musica. Perché? Te lo                                 ripeto, perché? (Il Personaggio alza le spal­le). Hai delle ambizioni?                                   Hai rivendicazio­ni da porre? Hai dei bisogni insoddisfatti, come gli                             altri? Detesti qualcosa in partico­lare, o in generale, così, in maniera                                    impre­cisa? Ami qualcuno? Non ami nessuno, non è così? Tu ami                                       soltanto me. (Il Perso­naggio dice di sì con la testa). È vero? Dillo                                     ancora, amore mio. (Il Personaggio dice di sì con la testa). Sono felice.                                      Come vedi, sai benissimo quel che vuoi. (Il Personaggio dice di sì con                             la testa). Come vedi, puoi par­ lare quando ti pare. (Il Personaggio dice                                     di sì con la testa). È incredibile come cambia la gente. Erano gli stessi                               clienti e non erano più gli stessi.

Agnese *         Senti? Sparano ancora. Sparano sempre. Sono già tre mesi che vanno                                avan­ti. Faremo un bel viaggio in una bella nave bianca, fra mare e                          cielo. Lunghe giornate sulla nave, sul ponte della nave, al sole.

                         Ci faremo una bella abbronzatura. La nave bianca, il cielo blu, il mare blu,                       e poi begli ufficiali, bei capitani in divisa bianca nei mari del Sud.                                Quando ci avvicineremo alla costa, vedremo barche bianche con uomini neri,                pescatori e poi gabbiani e vedremo la terra, la terra novella.                                               (Si sente il rumore dei mitra). Ci offriranno fiori a piene braccia, non avremo                    braccia abbastanza e ghir­lande di fiori in testa.

                         (Il Personaggio resta piuttosto impassibile).

  * Così d'ora in poi sarà indicata la cameriera.

                                   Fiori rossi, gialli e fiori azzurri. Laggiù, si vive in case grandi come                                    palazzi. Ci si diverte, si ride, si balla, si canta. (Tutto questo, l'intera                                  tirata, in un sottofondo di rumori e schiamazzi). Ci si ama per tutto il                            giorno. Ci si ama per tutta la notte. Di notte ci sono stelle enormi,                                        sembrano a portata di mano, ti sembra di toccarle. Ad ogni angolo di                                strada, in tutte le piazze, ci sono scale sospese nel cielo, sulle quali                                    puoi salire, scale d'argento. Non le usano perché gli abitanti stanno                                   bene dove sono, nel loro paese, sulla terra. Non è la stessa terra che                                abitiamo noi. È una terra dolce, come un grosso tappeto. Ti accolgono,                                    ti circondano. In quel paese gli stranieri sono amati e si può lasciare la                                    città dalla porta opposta dopo averla attraversata, il continente è vasto.                            Ci sono centinaia, mi­gliaia di altre città, città fiorenti, città in boccio,                                    una più bella dell'altra, una più ar­moniosa             dell'altra. Ci sono anche                                diversi laghi in quel continente, l'acqua è limpida e trasparente e le                                   montagne che le circonda­no sono immacolate. E più si entra in que­sto                               continente e più vi si penetra e più    diven­ta bello, imprevedibile,                                    luminoso, dolce, fiorito. Incontri dei leoni         lungo la strada ma sono                                 miti come gli agnelli che essi guidano, li accompagnano nei prati   pieni                            di marghe­ritine che non appassiscono mai. Ma sì, son cose verissime                                dal momento che mi vengo­no in mente. Mi devi credere. La pace, la                                 luce, il silenzio e la musica se vuoi. La gente è felice, e lo sai perché,                                 perché ha il cuore pieno d'amore. Tutti si amano e poiché si amano non                                  invecchiano. È difficile arrivare in quel paese. Ci si arriva per caso, per                                 for­tuna, grazie ad un errore di navigazione. Come commettere questo                                     errore di naviga­zione? I comandanti delle navi conoscono troppo bene                             il loro mestiere, per fortuna ci sono giovani capitani che lo conoscono                               me­no e che hanno la possibilità di perdersi. Ci sono anche vecchi                                                capitani, un po' rimbecilliti, un po' ubriaconi, che lo hanno di­menticato                         un po'. Per fortuna. Le navi che gettano l'ancora in quei porti non                                                ripartono più. E se si torna, è solo per pietà verso gli altri, verso coloro                              che vivono nei nostri paesi e non conoscono l'itinerario miraco­loso. Si                               torna per riferire, si torna per spie­gare, si torna per condurli laggiù. E                            quando            succede, quando si vuole condurli laggiù, quasi sempre non si                            ritrova più la rotta. E poi è troppo tardi, non se ne ha più la forza perché                                     se laggiù si rimane giovani, tornan­do, lungo la strada, si invecchia.                                    Laggiù de­ vi dimenticare tutto, non devi avere rim­pianti. Se si torna,                                viene a mancare la forza, o ci si è dimenticati di ogni cosa, oppure non                                    sai più se è vero, se non era tutto un sogno.

Personaggio             Di che colore sono gli occhi di quelli che stanno là?

                                    

Agnese                      Del colore della luce. Senti? Fuori continuano a far chiasso coi loro                                  fucili. Li senti soltanto se tendi l'orecchio.

           

            Entra la portinaia.

Portinaia                  è l'ora del pranzo. Vi porto dei piatti caldi.

            Posa le portate sul tavolo e se ne va.

Agnese                     Come passa il tempo. È un mese che siamo qui. Sei felice con me?

            Silenzio del Personaggio.

Personaggio            Non sento più le fucilate. Credi che sia tutto finito?

                                    

Agnese                      Che cosa t'importa? Ma no, non è affatto anormale vivere come                                        facciamo noi. Uscirai più tardi quando sarai più forte. Usciremo                                        insieme. Tu vivrai come tutti, noi vivremo come tutti, una vita normale.

Personaggio            Normale

Agnese                      Ma sì, una vita normale. Impare­rai che cos'è una vita normale.

Personaggio            Una vita normale?

Agnese                      Mi stai seccando. Lo vedrai.

Personaggio            Vorrei sapere quel che suc­cede fuori.

Agnese                      Non ti muovere. Aspetta ancora. Non ti muovere ti dico.

            Il Personaggio non obbedisce. Prende il fucile.

Personaggio (ad Agnese) Non voglio sparare. Voglio uscire con una bandiera bianca.

Agnese          Crederanno che li vuoi minaccia­re. Prendi piuttosto il manico della scopa. Ah!                 ti devo spiegare tutto, devo fare tutto al posto tuo. Non so perché mi sono                       messa con te. Non so perché ti amo. O forse non ti amo. Forse mi fai soltanto                  pena. Forse è soltanto curiosità. (Nel frattempo, Agnese ha messo una pezzuola               bianca attorno a un manico di scopa, che ha passato al Personaggio. Questi                    prende il manico di scopa e scostando un po' il materasso si appresta a farlo                    sporgere fuori. Il Personaggio spinge il manico di scopa attraverso la fessura,                      si sen­te un colpo secco. Ritrae il manico di scopa. La tela è piena di sangue).                 Stai attento! Ve­di, te l'avevo detto. Non vuoi darmi retta! Abbi pazienza! Ci                tieni tanto a uscire, a ve­dere la guerra? È molto difficile capire le tue ragioni.

Personaggio Come può essere che ci sia del sangue sulla pezza?

Agnese          Perché la pallottola, prima di fare il buco lì dentro, ha ucciso altre persone. È                   servita diverse volte. Questo è sangue degli altri. (Prende la scopa con la                     pezza, toglie la pezza, rimette la scopa in un angolo accanto al fucile, guarda                    la pezza bianca) Un bel bu­co! Un grosso buco, con un'aureola di san­gue.                                 Color di fuoco. Gli farò un rammen­do, gli darò una lavata.

        Arriva la portinaia con altre portate.

Portinaia      No, signora. È uno squarcio che non si può rammendare, e il sangue non viene                 via. Tenga la pezza per ricordo. Toh, non avete mangiato la roba che vi ho                     porta­to? Non avete appetito. Non fate abbastan­za moto. Io salgo e scendo le                      scale, vado a prendere le provviste in cantina. Io mi muovo. Voi davvero non               fate abbastanza moto. (Prende il primo piatto e lascia quello che ha portato                     con sé) Buon appetito!

            Esce.

Agnese          Su, cammina un po', ti farà bene! Su, muoviti! Ti sei di nuovo steso sul divano.                Alzati! (Lo prende per mano, lo costrin­ge ad alzarsi) Cammina!

                        (Il Personaggio cammina a fatica). Più svelto! (Cammina un po'più in fretta).                  Più svelto ancora. For­za! Di trotto! Dammi la mano. (Vanno di corsa da                                un'estremità all'altra della stanza, si fermano, affannati). Passeggiamo. Lo                       vedi? Siamo in un viale pieno di rosai. Ci sono delle rose sopra le nostre teste.                C'è l'erba sotto i nostri piedi. Che bel praticello! Lag­giù, vedi, c'è la casetta                      bianca. Cammina ancora un po'. C'è un'aria deliziosa. Senti il mormorio                            dell'acqua? Senti gli uccellini? Ora c'è silenzio. Ora ci sono le stelle e la lu­na.                 Che magnifica notte! Respira profon­damente l'aria della campagna.

                        (Il Personaggio si ferma per qualche istante. Tende l'orecchio). No, non sono                   più i mitra, non sono più le bombe. È il tuono in lontanan­za Hai respirato                    bene? Hai fame ora? Se­diamoci e facciamo colazione.

            Si siedono entrambi.

Personaggio            Un cognac!

Agnese                      Niente cognac.

Personaggio            Un cognac!

Agnese                      Ti fa male. Non è possibile curarti. Hanno ucciso i medici affinché non                             possa­no curare gli avversari.

Personaggio            Voglio il cognac! Pensi che il bistrot si riaprirà presto?

Agnese                      Oh! Te lo porto io il cognac. Dal momento che io non ti basto. (Gli                                   porta una bottiglia di cognac, gliene versa un bicchie­re. Lui beve d'un                            fiato. Il Personaggio rima­ne seduto, in silenzio). Su, raccontami                                        qualcosa.

    Il Personaggio rimane silenzioso. Lei si alza, sparecchia la tavola, va verso il fondo a portare delle stoviglie; entra la portinaia che le prende.

 Portinaia                Buongiorno, signori. Esce.

Agnese                      Non hai niente da dirmi? (Silen­zio) Una volta parlavi, non molto.                                      Dicevi una parola ogni tanto. (Il Personaggio sen­za dire una parola va                             a mettersi sul divano mentre Agnese lo guarda) Non mi vuoi dare un                                bacio? Tienimi fra le braccia, caro.

Il Personaggio si alza, va verso Agnese, le dà un bacio sulla fronte. Lei vuole        abbracciarlo. Lui si libera e va a sprofondarsi in  poltrona.

Personaggio            È da un pezzo che non ve­diamo più i giornali.

Agnese                      Domani dirò alla portinaia di prenderli. Ce ne saranno di nuovi ora.                                  Con nuovi titoli, con avvenimenti sensazionali. Il mondo si trasforma,                           si muove, cambia. Certo non è più lo stesso. Non può essere quello di                           prima.

PERSONAGGIO         (dopo un silenzio) Credi In che ci sia la guerra civile nella periferia                                    nord o in centro? Laggiù la situazione do­vrebbe essere tranquilla. Agnese                       Forse. Non lo so.

            Si siede anche lei, dopo aver tentato di abbracciarlo. Lui si libera, va a cercare la            bottiglia, si rimette in poltrona con la bottiglia.

Personaggio            Era bello, una volta.

Agnese                      Che cosa c'era di tanto bello una volta?

Personaggio            II lavoro, io lavoravo con Jean Dupont, no Jacques Dupont. Sì, sì, si                                 chiamava Jacques Dupont. Mi stancavo molto.

Agnese                      Era meglio quando ti stancavi? (Il Personaggio dice di sì con la testa).                              Ora non fai più niente e ti stanchi lo stesso.

Personaggio                        Si, ma allora c'erano le do­meniche.

Agnese                      Che cosa facevi di domenica?

Personaggio            Me ne stavo seduto al tavo­lino all'aperto di un caffè, bevevo birra e                                  guardavo le coppie che passavano. E poi i marciapiedi brillavano sotto                             la luce dei lampioni. C'erano delle pozzanghere. Ac­canto al caffè c'era                           un cinema. Andavo a vedere il film.

Agnese                      Quale film?

Personaggio            Un film, con una coppia che si amava e si prendeva a coltellate. Non                                mi ricordo più bene. Mi svegliava la maschera. Tornavo a casa, in                               albergo. Il letto era sfatto. E poi c'erano tante altre cose straordi­narie.

Agnese                      Quando accadeva tutto questo?

Personaggio            Dunque... non so.

Agnese                      Ieri?

Personaggio                        Sì, ieri.

Agnese                      Ieri stavi qui con me!

Personaggio            Ah sì. Allora non è stato ieri.

Agnese                      II mese scorso?

Personaggio            Ah sì, il mese scorso.

Agnese                      Anche il mese scorso stavi qui con me. Il mese scorso hai messo fuori                               dalla fi­nestra la bandiera bianca, che è stata perfo­rata e macchiata di                             sangue. Guardala, è an­cora lì nell'angolo.

Personaggio            Allora non è stato il mese scorso.

Agnese                      E non è stato nemmeno tre mesi fa, tre mesi fa io sono venuta qui                                     assieme a te. Siamo usciti dal bistrot dopo gli scontri. Siamo venuti qui                            tra le sventagliate dei mi­tra. Ti hanno perforato il cappello, lo sai                                      benissimo.

Personaggio            Allora è stato un altro gior­no no, un'altra sera, un'altra pioggia. C'erano                            delle strade. E una volta, te lo assicuro, una volta ho sentito delle                                              campane, sono anda­to nella loro direzione e c'era una grande cattedrale                          e una gran folla, una gran folla. E un giorno, un altro giorno, c'era un                                  lungo stradone bianco.

Agnese                      Dappertutto ci sono chiese, dap­pertutto c'è folla. Dappertutto ci sono                               taf­ferugli, dappertutto funerali. Dappertutto ci sono croci bianche e                          dappertutto c'è amore. C'è amore, qui. Hai l'amore accan­to a te.                                                Insomma, non ti voglio forse bene? Ti amo o ti voglio bene, non lo so                                   esatta­mente ma questo è amore.

Personaggio            C'era Lucienne.

Agnese                      Chi è questa Lucienne?

Personaggio            E’Lucienne.

Agnese                      La tua donna?

Personaggio            Sì.

Agnese                      Lucienne ero io. Non era possibile che tu avessi una donna, con la testa                            che hai. Nevrastenico come sei, con la noia che spargi. Non era essere                         possibile che tu avessi una donna diversa da me! Nessuna donna pote­va                                 tanto pazza.

Personaggio                        Sì. Era una donna alta.

Agnese                      E poi ancora?

Personaggio            Aveva degli occhi...degli occhi azzurri o verdi, o delle due tinte mes­se                             insieme. Non come i tuoi. Era un altro ti­po di donna. Era bionda, no era                           bruna. Forse era rossa.

Agnese                      Questa donna non è mai esistita.

Personaggio                        Sì, sì, visto che passava la notte con me.

Agnese                      Ma che cosa ci vedeva in te? Dove­va essere matta.

Personaggio            Era matta.

Agnese                      Iosono matta.

Personaggio            Tusei matta.

Agnese                      Iosono matta? Sei tu il matto. Tu sei matto, sei matto, sei matto!

Personaggio            Io aspetto.

Agnese                      Che cosa? Che cosa aspetti? Hai tutto a portata di mano. Io sono qui e                             tu non mi tocchi, hai paura. Si direbbe che hai paura. Ah, se tu volessi,                             ah! Se tu osassi! Che cosa aspetti?

Personaggio            Aspetto una schiarita. For­se questa agitazione finirà per distruggere                                  ogni cosa. Non ci saranno più pareti. Forse, forse.

Agnese                      Nel frattempo ti chiudi dentro e mi chiudi con te. E siamo in clausura, e                           metti dei materassi alle finestre, e aggiungi impo­ste alle imposte, e                                 aggiungi pareti alle pare­ti che ci sono già. Capisci quel che voglio di­re?                                 Oh! Tu mi fai pena. Non so che mania mi ha preso di stare con te. Su, è                           tardi, su vieni lo stesso, mia povera testolina, andiamo a dormire.

Personaggio                        Sì, andiamo a dormire. (Ad Agnese che si dirigeva verso l'interruttore                              per spegnere la luce). No, non spegnere!

Agnese                      Non ne posso più di questa luce sempre accesa dopo tanti mesi che sto                             con te. Non si sa mai se è giorno o notte, se c'è il sole o se ci sono le                                 stelle. Ah! Ci sono para­disi, ti giuro che ci sono paradisi. (Si siede                                    accanto a lui sul divano, dopo aver preso una coperta) Ti voglio                                                abbracciare lo stes­so. (Silenzio del Personaggio. Agnese lo ab­braccia.                               Lui non risponde all'abbraccio. Lei lo cinge di nuovo.

                                   Nessuna reazione da parte del Personaggio. Agnese sospirando).                                      Com'era questa Lucienne?

     Si addormenta. Qualche istante di silen­zio e di immobilità. Si sentono crepitii legge­ri provenienti da fuori che cominciano a me­scolarsi con altri tipi di rumore: martelli pneumatici, ma non troppo rumorosi, canti, ecc.

Il Personaggio si alza lentamente, si muo­ve nella stanza. Guarda le pareti, i mobili come se li vedesse per la prima volta, scosta leggermente una delle difese poste contro la finestra riavvicinandole in fretta. Fa un'altra volta il giro della stanza, poi si avvicina ad Agnese che dorme, la scopre, solleva la co­perta, la guarda attentamente così seminu­da, guarda le gambe, le cosce, la tocca legge­rissimamente per non svegliarla e da stupito che era improvvisamente prova un gran sgo­mento.

Personaggio            Quale piaga, quale ferita aperta c'è in te. Povera creatura.(È preso dal                              panico, si muove ancora più rapidamen­te da un capo all'altro del                                     palcoscenico. Il suo viso esprime ad un tempo la meraviglia, il                                       terrore, lo sgomento. Beve il cognac dalla             bottiglia).

                                Ora chiudiamoci dentro, leghia­mo tutto con corde ben tese, e turiamo                              ogni pertugio,         ogni pertugio.

Un'altra sorsata, e poi un'altra ancora. Si accascia in mezzo al palcoscenico rove­sciando una sedia. Si addormenta. Per un buon tratto non accade nulla mentre il Per­sonaggio e Agnese continuano a dormire.

SCENA QUINDICESIMA

Arriva la portinaia. Lentamente, mentre arriva la portinaia e senza essere svegliati da lei, Agnese e il Personaggio si alzano.

Portinaia      Ecco la colazione.

Agnese           E’ mai esistita la tua Lucienne? Che cos'hai da fissarmi in questo modo?                          Perché mi guardi così? Ti faccio paura? Ma sì, ti faccio paura. Non posso più                    sopporta­re i tuoi occhi da scimmia spaventata.

Portinaia      Eccoci qua. È mattino. Il tem­po è bello fuori. La guerra si è allontanata. Ora è                  molto lontana, lontanissima. Il punto di riferimento dei grandi massacri e i                      geno­cidi sono così lontani, così lontani, che or­mai non ci riguardano più. Sono                    fatti degli altri, sono cose che capitano agli altri. Ogni tanto un viaggiatore               arriva in aereo, ci rac­conta quel che è successo. Oppure c'è un trafiletto sul                       giornale. Oppure se ne parla alla radio o alla televisione. Le tipografie                               funzionano ed ecco le figurine, quel che è successo lo si vede nelle                                illustrazioni. Guar­date (tira fuori delle tavole illustrate) Gavroche morto                             sulle barricate, Bara,1 l'eroi­co monello, i boys scouts del quartiere che cadono                        sotto i colpi, il cavaliere di Assas.2 Siamo ormai nella storia. Per dirvela tutta,                   io ero contraria. Ora trovo che tutto è stato meraviglioso. Ormai è storia, è                      leggenda. I vostri figli leggeranno queste cose nei libri quando ne avrete.                                 Dunque vi sposate, avrete figli? Quand'è che vi sposate? Sono due anni che                  state insieme. Allora tolgo il materasso? La luce del giorno.

[1])  Gavroche, personaggio de I miserabili di Victor Hugo (1862), simbolo dello spirito di libertà del  popolo.  - Joseph Ba­ra o Barra (1779-93) era un soldato di quattordici anni, tambu­rino nelle truppe repubblicane, che cadde in un'imboscata in Vandea e morì «eroicamente». Chénier l'ha evocato ne Le Chant du départ.

2)  Assas (1733-60): capitano nel reggimento di Alvernia, s'imbattè in una colonna nemica che si accingeva a sorprende­re i francesi, diede l'allarme, ma fu ucciso. Voltaire riporta l'e­pisodio nel suo Récit sur le siècle de Louis XV.

Personaggio            No.

Agnese                      Non ne posso più. Chiunque mi potrebbe capire.

Portinaia                 La signora del cagnolino è stata uccisa negli scontri, il suo cane pure. Il                            gio­vane ha ucciso suo marito. Appartenevano allo stesso gruppo                                            politico ma c'erano dei dissensi fra di loro. Il russo col bastone è morto                              anche lui. La mamma del ferito, sa­pete, è sempre lì. Suo figlio è morto                          all'o­spedale, dopo molto tempo. La vecchia si­gnora, l'ex proprietaria,                                sapete, quella che abitava qui prima di voi, mi ha scritto e poi la posta                               non ha più funzionato, e poi lei non ha più scritto, e poi eccoci qua. E                         poi mio marito è morto anche lui. Bisogna prende­re le cose con                                      allegria, con buonumore! è la vita!

                        Esce.

Personaggio                        Da quando la rivoluzione è terminata, le banche funzionano meglio di                              prima. Ho abbastanza denaro per tutti e due per tutta la vita.

Agnese                      Preferisco lavorare. Ti lascio.

Personaggio            Ah!

Personaggio            No.

Agnese                      Non ne posso più. Chiunque mi potrebbe capire.

Portinaia                 La signora del cagnolino è stata uccisa negli scontri, il suo cane pure. Il                            gio­vane ha ucciso suo marito. Appartenevano allo stesso gruppo                                            politico ma c'erano dei dissensi fra di loro. Il russo col bastone è morto                              anche lui. La mamma del ferito, sa­pete, è sempre lì. Suo figlio è morto                          all'o­spedale, dopo molto tempo. La vecchia si­gnora, l'ex proprietaria,                                sapete, quella che abitava qui prima di voi, mi ha scritto e poi la posta                               non ha più funzionato, e poi lei non ha più scritto, e poi eccoci qua. E                         poi mio marito è morto anche lui. Bisogna prende­re le cose con                                      allegria, con buonumore! è la vita!

            Esce.

Personaggio            Da quando la rivoluzione è terminata, le banche funzionano meglio di                              prima. Ho abbastanza denaro per tutti e due per tutta la vita.

Agnese                      Preferisco lavorare. Ti lascio.

Personaggio                        Ah!

Agnese                      Ti rimpiangerò ugualmente. Ti ho dato quasi tre anni della mia                                      giovinezza. Tu mi rimpiangerai? La cosa ti addolora? (Il Personaggio                               dice di sì con la testa). Mi ad­dolora darti un dolore.

Personaggio                        Ho sognato che il mondo scappava e che io dovevo correre per                                     acchiapparlo­                                                                         

Va a distendersi sulla poltrona. Agnese fa i preparativi per andarsene. Esce, porta la valigia, la prepara, la chiude.

Agnese          Fuori cantano, c'è luce. (Esce di nuovo e ritorna in due o tre riprese a fare la                    valigia) Potresti anche aiutarmi a chiudere le valigie. (Fra un movimento e                     l'altro) Sembra che tu debba portare il mondo sulle spalle. Hai paura di                                    muoverti, hai paura di essere acciuffato, non è il caso di chiudere gli occhi,              non serve a niente. Ti fa venire le vertigini. Guardalo lì, o ti agiti troppo o                     rimani sprofondato in poltrona.

Personaggio Perché rischio di perdere l'equilibrio.

Agnese esce e torna con nuovi indumenti e un'altra valigia.

Agnese          Ce n'ho messo a decidermi, sai. Sarei rimasta ugualmente con te ma tu sei                        troppo... sei troppo come sei. E poi, voglio lavorare, voglio uscire, voglio                      sposarmi, voglio avere bambini. Aiutami a fare le va­ligie, non stare lì                              impalato!

Si impegna febbrilmente a fare le valigie, il Personaggio l'aiuta in maniera ridicola portando della biancheria, un pezzo di car­ta, un fazzoletto.

La portinaia entra dal fondo. È un po' in­vecchiata e nella scena seguente la si vedrà invecchiare sempre di più, a vista d'occhio, ogni volta che ricompare in scena.

Portinaia      Ho chiamato il tassì. è giù.

Agnese          (alla portinaia)           Pensavo che con me i suoi disturbi scomparissero.

Portinaia      (al Personaggio)         Ha fatto un bel guadagno lei.

Agnese           (c.s. )                        Aiutami almeno a portare le valigie, ti dico.

Portinaia                                         Sono tre, ne prendo una io.

Prende la più grossa e scompare. Il Personaggio prende un'altra valigia ed esce.

Agnese          (sola in mezzo alla scena, si guarda attorno, la valigia ai suoi piedi) Sono                         comunque quattro anni. Era interessante, un uomo interessante. Non lo                                  dimenticherò.  (Entra il Personaggio. Fa l'atto di impadro­nirsi dell'ultima                valigia). Non ti disturbare! Faccio da sola. Dammi un bacetto lo stesso. Su,              dammi un bacetto. (Lui la bacia con la punta delle labbra, sulla fronte). Non                    mi di­menticherai, spero. Voglio dire: non subi­to. Ti lascio una foto. Non essere                troppo triste. È la vita. Ti scriverò. Ti manderò delle cartoline, belle vedute.

            Prende la valigia ed esce. Il Personaggio rimane in piedi, in mezzo alla scena.

            Ha l'a­ria un po' smarrita, le braccia penzoloni, al­za le spalle. Quindi il suo viso               assume un'e­spressione un po' imbronciata, un po' indif­ferente.

            Va a sdraiarsi sulla poltrona.     Entra la portinaia.

Portinaia      La sua amica mi ha detto di portarle questi giornali e due bottiglie di cognac.       Mi ha detto che penserà a lei. Ha già mandato una cartolina, prenda, lei stes­sa mi   ha detto: le dica che penserò spesso a lui. Sta in un paese lontano, nel Sud.                      Col suo fidanzato. (Mette le bottiglie di cognac accanto alla poltrona del             Personaggio. Gli tende un giornale) Da quando non c'è più la guerra, i giornali    sono    di nuovo interessan­ti. Senta un po' quel che scrivono: ecco, un padre di famiglia ha         ucciso con la scure, mentre dormivano, la moglie e il figlio. Una donna ha ucciso a         rivoltellate il marito e la figlia. Un francese sposato con una giapponese, abbandonato   da questa per un tedesco, si è fatto harakiri. Il mondo sta per morire, perché non c'è        più ossigeno. Gli astronauti sono sulla luna. Mandano mes­saggi, si annoiano. Una         filosofia del deside­rio caldeggia la moltiplicazione dei carne­vali. Il Vaticano consiglia la carità fra gli uomini. Ora le guerre civili sono proibite. Allora le persone giocano a       fare la guerra civile e si uccidono fra di loro. La società protettrice degli animali desidera che non vengano più massacrati i piccoli delle fo­che. (Posa i giornali fra le      mani del Perso­naggio) Ne ha da leggere, ce n'è abbastanza per distrarsi. Ecco fatto.        Una goccia di san­gue ora ha il suo valore. Non è più necessa­rio che ve ne sia un   oceano.

                        Se ne va.

                        Durante la scena, progressivamente, la scenografia scompare. Nella misura del   possibile, si farà scomparire il mobilio, tranne la poltrona nella quale si trova il       Personaggio, che alla fine si troverà solo in mezzo alla scena deserta. Gli oggetti           possono essere portati via con diversi metodi: la portinaia può portar via ogni tanto    una sedia, se è pos­sibile si può tirare la credenza fra le quinte. Gli oggetti possono           essere sollevati in soffitta o più semplicemente scomparire o essere na­scosti dal gioco           delle luci. La parete di fondo del palcoscenico può aprirsi ed essere sosti­tuita da un   altro fondale, che potrebbe essere fatto di luce azzurra. Alcuni mobili come la            credenza possono aprirsi o appiattirsi. È ne­cessario ovviamente che gli spettatori non      si rendano conto troppo facilmente o troppo in fretta di questa trasformazione, del   vuoto che si instaura progressivamente. Per segna­re il tempo che passa, oltre al fatto     che la por­tinaia appare più vecchia ad ogni entrata, ci sono il giorno, il crepuscolo,        a notte, la luce del mattino, ma questi giorni e queste notti si succedono molto   velocemente e non durano più di un minuto o di qualche secondo. Alla  fine, ci sarà la     nuova portinaia, ossia la figlia della portinaia che avrà l'aspetto della portinaia       giovane dell'inizio.

        Si sentono da fuori, canti, passi cadenzati, rumori di cantiere. Poiché la scena è in           mo­vimento,il Personaggio può restare sulla sua poltrona, a leggere il giornale, a           bere il cognac, lasciando che la scena continui a mutare e che la luce penetri, senza           accorgersi dei cambiamenti di scena e dei giochi di luce.

Personaggio            Vuoi vedere che...

Portinaia (entrando) Ho portato il pran­zo, signore. (Posa il vassoio accanto al Personaggio     e porta via il vassoio che aveva portato in precedenza. Ripeterà questa azio­ne ogni         volta che entrerà ed uscirà) Ma sì, ma sì lei era qui! C'è ancora accanto a lei una   pantofola che aveva dimenticato. È una traccia. Ha lasciato anche l'ombrello accanto            

            all'attaccapanni. (Esce. Il Perso­naggio legge il giornale. Rumori all'esterno,          mutamento di scena. La portinaia rientra) Lei ha l'aria stanca. È l'età. È andato in    pensione troppo presto, signore. Anch'io faccio fatica a fare le scale, l'ascensore non funziona più. Soffro di reumatismi. Ne vo­gliono mettere un altro. Fuori, si canta, si             marcia a passo cadenzato. Hanno preso strane abitudini, ora, bisogna pure che     facciano qualcosa. È mattino, l'ora della gin­nastica. Si fermano in mezzo alla strada       alla stessa ora, allo stesso secondo e fanno gli esercizi. Il nuovo governo ha deciso così. Ecco i nuovi giornali, porto via quelli vec­chi. (Esce. Rientra) Ecco il desinare di      mez­zogiorno. Allora, lo vuole anche lei il nuo­vo ascensore? (Il Personaggio dice di         sì col capo. E mangia, distrattamente e veloce­mente. La portinaia esce. La portinaia       rien­tra, ulteriormente invecchiata) Ecco la sua cena. Che bel tramonto! Non hanno       dato il permesso di installare il nuovo ascensore. Vogliono costruire una casa nuova al posto di questa. Attorno ai muri, hanno alzato dei muri. Vogliono cambiare tutto,            demoli­re tutto. Vogliono ricostruire tutto. Biso­gna pur ricostruire se si vuole demolire        un'altra volta. Non si finisce più. Non si fi­nisce più perché tutto ricomincia. È questo            che tiene in vita. Buonanotte, signore. (Esce. Di nuovo, luce. Il palcoscenico è più      nudo ancora. Rientra) Ecco la colazione. Ed ecco i giornali. Lei continua a rifiutare             l'impianto per la radio o la televisione? (Se ne va dopo aver preso l'altro vassoio. Uscendo)          Ah le mie gambe! Queste scale, tutti i giorni. (Entra con una stampella. Con la mano libera   sostiene il vassoio) Temo che fra poco non potrò più venire. Ecco la cola­zione. Ecco i            giornali.

            Se ne va.

            Entra la cameriera del ristorante. È una vecchia.

Cameriera (ha la voce tremolante) Buon­giorno caro! Sono di passaggio in città. Ho     ritrovato la strada. Mi hanno detto che abi­tavi sempre qui. Non mi riconosce? Non mi    riconosci più? Abbiamo passato insieme quattro anni. Io non ti ho mai dimenticato,     pensavo a te di frequente. Ti ho scritto di­verse lettere. Le hai ricevute? Me ne sono             andata perché tu avevi paura di me. Ti ri­cordi, era un mattino come questo. Sono stata    felice. Ora sono vedova. Ma ho dei bei ricordi. Sai chi sono io? (Silenzio del           Personaggio). Lo sai chi sono? Ho avuto sei figli, ora ne ho soltanto cinque, sono tutti sposati. Hanno dei bambini, quindici. Quindici in tutto. Quindici volte nonna. Come mi chiamo, lo sai?

Personaggio            Lucienne.

Agnese                      Ma no, ma no.

Personaggio            Jacqueline.

Agnese                      Sono cambiata così tanto? Oh sì sono molto cambiata.

Personaggio            Yvonne?

Agnese                      Ma no, sono Agnese! Il pugno in faccia. Eri tutto insanguinato. Ti ho                               lavato la faccia e sono venuta con te. Siamo passa­ti sotto la saracinesca.                          Tu agitavi un faz­zoletto bianco. Una pallottola gli ha fatto un buco                           dentro. Il colore del fuoco tutt'at- torno.

Personaggio            Ah sì, il pugno, il pugno. Bei tempi. E le valigie!

Agnese (ridendo)       Com'eri maldestro. Non riuscivi a chiudere una valigia. Poi ho preso il                              treno. C'era il sole, ero addolorata, molto addolorata. Ma sono stata                                felice, devo am­metterlo, è la verità. Sono rimasta ottimi­sta.

                                   Le campane. Già mezzogiorno. Co­munque, è stato bello il momento                                 che ho passato oggi accanto a te. Come un tempo. Me ne vado, i miei                              nipotini mi aspettano.

                                   Stanno giù, in macchina. Aiutami ad al­zarmi. Non riesco a lasciare la                                sedia, aiuta­mi. (Il Personaggio non si muove. Agnese si alza                                            ugualmente)    Ti do un bacetto.

            Non lo fa. Se ne va, trascinandosi. Entra la portinaia, ma questa volta è    gio­vane,come all'inizio della rappresenta­zione.

Portinaia                 Ecco il pranzo.

Personaggio            Lei chi è?

Portinaia                 La mamma non è più in gra­do di salire, è paralizzata, prendo io il suo                               posto.

            Esce. Il Personaggio rimane immobile per qualche istante. Si fa notte. Arriva la portinaia giovane.

La Portinaia Giovane        Ecco la cena. La signora...

Personaggio                        Quale signora?

Portinaia Giovane                         La signora che è ve­nuta a trovarla la settimana scorsa, un mese                                          fa, la sua vecchia amante, è morta.

Personaggio                        Spenga.

            Buio sul palcoscenico. Di nuovo, grande luce mattutina.

Portinaia Giovane (entrando. È in lut­to) Ecco la colazione. E i giornali. La mamma è morta. Non potrò più servirla per molto tempo. Manca sempre l'ascensore e poi, a me,     questo mestiere non interessa. (Esce portando via il vecchio vassoio. È molto più           severa della portinaia precedente. Dopo un breve intervallo,ritorna Ecco le sue             conserve. Stanno per demolire la casa. Hanno già demolito tutto quello che c'era attorno. Faranno una grande piazza, con un grande giardino. (Se ne va. Ritorna dopo     un breve intervallo)    Ecco la cena.

Personaggio            Grazie, spenga.

            Buio sul palcoscenico. Andirivieni della portinaia che brontola continuamente. Il movimento si accelera ripetendosi. Porta il vassoio, prende il vassoio, riporta il vassoio, dice: « Ecco la colazione e i giornali, ecco il pranzo, ecco la cena » mentre il Personaggio punteggia ogni fine di desinare con la parola «spenga ». Affinché gli spettatori non pensi­no che il buio indichi la fine dello spettacolo, può essere necessario che il buio non sia totale e che si vedano muovere delle figure, an­che se sono quelle dei mobili che vengono spostati o fatti uscire di scena. Del resto ci deve sempre essere una luce o una mezza lu­ce, determinata dalla scomparsa sempre più veloce delle pareti, e determinata altresì dal­la luce elettrica esterna.

Durante la semioscurità, devono comun­que farsi sentire dei rumori, quali canti, risa, mormorii e anche, di tanto in tanto, luci ab­baglianti che possono essere quelle delle sal­dature autogene o delle macchine che si usa­no per la costruzione o la demolizione delle case.

Mentre la portinaia va e viene, molti per­sonaggi reciteranno scene rapidissime. Nella semioscurità, ossia durante la notte, com­paiono personaggi che rappresentano perso­ne morte; essi non devono però avere un aspetto fantomatico. Così:

La Madre Del Personaggio          Te l'avevo detto, bambino mio, te l'avevo detto, lavo­ra!      Te l'avevo detto e ripetuto quand'eri bambino. Avrei preferito un'altra esistenza per te.          Ah! se tu avessi studiato come ti ave­vo consigliato, avresti potuto diventare maresciallo di Francia con una bella divisa e le decorazioni, molte decorazioni. Ho       tanto sofferto per te, ti ho voluto tanto bene. Po­vero piccino mio, povero piccino!

Scompare.

Altro Personaggio (Lucienne)         Amor mio, sono morta da tanto tempo ma non ti            ho dimenticato. Mi è tanto dispiaciuto di averti abbandonato per Pierre Ramboul. Non l'ho mai amato. Io amavo te. Ho tanto sofferto per te. Ti ho tanto amato, ti ho tan­to       amato.

Scompare.

Altro Personaggio            Sono il tuo maestro di scuola. Eri un fannullone. Eri un cattivo      scolaro. Ma avrei voluto fare qualcosa per te, essere fiero di te. Tu mi hai dato un     grande dolore perché ti ho voluto molto be­ne, molto bene.

Scompare.

Altro Personaggio (nella luce)     Sono la figlia di Agnese, mi chiamo Agnese come mia        madre. È morta da due anni, è venuta da lei prima di morire. Prima che morisse le ho promesso che sarei venuta a trovarla. Mia madre l'ha molto amato, l'adorava.

         Esce.

Durante tutti questi interventi, il Perso­naggio rimane naturalmente immobile e ine­spressivo.

Altro Personaggio            Sono il figlio di Jac­ques Dupont. Lei mi riconosce, gli        assomiglio? Mio padre le voleva molto bene, lo sa? Non le dico quanto si è annoiato         dopo che lei è andato via. Sperava sempre che lei andasse a trovarlo. Lei aveva         promesso che sarebbe andato a bere con lui un aperitivo quando usciva dall'ufficio. Le        voleva molto bene.

Esce.

Altro Personaggio Sono il figlio di quel giovane che è fuggito con la signora del        cagnolino, quarant’anni fa. Mio padre le vo­leva molto bene. Anche la signora le       voleva bene. Lei non è mai andato a prendere il tè a casa sua. La signora si è molto   dispiaciuta perché le voleva molto bene. Ma lei, signo­re, non poteva saperlo.

        Esce.

Altro Personaggio            Sono il figlio del ri­voltoso che le ha dato un pugno. Mio padre      mi ha pregato di venire da lei a farle le sue scuse. Le voleva bene, lo sa? le voleva   mol­to bene.

Esce.

Durante questo intervallo il Personaggio continua a non reagire e si limita a bere un cognac dopo l'altro.

Altri Due Personaggi (Due Uomini)     Le volevamo molto bene.

I due uomini escono.

Altro Personaggio (Una Donna)            Ah ! Signore, io le ho voluto molto bene. Non ho    mai osato dirglielo. Avremmo potuto essere felici. Non ho mai osato dirle quanto io    l'adorassi da lontano.

Esce.

Tutti i personaggi che hanno parlato ri­compaiono insieme in diversi punti della stanza. Tendono le braccia.

Tutti  i Personaggi                         Le volevamo bene!

Personaggio                        Schifosi! Lasciatemi in pa­ce! (Si alza e getta contro di essi una       scatola di conserva e una bottiglia. I personaggi scompaiono). Lasciatemi in pace!         Luce! Luce! (Sul palcoscenico la luce del mattino. Da fuori non viene più nessun           rumore. Le pareti sono scomparse, c'è soltanto una grande luce. Rimane in scena   soltanto la poltrona). Portinaia! La mia colazione! Portinaia! Portinaia! La mia     colazione! (Corre in su e in giù per il palcoscenico) La mia colazione! Voglio la mia     colazione! (Va verso il fondo a destra, verso il fondo a sini­stra, poi verso il fondo al centro e continua a chiamare) Voglio la mia colazione! (Natu­ralmente non ottiene             alcuna risposta. Si guarda attorno, spaventato) Che cosa suc­cede? Non c'è più     nessuno! Ehilà! Ehilà! (Si precipita, prende una bottiglia di co­gnac, getta la    bottiglia) Morirò di fame! Mo­rirò di sete! (Guarda ancora attorno a sé, lo spazio è         vuoto, c'è soltanto la luce prove­niente da ogni parte). Che vuol dire tutto questo! È             inutile, non c'è nessuno. Non ho capito niente, non capisco niente. Nessuno potrebbe      capire. E tuttavia non mi meravi­glio. C'è da meravigliarsi che non mi mera­vigli. C'è davvero da meravigliarsi. (Si vede un grosso albero che sorge nella luce del fondo,           nella scena vuota. Dalla soffitta ca­dono foglie e fiori dell'albero. Il Personag­gio si           china, li raccoglie, li guarda, si rialza, lascia cadere fiori e foglie, guarda verso    l’alto guarda verso il fondo, poi a destra e a si­nistra. Va a sistemarsi nella poltrona,      un istante di silenzio, poi si mette a ridere ada­gio, poi sempre più forte. Poi si alza.      Va da un capo all'altro del palcoscenico tenendosi la pancia, e sbellicandosi dal         ridere, ride a gola spiegata. Guarda un'altra volta verso l'alto, sempre ridendo, fa un       segno verso l'alto a mano tesa e con il dito) Ah! furfante, vai! Furfante! (Continua a      ridere a gola spiegata) Ah! Questa poi! Questa poi! Avrei dovuto capire da un pezzo. Che buf­fonata! È meraviglioso! Che burla! Che gi­gantesca burla! Che gigantesca           burla! E io che mi preoccupavo tanto. (Verso il fondo) Che magnifica burla! (Verso             destra) Ah, ah, che magnifica burla! (Verso sinistra, gridando e ridendo) Che       magnifica burla, che gigantesca burla! (Sempre ridendo, nel­la direzione degli     spettatori) Che magnifica burla, ragazzi! Che burla signore e signori. Chi ha mai potuto immaginare una simile burla! Una simile burla! Che casino! Oh Dio, che    inenarrabile casino!

F I N E