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CHERI

Commedia in tre atti di quattro quadri

di COLETTE E LEOPOLD MARCHAND

Versione italiana di Ada Salvatore

PERSONAGGI

LEA DE LORVAL

CHÉRI

MASSEAU

EDMEA

CARLOTTA PELOUX

DESMOND

PATRON

LA SIGNORINA POUSSIER

LA SIGNORINA ALDONZA

LA BARONESSA DE LA BERCHE

ROSA, CAME­RIERA DI LEA

ETTORE, MAGGIORDOMO DI LEA

ENRICHETTA, CAMERIERA DI CARLOTTA

EDOARDO, CAMERIERE DI CARLOTTA

ATTO PRIMO

In casa di Lea. E' un salotto-boudoir caldo e intimo. Pelli, cuscini, un brucia-profumi su un tavolinetto. A sinistra fa­rete ad angolo in cui è un ca­mino. Sedia a sdraio imbottita a sinistra. Una scrivania a de­stra. (Al levar del sipario, Ché­ri è steso su una sedia a sdra­io. E' in abito da casa e legge un giornale. Su un tavolinetto accanto a lui, il servizio della prima colazione che ha appe­na consumata. Seduta davanti ad una scrivania, Lea termina ii verificare il libro dei conti che le è stato consegnato dal ca­meriere-maggiordomo, in piedi dietro a lei. Un breve silenzio).

Lea                                - (terminando di leggere ad alta voce) « Cera, trentadue franchi e ottanta... ». Caspita!... Trentadue franchi di cera. Ettore - Per i pavimenti. In questi ultimi tempi è au­mentata...

Lea                         - ...e ventitré franchi un piumino! Ventitré franchi! Ma... ma da chi vi servite?

Ettore                            - Da chi li vende, si­gnora. E' di penne di barba­gianni. Piuma morbidissima, per spolverare i quadri.

Lea                                - Barbagianni o non barbagianni sono prezzi da modista, questi! Arriveremo al­le scope di martora. Stateci at­tento, non è il sistema di questa casa. Tenete, riprendetevi libretto e lapis... L'as­segno per il macellaio...

Ettore                     - La signora ha approvato il menù per stasera? La cuoca era incerta per il dolce...

Lea                                - Ho cancellato la crema caramel...

Chéri                             - No, perché?

Lea                         - Fa troppo caldo: le uova ti fanno venire i foruncoli... farà invece una granita di fragole. (Pausa) Chi era, al telefono, poco fa?

Ettore                            - La signora Fatinitza.

Lea                                - To'! E che voleva?

Ettore                            - Chiedere un indirizzo alla signora... Glielo ha dato Rosa.

Lea                                - Bene!

Ettore                            - II signor Chéri... Il signor Peloux pran­za qui?

Lea                                - Naturalmente. (Ettore esce).

Chéri                             - Chi è questa signora Fatinitza?

Lea                                - Come, non lo sai? In arte si chiamava Nizza...

Chéri                             - Quel vecchio spaventapasseri!

Lea                         - Si vede che non l'hai conosciuta quando presentava i suoi puledri al Jardin de Paris. Era una vera bellezza.

Chéri                             - Può darsi. Le retrospettive non mi in­teressano.

Lea                                - Ricordo che nello stesso periodo c'erano, al Jardin de Paris, «Nizza e i suoi puledri » e « Massimiliana coi suoi pappagalli ammaestrati ». Un programma magnifico.

Chéri                      - (sbadigliando) Che fine ha fatto, Mas­similiana? Non la si vede più.

Lea                                - Tua madre deve saperlo. Una volta erano molto intime. Erano tutt'e due « dame dei carri », all'antico ippodromo.

Chéri                             - Dame di che?

Lea                                - Dame dei carri, nelle corse romane.

Chéri                      - (trasognato) Mia madre non me lo ha mai raccontato. Doveva essere un bello spettacolo. Madame Peloux che guidava un carro dell'antica Roma.

Lea                                - Puoi dirlo! Con elmo e corazza, una lan­cia in una mano e nell'altra le briglie di quattro cavalli.

Chéri                      - Ma no?

Lea                                - Veramente erano i quattro cavalli che gui­davano lei... E una sera, la sua quadriglia ha in­vestito quella di Massimiliana. Un'insalata! (Ri­dono tutti e due, ma Chéri si stira e sbadiglia) Ma che hai da sbadigliare continuamente? Mal di stomaco?

Chéri                             - (con mollezza) No, no... sto benissimo.

Lea                                - Guardami un po', fammi vedere le brac­cia. Ti fanno bene la boxe e la ginnastica. (Lo guarda con soddisfazione e un certo orgoglio, gli palpa le braccia e le gambe).

 

Chéri                             - L'atleta perfetto, no? Può andare? Sono... abbastanza metodo Lea.

Lea                         - Oh, puoi dirlo forte! Non so che cosa sa­resti diventato, se ti avessi lasciato in casa di tua madre. Ma lascia in pace le unghie.

Chéri                      - Perché non me la lucidi, Nounou?

Lea                                - Avanti, qua la zampa. (Siede accanto a lui e gli lucida le unghie) Ti sei mangiato ancora le pelli? Criminale, scommettiamo che ti rimando da tua madre?

Chéri                             - Non scommettere, perderesti.

Lea                                - Sì, perderei. Preferisco venti arrabbiature il giorno che vederti riprendere la cera di quando stavi con la tua cara madre.

Chéri                             - (rivolto a Lea facendo il verso di quando si aizzano i cani) Kss... Kss... piglia, piglia ma­dame Peloux, piglia!

Lea                                - E se ti dessi un paio di schiaffi quando assumi questi toni?

Chéri                             - Le ingiustizie non mi piacciono. Accu­sare sempre mia madre, quella buona madame Pe­loux che ti adora...

Lea                                - Proprio.

Chéri                      - ...che fa continuamente le tue lodi... Certo! Dice che ho un magnifico aspetto.

Lea                                - Sfido io.

Chéri                             - Dice anche che senza di te il poker non sa più di nulla.

Lea                                - Oh, un giorno o l'altro mi rivedrà. E forse fra non molto.

Chéri                      - Quando?

Lea                         - Quando non vedrò più te. Quando non avrò più da arrossire davanti a una madre di cui... di cui ho portato via il figlio.

Chéri                             - L'infelice figlio!

Lea                         - E poi se mi volesse tanto bene, Carlotta non dovrebbe far altro che venire qua, a vedermi di nascosto, quando tu non ci sei.

Chéri                             - (ridendo) Ma io ci sono sempre.

Lea                                - (ridendo) Ti manderò alle corse. Posso an­che vedere Carlotta. Abbiamo tanti ricordi in co­mune... Ma quelle vecchie pazze che vanno da lei, quelle no. E' un vero riposo non trovarmele fra i piedi. Sono tutte inamovibili, no?

Chéri                             - Inchiodate. E il tuo orribile Masseau fa lo spiritoso in mezzo a loro.

Lea                                - Povero diavolo. Pensa che era brillantis­simo, e che bel giovane! Gli voglio molto bene... insomma, sì, gli voglio bene!

Chéri                      - Si attacca come la rogna! Domenica scorsa, con Maria Luisa...

Lea                                - (vivamente) C'era Maria Luisa, da tua ma­dre? Non me lo avevi detto...

Chéri                      - Me ne sarò dimenticato.

Lea                         - Quella creatura velenosa. Le invidio due cose però: quei suoi trentotto anni che ne valgono venticinque, e la figlia.

Chéri                             - La figlia perché?

Lea                                - Così... mi sarebbe piaciuto avere un figlio... E' vero che ho te, ma non è la stessa cosa...

Chéri                             - Evidentemente. (Si alza e va alla finestra).

Lea                                - Che cosa guardi?

Chéri                             - (seccato) Niente.

Lea                                - (dopo un breve silenzio) Sei di malumore, Chéri? (Silenzio) Cosa c'è che non va?

Chéri                             - (c. s.) Ma niente, niente (Un silenzio).

Lea                                - (lo osserva, poi) Ascoltami... vuoi un con­siglio,?

Chéri                             - Sentiamo.

Lea                                - Dovresti prendere un po' d'aria.

Chéri                      - E cioè?

Lea                                - Fare un viaggetto. Prendi la macchina gran­de... e vattene a fare un giro per un po' di tempo.

Chéri                             - Solo? Sai che allegria!

Lea                                - Portati... un cliente affezionato, se posso esprimermi così... il tuo amico Desmond, per esem­pio... è un tipo che distrae.

Chéri                             - E' inutile che prendi in giro Desmond: è l'unico amico mio.

Lea                                - Lo credo, con quel che ti costa! (Piccola pausa) Allora fai colazione dalla tua cara madre, no? Torni solo per il pranzo?

Chéri                      - Chi ti ha detto che pranzo qui?

Lea                         - Nessuno, ma se non torni, prenditi il so­prabito leggero; stasera farà fresco.

Chéri                             - ...e stai attento alle vetture... e non tor­nare dopo mezzanotte... E che altro? Credo di poter uscire senza bambinaia, no?

Lea                         - Di' un po', non ti tengo mica al guinza­glio. Esci sempre solo, puoi anche restare a dor­mire fuori.

Chéri                             - (subito sottomesso) Nounou, sei stupida!

Lea                         - Sei liberissimo. Mi occupo forse di quel che fai? Ti chiedo qualche cosa della tua vita pri­vata? E potrei anche farlo, perché non sei dav­vero un chiacchierone, ah no.

Chéri                      - Che bisogno c'è di parlare?

Lea                                - Oh! Non ho mai fatto assegnamento sulla tua conversazione per essere al corrente di quello che fai.

Chéri                             - Essere al corrente! Che diamine avresti voluto sapere?

Lea                         - Niente, ti ripeto. Non sono curiosa, io...

Chéri                             - Nemmeno io. Ti faccio delle domande? Ti giuro che non ne sento affatto il bisogno.

Lea                                - No? Perché?

Chéri                             - Perché so benissimo quello che m'inte­ressa di sapere.

Lea                                - Possibile!

Chéri                      - Va là, che lo so che cosa sono per te.

Lea                                - (tranquillamente) Quello lo so anch'io.

 

Chéri                             - (riscaldandosi) E se vuoi che te lo dica...

Lea                                - (lentamente) Quello che sei per me... ma... un... poppante cattivo...

Chéri                      - Non erano cattivi gli altri?

Lea                                - Meno... molto meno...

Chéri                      - E' perché sono l'ultimo della nursery, forse?

Lea                         - Questo, piccolo mio, non ti riguarda... lo saprai quando ti avrò piantato.

Chéri                      - (furibondo) Sta bene, non parlo più.

Lea                                - (lo calma con un gesto familiare accarezzan­dogli la testa) Su,' su... che c'è... che hai...

Chéri                      - (subito raddolcito) Nounou, sei tu che ti arrabbi subito.

Lea                                - Davvero?

Chéri                      - Sì, mi maltratti, mi assali, mi...

Lea                         - Sicuro, lo sappiamo. Il tuo corpo è tutto una piaga.

Chéri                             - Nounou... (Cerca di baciare a volo la mono di Lea).

Lea                                - Niente tenerezze! (Breve pausa) Mostro!

Ettore                            - (entra un momento) Signora, c'è il si­gnor Patron.

Chéri                             - Oh, ma vada al diavolo! Niente boxe, oggi. Me ne torno a letto.

Lea                         - Niente affatto. Su, via, via! (Lo spinge).

Chéri                             - (ribellandosi) Ma aspetto Desmond...

Lea                         - Ecco una buona ragione.

Chéri                             - Di' a Patron di tornare domani, Nounou.

Lea                                - No. Patron viene apposta per te da piazza Pigalle a Passy. Vatti a mettere in costume e ridi­scendi presto.

Chéri                             - (a Patron, in cui si imbatte sulla soglia) Buongiorno, Patron! Vengo subito. (Esce).

Patron                           - Buongiorno, signora de Lorval.

Lea                                - Buongiorno, caro Patron.

Patron                     - (cavando da un involto, o da una borsa, i guanti da boxe e togliendosi giacca e maglione) Voi permettete, signora? Non vi chiedo come state. (Con ammirazione) Ah, se voleste, con un fisico come il vostro! In due mesi vi farei l'addome piatto come un asse e vi toglierei cinque chili di peso.

Lea                         - (ridendo) Grazie! E che cosa ci metterei al posto? Sviluppate Chéri, mi basta questo. Una sigaretta?

Patron                           - Mai, signora de Lorval.

Lea                         - Già, è vero, avevo dimenticato. Va bene il ragazzo, eh?

Patron                           - (sprezzante e cordiale) Fa quello che può. Si agita, ogni tanto piazza un piccolo colpo a tradimento; insomma, si diverte. Certo non sarà mai un campione.

Lea                         - Non ci tengo affatto, Patron. Non l'ho ingaggiato per la boxe, io.

Patron                           - (abbassando gli occhi) Lo so benissimo signora Lea. Sono faccende sentimentali, nelle quali non avevo intenzione di immischiarmi.

Lea                         - (ridendo) Oh, vi ho fatto di nuovo arros­sire, come al solito.

Patron                           - (cordiale) Non prendetemi in giro sta­mattina, signora Lea. Non sono del mio umore solito.

Lea                                - Che vi succede, Patron? Le cose non van­no bene? Sempre la solita storia: la vostra ami­chetta?

Patron                           - Ieri c'è stata ancora una di quelle sce­nate... Ah, signora Lea! Mi vuole tutto per sé. Si vergogna, dice, di avere un uomo con una profes­sione che lo costringe ad alzarsi la mattina presto per dedicarsi al proprio allenamento. Come se non avessi la possibilità, strepita, la possibilità... Un sentimento, lodevole, non è vero?

Lea                                - Molto.

Patron                     - Ne convengo, ma che volete? Non posso, ognuno ha le proprie fissazioni.

Lea                                - Siete un bravo ragazzo!

Patron                     - Anche stamattina, con la posta delle otto, ho ricevuto un'altra lettera. Mi dice che è libera, che i suoi due protettori sono partiti. Quel­la, se riesce a farmi perdere mezza giornata, cre­derà di averla spuntata. In fondo... (con pudore) è una questione di coscienza.

Lea                         - E' vero.

Patron                           - Almeno voi mi capite, potete compren­dermi. So benissimo che anche per voi la vita non sempre è rosa... (Guarda la porta da cui è uscito Chéti).

Lea                                - Eh no. (Si sorridono. Chéri entra brusca­mente. Sotto la vestaglia o accappatoio indossa sol­tanto i calzoncini da boxe. Ha in mano un libro di conti).

Chéri                             - (prorompe) I conti dell'autista! Senti un po'. (A mezza voce) Dodici e cinque diciassette e nove ventisei.

Patron                           - Le fa bene le somme. Un perfetto cas­siere, sembra.

Chéri                             - Proprio così! Ottocentoventisei franchi di benzina. Ottocentoventisei franchi! Neanche se la bevesse! E settantasette franchi di olio. E quattro camere d'aria. Perché, quattro camere d'aria? Sono tre mesi che non si buca una gomma!

Lea                                - Quando non digerisci un conto, assomigli a tua madre. Senti un po', angelo calcolatore, e che cosa dovrei dire io? Lo sai che sono io a dargli da mangiare, al tuo autista? E lo sai che si serve tre volte dal piatto di arrosto? Mi pare che questo vada un poco al di là dei nostri patti, no?

Chéri                      - Questo è... è meschino, questo che tu dici, è... sì, è meschino... peggio ancora che me­schino... è...

Lea                                - (ridendo) Lascia andare, va', tanto non la trovi la parola adatta. (Chéri, furibondo, butta in aria il libretto) Ma sì, sicuro, mi odi, vorresti ve­dermi morta. (Lo trae a sé) Vieni a darmi un ba­cio, su abbracciami, angelo maledetto... piccolo scemo...

Patron                           - Bisogna riconoscere che come fisico, non lasciate proprio nulla a desiderare, ma io quando vi guardo... Credo che se fossi una donna, signor Chéri, direi a me stessa: « Ripasserò fra una decina d'anni! ».

Chéri                      - Lo senti, Lea? Dice: fra una decina d'anni. Ci staresti tu, a ripassare fra una decina d'anni?

Patron                           - Che gusto ci provate ad esser maligno?

Chéri                             - Così. una soddisfazione. Tu non puoi capire.

Lea                         - (con serietà) Su, andate... al lavoro. Va a sfogare la tua cattiveria su Patron.

Chéri                      - Grazie. E' come picchiare un muro.

Lea                                - E' la parola esatta. E' solido, il nostro Pa­tron, solido come un muro maestro. (Entra Masseau) Ah, siete voi Masseau!? Siete odioso con que­sta mania d'entrare come... come...

Masseau                        - Come un vecchio demone familiare. Ma il giorno in cui in casa vostra mi annunce­ranno, significherà che sono caduto assai in basso.

Lea                                - Oh, Dio mio!

Masseau                        - Che c'è? Che cosa ho?

Lea                         - La faccia di un cadavere ambulante.

Masseau                        - Semplicemente la faccia di un uomo che non è andato a letto.

Lea                         - E che per di più se ne vanta.

Masseau                        - Prego, stamattina, dopo il bagno turco, alle dieci ero già al Bois col mio carrozzino, tirato da un nuovo puledro sauro... una meravi­glia. Ah, l'aria fresca del mattino!

Lea                                - State proprio diventando un uomo saggio. Se penso invece ai bei tempi quando uscivate da «Maxim's» all'alba, in frac, e vi facevate prestare un carro da trasporto e lanciavate al galoppo per il viale delle Acacie quei grossi cavalli per spaven­tare gli equipaggi dei vostri amici.

Masseau                        - Sono un'anima semplice, io. Se sono venuto è perché...

Lea                                - Per che cosa?

Masseau                  - Una cosa d'importanza vitale. Per la giornata del derby, venerdì, ho noleggiato un autentico calesse dell'epoca, eclisseremo tutti gli equipaggi. Faccio assegnamento su di voi. Ci sarà...

Lea                         - No, Masseau. La giornata del derby mi fa l'effetto della vostra festa di stanotte. Che barba!

Masseau                        - Perché non ci siete venuta?

Lea                         - Non avevo nulla di nuovo da mettermi. E poi, Chéri moriva di sonno.

Masseau                        -  Ah, dite piuttosto che è per questo.

Lea                                - E' stato molto divertente?

Masseau                  - Una cosa inaudita! Lili ha ballato sulla tavola, con le nacchere. Inenarrabile!

Lea                                - La vecchia Lili? Ma no?

Masseau                  - Che mi si neghi l'ingresso in Para­diso, se dico una bugia! E poi una tombola, cara mia. Dei premi magnifici! Io ho vinto un cappel-lino di Reboux: una paglia di Firenze con un gran mazzo di rose...

Lea                                - Vi sta bene?

Masseau                  - Ho scommesso che lo metterò do­mani sera a cena da «Maxim's»...

Lea                         - No, Masseau, non lo fate. Non sarebbe divertente... per lo meno, non abbastanza diver­tente.

Masseau                  - A raccontarlo, non sa di nulla, ma la serata è stata de-li-zio-sa! E non ero il solo a sperare che veniste... c'erano Arcole... Umberto Ranvier... Spelaieff...

Lea                                - Tutti i miei antichi protettori. Cioè, quasi tutti.

Masseau                  - Oh, Lea! Degli amici... dei veri amici...

Lea                                - Sì, adesso. Ma per me, sapete, gli ultimi sprazzi dei vecchi...

Masseau                        - Vecchi! Vecchi! Gerolamo d'Arcole ha forse un anno a due più di Spelaieff; e Spe­laieff ha quarantanove anni.

Lea                         - Be', non è quello che stavo dicendo? A proposito, come sta Sergio?

Masseau                        - Meglio. Molto meglio.

Lea                                - Non poteva certo durare tutta la vita... Ci siamo lasciati ottimi amici. Davvero, pensate... nep­pure una scenata, in sei anni.

Chéri                      - (d. d.) Ah, questo è andato a segno, «caro maestro »...

Patron                           - (d. d.) Ma sì, sì, d'accordo, signor Ché­ri... (Lea e Masseau fanno un movimento involon­tario verso le voci).

Masseau                        - Che sta facendo di speciale, il signor Peloux?

Lea                                - Cultura fisica.

Masseau                        - (perfido) Piaceri puri.

Lea                                - Che gli fanno molto bene. Ha ottimo aspetto e dei muscoli che non vi dico.

Masseau                        - Anche voi, mia cara.

Lea                                - Oh, io! Non parliamo di me, Masseau. (Si palpa i fianchi) Accidenti, ingrasso.

Masseau                        - Non vi sta affatto male. Nel '95 era­vate paffutella come una pupa. Fossette dapper­tutto. Adorabile! E delle braccia, capaci di atter­rare un uomo...

Lea                         - Ne hanno atterrato più d'uno, infatti.

Masseau                        - Lo sappiamo, lo sappiamo.

Lea                                - A voi piacciono soltanto i modelli dell'al­tro ieri.

Masseau                  - Chéri ha dei gusti diversi?

 

Lea                         - Domandatelo a lui, vecchio mio.

Masseau                  - Non potreste fare a meno di chia­marmi « vecchio mio »? In vent'anni non vi siete ancora accorta che mi dispiace.

Lea                         - Me ne sono accorta; ma l'avevo dimen­ticato. (Una pausa).

Masseau                  - Oh, scusatemi, mia grande, cara, bella amica. Perdonatemi se con voi sono ancora geloso, cattivo, stupido come un ragazzo.

Lea                                - (si lascia abbracciare affettuosamente) Non è detto che un ragazzo debba essere necessaria­mente stupido.

Masseau                  - Oh, sì! Sono stato giovine anch'io.

Lea                         - Ci tenete proprio a parlar male del mio trovatello... Che cosa ne ricavate?

Masseau                  - Convengo che è simpaticissimo.

Lea                         - E' grazioso. Niente di speciale. Ma gra­zioso. Trovo che la mia ricchezza e la mia età mi consentono qualche capriccio. Più tardi, mi occu­però dei poveri. Oggi ho un ricco... il mio povero e ricco trovatello... Insomma, Masseau, sono forse ridicola perché ho raccolto anche questo?

Masseau                  - Oh! Riuscireste perfino a farmi ap­provare le vostre intenzioni di... fondare un orfa­notrofio...

Lea                                - (è punta, si domina) Masseau! (Si costrìnge a ridere. Spinge Masseau verso la porta) Levatevi di torno, vecchio serpente! Vecchia portinaia... ve­leno... andatevene... andate a raggiungere le vostre amichette, le vostre Lili, le vostre Lulù.

Masseau                  - (resistendo) Ma non vi ho raccon­tato la parte più bella della festa! Liana e Prime-rose si sono prese per i capelli! E' stato il «clou»!

Lea                                - Lo leggerò nella cronaca mondana del «Gii Blas». Ora, levatevi di torno, debbo vestirmi. (Masseau esce. Patron entra) Che ne avete fatto del ragazzino, Patron?

Patron                           - L'ho lasciato nel bagno.

Lea                                - Al solito. Otto asciugamani nella vasca, un lago per terra, raschiatura di rasoio sul lavabo e una saponetta liquefatta nell'acqua: questo è il suo bagno. Invadenti come lui, è difficile trovarne.

Patron                           - Ma... almeno vi fa compagnia.

Lea                                - Oh, con voi non c'è bisogno di troppe spie­gazioni. Capite a volo.

Patron                           - E' il mio mestiere. So che cosa signi­fica studiare l'avversario.

Lea                                - Arrivederci, Patron. A venerdì. Non siete in ritardo?

Patron                           - No, signora. Alle 11 e 50 c'è una par­tenza da Porta Dauphine... Arrivederci, signora Lea. (Esce. Dopo un momento entra Chéri. E' mezzo vestito. Ha al collo un lungo filo di perle di Lea).

Lea                                - Ah, ah, ah! Sembri proprio una caratterista di varietà.

Chéri                             - Perché? Mi stanno benissimo, come a te; anzi, meglio. Me la dai questa collana, Lea?

Lea                                - Lasciala, il filo si consuma, le perle sono pesanti.

Chéri                             - (serio) Deve averti apprezzato parecchio quello che ti ha regalato queste uova.

Lea                                - Levati quella collana, hai capito?

Chéri                      - Eh, sì, ho capito. Lo so benissimo: hai paura che la prenda.

Lea                                - No, ma se però te la dessi, saresti capa­cissimo di accettarla.

Chéri                             - (curvo su di lei, perfido) Abbi il corag­gio di dire che mi sta male.

Lea                                - Non lo crederesti. (Cambiando tono) Ma non puoi ridere senza arricciare il naso? Sarai con­tento, vero, quando ti saranno venute le rughe sotto gli occhi?

Chéri                             - Per me c'è tempo. (Sorride).

Lea                                - Hai un'aria cattiva quando sei allegro. Non ridi che per malignità. E ti imbruttisce. E troppo spesso, sei brutto.

Chéri                      - Non è affatto vero. Debbo andarmi a vestire. La signora madre tiene a questa colazione: abbiamo ospiti molto rispettabili.

Lea                                - Se sono vostri amici...

Chéri                             - Abbiamo la bella Maria Luisa.

Lea                                - Di nuovo! Ma è sempre da Carlona, ades­so, quella là?

Chéri                      - E quella peste di sua figlia.

Lea                                - Davvero? Ormai si danno dei balli per si­gnorine, da tua madre, e delle mattinate infantili?

Chéri                      - Sì, con marionette.

Lea                                - Ma che hai da girare attorno in quel modo?

Chéri                             - Cerco la mia spilla. Dov'è la mia spilla? L'avevo posata qui, ieri sera.

Lea                                - (impassibile) Se l'è messa Ettore per an­dare a fare la spesa.

Chéri                      - Spiritosa! E le mie scarpe? Vorrei sa­pere dove le hanno messe, le mie scarpe.

Lea                                - Quali?

Chéri                      - Quelle di antilope.

Lea                         - Ma se le hai sotto gli occhi, stupido.

Chéri                      - (sdegnoso) II giorno in cui una donna mi amerà per la mia intelligenza, vorrà dire che sono un uomo finito. Intanto voglio la mia spilla.

Lea                                - (tranquilla) Per che fare? Non si mette la spilla quando si va in giacchetta.

Chéri                      - Oh, basta! Nessuno si occupa di me, qui. Sono stufo!

Lea                                - (senza alzare la voce) E allora, vattene.

Chéri                             - Son cose che si dicono...

Lea                                - Vattene. Ho sempre avuto orrore degli in­vitati che dicono male del pranzo... Va a far cola­zione dalla tua santa madre, bimbo mio, e restaci.

Chéri                             - (calmato) Insomma, non posso dire nean­che una parola?

 

Lea                         - No. Vieni qua che ti metto un po' in or­dine. Dio, che cravatta! Va bene che per la bella Maria Luisa e famiglia, può anche passare... E vo­levi metterci sopra una perla? Cafone! E perché non un paio di orecchini?

Chéri                      - Non mi starebbero poi tanto male.

Lea                                - (togliendogli la collana) Dammi.

Chéri                             - (ambiguo e sorridendo) Che peccato! Sa­rebbe così bella come regalo di nozze.

Lea                                - Regalo di nozze per chi?

Chéri                      - Per me... i gioielli per il mio matri­monio...

Lea                                - (sorridendo) Ah sì? Quando verrà quel giorno, vedremo... (Lo guarda. Chéri ride. Bussano alla porta. Entra Rosa).

Rosa                              - II visconte di Desmond chiede del signor Fred...

Lea                                - Vuoi vederlo?

Chéri                      - Eh?

Lea                                - Va bene. Fallo entrare. (Rosa esce) Non è che lo adori il tuo Desmond, ma dopo tutto...

Chéri                      - A ciascuno il proprio Masseau, no?

Lea                         - (condiscendente) Ma certo. Tutti hanno diritto di vivere...

Desmond                      - (entrando) Buongiorno, Lea.

Lea                                - Buongiorno, Desmond.

Chéri                      - Oh! Hai una faccia come se ti fossi ri­pulito con la gomma da cancellare.

Desmond                      - Credi di essere spiritoso?

Lea                                - No, ma rende l'idea.

Desmond                      - Offrimi qualche cosa per rimettermi in sesto.

Lea                         - Suona il campanello, Chéri.

Chéri                      - Un momento. Che hai fatto ieri sera, quando ci siamo lasciati?

Desmond                      - Ieri sera? Niente. Sono stato un'oretta dalla Loupiote... ho mandato giù una dozzina di whisky.

Lea                                - Ma guarda! Proprio come un uomo grande!

Chéri                      - Ti diverte far questo?

Desmond                      - Qualche volta.

Lea                                - (a Chérie) Infatti si vede, guarda: ha già il bianco degli occhi screziato di fibrille rosse, come Masseau... che vergogna!

Chéri                             - E poi, che altro hai fatto?

Desmond                      - Niente. (Breve pausa) Auteuil è stato un disastro, ieri, lo sai?

Chéri                             - Per te, forse. Che diavolo hai giuocato? Io ho vinto millecinquecento franchi su «Roc Noir».

Lea                         - E io duemila su «Templario».

Chéri                      - (vivamente) Nounou! Non me lo avevi detto.

Lea                                - Naturale. Avresti subito preteso un pic­colo regalo. (Chéri l'ha presa per un braccio, pic­cola lotta scherzosa).

 

Desmond                      - Siete allegri, voialtri, e intanto io ho perso.

Chéri                             - Hai finito di far sanguinare le tue pia­ghe? Sta' tranquillo, ti farò una piccola medi-cazione.

Desmond                      - Sul serio? E' proprio quello che mi ci vuole... perché infatti...

Chéri                             - Sì, sì... Infatti... infatti...

Desmond                      - Non scherzare. Stammi a sentire. (A Lea) Ascoltatemi voi, Lea, sono certo che capi­rete. Vorrei andare a passar la giornata in cam­pagna.

Chéri                      - Ma va! Non ti senti bene?

Desmond                      - Vorrei andare a Barbizon, sulle rive della Senna, ecco.

Chéri                             - Ci siamo, ci siamo! E' rimbambito. Peg­gio di Masseau!

Desmond                      - (terminando, a Lea) ...con una per­sona.

Lea                                - Ah! Una donna maritata?

Desmond                      - No. Meglio.

Chéri                      - Una modista?

Desmond                      - Quasi.

Chéri                             - (maligno) Ecco una donna fortunata!

Desmond                      - Vorresti dire che la compiangi?

Chéri                      - Accidenti, ti conosco. Se non ti ha an­cora frequentato, dille come impieghi il tempo abi­tualmente... Quelle sì che sono referenze!

Lea                                - Questo non ti riguarda, Chéri.

Desmond                      - (serio) Forse questa volta sbaglia a scherzare.

Chéri                      - Ma no!

Desmond                      - Sì.

Lea                                - Desmond! Mi sbalordite! Che qualità ha, questo fenomeno?

Desmond                      - Ma... che è molto graziosa, ha... un caratterino bizzarro... una bella bocca...

Chéri                      - (ridendo senza ritegno) Mi fa crepare, mi fa.

Lea                                - (ridendo anche lei) Mi sembra proprio innamorato!

Desmond                      - (freddamente) Potrebbe anche darsi, (A Chéri) Ha diciotto anni, sai. (Pausa).

Chéri                             - (cambiando tono) E' veramente carina... Proprio tu, Desmond. Allora racconta, su, raccon­ta... (Lea si è alzata e sì è allontanata un foco).

Desmond                - Che vuoi che ti racconti? E'.,, di­verso dal solito. Una cosa che fa piacere... Asso­lutamente nuova.

Chéri                             - Nuova?

Lea                         - (dal punto dove sì è fermata) Chéri, non ti vuoi rendere conto che Desmond ha i suoi segretucci. Perché insisti?

Desmond                      - No, Lea, non è che voglia fare il discreto, ve lo assicuro... Ma trovo sciocco raccon­tare quello che mi sta succedendo. E' una ragazza deliziosa, ha un'aria molto per bene. Potrebbe es­sere una reginetta da romanzo... se non fosse per una piccolezza... La guardo: è di una tale fre­schezza che rimango sbalordito. (Lea si allontana un po' di più dai due. E' arrivata alla vetrata che da in giardino. Si sofferma un attimo, discende un gradino, scompare) Lo so, le mie storie non la in­teressano... D'altronde, le sono sempre stato anti­patico. (Si alza).

Chéri                             - (lo forza a sedere di nuovo. Abbassando la voce) Resta seduto. A me le tue storie inte­ressano. Dicevi? Ha diciotto anni?

Desmond                - Sì. Ci vediamo abbastanza spesso. Non quanto vorrei, ma... con quello che mi danno in casa... (Gesto indicante denaro).

Chéri                      - Sì, lo so. Dunque?

Desmond                - Dunque, niente. E' carina, gentile, che cosa vuoi? (Breve pausa) Mi prendi in giro, eh? Un amoretto come questo, che cosa significa per te? Prima di sistemarti qui, hai avuto tutte quelle che volevi.

Chéri                      - Io? Chi sarebbero, tutte?

Desmond                - Oh Dio... Cristina Lambert... Bian­ca, Lili, Valmy... insomma, un mucchio.

Chéri                      - Che memoria! E' roba talmente lonta­na... (Abbassa il capo pensieroso).

Desmond                - Va là, te la sei spassata prima di venirti a stabilire qui, mentre io...

Chéri                             - (rialzando il capo) A stabilirmi qui? Ti piace, eh? ripetermi che mi sono sistemato, che mi sono « accasato » no? Sì, sì, ti piace. (Pausa) Mi diverti, sai?

Desmond                      - Sono qui per questo. (Breve pausa).

Chéri                             - (occhiata rapida verso il giardino) Senti... (Esita).

Desmond                - Ah? (Ride) Che ti piglia?

Chéri                      - Non ridere. Fai schifo quando ridi.

Desmond                - Ma che hai? Brutte novità?

Chéri                             - No. (Occhiata verso il giardino) Ssst!

Desmond                - Non ho detto niente.

Chéri                      - Dicevi, parlando della tua ragazza, che è una cosa diversa... che fa piacere... nuova...

Desmond                - Sì... e poi?

Chéri                      - (non senza vanità) E poi... sì, anch'io.

Desmond                - Ma no! E chi è?

Chéri                      - Non la conosci.

Desmond                      - Un'amica di... (Indica il giardino).

Chéri                      - Figurati! (Pausa) E' una ragazza.

Desmond                      - (incredulo) A chi vuoi farlo credere?

Chéri                             - Ho forse l'abitudine di scherzare?

Desmond                - No, ma di dir bugie...

Chéri                      - Che cosa c'è di inverosimile in questo? Che tu abbia una giovane amica, lo trovi naturalissimo; se ti dico che l'ho anch'io, ecco che cadi dalle nuvole. Ho venticinque anni... Santo Dio! E non sono un invalido.

Desmond                - Allora, vuoi dire che l'ami?

Chéri                             - L'amo... l'amo... non lo so... Aspetta... Che vuoi che ti dica... Non sono sicuro.

Desmond                - Che tipo! E lei ti ama?

Chéri                      - Oh! Si capisce.

Desmond                      - E' bella?

Chéri                             - (esitando) Mi sembra carina.

Desmond                      - (alzando le braccia al cielo) Mi sem­bra! E' il colmo! Si direbbe che non l'hai mai vista.

Chéri                             - (guardando verso il giardino) E grida più forte, idiota. Sì, è bella... Quando la guardo, vedo che è bella... snella... dei grandi occhi... E' una ragazza... e non ci sono abituato.

Desmond                      - (dopo una pausa) Insomma, senti, se fra voi due... La cosa attacca?

Chéri                             - (trasognato) Mi chiama Fred.

Desmond                      - No?!

Chéri                             - Sì. Mi fa uno strano effetto. Mi sono chiamato Fred fino a tredici anni. Poi sono sempre stato Chéri. Lei, invece, mi chiama Fred. Non mi dice mai «piccolo mio», «mostro», «bellezza». Non mi bacia neppure.

Desmond                      - (dopo una pausa) E' incredibile! Sarà curioso, ma non riesco a vederti con una ragazza. Mi abituerò.

Chéri                             - Anch'io... credo.

Desmond                      - Ad ogni modo, rallegramenti. Hai tutte le fortune, tu.

Chéri                             - Le stesse che hai tu. Ti sembra eccessivo?

Ettore                            - (entra e cerca con lo sguardo) La si­gnora non c'è, signor Fred?

Chéri                             - (indicando il giardino) E' di là. (Ettore esce).

Desmond                      - (riprendendo il discorso) Le stesse che ho io... con la differenza che io non ho chi mi passi il becco di un quattrino.

Chéri                             - Ah, già, a proposito... la tua gita in campagna... Guarda in quella coppa, c'è il mio portafoglio. Serviti.

Desmond                      - (mostrando delle banconote che prende dal portafoglio) Puoi constatare che ne prendo soltanto tre. E segno.

Chéri                             - Anch'io, sta tranquillo.

Desmond                - Oh! Prima che l'amore faccia per­dere la memoria a, te! Posso aver torto, m'auguro di aver torto, ma ho paura che ne verrà fuori uno di quei putiferi, da parte... (accenna al giardino) quando saprà...

Chéri                      - Lea? Farmi delle storie? Si vede che non la conosci.

Lea                                - (entra in quel momento) Chéri?

Chéri                             - Eccomi...

Lea                                - (a Desmond) Siate gentile, Desmond... an-datevene... C'è di là... vi spiegherò...

Chéri                             - Va a fuoco la casa?

Lea                                - (piano) E' quello che mi domando anch'io.

 

Desmond                      - Sì, sì, taglio la corda, scappo.

Lea                                - Grazie... Arrivederci... Mi scusate, vero?

Chéri                      - A presto, Desmond. (Desmond esce. A Lea) Che ti prende, metti i miei amici alla porta, adesso?

Lea '                              - Non si tratta di questo! Sai chi c'è di là, nel salottino? Nient'altro che la tua cara mamma.

Chéri                             - II principale?

Lea                                - Proprio lei... (Pausa) Che viene a fare a quest'ora?

Chéri                      - E' un bel pezzo che non la vedi.

Lea                                - Parecchio. Dopo la memorabile scenata al poker... Che vuoi, lei non può fare a meno di ba­rare, è più forte di lei... E io non mi ci posso abituare. Che viene a fare?

Chéri                             - (esitando) Come vuoi che lo sappia?

Lea                                - (sospettosa) Davvero? Proprio non lo sai?

Chéri                             - (alzando le spalle) No davvero. (Pausa) Sicuro... che cosa può volere?

Lea                                - Lo sapremo a momenti.

Chéri                             - Come. La ricevi?

Lea                                - Perché no?

Chéri                             - (svignandosela) Divertiti. (Esce in punta di piedi. Entra la vecchia Rosa).

Lea                         - E' vero quello che mi ha detto Ettore?

Rosa                       - Sì. E' nel salottino.

Lea                                - (davanti allo specchio) Ha chiesto di Chéri?

Rosa                       - No. Soltanto della signora.

Lea                                - Ho bisogno di cipria? Sto bene di aspetto?

Rosa                              - Benissimo, signora.

Lea                                - Falla entrare. (Rosa esce. Un momento di silenzio. Lea respira profondamente. Sì assi­cura dell'equilibrio della sua acconciatura, guar­dandosi ancora nello specchio. Carlona entra).

Carlotta                         - (appare sulla soglia. Un po' troppo pa­tetica, a braccia aperte) Lea!

Lea                                - Buongiorno, Carlotta.

Carlotta                         - (giunge le mani con ammirazione) Come sei bella! Bella! Più che bella, sei prodigio­sa. Ti giuro, quando ti vedo dimentico tutto, ca­pisci, tutto, per restare soltanto in ammirazione.

Lea                         - Sono sicura che la memoria ti torna su­bito. Siedi. Hai un ottimo aspetto. Carlotta     - Oh, io non conto più. Sono finita. Ho finito d'essere una donna e debbo dirti la ve­rità? Ne sono felice. (Si tocca il cuore) La bestiolina è morta.

Lea                         - (allegramente) Ma non il veleno? .

Carlotta                  - (prendendole le mani) Come ti ho lasciata, ti ritrovo... precisa. Piena di spirito comevent'anni fa.

Lea                         - (ridendo) Non sono vent'anni che non ci vediamo. Il tempo ti sembra molto lungo, senza di me. (Carlotta si guarda attorno) Cerchi qual­cosa, mia cara?

Carlotta                         - II ragazzo non c'è?

Lea                                - Come vedi.

Carlotta                         - E' uscito?

Lea                                - No, credo che sia in cantina. Conta le bottiglie.

Carlotta                         - (con ammirazione) Le conta?

Lea                                - Sì, lo diverte.

Carlotta                         - Ah, che tesoro ti ho dato!

Lea                                - Dato... diciamo «prestato».

Carlotta                  - Niente di cambiato, qui. Niente e nessuno. E' delizioso. Ah, le donne giovani non sanno arredare una casa, un salotto come questo.

Lea                                - Hanno il tempo d'impararlo.

Carlotta                  - E come è ben tenuto.

Lea                                - Per questo mi conosci.

Carlotta                  - E hai sempre Rosa? La tua fedele Rosa. Ma giusto, non ho riconosciuto il came­riere. Che tipo è questo che hai adesso? E' bravo?

Lea                         - Non abbastanza perché tu possa portar­melo via. (Offrendo) Una sigaretta?

Carlotta                         - (sospira accettando) Grazie. Non do­vrei, per il cuore. Povero muscolo affaticato. Ora fumo solo dieci sigarette il giorno, e mi permetto un cognacchino la domenica, quando sto in casa. (Sospiro) Ah, le nostre belle domeniche, Lea!

Lea                         - Ma tu le hai sempre, manco soltanto io.

Carlotta                         - Proprio.

Lea                                - Bisogna farsi una ragione, Carlotta.

Carlotta                         - Macché, macché, macché! Non è facile per me rassegnarmi, se voglio bene a qual­cuno. Ma le ritroveremo, le nostre belle domeniche di Neuilly. E vuoi che ti dica la verità?

Lea                                - E' la seconda volta che me la offri.

Carlotta                         - Le ritroveremo fra non molto, le nostre domeniche, le nostre partite a due a bridge con l'Aldonza e la vecchia La Berche. Molto pri­ma di quanto tu possa immaginare.

Lea                                - (smettendo di ridere) Come mai?

Carlotta                         - Siamo sole, vero? (Lea accenna di sì) Si tratta di Chéri.

Lea                                - Tu non lo crederai, ma me l'ero imma­ginato.

Carlotta                         - Sai bene, Lea, che ho sempre cer­cato di rimanere al disopra dei pregiudizi.

Lea                                - Lo so. Quando Chéri non aveva ancora dodici anni, tu andavi dicendo che eri la sua ma­drina, a causa di Francesco Hamelin che passava per tuo zio, perche Giacomo Esders passava per tuo cugino...

Carlotta                         - Sicuro: ho sempre avuto orrore dell'isolamento. Cercavo di crearmi una famiglia. E' così triste non avere un vero focolare domestico.

Lea                                - Ci si abitua.

Carlotta                         - O ci si ostina. Io sono un'ostinata. Ed ho ragione. In fondo, in fondo, non sono che una buona vecchia borghese.

 

Lea                                - Verissimo. Una borghese... al disopra dei pregiudizi...

Carlotta                         - L'hai detto. Ebbene, mia cara Lea, sono arrivata alla realizzazione di tutte le mie speranze, di tutti i miei voti. La pace, la tranquillità, una famiglia... e chi sa? (Gesto di una mono tesa su una testa infantile) Chi sa?... magari qualche angioletto.

Lea                                - Che genere di angioletti?

Carlotta                         - (alzandosi con effusione) Abbraccia­mi, Lea. (La stringe fra le braccia e siede di nuovo) Lea, dò moglie a Chéri.

Lea                                - (molto padrona di se) Davvero? Compli­menti. E lui lo sa?

Carlotta                         - Non ti ha detto nulla?

Lea                                - No.

Carlotta                         - Ah, ah, ah! Fa il misterioso. Ma guarda, guarda un po'! Ah, ah! Mi farà morir dal ridere.

Lea                                - (impassibile) E' molto comico.

Carlotta                         - D'altra parte, non c'era fretta.

Lea                                - (suo malgrado) Sì? Non è imminente?

Carlotta                         - Dio mio, no. Noi non abbiamo l'in­tenzione di far sposare questi ragazzi prima... di un mese, un mese e mezzo...

Lea                         - Noi? Chi sarebbe, noi?

Carlotta                         - Maria Luisa ed io.

Lea                         - Maria Luisa? La bella Maria Luisa? Al­lora è...

Carlotta                         - Sua figlia, sì, Edmea.

Lea                                - Ma come è possibile? Ha quattordici anni, è una bambina.

Carlotta                         - Li ha avuti fino all'anno scorso, ora ne ha diciannove. Meno bella di sua madre, natu­ralmente, ma fresca... con degli occhi... E poi, un giglio. Una principessa. Assolutamente tipo prin­cipessa... Tipo... (Gesto espressivo) Insomma, hai capito.

Lea                         - Non molto. Ho conosciuto un solo prin­cipe in vita mia e per di più era russo.

Carlotta                         - Ah, posso dire che la vita si schiude veramente bella davanti a questi ragazzi. Gioven­tù, ricchezza, amore. Cos'è che ti fa ridere?

Lea                         - Nulla. L'idea che la vita si possa schiu­dere bella davanti a una ragazza che sposa Chéri. Una ragazza a Chéri! Come dare una pecorella a un lupo.

Carlotta                         - Come, come? Lui che è così dolce, così...

Lea                                - Così cosa? Che ne sai, tu?

Carlotta                         - Sono sua madre.

Lea                         - E da quando? Ma smettila! Siamo sole, Carlotta, parla chiaro, andiamo!

Carlotta                         - (piena di sollecitudine) Non t'inner­vosire, perché ti agiti? Ah, come sono stata poco prudente. Avrei dovuto... prepararti, dirtelo a pocoa poco... Capisco benissimo... Una sorpresa come questa.

Lea                                - Lascia stare, Carlotta. Che vuoi capire tu? Non c'è nessuna sorpresa. Me l'aspettavo. Quando Chéri era alto cosi (gesto) non pensavo ad altro che a toglierlo ogni tanto dalle mani dei domestici per condurlo al Bois a fargli fare merenda. Mi pare ancora di vederlo, col suo vestitino di velluto nero.

Carlotta                         - (con entusiasmo) Ah, una bellezza. Una creatura da fiaba. Me lo ricordo un giorno, a un corso di fiori, quasi nudo, seduto fra le rose.

Lea                                - Sì, con le unghie verniciate e i piedi spor­chi. Io non ho mai potuto vedere un cane che soffre e un bimbo abbandonato, senza immischiar­mi in cose che non mi riguardavano affatto. D'altronde, debbo renderti giustizia: tu ti sei accorta subito di quello che valevo come balia asciutta.

Carlotta                         - (protestando) Lea!

Lea                                - (continuando) Aveva sempre una magni­fica cera, quando lo riportavo dalla campagna. (Breve pausa) Gli ho sempre dato quello di cui aveva bisogno.

Carlotta                  - Ci si può fidare di te.

Lea                         - Perfettamente: ti puoi fidare di me. Ma ora che ho finito... Ti aspettavo, sai Carlotta, ero certa che saresti venuta a riprendertelo per pas­sarlo a un'altra... donna di fiducia.

Carlotta                         - Che brutta espressione, Lea!

Lea                         - Non trovo. E neanche la cosa in se stessa è brutta. Puoi ritirare il tuo deposito, Carlotta. Il ragazzo è in ottimo stato, l'ho salvato dalle dro­ghe, dagli alcool di cattiva qualità. Sta benone: oso dire che mi fa onore. Soltanto... (Gesto sconsolato).

Carlotta                         - (inquieta) Soltanto?

Lea                         - Soltanto... è Chéri: ecco tutto. Non si sa che cos'è Chéri. (Con orgoglio involontario) La pic­cina avrà del filo da torcere.

Carlotta                         - Certamente, si capisce... ma... una donna giovane ha tante corde al suo arco.

Lea                         - (indifferente) Può darsi. Non me ne ri­cordo bene. (Una pausa) Allora, è tutto quello che volevi dirmi, cara Carlotta? Ti sei disturbata per questo?

Carlotta                         - Mi pare che ne valesse la pena.

Lea                                - Volevi il mio consenso, insomma. E ci speravi poco... Andiamo, Carlotta, dillo! Temevi che me lo facessi strappare con la forza. Credevi che sarebbe stata una ferita un po' sanguinosa, vero? Vattene tranquilla, non ho neanche una graf­fiatura.

Carlotta                         - Mia cara, mi togli un gran peso dal cuore. Me ne vado leggera come una piuma. In fin dei conti, avevo una sola paura: vederti sof­frire.

 

Lea                         - (ride forte, con volgarità un po' voluta) Che spasso!

Carlotta                         - Ridi, ridi! Ridi della mia ingenuità di vecchia stupida, persuasa che una donna potesse vivere accanto a un giovanotto senza esserne pazza.

Lea                                - (senza ridere) Come sei sentimentale, cara Carlotta.

Carlotta                         - Dammi un bacio. E dimmi che pre­sto, mentre i nostri piccioncini tuberanno in Italia, noialtre... (Gesto svelto di dar le carte) A noi, a noi le folli giornate di Neuilly.

Lea                         - Dio mio, mi fai girare la testa! Le tue fedeli ci sono sempre?

Carlotta                         - Sempre. La vecchia Poussier con­tinua a sembrare una impagliasedie di paese, Aldonza assomiglia a un rospo paralitico e quanto al nostro reverendo padre la baronessa, le stanno crescendo i peli perfino negli orecchi. Che care ragazze adorabili! Mi dai ancora un bacio?

Lea                                - Ma sì, quanti ne vuoi, carissima Carlotta. (Si abbracciano).

Carlotta                         - Dio, che buon profumo. Hai notato che quando si comincia ad avere la pelle meno tesa il profumo penetra meglio? Con quello che oggi costano i profumi, è un vantaggio. A presto, allora. Ti manderò la partecipazione. (Lo dice sull'uscio).

Lea                                - (dalla soglia dove l'altra è scomparsa) Ma sì, è il meno che tu possa fare. (Rimane un mo­mento sulla soglia. Torna lentamente sul davanti. E' come appesantita. Il suo atteggiamento rivela una stanchezza segreta. Chéri entra senza far ru­more. Rimane in fondo alla scena guardando Lea senza parlare. Silenzio. Si guardano).

Chéri                      - Se n'è andata?

Lea                                - Lo vedi. (Silenzio. Lo guarda. Chéri china il capo) Non sei molto coraggioso.

Chéri                      - (timoroso, ma sulla difensiva) Perché?

Lea                                - No, davvero, non sei coraggioso. Perché non me lo hai detto tu stesso?

Chéri                             - (occhi bassi, sornione) Lei trovava che era più... conveniente...

Lea                                - Ma no?!

Chéri                             - Che lo dicesse lei.

Lea                                - Su, su, non mentire. Che cos'è questa commedia? Hai avuto paura, confessalo; paura di dirmi in faccia che ti volevi sposare. Avete combi­nato il vostro pasticcio, tu e Carlotta, vero? Segre­tamente. E perché? Non sono mai riuscita a to­glierti il vizio di mentire. Hai avuto paura, eh?

Chéri                             - Sì. Ho avuto paura, paura di farti sof­frire.

Lea                                - Soffrire? Soffrire? (Ride un po' troppo forte) Ma no, cerca un'altra scusa. (Lo guarda, poi con dolcezza) Forse è vero che hai avuto paura di far­mi soffrire. Con te, non si sa mai. E perché avrei dovuto provar dolore? Ti voglio bene, ho l'abitudine di amarti da molto tempo... Questo avrebbe dovuto darti fiducia.

Chéri                             - Ma io ho fiducia, Nounou.

Lea                                - Non abbastanza. Meritavo di meglio. (Bre­ve pausa) II tuo matrimonio, diamine, era fatale, era logico. Non sei stato il solo a pensarci, sai. Ho guardato tanto anch'io, di qua e di là, dicendo fra me: «Guarda, lì c'è una graziosa ragazza, orfana, ricca; e là una giovane vedova con un magnifico patrimonio, tranquilla... ».

Chéri                             - Stai scherzando?

Lea                                - Ma sì, bisognava che tu prendessi moglie, e senza neppure tardare molto. Hai vissuto tra la « table d'hotel » di Carlotta e il mio piccolo risto­rante di lusso, ma non hai mai provato il brodo e il lesso familiare... E forse è questo che ti manca, vero? Sarai, un buon borghese, una cocottina ma­ritata. Insomma, tutto si sistema per il meglio...

Chéri                             - (dopo un breve silenzio) Allora, se tutto va bene, perché mi sgridi?

Lea                         - Perché sei stato vile. Ora parlami un po' della tua fidanzata. E' vero che è tanto ricca?

Chéri                      - Un milione e mezzo.

Lea                         - Da suo padre?

Chéri                             - Come, ha un padre?

Lea                         - Non lo so con precisione, ma da quanto ha sempre detto Carlotta, mi è parso di capire che dovesse averne almeno tre. Però un milione e mez­zo non è poi una gran cosa.

Chéri                      - Pare anche a me. Per fortuna ne ho più io.

Lea                                - Allora, non avrai bisogno di denaro.

Chéri                             - Bisogno... bisogno... Tu ed io, Nounou, non abbiamo lo stesso modo di vedere, in quanto a bisogno di denaro.

Lea                         - Questo è vero. Io ho bisogno di denaro per spenderlo, mentre tu... (Ride) Quanto hai messo da parte, in tre anni, del denaro che avevi per le tue piccole spese, figlio di madame Peloux? Cinquanta... sessanta mila?

Chéri                      - (si è seduto ai piedi di Lea e rovescia il capo sulle sue ginocchia) Forse non li valevo? (Lea ha un gesto amoroso per curvarsi a baciarlo, ma si trattiene e riprende in tono leggero).

Lea                                - Però vediamo: la piccola Edmea ha altre cose al suo attivo, oltre che il danaro. E' carina, e pare che sia intelligente, no?

Chéri                      - Questo lo vedremo più tardi. Per ora, non ha voce in capitolo. La sposo, no? Dunque, benedica il suo destino.

Lea                                - Com'è, con te?

Chéri                      - Lei? Mi ammira. Mi ama. Non dice molto.

Lea                                - E tu?

Chéri                             - Io... non dico niente.

Lea                                - (ridendo) Che bei duetti d'amore!

 

Chéri                             - (rialzandosi) Vuoi smettere di occuparti di lei? Non puoi pensare un po' a te, in questo cataclisma?

Lea                                - A me? E perché a me?

Chéri                      - Che cosa farai? Vorrei proprio sapere che cosa farai.

Lea                         - Che farò? Ma niente. Per il momento.

Chéri                      - Ah!

Lea                                - Che hai, bellezza mia? Sembri seccato. Vorresti che facessi qualche cosa di speciale, per­ché ci lasciamo? Che dimagrissi, che non mi tin­gessi più i capelli, che mi ritirassi a vivere in solitudine? Questo vorresti?

Chéri                      - (aspro) Sì.

Lea                                - (dopo una pausa) Povero moccioso. Per­dere un piccolo amante, cambiare un bimbo cat­tivo con un altro... mi è già successo... e più di una volta.

Chéri                      - (violento) E chi non lo sa? Ma io me ne infischio! Sì, me ne infischio di non essere stato il primo. Quello che avrei voluto, quello che avrei trovato... pulito, decente, insomma, sarebbe stato di essere l'ultimo. (Una pausa).

Lea                         - (tranquilla) Ma sì, tu vorresti vedermi morire per questa separazione, vero? Non ci riesci ad essere un assassino, caro mio. Tu non sei il tipo da provocare disperazioni. E non sei neppure un passante meschino come gli altri. Sei l'opera mia... una buona opera, no? Povero gatto randagio che ho raccolto magro e spelacchiato, che ho curato e nutrito, e che ha provato a graffiarmi coi suoi artigli, vero? (Parlando si è commossa, se ne accorge e si interrompe) E ora chiama Rosa.

Chéri                      - Perché?

Lea                         - Perché riunisca le tue cianfrusaglie, mio caro, da far portare a casa della santa madre.

Chéri                      - Ma...

Lea                                - Ti sposi, fra un mese, no?

Chéri                      - Sì, ma questo non c'entra con...

Lea                                - Scusa, scusa... Il matrimonio ha un suo piccolo protocollo inevitabile. Non vorrai uscire ogni giorno da casa mia per andare a far la visita d'obbligo alla tua fidanzata, credo. Non ordinerai i fiori per Edmea, servendoti del mio telefono, al mio fioraio. Avrai il tuo fioraio, la tua carrozza, il tuo domicilio, tua moglie. Tutto questo inco­mincia da oggi. E' il suo turno, adesso. Il mio... è finito.

Chéri                             - (sconcertato, vivamente) Nounou, ma io non voglio!

Lea                                - Chi è che dice « voglio » e « non voglio » in questa casa? (Più dolce) Avanti, piccolo: met­titi la giacca. Usciamo tutti e due.

Chéri                      - (turbato) Dove andiamo?

Lea                         - Non devo farti il mio regalo di nozze? Di' che cosa hai voglia?

Chéri                             - (rianimato, puerile) Oh, sì, che bellezza! Vorrei una perla per la camicia, ma grossa. Aspetta, aspetta, no, ho visto un portasigarette di giada bian­ca con una coroncina di brillanti, se vedessi!

Lea                                - (ridendo) Un oggetto molto modesto. Ro­viniamoci per l'ultima volta. Come sarò ricca senza di te. Farò una dote ai tuoi bambini, ecco!

Chéri                             - Magnifica idea! Terrai a battesimo il primo, sì?!

Lea                                - (ridendo) Se mi rassomiglierà. Su, svelto, mettiti la giacca. (Lo aiuta a infilare la giacca. Chéri si volta e fa per baciarla. Lea accenna di no col dito).

Chéri                      - (la guarda stupito) Perché?

Lea                                - (gli aggiusta la cravatta. Chéri la prende nuo­vamente fra le braccia, Lea sì svincola) No. (Continua ad occuparsi della sua cravatta, comincia a cantare a mezza voce)

« Lorsque tout est fini

quand se meurt... (Chéri continua con lei)

no...o...o...otre beau rève.

(Lea si stacca e va, ballando, verso la vetrata. Chéri la raggiunge, canta con lei)

Pourquoi pleurer les jours enfuis... (Continuando a ballare, intramezzando il canto con risate)

regretter les songes partis...».

fine del primo atto

ATTO SECONDO

Una hall a vetri o un gran giardino d'inverno in casa della signora Peloux a Neuìlly. Grande ve­trata aperta su un giardino: alberi, rosai, un grande viale pieno di sole. Arredamento di cattivo gusto, esasperante. Mobili di raso imbottito, sedie a don­dolo, cofanetti di malachite, portafiori liberty, sti­petti, vetri a colorì, lampadario che basta solo a rievocare le frenesie bucoliche di una borghesia sedentaria. Al levar del sipario Carlotta Peloux, la baronessa de la Berche e Aldonza giocano a poker. La signorina Poussier lavora ad un tap­peto composto di esagoni di stoffa a colori. (Silenzio, le signore giocano. La baronessa volge le spalle al pubblico. Masseau è coricato, invisi­bile, su un divano dietro la signorina Poussier).

Carlotta                  - Non apro.

Aldonza                        - Neanch'io.

Carlotta                         - (ad Aldonza) Non tocca a te.

La Baronessa                - Aperto.

Carlotta                         - Naturalmente.

Aldonza                        - (recitando) « C'era sul dorso del co­niglio scritto... ».

La Baronessa           - Piatto. Tre franchi.

 Aldonza                       - (a Carlotta) Fa un gioco infernale. (Alla baronessa) Permettete che vi veda, signora baronessa?

La Baronessa           - Come volete, mia cara. Tu, Carlotta, vedi?

Carlotta                  - Sì, due carte.

La Baronessa                - Servita. Cinque franchi...

Carlotta                         - (gettando via le carte, furente) Im­piccati!

Aldonza                        - (sentenziosa) « C'era sul dorso del coniglio scritto: - chi da principio vince - alla fine è sconfitto... ».

Carlotta                         - (ad Aldonza) Smettila, tu.

Aldonza                        - (continua, con malizia, alla baronessa) « Ed era scritto poi sul suo pancione: Si fanno i conti fuori del portone».

La Baronessa                - Ho detto cinque franchi... (Pau-sa) Allora ritiro il piatto.

Carlotta                         - (furente) Vuoi sapere la verità, Camilla? Giuochi come si giuoca nelle bische.

La Baronessa                - (indignata) Nelle bische! Nelle bische! Perché faccio uno sbilancio di cinque franchi! E tu? Quando vai a scegliere negli scarti... come si chiama questo, Carlotta?

Aldonza                        - (interponendo le sue mani coperte di guanti di maglia) Baronessa! Baronessa!

Carlotta                         - Negli scarti? Chi mi ha mai visto scegliere tra gli scarti? Chi mi ha vista? Mi avete vista voi, Aldonza? (Gesto spaventato dì Aldonza che alza le mani inguantate di lana scongiurando) Poussier, mi avete mai vista scegliere tra gli scarti?

Poussier                         - (terrorizzata) Signora Carlotta, lo sa­pete che io non giuoco a poker, come avrei potuto vedervi?

La Baronessa                - Ah, li sai scegliere i tuoi testi­moni! Andiamo, andiamo; alza se vuoi, o non al­zare, ma giuochiamo, santo Dio, giuochiamo! (Una pausa) Buio! Tu ci stai naturalmente... E natu­ralmente il piatto te lo prendi.

Aldonza                        - « C'era sul dorso del coniglio scritto... ».

Carlotta                         - (prorompe) Giuro che se lo ripeti ancora una volta non so quello che faccio. E poi, giuocare a poker in tre mi demolisce. (Si alza).

Poussier                         - Signora Carlotta, avete dimenticata la vostra promessa?

Carlotta                         - Quale promessa, cara Poussier?

Poussier                  - I ritagli di seta per il mio tappeto

Carlotta                  - Ah sì. Ho trovato un ritaglio ma­gnifico. Un broccato verde mirto e lillà, che cadeva in drappeggi e si annodava dietro a un mio ve­stito. Non butto via mai niente, io: qualunque cosa può servire, un momento o l'altro.

Poussier                         - Grazie, signora Carlotta. Quando troverete dell'altro...

Carlotta                         - Un paio di calzoni da odalisca, vi piacerebbero?

Poussier                         - Oh, sono il mio ideale! (Risata da basso profondo della baronessa).

Carlotta                         - Che cos'hai tu?

La Baronessa                - La Poussier coi pantaloni da odalisca!

Poussier                         - Ma no, baronessa, non è per portarli.

Carlotta                         - Li ho indossati alla festa turca di Faik Pascià all'esposizione dell'89, e vi prego di credere che avevo di che riempirli.

Aldonza                        - Eravamo delle donne, non delle canne da pesca come quelle d'oggi. Nell'89 facevo la ballerina e ricordo benissimo la festa turca. Quando eseguii le variazioni di « Sylvia » sulle punte, tutta la legazione andò in delirio. Ti ricordi, Carlotta?

Carlotta                         - No. Perché prima della fine della festa fui portata via da Kyamil Bey così com'ero, ragazze mie, in pantaloni alla turca. E non sono tornata a casa che due anni dopo.

La Baronessa                - E senza pantaloni.

Poussier                  - Ma non aveste paura? Andarvene così dì punto in bianco, di notte, con uno stra­niero... uno sconosciuto.

Carlotta                         - Puah! Come se gli uomini non fos­sero tutti degli sconosciuti.

La Baronessa                - Ben detto.

Aldonza                        - II tempo deve cambiare: ho dei dolori infernali nelle falangi. Dire che queste sono state le più belle mani del mondo. Alfonso XII beveva nel palmo di queste mani, le chiamava le sue coppe di madreperla.

Carlotta                         - Essere re non basta per saper par­lare... (Alla Poussier che si sta versando un bic­chierino) Vi sbagliate, Poussier, non è la vostra bottiglia, è la mia. Lo sapete che il mio cognac vi da alla testa.

Poussier                  - Oh, scusate signora Carlotta, è la mia miopia.

Carlotta                         - La vostra anisette è lì sul tavolino.

Aldonza                        - Te le ricordi, Carlotta, le mie mani?

Carlotta                         - Ho buona memoria. Mi ricordo an­che degli equipaggi della baronessa e dei capelli di Poussier.

Poussier                  - Ah, i miei capelli biondi! Fino ai piedi, fino ai piedi. Il signor De Thou, il depu­tato, diceva: « Ne farei il tappeto per la scala che sale al paradiso». E che cosa me n'è rimasto?

Carlotta                         - Una graziosissima parrucca. Sem­brate una pupa. (Confidenziale) Chiedete alla ba­ronessa l'indirizzo dei suoi prodotti capillari.

La Baronessa                - (sì volta, ora si vede il suo viso adorno di baffetti grigi) Ti ho sentita, Carlotta. Ancora una parola e racconto quella storia dei peli...

Carlotta                         - (inferocita) Ah sì! Dillo pure e io racconterò la storia del cotone idrofilo.

Aldonza                        - Pace, pace, angeli miei. Non vorrete mettervi a litigare con una giornata così bella. Guardate quelle rose e il colore del cielo.

Poussier                  - (abbassando gli occhi) E' un tempo che fa diventare gli uomini insolenti.

Carlotta                         - Che sta dicendo, quest'altra?

Poussier                  - Sì, proprio. Ne so qualcosa, io. Do­menica sera sono tornata a casa con l'ultimo tram e nel tram... (Mimica reticente).

Aldonza                        - (eccitata) Nel tram?...

Poussier                  - Sì, nel tram, un uomo mi ha... si­curo; e ho capito benissimo che...

La Baronessa           - Ma santo Dio, parlate chiaro. Non siamo delle bambine.

Carlotta                         - Lasciatela in pace! E' un'idea fissa: ogni volta che va fuori, la seguono, ogni volta che sale in tram le pizzicano il sedere; e quando la luce del giorno se ne va mi scambia per un bel giovanotto.

La Baronessa                - Finiamola con l'ironia, Carlotta. Ho sopportato da te molte cose, e questo è il mio torto. Ma c'è un genere che non sopporto.

Carlotta                         - II genere maschile.

La Baronessa                - Non insistere, Carlotta, altri­menti dico la verità sulla faccenda del busto di Napoleone e sulla merenda campestre dell'82. Bada!

Carlotta                  - Se sapessi come me ne infischio, cara Camilla! La merenda in campagna, la fac­cenda del busto... Ma ti farebbe più torto che onore, mia cara amica.

La Baronessa                - (voce stentorea) Basta.

Carlotta                         - (riscaldandosi sempre più) Basta?! Nessuno mi ha mai imposto silenzio in casa mia; e non sarai tu che mi farai abbassare la voce. Pre­ferirei morire mille volte piuttosto che...

La Baronessa                - (come in piazza d'armi) Poussier! Il fonografo! (La Poussier sì lancia sull'enorme fo­nografo e subito ne viene fuori un tango. Carlotta tenta di gridare, si sfiata, sì sventola, poi con passo irritato va verso il giardino, ha baronessa, trion­fante, alle altre) L'ho vinta io. (Prende le carte e si mette a fare un solitario. La Poussier torna al suo lavoro. Silenzio. Musica. Aldonza, senza alzarsi, solleva l'orlo della gonna e coi piedi che, nelle scarpe di feltro assomigliano a piedi d'elefante, abbozza un passo di danza sul ritmo del fonografo).

Aldonza                        - E' una habanera, in fin dei conti.

Poussier                         - Neanche per idea: è un tango. Siete arretrata, signora Aldonza.

Aldonza                        - Baronessa, vogliamo fare una partita a picchetto?

La Baronessa                - Con piacere, tesoro. O un poke-rino con la Poussier e Carlotta?

Aldonza                        - (semplicemente) No, no: Carlotta bara troppo. Abusa. Domenica scorsa il pranzo qui mi è costato nove franchi.

La Baronessa                - (mentre giuocano) Però' li va­leva. Ci aveva offerto il Pommard delle grandi occasioni.

Aldonza                        - D'accordo! D'accordo! Ma io non ho i mezzi. A casa mia mi faccio una bella tazza di cioccolata molto densa e due uova alla coque; è raro che venga a spendere più di tre franchi, tre franchi e sessanta... e burro compreso. Nelle mie condizioni... (Da dietro alla spalliera del divano appare una marno scarna, poi un braccio che re­meggia in aria finché trova la spalla della Poussier, su cui la mano batte tre colpetti).

Poussier                         - (trasalendo) Ah, signor Iddio, che paura! (Appunta con attenzione l'ago nel lavoro, si alza e va a versare un bicchiere d'aranciata che porta a Masseau).

La Baronessa                - Siete grottesca, Poussier. Ser­vite Masseau con tanta premura. Come se non potesse bere da se. E' un uomo, diamine.

Poussier                  - Per l'appunto.

Masseau                        - La baronessa esagera. (Restituisce il bicchiere e sì alza) Credo di aver dormito. (Si accende una sigaretta e va a sedere ai piedi della Poussier che ha ripreso il suo lavoro).

Poussier                  - (posando una mano sul capo di Masseau) II mio paggio.

Masseau                  - La mia damigella.

La Baronessa           - Tipo orologio da caminetto. Masseau           - (palpando il tappeto a cui sta lavorando la Poussier) Va avanti, cara Poussier?

Poussier                  - Come vedete.

Masseau                  - No, non vedo niente, grazie a Dio; non vedo nessun progresso. Non ditemi che un giorno questo... questo coso sarà finito.

Poussier                  - E' un tappeto da tavola.

Masseau                        - No, per carità, non ditemi che è un tappeto da tavola. E' un Coso che vi ho sempre visto sulle ginocchia... un insieme di esagoni in delirio. L'opera di un'ape impazzita.

Poussier                         - Ne sapete, però, di parole conturbanti.

Masseau                        - Quando guardo questo... coso, ritorno bambino e mi pare di contemplare, come allora, il mondo, attraverso i vetri colorati dei gabinetti...

Poussier                  - (pudica) Oh, si dice «vàter».

Carlotta                         - (rientrando) Pollastrelle mie d'oro, telegramma: tornano, tornano.

Tutte                      - Chi?

Carlotta                         - Chéri e sua moglie.

Aldonza                        - Quando?

Carlotta                  - (altro grido) Ma oggi! Oggi! Che ora è? Che ora è? (Alla baronessa) Che ora fai, Camilla?

La Baronessa           - Cinque meno dieci.

Carlotta                         - (agitatissima) Oh Dio! (Esce gri­dando) Giulio! Giulio! Tira fuori la limousine. Bisogna andare a prendere il signorino alla sta­zione. (Silenzio costernato).

Poussier                         - Che razza di sorpresa.

Aldonza                        - E chi sospettava tornassero così presto.

Masseau                  - Già qui. Si stava tranquilli.

Carlotta                         - (torna affannata. Alla Poussier) Dio mio, quel ragazzo che non pensa a niente. Per fortuna lassù è tutto pronto.

Poussier                         - Tutto. Ho messo sulla toilette i salviettini con le sfilature, il mio capolavoro, e che lenzuola!

Carlotta                  - Nientemeno che quelle del Duca di Ofena.

Poussier                  - Con certe corone alte così.

Carlotta                  - Non c'è niente di troppo bello per mio figlio. (Cambiando tono) Ma quante me ne dirà, quella peste.

Aldonza                        - Perché?

Carlotta                         - (indicando i mobili) Perché ho por­tato quaggiù alcuni mobili della sua stanza di sca­polo, per sistemare un salottino alla piccola. Era necessario che avesse il suo boudoir. Sopra è pieno da non potersi muovere.

La Baronessa                - Colpa tua, hai la mania di tenere questi orrori. (Accenna ai mobili).

Carlotta                         - Già. Tu non rispetti niente. Non hai neppure la religione del passato. Non hai mai venerato una reliquia di altri tempi.

La Baronessa                - Come! Venero Masseau ogni domenica.

Aldonza                        - Beh, non vorrete mettervi a bistic­ciare il giorno che quei ragazzi tornano dall'Italia.

Poussier                         - II paese degli innamorati.

Aldonza                        - (lirica) Firenze... Napoli... la taran­tella... (Fa il gesto di suonare il tamburello) Ta... taram... taram...

Masseau                        - (con lo stesso gesto, continua il motivo, abbozzando un passo di tarantella) Taram... taram... taram...

Aldonza                        - (rispondendo) Taram... taram... taram...

Carlotta                         - Siete freschi voi due. Sei stata a Firenze, tu?

Aldonza                        - Come no! Quando diventai ballerina di prima fila, il generale Petrescu mi portò a Fi­renze e a Venezia.

Carlotta                         - In diligenza?

Aldonza                        - No, cara, in ferrovia.

Carlotta                         - Ti compiango. Pare che fossero molto scomode, le prime ferrovie. Il mio figlio adorato! Sono in uno stato... Senti il mio cuore, Camilla.

La Baronessa                - Un altro giorno. Sto dando le carte.

Poussier                         - Rivedo ancora la cerimonia nuziale. La giovine signora Peloux era un sogno. Una vera madonna.

Carlotta                         - Deliziosa. Quel genere di bellezza delle donne fredde. Del rèsto, sua madre è asso­lutamente priva di temperamento.

La Baronessa                - Io non ci metterei la mano sul fuoco...

Carlotta                         - Chi è che sta parlando con te? Per quel che te ne intendi... Quello che ho trovato irritante è l'atteggiamento della suocera di mio figlio, durante la cerimonia. Fuori posto, assoluta­mente fuori posto. Non sembra anche a voi, Poussier?

Poussier                         - (servile) Sì, sì, fuori posto... è l'espres­sione giusta.

Carlotta                         - Quell'abito nero senza guarnizioni. Senza guarnizioni e senza niente sotto: si vede­vano pancia e seni, come vedo voi...

La Baronessa           - Era un gran bel vedere.

Carlotta                  - Questo non c'entra. Ma il fatto è che certe persone seguono sempre la moda in quello che ha di più eccentrico. Se col pretesto della moda, ci mettessimo tutte quante a fare espo­sizione delle nostre pance, Aldonza, Poussier ed io, dove si andrebbe?

Masseau                        - Io andrei via...

Aldonza                        - (giocando) Cinque carte.

La Baronessa                - Che non valgono una cicca.

Aldonza                  - E di un bel quattordici di giovani fanti, che cosa ne dite?

La Baronessa                - Ssst! Non parlate di «gigolos» in casa di Chéri.

Aldonza                        - State zitte che durante la cerimonia, io ho cercato Lea con gli occhi. Quando si dice, l'abitudine!

Carlotta                         - (che da lontano ha ascoltato, a voce alta) Chi è che scherza sul conto di Lea, lag­giù? Voglio ridere anch'io.

Aldonza                        - (voltandosi a fatica) Ma niente, cara Carlotta, mi informavo soltanto. Che ne è della nostra Lea? Mi hanno detto che hanno visto le persiane di casa sua tutte chiuse... Sapete se è tornata, Masseau?

Masseau                        - (sentimentale) Se fosse tornata, non sarei qui.

Carlotta                         - (acida) Grazie. Oh, lo sappiamo che è la vostra passione. Ma ve ne fa delle infedeltà, la vostra grande passione. (Si avvicina e si curva sul tavolino da giuoco, scaldando con le palme un bicchiere di cognac) Se volessi parlare...

Le Donne                - Che cosa? Raccontate su, dite.

Carlotta                         - Ecco... pare che... un bel giovine... Pare che lei lo avrebbe attirato... Vero o non vero, non posso assicurarlo.

La Baronessa                - Di già un altro Chéri? Ma brava.

Carlotta                  - Prima di tutto non esistono due Chéri. Poi, se è vero, trovo che è un po'... rapido. Avrebbe potuto aspettare un poco... non so., un tre mesi...

Masseau                        - Come per il lutto di un cugino lon­tano, no?

Carlotta                  - E poi, vi ripeto: può essere vero sì e no. Il matrimonio di Chéri ha fatto fare a Lea il famoso ruzzolone. Alla sua età non si sostituisce tanto facilmente quello che si perde. E' bello amare l'amore. Ma per fare l'amore... bisogna essere in due.

Le Donne                      - (approvando in tono di bassa adula­zione) Oh è vero. Sicuro. Bisogna essere in due. In due. (Risate).

Aldonza                        - (trasognata) Io... io non sono esigente. Ma vorrei farlo soltanto ancora una volta.

Carlotta                         - Fare che cosa?

Aldonza                        - L'amore.

Poussier                  - E' pazza!

Masseau                        - Un po' di contegno, vecchia mia, un po' di contegno.

Carlotta                         - Completamente pazza.

Aldonza                  - Ma non per il motivo che credete. No, no. Non ci penso affatto: solo per sapere se è stato inventato qualcosa di nuovo, da allora... (Ri­sate) Oh, sapete, dico così... ma non è che sia un'idea fissa.

Carlotta                         - Meno male. (Guarda in giardino ed esclama a mezza voce) Oh, questa poi! (Le donne si voltano e seguono il suo sguardo. Nel viale, giovane e splendente sotto il parasole aperto è apparsa Lea che si avanza verso la hall).

Poussier                         - E' proprio il caso di dire che quando si parla del lupo...

La Baronessa                - Accidenti, che sorpresa.

Aldonza                        - Salve alla bella fra le belle! Lea, mi muovo con tanta difficoltà, venite qui vicino.

La Baronessa                - Lea, sono commossa come una collegiale.

Masseau                        - (baciandole le mani) Anch'io... ma per me è vero.

Poussier                         - Una vera primavera, signora Lea.

Lea                                - (gaia) Ma come siete gentili, tutti quanti. Mio vecchio Masseau! E' commovente quest'acco­glienza.

Carlotta                         - Non lo crederai, ma stavamo par­lando di te.

Lea                                - (ridendo) Sì, sì, ti credo.

Carlotta                         - Dammi l'ombrellino, non voglio che tu abbia l'aria di essere in visita.

Poussier                         - Che toilette!

Lea                                - (seduta) Uff! Eccomi di nuovo qui. Non si può negare che Neuilly è un luogo delizioso. Ho voglia di comperarmi qui una piccola pro­prietà, ora che son tornata.

La Baronessa           - Tornata da quando, Lea?

Lea                                - Da stamane, ragazze mie. Ho passato due notti in treno.

Carlotta                  - E' per questo che hai il viso un po' stanco.

La Baronessa                - Un po' stanco? Sei pazza, Car­lotta? E' fresca come una rosa.

Poussier                  - Signora Lea, quando getterete quel cappello, ricordatevi di me. Vi ricordate quello azzurro? L'ho portato ancora due anni.

Masseau                        - Voi, Poussier, sotto quel cappello? Compiango le donne incinte che incontrerete.

Poussier                  - Lo so quello che posso portare. Vi farò qualche piccola modifica. Tornate da lontano, signora Lea?

Lea                                - Biarritz, Guéthary, Cambo, Saint de Luz... Non mi sono mai fermata, volevo dimagrire.

Carlotta                         - II dolore non ti è stato sufficiente? (Tutte ridono con aria d'intesa).

Lea                         - Quale dolore?

Carlotta                  - Ma... il matrimonio di Chéri.

Lea                                - Oh, per carità, dolori come quello... Ce ne vogliono una dozzina per farmi perdere un chilo.

La Baronessa                - Sei sconcertante! Non ce n'è un'altra come te.

Carlotta                         - Per una volta tanto, Camilla, siamo d'accordo.

Lea                         - Che cosa mi offrite da bere? Ne ho ab­bastanza dei vinelli di paese che rovinano il palato.

Carlotta                         - (servendola) Un cognac. Del mio, non di quello che offro agli altri.

Lea                         - (degustando) Lo conosco, è lo stesso che ho io... Che cosa c'è di nuovo qui?

Carlotta                         - Niente. Ma la cronaca scandalosa ne ha raccontate delle belle sul tuo conto.

Lea                                - (ridendo) Questo mi ringiovanisce. Ep­pure non ho incontrato nessuno a Biarritz.

Carlotta                  - E' il deserto, laggiù, in questo pe­riodo. Avevi bisogno di riposo?

Lea                                - (ambigua) Di riposo... Diciamo di soli­tudine.

Carlotta                         - Su, via, confessati. (Siede).

Lea                                - Avete inteso, Masseau? Datemi cinque mi­nuti perché possa versare la piena del mio cuore in quello del reverendo padre Carlotta!

Masseau                        - Sono reverendo quanto lei, e con me sareste più certa dell'assoluzione.

Lea                                - (stesso tono scherzoso) Cinque minuti! An­date a giocare con le vostre amichette. Le confi­denze di due donne non sono molto divertenti, sapete. Quando parlano sottovoce si tratta sempre dei loro due argomenti preferiti: amanti e meno­pausa.

Masseau                        - E il denaro, lo dimenticate? (Va a raggiungere Aldonza e la baronessa al tavolino da gioco. Lea e Carlotta sono sedute in primo piano).

 

Carlotta                         - Masseau, e voialtre, ragazze, pren­dete il vostro lavoro, la coperta, il bastone e an­date a giocare un poco in giardino. Quello che dobbiamo dire, Lea ed io, riguarda soltanto noi. (Le donne escono con Masseau. A Lea) Felice?

Lea                                - Felice. O meglio, tranquilla.

Carlotta                  - Con chi?

Lea                                - Un po' di pazienza, Carlotta. Risparmia il mio pudore. (Si guardano) La tua famigliola va bene?

Carlotta                         - Mi hanno abbandonata per il viag­gio di nozze, gli innamorati. E mi sono consolata come ho potuto, facendo una discreta speculazioncella sui petroli.

Lea                         - Sui petroli? Avresti potuto dirmelo.

Carlotta                         - E dove te lo dicevo? Sei partita come una pazza, pensando solo, evidentemente, ai tuoi amori.

Lea                                - Sì, ma pensavo anche alle azioni del gas, grazie a Dio.

Carlotta                         - (vivamente) Ne ero certa. Avevi avu­to qualche informazione confidenziale?

Lea                                - Sicuro.

Carlotta                  - E non me l'hai passata, cattiva!

Lea                                - Venire a turbare le effusioni familiari? Mai.

Carlotta                         - Confesso che sei magnificamente in forma... Hai avuto spesso notizie di Chéri?

Lea                         - (tranquilla) Io? Neanche una parola. Sai bene che non ci contavo per niente.

Carlotta                         - Avrebbe potuto mandarti almeno una cartolina ogni tanto.

Lea                                - Per far piacere a chi? Non sono collezio­nista, io. (Una pausa. Si sente la voce tremolante di Aldonza: « C'era sul dorso del coniglio scritto... ») Era un bel pezzo che non sentivo questa stupi­daggine.

Carlotta                         - (gridando) Silenzio. (Poi) Lili mi ha chiesto notizie tue proprie ieri.

Lea                         - (indifferente) Gentile. Sta bene, lei?

Carlotta                         - Anche troppo. Sai con chi è adesso?

Lea                         - No.

Carlotta                         - Si è abbattuta con tutto il suo peso sul più giovane dei Ceste. Credo che il ragazzo abbia diciannove anni.

Lea                         - (stomacata) E lei? Che età può avere?

Carlotta                  - Nessuno ne sa più niente.

Lea                         - E ti fa ridere? A me fa venire la nausea.

Carlotta                         - Che vuoi farci? Contenti loro...

Lea                                - (tranquilla, guardando Carlotta) E... quan­do tornano gli sposini?

Carlotta                         - Ma... (Si corregge) Sono sulla via del ritorno. Da Firenze. Hanno fatto un viaggio di sogno... di sogno! Edmea mi ha scritto che Chéri ha un aspetto...

Lea                         - Come ai miei tempi, no?

Carlotta                         - E tubano, tubano: « tesoro mio » di qua e « amore adorato » di là. Da stupire! Non riesco ancora a credere che Chéri sia il migliore dei mariti.

Lea                                - Devi cercare, prima di tutto, di farlo cre­dere a sua moglie.

Caklotta                        - Eppure è così. Del resto, potrai giu­dicare tu stessa... fra non molto. Che fai stasera?

Lea                                - Ma... pranzo.

Carlotta                         - Dove?

Lea                                - A casa mia.

Carlotta                         - E domani? Perché non vieni a pran­zo qui?

Lea                                - Non posso dirtelo adesso... Capisci? Non sono... molto libera.

Caklotta                        - Incorreggibile! Incorreggibile!

Lea                                - Che vuoi farci? La vita è breve, tentiamo almeno che sia piacevole, no?

La Baronessa                - (affacciandosi) E' tardi, Car­lotta... Mica per me, ma per la povera Aldonza: vuoi mettere qualcosa sotto i denti.

Carlotta                  - E quali? Comunque vado a pren­dere i sandwiches. (Si alza. A Lea nell'uscire) Per­metti. (Entra Masseau mentre la baronessa scom­pare).

Masseau                        - Che gioia rivedervi!

Lea                                - Vi siete liberato dalle vostre vecchie schiave?

Masseau                  - (ridendo) Sì. Che gruppo! Le tre grazie.

Lea                                - (a mezza voce) Sono... sono proprio...

Masseau                        - Inenarrabili.

Lea                                - E questo vi fa ridere? Dio mio, la vecchia Aldonza coi suoi mezzi guanti e il suo scialle... E la Poussier...

Masseau                        - Una libellula: quarantaquattro centi-metri di giro vita. Dice che Polaire non dorme, per gelosia...

Lea                         - Le avevo un po' dimenticate. (Pausa) A quale di loro assomiglierò fra dieci anni?

Masseau                        - Come potete paragonarvi? Non as-somiglierete mai ad altri che alla carissima, mera­vigliosa Lea... a quella che mi ha fatto tanto fe­lice... e tanto infelice. (Lea non l'ascolta. Guar­dandola) Che c'è? Non vi sentite bene?

Lea                                - Non molto. Sarà meglio che torni a casa.

Masseau                        - Oh!

Lea                                - Sì. Ma non piangete. Verrete a pranzo da me, stasera. Noi due soli. Vi racconterò il mio viaggio.

Masseau                        - (indispettito) Ah no, grazie. Rispar­miatemi i particolari.

Lea                                - Come? (Capisce) Ah, la mia fuga? (Leg-germente e con dolcezza) Imbecille! Ero sola, as­solutamente sola. Per fortuna.

Masseau                        - Amore! Davvero? Vi adoro! Proprio sola? E' vero? Oh, grazie, grazie!

Lea                                - Non c'è di che, ve lo assicuro. Dite a Car­lotta che filo. Che mi telefoni. (Invece di rispon­dere, Masseau le accenna di tacere e di ascoltare. Si sente una tromba d'auto, l'abbaiare di un cane da guardia, il rumore delle ruote, uno sportello che sbatte e la voce autoritaria di Chéri. Carlotta si lancia gridando, seguita dalla Poussier con le mani incrociate sul ventre piatto; Aldonza ha afferrato i suoi due bastoni e segue più svelta che può. Pa­role confuse: «Eccoli, eccoli-». Lea, in piedi, ascolta muta e impietrita).

Masseau                        - (piano a Lea) Eccoli.

Lea                                - (colpita) Come, sono?...

Masseau                  - Sì. Gli sposi. Non ve lo ha detto Carlotta?

Lea                         - No. Quando c'è da fare una mascalzo­nata è sublime.

Masseau                        - Non volete restare?

Lea                                - No. Per me, le feste di famiglia... Ma voi, andateli a raggiungere. Sì, sì, andate. Sembrate uno zio presentabilissimo. (Masseau esce. Enrichetta scende la scala dirigendosi verso il giardino, Lea la ferma) Enrichetta?

Enrichetta                     - Signora?

Lea                         - La porticina di servizio è aperta?

Enrichetta                     - Sì, signora. (Esce. Lea si dirige in fretta alla porta opposta. Esce. Entrano Edmea e Chéri accompagnati dal pigolio delle vecchie e dalle grida dì Carlotta. Chéri è un po' pallido e più serio del primo atto. Edmea è graziosa, cor­retta e semplice; un po' sgomenta).

Carlotta                         - (liberando Chéri dal soprabito) Dam­mi, caro!

Chéri                      - Perché tu? Non c'è Edoardo?

Carlotta                  - Sta portando su la valigia. Mettiti in libertà, amor mio.

La Baronessa                - (galantemente ad Edmea toglien­dole di mono la valigetta) Permettete, bimba mia.

Edmea                           - (la guarda con apprensione)  Grazie, gra­zie, signore... Ah, pardon, signora.

La Baronessa           - Non importa. Anche altri si sono sbagliati.

Carlotta                  - Ma come è carina; chi direbbe che è in viaggio da due giorni?

Edmea                           - Ci siamo fermati a dormire a Lione, signora. Fred era un po' stanco. Dorme male in vagone letto; vero, Fred. (Lo raggiunge e gli ri­mane accanto. Frattanto Aldonza e la Poussier scambiano una mimica ammirativa: mani giunte, dita posate sulla bocca atteggiata per un bacio, eccetera).

Carlotta                         - (alla Poussier e Aldonza) Li avete visti? Siete contente? Ora andatevene, alla svelta. La macchina può accompagnarvi sino alla fermata del tram: approfittatene.

Aldonza                        - (avvicinandosi faticosamente a Chéri) Di' arrivederci alla tua vecchia Zazà. (A Edmea) L'ho visto così piccolo! Aveva solo sette anni e...

Chéri                             - Arrivederci, arrivederci, zia Zazà. Signo­rina Poussier, tante cose all'abate. Baronessa, vi ho portato una Gilette, ma non vi nascondo che sono un po' stanco...

Carlotta                  - Se ne vanno, se ne vanno. (Alle tre donne) Sì, sì, arrivederci, andate. Buona sera, Camilla, buona sera. (Le donne escono),

Chéri                      - Ce n'è di gente, in questo paese.

Carlotta                         - Sai, è domenica... Non immagina­vamo... Il tuo telegramma è arrivato soltanto alle...

Chéri                             - Sì, sì, va bene. (A un domestico che sta passando con una valigia) Aprite soltanto il baule piccolo, quando arrivano i bagagli.

Carlotta                         - Perché?

Edmea                           - Perche, Fred?

Chéri                             - Non ho l'intenzione di rimanere qui per molto tempo. Sono stufo di continuare a prote­stare con l'architetto e il tappezziere. Gli insegnerò io a promettermi una casa finita per il quindici!

Carlotta                         - Ma visto che potete restare qui fin­ché vi fa comodo...

Chéri                             - Grazie. Preferisco l'albergo. Mi ci sono abituato.

Carlotta                         - Mi dai un gran dispiacere, sai. Ho preparato tutto con tanta premura. (Mostra la scri­vania ed altri mobili) Ho portato giù tutta questa roba per prepararvi di sopra un tempio, un vero tempio.

Chéri                             - Me ne infischio: non sono cattolico. Carlotta - Vedrai i miei abbellimenti.

Chéri                             - Abbellimenti! Piuttosto riprendo il treno.

Edmea                           - Oh! Fred!

Carlotta                         - Lasciatelo dire. Brontola per bron­tolare. Lo conosco. Conserva i suoi sorrisi per voi.

Edmea                           - (vagamente) Sì...

Chéri                      - Nessuno ha chiesto di me?

Carlotta                         - Che io sappia, no,

Chéri                      - (vedendo che lei lo guarda attentamente) Che c'è? Ho il naso sporco di nero?

Carlotta                  - Sai, tesoro mio adorato, che non ti trovo molto di buon aspetto?

Chéri                      - Fatica del treno.

Carlotta                         - Sei palliduccio. (A Edmea che si alza) Dove andate, cara? Volete che vi accompagni?

Edmea                           - No, no, signora. Salgo soltanto per le­varmi il cappello. Torno subito. Un minuto, Fred.

Chéri                      - Fai pure con comodo: non andiamo via immediatamente. (Edmea sale la scala ed esce).

Carlotta                         - Per fortuna! Andate pure, figliuola... Siete a casa vostra. (A Chéri) Perché sei così pal­lido, tesoro?

Chéri                      - Ti ho detto che sarà per il viaggio.

 

Carlotta                         - E poi, hai qualcosa di mutato, di... fatale. Ecco, sei fatale. Effetto dell'Italia!

Chéri                      - Se vi piace crederlo.

Carlotta                         - (abbassando la voce) Siamo soli... Senti... sai chi c'era qui quando...

Chéri                             - C'è qualche ammalato in casa, che par­late sottovoce?

Carlotta                         - (sconcertata) No...

Chéri                      - Allora, che volevate dirmi?

Carlotta                         - Ma niente... Volevo soltanto sapere se va tutto bene, se sei felice, se la tua mogliettina...

Chéri                             - (ridendo con malignità) Povera madame Peloux, sto per darvi un grande dolore: tutto va alla perfezione, nella mia vita coniugale.

Carlotta                         - Come sono felice! Ah, come sono felice! Dunque, questa brava figliuola...

Chéri                             - Bravissima.

Carlotta                         - (con un residuo di speranza) Niente scene? Niente malumori?

Chéri                             - Niente. Straordinaria. Non c'è che Ma­ria Luisa per educare una ragazza. (Fa qualche passo).

Carlotta                  - Strano, più ti guardo e più mi do­mando che cosa hai di diverso.

Chéri                             - Sono cambiato? Non in peggio?

Carlotta                         - (lirica) Al contrario. Ti ho detto: sei fatale! (Chéri riprende a camminare. Ha un brivido) Che hai? Freddo, con questo tempo?

Chéri                      - Non so... sì...

Carlotta                         - (lirica) E' l'Italia! Torni con l'anima piena di sole e qui tutto ti sembra gelido. (Chéri, che cammina nervoso, le si avvicina).

Chéri                      - Cosa stavate per dirmi, prima?

Carlotta                         - (ingenua) Prima? Ah, sì, ricordo... (Ridendo. Con malizia) A poco a poco ci arrivi, eh? Sai chi c'era qui poco fa? (Chéri la fissa e non dice nulla) Hai indovinato. Anche lei di ritorno da un viaggio. Ho avuto anche paura di un in­contro spiacevole qui...

Chéri                             - (ironico) Avete proprio avuto paura di un incontro? E non l'avete trattenuta! Ma siete voi ad essere cambiata. Allora, raccontate. (Edmea compare sulla scala).

Carlotta                         - (che la vede, scherzosa a Chéri) No, no. Niente pettegolezzi prima di pranzo. Vado a vedere a che punto è la nostra anatra. Sai, l'anatra con le olive, che piaceva tanto a Lea. (Edmea si ferma di colpo. Cambia espressione).

Chéri                             - (impassibile) Calma, madame Peloux, calma.

Carlotta                         - (innocente) Ma che cosa ho detto?

Chéri                             - Andate, madame Peloux, andate ai vostri veleni quotidiani. E che il vostro pranzo sia all'altezza, eh?

Carlotta                         - Che cosa ho detto? Che cosa ho detto... (Esce).

Edmea                           - Non vuoi vedere il nostro accampa­mento lassù, Fred? E' molto carino e ben siste­mato. Vorrei ringraziare tua madre.

Chéri                             - C'è tempo. Voglio riposare.

Edmea                           - (carezzandogli i capelli) Perché chiami tua madre, madame Peloux? Non è carino.

Chéri                      - Fa intimo.

Edmea                           - Com'è difficile capire quando scherzi e quando parli sul serio. Sei contento di essere ri­tornato a casa tua?

Chéri                      - Questa la chiami casa mia?

Edmea                           - Diamine... non so che tu ne abbia altre...

Chéri                             - E' vero. (Si alza e guarda i mobili) Dio mio, che orrore questo bazar.

Edmea                           - (ridendo) Certo non bisogna cercare qui una... unità di stile, ma che importa? Vedrai in casa nostra: ho buon gusto, io.

Chéri                             - Anch'io.

Edmea                           - Oh, ne sono sicura. Fred, avremo una casa deliziosa.

Chéri                             - (distratto) Sorprendente! Viola, azzurro, oro!

Edmea                    - (ridendo) Oh no, che paura.

Chéri                      - E dei divani grandi come il garage. E poi una piscina... e una hall all'altezza del resto! Per i ricevimenti!

Edmea                           - Sì... ma per ricevere chi?

Chéri                      - Non so... le tue relazioni... tua madre.

Edmea                           - (sgomenta) Oh!

Chéri                             - La mia.

Edmea                           - Ma sì.

Chéri                      - Sì? Beh, piccola mia, debbo dirti che sei coraggiosa. Non hanno paura di niente, que­ste bambine.

Edmea                    - (ridendo) Bambine. Ho diciannove anni, sai.

Chéri                             - Diciannove anni.

Edmea                           - II cinque febbraio prossimo. Cerca di ricordartene, tra parentesi.

Chéri                             - Diciannove anni! Sai che io ho già pas­sato i venticinque?

Edmea                           - Certo che lo so.

Chéri                             - Diciannove anni! Sei più giovane di me: questo mi secca.

Edmea                           - (troppo in fretta e con un po' di durezza) Eppure è normale.

Chéri                             - Forse.

Edmea                           - Certo.

Chéri                             - Mi diverti quando sei tanto sicura di quello che dici. (Cammina avanti e indietro) Guar­da, la mia piccola scrivania è stata portata qui... Bruttina, vero? Ma ci sono affezionato. Sono stato io a rovinarle i piedi in questo modo, a furia di calci. Che ne ha fatto Maria Luisa della tua camera?

 

Edmea                    - Me la regala. Metterò i mobili in un salottino: sono delle poltroncine e un divano ri­camati a mano.

Chéri                             - Ricamati?

Edmea                    - (sorridendo) Ma sì, la tappezzeria.

Chéri                             - (che a poco a poco si va rasserenando) Beh, in fondo mi fa piacere ritrovare tutti questi orrori. Non sei contenta d'essere tornata?

Edmea                           - Oh, per me tornare significa andare dove vai tu. Non ho mai vissuto in un luogo che mi piacesse.

Chéri                             - No? Povera piccola.

Edmea                    - Avrei continuato a viaggiare tutta la vita, con te. Ma tu eri stufo. Avevi voglia di ri­trovare la tua famiglia.

Chéri                             - La mia famiglia... vale quanto la tua.

Edmea                           - Non dire questo, non dirlo. Tua madre è vivace, rumorosa, dice delle piccole malignità così, come sbatterebbe una porta... Non è perico­losa una porta che sbatte. Quello che è pericoloso è il serpente che vi passa sotto. (Tace e rabbri­vidisce).

Chéri                             - Un serpente fuori del comune, Maria Luisa.

Edmea                    - Fuori del comune.

Chéri                             - (prendendola per le spalle) Povera pic­cola, non hai avuto una vita piacevole.

Edmea                    - No, certo, ma mi ero abituata. Avevo una bella camera. Di buon gusto, la mamma se ne intende... (Una pausa) Non facevo molto chias­so sai. (Pausa) Ero sempre sola. (Pausa).

Chéri                      - Povera piccola. Per me era diverso.

Edmea                    - Non ti lasciavano solo?

Chéri                             - Dipende da quello che intendi con que­sta parola. Quando ero piccolo non vedevo molto madame Peloux.

Edmea                           - Usciva spesso?

Chéri                      - Sempre. A volte usciva per due o tre mesi. Ma la casa non restava vuota. Le mie bam­binaie, le hai viste...

Edmea                    - Quelle vecchie che erano qui?

Chéri                      - Sì. Non sono cattive, sai. Quando ma­dame Peloux usciva, avevo la baronessa de la Berche...

Edmea                    - (gesto: baffi) Quella che sembra un uomo?

Chéri                      - Sì, quella coi baffi. Restava ad aspet­tare Carlotta anche lei. Mi insegnava a giuocare a picchetto e a bezigue... Oppure andavo a lavo­rare in guardaroba con la Poussier.

Edmea                           - A lavorare?

Chéri                             - Sì. Figurati che so fare... aspetta, come si chiama? Ah, so fare una cucitura ribattuta, e anche l'orlo a giorno.

Edmea                    - No, Fred!

Chéri                      - Ma so anche fare sgambetti, passi a solo, e conosco quasi tutti i passi del balletto del «Faust». Grazie a mamma Aldonza. Guarda... (Fa un salto) Questo si chiama passo di saltarello. Ah, non si può negare che sia stata un'educazione accurata, la mia.

Edmea                           - La mamma Aldonza è... (gesto) quella coi mezzi guanti?

Chéri                             - Sì. Come vedi, non mi lasciavano solo. Vedevo anche madame Peloux, qualche volta... Più tardi, poi, si è messa ad amarmi pazzamente. Ma, con lei, ci vogliono le redini.

Edmea                           - Capisco. Ma comunque, siamo accop­piati bene... Dio, come sarò contenta quando avre­mo lasciato questo... questo...

Chéri                      - Dillo pure, va! Questo magazzino da asta pubblica.

Edmea                           - (ridendo) Sì... sarò felice di abitare in una casa con te, in una vera casa che non sarà un palazzo, ma una casa dove non incontrerò lo sguardo di mia madre, quel suo sguardo che mi fissava malevolo da quando ho cominciato ad avere un aspetto di donna. (Rabbrividisce e ride) Vuoi sapere come sono stupida? Solo a ripensare a quello sguardo, ho paura. (Rabbrividisce ancora, poi ride stringendosi a lui) Quando ci penso!... Come sono stata fortunata a trovare te.

Chéri                      - Che strana esistenza, la nostra. Come due orfani... (Sì interrompe come bruscamente commosso).

Edmea                           - (stretta a lui) Sì. Proprio così, due or­fani: non è carino, questo? Stiamo bene insieme, no? (Stupita di non avere risposta, lo guarda e vede che rovescia indietro il capo per trattenere le lacrime. Spaventata. Quasi con un grido) Chéri! Chéri! Che hai? Piangi? Chéri!

Chéri                             - (riprendendosi, la scosta alquanto) Ma che piangere; non ho niente! Perché gridi? Mi chiami Chéri, oggi?

Edmea                    - Mi hai fatto paura, Fred.

Chéri                             - (già padrone di se) La bambina che non aveva paura di niente! Di che hai paura?

Edmea                           - Fred... (La notte è sopravvenuta).

Chéri                      - Come siamo sciocchi! Perché hai detto che siamo due orfani. (Ride) Sono un sensitivo, signora. (Si sente lontano il campanello della por­ta) Chi sarà? (Preme un pulsante, la stanza, si illumina).

Edmea                    - Oh, si stava così bene al buio.

Chéri                             - (indicando comicamente l'orribile lampada­rio) Sì, ma non vedevamo quest'opera d'arte. (Entra un domestico. Edmea sì scosta un poco).

Il Domestico                 - II visconte Desmond chiese se può vedere il signore.

Edmea                    - (sottovoce, birichina) No, no, non può... Mandalo via, Fred.

 

Chéri                      - (come se non sentisse) Ma certamente. (Il domestico esce).

Edmea                    - Ci tieni proprio?

Chéri                      - E' un bravo ragazzo.

Edmea                           - Ah! (Breve pausa) Io salgo, Fred... E' permesso pranzare in abito da viaggio, stasera, se i bauli non arrivano?

Chéri                             - (distratto) Ma sì, sì... (Edmea esce sa­lendo la scala dopo un rapido bacio. Espansivo a Desmond che entra) Desmond, caro Desmond, come sono contento.

Desmond                      - (diffidente) Come mai? Hai avuto un'eredità?

Chéri                             - Ma no, sono contento di rivederti. Il tuo brutto muso! Siediti. Che magnifica idea, venir subito. Hai ricevuto il mio biglietto?

Desmond                      - Dal momento che sono venuto... Che cosa succede?

Chéri                             - Come va? I tuoi affarucci? Sempre in bolletta, eh? Lo avrei scommesso. Ma ora le cose cambieranno, ci sono io.

Desmond                      - (stupito) Che hai? E' successo qual­cosa?

Chéri                             - (ridendo) Ma no, diamine! Tutto va se­condo i miei desideri. Perché mi guardi così?

Desmond                      - Sei affettuoso e questo mi preoccupa. Temo che tu abbia delle noie.

Chéri                      - (solo allegro) Neanche l'ombra. Un si­garo, una sigaretta? (Apre dei cassetti della scri­vania e li lascia aperti, trovando altrove le siga­rette. Fumano) Racconta.

Desmond                      - Che debbo raccontare?

Chéri                      - (animato) Tutto! Ce ne saranno delle novità. Che hanno fatto, senza di me, gli amici?

Desmond                      - Niente di importante. Nunzio è scomparso.

Chéri                             - Come, scomparso?.

Desmond                      - E' tornato a Milano, allo stabili­mento del padre. Ti ricordi, qui era sbronzo dalla mattina alla sera; si trascinava da un locale all'altro. Ora ha tutto del commerciante: si alza alle otto, è serio come un ufficiale giudiziario. E lo strano è che questa vita gli piace. Incredibile!

Chéri                      - Fantastico! E tu?

Desmond                - Io... mi vedi. Sempre lo stesso.

Chéri                             - Bella la tua cravatta. E' l'ultima moda?

Desmond                - Sì. Fasce e fondo cangiante, fondo cangiante e fasce; non se ne vien fuori.

Chéri                             - Io non ho più niente da mettermi: debbo andare dal sarto. Hai cambiato calzolaio?

Desmond                - Sì. Non c'era più nulla da fare con Leprince.

Chéri                             - Sbaglia le scarpe?

Desmond                      - No, ma... capisci... ventiquattro paia in un anno...

Chéri                      - E hai pagato?

Desmond                      - No, ho cambiato...

Chéri                      - (dopo una pausa) E dimmi, quella tuacotta, ti ricordi? La ragazza di diciotto anni.

Desmond                      - (sdegnoso) Oh, ci pensi ancora? Ac­qua passata. Ci siamo lasciati buoni amici.

Chéri                             - Sembravi così preso. (pausa) E gli altri?

Desmond                      - Ah, il rosso ha piantato la Loupiote.

Chéri                             - (interessato) No? Perché?

Desmond                      - (indifferente) Ma... perché... sciocchezze... perché... perché la cosa non andava più...

Chéri                      - Non perdono tempo i nostri amici. E le finanze, come vanno?

Desmond                      - Ho venduto una Rolls Royce, qual­che giorno fa e ho preso cinquemila sventole di provvigione; meglio che niente. (Cambiando tono) Ma tu non mi dici nulla? Che hai visto di bello?

Chéri                             - Un discreto numero di camere d'albergo.

Desmond                      - E oltre a questo? Dei paesi splendidi?

Chéri                             - Hai ricevuto le mie cartoline, no? Dun­que li hai visti all'incirca come me.

Desmond                      - Neanche a tua moglie piacciono i laghi?

Chéri                             - Mia moglie è sempre della mia opinione, o quasi.

Desmond                      - Rallegramenti.

Chéri                             - Un lago... lo trovo allegro al mattino, nel pomeriggio comincio a chiedermi: « come, è ancora qui, questo catino? ». E la sera mi rende malinconico. Non so che cosa ci trova la gente nei laghi. (Pausa. Evidentemente non hanno fin nulla da dirsi) Che fai stasera? Vuoi pranzare con noi?

Desmond                      - (senza slancio) Grazie, sono impe­gnato.

Chéri                             - II pranzo di famiglia ti spaventa?

Desmond                      - (ironico) Ma no. Sono sicuro che sarà molto carino. Il lume a sospensione, il manzo in umido... Ho paura di commuovermi.

Chéri                             - Se fosse da Lea, ci verresti, eh? I piccoli paralumi rosa, le ortensie sulla tavola...

Desmond                      - Sei sciocco, non è il caso di far pa­ragoni. (Una pausa).

Chéri                             - L'hai rivista?

Desmond                      - Chi?

Chéri                             - Lea, via!

Desmond                      - No, perché è sempre stata in viaggio. Come te.

Chéki                            - (canticchia) « Faceva sempre come me... ».

Desmond                      - Oh, puoi dirlo: esattamente!

Chéri                             - Perché, esattamente?

Desmond                - Perché anche lei non ha viaggiato sola, come puoi immaginare. Non è sua abitudine.

Chéri                             - (ridendo) Ah, sì?

Desmond                      - Portava a spasso il suo vice-Chéri,

diamine!

Chéri                             - (leggermente) E chi è?

 

Desmond                      - Non lo so. Dicono che è un ragazzo senza un quattrino.

Chéri                             - Ho capito. Qualche piccolo atleta della scuola di Patron, coi polsi pelosi e le mani sempre umide... Bah, che roba! (Cammina avanti e indietro).

Desmond                      - Si accorgerà di quello che le costerà.

Chéri                             - Non ti preoccupare. Sarà sempre lei la padrona. (Pausa) E dove sono stati?

Desmond                - Ti dico che non ne so niente. Tu non eri più in ballo, perciò la cosa non mi inte­ressava.

Chéri                             - (ironicamente affettuoso) Gentile.

Desmond                - Ma la signora Peloux ti saprà dare tutti i particolari. Sherlock Holmes è un princi­piante, a suo confronto. E con questo, taglio la corda. (Si alza).

Chéri                             - Resta ancora, ci siamo appena visti.

Desmond                      - Caro, non posso essere indiscreto. Sei appena arrivato: hai tua madre, tua moglie...

Chéri                             - Oh, quanto a questo! Dove vai?

Desmond                - Da Cri-Cri. Ho appuntamento con Manérieu e la Loupiote per andare a cena.

Chéri                      - A cena dove?

Desmond                - In via de Panthieu, in un piccolo bar che non conosci. Lo hanno appena aperto; vicino al tabaccaio.

Chéri                      - E dopo?

Desmond                - Non lo so. Decideremo. Forse una capatina da Schipfer... Chi lo sa? Comunque, in­nanzi tutto, un bicchiere di porto da «Maxim's ».

Chéri                      - (trattenendolo) E' buono anche qui, il porto. Ne vuoi un bicchierino?

Desmond                - Non è la stessa cosa. Qui non si ha sete. Buona sera, sposo felice.

Chéri                      - Ci vediamo domani?

Desmond                      - Non so. Dipende dall'ora in cui andremo a letto.

Chéri                      - Magari nel pomeriggio? Senti...

Desmond                - (ridendo) Ma che, hai paura di star solo? Ciao, vecchio. Deponi i miei omaggi ai piedi della signora Chéri, se posso esprimermi così.

Chéri                             - Uff, come sei noioso. Aspetta, ti accom­pagno al cancello.

Desmond                      - Conosco la strada.

Chéri                             - Ma mi fa piacere. (Escono a braccetto, discorrendo).

Desmond                      - (nell'uscire) Se avessi saputo che dopo sposato saresti stato così gentile, ti avrei spinto ad ammogliarti prima.

Edmea                           - (riappare al sommo della scala. Si china sulla ringhiera e chiama sommessamente) Fred? (Vede che la sala è vuota e scende. Attraversa la scena, sì ferma davanti alla scrivania, guarda un momento una foto, la rimette a posto, ecc. Non sente che Chéri ritorna e si ferma sulla soglia ad osservarla).

Chéri                             - (senza alzar la voce) Che stai facendo?

Edmea                           - (trasalendo) Niente. Ti aspettavo.

Chéri                             - Cerchi qualcosa?

Edmea                           - (un po' imbarazzata) No.

Chéri                             - Ti interessano quelle carte?

Edmea                    - (confusa e offesa) Oh, no. Perché dici questo?

Chéri                      - Così. Per niente.

Edmea                    - Che faccia fai? Non crederai che sia stata indiscreta. Non è mia abitudine.

Chéri                      - (freddo) Bene.

Edmea                    - Dici « bene » ma pare che tu abbia un'altra idea. Non penserai che sia andata a fru­gare fra le tue carte?

Chéri .................... - (ride forzato) No. D'altronde, te ne do il permesso. Se ti diverte, bimba mia, fai pure.

Edmea ......................... - (secca) Grazie. Le tue vecchie corrispon­denze amorose non mi interessano.

Chéri .................... - Le mie corrispondenze amorose... (Un attimo trasognato) Non ne ho lettere d'amore.

Edmea ......................... - (nervosa) Non potremo cambiare argo­ mento? Ti confesso che questo non mi va.

Chéri ........................... - (senza badarle) Curioso: non ho lettere d'amore. Buffo! Non ci avevo mai pensato. (Va alla scrivania, pesca una manciata di carte, le porge a Edmea) Credi che dica bugie? Guarda pure. Sì, puoi guardare. (Le sfoglia. Edmea si scosta) Fat­ture gomme per l'auto prestito a Desmond….Guarda, versi inglesi di miss Coles.

Edmea                           - (macchinalmente) Conosci l'inglese?

Chéri                             - (con superiorità) Ci mancherebbe altro. Toh, qualcosa per te... (Prende un foglio e legge ad alta voce) « Bellezza adorata... ».

Edmea                           - (supplichevole) Ti prego.

Chéri                             - (ridendo) Ah, ah! «Bellezza adorata». Guarda, sciocca, è di madame Peloux. Un'amante non sarebbe così lirica.

Edmea                           - (sorriso forzato) Ho avuto paura. (Chéri, per giuoco, le getta un fascio di carte. Edmea non si è mossa, ma uno dei fogli caduti sulla tavola attira la sua attenzione. Lo legge. Curva, appog­giata alla tavola con ambo le mani).

Chéri                             - (sdraiato sulla poltrona) Tesoro mio, berrei volentieri qualche cosa. (Edmea non risponde subito) Edmea? (Si raddrizza) Che stai leggendo?

Edmea                           - (senza muoversi) Una cosa che ho tro­vata.

Chéri                      - Si può sapere?

Edmea                           - (riso doloroso) Tutto un programma.

Chéri                             - (sorpreso dal suo tono di voce la guarda senza alzarsi) Un programma?

Edmea ......................... - (tagliente) Sì, qualcosa del genere (Legge, con voce rauca) « No, non mi annoio. Fac­cio la cura, buona buona. Conto i giorni. Ancora una settimana e poi ti vedrò arrivare, forse dalla finestra... (Chéri balza in piedi. Edmea continua) ... Dalla finestra, piccolo selvaggio, e dopo un mi­nuto sarai fra le mie braccia ».

Chéri                             - Dammi! (Le strappa la lettera).

Edmea                    - (con voce tremante) Non c'è bisogno di vedere la firma per capire che è di Lea. (Scop­pia in pianto).

Chéri                             - (guardandola stupito) Che hai? Piangi? Ma che hai? (Edmea singhiozza. Chéri la guarda indeciso, poi le si avvicina e le posa una mono sul capo, con una certa tenera goffaggine) Avanti che c'è? Su, su... ma che hai? (Edmea piange dispe­ratamente. Chéri continua il suo gesto carezzevole via, come distratto, alza la testa e guarda altrove mormorando) Andiamo, via, che gran dispiacere. Avanti, su, su... (Sospira profondamente).

Edmea                    - Eh già! Ti annoio, vero?

Chéri                      - Ma no...

Edmea                           - Lo so, lo so, ti annoio, confessalo. (Chéri tarda a protestare. Edmea diviene furente) Vattene! Vattene! Ti odio! (Si scosta da lui).

Chéri                             - Che ti piglia, adesso?

Edmea                    - (violenta) Credi che non abbia capito niente? Tu non mi ami. Non mi hai mai amata. Non t'importa niente di me, come se non esistessi. Non ne posso più! Non ne posso più! (Piomba a sedere asciugandosi gli occhi).

Chéri                      - Ma diventi pazza.

Edmea                           - Magari lo fossi! Sembro pazza perché stanca del viaggio, qui, con tutte le porte aperte, oggi non sono più capace di tacere... (Scrolla la testa con amarezza) Mi manca la forza di conti­nuare a mentire, ad avere l'aria felice. Sono stanca, scoraggiata, e poi tutto questo... (Gesto circolare che indica la sala).

Chéri                             - (freddo e sulla difensiva) Non sei prigio­niera qui, sai?

Edmea                           - (nuovamente violenta) Oh lo so, lo so. E non sei certo tu che vorresti trattenermi. Mi of­fendi, mi sdegni. Sei grossolano, sei... Hai dei gusti abominevoli, dei gusti... da degenerato...

Chéri                             - (attento) Ah sì? Davvero?

Edmea                           - (balbettando) Ma sì, sì! Lo so quello che piace a te, lo so chi ti piace, chi rimpiangi. Lo so a che cosa e a chi pensi. Non pensi che a quella vecchia. (Questa parola è come un ceffone).

Chéri                             - Ah, è questo! (Una breve pausa. Respira profondamente) Era un pezzo che ce l'avevi sullo stomaco, eh? (Edmea pare spaventata di ciò che ha detto. Abbozza un gesto supplice che Chéri non ve­de, perche cammina su e giù) Ah! finalmente. Ora mi sento meglio!

Edmea                           - (sottovoce) Perdonami, Fred... non vo­ levo

Chéri                             - (con calma inquietante) Ma non te ne voglio affatto. Dunque, lo sapevi? Mi hai... sì, mi hai dato un senso di liberazione. Ero talmente... a disagio... (Respira) Mi sento meglio. Non te ne voglio affatto.

Edmea                           - Lo vedi, lo vedi? Confessi.

Chéri                             - (con una specie di innocenza) Ma sì.

Edmea                           - (in lacrime) Perché mi hai sposata, Dio mio?

Chéri                             - Non lo so. Ma questo non c'entra, con quello che hai detto. Hai detto una cosa... ha, una cosa straordinaria, meravigliosa... (La guarda quasi con ammirazione).

Edmea                           - Oh, Fred! Non era difficile capire che...

Chéri                             - Sta zitta. Ora sciupi tutto. Stai per dire troppo. Per dire più di quello che sai.

Edmea                           - (con disperazione infantile) E' finita, è finita! Non mi amerai mai. Avrei tanto desiderato che tu mi amassi. (Ritorno di collera) Ma tu non ami che quella donna, quella donna che è vecchia, vecchia, vecchia!

Chéri                             - (senza collera) Può darsi che sia vecchia. Che significa, vecchia, per te? Se vuoi dire che ha più amici di te, è una cosa stupida. Se vuoi dire che ha avuto tutto il tempo di cullarmi, di cocco­larmi, di occuparsi di me, se è questo, allora ti dico: sì, è vecchia. (Ha parlato camminando, ora si ferma e si volge a Edmea) Vecchia... Non man­cherai di aggiungere che « potrebbe essere mia ma­dre». Certo che potrebbe esserlo e ti dirò che lo è stata. Che c'è? Non mi trattavi da orfano poco fa? Dunque, in quel momento ammettevi che ho perso qualcuno? Ebbene, sì, ho perso qualcuno. Ho perso quello che avevo di meglio, di più pulito e di più generoso nella mia vita, fino ad ora.

Edmea                           - (quasi selvaggia) E allora tornaci.

Chéri                             - E' facile dirlo.

Edmea                           - Quando si rimpiange una donna fino a questo punto, non si sta a perder tempo a decan­tarne i meriti, si va a raggiungerla, dovunque sia.

Chéri                             - Aspetta. Non sono ancora abituato a quello che provo. Mi sento male quando penso a lei... Provo... provo... (cerca di spiegarsi) una specie di mancanza... di sete... dolorosa...

Edmea                           - (quasi sottovoce, costernata) E dici que­sto... a me... a me...

Chéri                             - (semplice) E a chi dovrei dirlo?

Edmea                           - (riso accorato) Questo... questo è il colmo!

Chéri                             - Dovrei potertelo dire... Che cos'è, altri­menti, la confidenza? Ne parli continuamente, mi rimproveri di mancare di confidenza, di essere chiu­so, ma ti è bastata una parola...

Edmea                           - (triste) No, non è stata una parola... è stato un nome... (Tacciono. Edmea lo guarda con una specie di orrore intimidito) Comincio a cre­dere che tu sia un essere mostruoso.

Chéri                             - (irritandosi a poco a poco) Mostruoso... mostruoso... Si fa presto a dire... mostruoso, perché non mento e perché una volta tanto... Forse per­ché... mi rivolgo a te come se non fossi mia mo­glie? (Edmea protesta) Come se tu fossi più che una moglie. Mostruoso! Dunque, dovevo mentire? (Puerile) Non sei mai contenta! (Edmea lascia sfug­gire un riso con singhiozzo) Sicuro! Ma che vuoi da me, in fin dei conti? Che cosa mi rimproveri, anche quando non dici nulla? Ti ho forse lasciata per un momento, da due mesi in qua? Ho delle amanti, forse? Ti tradisco? Dormo forse in un letto separato?

Edmea                           - (ferita, si guarda attorno per la prima volta, per vedere se c'è qualcuno che ascolta) Oh, Fred! E sono queste, secondo te, le prove d'amore?

Chéri                             - Queste valgono come tante altre. Quando mi dici che sono grossolano e degenerato, sono forse prove d'amore?

Edmea                           - (umile) No, ma di gelosia.

Chéri                      - Già. Così si scusa tutto. Non vuoi che mentisca, ma mi proibisci di dire la verità. Avrei dovuto dimenticare tutto quello che ti ha preceduta, cioè tutto quello che ho avuto di buono, tutto ciò che mi è venuto da... (Si interrompe).

Edmea                    - (fremente) Non aver riguardo a pro­nunciare il suo nome, su. Al punto in cui siamo, che vuoi che mi importi?

Chéri                             - (semplice) Ma è a me che importa. Non mi fa affatto piacere vederti piangere e soffrire quando si tratta di lei, però non posso sopportare che tu la tratti senza...

Edmea                           - Senza rispetto, vero?

Chéri                             - Forse. Sì, è proprio la parola adatta. Per quanto cerchi nei miei ricordi di ragazzo e di gio­vinetto, non trovo che lei. (Rimane per un mo­mento come assente).

Edmea                           - Ma che aspetti, per andare da lei? Va', avrà ancora qualche mese davanti a sé per farti felice.

Chéri                             - (dominandosi) Sempre la faccenda dell'età! Siamo d'accordo: sei giovane, diciannove anni, carnagione bianca, bei capelli. E con questo? Una volta a letto non hai che bei capelli, carnagione bianca e diciannove anni... Credi che sia proprio una rarità quello che mi dai?

Edmea                           - (come se fosse scottata, si alza d'un balzo, gridando) Basta, Fred! Basta! Che sia l'ultima volta che mi parli così! Non so di che cosa sarei capace. Presto, presto, separazione, divorzio, qua­lunque cosa, purché sia presto. (Corre come smar­rita verso la porta, Chéri la trattiene facilmente con una sola mano).

Chéri                             - (parla con una specie di misericordia) Resta qui... Il divorzio, povera piccola, non accomo­derebbe nulla...

Edmea                           - (dibattendosi) Quello che vuoi, quello che vuoi... Pur di andarmene, andarmene!

 

Chéri                             - Ti dico che non servirebbe a niente.

Edmea                           - Perché?

Chéri                             - (posandole una mono sulla fronte con emo­zione nascosta) Perché mi ami. (Una pausa).

Edmea                           - (abbattendosi su dì lui) Sì.

Chéri                             - (accarezzandole i capelli) Povera piccola... povera piccola... non è colpa tua...

Edmea                           - (supplichevole) Tienimi con te, Fred... Forse è possibile ricominciare. Tienimi con te.

Chéri                      - Ma sì... sì.

Edmea                           - Avrò tanta pazienza, Fred. Ho tanto da imparare, ho appena cominciato a vivere... Tengo talmente a te, Fred... Diventerò buona, perfetta... sarò... Mi pare che non potrai fare a meno di amarmi, più tardi, Fred... non devi pretendere tutto in una volta.

Chéri                             - Ma sì... sì... (La culla contro di sé, si sente il tintinnio di una campanella).

Edmea                           - (trasalendo) Che cos'è?

Chéri                      - Niente. La campanella del pranzo che madame Peloux ha l'abitudine di far suonare.

Edmea                           - Già il pranzo? Devo avere una faccia... (Si scosta da Chéri).

Chéri                             - Suonano due volte. Hai tutto il tempo.

Edmea                           - (andando verso la scala) Torno subito. Faccio in un momento. Mi aspetti? (Chéri accenna di sì) Non mi piace questa campanella, mette tri­stezza.

Chéri                             - Dirò che non la suonino più.

Edmea                           - (sulla scala) No, no! Non voglio che sia cambiato niente per me. Ma a casa nostra niente campanelli, vero, Fred? A casa nostra ti farò fare una vita tanto tranquilla, Fred... Vedrai come sarà carino, in casa nostra. E soprattutto sarà « casa no­stra... casa, nostra». (Sale. Chéri la segue con lo sguardo, annuendo. Edmea scompare dopo avergli buttato un bacio. Rimasto solo, Chéri si muove. E' in piedi, a capo basso con le mani in tasca. Gli occhi a terra. Poi alza la testa, come se sì svegliasse, sì guarda attorno, lancia un'occhiata alla scala, stende il braccio con un gesto automatico e posa il dito sul bottone dì un campanello. Appare un domestico).

Chéri                             - (senza espressione, a mezza voce) II mio soprabito, il cappello... (Il domestico obbedisce pre­muroso, Chéri sì getta il soprabito sul braccio e, col cappello in mano, esce rapidamente).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

La stessa scena del primo atto. Il camino è acceso. Preparativi visibili di prossima partenza. A terra una valigia chiusa. Le undici di sera. (Al levar del sipario, Lea e Masseau sono seduti, uno di faccia all'altro, davanti al camino. Fra loro è un tavolinetto su cui sono il caffè, i liquori. Lea fuma, appoggiata col gomito al bracciolo della pol­trona. Masseau ricama, lo si sente che conta fino a sette).

Lea                                - Oh, povero Masseau, non vi ho chiesto se volevate un'aranciata.

Masseau                        - (risponde facendo cenno di no col capo. A mezza voce) Otto, nove, dieci, undici...

Lea                                -: O una ciliegia sotto spirito?

Masseau                        - (afferma con la testa) ... quattordici, quindici... Scusatemi, Lea, ma c'è qui una campa­nula azzurra che richiede tutta la mia attenzione... e questo canovaccio è terribilmente sottile. (Si toglie gli occhiali) Accetto volentieri una ciliegina col suo liquorino.

Lea                                - (suona, poi, per cortesia) E' molto bello que­sto ricamo. Siete di un'abilità...

Masseau                        - (modesto come una giovinetta vanitosa) Grazie, amica mia, grazie.

Lea                                - Come vi è venuta?

Masseau                        - Che cosa?

Lea                                - Questa mania... voglio dire, quest'abilità.

Masseau                        - Sono nato normale; questo (indica il lavoro) mi è venuto per caso. Nel guardare la Poussier che ricamava. (Con fatuità) Non ho tar­dato a scoprire che non ero meno abile di...

Lea                                - Di qualsiasi altra zitella...

Masseau                        - (annuendo) E poi, mi sono accorto che questo mi impediva di fumare troppo, di per­dere a poker, di annusare delle porcherie che rovi­nano la salute... Un ago e un uncinetto, vi sem­brano ridicoli nelle mani di un uomo?

Lea                                - Tutt'altro! Dovreste aprire un laboratorio per intossicati pentiti!

Masseau                        - Buona questa!

Lea                                - Carina. (Porta a Masseau il bicchierino con le ciliege e osserva il lavoro) Ma andiamo avanti, proprio avanti, parecchio!

Masseau                        - A gran velocità. E' il secondo.

Lea                                - II secondo che?

Masseau                        - Cuscino, il mio secondo cuscino. E' per Carlotta. Ha scelto lei stessa questo disegno « pompadour ». Ha bisogno di quattro cuscini.

Lea                                - Ah, ma allora non è più una sorpresa, è un'ordinazione. (Fa per riprendere il bicchierino vuoto).

Masseau                        - Non vi disturbate.

Lea                                - Oh, non è per cortesia, è perché altrimenti mi posate il bicchierino sul tavolino lasciandoci il segno. E' legno rosa... (Masseau riprende a lavo­rare, Lea lo guarda con ammirazione canzonatoria) Straordinario! A me i lavori femminili fanno im­pazzire.

Masseau                        - E' proprio deciso? Volete partire?

Lea                                - Dopodomani. Biglietti, cabinaletto, è tutto pronto. Debbo solo mettermi l'abito da viaggio.

Masseau                  - Sì, ma questa volta mi direte dove andate?

Lea                                - Certamente. Vi manderò delle cartoline.

Masseau                        - Qual è la prima destinazione?

Lea                                - In un primo tempo avevo deciso la Sicilia.

Masseau                        - (piccolo grido) Oh!

Lea                                - Vi siete punto?

Masseau                        - No. Ma non posso dimenticare che ci siete stata con me, in Sicilia, una volta.

Lea                                - (leggermente) Già, è vero. Oh, non ho di­menticato che fu un viaggio delizioso.

Masseau                        - No. Lo dite adesso. Ma allora, più vi mostravo laghi azzurri, casette rosa, rive fiorite, più avevate sonno.

Lea                                - (ridendo) Che memoria! Ma questa volta tornerò in Spagna. Figuratevi che non sono più stata a Granata dal 1902.

Masseau                        - Lo so. Non occorre che precisiate. Rimaneste assente tre mesi e tornaste pallida e sma­grita, mostrando senza pudore i segni di una stan­chezza che... Insomma, un aspetto disgustoso...

Lea                                - (ridendo) Sarà stato disgustoso il mio aspetto, ma vi giuro che era... ingannatore. L'amore in viag­gio, ah no! Ho fatto quella che si chiama una vita dissoluta, d'accordo, ma non ho mai concepito la vita dissoluta altrimenti che in casa mia, ai miei comodi, con tutto il « comfort » insomma.

Masseau                        - Egoista.

Lea                                - (leggermente) Nessuno si è mai lagnato. Dunque, riparto. Oh, senza illusioni. Troverò delle altre Carlotte, altre Aldonze e degli orribili vecchi che diranno di essere stati bei giovani...

Masseau                        - (punto) Grazie.

Lea                                - (con affettuosa impazienza) Ma non penso a voi, quando dico questo. Non ci siete soltanto voi al mondo, Masseau. In questo momento pensavo a un colonnello che voleva sposarmi, a Saint-Jean-de-Luz. Decorato, distintissimo... Quando ho sco­perto che portava il busto... sto correndo ancora...

Masseau                        - Perché fuggir? (Atteggiandosi a te­nore attacca il refrain della vecchia romanza «Se») «Deh, non fuggirmi, deh non fuggir, resta con me fra i monti... » Che bel fa diesis, eh?

Lea                                - (ridendo) Riuscite ancora a farmi ridere, sapete?

Masseau                        - Si, non ho fortuna. Mi sarebbe tanto piaciuto farvi piangere! Non partite, Lea! Perde­reste la più bella stagione di Parigi. E poi non sapete tutto. (Confidenziale) Mi sto allenando per il concorso ippico dei veterani... con ostacoli. Osta­coli moderati, naturalmente... E stiamo formando un comitato per la resurrezione dei balli all'Opera. Domino, mascherine... Lea, mia divina, rimanete con noi!

Lea                         - (dopo un lieve cenno negativo) L'aria di Neuilly non mi fa bene, in questo momento.

Masseau                  - (dopo una pausa) Ci metterete del tempo a dimenticarlo... quel piccolo Peloux.

Lea                         - (semplice) Lo credo anch'io. Non me ne vergogno. Perché non dovrebbe essere più saldo di un altro amore, quello che avevo per Chéri. (Una pausa) E perciò cambio aria aspettando che mi passi. (Cambia tono) Quando tornerò non mi riconoscerete.

Masseau                  - Oh, sì.

Lea                         - Tornerò piena di salute, di buon umore, di ottimo vino, di carte da gioco, di tutto quello che è necessario per travestire il mostro...

Masseau                  - II mostro?

Lea                                - (molto gaia, indicando il proprio riflesso nello specchio) Guardatelo lì nello specchio, il mo­stro... E ora filate: ho ancora mille cose da fare. Su, prendete il vostro ricamo, la vostra borsa da lavoro... (Masseau, con la mano sugli occhi, fa udire una specie di piccolo singhiozzo. Lea stu­pita) Che cosa ho detto di buffo che vi fa ridere?

Masseau                        - Non rido... piango.

Lea                         - Oh, questa poi! (Ride francamente) E' troppo bella!

Masseau                        - (molto commosso) No, non è bella affatto.

Lea                         - Datemi un bacio.

Masseau                        - Oh, sì. (Lea sì lascia baciare. Mas­seau esce in fretta, molto commosso, urtando nei mobili).

Lea                         - (a Rosa che entra) Rosa, non trovi che è una cosa orribile un vecchio giovanotto?

Rosa                              - Ci sarebbe molto da dire su questo, signora.

Lea                         - Meno male, tu, almeno, non ti compro­metti. (Ride) Apri la finestra della mia camera, mi raccomando.

Rosa                       - Con questo freddo?

Lea                         - Ma sì.

Rosa                       - E se entrasse qualcuno, di notte?

Lea                                - Quali folli speranze! Guarda il mio anello nuovo.

Rosa                       - Da quando lo ha, signora?

Lea                                - Da quando sono stata a Saint-Jean-de-Luz.

Rosa                       - Non c'è una macchia nell'angolo?

Lea                                - Una macchia? Accidenti, che occhio!

Rosa                       - Vengo da una buona scuola.

Lea                         - E' una cosa da nulla... Ma come punto di verde è splendido.

Rosa                       - (portando le pantofole) Vuoi dire qual­cosa di nuovo nella vita della signora, quello sme­raldo?

Lea                                - Di nuovo? No, no, l'ho comprato io. Rosa, sei profondamente immorale e anche un po' stu­pida. Chi vuoi che mi offra uno smeraldo, ormai? Mettiti in mente, Rosa, che siamo virtuose.

Rosa                              - (senza entusiasmo) Come la signora crede.

Lea                         - Non mi sembri entusiasta. Vedrai come organizzerò piacevolmente la nostra virtù. (Si guarda. Sospira) Non ho bisogno d'altro, stasera. Guar­dami un momento... Stai forse poco bene?

Rosa                              - Poco bene? Ci mancherebbe proprio che mi ammalassi alla mia età! Non so che cosa fareb­bero gli altri, senza di me. L'autista è nevraste­nico, la cuoca si annoia e il domestico soffre di emicrania. Poveri diavoli!

Lea                                - Li compatisci?

Rosa                              - Li compatisco perché sono persone di servizio.

Lea                         - E tu, allora?

Rosa                       - Io non sono la vostra serva.

Lea                         - Sei di buona razza, va'. Allora vieni con me? Partiamo tutt'e due?

Rosa                       - Oh, qui o altrove...

Lea                         - Andremo a cercare il sole e a mangiare la «cucina all'olio». E' tutto pronto nella stanza da bagno?

Rosa                              - Tutto. Ho preparato i tamponi per il massaggio elettrico.

Lea                                - (ridendo, troppo allegra) Ah, senti, basta coi massaggi. E butterai l'enne nel lavabo. Ho detto. A nanna, a nanna!

Rosa                              - Buona notte, signora. (Esce. Rimasta sola, Lea sì abbandona a gesti dì donna sola. Si gratta il dorso, le gambe, si guarda l'interno della bocca con uno specchietto da dentista. Esame sconsolato del doppio mento e del collo, canticchia un mo­mento e si interrompe per esclamare: « Oh, là, lai», in tono scoraggiato. Va alla toeletta, siede e comincia a togliersi dai capelli le forcine di tar­taruga. Nel cortile, campanello non stridulo).

Lea                                - (immobilizzata) Ma... (Secondo colpo di campanello. Lea cambia espressione e si riappunta i capelli) Vorrei proprio sapere chi... (Rumore di porte e di voci fuori della stanza. La porta si apre bruscamente. Chéri entra richiudendo violente-mente la porta dietro di sé. Ha il soprabito e an­cora il cappello sul capo. E' pallido, ansante, ha una espressione diffidente e cattiva. Pausa) Che modo di entrare! Potresti anche toglierti il cappello e salutare.

Chéri                      - Buonasera. (Si guarda attorno e ripete con voce più dolce) Buonasera.

Lea                                - Buonasera.

Chéri                      - Sei sola?

Lea                         - Per il momento, sì.

Chéri                      - Non esci?

Lea                         - Per il momento, no.

Chéri                      - Ti spogli? Che cosa fai?

 

Lea                                - Se per caso l'hai dimenticato, ti ricordo | che qui non sei più di casa. (Pausa).

Chéri                      - Posso sedermi?

Lea                         - Se credi.

Chéri                      - (siede. Dopo un silenzio) Non ti stu­pisce vedermi?

Lea                                - Non sono mai stata curiosa. (Silenzio. Chéri si alza e si toglie rabbiosamente il soprabito che scaraventa sulla chaise-longue. Lea con im­pazienza e familiarità) Non lì sopra. Lo sai che è seta antica. Tutte le volte, poi, bisogna... (Si interrompe. Alza le spalle).

Chéri                             - (fermo, davanti alla coppa dov'è lo sme­raldo) Che cos'è questo?

Lea                                - Questo? Uno smeraldo.

Chéri                             - (esaminando l'anello) Caspita! Chi te lo ha dato?

Lea                         - Non conosci.

Chéri                             - (amaro) Bello.

Lea                                - Vero? Proprio bello. Ce ne sono di più belli, ma di quel punto di verde, non credo molti.

Chéri                      - Ha una macchia.

Lea                         - Lo so. Piccolissima. Me lo hanno fatto osservare proprio qualche minuto fa.

Chéri                      - Ah? Chi? Chi c'era qui?

Lea                                - Non sono cose che ti riguardano, piccolo mio. (Silenzio. Chéri si morde le labbra).

Chéri                      - Mi ha fatto un certo effetto, sai, sen­tire il campanello del cortile. E poi... Ernesto che mi ha aperto...

Lea                                - Perché non avrebbe dovuto aprirti Erne­sto? Dovevo forse cambiare il portiere perché ti sei sposato?

Chéri                             - No, naturalmente. Soltanto, mi ha fatto un certa impressione... Già, non puoi capire... (Pausa).

Lea                         - Dunque? Che sei venuto a fare?

Chéri                      - Ah, ti degni?

Lea                                - Non mi degno. Ma siccome non ho l'in­tenzione di passare la notte a vederti recitare la parte dell'incompreso su di un divano, ti domando: che sei venuto a fare? Per uno sposo di due mesi, non hai quella che si può chiamare una faccia da luna di miele.

Chéri                             - (punto) La mia faccia... La mia faccia non è peggiore di tante altre...

Lea                                - Può darsi, ma non è davvero quella che avevi sei mesi fa. Fa' vedere. (Lo prende per il mento senza dolcezza) O là là! Se vai avanti così, a trent’anni sembrerai una vecchietta.

Chéri                             - (insultante) Proprio tu mi dici questo!

Lea                                - (serena) Ragazzo mio, io sono corazzata contro tutto, anche contro te. Mi tengo i miei anni, le mie zampe di gallina, capisci? (Gesti per indicare sul viso di Chéri il disotto degli occhi, gli angoli della bocca, il sottomento. Si solleva le maniche e incrocia le belle braccia, soggiungendo) Io ho finito il lavoro che tu incominci. Io sono arrivata. Non ho più altro da fare che guardare come procedi... (Siede. Una pausa).

Chéri                             - Lea...

Lea                                - Che c'è?

Chéri                             - Lea...

Lea                                - (senza guardarlo) Chiedi perdono!

Chéri                             - Figurati.

Lea                                - Non ti costringo. (Silenzio).

Chéri                             - (decidendosi, molto in fretta) Perdono.

Lea                                - Come?

Chéri                             - Perdono.

Lea                                - Dillo meglio.

Chéri                             - (più dolce) Perdono! (Molto in fretta) Tanto per stare in pace.

Lea                                - (ironica) La pace? E chi te la toglie, la pace? Io l'ho trovata, la pace. Mentre tu?... (Si avvicina. Gli prende il capo senza tenerezza) Dun­que non va, questo giovane ménage? Hai un'aria da grandi seccature.

Chéri                             - (irritato) Perché grandi seccature? Che grandi seccature vuoi che abbia?

Lea                                - (amabile) Non lo so, io... potresti essere becco... per esempio...

Chéri                             - (ridendo troppo forte) Ah, ah! Solo tu riesci a farmi ridere.

Lea                                - Vero? Me lo dicevi già quanto avevi... ve­diamo... quando avevi diciotto anni.

Chéri                      - Sì. Ma allora era vero. Stasera mi fai piuttosto scrollare le spalle.

Lea                                - (molto dolce) Lo vedi: non ti so più di­vertire. Ne ho persa l'abitudine. Sento che farei uno scherzo fuori luogo se ti dicessi che ridi verde.

Chéri                             - (urla, picchiando il pugno sulla tavola) Basta. (Scaglia con ira un oggetto a terra. Lea si alza e va a staccare il ricevitore del telefono) Che ti piglia, ora?

Lea                                - Telefono al Commissariato perché man­dino due... no, un agente...

Chéri                             - (si alza burbero, la spinge un poco. La tira per la braccia) Avanti, avanti, non fac­ciamo storie, lascia quel coso. (La inette a sedere e siede per terra accanto a lei) Come sei cattiva... Invece di chiedermi affettuosamente che cosa ho... invece di capire... (Tace).

Lea                                - Che cosa dovrei capire?

Chéri                             - Capire... (Si interrompe, lottando contro l'emozione).

Lea                                - (più dolce) Che cosa, dovrei capire?

Chéri                             - (la stringe aggrappato a lei. Scoppia in sin­ghiozzi come un bambino) Nounou... Nounou mia!

Lea                                - (dominandosi, lo calma e lo culla) Via... via... che c'è, santo Dio? Che c'è? Che ti hanno fatto? O meglio: che hai fatto?

Chéri                             - Nounou, ti prego, Nounou lasciami stare qui. (Le si stringe addosso) Sempre il tuo profumo... E' meraviglioso... sempre quell'odore particolare nei tuoi capelli... la tua collana... tutto questo... tutto questo! (In estasi) Ah... è meravi­glioso! (Piange e ride fra le lacrime).

Lea                                - (scostandolo un poco per contemplarlo -me­glio, con voce sorda per la profonda emozione) Dio mio... Ma allora mi amavi?

Chéri                             - (abbassando gli occhi coinè una giovinet­ta) Sì, Nounou.

Lea                                - (stringendolo, sottovoce) Piccolo mio... Cat­tivo... Angelo... finalmente tu...

Chéri                             - (ridendo fra le lacrime) Sì, sì, final­mente io. (L'afferra per le spalle, le offre il viso, vicinissimo) Mi riconosci? Non sono cambiato.

Lea                         - (malinconica) Ho paura di no.

Chéri                             - Non potevi più stare senza vedermi, vero? Sì, sì, perché anch'io non vedevo l'ora di esserti vicino... E ti annoiavi, no?

Lea                                - Io non mi annoio mai. (Lo stringe a se) E che sei venuto a fare qui, tormento mio?

Chéri                             - Che sono venuto a fare? (Le sfugge con un balzo. Si toglie strappandoseli d'addosso, giacca e panciotto che scaraventa sui mobili ed esclama, incrociando le braccia imperiosamente) Che son venuto a fare? Sono tornato.

Lea                                - (trattiene a stento un grido di gioia, si padro­neggia, costringendosi ad essere calma. Padrona di se, ma con tono assai più familiare e abbandonato che al principio della scena) Tornato? Sei pazzo? (Senza rispondere, Chéri abbozza un passo di danza) Su, Chéri, andiamo piano. Chéri, attento, il tavolino... Non fare lo sciocco, Chéri! Il vaso azzurro, maledetto, il vaso azzurro!

Chéri                             - (viene a piombare seduto accanto a lei) Oh! Accidenti, che sete! (Lea si alza e va a riem­pire un bicchiere di aranciata che porta a Chéri con gesto che sì indovina esserle abituale. Chéri beve ansimando, ma sì interrompe alzando gli occhi su Lea) E tu mi porti da bere, tu! (Beve).

Lea                         - Sono così stupida. E poi non ho mai pen­sato che potessi sentirmi umiliata davanti... (lo prende per il mento) davanti a questo bel mobile!

Chéri                             - (contento) Sì, insultami, maltrattami...

Lea                         - (ridendo) Non ne ho il motivo.

Chéri                      - Eppure, mi sono sposato.

Lea                                - Bella roba!

Chéri                      - Sì, sì, sì... si dice così e poi si dima­grisce di quattro chili.

Lea                                - Io dimagrire?

Chéri                      - Me lo ha raccontato madame Peloux.

Lea                                - (ridendo) Tua madre? La santa donna! (Si tasta le braccia e il sommo del busto, le anche e fa una smorfietta, crollando il capo) Oh, se è per questo puoi sposarti un'altra volta...

Chéri                             - (appoggiandosi improvvisamente a lei e mettendole la fronte sulla sfalla) No, non vo­glio. Sono tornato a casa.

Lea                         - Carino... E chi hai consultato per farlo?

Chéri                      - (col naso nel seno di Leo) Me stesso, si capisce.

Lea                         - E io?

Chéri                      - Come tu?

Lea                                - Potrebbe darmi fastidio, il tuo ritorno. Non hai pensato che potrei... (Chéri alza, la testa) non essere...

Chéri                      - Che cosa?

Lea                         - Non essere sola.

Chéri                             - Tu? (Lea tace. Chéri le posa pesan­temente la mano sulla Sfalla) Avresti... hai... qual­cuno? (Lea volge la testa altrove) Ah, già. Il giovinotto che ti sei portato dietro in viaggio, due mesi fa... Naturalmente! E' quello? (Brutale, scrol­landola) Ma parla una buona volta.

Lea                                - (scoppiando in un riso vicino ai singhiozzi) Imbecille! Imbecille!

Chéri                             - (sconcertato) Come?

Lea                                - Imbecille! Hai creduto? Che mi fossi por­tata qualcuno dietro? (Molto snervata, ridendo come se piangesse) Che idiota, Dio mio, come sei idiota.

Chéri                             - (mettendole una mano sulla fronte e rove­sciandole la testa contro la spalliera della poltro­na) Allora, non è vero? Non è vero? Non hai un amante?

Lea                                - (con una voce soffocata che rivela un brusco desiderio) No. Non ho amante. (Chéri le crolla addosso. Lea stenta a rimaner padrona di sé) No... aspetta... aspetta, piccolo... (Lo scosta, si stende a metà sulla chaise-longue, gli fa posto accanto a se) Vieni qui... (Chéri sì rannicchia) Eccoti qua al tuo posto. Come hai fatto a venire qui?

Chéri                             - (con gli occhi chiusi) Io dormo.

Lea                                - (ostinata) Dormi, ma parla. Che hai fatto? Che hai lasciato... laggiù?

Chéri                             - Senti, andiamo a letto! Sono a pezzi!

Lea                         - E' appena mezzanotte e mezzo.

Chéri                             - (con ammirazione) Sei meravigliosa! Di­resti così anche se fossero le quattro del mattino.

Lea                                - (dominandosi) Voglio sapere perché sei qui.

Chéri                             - Ma perché? Che idea! E' un'ossessione!

Lea                                - E' una preoccupazione. Voglio sapere qua­li... quali disastri hai fatto laggiù.

Chéri                      - Nessuno.

Lea                                - Scenate? Una scena violenta? Sei stato odioso.

Chéri                      - Ma no, Nounou, ti giuro...

Lea                                - Strano... Hai avuto fastidi? Hai scoperto... qualcosa...

Chéri                             - (punto e irritato) Di nuovo! Ricomin­ciamo! E' grottesca questa mania di volere che io... Perché non potrebbe essere mia moglie che ha scoperto, come dici tu, qualche cosa?

Lea                                - (semplicemente, ridendo) Non ci avevo pensato. Però in questo caso sarebbe stata lei e non tu ad andare... a farsi compatire altrove.

Chéri                      - (sicuro dì sé) Altrove... Oh, no... non c'è pericolo...

Lea                         - Perché?

Chéri                      - Non è il tipo. Sa benissimo che su questo non scherzo. E' ammaestrata.

Lea                         - (all'erta) Ah, sì? E dov'è adesso?

Chéri                      - A casa, naturalmente.

Lea                         - Ti aspetta?

Chéri                             - Può darsi... Credo. Non mi ha visto uscire.

Lea                         - (attenta) Come sei uscito?

Chéri                             - (seccato) Così.

Lea                                - (ostinata) Avete pranzato insieme?

Chéri                      - No.

Lea                         - (fa per alzarsi) Ecco! Non hai mangiato! Ne ero certa.

Chéri                      - Ma sì. Con Desmond ed altri amici, al bar. Lascia, non ho fame.

Lea                         - Come mai non hai pranzato a casa?

Chéri                             - (evasivo) Non so. Ero di cattivo umore. Avevo fatto indigestione della faccia di madame Peloux. Avevo nostalgia.

Lea                         - Nostalgia di che?

Chéri                      - (semplicemente) Dì qui.

Lea                                - (con emozione contenuta) Dovevi tornare. Era scritto. (Lea bacia rapidamente la mano di Chéri, poi si alza e suona il campanello).

Chéri                      - Suoni?

Lea                         - Sì, Rosa non deve essere ancora andata a letto. (Rosa appare. Lea le indica col gesto, senza parlare, Chéri abbandonato sulla chaise-longue. Rosa risponde con un gesto discreto che significa: «Vedo, vedo »).

Chéri                             - ...'sera Rosa.

Rosa                              - Buona sera, signore.

Lea                         - Rosa, domattina ci dovrai portare...

Rosa                       - Tartine calde con la prima colazione.

Chéri                      - Ma guarda che indovina!

Lea                                - E poi, Rosa, credo che domani saremo costrette...

Rosa                              - ... a sistemare il salottino cinese a spoglia­toio per il signor Chéri.

Chéri                             - (ridendo) Infallibile veggente. (Rosa fa per uscire. Chéri fermandola) Un momento... (Indi­cando la valigia) Che cos'è quello? Rosa    - (scambiando un'occhiata con Lea) E' una valigia.

Chéri                      - (vivamente) Partivi? O sei arrivata?

Lea                         - (dopo aver esitato un attimo) Facevamo un po' di ordine con Rosa... Rosa, puoi portare via quella valigia... (Rosa esce con la valigia. Lea stringe a sé Chéri bruscamente, senza parlare).

Chéri                             - (molto stanco e carezzevole) Andiamo, Nounou... Sono morto di stanchezza... se sapessi... Sono stanco. (Il telefono squilla bruscamente. Chéri balza in piedi e istintivamente si scosta dall'orecchio).

Lea                                - Che ti prende? (Stacca il ricevitore).

Chéri                      - (piano) Ma che fai?

Lea                                - (tranquillamente) Rispondo. (Al telefono) Pronto? Sì, 6-39... Pronto? No, no... il signor chi? No, è uno sbaglio. Qui è la casa della signora De Lorval... Ma no, vi ho detto che è un errore... (Mezzo ridendo) No, non c'è nessun signore qui... Prego, non c'è di che. (Riattacca e si volta verso Chéri con una calma un po' troppo visibile).

Chéri                             - (piano) Era?...

Lea                                - Uno sbaglio. Non hai sentito? (Va a una porta e spinge un commutatore).

Chéri                             - (piano, come timoroso) Che fai?

Lea                                - (con gaia impazienza) Ho staccato il tele­fono, come tutte le sere. Ecco. E ora... (Si volta e vede che Chéri non si è mosso e guarda cupa­mente il telefono. Va in fondo e gira un commu­tatore che spegne quasi tutti ì lumi del salottino. Voltandosi) Dormi, Chéri, che fai? Dormi?

Chéri                             - (ha un soprassalto) No... ho freddo... (Rabbrividisce. Lea lo osserva un momento, rimane in fondo alla scena, con aria di dubbio e di circo­spezione. Poi si decide, gli si avvicina, lo circonda con le braccia. Lungo bacio. Quasi gemendo) Nou­nou cara... tienimi... tienimi con te... Nounou mia, ho freddo, mi sento così infelice... Nounou...

Lea                                - (a mezza voce, carezzevole, imperiosa) Via, Chéri... Adesso passa. Resta con la tua Nounou... Resta, angelo mio... bambino cattivo, resta... resta... (Si curva su di lui. Il velario si chiude lentamente, i due si parlano in un doppio mormorio di parole carezzevoli).

QUADRO SECONDO

La stessa scena. Poco prima dell'alba. Le lampade sono rimaste accese.

 (Al levar del sipario la scena è vuota. Breve silenzio. Un colpo del grosso campanello dal cortile. Silen­zio. Secondo colpo. Silenzio. Trillo del campanello esterno. Silenzio. Il cameriere attraversa in fretta il salottino, infilandosi la giubba. E' senza colletto e cravatta: si è vestito in fretta. Dopo di lui entra Rosa, senza grembiule né cuffietta; semiapre una porta; ascolta un mormorio di voci soffocate. Da quella stessa porta rientra il cameriere. Rosa rientra con lui e richiude. Il cameriere parla sottovoce con Rosa, la quale non risponde ma guarda verso la porta della camera di Lea. Esita, poi sì dirige senza parlare a quella porta. Ma prima che vi sia giunta, Lea ne esce senza rumore e richiude con cura; indossa una vestaglia scendiletto elegantissima. Si ficca nei capelli un pettine di tartaruga per rial­zarli. Battuta d'arresto davanti a Rosa: muta inter­rogazione: «Che cos'è». La cameriera sta per ri­spondere).

Lea                                - (le impone il silenzio col gesto; sottovoce, im­periosa) Zitta! Sta dormendo. (Si assicura che la porta della camera sia ben chiusa, poi ripete la muta domanda: «Che c'è?»).

Rosa                              - (piano) E'... la signora Peloux. Vuoi par­lare subito con la signora.

Lea                         - La signora Peloux madre?

Rosa                       - No. La signora del signor Chéri.

Lea                                - (non da a veder sorpresa, ma un grande im­barazzo. Si stringe nelle spalle come a dire: « Che fare? »; poi vilmente a Rosa) Mandala via. Non si è più tranquilli in casa propria. Dille... insom­ma, trova modo di mandarla via. (Rosa la guarda) Eh?

Rosa                       - Proverò, signora, ma ho paura che... La signora dice che vuoi parlare subito con lei, signora.

Lea                         - Com'è?

Rosa                       - E' vestita di grigio.

Lea                                - Ma no. Voglio sapere com'è... in collera? Piange?

Rosa                              - No. E' molto calma.

Lea                                - Ah! questo mi piace meno. (Guarda la porta chiusa della camera. Occhiata alla propria veste che è di un lusso assai intimo e voluttuoso. Qualche tocco nervoso ai capelli, poi si decide con un gesto) Falla entrare... Che dobbiamo fare... (Rosa si avvia. Lea si precipita, con un gesto spazza dalla spalliera del divano il soprabito e il cappello dì Chéri) Accidenti, se avesse visto... Va', falla entrare. (Rosa esce. Attesa brevissima durante la quale Lea, perfettamente immobile, tende l'orec­chio. Rosa apre la porta e fa passare Edmea. Questa entra, ma non avanza verso Lea. Lea na­sconde il proprio imbarazzo. Gentile, ma in tono altezzoso) Signora... Posso sapere a che devo il piacere di una vostra visita a quest'ora? Ne sono stupita...

Edmea                           - (voce strozzata, ma non cerca le parole) A quest'ora o un'altra, sareste altrettanto stupita, signora. Non abbiamo l'abitudine di scambiarci delle visite.

Lea                         - Infatti.

Edmea                    - Vengo a causa di Fred, signora.

Lea                         - Fred? Ah sì, scusate...

Edmea                           - (c. s.) Fred. Si chiama così, signora.

Lea                         - (nervosa) Sentite, se è per dirmi questo che venite in casa mia alle... alle... non so nem­meno che ora è... è una cosa... una cosa... non so come dire... è...

Edmea                           - Sì, signora, sì: è inconcepibile, è scon­veniente. Lo capisco benissimo. Ma se vengo a quest'ora, potete immaginare che deve trattarsi di una faccenda ben grave. Non avete niente da temere...

Lea                                - (grida) Non vedo perché dovrei temere qualcosa da. voi, signora... Una cosa grave, dite? Allora sedete, signora; vi ascolto.

Edmea                    - (siede, senza alzare la voce) Vengo a causa di Fred, signora. Se n'è andato.

Lea                                - Ah sì? E' partito?

Edmea                    - No... Se n'è andato, voglio dire, mi ha lasciata.

Lea                                - (impassibile, dopo una pausa) E allora?

Edmea                           - (guardandola ansiosa) Allora? Credevo che avreste capito... Ero venuta a chiedervi se era qui.

Lea                         - (con un leggero sussulto) Qui? Qui da me, no, signora.

Edmea                           - (con semplicità, ansiosa) No? Proprio no?

Lea                         - (rigida) Vi ho detto di no, signora.

Edmea                    - (con gesto come per fermarla) Oh, si­gnora, non insisto, vi credo, vi credo... (Fra se, con cupa incertezza) Se è vero, dov'è? (Rialzando la testa, a Lea) Dove può essere, se non è qui? Ditemi, signora. Non avete un'idea, voi?

Lea                                - (come indignata) Io? Usate delle espres­sioni davvero...

Edmea                           - Non so più cosa dire... sono talmente... stupita... ero convinta che lo avrei trovato qui...

Lea                                - (ironica) Si direbbe quasi che siate delusa.

Edmea                           - (senza irritazione) E' giusto che non abbiate riguardi per me. Il passo che ho fatto è talmente ridicolo...

Lea                                - Scusatemi, ma da quanto tempo lo cercate?

Edmea                           - (puerile) Siamo arrivati oggi. Io sono salita nella nostra camera. Quando sono ridiscesa, non c'era più. E non è tornato a pranzo.

Lea                         - (falsamente buona) Dio mio! Ma non c'è da preoccuparsi.

Edmea                           - Sì. Vi assicuro di sì. Ho aspettato finché ho potuto. Ho telefonato a Desmond... e poi sono venuta qui...

Lea                                - Perché?

Edmea                           - (turbandosi) Ma... perché so... come lo sanno tutti... quello che eravate per Fred. So quale attaccamento...

Lea                                - (volutamente volgare) Dite un po'... avete qualcosa da dire sul mio «attaccamento»?

Edmea                           - (sgomenta) No, no, signora... intendevo parlare dell'attaccamento che Fred aveva per voi, da tanto tempo... così giustificato... e così pro­fondo... So benissimo che ho avuto Fred solo per­ché voi avete acconsentito a lasciarmelo... perciò venivo... venivo a richiedervelo. Non ho pensato neanche un momento che potesse essere altrove che qui. La mia rivale, signora, siete voi. D'altronde, visto che Fred non è in casa vostra... (Im­provvisamente puerile e desolata) Non è da voi! Che posso fare? Che debbo fare?

Lea                                - (crudele) Però non ve lo siete chiesto tre mesi fa, che cosa dovevate fare, eh? Volevate Chéri. Beh, lo avete avuto. Io non ve l'ho disputato, ma che pretendete adesso, che vi aiuti a farvelo ria­vere? Esagerate, bambina mia. Io non sono né un angelo né una suora di carità. Imparate il vostro mestiere di donna... il nostro mestiere di donne..,

Edmea                    - Io che avevo tanta paura per lui di questa casa... come vorrei, adesso, che fosse qui! (Piange).

Lea                         - Non è mai stata una disgrazia, per lui, essere in questa casa. Del resto ha avuto il tempo, in quattro anni, di rendersi conto se ci si trovava bene.

Edmea                           - (scoraggiata) Quattro anni,

Lea                                - Non dico che siano state sempre rose...

Edmea                    - (umile) E' tanto terribile, lui?

Lea                         - Mah... sì e no. Non più di tanti altri, e non meno. Non esistono uomini che si possono tenere facilmente. Forse cominciate ad accorgervene, no?

Edmea                    - Siete dura, signora.

Lea                                - Mi trovate dura perché non posso far nulla per voi.

Edmea                           - (si alza) Addio, signora (Fa qualche passo rapido).

Lea                                - (vivamente) Dove andate, figliuola mia? Non vorrete fare qualche sciocchezza?

Edmea                    - (rigida) Non sono « vostra figliuola», e non farò sciocchezze. Vado a cercarlo.

Lea                         - A cercarlo, dove? (Edmea fa un gesto di ignoranza e di smarrimento) Permettetemi di dirvi che non credo sia una buona tattica.

Edmea                    - (ricalcitrando) Che ne sapete, voi?

Lea                         - (perfida) Forse un po' più di voi.

Edmea                    - Oh, di questo non ne dubito.

Lea                                - Credetemi, signora, è meglio che non con­tinuiamo, ve lo assicuro. Mi costringereste a dirvi che si sta facendo giorno e che l'oggetto della vostra inquietudine mi sembra, adesso, un po'... meschino.

Edmea                    - Vi proibisco... vi proibisco di parlare di lui in questo tono... In tutti i casi, non è più vostro... E vi proibisco... (Si interrompe brusca­mente fissando lo sguardo dietro a Lea. La porta della camera si è aperta e Chéri è apparso in pi­giama, coi capelli scomposti. Lea si volta e lo vede, Edmea indietreggia, perché Chéri si avanza verso dì lei).

Chéri                      - (come a se stesso) Che cosa fai qui?  (Silenzio. Fa un passo verso Edmea) Che c'è? (An­cora silenzio) Eh? (A Leo.) Che è venuta a fare?

Lea                                - Mah! Uno scandalo probabilmente.

Chéri                      - E' un pezzo che è qui?

Lea                                - Ma sì. Parecchio, mi pare. (Ha detto que­sto alzando le spalle. Edmea continua a guardarli, con gli occhi sbarrati. Si vede che il loro abbiglia­mento notturno, le loro parole, la loro intimità le fanno paura e orrore).

Chéri                             - (a Edmea, avanzandosi) Che fai in quell'angolo? (Si avvicina).

Edmea                           - (si rincantuccia maggiormente e dice piano, molto in fretta) Non mi toccare!

Chéri                             - (con dolcezza) Non ti tocco. Hai paura? (Edmea non risponde) Non bisogna aver paura, piccola. Bisogna soltanto andar via. Non bisogna restar qui. Ma perché hai quell'aria Impaurita? (A Lea) Sei tu che l'hai spaventata così? (A Edmea) Dunque, sapevi che ero qui? Che volevi? Farmi del male? (Edmea fa cenno di no) Eri venuta a cercarmi?

Lea                                - (impazientita, imperiosa) Finiscila! Non vorrai trattenerla qui, adesso! Lasciala andare!

Chéri                             - (con tono stranamente autoritario a Lea) E' cosa che riguarda me, mi pare... (A Edmea, facendo un passo verso di lei) Che ora è? Non hai la macchina?

Edmea                           - (macchinalmente, docile) Ho un taxi.

Chéri                      - Bene. Ti hanno vista uscire?

Lea                                - (aggressiva) Visto quanto le piace stare qui, perché non la lasci andare?

Edmea                           - (docile) Fred, ho detto a Maria che ti eri sentito poco bene a casa del signor Desmond e che il signor Desmond ha telefonato.

Chéri                             - (approvando col capo) . Bene. (Edmea si morde le labbra e volge la testa altrove per non piangere davanti a Lea) Ora vattene a casa, pic­cola; torna tranquillamente a casa e aspettami.

Edmea                           - Sì. (Chinando il capo) Ancora aspet­tare... aspettare che cosa?

Chéri                             - (con fermezza) Quello che deciderò, piccola. (Edmea obbedisce. Chéri, richiude la porta cui ella esce e rimane in ascolto per sentirla andar via. Rumore di una porta lontana e poi di un'altra che si chiudono. Chéri va a sollevare l'an­golo di una tendina della finestra).

Lea                                - (dopo un silenzio) Uff! Che bella secca­tura! Piccolino mio, avrei proprio voluto rispar­miartela, la colpa è un po' mia. Non ho osato non riceverla, ho avuto paura di un grazioso scandaluccio sotto le nostre finestre. (Chéri non risponde) Ma debbo farti i miei rallegramenti, mi hai dav­vero stupita. La fai girare, rigirare, come vuoi. (Fischio ammirativo) Confesso che non ti ci ve­devo in una parte simile... tu che tante volte sembri un bambino...

Chéri                             - (con una certa indulgenza malinconica) Con te, Nounou, credo di correre il rischio di essere un bambino ancora per mezzo secolo.

Lea                                - (si sforza di non perdere la padronanza di sé e tenta di scherzare) Ma è questo il tuo fascino, mostro. E poco fa, quando parlavi a quella piccola, c'è stato un momento... ho creduto di sentire... ma sì, parlavi proprio come me. Si vede che ho fatto scuola!

Chéri                             - (serio, guardandola) Ti stupisce? (Lea non risponde subito) E' naturalissimo, Nounou.

Lea                                - (leggera, con sforzo) Sembrerà naturale a lei, ma capisci che a me... sì, mi fa scrollare le spalle... perché quando ci si sente maturi per il dispotismo, mio caro, non è a casa mia che biso­gna venire. Qui solo io dico «voglio». Se ti ho insegnato a camminare da solo e anche a far mar­ciare gli altri, posso sentirmi lusingata. Però non vedo a questo punto che cosa tu possa venire più a cercare in casa mia.

Chéri                             - (semplicemente) Cerco aiuto, Nounou.

Lea                         - (ridacchiando con tristezza) Lo chiami aiuto, questo?

Chéri                      - Non cerco le parole, dico quelle che mi vengono.

Lea                                - (amara) Ora le trovi, però, le parole. Ieri sera parlavi meno... Ora parli... parli... come uno a cui è stato dato l'aiuto.

Chéri                             - (semplice) Fai torto a te stessa, Nounou. Credi che si possa staccare in un'ora un « bambino cattivo » da colei che lo ha allevato? No, no. Io l'ho creduto, perché sono un idiota.

Lea                                - (piangendo a un tratto) Perfido, perfido sei... (Sì asciuga rapidamente gli occhi. Con voce più bassa e febbrilmente) Senti... non parliamo tanto. Ci si ferisce, con tante parole. Lo sai che avrei fatto tutto quello che avresti voluto... (Gli prende le mani) E farò ancora quello che vorrai... Dillo... dove vuoi... come vuoi... nel paese che sceglierai.

Chéri                             - (baciando dolcemente le inani che tengono le sue) La mia Nounou...

Lea                         - Sì, la tua Nounou...

Chéri                      - La mia povera Nounou...

Lea                                - (vergognosa, ferita dal tono compassionevole., strappandogli con violenza le -mani) Lasciami! Credi che abbia bisogno della tua pietà? « Povera Nounou!». Sono forse venuta a cercarti? Ah, va là che ti capisco bene. I viaggi ti piacciono corti, vero? Questa notte, da Neuilly a qui, la prossima da qui a Neuilly. (Perdendo la calma) Ma sai, piccolo mio, quando si sposa la figlia di Maria Luisa, la più elementare prudenza consiglia di... Ah! Come riderò il giorno in cui tua moglie...

Chéri                             - (minaccioso) Nounou.

Lea                                - (ha perso completamente il sangue freddo) Cosa, Nounou? Cosa, Nounou? Credi di farmi paura?

Chéri                             - (afferrandole un braccio) Ti proibisco... Nounou...

Lea                                - (si svincola, violentissima) Mi proibisci? Mi proibisci!

Chéri                             - (con una certa violenza grave) Sì. Ti proibisco, capisci? Ti proibisco di sciuparmi la mia Nounou.

Lea                                - Che cosa? Che stai dicendo?

Chéri                      - Sì. Non è questo il modo di parlare, per Nounou. Piccole ingiurie volgari, nella tua bocca, la tua bocca, Nounou... (Orgogliosamente, impedendole di parlare) Lo so io, come devi par­lare. Non ho dimenticato quello che mi dicevi poco prima che io sposassi la piccola... Che cosa dicevi? (Insistendo perche, risponda) Dillo! Dillo ancora!

Lea                         - (indebolita, piangendo) Ti dissi di non essere cattivo... di non farla soffrire...

Chéri                             - (con tenero orgoglio) Ecco. Questa è la mia Nounou. Questa sei tu. E ancora poco fa, le tue prime parole non sono state per chiedermi se non avevo fatto troppo male laggiù? (Con ri­spetto) Nounou, va. E' talmente degno del tuo gran cuore essere compassionevole verso... la più debole... la più...

Lea                                - La più felice, quella che ora vai a rag­giungere... (Ripresa dalla disperazione) Ma perche sei tornato? (In lacrime) II tuo viso, la tua voce... E se almeno non ci fosse stata questa notte, questa notte...

Chéri                      - E' tanto grave, Nounou, che io sia ricaduto sulla tua spalla, nel posto tiepido che tu formi, il posto tiepido dove si dimentica tutto? E' tanto più grave che se fossimo rimasti seduti uno accanto all'altra? Io non credo.

Lea                                - (triste) Parli... come si parla all'età in cui l'amore è una cosa che può essere rimpiazzata... non puoi capire... (Volge altrove la testa) Ah! Come vorrei... che tu non fossi rimasto stanotte.

Chéri                             - Nounou, sono venuto perche avevo bi­sogno di vederti...

Lea                                - Avevi bisogno... tu... Pensi sempre a te stesso, vero?

Chéri                             - Sì, sì, sempre a me, soltanto a me. Qui, in questa stanza sono ubriaco di me, della feli­cità che mi hai data... soltanto, ecco, quella povera piccola che hai vista, dipende da me...

Lea                                - Sì, lo so, ti appartiene... E' bello, vero? E' una cosa che ti rende orgoglioso?

Chéri                             - E' un pensiero, una preoccupazione. Capisci, non ho l'abitudine di dirle che l'amo. Ho paura di mentire.

Lea                                - Sì, sì, capisco... Ho provato anch'io tutto questo. Adesso tocca a te. Beh, ora vattene, pic­colo mio, vattene... (Cambia tono con sforzo) Tro­verai facilmente un mezzo per tornare a casa: dev'essere giorno chiaro.

Chéri                             - (débolmente) Credi, Nounou? (Va alla finestra, tira le tendine e apre la porta-finestra che da sul balcone. Una splendida mattina di prima­vera illumina la scena. Ciclo rosa e oro, castagni in fiore, glicine a grappoli che circondano il bal­cone. Involontariamente Chéri si stira e tende le braccia verso la luce che gli indora il capo e il torso).

Lea                                - (colpita dalla gran luce, ha indietreggiato fino alla porta della sua camera. Ammira dolorosamente Chéri e mormora) Dio mio, Dio mio... (Poi) Vattene presto... Non rientrare in camera... (Chéri cerca goffamente di vestirsi. Lea febbrilmente, co­me se qualcosa le bruciasse) No... no... Il soprabito è dietro il canapè... là per terra... (Chéri sembra aspettare che lei lo aiuti. Ma Lea non gli si riav­vicina) Là, ti ho detto... fai presto, sbrigati... (Chéri obbedisce goffamente, esce quasi camminando all'indietro. Quando è scomparso, Lea si slancia come una pazza alla finestra. Si china per vederlo andar via, alza le braccia, esclama con una speranza in­sensata) Risale! Ecco, risale! Ri... (La voce le vien meno, lascia ricadere pesantemente le braccia, con voce incolore) No, no, non risale... (Distogliendosi dalla finestra, si trova di fronte la. propria imma­gine nello specchio. Balbetta, con voce soffocata) Chi è... chi è quella donna... quella vecchia pazza... (Si passa le mani sul viso come per cancellare i lineamenti, lascia ricadere le braccia, rimane im­mobile.

FINE