Chi comanda non va mai in guerra

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Chi comanda non va mai in guerra

di Vincenzo Rosario Perrella Esposito

                                                                                                                       (detto Ezio)

22/09/2009

Personaggi:   11

Germano Partenopeo droghiere

Franca Partenopeo moglie Germano

Renato Partenopeo figlio dei due, contrabbandiere

Emilio Partenopeo figlio dei due, contrabbandiere

Antonella Scarda doppiogiochista

Ivo Itedeschi podestà della cittadina

Ludovica Itedeschi moglie di Ivo

Fausto Infausto ristoratore

Vittoria Della Guerra nobildonna poco nobile

Hans Übel  comandante nazista

Jack Pot spia americana

Comparse: 2 soldati nazisti.  

Napoli, seconda guerra mondiale, poche ore prima delle “quattro giornate di Napoli”, famose per la rivolta del popolo, stufo della presenza arrogante dei nazisti. I due fratelli Renato ed Emilio Partenopeo fanno parte proprio di quello stuolo di persone che si impegneranno nel mandare via l’invasore teutonico. Ma presi da smanie di eroismo, vorranno agire da soli. Hanno in mente di opporsi al severo comandante nazista Hans Übel. I due cercheranno di approvvigionarsi di armi e munizioni al mercato nero. Si imbattono nel ristoratore Fausto Infausto, pensando che egli fosse proprio un mercante d’armi. Tra equivoci e situazioni buffe varie, la guerra dei Prtenopeo finisce. E pure quella dell’Italia. Ma per i due fratelli, il dopoguerra è troppo tranquillo. Infatti cerchernano altre avventure. 

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

            26 settembre 1943: Spaccanapoli, Via San Biagio dei Librai. Siamo in strada. Al centro c’è l’ingresso di un palazzo. Ai suoi lati, altri due palazzi e i relativi ingressi. Sempre al centro, alla sinistra dell’ingresso del palazzo, c’è un negozio di drogheria. All’esterno del palazzo di sinistra, vi sono anche due sedie ed un tavolino. Tra i  palazzi di destra e sinistra e quello centrale, ci sono due corridoio che conducono in altre strade.

ATTO PRIMO

1. [Germano Partenopeo e Franca Partenopeo. Poi Renato Partenopeo]

                   Si sentono le sirene di cessato allarme bombardamenti. Al termine, dal

                   corridoio di destra, si notano Germano e Franca. Si sgranchiscono.

Germano: Menu male, è fernuto ‘n’atu bombardamento.

Franca:     Germà, nun ce ‘a faccio cchiù a correre ‘int’a chillu rifugio. E’ troppo umido.

Germano: Franca, e tu pienze all’umidità? Ma allora so’ meglio ‘e bombe?

Franca:     No, pe’ carità. Però nun è che se putéssene evità ‘e bbombe e pure l’umidità?

Germano: E allora nun ce stesse ‘a guerra. Ma nun abbastava chella d’’o quinnice-diciotto?

Franca:     Vabbuò, ormai ce sta.  

Germano: A proposito, ma oggie che gghiurno è?

Franca:     Mi pare 26 settembre 1943. Perché?

Germano: No, niente d’importante: è ‘o compleanno tuojo!

Franca:     Allora, tanti auguri a me!

Germano: A proposito, ma Renato e Emilio?

Franca:     Stanne durmenno ‘int’’o ricovero. Non me la sono sentita di svegliarli.

Germano: Ma che figli scieme amme fatte! Invece ‘e cumbattere pe’ caccià ‘e nazisti…!

Franca:     E nun sultanto. Almeno ce putéssene da’ ‘na mano ‘int’’a putéca. E invece no.

Germano: Ah, già, ‘a puteca. (Guarda dietro sé, verso sinistra) Ma… è rimasta aperta?

Franca:     Sì. Pecché? Nun l’’iva chiusa tu?

Germano: No, io me penzavo che ll’iva chiusa tu.

Franca:     E io me penzavo che ll’eva chiusa Renato. Oppure Emilio.

Germano: E te pareva. Mò vide pure che ce so’ trasute ‘e marjuole e m’hanne arrubbato! Io

                   vaco a vedé, Franca. (Si avvia a sinistra) Mannaggia ‘e figli mie. Io ‘e sparo!

                  Entra nella propria bottega.  

Franca:     Povera casa mia. Io tengo solo quella. Speriamo che si è salvata dalle bombe.  

                  Dal corridoio di destra arriva Renato che si sgranchisce.

Renato:    (Sbadigliando) Uahm… mammà, me so’ scetato! (Le va vicino)

Franca:    Ah, finalmente. E Emilio?

Renato:    Chi è Emilio?

Franca:    (Si arrabbia) Fràteto!

Renato:    Ah, già, mio fratello! No, niente, sta durmenno ‘int’’o ricovero.

Franca:    Ancora? E se capisce, ha cunusciuto a chella bella guagliona. Anzi, si è

                  addormentato sul suo popò destro! A proposito, ma chi è chella?

Renato:    ‘O cuscino suojo! (Riflette, poi…) No, cioè, è ‘na femmena!

Franca:    Renà, aggio capito ch’è ‘na femmena. Ma chi è?

Renato:    E che ne saccio? Se chiamma Antonella Scarda.  

Franca:    A proposito, stanotte tu e fràteto avite lasciato ‘a puteca aperta.

Renato:      Ma nun l’’eva chiusa papà?

Franca:      No.

Renato:      E allora tuccava a te.

Franca:      No, no.

Renato:      E allora tuccava a Emilio.

Franca:      No, no, no.

Renato:      Aggio capito, tuccava a me.

Franca:      Appunto.

Renato:      Aggia ì a vedé?

Franca:      No, mò c’è gghiuto pateto. Tu è meglio che viene cu’ me ‘a casa nosta.

Renato:      E speramme ch’Emilio nun s’è scurdato ‘e chiudere pure ‘a porta d’’a casa!

Franca:      Pure? T’hanna accidere! A te e a isso. Viene cu’ me, cretino! Passa annanzo.

                    Renato le passa avanti (verso destra) e Franca gli ammolla uno scalpellotto.

Renato:      Ahia, mammà! Nun abbasta ‘na nuttata ‘int’’o ricovero, nun ce abbastene ‘e

                    bbombe… mò te ce miette pure tu! ‘E chi schifo ‘e vita, è chesta!

                    Entrano nel palazzo a destra.

2. [Emilio Partenopeo e Antonella Scarda. Poi Ivo Idedeschi e Ludovica Itedeschi]

                   Dal corridoio di destra arrivano Emilio (che si sgranchisce) ed Antonella.

Emilio:      Chillu ricovero nun è pe’ niente accogliente. Però ho dormito bene grazie a te!

Antonella: E si capisce, hai dormito con la testa sul mio sedere!

Emilio:      Ed è per questo che ti nomino mio cuscino ufficiale!

Antonella: A proposito, ma tu abiti da queste parti?

Emilio:      Sì, in quel palazzo. (Lo indica a destra) E tu, invece?

Antonella: Io abito a due isolati da qui, però sono nata al Vomero.

Emilio:      E come mai te ne sei venuta di casa qua?

Antonella: Eh, beh.

Emilio:      Ho capito: sposata.

Antonella: No.

Emilio:      Fidanzata.

Antonella: Nemmeno.

Emilio:      Divorziata.

Antonella: Macché?

Emilio:      Vedova!

Antonella: Per carità! E’ solo che i miei genitori hanno deciso di trasferirsi da queste parti.

Emilio:      E allora me li devi far conoscere, così già so a chi devo chiedere la tua mano!

Antonella: Non esagerare, adesso. Solo perché hai dormito una notte sul mio sedere…!

Emilio:      Vorrà dire che io dormirò sul tuo sedere e tu dormirai sul mio. Teniamo due

                   sederi matrimoniali!

Antonella: Bene, allora io vado. Ci vediamo stanotte.

Emilio:      Non vedo l’ora! Ciao, bella. (Poi le guarda il sedere) Ciao, cuscino! A stanotte!

                   E se ne va a destra, con camminata da playboy. Antonella allora se la ride.

Antonella: Ma che tipo assurdo!

                   Esce via al corridoio di destra. Da quello di sinistra arrivano il podestà Ivo

                   Itedeschi e Ludovica sua moglie.

Ivo:            Vieni, vieni, Ludovica. 

Ludovica: (Si guarda intorno) Beh, Ivo, apparentemente questo posto non è stato

                   danneggiato dal bombardamento. Possiamo andare.

Ivo:            Aspetta, ma che hai fretta?

Ludovica: Sì. Dopo una nottata di rifugio, ho voglia di tornare a casa. Tu no?

Ivo:           Anch’io. Ma si dia il caso che io sono il podestà di questa zona e devo informare

                  il comune se ci sono vittime o danni alle cose.

Ludovica: Ma se ci trovano i tedeschi, si arrabbiano di brutto. C’è il coprifuoco.

Ivo:           Ma il coprifuoco scatta alle 8 di sera.  

Ludovica: E se poi bombardano di nuovo?

Ivo:           Ma se hanno finito di bombardare da poco. Perciò, stiamo tranquilli.

                  Si sente un forte rumore da destra, così Ivo abbraccia Ludovica, spaventato. 

                  Le bombeeee! 

Ludovica: Oh, e calmati! (Lo distanzia)

Ivo:           Hai sentito quel rumore?

Ludovica: Veniva da quel palazzo. Vai a vedere un po’.

Ivo:           Io solo? E tu?

Ludovica: Io sono spaventata a morte.

Ivo:           E pure io. Però come si dice: “L’unione fa la forza”.

Ludovica: E andiamo.

                   I due si avviano verso l’ingresso del palazzo, indecisi.

Ivo:           Ludovica, non ti sei portata qualche arma appresso?

Ludovica: Qualche arma? No! Va bene, ma tanto, cosa può capitarci?

                  Esce Emilio con una pantofola di sua madre in mano. I tre si spaventano. 

Emilio:     Mamma ‘e ll’Arco!

Ivo:           Chi-chi-chi sei? Un ladro? 

Emilio:     (Si calma) Ma che ladro? Io mi chiamo Emilio Partenopeo. Abito qua dentro.

Ludovica: E quella pantofola?

Emilio:     E’ di mia madre.

Ludovica: E’ morta?

Emilio:     No, me l’ha menata appriesso!

Ludovica: E perché?

Emilio:     E pecché stanotte m’aggio scurdato ‘a porta d’’a casa aperta! E non soltanto!

Ivo:           Perché, che altro ti sei scordato?

Emilio:     ‘A serranda d’’a puteca ‘e papà aperta.

Ludovica: Ed hanno rubato qualcosa?

Emilio:     Scusate, ma a vuje che ve ne ‘mporta? Chi site, tutt’e dduje?

Ivo:           Io sono il podestà di questa zona. Mi chiamo Ivo, mentre lei è Ludovica. Siamo i

                  coniugi Itedeschi.

Emilio:     Come?

Ivo:           (Alza la voce) Itedeschi!

Emilio:     (Spaventato) I tedeschi? Fujìmme!

                  Emilio fugge nella bottega di suo padre, mentre Ivo e Ludovica corrono nel

                  corridoio a sinistra e spariscono.          

3. [Franca e Renato. Poi Germano ed Emilio]

                  Dal palazzo di destra escono Franca e Renato.

Franca:     Chillu disgraziato ‘e Emilio. L’aggio menato ‘nu scarpone appriesso. ‘A

                  prossima vota l’aggia menà ‘nu zuoccolo ‘ncapa!

Renato:     Vabbuò, mammà, nun esaggerà, mò.

Franca:     Cretino! Si lascia la porta aperta e si esce?

Renato:     Capita. Quanno ‘a sirena sona, nun se capisce cchiù niente.

Franca:     Sì, ma fino a quando non arrivano gli aerei, non ci sta niente da aver paura.

Renato:     E secondo te, ll’aerei aspettano primma che nuje chiudìmme ‘e pporte e ppo’

                   vòttene ‘e bbombe? 

Franca:     No, imbecille! ‘A sirena nun se mette a sunà quanno arrìvene ll’aerei.

                   Accummencia a sunà mez’ora primma.

Renato:     Ma che mez’ora? E sì, mò chillo che porta ll’aereo fa’ ‘na telefonata: “Pronto, ‘a

                  famiglia Partenopeo è già scesa d’’a casa? Sì? E allora mò putìmme bombardà!”.

Franca:     Idiota! Ave raggione tuo padre: tenìmme duje figli, uno cchiù scemo ‘e ‘n’ato!

                  Dalla bottega escono Germano ed Emilio. Il primo è arrabbiato col secondo.

Germano: Idiota! Io ‘o ddico sempe: tenìmme duje figli, uno cchiù scemo ‘e ‘n’ato!

Renato:     (Li indica alla madre) Mammà, tu e papà tenìte ‘a telepatia: dicìte ‘e stesse cose!

Franca:     E nun è ‘a telepatia!

Germano: (Nota Renato e Franca) Ah, vuje state lloco? (Va da loro) Franca, ch’è

                   succieso ‘int’’a casa nosta?

Franca:     No, niente. Ci sta una bomba inesplosa sul nostro letto.

Emilio:      (Si avvicina, dispiaciuto) Mannaggia, è colpa mia: ho lasciato la porta aperta e

                   quella è entrata!

Franca:     Chi è entrato?

Emilio:      La bomba!

Germano: (Gli sputa in un occhio) Puh! Io me penzavo chi era trasuto!

Franca:     Ma nun è trasuto proprio niente!

Emilio:      (Asciugandosi l’occhio) A te no, ma a me sì: ‘int’a ‘n’uocchio!

Franca:     Stupido! Io sto dicendo che non è entrato nessuno a rubare. Però c’era qualcuno.

Germano: Chi? ‘Nu tedesco?

Franca:     No, ‘nu topo!

Germano: Mò aggio capito pecché ‘e figli nuoste so’ scieme! Hanne pigliato ‘e te!

Franca:     E ‘int’’a puteca, invece, ch’è succieso?

Germano: Niente, tutto a posto. Sulo cocche scarrafone. Ma dich’io, a tutt’e dduje: perché

                  non ci lavorate voi nella mia bottega? 

Renato:     No, per carità.

Germano: E pecché?

Emilio:      E perché quella è una drogheria.

Germano: E allora?

Renato:     Noi non ci vogliamo avere niente a che fare con la droga!

Germano: Franca, spuòstete ‘nu poco. (La fa scansare e sputa in un occhio a Renato) Puh!

Renato:     (Asciugandosi l’occhio) Papà!

Franca:     Germà, è meglio che saglìmme ‘ncoppa addù nuje. Jamme a vedé chella bomba.

Germano: Ah, già. S’è addurmuta ‘ncoppa ‘o lietto mio! Ma comme se permette?

                   Si avvia nel palazzo. Franca lo osserva, perplessa.

Franca:     Po’ dice ca io so’ scema!

                   Entra via pure lei. Renato allora si siede al tavolino. Emilio lo osserva. I due

                   cambiano completamente espressione del viso.

Renato:     Emì, stanotte t’he’ scurdato ‘a porta d’’a casa e chella d’’a puteca aperta.

Emilio:      E se capisce, Renà. Dovevo portare le armi da casa nostra al retrobottega. Per

                   domani mattina è tutto pronto.

Renato:     Dove?

Emilio:      A Piazza Plebiscito, alle 7. Finalmente cacceremo a calci nel di dietro i nazisti! 

Renato:     Già. E finalmente ‘a putìmme fernì ‘e fa’ ‘e scieme! Per una vita intera, abbiamo

                   ingannato tutti quanti, perfino mammà e papà. Ma noi vogliamo essere due eroi!

Emilio:      (Va a sedersi anche lui al tavolino) Stanotte cerca di stare più attento di me.

Renato:     Ma certamente. Domani è il 27 settembre 1943. Una data da ricordare.

Emilio:      E anche oggi doveva esserlo: è il compleanno di mammà.

Renato:     Porca miseria! Tu le hai fatto gli auguri? Io no.

Emilio:      E nemmeno io. (Si alza e si porta al centro) Dopo le compreremo un fascio di

                   rose rosse al mercato nero. Del resto, siamo al verde! E abbiamo l’umore grigio!

Renato:     (Si alza in piedi e gli va vicino) Adesso, però, andiamo nella bottega, voglio  

                   vedere le armi. Che cos’hai trovato?

Emilio:      Pistole Beretta M34, granate Mills e mitra Variara.  

Renato:     Ua’, fraté, sì ‘nu genio! Jammele a vedé.

                   Entrano in bottega.

4. [Ludovica e Ivo Tedeschi. Poi Germano e Franca, Hans Übel e due soldati nazisti]

                  Dal corridoio di destra, riecco Ludovica ed Ivo. Quatti, quatti, vanno al centro.                  

Ludovica: Ma… Ivo… dove sono i tedeschi?

Ivo:           Non lo so. Li aveva visti quel tale Emilio Partenopeo. 

Ludovica: E perché siamo scappati via?   

Ivo:           Boh! Ma io non sono scappato. Cioè, sono scappato, perché siete scappati tu e

                  quel tizio. Cara mia, per fronteggiare i pericoli della guerra, ci vuole coraggio!

                  Dal palazzo di destra escono Franca e Germano che, uscendo, starnutisce.

Germano: Etciù!

                   Ivo e Ludovica si spaventano ancora e fuggono nel corridoio di destra, urlando.

Franca:     (Sorpresa) Néh, Germà, ma pecché chilli duje se ne so’ fujute?

Germano: E che ne saccio?

                   Ivo e Ludovica tornano, tenendosi per mano, additando i due.

Ivo:            Voi due… voi due… ci avete sparato!

Loredana: No, è stato lui, è stat lui.

Germano: Ma si io aggio fatto sulo ‘nu starnuto! (E prende un fazzoletto dalla tasca)

Ivo:            Non è vero, ci avete sparato!

Germano: Io? (E si soffia il naso)

Ivo:            Ecco, lo vedete?

Germano: Néh, ma io me stongo sciuscianno ‘o naso!

Franca:     Ma voi due non siete il podestà e la signora Ludovica?

Ludovica: Sì, siamo noi.

Ivo:           Itedeschi.

Germano: Eh?

Ivo:            (Alza la voce) Itedeschi.

Germano: (Spaventato) I tedeschi? Fujìmme!

                   Germano e Franca fuggono nel palazzo, Ivo e Ludovica fuggono nel corridoio a

                   destra. Poi però tornano pian piano al centro.

Ivo:            Se ne sono andati?

Germano: Chi?

Ivo:            I tedeschi.

Germano: Non lo so. Io non li ho visti. Li avete visti voi?

Ivo:            No.

Germano: E allora che dite a fare: “i tedeschi”?

Ludovica: Ma no, ha detto Itedeschi che è il nostro cognome. Noi siamo i coniugi Itedeschi.

Franca:     (Calmandosi) Germà, chillo è ‘o cugnomme. (Va a sedersi al tavolino)

Germano: Meglio accussì. (Si siede anche lui al tavolino) E allora, podestà e signora,

                   prego, accomodatevi con noi.

Ludovica: E dove ci accomodiamo?

Franca:     Ah, già. Un attimo. (Si alza in piedi) Vado nella bottega a prendere due sedie. 

                  Così fa. Mentre lei le porta al tavolino, Germano parla ai due.

Germano: Non ci fate caso se ci siamo spaventati, ma di questi tempi, capita.

Ivo:           Non vi preoccupate. E’ la guerra che ci rende tutti nervosi.

Franca:     Ma prego, prego, accomodatevi.

Ludovica: Grazie.

                  Anche gli altri tre si accomodano e si danno una calmata.

Ivo:           Allora, se ricordo bene, voi siete il signor Germano Partenopeo e lei è la signora

                  Franca. Un tempo io e mia moglie venivamo a spendere nella vostra bottega. 

Germano: E perché non ci siete venuti più?

Ludovica: E’ solo per il periodo della guerra. Poi, quando finirà…!

Ivo:           Già, quando finirà. E quando finirà?

Franca:     A chi lo dite? Noi ci siamo scocciati di scappare avanti e indietro casa-rifugio,

                   rifugio-casa, bottega-rifugio, rifugio-bottega!

Ludovica: Abitate in quel palazzo? (Indica a destra)

Germano: Sì, al primo piano. Mia moglie è molto legata a questa casa. Noi l’abbiamo  

                   comprata dopo la guerra del ’15-’18, che io sono scampato per miracolo. (Fiero)

                   Io ho avuto anche l’onore di salvare la vita a un nemico soldato tedesco.  

Franca:     Veramente è stato isso che t’ha salvato a te! E t’ha accumpagnato pure ‘a casa.

Germano: Sì, è vero che mi ha salvato lui, ma io l’ho aiutato a salvarmi!

Franca:     Vabbuò, dicìmme accussì! Non lo date retta, questo dice un sacco di scemenze!

Ludovica: E questo soldato che fine ha fatto?

Germano: Praticamente…

Ludovica: Non l’ho chiesto a voi. Vuje dicite ‘e scemenze! L’ho chiesto a vostra moglie.

Franca:     Lo abbiamo ospitato a casa nostra, per ringraziarlo di aver salvato a mio marito.

                  In Germania non teneva a nessuno, perché erano tutti morti per la guerra. Qua a

                  Napoli ha trovato pure un lavoro e si è iscritto all’università di lingua italiana.

Ludovica: E poi?

Franca:     Due mesi dopo la laurea, è sparito. Non sappiamo che fine ha fatto.

Ivo:            Ha forse rubato qualcosa?

Franca:     No, anzi, ci ha lasciato anche dei soldi.

Germano: Infatti. Però che peccato che se n’è andato. Non per i soldi, per carità!

Ludovica: Non per i soldi? E chi vi crede?!

Germano: (Guarda male sua moglie) Franca, me staje facenno fa’ ‘a figura d’’o buciardo!

Ivo:            E intanto, avete ospitato in casa vostra un nemico tedesco.

Ludovica: Ma non eravamo alleati coi tedeschi? Qua non si capisce più niente.

Ivo:            E chi lo sa? Nella prima guerra mondiale eravamo nemici dei tedeschi, poi ci

                   siamo alleati con loro a causa di Mussolini e adesso siamo un’altra volta nemici!

Germano: Posso dire una cosa, io?

Ivo:            No, vuje dicite ‘e scemenze!

Germano: Ma avrò anch’io il diritto di dire qualcosa.

Ivo:            Dite.

Germano: Io penso che quando uno ti salva la vita, non è un nemico, ma un grande amico.

                  (Fa mente locale) Ancora me lo ricordo, a lui. Si chiamava Hans Übel. Niente di

                  meno, quando lo salvai… (Guarda Franca e cambia versione) Aggio capito:

                  quando lui mi salvò, parlava poco l’italiano. Embé, dopo la laurea, quello

                  parlava meglio di me!

Franca:     E nun ce vo’ ‘a laurea pe’ parlà meglio ‘e te!

Ivo:           (Si alza in piedi e va verso il centro) In ogni caso, i tedeschi occupano la nostra

                  città… e nuje ce amma sta’ zitte. Speriamo che qualcuno venga a liberarci.

Germano: (Si alza e va da lui) Qualcuno? Ma perché, non possiamo liberarci da soli?

                  Franca e Ludovica si alzano subito in piedi e corrono a zittire Germano.

Le due:     Ssssst, zitto, zitto!

Ivo:           Ma siete pazzo, signor Germano? Insomma, voi ci volete far fucilare?

Ludovica: A noi? Caso mai, fucileranno solo lui. Noi diciamo che non lo conosciamo.

Germano: Ma io…

Ivo&Lud: Sssssst!

                   Ivo e Ludovica vanno via a sinistra, sempre zittendo Germano.

Franca:     Inzomma, tu nun te riesce a sta’ zitto ‘e nisciuna manera. Jamme, turnamme ‘a

                  casa e vedìmme ‘e levà chella bomba ‘a coppa ‘o lietto nuosto.

Germano: Io e te? Ma tu fusse scema? Noi ce lo dovevamo dire al podestà.

Franca:     Pe’ carità! Chillo nun ce faceva turnà cchiù ‘a casa nosta. Jamme, muvìmmece.

Germano: (Rassegnato) E ghiamme.

                  Vanno nel palazzo a destra. Dal corridoio di destra giungono tre soldati nazisti:

                   il comandante Hans Übel e due soldati, coi mitra puntati. Scrutano il luogo.  

Hans:        (Ai due) Warten hier!*                                                      *(trad. italiano: “Aspettate qui”)

                   I due soldati si fermano, mentre Hans dà uno sguardo nel palazzo di destra. Poi

                   fa altrettanto nel palazzo di sinistra. Quindi torna dai due.

                   Ho saputo che da queste parti ci sono armi nascoste. Dobbiamo trovarle. Venite

                   con me. Kommen sie mit!

                   I due seguono Hans nel palazzo di sinistra.

5. [Renato ed Emilio. Poi Antonella e Fausto Infausto]

                   Dalla bottega escono Renato ed Emilio, soddisfatti.       

Renato:     Quelle armi so’ troppo belle. Belle assaje! Amme fatto ‘nu grandu lavoro, fraté!

Emilio:      Dimane e matina amma fa’ zumpà ‘e ‘n’aria ‘e nazisti!

Renato:     Aspetta, non cantare vittoria. Mancano ancora delle armi. Ci servono bombe.

Emilio:      Abbiamo le granate, ma non bastano. Servirebbero delle bombe più pesanti. E

                   poi dei cannoni. E pure altri proiettili per le pistole. E qualche pistola Beretta. 

Emilio:      E tu dimentichi le armi anticarro. Come lottiamo contro i carri armati tedeschi?

Renato:     Già, i carri armati: i panzer. Servirebbero dei PIAT britannici.

Emilio:      E pure dei fucili francesi. Per esempio, i fusil d’infanterie.

Renato:     Ma i fusil sono introvabili. Forse sono meglio i B.A.R. britannici.

Emilio:      Ma no, i B.A.R. costano molto pure al mercato nero. Tu quanti soldi tieni?

Renato:     Soldi? Ccà nun ce sta ‘na lira. Io direi, accontentiamoci delle armi che abbiamo.

Emilio:      Va bene. A proposito di soldi, tengo qualche spicciolo per un caffè. Tu lo vuoi?

Renato:     Ti ringrazio. E’ la prima volta che me ne offri uno!

Emilio:      E forse anche l’ultima.

Renato:     Mamma mia, ‘e che seccia!

                   Escono dal corridoio di sinistra. Nascosta dietro il corridoio a destra, Antonella

                   ha ascoltato tutto. Esce quatta, quatta, va ad osservare l’ingresso della bottega.

                   Dal corridoio di destra, entra il ristoratore Fausto Infausto. La nota e va da lei.

Fausto:      Scusate!

Antonella: (Subito si ricompone e fa finta di niente) Sì?

Fausto:      Mi chiamo Fausto Infausto. Voi siete la proprietaria di questa drogheria?

Antonella: Io? Ehm… no, no. Volevo comprare qualcosa, però adesso è chiusa.

Fausto:      Ho capito. (E va a sedersi al tavolino)

Antonella: (Gli si avvicina, dubbiosa) Ma… scusate… perché vi interessa quella drogheria?

Fausto:      Mi interessa il locale che la ospita. Me lo voglio comprare. Mi spiego?

Antonella: (Stupita) Come?

Fausto:      E vi stupite? Ho intenzione di costruirci un bar, oppure una taverna, oppure tutti  

                   e due. Io sono bravissimo a cucinare. Per esempio, ho inventato dei dolci che si

                   friggono, ed all’interno ci si mette la crema: si chiamano bombe. Mi spiego?

Antonella: E voi, in questi tempi di guerra, vi mettete a investire soldi?

Fausto:      E certamente, è proprio nei tempi di guerra che si investe, perché gli edifici

                   costano di meno, in quanto non si sa se le bombe li lasciano intatti. Mi spiego?

Antonella: Sono d’accordo con voi.

Fausto:      Bene. E ora ditemi, per caso sapete chi è il proprietario di quel locale?

Antonella: Si tratta di due fratelli. Io ne conosco solo uno: si chiama Emilio Partenopeo.

Fausto:      E non potreste presentarmelo?

Antonella: Quando lo vedo, glielo dico. E se rimaniamo vivi nel prossimo bombardamento,

                   ve lo presento. Ora, scusatemi. Preferisco andare. Non voglio farmi trovare qui.

                   E va via nel corridoio di destra. Fausto la osserva perplesso.

Fausto:      Mah! (Trova un quotidiano sul tavolino) Un giornale. Ora lo leggo. Mi spiego?  

                   Così fa. Intanto da sinistra tornano Renato ed Emilio.

Emilio:       Renà, chillu ccafé faceva schifo!

Renato:      E ch’è colpa mia? Forse si tratta di caffè comprato al mercato nero.

Emilio:       (Nota Fausto seduto) Renà!

Renato:      Che vvuo’?

Emilio:       Ci sta un nazista seduto al tavolino!

Renato:      (Lo nota pure lui) Chillo? Nazista? Ma no, chillo ha da essere fascista!

Emilio:       E’ ‘a stessa cosa. Per noi non va bene. Cacciamolo via!

Renato:      Diciamogli che qui non si può stare. Vieni con me.

                    I due gli si avvicinano.

 Emilio:      Ehm… signore! Qua non si può stare.

Fausto:       E perché?

Renato:      L’ha detto mio fratello!

Emilio:       Ma pecché me vutte a me pe’ sotto?

Fausto: (Posa il giornale sul tavolo e si alza in piedi) Fratelli Partenopeo?

Renato: Ah, ce hanne scuperto! Mò rischiammo ‘a fucilazione!

Fausto: Ma no. Permettete? Fausto Infausto. E voi siete i proprietari di quella drogheria.

Renato: Chi? Nuje? Ma quanno maje?! (Poi ci butta un occhio) Disgraziato, t’he’ scurdato

              ‘n’ata vota ‘a serranda aperta! 

Fausto: Ma allora è vostra.

Emilio: Ehm… sì, ma noi la vogliamo vendere.

Fausto: E me la compro io! Mi spiego?

Renato: Emì, he’ fatto ‘n’atu guajo!

Emilio: Scusate, ma voi c’entrate con la droga?

Fausto: No. Ma io ho intenzione di farci altre cose, lì dentro. Dove mi trovo adesso, è

              troppo buio. Mi trovo in zona mercato. Quel posto è proprio nero. Mi spiego?

Renato: Mercato… nero? He’ ‘ntiso, Emilio?

Emilio: E comme. Scusate, ma voi sareste capace di procurarci alcune cose? Ci servono

              per i tedeschi. Però, acqua in bocca.

Fausto: Per i tedeschi? Ho capito tutto, io gli farei assaggiare le mie “bombe”! (E riflette)

              Renato ed Emilio si appartano un po’.

Renato: Emì, he’ ‘ntiso? Chisto tene ‘e bbombe!

Emilio: E sì. Chi sa se tiene pure dei cannoni? Chiediamoglielo.

              Tornano da lui.

Renato: Scusate, ma solo bombe tenete?

Fausto: No, anche cannoli. (E riflette)

              Renato ed Emilio si appartano un po’.

Emilio: Renà, he’ ‘ntiso? Chisto tene pure i cannoni. Però lui li ha chiamati “cannoli”!

Renato: Cretino, al mercato nero si usano le parole camuffate!

Emilio: Giusto. E allora chiediamogli se tiene i proiettili per le pistole.

              Tornano da lui.

Renato: Scusate, ma non tenete nient’altro?

Fausto: Tengo certi struffoli, solo che mi riescono duri. Sembrano proiettili! Mi spiego?

Emilio: Ecco, bravo. Renà, chisto ha capito tutto cose! Ci occorre!

Renato: E allora, Fausto, giacché stiamo mangiando, completiamo il pranzo con qualcosa di

              veramente forte. Ma forte come i salumi.

Fausto: Salumi? Beretta!

              Renato ed Emilio si appartano un po’.

Emilio: Renà, chisto tene pure ‘e ppistole Beretta! Li ha chiamati salumi per camuffare.

              Tornano da lui.

Renato: Sentite, Fausto, noi a quelli là li vogliamo friggere!

Fausto: Ho capito, volete friggere i panzarotti!

              Renato ed Emilio si appartano un po’.

Emilio: He’ ‘ntiso? Tiene armi per distruggere i Panzer. Isso l’ha chiammate “panzarotti”!

Renato: E sta parlando in codice. Chiediamogli se per i Panzer tiene i PIAT!

               Tornano da lui.

Emilio:  Caro Fausto, per i Panzer ci servono i PIAT. Ci sono?

Fausto:  E per forza! I “panzerotti” vanno serviti nei “piatti”!

I due:     (Se la ridono) Ah ah ah… buona questa!

Emilio:  E ora, Fausto, qualcosa di lungo.

Fausto:  I fusilli?

                 Renato ed Emilio si appartano un po’.

Renato:   Ua’, chisto tene pure ‘e fucile francese: ‘e “fusil”!

Emilio:    E tu he’ ditto che nun se tròvene in giro. Ora ci serve solo il mitragliatore B.A.R.!

                 Tornano da lui.

Renato:   Fausto, se tenete pure il B.A.R., vi riempiamo di baci.

Fausto:    (Fiero) E come, secondo voi, io non tengo il Bar?

Emilio:    Renà, ‘o tene!

                 I due cominciano a dargli baci in faccia. Lui li placa.

Fausto:    Calmi, calmi, calmi! Capisco che vogliate fare la festa ai nazisti. Vi porto tutto io.

Renato:   Va bene domani mattina dopo le 7?

Fausto:    Ma certo, affidatevi a me. Vi farò un lavoretto che sarà una guerra! Mi spiego?

I due:       Bravoooo!

Fausto:    Così vi dimostrerò che sono all’altezza di comprarmi la vostra bottega.

Renato:   Ma che ce ne ‘mporta d’’a puteca? Tanto, noi saremo degli eroi!

I due:       Mi spiego?

Fausto:    Perfetto! Allora, a domani. Arrivederci, arrivederci!

                 Fausto va via per il corridoio di destra. Renato ed Emilio esultano.

Emilio:    Renà, amme vinciuto ‘a guerra!

Renato:   Ma sì. Appena gli amici vedranno le armi che gli porteremo noi, ci baceranno!

Emilio:    E allora andiamo ad avvisarli: domani mattina l’appuntamento è qua fuori alle 7.

Renato:   Non vedo l’ora! Non vedo l’ora! Le armi che abbiamo trovato oggi, ai nazisti…

                 gliele faremo mangiare!

                 I due escono nel corridoio di destra, ridendo di gioia.

6. [Hans e i due soldati nazisti. Poi Germano e Franca. Infine Renato ed Emilio]

                  Dal palazzo di sinistra escono Hans e i due soldati nazisti: gli parla in italiano.

Hans:        Maledizione, non abbiamo trovato armi in questo palazzo. Allora bisogna vedere

                  in altri palazzi. E se qualcuno fa resistenza… schießen! Sparate!

                  Si sposta verso il corridoio di sinistra coi due e confabula con loro. Dal palazzo   

                  di destra, intanto, tornano Gaetano e Franca.

Franca:     Germà, mannaggia, nun simme riuscite a levà chella bomba ‘a coppa ‘o lietto. Germano: E che vvuo’ ‘a me, Franca?! Io ce aggio pruvato, però quanno l’aggio pigliata

                   ‘nmana, chella m’ha dato l’impressione che steva pe’ scuppià.           

Franca:     A chi ‘o ddice? Io l’aggio ‘ntisa addirittura ‘e tremmà!

Germano: No, ero io che stevo tremmanno, e accussì ‘a bomba tremmava ‘nmana a me!

Franca:     E allora he’ raggione tu: ce ll’amma dicere ‘o podestà.

Germano: Oh, è ‘a primma vota che me staje a sentì!

Franca:     E se capisce, in genere, tu dice sulo scemenze!

Germano: Ancora? Jamme add’o podestà, ch’è meglio!

                   I due si avviano verso sinistra, ma si ritrovano Hans e i soldati nazisti. I cinque

                   si osservano sorpresi. Poi i due soldati puntano i loro mitra. Hans li richiama. 

Hans:        Stoppen! 

Germano: Ch’è stato? Ma… ma… tu si’ Hans!

Franca:     Oddio mio, si’ proprio tu!

Hans:        Cosa dite? Io non vi conosco. (Poi ai suoi soldati) Gehen*!           (trad. ital.: Andate!)

                   I due soldati si guardano in faccia e lui li richiama ancora.

                   Weggehen!                                                                                   (trad. ital.: Andatevene!)

                   I due soldati, dopo il saluto nazista, vanno a sinistra. Hans parla ai due italiani.

                   Franca, Germano…!

Franca:     Ah, ma allora ci conosci!

Germano: E che ffaje a ffa’ ‘o scemo?

Hans:         Non potevo far vedere ai miei soldati che vi conoscevo. Ma come state? Ehi,

                   Germano, le dici sempre le scemenze?!

Germano: (A Franca) He’ visto? S’arricorda, s’arricorda! Nun s’è scurdato ‘e me!

Franca:     Ma vieni qua, sediamoci.

Hans:        No, non posso. Sono in divisa.

Franca:     E che c’entra?

Germano: Franca, ma si’ scema? Nun se po’ assettà, ‘a divisa è stretta!

Hans:        Ma non possiamo andare in casa vostra?

Germano: No, non si può perché ci sta una bomb…!

Franca:     (Lo zittisce) Nooooo!

Germano: (Si corregge) Ah, ehm… non possiamo, perché dobbiamo aprire la mia bottega.

Franca:     Ma io non capisco, Hans, perché quasi vent’anni fa sei sparito?

Hans:        Questa è bella domanda. Io dovevo tornare in Germania per trovare mie radici.

Germano: Mie radici? E tu, pe’ colpa ‘e ‘na pianta, ce he’ lassato senza dicere niente?

Hans:        Beato te che non puoi capire.

Franca:     He’ visto, Germà? L’ha ditto pur’isso che ssi’ scemo!

Hans:        No, non potete capire nessuno di tutti e due.

Germano: Franca, si’ scema pure tu!

Hans:        Quando sono tornato in Germania, ho cercato di capire quanto valevo. Quando

                   poi in 1933 Hitler ha creato partito nazista, io ho voluto conoscere questo

                   progetto. Ed ecco mia divisa. Oggi sono comandante di SS.

Franca:     SS? E che rrobba è?

Germano: E’ ‘na specie ‘e figlio ‘e NN!

Hans:        Ma ditemi, dove sono vostri figli Emilio e Renato? Adesso saranno cresciuti.

Franca:     Più o meno. E chi lo sa dove stanno? Forse sono andati appresso alle ragazze!

                   Dal corridoio di sinistra (non visti da Hans) tornano Emilio e Renato che

                   trascinano i due soldati di Hans, storditi. Emilio e Renato entrano felici.

Emilio:      Mammà, papà, amme acchiappato a ‘sti duje surdate!

Renato:     E ll’amme fatte ‘na paliat…!

                  Ma Germano (sulla disperazione di Franca) e lo sguardo sorpreso di Hans che

                   guarda i suoi soldati, corre subito a zittire i due (che lasciano cadere i soldati).

Germano: Ehm… scieme… no, cioè, figli miei, venite qua! Guardate chi ci sta!

I due:        E chi è?

Hans:        Emilio, Renato, sono io… Hans.

Renato:     (Gli si avvicina) Hans?

Emilio:      (Gli si avvicina pure lui) Ma comme te si’ vestuto? ‘A carnevale?

                   I due fratelli se la ridono.

Hans:        (Serioso) No, io sono comandante di SS naziste!

I due:        (Smettono di ridere, sconvolti) Azz!

Hans:        Ma… che cos’hanno miei soldati? Perché sono lì a terra?

Renato:     Ah, ehm… perché… perché…

Emilio:      Sì, perché…

Franca:     Perché hanno bevuto molto.

Germano: Vabbé, lasciali stare. Sono ragazzi. Lasciali divertire in pace!

Renato:     E senti, Hans, come mai stai qua? Mica devi fare la guerra? No!

Hans:        Sono nuovo comandante di questa zona. Devo scoprire armi nascoste. Nostra

                   spia dice che qualcuno vuole ribellarsi a Terzo Reich.   

Renato:     He’ ‘ntiso, Emì? ‘Na spia. Chi sa chi è?

Emilio:      Ehm… Hans, una curiosità: che cosa succede se scoprite a questi rivoluzionari? 

Hans:        Vengono immediatamente fucilati. Meno male che non siete voi!

Germano: Vabbé, ma non parliamo di queste cose. Hans, voglio mostrarti la mia drogheria.

I due:        Nooooo!

Germano: Ch’è stato?

Emilio:      (Preoccupato)  Papà, ma non è il caso!

Renato:     Perché invece non lo portiamo a casa nostra?

Franca:     Nooooo!

Germano: Néh, ma se po’ ssapé che cacchio state passanno, tutt’e tre? Basta, ho deciso di

                   portare Hans a vedere la mia drogheria, retrobottega compreso!

Renato:     E va bene, papà, ma prima vogliamo dire una cosa a lui: Hans, qualunque cosa

                   vedrai nel retrobottega, noi non c’entriamo niente. Hai capito?

Germano: Vabbuò, mò fance passà.

                   Germano ed Hans si avvicinano all’ingresso della bottega. Emilio e Renato si

                   coprono gli occhi per non vedere. Germano è orgoglioso.

                   Caro Hans, preparati a vedere uno spettacolo mai visto!

                   Ma ad un tratto comincia a suonare la sirena. Germano, Franca ed Hans sono   

                   preoccupati, mentre Renato ed Emilio sono contenti.

Franca:     Oh, no, l’allarme.

Renato:     Assa fa’ Dio!

Emilio:      Menu male!... No, nel senso che ora stiamo tutti insieme.

Germano: Ma niente paura, tanto, le bombe non ci possono toccare. Ci sta Hans con noi!

Emilio:      Ma pecché, quanno ‘a bomba vede a Hans, cagna strada e scoppia cchiù allà?

Renato:     Su, presto, andiamocene.

Germano: Ma io…

I due:        (Con modi spicci) E gghiamme!

                   Prendono gli i tre sottobraccio e fuggono nel corridoio di destra, lasciando i

                   due soldati nazisti svenuti a terra.

FINE ATTO PRIMO

            Spaccanapoli, Via San Biagio dei Librai. E’ il giorno dopo.

ATTO SECONDO

1. [Ivo e Vittoria Della Guerra. Poi Franca, Renato ed Emilio]

                Dal corridoio a destra entrano Ivo e Vittoria della Guerra, nobildonna in tailleur.

Ivo:         Signora Vittoria, signora Vittoria, ma che mi combinate? 

Vittoria: Scusate, podestà, ma che ho fatto di male? Io sono soltanto rientrata a casa dopo

                una notte di bombardamenti.

Ivo:         A casa di chi?

Vittoria: Mia.

Ivo:         Ma perché, voi abitate al Teatro San Carlo?

Vittoria: E si capisce! Una nobildonna come me, deve abitare in un posto lussuoso.

Ivo:         In un posto lussuoso? Ieri vi sono venuta a prendere a Palazzo Reale. Insomma,

                ogni giorno devo venirvi a prelevare in un posto diverso.

Vittoria: Ma perché, scusate, io non ho il diritto di abitare?

Ivo:         Sì, ma la casa vostra si trova a Via Monte Oliveto. Quante volte debbo dirvelo?  

Vittoria: Ma a me non mi piace di abitare là.

Ivo:         E che è colpa mia?

Vittoria: Facciamo così: se i bombardamenti buttano giù casa mia, me ne date un’altra?

Ivo:         Signora, ma secondo voi…? E ora, per favore, lasciatemi in pace!

Vittoria: Ma chi vi sta disturbando? Sapete che vi dico? Adesso vado a casa vostra. Ecco!

                Vittoria va via al corridoio di sinistra. Ivo rimane perplesso.

Ivo:         Ma addò sta jenno, chella? Ce mancava sulo ‘a pazza! Signora, tornate qua!

                La rincorre. Dal corridoio di destra arrivano Franca, Emilio e Renato.

Emilio:   Mamma mia, ‘n’ata nuttata passata ‘int’a chillu ricovero.

Renato:  Nun aggio pututo durmì manco ‘ncoppa ‘o cuscino mio: Antonella!

Emilio:   E se capisce: ‘ncoppa ‘o popò ‘e Antonella s’è addurmuto papà!

Franca:  (Contrariata) Appunto! L’aggio dato puro ‘nu pacchero p’’o scetà, ma nun c’è

                stato niente ‘a fa’! Chella tizia me sta talmente antipatica.

Emilio:   Vabbuò, mammà, nun te piglià collera. Turnamme ‘a casa nosta.

Franca:  E’ ‘na parola. Ce sta ancora chella bomba ‘ncoppa ‘o lietto mio. E chi ‘o tene ‘o

                curaggio d’’a levà?!

Renato:  Bomba? Però potrebbe esserci utile.

Emilio:   No, non credo.

Franca:  Néh, ma che vvulite fa’, tutt’e dduje? Nun v’abbasta tutto chello ch’ate cumbinato

                aiére? Avete fatto svenire i soldati di Hans. E per fortuna, lui non ha capito niente.

Renato:  Quello che abbiamo fatto ieri è solo l’inizio. Noi ti dobbiamo confessare una cosa.

Emilio:   Vedi, io e Renato non siamo come credete tu e papà. Nuje nun simme scieme!

Franca:  Eh?

Emilio:   Sì, lo so, sei sconvolta. Ma io e Renato siamo due geni rivoluzionari!

Renato:  Se riusciamo a fare quello che vogliamo fare, mi sa che faremo un grande affare!

Emilio:   No, Renà, si’ stato troppo complicato. Mammà, io e Renato faremo il botto!

Franca:  Néh, ma se po’ ssapé che cacchio ata cumbinà, tutt’e dduje? 

Renato:  Mammà, i nazisti: vogliamo cacciarli a calci nel… Mi capisci?

Emilio:       Domani mattina, noi due guideremo una rivolta contro gli oppressori.  

Franca:      (Ironica) E come cumbattite? Cu’ ‘e ffionde? Cu’ ‘e pietre? A calci e pugni?

Renato:      Ma te si’ scetata spiritosa, stammatina? Noi teniamo un arsenale di armi. E sai

                    dove? Nel retrobottega della drogheria.

Franca:      (Sconvolta) Mamma ‘e ll’Arco!

Emilio:       E quelle non sono niente. Ancora devi vedere quel che ci arriverà tra pochi

                    minuti. Ce lo porterà uno che bazzica nel mercato nero.

Franca:      E che v’ha da purtà? Rrobba assai pericolosa?

I due:          Uff!

Renato:      Fucili, armi anticarro, pistole, munizioni…! Sarà uno spettacolo unico!

Emilio:       I nazisti si pensano che noi non siamo equipaggiati, e invece lo siamo e come!

Franca:      Ragazzi, l’importante è che nessuno si fa male.

Renato:      (Perplesso) Cioè, mammà, ma tu he’ capito ch’amma fa’ ‘na specie ‘e guerra? E

                    che forse muore pure Emilio, mentre io mi salvo?!

Emilio:       No, aspiette ‘nu mumento, comm’è ‘stu fatto? Io moro e tu te salve? E si po’

                    succede tutto ‘o cuntrario?

Renato:      Emì, nun me fa’ ridere!

Emilio:       Ma nun me fa’ ridere tu! (Poi osserva la madre, perplessa) Che d’è, mammà?  

Franca:      No, dico, ma nun è ch’’a putìsseve fernì? Io ve preferisco scieme e vivi,

                    chiuttosto ch’intelligente, però muorte.

Emilio:       Mammà, perdonaci se fino ad oggi ti abbiamo fatto fessa.

Franca:      Ma nun è che me state facenno fessa mò?

I due:         No!

Franca:      (Rassegnata) Vabbuò, jamme a levà chella bomba ‘a coppa ‘o lietto. (Triste)

                   Ero cchiù cuntenta ‘e tené duje figli scieme, e invece…! Jamme, jamme.

                   I tre entrano a destra (nel palazzo).

2. [Germano ed Antonella. Poi Hans e i due soldati. Infine Fausto]

                   Dal corridoio di destra arrivano Germano ed Antonella.

Germano: Cara Antonella, stanotte ho dormito una bellezza! E questo grazie a voi.

Antonella: Io? E che c’entro, io?

Germano: No, niente, il fatto è che stanotte… involontariamente… mi sono addormentato

                   sulla vostra natica destra!

Antonella: E già. Mi avete scambiata tutti quanti per un cuscino di piume!

Germano: C’è solo un fatto strano: me fa male ‘a faccia. E’ comme si avesse acchiappato

                   ‘nu pacchero! Somiglia alla mano di mia moglie Franca! Mah!... A proposito, se  

                   vi volete sposare a mio figlio Emilio, fate pure. Voi siete un ottimo cuscino…

                   cioè, un’ottima persona!

Antonella: Sposare? Ma se io lo conosco appena da due giorni.

Germano: E allora vi volete sposare all’altro mio figlio, Renato?

Antonella: Non lo conosco nemmeno.

Germano: Allora vi volete sposare a me? Uh, ma cosa dico? Scusatemi! Bene, allora ora io

                   torno a casa mia, e…

Antonella: (Perentoria) Aspettate!

Germano: (Sorpreso) Ch’è stato?

Antonella: Nulla, volevo chiedervi solo una cosa. (Interessata) Ma quella bottega è vostra?

Germano: Sì, è una drogheria.

Antonella: E… qualche volta me la fate vedere?

Germano: Gli dò prima una pulitina e poi ve la porto a perlustrare!

Antonella: Bene. Ed ora un’altra domanda: casa vostra dov’è?

Germano: (Mostra l’ingresso del palazzo a destra) Qua dentro, primo piano, interno 4!

Antonella: Perfetto. Ora potete andare. Andate, andate pure!

Germano: Signorì, mi pare che mi state cacciando!

Antonella: Per carità. (Porge la mano per farsela baciare) Ora salutiamoci come si deve.

Germano: (Le prende la mano) Il baciamano? Ma certo, io sono un gentiluom…!

                   Dal primo piano del palazzo di destra arriva uno straccio bagnato sui due.

Antonella: Oddio, che è successo?

Germano: (Alza la testa verso il suo balcone, poi le risponde) Niente, mia moglie ce ha

                   vuttato ‘na mappina ‘nfosa ‘ncuollo!

Antonella: E perché?

Germano: Pecché è scema! Aggiate pacienza. Vi saluto senza baciamano. Arrivederci.

                   Entra nel palazzo di destra. Antonella allora trama qualcosa.

Antonella: Benissimo! Quel tizio mi ha dato delle notizie interessanti. Ora tocca a me!

                   Lei esce a destra. Dal corridoio di sinistra arrivano Hans e i suoi due soldati.

Hans:        (Arrabbiato) Mi avete deluso. Ieri! (Glielo traduce) Du hast mich enttäuscht.

                   Gestern!... Vi siete ubriacati e poi addormentati come due straccioni lì in terra.

                   I due alzano il dito indice per chiedere la parola, ma lui li zittisce. 

                   Schweigen! (trad. ital.: Fate silenzio!) Più tardi arriveranno altri rinforzi. Ringraziate

                   vostro dio se non dirò nulla di ieri. E ringraziatelo anche se bombe non vi hanno

                   ucciso. Anch’io devo ringraziare qualcuno: quei due “napolitani” che mi hanno

                   portato con loro in rifugio. E io sono loro nemico. Prendete esempio.E ora

                   riprendiamo nostra ricerca di armi nascoste. Andate in palazzo centrale. Schnell!

                   I due fanno il saluto nazista ed entrano nel palazzo centrale. Dal corridoio di

                   destra ecco Fausto. Si guarda intorno. Hans lo nota e va da lui.

                   Prego? Cosa vi occorre?

Fausto:      E che ve ne importa? Mi spiego?

Hans:         A me importa tutto quello che succede qui. Perciò, voi chi siete?

Fausto:      Fusto Infausto. Faccio il ristoratore.

Hans:         Qui non c’è ristorante.

Fausto:      Ma lo voglio aprire io. Anzi, voglio aprire una locanda. 

Hans:         E adesso cosa fate qua?

Fausto:      Devo incontrare due fratelli. Se mi ricordo bene, fanno Partenopeo di cognome.

Hans:         Ah, Renato e Emilio. Certo che conosco. Loro abitano in palazzo qui a destra.

Fausto:      Bene, grazie. Allora vado direttamente a casa loro.

Hans:         Un momento, ma che cosa dovete fare?

Fausto:      E questo non ve lo posso dire. Si tratta di una sorpresa.

Hans:         La voglio sapere.

Fausto:      E se ve la dico, che sorpresa è?

Hans:         Devo saperla.

Fausto:      (Seccato) Sentite, vogliono farvi la festa. Mi spiego?

Hans:         Farci la festa?

Fausto:      Sì, a voi nazisti. E mò nun me scucciate cchiù! Io vado a parcheggiare la mia

                   macchina e torno. Mi spiego?

                   E torna via per il corridoio di destra. Hans rimane dubbioso.

Hans:         Se ricordo bene lingua italiana, fare la festa vuol dire… uccidere! Ma allora

                   sono Emilio e Renato… i ribelli. Devo chiamare miei soldati.

                   Entra subito nel palazzo alle sue spalle.

3. [Ludovica e Vittoria. Poi Ivo. Poi Hans, i due soldati ed Antonella. Infine Jack Pot]

                   Dal corridoio di sinistra, giunge Ludovica che tira a sé Vittoria.

Ludovica: Signora, ma come vi permettete di entrare in casa mia? 

Vittoria:   Vabbé, signora, ma che vi arrabbiate a fare?

Ludovica: Mi arrabbio, perché voi avete cercato di cacciarmi via.

Vittoria:   Ma io sono una nobildonna. Devo abitare per forza in una casa bella e grande! 

Ludovica: Ma quella è casa mia, a via Duomo numero 250.

Vittoria:   E chi me lo dice che quella è casa vostra?

Ludovica: Signora, ma voi tenete una faccia tosta mostruosa! Devo dirlo a mio marito.

Vittoria:   E chi è vostro marito, adesso? Una persona importante?

Ludovica: Importante? Importantissima! Se soltanto lui fosse qua…!

                  Dal corridoio di sinistra, giunge tutto affannato Ivo.

Ivo:           Mamma bella. (Nota le due) Ah, troppo tardi! (Va da loro) Ehi, voi due…!

Ludovica: Ah, ci sta Ivo.

Vittoria:   Ma questo è mio marito! Uhé, Ivo, metti a posto questa signora!

Ivo:           Signò, ma che vvulite? Io sono il marito suo. (Indica Ludovica)

Vittoria:   Ma comme, Ivo, m’he’ lassata?

Ludovica: Ivo, pe’ piacere, stongo accummincianno a perdere ‘a pacienza, cu’ chesta!

Vittoria:   Facciamo così, accompagnatemi a casa mia.

Ludovica: E dove?

Vittoria:   A via Duomo numero 250!

Ivo:           Ma voi invece abitate a via Monte Oliveto. Quante volte debbo dirvelo?

Vittoria:   E già, dite bene. Io abito a via Monte Oliveto. Mi date la chiave di casa mia?

Ivo:           Ma chi ‘a tene?

Vittoria:   (Poi a Ludovica) Allora la tenete voi?

Ludovica: Nun tengo niente.

Vittoria:   E allora, chi ‘a tene?

Ludovica: Ma chi ‘o ssape? Signò, jatevenne!

Vittoria:   Va bene, arrivederci. Andiamo Ivo!

                  Si mette sottobraccio ad Ivo e lo tira via verso destra, ma lui si ribella.

Ivo:           Signò, ma addò me state purtanno?

Vittoria:   Mamma mia, che bruttu carattere che tenite! Puzzate ittà ‘o veleno!

                  Va per il corridoio di destra, rimuginando. Ivo e Ludovica si siedono al tavolino.

Ivo:           M’ha stunato, chella! Pensa, si chiama Vittoria Della Guerra! ‘E che suggetto!

Ludovica: Ivo, ho notato una cosa mentre venivo qua. Le forze naziste stanno aumentando.

Ivo:           Già, l’ho notato. Non so cosa stia succedendo. Ma sono molto preoccupato. Ludovica: Ma sei preoccupato per noi e per la nostra famiglia, oppure per il popolo?

Ivo:           Ludovica, anche noi siamo il popolo, sebbene siamo un po’ più privilegiati. Ma  

                  le bombe e i proiettili non fanno differenza.

Ludovica: (Ironica) Come stai diventando umano!

Ivo:           E’ la guerra. 

Ludovica: Pensa soltanto ad amicarti i nazisti, così almeno loro ci lasceranno in pace.

                  Dal palazzo centrale escono Hans e i suoi due soldati.

Hans:        Stanno arrivando rinforzi. Ora noi andiamo in quel palazzo là. (Indica a destra)

                  I tedeschi e i due italiani si notano.

Ludovica: Ivo, è isso.

Ivo:           Isso chi?

Ludovica: Il nuovo comandante nazista che è arrivato da poco.

Ivo:           (Si alza in piedi) Aspetta qui e non ti muovere. (Va da Hans) Scusate, sono il

                   podestà. Mi chiamo Ivo Itedeschi. 

Hans:        Oh, perfetto. Io sono comandante Hans Übel.  

Ivo:           Per qualsiasi cosa, riferitevi a me.

Hans:        Davvero? Un comandante di SS non deve riferire niente a nessuno.

Ivo:           Ascoltate, comandante, non vogliamo problemi.

Hans:        E noi non vogliamo crearne a voi. Almeno fino a quando non fermeremo ribelli.

Ivo:           Quali ribelli? Io non ne so niente.

Hans:        Meglio per voi se vi informate, se no metto a ferro e fuoco città, senza

                   distinzione di gente. Siehaben verstanden?Avete capito? (E gli volta le spalle)

Ivo:           (Rassegnato) Va bene. (Va da Ludovica) Vieni, andiamo.

Ludovica: (Si alza in piedi) Ivo, devo parlarti di una cosa.

Ivo:            Sì, ma non qui.

                   I due vanno via nel corridoio di sinistra.

Hans:         Devo tenere d’occhio quel tipo. Non mi piace.

                   Dal corridoio di destra (s’è cambiata d’abito) arriva Antonella. Va da Hans.

Antonella: Stai tranquillo, Hans, quello lì non è pericoloso.

Hans:         Agente Falsch, finalmente ti sei fatta viva. Dov’eri, finora?

Antonella: A conoscere e capire. Se devo servire il Führer, voglio farlo bene.

Hans:         E cos’hai scoperto?

Antonella: Che c’è un bel po’ di popolazione che vuol farvi la festa.

Hans:         Tutto qua? Bella scoperta che hai fatto. Io ho già saputo questo.

Antonella: Già, ma non sai dove tengono nascoste le armi. (Con un cenno della testa, glielo

                   indica) In quel palazzo alla nostra destra. E in quella bottega alle nostre spalle.

Hans:         Bene, sei stata molto utile. Ma… dimmi una cosa: perché stai facendo questo? 

Antonella: Perché sto facendo cosa?

Hans:         Lo sai. Tu sei metà tedesca e metà italiana. Perché tradisci tuo metà paese?

Antonella: Io devo stare da una parte o dall’altra. E voglio stare dalla parte dei vincitori.

Hans:         E cosa vuoi, in cambio?

Antonella: Parlerai bene di me ad Hitler. Nicht wahr?

Hans:         Sì, è vero.

Antonella: Bravo. (Fa il saluto nazista)

Hans:         (Fa il saluto nazista, poi parla i suoi soldati) Cerchiamo da cima a fondo in

                    questo palazzo. Schnell!

                    I tre entrano nel palazzo di destra. Antonella siede al tavolino. Dal corridoio di

                    sinistra, entra un figuro in impermeabile e cappello. Siede accanto a Antonella.

Jack:          (Accento americano) Brava, agente False!

Antonella: Ah, finalmente tu, Jack!

Jack:          Stai facendo un grande lavoro.

Antonella: Io sì, le forze alleate no. Sono troppo lente.  

Jack:          Stiamo facendo il massimo. 

Antonella: Va bene, ma fate presto. Non riuscirò ad imbrogliare i nazisti ancora per molto.

Jack:          Bene, sei stata molto utile. Ma… dimmi una cosa: perché stai facendo questo?

Antonella: Perché sto facendo cosa?

Jack:          Lo sai. Tu sei metà americana e metà italiana. Ma hai sempre odiato l’Italia.

Antonella: Io voglio stare dalla parte dei vincitori.

Jack:          E cosa vuoi, in cambio?

Antonella: Parlerai bene di me a Roosevelt. Isn’t it?

Jack:          Sì, è vero.

Antonella: Molto bene, Jack! (Si alza in piedi) Ora sparirò per un qualche tempo.

                   Gli lancia un bacio, poi va via nel corridoio destro. Jack esce in quello opposto.

4. [Germano e Franca. Poi Fausto. Infine, Renato ed Emilio]

                   Dal palazzo (a destra) escono Germano e Franca, litigando tra di loro.

Germano: Io nun te supporto cchiù, a te e ‘e figli tuoje! He’ capito?

Franca:     E si è pe’ chesto, manch’io ve supporto cchiù.

Germano: Ma tu m’’ive ditto che nuje tenéveme duje figli scieme. E invece comm’è

                  succieso che sò addiventate improvvisamente intelligente?

Franca:     Che ne saccio, io?

Germano: E tu nun saje maje niente. Intanto chilli duje scellerate che vonno fa’?

Franca:     Vonno caccià ‘e naziste.

Germano: Ma chiste allora so’ scieme cu’ ‘o core! E tu nun ce he’ ditto niente?

Franca:     E certamente, però nun me vonno sta’ a sentì. Allora dincello tu!

Germano: No, ce l’he’ dicere tu!

                  Dal corridoio di destra arriva Fausto che osserva i due litigare.

Franca:     Ma tu si’ ‘o pato, sì ‘o capo d’’a casa.

Germano: Ah, quanno te fa commodo a te, songo ‘o capo d’’a casa! E nun me ne ‘mporta

                   niente, ce ll’he’ dicere tu!

Franca:     No, tu!

Germano: No, tu!

Franca:     No, tu!

                   I due notano la presenza di Fausto e così si interrompono.

Germano: (Gentile) Scusate, vi serve qualcosa?

Fausto:     Sto cercando i fratelli Partenopeo. Li conoscete?

Germano: Purtroppo, sì!

Fausto:     (Indica il palazzo a destra) E sapete a quale piano di questo palazzo abitano?

Germano: Al primo piano, interno 4!

Fausto:     Grazie tante, gentilissimo.

                   Fausto entra nel palazzo a destra, Germano riprende a litigare con Franca.

Germano: Allora he’ capito chello che stevo dicenno?

Franca:     Sì, aggio capito. E tu he’ capito chello ch’aggio ditto io?

Germano: Sì, sì. Spermame sulo che chilli duje se sposano e se ne vanne. Anze, io aggio

                   parlato pure cu’ chella Antonella. Po’ essere che se sposa a Emilio o a Renato.

Franca:     Antonella?

Germano: ‘O cuscino mio!

Franca:     A proposito ‘e chella Antonella…!

Germano: Ma comme m’è venuto ‘e parlà ‘e ‘sta Antonella?!  

Franca:     Siente, nun t’è abbastato ‘o straccio ‘nfuso che t’aggio menato ‘ncuollo?

Germano: Franca, ma nuje nun stéveme facenno niente ‘e male. E ppo’, tu, quanno maje sì

                   stata gelosa ‘e me?

Franca:     Ce sta sempe ‘na primma vota!

Germano: Ma stattu zitta, famme ‘o piacere. (E va a sedersi al tavolino)

Franca:     Ma famme ‘o piacere tu. (Lo fa anche lei) Mò m’assetto pur’io.

Germano: Chi sa che stanne cumbinanno, Renato e Emilio, cu’ chella bomba?!

Franca:     E già.

                   Dal palazzo di destra, escono Emilio e Renato che portano a quattro mani una

                   coperta contenente la bomba inesplosa, lenti e timorosi, anticipati da Fausto.

Renato:     Piano, piano! Lentamente!

Emilio:      (Urla) Non parlare! Tu la fai vibrare!

Renato:     Va bene, va bene!

Fausto:      Sentite, ma che state trasportando, una bomba?

Emilio:      Sì.

Fausto:     (Se la ride) Divertente, molto divertente! Mi spiego?

Franca:     (Si alza in piedi) Oddio, Germà, l’hanne acchiappata!

Germano: (Si alza pure lui) Ma nun è ‘nu capitone, è ‘na bomba! (E va da loro)

Franca:     E dove la mettiamo, adesso?

Renato:     Papà, mammà, aprite le porte della bottega.

Germano: A chi? Me vuo’ mettere chella bomba ‘int’’a puteca mia?

Emilio:      Ma quella è una bomba a percussione!

Franca:     E che vvo’ dicere?

Emilio:      Vo’ dicere che pe’ scuppià, ha da tuzzà vicino a cocche parte!

                  Urtano Germano e si spaventano tutti.

Tutti:        (Tranne Fausto) Oddio mio!

                  Franca e Germano si coprono con le braccia, mentre Emilio e Renato chiudono

                  gli occhi, temendo l’esplosione. Fausto, ignaro di tutto, si diverte.

Fausto:     Ma che gioco state facendo? Lo spiegate pure a me? Voglio partecipare pure io!

Germano: Gioco? Sentite, è meglio che ve state zitto, vuje!

Franca:     Aspettate, mò arapo ‘e pporte d’’a puteca!

Emilio:      E cammina chiano, o si no ‘o spostamento d’aria toja fa scuppià ‘a bomba!

Franca:     No, no, nun ve prioccupate. (Cammina sulle punte e apre le porte del negozio)

Germano: Jamme, trasite chianu chiano!

                   I due portano il fagotto barcollando di qua e di là. Germano commenta, ironico.

                  Eh, me pare che state purtanno a San Ciro in processione!

                  A un tratto, i due sbandano e la bomba urta contro una porta del negozio. Subito

                  Germano e Franca si accasciano come per difendersi dall’eventuale scoppio.

Emilio:      Renà, ma si’ scemo?

Renato:     Io? Tu staje cammenanno comme a ‘nu ‘mbriaco!

Germano: (Stufo) Oh, e ce muvimme? Jamme bello, jamme!

                   Finalmente i due riescono ad entrare. Germano e Franca si tranquillizzano.

Franca:     Menu male, va’. (Va a sedersi al tavolino, stravolta)

Germano: Sì, ma mò che ce ne facìmme ‘e ‘sta bomba? (Si siede anche lui)

Franca:     Ce ll’amma dicere ‘o podestà.  

Germano: Brava, accussì chillo me chiude ‘o negozio!

Franca:     E allora tienatélla ‘int’’a puteca e nun ne parlamme cchiù!

Germano: Néh, ma Renato e Emilio che stanne facenno, lloco ddinto? S’hanne addurmute?

                   Dalla bottega escono i due fratelli, provati.

Emilio:      Ecco qua, amme fernuto.

Renato:     No, Emì, veramente amme sulo accumminciato!

Emilio:      (Nota Fausto) Renà, mò parlamme cu’ chillo.

Renato:     E già. (Va da Fausto) Sentite, voi, avete portato la roba che vi abbiamo chiesto?

Fausto:      Sta tutto nella mia auto, dietro il palazzo. Aiutatemi a prenderla. Mi spiego?

Emilio:      (Va anche lui da Fausto) Va bene, ma facciamo presto.

Fausto:      (Divertito) Sentite, prima che andiamo, adesso me lo potete dire: dentro a quella

                   coperta non ci stava nessuna bomba. Mi spiego?

Emilio:       E invece ci stava, ci stava! L’ha sganciata un bombardiere, ma non è scoppiata.

Fausto:      (Divertito) Siete troppo comici, tutti e due! Andiamo a prendere la roba, così

                   facciamo la festa ai nazisti!

                   Fausto esce per il corridoio di destra, ridendo. Renato ed Emilio sono perplessi.

Emilio:      Ma chisto è scemo overamente? ‘A guerra è gghiuta ‘ncapa a tutte quante!

Renato:     E che t’aggia dicere? Jamme, Emì. Jamme.

                   I due seguono Fausto. Germano e Franca, seduti, si riprendono dallo spavento.

Germano: Franca!

Franca:     Che vvuo’?

Germano: M’è venuta famme. Vuo’ cucenà coccosa?

Franca:     ‘E che capa fresca che tiene! (Si alza e s’avvia a destra) Che te vuo’ magnà?

Germano: Famme duje spaghette aglio e uoglio!

Franca:     E vabbuò.

                  Franca entra nel palazzo a destra. Germano si alza in piedi.

Germano: Famme vedé ‘nu poco chilli duje sconsiderate addò hanne mise ‘a bomba.

                  Entra nella bottega e chiude le porte.

5. [Hans e i due soldati. Poi Germano e Franca. Infine Jack e Vittoria, Emilio e Renato]

                   Dal palazzo di destra escono Hans e i suoi soldati. Lui pare molto stizzito.

Hans:         Non ci sono armi in questo palazzo. Appena incontro quella stupida donna, la

                   faccio pentire di essere nata. Torniamo dagli altri soldati.

                   I tre si avviano a sinistra, però Hans, passando davanti alla bottega, vi si ferma. 

                   Un momento, fermatevi! Sono indeciso se devo vedere in bottega di Germano.

                   Vediamo qui dentro. E’ solo formalità. Tanto, non c’è nessuno.

                   Vi si avvicina e ad un tratto si aprono le porte, da cui esce Germano: lui, Hans

                   e i due soldati si spaventano, gridando. Germano, per reazione, scappa nella

                   bottega, mentre i tre nazisti scappano via da tutte le parti. Poco dopo, i tre

                   tedeschi vengono fuori pian piano e Germano fa altrettanto.  

Hans:        Germano!

Germano:Uhé, Hans, tu stai qua?

Hans:        (Mentre gli si avvicina) Già. Va tutto bene?

Germano: Non c’è male. Ora io vado a casa. Ci vediamo.

Hans:        No, aspetta, voglio dirti prima una cosa. Ci tengo.

Germano: Dimmi.

Hans:        Vedi… io non sono cattivo. Devo eseguire soltanto ordini delFührer.

Germano: Ma tu non devi obbedire a Hitler?

Hans:        Il Führer è Hitler.

Germano: Ah, ho capito. Va bene, allora ci vediamo.

Hans:        Aspetta, devo dirti un’altra cosa. Germano, tu mi devi perdonare.

Germano: E perché?

Hans:        Perché noi tedeschi vinceremo la guerra.

Germano: E un poco di pazienza. Sono cose che capitano!

Hans:        Ma tu mi devi perdonare.

Germano: Ma perché, che altro succederà?

Hans:        Noi tedeschi dobbiamo eliminare tutti nemici, così rimarremo solo noi al mondo.

Germano: E gli altri che fine fanno?

Hans:        Moriranno. Ma tu mi devi perdonare.

Germano: Ancora?

Hans:        Sì, perché io dovrò arrestarti. E ti renderò schiavo del Terzo Reich. E forse dovrò

                  anche farti soffrire e torturarti.

Germano: Pure?

Hans:        Sì, tu mi devi perdonare. Io dovrò ucciderti.

Germano: (Spazientito, fa ironia) E sì, allora fa’ ‘na cosa: piglia ‘a pistola e accummience a 

                   me sparà. Po’ caccia ‘o curtiello, me faje a piezze e ne manne ‘na fella ‘a Hitler,

                   accussì m’assaggia cu ‘e ppatane e ‘a ‘nzalata! Vabbuò?

Hans:        Germano, ma tu mi perdoni?                

Germano: Ma va’ fa’…!

                   Entra nel palazzo a destra. Hans rimane interdetto.

Hans:         Non mi perdona! A proposito, non ho chiesto a Germano di entrare in sua

                   bottega. Non fa niente. Andiamo via!

                   I tre si avviano a sinistra, ma poi Hans ordina di fermarsi.

                   Stoppen! Ci ho ripensato. Germano ha lasciato porte aperte. Su, entriamo, ora.

                   I tre entrano nella bottega di Germano, il quale torna da destra con Franca.

Germano: Ma tu staje scennenno?

Franca:     Sì. Nun pozzo cucenà pecché nun ce sta niente ‘a mangià. Si deve comprare.

Germano: Ma come? Ci stanno 6 uova nel frigorifero.

Franca:     Ci stavano. Mò non ci stanno più. Tu non ne sai niente?

Germano: Io? No.

Franca:     E invece ‘o ssaje. Te l’he’ magnate tu. 

Germano: E invece no.

Franca:     E invece sì!

Germano: (Spazientito) Uhé, ‘a gallina è turnata e se l’ha pigliate ‘n’ata vota! Vabbuò?

Franca:     E’ meglio che lasciamo stare. Io mi vado a mangiare qualcosa in una locanda.

Germano: E pure io. A proposito, e Renato e Emilio?

Franca:     Sono giovani. Mangeranno dopo. Speriamo che non incontrano i soldati nazisti.

Germano: E se li incontrano, speriamo che veramente li cacciano a calci da Napoli. E

                   specialmente a Hans.

Franca:     Pure Hans?

Germano: Sì. E questa volta, se gli succede qualcosa, io non lo salvo più. E mò jamme.

Franca:     E nun l’he’ chiusa, ‘a puteca?

Germano: Adesso la chiudo subito. (Chiude le porte a chiave) Ecco qua.

Franca:     E non abbassi la saracinesca?

Germano: Ma t’he’ scurdata? Nun se chiude.

Franca:     Ah, già. Vabbuò.

                   I due vanno via a destra. Dal corridoio di sinistra entra Jack. Parla da solo.

Jack:         (Accento americano) Le forze alleate arriveranno presto. Adesso devo aspettare  

                  un nuovo agente segreto: un’altra donna. Ci garantirà la vittoria della guerra.

                  Chi sa però com’è fatta di viso? 

                  Dal corridoio di destra entra Vittoria.

Vittoria:   Ma addò cacchio stongo ‘e casa, io? (Poi nota Jack parlare da solo e va da lui)

Jack:         (Non nota Vittoria e parla da solo) Il piano è perfetto. Adesso devo portarlo fino

                  alla fine, anche a costo della mia vita. E… (Si volta e nota lei che lo osserva)

Vittoria:   Scusa, ma tu sei pazzo?

Jack:         No, sono Jack Pot! E tu?

Vittoria:   Io sono Vittoria Della Guerra!

Jack:         Che? Ma… allora sei tu la persona che stavo aspettando!

Vittoria:   Io? Ma io, veramente…

Jack:         Shut up, non parlare! Tu sei la persona che sto cercando.

Vittoria:   E va bene. Ma senti, tu dove stai di casa?

Jack:         Dove sto di casa? Ah, ho capito, vuoi sapere dov’è mia base! Non posso dirtelo.

                  E ora dimmi quello che mi devi dire.

Vittoria:   E tu che vuoi sapere?

Jack:         Dove si trovano i tedeschi.

Vittoria:   Itedeschi? (Forse sta parlando del podestà e di sua moglie!). Sì, io so dove sono.

Jack:         Bene, tra poco i fratelli Partenopeo li faranno saltare in aria. Li conosci?

Vittoria:   No, non li conosco. Comunque vieni con me, ti mostro la casa de Itedeschi!  

Jack:         Sì, sì, andiamo! You’re great, my friend!

                  I due vanno nel corridoio a sinistra. Dal corridoio di destra tornano Emilio e

                  Renato con grosse scatole di cartone per alimenti, una ciascuno.

Emilio:     Certo che quel Fausto Infausto è proprio un genio: nascondere le armi in

                  scatoloni per alimenti. Solo che ora dobbiamo trovare un posto per nasconderli.

Renato:    Nel retrobottega della drogheria di papà.

Emilio:     Ma guarda, papà l’ha chiusa e noi non teniamo le chiavi.

Renato:    Allora posiamo tutto nel sottoscala del nostro palazzo. Tanto, non ci sta nessuno.

Emilio:     Però è strano: da questi scatoloni viene fuori un odore di mangiare!

Renato:    Serve per ingannare il nemico. Quel Fausto Infausto ha pensato pure a questo.

                  Vieni, andiamo.

                  Entrano nel palazzo a destra. Dal corridoio di sinistra riecco Jack e Vittoria.

Jack:         Brava, my friend! Abbiamo trovato base nemica: a Via Duomo 250, interno 1.

Vittoria:   Hai visto, my friend?!

Jack:         Ora però bisogna trovare i fratelli Partenopeo. Ma chi sa dove saranno mai?

                   Dal palazzo di destra tornano Emilio e Renato.

Emilio:      Ecco qua. Adesso dobbiamo aspettare il segnale.

Vittoria:   (Nota i due) Ehi, my friend, domandiamo a quelli là.

Jack:         Signori, scusate, voi conoscete i fratelli Partenopeo?

Renato:     No, non li conosciamo.

Emilio:      Imbecille, ma i fratelli Partenopeo siamo noi!

Renato:     Ah, già. Siamo noi. Ma perché, che vi serve?

Jack:         Io sono un infiltrato americano per distruggere avamposti nazisti. Mi ha

                  segnalato vostri nomi l’agente Antonella False.   

Renato:     Ma noi non la conosciamo. Io conosco una sola Antonella. E’ il mio cuscino!

Jack:         Non importa. Voi non conoscete mio agente, ma lei conosce voi. E questa donna  

                  invece è un altro agente che ci porterà alla base nemica.   

Vittoria:   Sta qua vicino, a Via Duomo 250, interno 1!

Emilio:     E con che cosa la distruggiamo?

Jack:         Dinamite. Ve la procuro io. Su, venite con me, non perdiamo tempo.

Renato:     Caro fratello, adesso comincia la nostra guerra!

Emilio:     E già. Andiamo a eliminare i tedeschi! Alla caricaaaa!

                 Escono nel corridoio di sinistra.      

6. [Germano, Franca, Hans, i soldati, Renato, Emilio, Fausto, Jack, Vittoria, Ivo e Ludovica]

                   Dal corridoio di destra tornano Germano e Franca, delusi.

Germano: Néh, ma che succede? Stanne chiudenno tutte ‘e locale e tutte ‘e pputeche.

Franca:     Boh! Ma nun è ancora orario ‘e coprifuoco.

Germano: Ch’aggia dicere? Jamme a vedé si ‘a vicina ‘e casa nosta tene coccosa ‘a magnà.

Franca:     Chella è tanta brava.

                   Si avviano a destra, ma sentono dall’interno della bottega bussare e chiamare.

Hans:        Aprite!

Franca:     Ma… chi ce sta ‘int’’a puteca toja?

Germano: E chi ‘o ssape? Sarrà cocche marjuolo. Franca, va’ a piglià ‘na scopa.

Franca:     (Spaventata) Oddio! Vaco subito! (Va all’ingresso del palazzo destro, prende

                   una scopa dietro la porta e la va a dare a Germano) Tié, Germà.

Germano: Tu apri le porte. Tieni la chiave.

Franca:     (La prende) T’arraccummanno, nun te fa male!

Germano: Nun me faccio male io, se fa male chi sta ‘int’’a puteca mia!

                   Franca apre, Germano entra. Dall’interno si sentono rumori e grida. Al termine

                   escono Hans e i due soldati doloranti e Germano che brandisce la scopa.

                   Ascite, ascite! ‘N’ata vota ve ‘mparate a…!

Franca:     Ma chisto è Hans!

Germano: E tu che ce facìve dint’’a puteca mia?

Hans:        Ispezione. Ma non sono io a doverti spiegazioni. Devi darmele tu. Lì dentro è

                   pieno di armi. Allora sei tu che stai organizzando rivolta contro nazisti?

Germano: Io? Ma io nun saccio niente. Quali armi? Voglio ì a vedé ‘nu poco.

Franca:     Vengo pur’io.

                  I cinque entrano nella bottega. Dal corridoio di sinistra tornano Jack, Vittoria,

                  Renato ed Emilio, a passo spedito.

Ren&Em: Cinque, quattro, tre, due, uno, zero!

                  Si sente una grossa esplosione! E così i quattro esultano.

Jack:         Bravi, ragazzi, bravi! Adesso vado a comunicare a forze alleate che possono

                  entrare a Napoli senza problemi. Siete degli eroi!

Vittoria:   Aspié, voglio voglio venì pur’io cu’ te! Io pure sono un’eroina!

Jack:         Viva la guerra!

                  Jack e Vittoria escono nel corridoio di destra.

Renato:     E adesso, Emilio, bisogna finire il lavoro. Prendiamo le armi che ci ha portato

                  Fausto Infausto e raggiungiamo gli altri a piazza Plebiscito.

Emilio:     Ua’, fraté, nun veco ll’ora! Jamme, jamme!

                  I due entrano nel palazzo a destra. Dalla bottega escono Germano, Franca,

                  Hans e i due soldati. I primi due sono sconvolti.     

Germano: Mamma mia… e chi ‘o ssapeva? Lloco ddinto ce sta ‘n’arsenale!

Franca:     Me sento male!

Germano: No, Franca, non svenire… pecché io nun t’acchiappo!

Hans:        Insomma, basta! Se quelle armi non appartengono a voi, di chi sono allora?

                  Dal palazzo di destra tornano Emilio e Renato coi rispettivi scatoloni. Non

                  notano gli altri cinque (ma sono notati da loro) e così parlano liberamente.

Renato:     Emilio, tieni un coltellino? Dobbiamo tagliare lo scotch.

Emilio:      (Lo estrae dalla tasca) Sì, subito. (Taglia lo scotch) Ecco, ho finito.

Renato:     E adesso dobbiamo prendere le armi che stanno nel retrobottega della drogheria.

Hans:        Ah, ma allora siete stati voi!

I due:        (Si spaventano) Chi è?

Hans:        Voi siete nemici dei tedeschi. Ma allora agente Antonella Falsch aveva ragione!

Renato:     Antonella Falsch? Ma nun è ch’è ‘a stessa Antonella False, spia americana?

Emilio:      E secondo me, è pure ‘a stessa Antonella Scarda, ‘o cuscino tuojo! Bastarda!

Hans:        Cosa state dicendo?

Germano: Hans, famme parlà a me. Néh, uhé, ma ‘a vulite fernì, tutt’e dduje? Noi siamo

                   gente di pace. E pure religiosa. Io, per esempio, sono ebreo!

I due:        (Si disperano) Oh, no! Stattu zitto!

Hans:        (Lo guarda male) Cosa? Ebreo?

Germano: Ma pecché, che tenìsse ‘a dicere?

Hans:        (Imbarazzato) No, niente.

Germano: Ah, me penzavo! E a voi due, perché ci stanno quelle armi nel mio retrobottega?

Emilio:      Papà, mamma, lasciateci lavorare in pace. L’ora della riscossa è arrivata!

Renato:     Libereremo Napoli dai nazisti una volta e per sempre!

Hans:        (Li sfida) Bravi! Ma vostre armi sono in bottega. Adesso siete disarmati!

I due:        (Li sfidano) Ah, sì? Ah, sì?

                   Aprono gli scatoloni e prendono dei cartocci di dolci.

Renato:     In questi cartocci ci stanno… ci stanno… (Osserva e rimane sconvolto) Che?

Emilio:     (Sconvolto) Rrobba ‘a magnà? Ma che cacchio ce ha purtato, Fausto Infausto?

Renato:     Ma non ci doveva portare i fusil?

                  Dal corridoio di destra arriva Fausto con un altro scatolone.

Fausto:      I fusilli stanno in questo scatolone!

Emilio:      E comme ‘a facìmme ‘a guerra contro ‘e nazisti? Cu’ ‘e dolce? Cu’ ‘e fusilli?

Hans:        (Li deride) Ahahahahah, e voi vorreste sconfiggere nazisti?

Renato:     Sì! Noi abbiamo distrutto la vostra base a Via Duomo 250, interno 1!

Emilio:      E abbiamo eliminato i tedeschi! Abbiamo eliminato i tedeschi!

                   Dal corridoio di sinistra ecco Ivo e Loredana, trasandati, coi visi bruciacchiati.

Ivo:            Sì?

Emilio:      E chi site, vuje?

Iv&Lor:    Itedeschi!

                   Renato ed Emilio rimangono sconvolti. Gli altri li osservano.

FINE ATTO SECONDO

            Cinque anni dopo, stessa strada. Non ci sono cambiamenti, se non uno: al posto della drogheria, c’è una taverna con tanto di tavolini (tre) e sedie.

ATTO TERZO

1. [Germano, Ivo e Fausto. Poi Hans]

                   Dall’interno della locanda, si sente gente cantare “’O surdato ‘nnammurato”.

Voci:          “Oje vita, oje vita mia / oje core ‘e chistu core / si’ stato ‘o primmo ammore / ‘o

                   primmo e ll’urdimo sarraje pé meeee!”…

                   Si ode un applauso finale. Poi dalle porte escono Germano ed Ivo (ben vestiti).

Germano: Caro podestà, quanto abbiamo mangiato!

Ivo:            Signor Partenopeo, mi chiamate ancora podestà? Ormai non lo sono più.

Germano: E’ l’abitudine. Ma sediamoci due minuti qua fuori, così digeriamo.

                   I due si siedono ad uno dei tavolini.

Ivo:            Sono passati cinque anni dalla fine della guerra e quattro dall’eruzione del

                   Vesuvio. Ma io ricordo con piacere la rivolta dei napoletani contro i nazisti.

Germano: Sui libri di storia, le chiamano “Quattro giornate di Napoli”.

Ivo:            E già. E pensare che io ve l’avevo pure detto: “Ribellatevi, ribellatevi”. Ma pure

                   Badoglio lo aveva detto. 

Germano: Voi lo avevate detto. E pure Badoglio. Però non avete combattuto né voi, né lui.

                   E certo. Chi comanda, non va mai in guerra! Però, nei libri di storia, ci sono solo

                   i nomi di quelli che comandano. E con quali meriti? Quelli di aver comandato.

Ivo:            Ma che dite, signor Germano?

Germano: La verità.

Ivo:            Ah, già, dimenticavo: voi siete quello che dice “’e scemenze”. Lo dicono tutti.

Germano: Ma perché, vi pare che io sto dicendo le scemenze? Quando le cose vere fanno

                   male, si chiamano scemenze!

Ivo:            Signor Germano, ma mò me vulìte sfruculià a me? Siamo in tempi di pace.

Germano: Sembra così, perché non si spara più. Ma l’essere umano non sarà mai in pace.

                   Non è nella sua natura. E chi comanda, continuerà a mandare gli altri a

                   combattere al suo posto. E’ ‘o vero, o no?

Ivo:            (Si alza in piedi, stizzito) Basta così. Il nostro colloquio è finito. Voi la pensate

                   in un modo, io in un altro. Torno dentro a cantare con gli altri. Con permesso.

                   Ivo torna nella taverna. Germano pare essersi liberato da un peso.   

Germano: So’ sei anne che ce ‘o vvulevo dicere e ce ll’aggio ditto. ‘E che suddisfazione!

                   Dalla taverna stavolta esce Fausto.

Fausto:      Signor Germano, che ci fate qua fuori, solo soletto?

Germano: Piglio un poco d’aria.

Fausto:      (Si siede al tavolino) Vi piace il mio locale?

Germano: E’ sfiziusiello!

Fausto:      L’ho comprato proprio qui, perché è vicina a via Duomo, dove sono nato io. Mi

                   ricordo il giorno che sono venuto a cercarvi per comprare la vostra bottega. Quel

                   giorno incontrai i vostri figli. (Se la ride) E pensare che quelli cercavano le armi

                   da me, invece io ho capito che quelli volevano da mangiare!

Germano: (Ride pure lui) Che massa ‘e scieme!

Fausto:      (A fine risata) E intanto, sono stati eroici. Si unirono ad altri ribelli contro i

                   nazisti. A proposito, ma che fine hanno fatto?

Germano: Dopo la guerra, sono andati in Germania a vedersi la causa di Norimberga!

Fausto:      La causa di Norimberga? Caso mai, il processo di Norimberga! E’ quello dove i

                   nazisti sono stati condannati. Ma Emilio e Renato stanno ancora in Germania?

Germano: No, non più. Quei due, non contenti di quello che hanno fatto contro i tedeschi,

                   sono andati in giro per il mondo a fare le guerre degli altri. ‘E che capa fresca!

Fausto:     Ma forse li pagano?

Germano: No. 

Fausto:      Allora lo fanno per la gloria?

Germano: No. Lo fanno… pecché so’ scieme!

                   Dal locale esce il cameriere (che è Hans) a pulire i tavolini. Germano lo nota

                   ma non lo riconosce.

                  Questo è il vostro nuovo cameriere?

Fausto:     Ma come, non lo riconoscete?

Germano: (Lo osserva bene) Hans?

Hans:        Sì, sono io.

Germano: Ma come? Tu non eri finito nel processo di Norimberga?

Hans:        Io non sono mai stato arrestato da forze alleate. Mi ha nascosto signor Fausto.

Fausto:     E grazie alle mie amicizie, approfittando del caos della guerra, gli ho fatto dei

                  documenti falsi. Però lui, se non vuole farsi scoprire, deve starsi zitto.

Germano: E sui documenti non si vede che è nato in Germania?

Hans:        No, io sono nato in Austria, a Innsbruck.

Fausto:     Sì, ma mò nun parlà cchiù.

Germano: E bravo a Hans, si’ gghiuto buono doje vote: ‘na vota cu’ me e ‘na vota cu’ ‘o

                   signor Fausto. Ma ricordati una cosa: se la giustizia dell’uomo non ti

                   raggiungerà, stai tranquillo, ci sta quella di Dio.

Hans:        Perché mi dici questo? Non siamo più amici?

Germano: Ricordo ancora le tue parole di cinque anni fa: “Ti devo arrestare, ti devo far

                   soffrire, ti devo uccidere…”. E tu vuoi essere ancora mio amico?

                  Hans, senza aggiunger altro, abbassa il capo e torna nella taverna.

Fausto:     (Si alza in piedi) Signor Germano, torniamo dentro pure noi.

Germano: No, grazie, tra un po’ torno a casa mia. Voglio riposarmi un poco.

Fausto:     Come volete. Mi fa molto piacere conoscervi, anche se avete quel difettuccio!

Germano: Quale?

Fausto:     Dite le “scemenze”! Con permesso!

                  Torna nella taverna. Germano si alza in piedi.

Germano: Comincio a pensare che veramente io dico le scemenze. Però… che me ne

                  ‘mporta? Io ‘e vvoglio dicere!

                  Va nel palazzo a destra.

2. [Vittoria, Franca e Ludovica. Poi Emilio e Renato]

             

                   Dalla taverna escono Franca, Ludovica e Vittoria, vestite in modo elegante.

Franca:     Signora Ludovica, appena è finita la guerra, ho comprato tanti bei vestiti.

Ludovica: E pure io.

Franca:     E voi no, signora Vittoria?

Vittoria:    Io no. Ho preferito comprarmi una casa nuova, nuova!

Ludovica: Veramente? Auguri!

Vittoria:   Grazie.

Franca:     E dove l’avete comprata?

Vittoria:   (Indica il palazzo a destra) Là!

Franca:     Veramente? E a che piano?

Vittoria:   Primo piano.

Franca:     Uh, come me. Allora adesso siamo vicine di casa. Posso venirvi a trovare?

Vittoria:   Ma certamente. Allora, vogliate scusarmi. Vado a riposarmi un poco a casa mia.

Franca:     Già ve ne andate?

Vittoria:    E sì, tanto, non ci sta più niente di interessante! Allora, arrivederci.

                  Vittoria va via nel palazzo a destra. Le due rimaste, si guardano perplesse.

Franca:     Che donna strana!

Ludovica: E già, strana assai. Beh, io direi di accomodarci due minuti.

                  Le due si accomodano al tavolino.

                  E allora, signora Franca, non vedo i vostri figli da un po’ di tempo. Come mai?

Franca:     Che volete che vi dico? I miei figli si stanno sfiziando a fare i guerrieri!

Ludovica: In che senso?

Franca:     Siccome non lavorano, allora vanno in giro per il mondo a cercarsi i guai!

Ludovica: Ma che capa tosta che tengono! Quelli potevano lavorare nella bottega del papà,

                  e invece gliel’hanno fatta vendere.

Franca:     Signora, non mettete il dito nella piaga. Speriamo solo che un giorno tornano

                  sani e salvi. Ma non li vedo da quattro anni. Saranno ancora vivi? 

                  Dal corridoio di destra, si sentono applausi e ovazioni.

Ludovica: Signora, li sentite questi applausi? Ma chi sta arrivando?

Franca:     Boh!

                   Dal corridoio di destra, entrano Emilio e Renato, trasandati, con barba folta.

                   Hanno un fagotto ciascuno.

Renato:     Emì, hai visto la gente come ci ha accolto? Ormai siamo diventati degli eroi!

Emilio:      Ma si’ sicuro? Nisciuno s’arricurdava ‘o nomme nuosto! A me, per esempio,

                   m’hanne chiammato Peppe!

Renato:     E con ciò?

Emilio:      Ma io me chiammo Emilio!

Renato:     E a me m’hanne chiammato Lello! Forse ce hanne scagnato p’ati ggente! Mah!

Ludovica: (Li nota) Signora, guardate, due vagabondi.

Franca:     Ma no, quelli sono i figli miei. (Si alza in piedi) Emilio, Renato!

Renato:     Uh, he’ ‘ntiso? Coccheduno s’è arricurdato ‘o nomme nuosto. Grazie, signora!

Emilio:      Ma che signora? Chella è mammà!

I due:        (Corrono ad abbracciare Franca) Mammà, mammà!

Loredana: (Commossa) Che scena commovente!

Emilio:      Mammà, e chi è ‘sta signora?

Franca:     Ma come, è la moglie del podestà.

Loredana: Prego, accomodatevi vicino a noi e raccontateci un po’ di belle cose.

                   I due si siedono.

Renato:     Dunque, io e mio fratello Emilio, abbiamo girato il mondo.

Franca:     Ma dove siete stati?

Emilio:      Eh, mammà, si tu sapisse! Nel 1945 siamo stati a Caserta. Ci siamo uniti contro i

                   nazisti insieme ai parmigiani!

Renato:     (Lo corregge) Partigiani!

Emilio:      Appunto! Mammà, è stata una battaglia spettacolare. Che peccato che non ci

                   stavate pure tu e papà!

Franca:     Io e papà avéssema avuta sta’ a Caserta? A ffa’ ‘a guerra? P’ammore ‘e Dio!

Renato:     Ma noi non siamo stati solo a Caserta. Nel 1946 siamo partiti per la Grecia.

Emilio:      Sì, bellissima. Ci stava la guerra civile. Infatti abbiamo combattuto a Agropoli!

Loredana: A Agropoli? Ma pecché, Agropoli sta in Grecia?

Renato:     Ma no. Emì, non è “Agropoli”. Noi abbiamo combattuto nell’Acropoli, a Atene!

Emilio:      Appunto! E poi, nel 1947 siamo andati a fare la guerra civile cinese.

Loredana: In Cina?

Emilio:      (Ironico) E allora addò? In Egitto?

Franca:     E come facevate a farvi capire dai cinesi?

Renato:     Ma noi napoletani non abbiamo bisogno di conoscere il cinese per farci capire!

Loredana: E siete rimasti in Cina fino ad oggi?

Emilio:      Ma che? Poi dopo ci siamo trasferiti in Sudamerica. Siamo andati in Paraguay e

                   in Uruguay: praticamente, addò ce stanne ‘e guai!

Renato:     Però là ci stavano delle condizioni igieniche pietose: zecche, pidocchi e pulci!

Emilio:      Anzi, Renà, me puo’ ‘rattà areto ‘a schiena? Tengo ‘na pulce ‘int’’a cammisa!

Renato:     Niente di meno, te l’he’ purtata d’’o Paraguay? (Gratta la schiena ad Emilio)

Emilio:      No, chesta sarrà ‘na pulce cinese. E comme sta arraggiata! Io già me la

                   immagino: con gli occhi a mandorla! 

Franca:     Insomma, non vi è bastata la nostra guerra. Ne avete combattuto pure altre.

Emilio:      Mammà, ma noi non abbiamo ucciso a nessuno.

Renato:     E poi, abbiamo fatto un’esperienza nuova.

Emilio:      E mò ce murìmme ‘e famme. (Guarda la taverna) Ma papà ha chiuso la

                   drogheria e si è aperto una taverna? Bravo, allora adesso mangiamo qua da lui.

Franca:     Nun è papà. E chillu signore, comme se chiamma? Fausto Infausto.  

Renato:     (Si alza in piedi) E allora io e Emilio andiamo a mangiare dal signor Fausto.

Emilio:      (Si alza in piedi) E già. Poi paghi tu oppure papà! Va bene?

Renato:     Allora, con permesso.

Loredana: Prego, prego, andate pure.

Emilio:      Renà, devo chiedere a papà dei soldi. Mi devo comprare un carro armato.

Renato:     (Avviandosi verso destra) Ma che te n’he’ ‘a fa’? Io mi comprerei più un aereo.

Emilio:      (Avviandosi verso destra con Renato) Bravo, ottima idea!

                   Entrano nel locale. Loredana nota Franca turbata.

Loredana: Signora Franca, qualcosa non va?

Franca:     No, niente. (Si alza in piedi) Venite, entriamo. Mi compro una bottiglia di vino.

Loredana: (Si alza pure lei) Per fare che?

Franca:     M’aggia ‘mbriacà ‘nu poco!

                  Entra nella taverna. Loredana, perplessa, la segue.  

3. [Antonella e Jack. Poi Germano e Vittoria. Poi Franca. Infine Emilio e Renato]

                  Dal corridoio di destra arriva Jack. Ha con sé una valigia di cartone.

Jack:         Ah, come sono contento di tornare qui dopo cinque anni. Ero in America e

                  pensavo a Napoli. Spero di rimanere qui più tempo. (Guarda verso sinistra)

                   Ma… cosa c’è lì? Hanno aperto un locale? Voglio andare a vederlo.

                   Vi si avvicina, poi si ferma perché dal corridoio di sinistra giunge Antonella,   

                   coi capelli raccolti in un foulard.

Antonella: Sapevo che saresti tornato in Italia.

Jack:          Tu? Antonella False?

Antonella: No. Non sono né Antonella False, né Antonella Falsch. Sono Antonella Scarda. 

Jack:          Cosa? Non sei un agente italo-americano?

Antonella: Per niente. Ho dovuto fingere per lavorare sotto copertura.

Jack:          Ma non ti hanno fucilata?  

Antonella: Ho ingannato i nazisti, così hanno fucilato un’altra al posto mio. Mi dispiace per

                   quella poveretta che non c’entrava niente, ma ho dovuto salvare la mia pelle.

Jack:          E ora cosa farai?

Antonella: Sparirò per sempre. Ormai, tutti sanno che sono morta. Volevo essere viva solo

                    per te. Addio! E… grazie.

                    Esce via nel corridoio di sinistra.

Jack:           Peccato, era un bel pezzo di spia! Va bene, ora andiamo. Let’s go!

                    Entra nella taverna. Poco dopo, dal portone del palazzo di destra, esce

                    Germano che porta fuori Vittoria, tirandola per un braccio.

Germano:  Signò, comme ve permettite ‘e trasì ‘int’’a casa mia? Ma chi site?

Vittoria:    Uhé, néh, e che v’arraggiate a ffa’? Quella è casa mia.  

Germano:  E quanno ve l’avìte accattata? Stanotte?

Vittoria:     No, io abito là dentro da vent’anni!

Germano:  Ma che ddicite? A vuje, ‘a guerra v’è gghiuta ‘ncapa!

Vittoria:     Come vi permettete? Io vi denuncio per violazione di domicilio!

Germano:  A me? Ma v’aggia denuncià io a vuje!

Vittoria:    No, io!

Germano:  No, io!

                   Dalla taverna escono Jack e Franca che hanno sentito quelle urla.  

Franca:      Néh, uhé, ma che succede, ccà ffora? (Va da lui) Pecché ve state appiccecanno?

Vittoria:    Pe’ colpa ‘e vostro marito.

Germano:  Pe’ colpa mia? Ma è pe’ colpa vosta.

Franca:      Germà, e calmati. ‘A signora Vittoria è venuta a abità ‘int’’o palazzo nuosto.

Germano:  No, nun è venuta a abità ‘int’’o palazzo nuosto, ma dint’’a casa nosta!

Franca:      Eh?

Germano:  E sì. Io me l’aggio truvata ‘int’o lietto nuosto, ‘o posto mio!

Franca:      Aggio capito. M’hanne già parlato d’’a signora. Chella tene ‘nu poco ‘o vizio ‘e

                   ì a abità ‘int’’e ccase ‘e ll’ate!

Vittoria:    Io? Signò, ma tenitavella, ‘a casa vosta. Tanto, manco me piace. Io me ne vaco

                   ‘a casa mia, ‘int’’a Galleria Umberto! 

Germano:  Ecco, brava. Jate, jate!

                    Vittoria si avvia verso il corridoio di sinistra, blaterando.

Vittoria:     Mamma mia, ‘e che brutti ggente! Puzzate passà ‘nu guajo niro!

                    Esce via.

Germano:  E allora, Franca, mò te ne puo’ gghi’ ‘n’ata vota. (Poi nota Jack) E chillo chi è?

Franca:      E’ un americano. Venite qua, signor Jack!

Jack:          (Si avvicina ai due) Salve!

Franca:      Germano, ti presento il signor Jack Pot.

Germano: Piacere, io sono Germano Partenopeo.

Jack:         Ah, voi siete quello che dice le scemenze!

Germano: (Guarda male Franca) Azz, m’he’ fatto addiventà famoso pure in America!

Franca:     Io? Ma io nun so’ maje stata in America.

Germano: E ce vo’ che tu vaje in America? Vabbé, signor Jack, come mai state a Napoli?

Jack:         During the second world war, I was a spy of alliers…!

Germano: Aspettate, ma mò pecché me state parlanno americano?

Jack:         Volevo dire che durante la seconda guerra mondiale, ero una spia degli alleati. Io

                  costruisco razzi da guerra. Però guerra è finita… e pure mio lavoro!

Germano: Ho capito. E mò che volete da qua?

Jack:         Napoli mi mancava troppo. Sono tornato per visitarla. Dove posso dormire?

Germano: Ci stanno tanti alberghi.

Franca:     Ma no, mandiamolo a dormire in una delle case della signora Assunta, quella

                  che abita nel palazzo alle nostre spalle.

Germano: E chi è, mò, ‘sta signora Assunta?

Franca:     La moglie del signor Fausto. Tu nun te prioccupà. Signor Jack, venite con me.

Jack:         Venite anche voi, signor Germano?

Germano: E vabbé.

                   I tre entrano nel palazzo alle spalle. Dalla taverna riecco Emilio e Renato, sazi.

Emilio:      Ah, Renà, che bella magnata ce simme fatte!

Renato:     Comm’è ‘o vero ch’’o sazio nun crede ‘o dijuno!

Emilio:      (Si guarda intorno) Quanti ricordi in questo posto!

Renato:     E già. Emì, lo sai? Ho notato che il cameriere del signor Fausto somiglia a Hans.

Emilio:      Ma tu ‘o ssaje che ll’aggio notato pur’io?

Renato:     Eppure m’arricordo buono: aggio visto a Hans ‘e murì.

Emilio:      E già. Nuje l’amme menato sotto cu’ ‘na Jeep, accussì isso è rimbalzato ‘ncuollo

                   a ‘nu carrarmato che l’ha sbattuto cu’ ‘a capa ‘ncoppa a ‘na mina ch’è

                   scuppiata! Però chi se puteva penzà che mureva?!

Renato:     Emì, ma si’ scemo? Chillo ha passato chellu ppoco!

Emilio:      Io, poi, gli ho lanciato pure una granata piccola: una granatina!

Renato:     (Ironico) Eh, l’he’ menato ‘na grattachecca! Ma che t’he’ araputo, ‘nu chiosco?!

Emilio:      Insomma, il nuovo cameriere del signor Fausto non può essere Hans.

Renato:     E no. Vabbé, io direi, andiamoci a lavare un poco e poi ci buttiamo sopra il letto.

Emilio:      Nun veco ll’ora. Però primma amma salutà a papà!

Renato:     Quel che è giusto, è giusto! Jamme, Emì.

                  Entrano nel palazzo di destra. Dal palazzo centrale tornano Germano e Franca.

Germano: Certo ch’’a signora Assunta è ‘na brava femmena. (Mostra un fascio di verdura)  

                  Guarde ccà, m’ha regalato ‘nu fascio ‘e frijarielle.

Franca:     E nun sultanto, ha truvato pure ‘na stanza pe’ ffa’ durmì ‘o signor Jack Pot. 

Germano: E allora, mò, turnammancenne ‘a casa nosta. T’arricuòrde quanno amme truvato

                   chella bomba ‘ncoppa ‘o lietto nuosto!

Franca:     Infatte!

                   I due entrano a destra (nel palazzo dove abitano). Se la ridono.

4. [Fausto ed Hans. Poi Germano e Franca, Renato ed Emilio. Infine Jack]

                 Dalla taverna esce Hans. Pulisce i tavolini con uno straccio. Esce pure Fausto.

Fausto:      Hans, tu stai qua? Hai detto che volevi parlarmi. Mi spiego?

Hans:         Volevo ringraziarvi per tutto. Ma ho deciso: torno in Germania.

Fausto:      Ma come? Proprio adesso che il mio locale sta andando così bene? Mi spiego?

Hans:         Io non potrò nascondere mia identità per sempre. Voi e vostra moglie, signora

                   Assunta, siete stati come parenti per me. Come Germano e Franca.

Fausto:      Beh, se proprio hai fatto la tua scelta, vai pure.

Hans:         Spero che un giorno potrò ripagare vostra bontà.

Fausto:      Lo spero anch’io.

Hans:         Allora, vado a preparare mie cose.                   

                   Hans entra nel palazzo centrale. Fausto fa delle considerazioni tra sé e sé.

Fausto:      Del resto, ha ragione: quanto tempo ancora potrà nascondere il suo segreto? E sì.

                   Rientra nella taverna. Dal portone del palazzo di destra, esce Germano che

                   porta fuori Emilio e Renato, tirandoli per un braccio. Franca cerca di fermarlo.

Germano: Uhé, massa ‘e fetiente!

Franca:     No, aspié, Germà!

Germano: Stattu zitta! E a vuje, comme ve permettite ‘e trasì ‘int’’a casa mia? Che lengua

                   parlate? Albanese? Jugoslavo? Polacco?

Emilio:      No, sangiuvannaro!

Germano: Sangiuvannaro?

Renato:     Ma papà!

Germano: Siente a chisto! Comme te permiette ‘e me chiammà papà? Quanta cunferenza?

Franca:     Ma comme, Germano, nun ‘e ccunusce, a ‘sti duje?

Germano: No.

Franca:     Nun ‘a siente ‘a voce d’’o sango?

Germano: ‘A voce d’’o sango? Ma che m’he’ pigliato, p’’o vampiro?

Franca:     Cretino, ‘sti duje so’ Emilio e Renato!

Germano: Che?

Emilio:      Papà, non ci abbracci?

Germano: Pe’ carità! Vuje puzzate comm’a doje capre morte ‘e tubercolosi!

Renato:     Ma nun si’ cuntento ‘e ce vedé?

Germano: Aspettate ‘nu mumento, ma vuje site turnate pe’ rimané pe’ sempe?

Emilio:      E si ce ne jamme, addò jamme?

Germano: Niente di meno, nemmanco ‘na cartulina m’avite mannato!

Emilio:      Ma comme, nuje simme state a cumbattere, te mannàveme ‘e ccartuline?

Franca:     No, però almeno ‘na lettera ‘a putìveve scrivere.

Renato:     E ci abbiamo provato, però è difficile scrivere mentre si spara.

Emilio:      Io, poi, sono rimasto invalido alla mano destra. (Mostra un dito indice fasciato)

Germano: E che d’è? He’ perzo ‘nu dito?

Emilio:      No, s’è spezzata ll’ogna!

Germano: (Gli ammolla uno sganassone) Ma mò t’’o dongo, ‘nu pacchero! Néh, Franca,

                   chiste so’ turnate cchiù scieme ‘e primma, e ‘sta vota nun fanne apposta!

Franca:     Néh, uhé, ma vulìmme da’ spettacolo ccà ffora? Basta, nun alluccate cchiù.

Germano: E addò site state?

Emilio:      In giro per il mondo e pensavamo a te. Figurati che mentre combattevamo in

                   Cina, un nemico cinese ci guarda e fa: “Ma vostlo padle è quello che dice le

                   scemenze?”… He’ capito? Si’ famoso pure in Cina!

Germano: Pure? (Poi guarda male Franca) He’ ‘ntiso, a te?

Franca:     Non so niente. Secondo te, io jevo ‘a Cina a ddicere che tu dice ‘e scemenze?

Germano: Vabbuò, po’ facìmme ‘e cunte. M’he’ fatto cunoscere pe’ tutto ‘o munno!

                  Entra nel palazzo di destra, imprecando.

Franca:     Aspié, addò vaje tu sulo?

                  Va con lui. Dal palazzo centrale esce Jack.

Jack:         Che succede?

Emilio:      E chi è, chisto?

Renato:     Ma comme? E’ chillu tizio americano: Jolly!

Jack:         (Va da loro) Ma che Jolly? Io sono Jack!

Renato:     Ma adesso abiti là dentro?

Jack:         No, sono solo ospite.

Emilio:      E già. Chisto è chillo che ce ha fatto distruggere ‘a casa d’’e signori Itedeschi!

Renato:     Infatte. Ma tu che mestiere faje, overamente?

Jack:         Costruisco razzi.

Emilio:      Costruisci razzi?

Renato:     Ho capito, fai il razzista!

Jack:         Ehi, are you angry!

Emilio:      Eh?

Jack:         Are you angry?

Renato:     (A Emilio) Vò sapé si simme ‘e Angri!

Emilio:      No, simme nate a San Giuanne, però stamme ccà ‘a quanno éreme piccerille!

Jack:         Ma no, “Are you angry?” vuol dire “Siete arrabbiati?”. E perché? Why?

Emilio:      Appunto, tu ce he’ procurato ‘nu sacco ‘e guaje!

Jack:         No, why è “perché”.

Renato:     Perché? Vuo’ sapé pecché? Menu male ch’’o podestà nun ce ha visto quanno

                   amme piazzato ‘na bomba sotto ‘a casa soja, o si no ce l’avevema pavà pure!

Jack:         Ma no, non abbiate paura. Dont’be afraid!

Emilio:      He’ capito? Ha ditto che nun è Alfredo!

Jack:         Sentite, voglio mostrarvi una cosa in casa dove sono ospite: una mappa. Voglio

                   mostrarvi mia mappa dentro. My map in!

Renato:     ‘Na mappina?

Jack:         No, mia mappa dentro.

Emilio:      E ‘a mappina?

Jack:         Ma non c’entra. Dont’ be fatuous*!                                                    *(Si legge “fétus”)

Emilio:      A me? Fetuso?

Jack:         No, fatuous vuol dire “sciocco”! Bene, venite con me a vedere mappa. Come in!

                   Si avvia nel palazzo centrale. Emilio e Renato lo osservano perplessi.

Emilio:      He’ ‘ntiso? Ha ditto: “Cammina”! Ma ce ll’aveva cu’ me o cu’ te?

Renato:     Boh! Renà, tu guardami le spalle. Se fa qualche scherzo, dagli una botta in testa!

Emilio:      Va bene.

                   Entrano, quatti, quatti, nel palazzo centrale.

 

Scena Ultima. [Ivo, Ludovica e Fausto. Poi Germano, Hans. Poi, Franca, Emilio e Renato]

                  Dalla taverna escono Ivo, Ludovico e Fausto.      

Ivo:           State tranquillo, signor Fausto, nessuno dirà niente che il vostro cameriere, in

                  realtà, era quel comandante nazista.

Fausto:     Grazie. Ora però mi toccherà trovare un altro lavorante.

Ludovica: Ma c’è tanta gente che ha bisogno di lavoro. Io, per esempio, avrei due persone  

                  da proporvi. Mi ha tanto pregato la loro mamma di parlarvene.

Ivo:           Aspetta, Ludovica, se le due persone sono quelle che penso io, non è il caso.

Ludovica: E perché?

Ivo:           Si tratta di persone poco affidabili.

Fausto:     Scusate, ma mica stiamo parlando di Emilio e Renato Partenopeo?

Ivo:           Sì, quei due che vanno in giro per il mondo a rovinare le guerre altrui!

Fausto:     Li conosco, li conosco. Va bene, fateli venire da me.

Ludovica: Sarà sicuramente una grande sorpresa per la signora Franca e il signor Germano.

Ivo:           Sì, ma diglielo tu. Io vado a prendere la motocicletta e vado a farmi un giro. 

Ludovica: Vai, vai. Però passa a prendermi più tardi.

Ivo:           Va bene. Con permesso, signor Fausto.

                  Ivo esce nel corridoio di sinistra.

Fausto:     Scommetto che adesso vostro marito va a vedere i lavori ultimati di ricostruzione

                  dei palazzi distrutti. Ci sarà una grande festa in onore di questo evento.

Ludovica: Ci andremo tutti. Ma scusate la domanda, vostra moglie non esce mai di casa?

Fausto:     Se la convincete voi, può darsi che accetti.

Ludovica: Vado subito da lei, col vostro permesso.

Fausto:     Prego.

                  Ludovica entra nel palazzo centrale. Fausto ne è ammirato.

                  Che donna straordinaria. Però ha scelto il marito sbagliato. Sarei stato meglio io!

                  E sistema i tavoli. Dal palazzo centrale esce Hans col suo fagotto in mano.

Hans:        Signor Fausto, io allora parto.

Fausto:     Vai pure. Ma se un giorno cambierai idea, meglio che non tornerai! Ho trovato

                  già due sostituti che lavoreranno al tuo posto! (Gli fa l’occhiolino) Capito?

                  Dopo una stretta di mano, Fausto rientra nella taverna. Cosicché Hans mette in

                  spalla il fagotto. Dal palazzo di destra esce Germano. Si notano.

Hans:        Germano! Posso parlarti un attimo?

Germano: (Disinteressato) Dici.

Hans:        Io parto. 

Germano: Buon viaggio!

Hans:        Ma come? Io mi aspettavo che mi dicessi altre cose.

Germano: E io t’’e vvulesse dicere, però poi rischierei di diventare volgare! E non è il caso.

Hans:        E non mi chiedi nemmeno perché me ne vado?

Germano: Forse il signor Fausto ti avrà licenziato!

Hans:        No. Torno in Germania, così mi consegno alle autorità e subisco il mio giusto

                   processo. Io sono un criminale di guerra. L’hai detto tu.

Germano: E siccome l’ho detto io, tu te ne vai?

Hans:        Ho molto rispetto per te, anche se non hai capito che io eseguivo solo ordini.

Germano: E allora mò te dico ‘na scemenza, una delle mie solite! Il popolo, normalmente,

                   è egoista, pensa solo ai fatti suoi. Poi quand’è che si unisce? Quando ci sono le

                   catastrofi come le guerre. E sai perché? Perché nel dolore, tutti cercano conforto

                   negli altri. Ora, tu obbedivi a degli ordini. Però, finché tu eri dalla parte del più

                   forte, non mi hai mai chiesto perdono di niente. Adesso che le parti si sono

                   invertite, la tua coscienza ti rode. Vai, vai pure in pace. Senza rancore.

                   Dopo una stretta di mano, Germano se ne va nella taverna.

Hans:         Auf Wiedersehen, Neapel! Addio, Napoli!

                   Via per il corridoio di destra. Dal palazzo centrale riecco Emilio, Renato e

                   Jack, intenti a leggere la mappa di Jack.

Jack:          Questo è il punto esatto, tra il Nevada e il New Mexico. Si chiama Area 51.

Emilio:       Ma tu he’ capito, Renà? ‘Into all’area 51 so’ cadute gli extraterrestri. Gli alieni.

Renato:      Praticamente, i marziani.

Jack:          Chiamateli come volete voi. Essi sono stati scoperti in 1947.

Emilio:       Jack, non ce la puoi lasciare questa mappa?

Jack:          Certo, tenetela pure. Però vi raccomando, non la perdete.

Emilio:       Stai tranquillo. (Legge qualcosa sulla mappa) Ma che ci sta scritto qua sopra?

Jack:          E’ un messaggio che avrebbero detto gli alieni appena catturati.

Renato:      Ah, ma parlano pure?

Jack:          Of course! Ho capito, è inutile che mi guardate. “Of course” è “naturalmente”!

Emilio:      Va bene, allora grazie, grazie.

Renato:      Poi ti facciamo sapere.

Jack:          OK!

                   Renato ed Emilio corrono nell’ingresso del palazzo a destra. Jack è soddisfatto.

                   Bene, ora vado a passeggio un po’ a Mergellina. (Canticchia) “’O sole mio…!”

                   Esce via nel corridoio a sinistra. Dalla taverna tornano Germano e Fausto.

Fausto:      Caro signor Germano, voglio assumere i vostri figli come camerieri nel mio

                   locale. Siete contento?

Germano: E certamente. Io vi ringrazio tanto. Non ho parole. Appena li vedo, glielo dico.

Fausto:      E loro saranno sicuramente contenti.

                  Dal palazzo di destra, esce Franca che richiama Emilio e Renato (coi fagotti).

Franca:     Ma che vulite cumbinà, ancora? Nun site maje cuntente, tutt’e dduje?

Germano: (Accorre) Néh, ma che sta succedenno?

Franca:     I tuoi figli vogliono partire un’altra volta.

Germano: No, nun partite. ‘O signor Fausto v’ha da dicere ‘na cosa. Venite, signor Fausto!

Fausto:     (Va da loro) Cari Emilio e Renato, ho il piacere di annunciarvi che vi assumo 

                   nel mio locale come camerieri. Voi due lavorerete tutti i giorni, dal lunedì alla

                   domenica, giorni festivi compresi. Mi spiego? Sono stato esauriente?

Emilio:      Sì, ce avite proprio esaurito!

Fausto:     Come, non siete contenti?

Franca:     E invece sentite che s’hanne mise ‘ncapa ‘sti duje.

Renato:     Due anni fa in America è caduto un UFO. Hanno acchiappato degli alieni.

Franca:     Io? Sentite, ma voi due che ci azzeccate con questi alieni?

Emilio:      Io e Renato vogliamo cambiare guerra: si va negli USA a combattere gli alieni!

Renato:     A proposito, lo sapete qual è stato il loro messaggio?

Emilio:      Sono venuti sulla Terra a conoscere l’uomo che dice le scemenze! Cioè tu, papà!

Germano: (Guarda male Franca) M’he’ fatto cunoscere pure ‘ncoppa a Marte!

                   Franca osserva perplessa Germano che la richiama.

FINE DELLA COMMEDIA