Chi non muore si rivede

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“CHI NON MUORE

SI RIVEDE”

Due atti di Bruno Alvino

Personaggi in o.d.e

Guglielmo Perla (suonatore)

Letizia Perla (sorella di Guglielmo)

Gustavo Palladino (giudice in pensione)

Diana (figlia di Gustavo)

Don Gaetano Strozza (Parroco)

Paride

Cicerone

PRIMO ATTO

Sala di attesa di una piccola e inutile  stazione ferroviaria abbandonata, dove non fermano più treni.. La sala è “abitata” e attrezzata con il necessario, da un uomo che si è ritirato a “vita privata”: Cucinino, piccolo frigorifero, una minitivu, tavolo e  tre sedie, una piccola scrivania con qualche pila di libri, altra mobilia di fortuna.  In  un armadio senza  ante, sono allineati  sulle mensole alcuni oggetti: ferri da stiro vecchi, antiche radioline, un mangianastri a cassette tanto in voga tra gli annio 70 e 80,  un vecchi giradischi, vasi, e altro a piacere… insomma oggetti  fuori uso che sono  in attesa di essere aggiustati, o sono già stati riparati.  Due brevi corridoi si intravedono in fondo a dx che immette al bagno e a sx nell’ingresso.All’apertura del sipario, la scena è vuota e illuminata da due neon, la musica che ha accompagnato l’apertura del sipario lentamente sfuma. Dopo un tempo Guglielmo, accompagnato da sua sorella Letizia fa ingresso in scena. 

Scena 1^ (Guglielmo, Letizia)

Guglielmo: (uomo goffo, vestito con una divisa da suonatore di banda musicale visibilmente stretta. Porta gli occhiali in quanto astigmatico. Reca con se un borsone e un sacchetto che contiene il suo strumento: i piatti. Nel suo parlare, per niente forbito, inserisce continuamente la frase “voglio dire” ed ha un linguaggio sregolato quando prova  a parlare l’italiano. Osservando la sala) Ma questa, voglio dire, non è la sala dell’attesa. Tutto mi sembra a me fuorchè la sala dell’attesa di una stazione, voglio dire,

Letizia: (donna sulla cinquantina, vestita in modo bigotto. Terribilmente ansiosa. Ha bisogno di rassicurazione su tutto e il suo continuo interrogare  mette pressione al fratello) Perché la stazione… ti sembra una stazione? Mamma mia… Non è che abbiamo sbagliato? E se abbiamo sbagliato?  Gesù Guglie’… dove siamo capitati? Addo’ stamme?

Guglielmo: Addo’ stamme?  Nella sala dell’attesa della stazione! Addo’ stamme!! E’ una stazione sfrequenziata,  voglio dire, come una chiesa dissacrata, non hai sentito il capotreno? Quà non ferma più nessun treno. A maggior ragione, voglio dire, io la sala dell’attesa me l’aspettavo sporca e dilaniata…invece questa è proprio un’abitazione.

Letizia: …di fortuna…

Guglielmo: Di fortuna…ma ben curata…pulita, voglio dire. (avvicinandosi al corridoio  a dx)   questo sarà il bagno…infatti, ‘O vide?…-W.C.- ci sta ancora la targhetta, e ci sta pure un’altra porta.. e dove porta (sparisce a dx)  sarà uno sgabuzzino… (di dentro) è uno sgabuzzino, voglio dire,  ma ci stanno pure due lettini a castelletto.

Letizia: Comme a castelletto?

Guglielmo: (uscendo)… a castelletto…Uno a coppa all’ato!

Letizia: Si dice: a castelletto? Non lo sapevo…io sapevo...letti a cuccette…

Guglielmo: E’ ‘a stessa cosa.

Letizia: Io da sopra non ci dormo. Si vaco ‘a vascio  dint’’a nuttata? Me rompo ‘na coscia? ‘Na costola? E tu poi come mi ci porti all’ospedale. Nun sia maie. No, no! Tu dormi sopra e io sotto.Ci dormi sopra Guglie’? Ci dormi?

Guglielmo: Si, si!Ma chi t’ha ditto ca durmimme ccà? Sei sicura? Voglio dire!

Letizia: E allora addo’ durmimme? Madonna, nun durmimme ccà? E che siamo venuti a fare? So’ le 11,25, facimme ‘a nuttata? Putimme maie sta scetate fino alle 6,00 di domani mattina ca passa ‘o pulmann?

Guglielmo: Comunque. Questo è un posto abitato, tutto è testimoniabile che ci vive qualcuno che mangia caca e dorme.

Letizia: E questo qualcuno se non sta  quà a quest’ora dove starà? E po’ esce  e lascia la luce accesa?

Guglielmo: Ma quello le luci si accendono da sole, saranno temporate, voglio dire …

Letizia: Temporate?

Guglielmo:Tempizzate.

Letizia: Tempizzate?

Guglielmo: Ae, s’appicceno e se stutano solo loro. Comunque vedimme ‘e piglia ‘o principio! Che facimme? Aspettiamo questo qualcuno? Io dicesse iammece a cuccà’ , uè questo è un luogo pubblico voglio dire. Che fa? Si vene ce po’ dicere maie quacchecosa?

Letizia: Nun ‘o saccio? Ci può dire qualcosa Guglie’?

Guglielmo: Mannaggia ‘a capa toia. Nuie ievemo co’ ‘a machina, a quest’ora stavamo già a casa. Nossignore, col treno!

Letizia: Tu che vuo’, io mi metto paura con l’auto!

Gulielmo: E te staie a casa. Nun sta scritto a nisciuna parte che devi venire appresso a me ogni volta che vado a suonare, voglio dire.

Letizia: Tu sei tu che me lo chiedi.

Guglielmo: lo so, ma tu puoi dire pure di no.  Voglio capire quando la festa è vicina, ..adesso tutta la banda già sta  a casa e nuie avimme  vede’ dove dormire…, se stavo solo mi potevo pigliare  il passaggio co’ Beniamino ‘o clarinetto, ma quelli erano già in quattro..mi ha fatto pure la battuta…:Sei venuto col treno? E col treno te ne torni!

Letizia: E quelli ci hanno secciato, so’ loro che hanno fatto scassà ‘o treno.

Guglielmo: ‘N’altra mezz’ora ed eravamo arrivati, quello era pure in perfetto orario… voglio dire.

Letizia: Infatti. Ma tu che vuo’, io specialmente chillu… trumbettiere…comme se chiamma, …Tristano…, già ‘o nomme è tutto ‘nu programma, ‘o tengo pe’ malo augurio.

Guglielmo: ‘O trumbettiere?!…, se dice trombettista..o meglio ancora semplicemente..la tromba. Mamma mia e pure sei una maestra scolastica, voglio dire.

Letizia: Che c’entra, mica insegno musica, so’ maestra elementare, e tu nella banda che sei ‘ … ‘O piattista? ‘O piattiere? ’O piattaro?

Guglielmo: Aè…, ‘o robavecchia! Spiritosa…, semplicemente <suonatore di piatti>, io sono suonatore di piatti. Ecco!

Scena 2^ (Diana, Gustavo e Don Gaetano)

Diana: (Giovane donna, ben vestita e appariscente. Parla bene, arrogante e saccente, non è certo un tipo simpatico. Entra con qualche borsa/valigia dalla porta di ingresso insieme al padre Gustavo e don Gaetano; notando i presenti e l’aspetto di quella che credeva sala d’attesa) Buonasera, scusate , ma questa è la sala d’attesa?

Guglielmo: Dovrebbe!

Diana: Invece?

Letizia: Non vedete? Cucinino, televisione…di là ci stanno pure due lettini. Se non fosse che la stazione è abbandonata, si potrebbe pensare ca ‘e ferrovie hanno pensato e mettere quacche comodità in più nelle sale d’attesa…e po’ chesta è tutta mobilia vecchia e usata.

Guglielmo: Ma voi avete cambiato idea, voglio dire?

Diana: E si! Ci pigliamo pure noi l’autobus di domani mattina e arriviamo a Santa Croce e poi di là con un taxi ci facciamo portare a casa. La circolazione dei treni non riprende, secondo me, prima di mezzogiorno, che dovevamo fare? Passavamo tutta la notte nel treno e pure la mattinata di domani?

Guglielmo: E avete pensato bene. Chillo po’ da Santa Croce a ‘o paese vuosto che ce vo’. Pure voi Don Gaeta’?

Don Gaetano: (Abito da prete giaicia  andracite con camicia e colletto bianco, reca con se solo una borsa da ufficio. Un paio di occhiali spessi da vista. Persona pratica, colta e arguta.) E certo! Se sto quà…! Solo che, a quanto pare si va di male in peggio. Nel treno almeno stavamo seduti, invece quà ci stanno,  solo due lettini…a quanto sento…

Guglielmo: (con intenzione)…e tre sedie… voglio dire, …sì due lettini…….già occupati…tra l’altro….sapete….chi tarda arriva ..non si alloggia.

Letizia: …male alloggia…Guglie’..

Guglielmo: No, io volevo dire proprio : non alloggia! Se dicevo : male alloggia, si poteva pensare ca ce astrignevemo, ca ‘e lietti c’’e spartevemo.

Diana: Evviva la solidarietà! E se i lettini, come dovrebbe essere, essendo una sala d’attesa, non c’erano proprio?

Guglielmo: Ci stavano le panche …ma visto che i lettini ci stanno…..

Letizia: …Ce cuccammo nuie che simme arrivate primma.

Don Gaetano: E va bene. Vuol dire che ci arrangeremo su queste sedie, sono giusto tre, adesso non vale più la pena rifare la strada sui binari di nuovo fino al treno.

Diana: Però… voglio dire,..io tengo a mio padre, lo vedete, …una persona  anziana…

Gustavo: (persona  anziana, vestito per bene con giacca, gilet  e cravatta. Soffre di una leggera forma di Alzheimer, per cui di tanto in tanto parla  a vanvera. Molto severo nel parlare, autoritariocon la figlia  . E’ un ex giudice di Cassazione, ma prematuramente in pensione per via della salute)Anziano!? Stai zitta. Chi sarebbe anziano? Io? Tu sei una cretina! Vergogna. Vergogna. Perché non dici piuttosto che sei tu ad agognare il giaciglio  e che vuoi  servirti di me, per crearti un movente, per dormire comoda, con  la scusa  che devi attendere ai tuoi doveri morali di figliolanza,…  badare a me durante la notte. ( Sedendosi) Scusatela signori. Mia figlia è una cretina, un’oca, una deficiente…ecco. Tu sei una deficiente. Ma come ti viene in mente , dico, di mettere me in mezzo per i tuoi piccoli e miseri trucchetti, che sempre usi quando devi ottenere qualcosa?!

Don Gaetano: Giudice, giudice, non mi sembra il caso di esagerare. Caspita, ma voi picchiate duro …in fondo vostra figlia mezza parola ha detto e magari era veramente sua intenzione cercare di farvi riposare meglio.

Diana: Lasciate stare Padre, ve l’ho detto, papà soffre, ogni tanto sbrocca e dice cose senza senso.(rivolta al padre)La pasticca, non te la sei presa? (Gustavo, intanto,  continua  a mimare un suo ragionamento, confermando con questo il significato delle parole della figlia)

Gulielmo: Ma, quello che ha detto….qualche senso ce lo aveva… voglio dire.

Diana: Del resto abbiamo solo trascorso un’ ora e mezza insieme nello stesso scompartimento; ci siamo messi a chiacchierare un poco, anche perché eravamo rimasti solo noi nel treno,  non ci conosciamo, …,  mi sembra poco per aspettarsi, …un gesto, ecco, …nel momento che il treno si guasta in piena campagna alle 11 di sera  e la circolazione viene interrotta fino al giorno dopo. Cose  che , tra l’altro, possono accadere solo in Italia. Io a stento so’ che il signore si chiama  Guglielmo Perla e che suona i…..piatti in una banda musicale, sua sorella si chiama Letizia e voi Don Gaetano siete il parroco di Pescasseroli.

Guglielmo: Sbaglio o c’è dell’ironia? I piatti..embè?

Diana: ‘O strumento d’’o pazziariello. Zum,zum, zum, l’ultima ruota del carro..in una banda musicale.

Guglielmo: Si vede che siete ignorante in materia. I piatti sono uno strumento importantissimo in una banda musicale…sancisceno, ....scandisceno, voglio dire…determineno, ….portano il tempo, voglio dire,  la fine di una battuta…

Diana: …strumento inutile…né solista, né di accompagnamento…

Guglielmo: Ma che capite.

Letizia: E non la rispondere più. Quella sta schiattando! In treno tutto bene mio e core mio..mo’ ha saputo ca ha dda durmi’ ‘ncoppe ‘a seggia……(rivolgendosi a Don Gaetano) Voi fate il parroco a Pescasseroli? Non lo avevo capito. Ci venni una volta in campeggio da ragazzina, a Pescasseroli, con l’azione cattolica.

Don Gaetano: Si, faccio il parroco, da ventidue anni. Pescasseroli ancora oggi è meta preferita per campi scuola …vengono un po’ da tutta l’Italia.

Letizia: Ma siete nativo di Santa Croce.

Don Gaetano: Si, ma me ne  andai dopo le superiori per frequentare il seminario e diventare prete.

Gustavo: I preti? Altra bella categoria. Fa bene il Papa che li condanna , li manda tutti  all’inferno. Sfaticati e mangiapane. Pedofili e concubini.

Guglielmo: E va be’ mo’ state facenno: zimpere e caprette una bulletta…

Gustavo: A tutti piacerebbe fare il prete…grazie,  non fanno niente dalla mattina alla sera…

Diana: Papà? (Fa una risatina di occasione)

Gustavo: E  ridi, ridi, che ridi?  ‘Sta cretina…., come i medici…’n’ata bella razza….Vergogna. Si rubano i soldi della povera gente…per farli morire…, medici, parrucchieri, ferrovieri…pure e‘ ferrovieri…gli gira la testa e fermano un treno…(riprende il suo incessante mimare)

Don Gaetano: (Cercando di riderci sopra) Ma se quando siamo partiti avete detto che i ferrovieri erano una categoria di lavoratori precisi e scrupolosi…

Letizia: (intervenendo) E va bene, Guglie’, mo’ ce vulimme organizzare per andare a dormire? Che facciamo ? La notte di Natale? Ce ne siamo venuti dal treno per riposare meglio…e stamme ancora  allerta.

Guglielmo: E andiamo.

Letizia: Gesù, Guglie’, …però…. e si vene ‘o …..patrone ‘e casa?!

Don Gaetano: Io questo volevo dire…ma,….’sta sala di attesa è abitata?

Guglielmo:  Accussì pare!

Letizia: E se questo è un delinquente? Ce accide dint’’a nuttata?

Guglielmo: Ma quale patrone di casa…ci verrà di tanto in tanto qualche cacciatore…e se l’è attrezzata pe’ ce passà’ qualche nottata, i cacciatori cosi fanno, voglio dire, trovano ‘nu pertuso abbandonato e ci fanno il loro ricoveramento.

Letizia: E tutti questi oggetti? Mado’ a me  me fanno venire in mente ‘e film ‘e Dario Argento…

Guglielmo: Che ne saccio, .. sarà un colllezionista… che ce ne fotte…quanno vene ‘o ssapimme! …si vene!

Diana: Ma noi, almeno il bagno lo possiamo usare?

Guglielmo: Certo, sta quà ..c’è ancora la targhetta : w.c. (lo indica) di fronte allo sgabuzzino dove stanno i lettini.

Letizia: Infatti, chillo ‘e ‘nu sgabuzzino se tratta… ve credisseve ca tenimmo ‘a suite all’excelsior?

Guglielmo: Iate, iate primma vuie, intanto io e mia sorella ci incominciamo a mettere ‘o pisciama. (incomincia  a raccogliere le sue cose, tralasciando i Piatti. Quindi alla sorella) Trase, cuccammece tanto si vene  ccà ce trova e ce spiegammo, è capace ca nun vene nisciuno e stamme tutta ‘a nuttata ad aspettare, voglio dire,…..… ! Dario Argento…?!

Diana: (prendendo il borsone) E vieni papà, vuoi andare prima in bagno?

Gustavo: (alzandosi si avvia  all’uscita a dx) L’articolo 38 delle disposizioni di attuazione al codice civile, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° gennaio 2013, attribuisce, in via generale, al Tribunale per i minorenni la competenza per i provvedimenti previsti dagli articoli 330 e 333 del codice civile…….

Diana: ..Eccetera eccetera…iammo (indicando) di quà, andiamo prima in bagno…. Che vuoi farci, abbiamo la schifezza delle ferrovie. Ma almeno mettete un pullman sostitutivo. (escono)

Guglielmo: Pe’ cinque persone, alle 11,00 di sera? 

Letizia: Quello già è tanto ca te rimborsano ‘o biglietto. E’ vero Guglie’?

Guglielmo: Si Leti’, è vero! Don Gaeta’, voi che fate?

Don Gaetano: Dovrei usare anche io il bagno ma aspetto che vi sistemiate tutti,. Intanto mi vado a fare un giretto pe’ qua’ fuori.

Letizia: Non ce la fate a trattenere?

Don Gaetano: Non è questo. Che avete capito. Vado a farmi solo un giretto. In bagno ci vado dopo. Ma che avete capito? Ci vado dopo…., che faccio come i cani?

Gulielmo:.Ci vediamo domani mattina allora.

Letizia: Buonanotte. (esce a sx insieme al fratello.)

Don Gaetano: Buonanotte.  (esce a dx)

Scena 3^ (Paride  e  Guglielmo)

Paride: (la scena rimane vuota sostenuta da alcune note musicali. Dopo un tempo, un giovane sui trent’anni entra da sx, indossa sopra i pantaloni e la camicia un logoro giubbino di Jeans. Reca con se uno zaino. Non è esattamente una persona intelligente o pare di non esserlo, in quanto, comunque mostra una furbizia pratica. Entrando poggia  il suo zaino sul tavolo e comincia  a parlare  come se parlasse a qualcuno che, lui pensa, sia già nello stanzino a dormire.) Te si gghiuto già a cucca’? E se sape…a te che te ne ‘mporta che fine fa Paride? Ma dico, manco a te preoccupa’..chisto nun vene…che sarà succieso? E se l’hanno accise a Napoli? (toglie, tra l’altro un ferro da stiro dallo zaino) Chisto l’hai accuncia’ ‘n’ata vota ‘o vi’! ‘A signora ha ditto che non va bene, se blocca  ancora…. , io nun capisco pecchè nun ‘e ghiettene ‘sti caccavelle vecchie, dico: pure si te si’ affezionato astipatello scassato  e te ne accatte uno nuovo….. però, capisco pure ca si ‘nun l’accunciassene… tu nun faticasse…. ! (pausa) E vuo’ sape’ pecchè aggio fatto tarde?  La macchina, …s’è fuso ‘o motore. Non si può aggiustare Ti devi procurare un’altra macchina vecchia nuova…io sono tornato co’ mezzi di fortuna. Oggi aggio vennuto tutta’ a borsa…è andata bene…manco ‘n’accendino aggio purtato arreto. Cicero’…Cicerone? E’ inutile ca faie finta ‘e durmi’…(urla) Ciceroneeee!

Guglielmo: (timoroso, già in pigiama da dx facendo capolino) Buonasera…io nun so’ Cicerone. Tu cerchi a Cicerone?

Paride: Sì a Cicerone e tu chi sì’?

Guglielmo: Guglielmo, Guglielmo….Perla!

Paride: Perna?

Guglielmo: Perla!

Paride: Perta?

Guglielmo: Perla. Perla! Ma nun ce siente?

Paride: Sì, comme nun ce sento…ma ogni tanto me distraggo…Perla?

Guglielmo: Bravo. Perla!

Paride: Perla…Perla…per la puttana della miseria io nun te capevo…stavo distratto…tu parlave e io pensavo: che ce fa chisto ccà? Che ce faie?..chi sei?..addo’ sta Cicerone? Aiza ‘e mane…no anze mettele dintt’ ‘e sacche…tanto ‘a pistola nun ‘a tengo. Però si faie ‘na mossa …’o vide ‘o fierro? (mostra il ferro da stiro)Te ‘o scasso ‘n capa. Anze te  ‘o fernesco ‘e scassa’ ‘n capa pecchè è già scassato, Cicerone nun l’ha  accunciato buono.

Guglielmo: (goffamente  esegue) Si. Dunque…’na risposta  alla volta….chi so’…te l’aggio ditto ..me chiammo Gulielmo Perla…suono i piatti…in una banda musicale.. voglio dire.

Paride: ‘E piatte? Che strumento e‘ mmerda.

Gulielmo: Non è detto, ma ne possiamo parlare….magare doppe… posa ‘stu coso, voglio dire, che ce faccio cca’? Dunque…posso leva’ ‘e mane ‘a dint’’e sacche?

Paride: Pecchè?

Gulielmo: No, accussì, …me vulesse mettere ‘e lente.

Paride: Levale…e miette…(poggiando il ferro da stiro)

Guglielmo: (prendendo gli occhiali dalla tasca del pigiama, li inforca) Sai com’è, so’ astigmato…, i contorni non li vedo. voglio dire|

Paride: (alludendo alla stazza di Guglielmo) ‘E cuntorne…ma ‘o primmo e ‘o sicondo ‘e vide buono a quanto pare e pure ‘a frutta e ‘o dolce….Spiègate!

Guglielmo: Che ce faccio ccà? Stiamo di passaggio..

Paride:  Comme?  ….chi? ..stiamo? Sei più di uno ? Sei più di te? Co’ chi staie?

Guglielmo: Co’ mia sorella Letizia. Sta dentro..chella è paurosa, è ansiologa, ..sono uscito prima io ..per spiegarti..e po’ ce sta ‘o giudice co’  ‘a figlia in bagno..e Don Gaetano ‘o parroco ‘e Pescasseroli, voglio dire,..ca s’è gghiuto a fa ‘nu giro…. Ultima domanda.. Cicerone…nun’o saccio e nun saccio addo’ sta…

Scena 4^ (Letizia, indi Gustavo e detti)

Letizia:  (di dentro) Guglie’ posso usci’? C’è pericolo?

Paride:  (con atteggiamento goffamente minaccioso)Chi è?

Guglielmo: (incomincia a preoccuparsi) Leti…zia!

Paride: Ce sta pure tua Zia?

Guglielmo: No, mia sorella…

Paride: E a chi è zia? Tu si’ ‘o nepote?

Guglielmo: No, il fratello!

Paride: E ‘o nepote addo’ sta?

Guglielmo: “La”… nepote. Mia figlia! Sta  a casa con moglierema.

Paride:  E essa addo’ sta?

Guglielmo: Chi?

Paride: La zia?

Guglielmo: Mia sorella? Te l’ho detto: sta qua!

Paride: Fatti capire!

Guglielmo: Io me aggio ‘a fa capi’?

Paride: E sì! Tua zia o tua sorella?

Guglielmo: Mia sorella…

Paride: E pecchè dici che è tua zia?

Guglielmo: Ho detto Letizia. Ma nun ce siente?

Paride: Si, ma me distraggo.

Guglielmo: E stai più attento! (verso l’interno)Leti’ trase, cioè iesce, insomma vieni.

Letizia: (comparendo anch’essa in vestaglia da notte) Guglie’ tutto a posto? E’ isso ‘o patrone  ‘e casa?

Paride: Nossignore, nun so’ io! (a Guglielmo) E’ essa? La sorella? La zia? La zia della sorella? La sorella della zia?

Guglielmo: Si questa è Letizia! Mia sorella!

Paride: Ah?! Se chiamma Letizia?

Guglielmo: E te ‘o sto dicenne?

Letizia: Non siete voi? E chi è?

Paride: Che cosa?

Letizia: ‘O patrone ‘e casa!

Paride: No! E’ Cicerone! Addo’ sta?

Guglielmo: Cicerone? Non lo sappiamo. Quanno abbiamo entrato non g’era nisciuno.

Letizia: Si chiama Cicerone il  padrone di casa?

Paride: Nossignore, nossignore quando mai, però se chiamma Cicerone.

Letizia: Nun capisco se chiamma o nun se chiamma?

Guglielmo: Lascia sta Leti’, ‘o giovane è un po’ distratto.

Letizia: E voi comme ve chiammate?

Paride:  Paride! Ma chisto è proprio ‘o nomme mio.

Guglielmo: Cicerone e Paride…., stamme a posto! Ma quell’altro, Cicerone..è comme a te? Voglio dire, ..pure è distratto?

Gustavo: (comparendo)  Adesso ci vuole un’altra ora prima che esca dal bagno. Che donna ..sempre in un bagno, chiusa dentro. Vergogna. Come i Norvegesi..i norvegesi stanno sempre chiusi in casa , non escono mai…che ggente i norvegesi, fanno sempre le cose al contrario, aeee ‘e norvegesi… so’ peggio degli albanesi, chille po’ nun ne parlamme…aeee l’albanesi? Vergogna. Vergogna.

Guglielmo:  Chisto è ‘o giudice.(interrompendo)Giudice, giudice, aspettate, noi stiamo parlando con il padrone di casa..o meglio, cioè, non ho ancora capito chisto chi è..

Paride: Io so’ Paride..l’aiutante ‘e Cicerone, isso è ‘o padrone  ‘e casa. Mo' 'o vedite 'e veni'.....Io ‘o saccio addo’ è ghiuto! Ogge ha chiovuto…è gghiuto a truva’ ‘e maruzze. Va pazzo p’’e maruzze. (rivolgendosi di scatto a Gustavo)  Voi siete giudice?

Gustavo: In pensione! L’articolo 38 delle disposizioni di attuazione al codice civile, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° gennaio 2013, attribuisce, in via generale, al Tribunale per i minorenni la competenza per i provvedimenti previsti dagli articoli 330 e 333 del codice civile…….

Paride: Ma’ chisto nun sta buono c’’a capa?

Letizia: No, sbarea…

Guglielmo: E’ sclerotico! Non si è preso la pasticca.

Paride: (accennando alla nota canzone) Pigliate ‘na pasticca siente a me..ah aha ah(al giudice)…embe’ ve serveno doie penne? Siete giudice, ‘na penna serve sempe.  (apre lo zaino che aveva poggiato poc’anzi e ne estrae alcune cose compreso un pacco di penne a scatto per dar vita alla sua tentata vendita) Guardate ccà, cheste so’ penne , ma so’ penne speciali, teneno tre cose, uno : l’appendino pe’ s’’a mettere dint’’a sacca d’’a cammisa, guardate  (fa il gesto), doie:  tene ‘o scatto, tac tac, guardate ‘a punta, esce  e trase (fa il gesto),tre:  (svitando  la penna) tene l’inchiostro e scrive.  (rimettendo a posto e poi a velocità tale da rendere incomprensibile ciò che dice  e aiutandosi con le dita pronuncia il suo slogan) stateme a sentì un pacco di penne , ce ne stanno 30, io nun vo’ ‘o do’ pe’ cinque  euro, no pe’ 4,50, no pe’ 4,00, no pe’ 3,50, no pe’ 3,00 nenanche pe’ 2,50 ..me date due euro…

Letizia: Ma che ha ditto?

Paride: Signo’ ce stanno pure pe’ vuie….(ripete lo slogan) cheste so’ penne , ma so’ penne speciali, teneno tre cose, uno : l’appendino pe’ s’’a mettere dint’’a sacca d’’a cammisa, guardate  (fa il gesto), doie:  tene ‘o scatto, tac tac, guardate ‘a punta, esce  e trase (fa il gesto),tre:  (svitando  la penna) tene l’inchiostro e scrive.  Stateme a sentì un pacco di penne , ce ne stanno 30, io nun vo’ ‘o do’ pe’ cinque  euro, pe’ 4,50, pe’ 4,00, 3,50, 3,00 neanche pe’ 2,50 ..me date due euro…

Letizia: Due  euro?E mo lo prendo ‘nu pacco pe’ mia nipote,  Guglie’, tua figlia consuma tutte chelli penne. Piglio ‘nu muumento ‘e solde (Paride le porge il pacchetto e lei esce a dx)

Guglielmo: Ma pe’ collabora’, cheste so’ penne che scrivono mezz’ora, voglio dire, e po’ nun so bone cchiù..

Paride: Giudice, e vuie?

Gustavo: Nun ‘e voglio, imbroglione  e contrabbandiere, dici la verità sei tunisino, nordafricano…

Paride: Niente affatto, italiano.

Gustavo: Li portate sulla coscienza , tutta quella povera gente ca  vuttate a mare! Quanto vi prendete per portarli in Italia, su quei barconi tutti scassati? Vergogna…

Guglielmo: Giudice, ma ‘o guaglione non fa lo scafista.

Paride: Io ve vulevo vennere ‘nu pacco ‘e penne. Un orologio…, io scafista? Nun saccio manco nuota’..

Gustavo: ( continuando nella sua ennesima arringa) Vergogna, vergogna, tutta colpa di questo governo. Sì la colpa è del governo, e certo, pecchè quelli ci guadagnano, se pigliano ‘a percentuale sullo scafo…aeeee e che nun ‘o saccio, io ‘o saccio. Lo so! Vergogna, vergogna! Come la monnezza, un altro scandalo al sole, le discariche abusive che nessuno vede e tutti si chetano. Un mercimonio indegno…e la pesca proibita…nisciuno parla…a tutti quanti piace ‘o pesce frisco…..Il pesce appena pescato. Vergogna..vergogna…(e sedendosi continua  il suo muto vaneggiare, poi guarda i suoi interlocutori) nun me rispondete? Pe’ forza…siete complici e collusi..vergogna…(riprende ad inseguire i suoi pensieri )

Letizia: (ritornando) Giusto, giusto, li ho trovati spicci. Ecco i due euro.

Paride: (Prendendo le monete) Nun ve serve, niente cchiù? Accendigas pe’ a casa? Sei paia ‘e calzini?

Guglielmo: Niente, nun serve nient’altro. Vulesseme sape’ se possiamo dormire quà? Insomma chi è Cicerone?

Paride: E comme, nun putite durmi! Quà no. A chell’ata parte ce stanno sei lettini sempe apparicchiate con lenzuola, coperte e cuscini, nun se po’ mai sape’..Cicerone ci tiene.. Stanno nel depostito bagagli. Quà no. Quà no. Ce durmimme io e Cicerone.

Scena 5^ (Don Gaetano  e detti)

Don Gaetano: (rientrando) Abbiamo un altro ospite?

Guglielmo: No, è il padrone di casa, o meglio è l’aiutante, da quanto ho capito, del padrone di casa. ‘Nu certo Cicerone. E comunque c’è una notizia buona, di là, nel deposito bagagli ce stanno sei lettini e ci possiamo dormire tutti. Quà no, ci dorme lui e Cicerone.

Paride: E sì! Ce sta pure ‘n’ato bagno ‘dint’’a biglietteria..,Cicerone tiene tutto  pulito….. perciò nessuno lo caccia…tutti sanno e nisciuno sape..zitto chi sape ‘o iuoco…lui taglia l’erbacce, ogni tanto pitta, acconcia… alle ferrovie fa piacere!(con scatto improvviso) Ma quante site? Tenite pure ‘o zi’ preveto appriesso?

Letizia: In tutto siamo cinque: quelli che vedete… più la figlia del giudice, …. ca sta ancora dint’’o bagno.

Don Gaetano: E si!Eravamo nello stesso scompartimento, gli unici viaggiatori, tra l’altro, del treno per Benevento, …

Paride: Che passa ‘a ccà alle 22,50…sì, sì, 22,50.

Guglielmo: Aveveme  quasi giunti, voglio dire, quanto a bello e buono s’è stoppato e non è voluto più ripartire…, nchiummato comme a ‘nu ciuccio…, voglio dire, hanno dovuto chiamare soccorso e a nuie ce hanno ditto che  fosse ripartuto domani nella mattinata e che se volevamo ce putevemo piglià ‘o pulman pe’ Santa Croce  alle sei domani mattina proprio fuori alla stazione.

Letizia: Avimme pensato: ..invece ‘e ce sta dint’’o treno scomodi e che faceva pure freddulillo, è vero Guglie’ ca faceva freddulillo? ..

Guglielmo: Si, è vero!

Letizia: Mo’ ce ne iammo dint’’a stazione che avimme appena passato e ce arrangiamo dint’’a sala d’aspetto. Mai credevamo ca ce steva ‘e casa quaccheduno.

Paride: E no, ce stamme io e Cicerone, Cicerone sta ‘a primma, io so’ venuto ca ero ancora guagliunciello, ma Cicerone già steva ccà.. Primma durmevo ‘nu poco ccà, ‘nu poco llà, insomma …po’ ‘o canuscette e me ne venette co’ isso.. Tutt’e dduie senza famiglia..

Don Gaetano: Come senza famiglia?

Paride: Senza famiglia ! Senza mamma, senza padre, senza sore, senza frate, senza zii, senza cugini.

Don Gaetano: Tutti morti?

Paride: Tutti chi?

Don Gaetano: Mammate, patete?

Paride: Muorte!

Don Gaetano: Fratete? Soreta?

Paride: Figlio unico.

Don Gaetano: Ziete, zieta, cugini, cugine? Morti pure loro?

Paride: Niente affatto. So’ figlio unico di figli unici morti, comme a Cicerone. Io so’ cresciuto co’ ‘e suore Alcantarine, po’ me ne so’ gghiuto. Me vulevano fa fa’ ‘o prevete…

Don Gaetano: E non ti andava?

Paride:  Dove?

Don Gaetano: A nisciuna parte. Io dico: non ti andava?

Paride: E io dico: dove? Chi andava?

Don Gaetano: Nisciuno. Voglio dicere: non ti andava? Nun te piaceva ‘e fa’o prevete?

Paride: Scusate ma proprio vuie, me facite ‘sti dumande? Comme si ‘o prevete fosse ‘nu mestiere. <Quanno si gruosso che te piacesse ‘e fa? L’avvocato? ‘O pizzaiuolo? ‘O prufessore? ‘O ferraro? ‘O prevete?> Nientaffatto, pe’ fa’ ‘o prevete ci vuole la vocazione! ‘O no?

Don Gaetano: (dopo un attimo di imbarazzo) Bravo! Bravo! Volevo vedere proprio che rispondevi. E quindi hai preferito andare in cerca di fortuna…

Paride: ..ca nun l’aggio mai truvata…

Letizia: (interrompendo) Poverino. E invece ‘o cumpagno vuosto?

Paride: Cicerone? Pur’isso, figlio unico di figli unici morti, senza pariente. Ma isso nun è cresciuto co’ ‘e suore…’a mamma e ‘o pate so’ muorte quanno isso era già gruosso. Isso ha studiato, è prufessore d’’a filosofia.

Letizia: Filosofia?

Guglielmo: E sta accampato dint’’a ‘na sala dell’attesa? Voglio dire..

Don Gaetano: Infatti, con uno stipendio da insegnante , se  po’ permettere qualcosa in più..

Paride: Ma chillo nun fa’ ‘o prufessore. Aggio ditto ca è prufessore ma nun fa…’o prufessore…..faceva ‘o prufessore…

Letizia: ‘O…prufessore di filosofia?

Paride: Eh, signo’ ma che parlo giapponese? ‘O prufessore ‘e filosofia…mo’ invece fa ‘o scienziato…

Guglielmo: ‘O scienziato?

Paride:  (indicando gli oggetti sulle mensole) ‘E vedite tutte ‘sti caccavelle? Isso ‘e fa addiventa’ nove.

Don Gaetano: E questo è il suo lavoro?

Paride: Eh! Ce sta ‘nu sacco ‘e ggente ca tene ‘na caccavella ‘e chesta scassata, ma nun ‘a vo’ ietta’ pecchè ci è affezionata. Io ‘a piglio e ‘a porta  a Cicerone. Io sono il suo braccio sinistro.

Guglielmo: Il braccio destro semmai, voglio dire..

Paride: Cicerone è mancino!

Letizia:  Mancino? Mancino e prufessore…..? Di filosofia? (resta pensierosa)

Don Gaetano:  E perché non fa più il professore?

Paride: Mistero! Non lo dice…nun ne parla maie.., dice ca isso ha vissuto due vite…questa è la seconda…

Guglielmo: …..E comunque, se permetti io e mia sorella  ce ne iamme a cucca’. ce vuo’ fa vede’ addo’ stanno’e sei lettini?

Paride: Nun c’è bisogno. Guardate, è facile. Ascite ‘a cca’, passate annanze ‘a biglietteria, di fronte , ce sta scritto pure, >deposito bagagli<. ‘A porta è chiusa, ma mo’ ve dongo ‘a chiave. (va  a prenderla da un mobile)

Guglielmo: E ghiammo Leti’, piglia ‘n’ata vota ‘o bagaglio e andiamocene a letto.

Paride: (tornando con la chiave) E comunque ‘o pagamento è anticipato. Dimane e matina io e Cicerone   ce scetammo tarde, nun ve vedimme.

Guglielmo: ‘O pagamento? Quale pagamento voglio dire?

Paride: ‘A cuccetta!

Guglielmo: Si paga? Voglio dire!

Letizia: Si paga?

Guglielmo: Letizia, e già ce l’aggio dimandato io.

Paride: E certo ca se pava. Voglio dire.  Che ve credite ca è ‘nu dormitorio pubblico? Voglio dire.

Guglielmo: No quanno maie. Chillo è ‘n’albergo a 5 stelle.

Paride: Nun esagerammo mo’. Chiammammelo ricovero.

Letizia: Uh Gesù! Don Gaeta’ vuie sentite? Quello dice ca se paga!

Don Gaetano: Se paga…io credo ca se tratta di una offerta  a piacere.

Paride: E che stammo a messa?

Don Gaetano: Non avrete mica una tariffa?

Gustavo: (intervenendo) I preti, i preti non tengono la tariffa per le messe? Vergogna, vergogna.

Paride: Bravo l’avvocato.

Letizia: Giudice.

Don Gaetano: Ma non è così. Quale tariffa? Le offerte per messe, defunti e matrimoni servono per sostenere la parrocchia.

Paride: Si no se ne cade….

Scena 6^ (Diana  e detti)

Diana: (scorgendo Paride) Ah, è arrivato l’inquilino?

Don Gaetano: (in fretta) Ah ecco, il bagno è libero. Mentre vi spiegate io ne approfitto. Con permesso. (esce a dx)

Guglielmo: Veramente so’ dduie, gli inquilini. Uno è lui e l’altro è un certo Cicerone ca è gghiuto a truva’ ‘e maruzze. Le lumache, voglio dire.

Paride: Ne va pazzo.

Diana: E allora? Ce ne dobbiamo andare?

Letizia: No, anzi. Ci stanno pure altri sei lettini dall’altro lato.

Diana: Benissimo. Allora dormiamo tutti?

Guglielmo: Ma si paga.

Gustavo: (si alza e sempre vaneggiando si avvia all’uscita di sx)

Diana: (lo vede) Papà, dove vai?

Gustavo: Sto quà fuori. Il processo si tira per le lunghe, devo riflettere un poco.

Diana: Non ti allontanare.

Gustavo: Vergogna, vergogna. (esce)

Diana: Non ti allontanare , hai capito non ti allontanare? ( a Guglielmo, riprendendo il discorso) Si paga? E che è un albergo? Una pensione.

Paride: Un ricovero.

Don Gaetano: (rientra) Allora?

Paride: Già avite fatto?

Don Gaetano: (leggermente in imbarazzo) E certo. Che m’avevo ‘a sta llà?

Guglielmo:(a Paride) Ma se non volessimo pagare?

Paride: (mostrando la chiave) Io nun ve do’ ‘a chiave? (scomparendo un  momento a sx)  E chiudo pure queste. (rientra mostrando le chiavi)

Diana: E se noi chiamiamo i carabinieri?

Paride: Comme ‘e chiammate? Ascite ccà fore e ve mettite a allucca’…Caaaraaabiniieriii?! Quà niente telefono. (un silenzio, Paride scorge i Piatti di Guglielmo e li tira fuori)

Diana: (tirando fuori il suo cellullare dalla borsa poggiata sul tavolo) Che problema c’è?

Paride: (con una battuta di piatti) Non c’è campo. Zero tacche.

Guglielmo: Uè, a te posa ‘sti cosi. (Paride sfuggendogli continua a battere i piatti fino a che Guglielmo riesce a fermarlo. Lui tranquillo gli restituisce lo strumento)

Paride: He’ visto? Nun ce vo’ niente a suna’.

Guglielmo: E già pecchè secondo te, hai suonato i piatti! Manco ‘o pazziariello ‘e sona accussì!

Paride: E famme vede’ tu.iamme, iamme.

Guglielmo: (si schernisce ma è visibilmene tentato) Che te faccio vedere? Senza un ritmo, senza un armonia… voglio dire..

Paride: Te ‘o porto io ‘o ritmo!

Guglielmo: Tu?...

Paride: Eh, comme ‘a festa d’’e gigli a Nola…. taratarataratataratara.zum..(continua e Guglielmo ormai preso incomincia  a battere i piatti, interrotto bruscamente da tutti)

Letizia: Uh Gesù, Guglie’ Tu ti metti a suonare. S’è fatta quasi mezzanotte. E ghiammo decidiamoci. (Guglielmo ripone i piatti)

Don Gaetano: Infatti.

Diana: Quanto vuoi?

Paride: Guardate, cinque lettini, tengono lenzuola, cuscino, la rete, ‘o materasso, tutto cose, per cinque lettini me date no 15 euri, no 14, manco 13, ne 12, 11,50,11,10,50 …me date 10 euro e ve cuccate.

Diana: Chesto è tutto? Vendete tutto a 2 euro?

Paride: Simme d’accordo? (cerca di riprendere i piatti) E facimmece ‘na sunata.

Guglielmo: (afferrando la borsa con i piatti) Lascia stare il mio strumento.

Letizia:  E ghiamme arapite ‘n’ata vota ‘a porta ccà, me piglio ‘e borse.(Paride  esegue e scompare con Letizia)

Diana: So’ due  euro a persona. Mi credevo quanto voleva…

Don Gaetano: Si, ma so’ cose da pazzi. Questi non solo stanno quà abusivamente, sulle spalle della società, ci guadagnano pure.

Guglielmo: Infatti, non so’ i due euri, è il principio voglio dire!

Paride: (ricomparendo, a Guglielmo) Tu vieni co’ me…ti mostro le stanze…e ricordatevi, pagamento anticipato (si avvia a sx)

Guglielmo: (Seguendolo) Si, si, mo ti do’ i miei, iamme  facci vedere la suitta. (i due escono a sx)

Scena 7^ (Diana e Don Gaetano, indi Letizia e Paride)

Diana: (poggiando il borsone sul tavolo, lo apre) Mo’ prendo pure i miei, dovrei averli spicci i 4 euro. (incomincia a cercare.)

Don Gaetano: Io non credo di averli 2 euro spicci.

Diana: (cercando nel borsone) Ma non vi preoccupate, quello il resto lo tiene. Li conosco bene questi chiattilli, piangono miseria, ma campano meglio di me e di voi e non fanno niente dalla mattina alla sera.  Dove l’ho messo il borsellino….

Letizia: (rientrando) E Guglielmo?

Don Gaetano: Si è avviato.

Paride: (da sx) Signora Diana, site vuie signora Diana?

Diana: Si.

Paride: Chillo ca sona e‘ piatte ha ditto che v’avevo’a dicere ca ‘o giudice fore nun ce sta.

Diana: Uh Gesù, e addo’ se n’è gghiuto? (lascia il borsone  e si avvia a sx)

Don Gaetano: (seguendola) Vi accompagno. Me sa che stanotte nun se dorme.

Letizia: Quello non sta bene con la testa…tu lo fai uscire da solo? Mo’ sperammo ca ‘o trova. Mio fratello si è avviato?

Paride: Si, sta già ‘a llà. E mi ha pagato pure. Voi non andate?

Letizia: Mo’ vado. Ma questo Cicerone non arriva? Ero curiosa d’’o cunoscere…

Scena 8^ (Letizia e Paride)

Paride: A Cicerone? Tipo strano. Quanno parla se capisce sulo isso. Quanno parla….pecchè a maggior parte se sta zitto. Ma io ‘o voglio bene, pe’ me è comme a ‘nu patre. Però, po’ a vote quanno tene voglia se mette e parla, parla, parla…me dice  ‘e cose d’’a filosofia. Se mette a parla’ ‘e Seneca, Aristole, Palatone,

Letizia: Aristotele, Platone…

Paride: E vabbuo’ io nun ‘e saccio dicere, pur’isso me ‘o dice sempe ma io tengo ‘a capa tosta…me sbaglio ‘o stesso, ‘e vvote dice certi nomme ca sulo isso ‘e  sape dicere…Niesc… Socrate, Epicuro, ‘n’ato tene ‘o nomme comme ‘o sciopero…

Letizia: Schopenhauer…

Paride: Azzo, ma  vuie pure ‘e ssapite…

Letizia: Insomma.., quando ero giovane…pure a me me piaceva ‘a filosofia…ma po’ aggio fatto  ‘a maestra!  Ma è anziano?

Paride:  Chi? Cicerone?  E chi ‘o ssape? Quanno l’aggio ‘ncuntrato ‘e capille bianche ‘e teneva già…, certo nun è ‘nu gugliunciello, ma quant’anne tene nun se sape…non l’ha maie ditto. E chi ce dumanda niente. Chillo quanno le faie ‘na dumanda te risponne sempe….< i passi che hai fatto non li devi pensare più, sono quelli che devi fare che ti interessano.

Letizia: Se vede ca è..filosofo..pe’ chesto se fa chiamma’ Cicerone…., ma che bella coppia che facite: Cicerone  e Paride, ma Paride  è proprio ‘o nomme tuoio invece?

Paride: Si, piaceva a papà..

Letizia: Ma forse sarà uno ca nun sta buono ca ‘a capa?

Paride: Pazzo? Cicerone pazzo vulite dicere? Non vi permettete. Io pure m’’o crerette quanno ‘o ‘ncuntraie, ..eh eh, io parlavo , ca ce vulevo vennere ‘na lente ‘e ingrandimento…e isso me guardava e  nun rispunneva..allora io ce dicette:> Scusate  ma ‘a vulite ‘o no ‘sta lenta…nun ve ‘a do’ pe’ 5 euro, no 4,50, no 4 no 3,50, 3, 2,50 duie euro e ve dongo ‘a lente…. Me guardaie  e dicette: < Non serve una lente d’ingrandimento per vedere meglio le cose, ….basta  guardarle con attenzione..> he capito? E vai vai..Cicerone…! Ato che pazzo.

Letizia: E quindi quanti anni tiene non lo sai?

Paride: Niente affatto?

Letizia: E di dov’è?

Paride: Nun ‘o saccio!

Letizia: E’ sposato? E’ stato sposato?

Paride: Nun ‘o ddice! Nun dice niente? Allora nun capite?

Letizia: Si, si capisco. Ma com’è? Alto ? Basso? Gli occhi?

Paride: Signo’ ma che ve ne fotte?

Scena 9^  ( Don Gaetano, Diana e detti, indi Cicerone)

Don Gaetano: (rientrando con Diana, prendendo il suo borsone e parlando con Diana) Dovete avere pazienza.

Diana: Pazienza? Ne tengo fin troppa? La vita con mio padre è stata sempre difficile, pure quando stava bene. Figuriamoci mo’ che l’ha pigliato l’arteriosclerosi. Non vi dico a casa.  Con mio marito e i miei figli, una guerra tutti i giorni.

Paride: L’avite truvato ‘o giudice?

Diana: Si, se n’era andato un’altra volta sui binari.

Don Gaetano: Voleva denunziare il capotreno.

Letizia: E mo’ l’avete messo a letto?

Diana: E speriamo. So’ venuto a piglia’ ‘e borse…, vostro fratello sta di là? Voi non andate?

Letizia: Si, adesso vado.

Paride: Mi dovete sganciare prima i 4 euro…

Letizia: I miei ve li ha dati mio fratello?

Paride: Sissignore.

Don Gaetano: Io tengo 10 euro intere. (porgendo la banconota)

Paride: Nun ve ne curate…questi chiattilli ‘o teneno sempe ‘o riesto…(esgue)è vero signora Diana? ‘O bursellino l’avete trovato…Signora Diana?

Diana: Sissignore, tienete ‘e miei.(esegue) Hai ragione ca mio padre è malato…se no ti facevamo vedere a te  e a Cicerone…

Paride: Ma pecchè v’arrabbiate signora Diana?  Diana…, Diana, (enunciando)Diana è dea talica, e romana, signora delle sérve e dei boschi, a prutezione ‘e l’animale servatichi e delle femmine. In Grecia invece dicevano ca era la Dea della caccia… era ‘ntussecosa e vendicativa  e aveva fatto voto di essere  vergine…, lo sapevate?

Don Gaetano: Avete sentito quante cose sa il nostro Paride?

Paride: E quello Cicerone ne parla sempre!

Diana: Di Diana?

Paride: Eh, sì, ma nun ‘a po’ vede’!

Letizia: E pecche?

Paride: E nun ‘o saccio.

Diana: Sarà un altro svitato più svitato di lui.

Paride: (improvvisamente serio e minaccioso) Chi? Cicerone? Nun ve permettite ‘o sa’? Cicerone tene ‘na capa ca ‘na femmena comme a vuie pe’ ce parla’ avesse abbisogno d’’a traduzione, signora Diana, …..Cicerone tene ‘na cervella ca è quanto ‘o mare e ‘a vosta a cunfronto è ‘na sardella…signora Diana….. ato ca svitato…Cicerone..vuie manco ‘o canuscite …signora Diana…

Cicerone: (Veste con originalità: pantaloni leggermente arrotolati,è andato in cerca di lumache, che lasciano intravvedere il calzino, scarpe a stivaletto, camicia con farfalla, cardigan, impermeabile largo e basco. Il suo parlare delicato e arguto trasmette serenità e simpatia. Da sx entrando, reca un paniere. Alla vista delle persone rimane sorpreso.) Buonasera. Paride abbiamo ospiti?

Paride: (prendendogli il paniere) Truvate ‘e maruzze?

Cicerone: Poche, mettile nella casseruola. (Mentre si sistema i pantaloni, Paride  esegue)

Letizia: (riconoscendolo, tra commozione  e sorpresa)Lo sapevo! Lo avevo capito. Me l’ero immaginato! Ma voi, tu sei Agostino…?

Diana:(incredula, a stento) Il professor Surace? (A Letizia e Letizia contemporaneamente a Diana) Lo conoscete?

Letizia: Lo conoscete?

Paride: Ve canuscite?

Don Gaetano: Lui è Cicerone?

Cicerone: (dopo una lunga pausa, si siede, osserva le donne e realizza il compiersi di un destino) Non c'è niente da fare un venerdì 17 nell'anno deve sempre capitare e questo per giunta è venuto di novembre. Venerdì 17 novembre...! (Pausa, le osserva ancora, sospira) Chi non muore si rivede! Il destino, ha fatto proprio un capolavoro. Diana? Letizia? Insieme? Vi conoscete?

Letizia: No. Ce simme ‘ncuntrate dint’’o treno! Ma…

Paride: S’è scassato ‘o treno prima del passaggio a livello, devono dormire..ho fatto due  euro a persona.

Cicerone:  Mi trovate invecchiato, vero? Ingrassato? Pure voi però non siete rimaste le stesse. Diana, ti sei fatta bionda? I capelli ricci del liceo che fine hanno fatto? Ricci e castani. Adesso lisci e biondi.

Letizia: Allora sei tu? Sei Agostino?

Cicerone: No! Io sono Cicerone, Agostino non c’è più…c’era …ma se n’è andato, anzi è rimasto…a Regina Coeli.  (a Diana) E paparino, il giudice, come sta?

Paride: Azzo, ma ‘a cunusce buono Cicero’. ‘O giudice sta dint’’o deposito, ma sta fore ‘e capa. E’ sclerotico Cicero’.

Diana: (senza  alzare lo sguardo) No, non è arteriosclerosi. Soffre di una forma di alzhaimer.. Bruschi cambiamenti di personalità e di umore. Ma sta in cura, prende una pasticca e torna normale. Stamattina non l’ha voluta prendere,….  (prendendo il borsone) Bè, io vado a dormire.

Cicerone: Resta.  Non ci vediamo da tanto tempo,….sei sorpresa? Non devi, nulla ci può sorprendere, l'imprevisto.... fa parte ormai del quotidiano....

Letizia: Agostino, ma tu…, io…che fine  hai fatto? E lei chi è? Comme ‘a cunusce?

Cicerone: Diana? La signorina Palladino? Era una mia alunna al liceo.

Don Gaetano: A quanto pare, la veglia si prolunga. Io penso di essere superfluo, vado a dormire.

Cicerone: Al contrario, padre. Anzi, tornate utile, c’è un peccato da confessare. Diana, che dici? Il destino, ci da l’occasione per spiegare finalmente tutto a Letizia. Ne ha il diritto. No? Ha il diritto di sapere perché Agostino fece perdere le sue tracce. Agostino, …il professor Surace non c’è più…è morto. Il suo cadavere è rimasto sul portone del carcere in attesa di resurrezione. Non temere, non lo faccio riaprire il processo. Dopo 35 anni? A quale scopo? Ai vivi si devono dei riguardi, ai morti si deve soltanto la verità. (un silenzio, mentre una musica accompagna la chiusura del sipario sul primo atto.)

Secondo Atto

Stessa scena.

Scena 10^  ( Cicerone  e Paride)

Cicerone: (solo, armeggia vicino ad un ferro da stiro)

Paride: (dopo un po’ rientrando da sx) La cassarola con le maruzze l’ho  appoggiata sul muretto vicino ‘a funtanella, c’ho messo un panno umido sopra.

Cicerone: Va bene.

Paride: L’aggio miso prima  a spurga’ e stasera ‘e cucino.

Cicerone: Va bene.

Paride: ‘E faccio in bianco o con la salsa?

Cicerone: Va bene.

Paride: Che ce azzecca ..va bene? Io ce dumando: ‘E faccio in bianco o con la salsa? E chillo me risponne ..Va bene!

Cicerone: Non ti avevo seguito.

Paride:E dici ..va bene? Senza capi’ dici va bene? Si io per esempio t’avesse ditto : ..’e ghietto ‘e  maruzze? Tu dice : va bene! Io ‘e ghittavo e tu doppe dicive : A ‘’ddo stanno ‘e maruzze?  L’aggio iettato: E chi te l’ha detto’ Tu! Io quanno maie…? Accussì succedeno l’equivoce. Staie distratto!

Cicerone: Abbi pazienza: Con la salsa!

Paride: Va bene! …

Cicerone: Me raccomando, poco peperoncino.

Paride: A me me piaceno forti.

Cicerone: Ma siccome me le devo mangiare pure io è più giusto che le cucini con poco peperoncino. Tu le riesci a mangiare scarse di forte , io no, se il peperoncino è troppo significativo.  Così invece le mangiamo tutti e due. Ti pare? Non come l’ultima volta che non le potetti assaggiare  e te le mangiasti solo tu.

Paride: Ma chillo comme faie  a te regola’, i peperoncini non so’ tutti uguali.

Cicerone: (scattando) E allora cucinale come vuoi e mangiatele solo tu.

Paride: (sorpreso da quello scatto, fa spallucce e prende a sistemare materiale nello zaino. Dopo un lungo silenzio durante il quale mimicamente lancia sguardi di ispezione a Cicerone) Che dici? ‘A truvammo ‘na machina vecchia nuova?

Cicerone: Mo’ vediamo!

Paride: E si deve vedere presto.

Cicerone: Mo vediamo.

Paride: Comme se fa senza macchina.

Cicerone: Come si faceva quando le automobili non c’erano.

Paride: Co’ ‘o cavallo? E nuie addo’ ‘o pigliammo ‘o cavallo?

Cicerone: Allora  a piedi.

Paride: Fino a Napule? E io ci metto tre gghiuorne. Allora truvamme ‘nu cavallo!

Cicerone: Più semplice l’automobile. E’ più facile trovare un automobile che un cavallo. E poi, quando trovi un’automobile trovi contemporaneamente  minimo 600 cavalli.

Paride: Giusto!E po’ ‘a machina, nun mangia e  nun beve…

Cicerone: Mangia, mangia! Mangia e beve.. l’automobile

Paride: Ma no comme a 600 cavalli! Certo:…benzina…meccanico…tasse, no ‘a tassa nun ‘a pagammo, ma tu piense quanta biada se magnassero 600 cavalli e po’ che stalla ce vulesse, ‘a machina invece bastano 3 metri, ‘o cavallo l’hai attacca’ se no se ne scappa, ‘a machina basta ca’a firme, mica se ne fuie  e si è vecchia ‘a puo’ lascia’ pure aperta ca nisciuno s’’a piglia. E po’ alla fine ‘a machina ‘a saccio guida’. ‘O cavallo no, chi l’ha maie purtato .

Cicerone: Enunciazione filosofica sul cavallo e l’automobile! Nella realtà, al momento, non abbiamo né l’automobile né il cavallo, stiamo a piedi.

Paride: Eh, stamme a piedi…

Cicerone: Mo’ vediamo.

Paride: Comme se fa?

Cicerone: Ci sono gli autobus.

Paride: Si, tre al giorno, mattina mieziuorno e sera e ce metteno doie ore a ghi’ e doie ore a veni’..

Cicerone: E allora restatene quà, non ci andare  a Napoli.

Paride: E che facimme, nun cunsignammo ‘o lavoro? Nun vaco ‘a vennere?

Cicerone:  (scattando)E io cosa ci posso fare? Paride , l’automobile per adesso non ce l’abbiamo, fattene una ragione!!

Paride: (rimane mortificato per l’improvvisa collera del compagno, resta per un attimo in silenzio) Stai nervoso? (dispiaciuto torna  ad armeggiare)

Cicerone: (dopo un lungo silenzio scuote la testa) Ma io stavo così bene.(di nuovo silenzio, osserva Paride che pare un cane bastonato, gli si  avvicina, gli accarezza la testa)Il ferro da stiro è pronto.

Paride: (dopo un attimo, lo guarda, gli sorride) Ma io ogge nun ce vaco a Napule, si e no me so fatto doie ore ‘e suonne. Ce vaco dimane…co’ l’autobus… Dopo mangiato me ne vaco a durmi’.

Cicerone: Ma pecchè sei restato?  Potevi andartene a letto.

Paride: E già. Me ne ieve a cucca’? Finalmente putevo sape’ che cazzo t’è succieso nella …prima vita…me ne ievo a cucca’?

Cicerone: La curiosità! La curiosità è la madre del sapere, Paride. Ma il sapere, …sapere..non è sempre un bene. Molte volte è meglio non sapere. <Alla corte, figliolo, l'arte più necessaria non è di parlar bene, ma di saper tacere.>

Paride: ‘N’ato filososo.

Cicerone: Si, ma non ricordo di chi è questa citazione.  Quello che hai sentito stanotte per esempio, tienitelo per te. Non lo dire a nessuno. Potresti...trovarti nei guai. Hai sentito solo la mia versione dei fatti, la signora Diana, se ne è andata  a dormire..

Paride: Ma io te crere a te Cicero’.

Cicerone: E non basta, non basta caro Paride. Quando l’ho vista ieri sera, ho pensato che finalmente il destino mi avesse offerto l’occasione di affermare la verità e spiegare a Letizia il motivo della mia scomparsa.

Paride: Povera femmena. Ma tu però ce ‘o putive spiega’. ‘Na telefonata.

Cicerone: Non mi avrebbe creduto. Tutto era contro di me. Ci conoscevamo poco. Due mesi. Io a Napoli, lei a Santa Croce. Non mi aveva neanche presentato in casa. L’avrei persa lo stesso con l’aggravante che mi avrebbe disprezzato. Sono scomparso, ho lasciato Agostino Surace sotto la porta del carcere e so’ diventato Cicerone. Come non ha creduto stanotte. Hai visto? A cosa è servito parlarle, spiegarle? E’ rimasta in silenzio, assalita dal dubbio. Aveva bisogno di una prova, giustamente.

Scena 11^  ( Guglielmo e detti)

Guglielmo: (da sx) E’ permesso? Scusate. Buon giorno.

Paride: Buon giorno. Ve site iute a cucca’ aiere sera? Nuie avimme fatto a‘ nuttata. ‘A signora Diana..

Cicerone: (come  a dirgli Taci) Paride!

Paride: ‘A signora Diana…… nun s’è sentuta bona e… allora…Don Gaetano ‘a vuleva cunfessa’..

Guglielmo: Uh Gesù, proprio ‘na cosa grave? Perciò mia sorella è venuta alle tre stamattina. Io po’ durmevo, nun aggio dumandato voglio dire.

Cicerone: (intervenendo) Ma quando maie…., una fesseria.

Guglielmo: Comme, chillo ‘a vuleva cunfessa’, voglio dire..

Cicerone: Non lo pensate, Paride ogni tanto è distratto.

Guglielmo: Me ne sono accorto. Aiere sera solo pe’ le fa capi’ ‘o cugnome mio ce vulette ‘o bello e ‘o buono. E pure nun è difficile, voglio dire. Io me chiammo Perla, Guglielmo Perla.

Paride: ‘O frate d’’a signora Letizia. Sona ‘e piatte, eh eh…

Guglielmo: ‘N’ata vota ..<sona ‘ e piatte co ‘ a resatella>.  Te cumpatisco ca si’ gnurante d’’a materia e non puoi stare a canuscenza dell’importanza dei piatti nella banda musicale. Ti volesse fare una lezione ma nun tengo tiempe,,,ho altro da fare…voglio dire. (a Cicerone)Voi siete Cicerone, scommetto!

Cicerone: Proprio. Piacere (gli stringe la mano) I piatti hanno origine nel 2000 a.C. circa. Dimostrato dal fatto che una coppia preistorica di piatti è custodita nella mummia di un musicista religioso egiziano, al British Museum di Londra. E’ uno strumento presente in tutti i generi musicali dal rock, al jazz,…,nelle orchestre  e nelle bande musicali.

Guglielmo: Siente, sienti. Voi siete prufessore è vero? Ammacare doppe ngi canosciamo meglio. Mo’ vado un poco di pressa, aggio ‘a i’ ‘o bagno.. sapete io songo ‘n’orologio! ‘A matina comme metto ‘e piedi ‘nterra…

Paride: Perciò va ‘e pressa, tene ‘o piso dint’’a mutanda. ’E bagne ve l’aggio fatto vede’! S’ha dda sulo arapi’ l’acqua. Mo’ vengo io.

Guglielmo: Si, ma manca la carta igienica, non c’è niente.

Paride: E vuie co’ duie euro che vuliveve?

Guglielmo: Uh Madonna, almeno ‘a carta, voglio dire… chillo ce sta pure ‘o giudice che aspetta. ‘A figlia dorme ancora. Ce l’aggio ditto io che ci prendevamo l’autobus ‘e mezzogiorno, Letizia mi aveva lasciato ‘o biglietto…, mi ha capito,  è abbastanza lucido, se vede che ‘a primma matina, ‘a rutella le gira bona, voglio dire… chella ‘a figlia ‘o dicette: tutt’è ca se piglia ‘a pasticca e stamme quieto fino a mezzogiorno.

Cicerone: Soffre di qualcosa?

Guglielmo: ‘A capa a quanto sembra. (a Paride)Iamme,  me ‘a vuo’ da’ ‘sta carta? Me attocca?

Paride: Mo’ te ‘o piglio.(esce a dx)

Cicerone: Il fratello della signora Letizia?

Guglielmo: Si, ve l’ho detto. Vive con me; non è sposata; non esce mai e allora, ogne tanto, quanno vaco a suna’ fore paeso essa si viene a fare una cammenata. Ed è per questo, perciò voglio dire, che mi trove in questa sala dell’attesa. Sì, perché io potevo andare nella machina insieme al clarinetto, ma chillo teneva uno posto solo, essa: <voglio veni, voglio veni’>…. e per non lasciare a mia moglie a pero, che teniamo una ma che na sola, nci prendemmo noi il treno. <Guglie’ e che ngi vuole, un treno la matina e un treno la sera.> E eccheme ccà. Meno male che songo riuscito a fare una telefonata a moglierema aiere sera voglio dire, si no, ... (facendo una smorfia di contenimento) Ma chisto quanno arriva co’ ‘a carta. Quà nun ce steva nemmanco il campo e nemmanco il telefono. Ma vuie comme facite? Senza telefono, voglio dire.

Cicerone: A me non serve. Non devo chiamare nessuno e nessuno mi deve chiamare.

Guglielmo: Site sulo?

Cicerone: Solo! Paride, tiene un telefonino cellulare, ma gli serve più per il lavoro, anche lui è solo. Quando deve fare una chiamata necessaria se ne va vicino al segnale ferroviario quà fuori, a cento metri, da là riesce a telefonare.

Guglielmo: Aggio capito........ (ripete la smorfia) Ma chisto la carta ‘a teneva nella stazione stessa o aveva ire proprio alla frabbica a prenderla?

Cicerone: E quindi non esce mai la signora Letizia?

Guglielmo: Maie?! Va a scuola, tutte le matine e poi sta nella casa, fa vedere le lezione alla nipote, mia figlia voglio dire, la dummeneca, tutte, non ne zompa una, ..la messa, a quello nci tiene…, ma quella la colpa è d’’a soia. Nun s’è maie vuluta  ammaretare. Quella da giovane era ‘na femmena bellissima, teneve ‘e spasimante a meliune..

Cicerone: Lo so.

Guglielmo: Lo sapete?

Cicerone: Me lo immagino.

Guglielmo: Ah? (contorcendosi) Uè, ma ‘sta carta arriva o no? (di nuovo rivolto a Cicerone) Io so’ sicuro che teneva un nammorato ca l' ha lasciata , voglio dire, ma quella nun n’ha maie voluto parlare di questa argomento.

Cicerone: Lo so!

Guglielmo: Sapete pure questo?

Cicerone: Me lo immagino.

Guglielmo: Ma pure ca fosse, voglio dire, ce stanno tanti uommini, e chisto po’ si t’ha lasciato nun te merita.

Cicerone: Non è cosi?

Guglielmo: E vuie ce ne sapite?

Cicerone: Me lo immagino.

Guglielmo: (perplesso)Tenite ‘na bella ‘macinazione, voglio dire. (Ormai stenta  a trattenersi) Tenite ‘nu giurnale? ‘A carta d’’o pane?

Cicerone: La Repubblica, ma è dell’altro ieri.

Guglielmo: E che me ne fotte! Tanto nun l’aggio ‘a leggere.

Cicerone: E che ne dovete fare?

Guglielmo: (esasperato) Cicerooo! Eppure ‘o giovane ha ditto ca si  ‘nu scenziato…, damme ‘a Repubblica, ‘O Matino.

Cicerone: Ah, ho capito!

Guglielmo: Finalmente!

Cicerone: La devo cercare.

Guglielmo: Pure? Ma Patroclo ‘a ddo’ l’ha iute ‘a piglia’ ‘ carta?

Cicerone: Paride, Paride, non Patroclo....

Guglielmo: Patroclo,  Paride, Lancillotto, o comme diàvulo se chiamma, basta ca porta 'a carta igienica

Cicerone:(chiama ad alta voce) Paride. (e si mette  a cercare)

Paride: (rientrando con una confezione di rotoli di carta igienica) Eeeehhheee! Eeeehhheeee! Tu che allucche?

Cicerone: Il signore, vuole la carta…ha bisogno…

Paride: Ho capito. E c’è bisogno?

Guglielmo: Certo che c’è bisogno!

Paride: No, io dico a isso, c’è bisogno d’alluccà?

Cicerone: E tu non tornavi più, il signore ha bisogno per i suoi bisogni.

Paride: (mostrando la carta) Steva  areto ‘e detersivi, nun ‘a putevo truva’. ‘O signore comunque se ‘o putesse pure purta’ ‘nu rotolo appriesso quanno viaggia. Nun se po’ maie sape’.

Guglielmo: E già, io saccio ca se scassa ‘o treno, che aggio ‘apassa’ ‘a nuttata miez’’a  ‘na campagna e che me vaco a ricoverà’ dint’’a ‘na locanda arremmeriata ca tene ‘o cesso e nun tene ‘a carta. Vide che fine ‘e mmerda, voglio dire.

Paride: Vuie nun cercaveve ‘a locanda, vuie cercaveve ‘a sala d’attesa.

Guglielmo: (strappandogliela dalle mani) E m’’a vuo’ da’ ‘sta carta? Me staie facenno suda’ friddo.

Scena 12^  ( Gustavo e detti)

Gustavo: (da sx entrando) Insomma, l’avete trovata questa carta? (cerca di prendergliela)

Guglielmo: E no!. Mo’ me serve a me. (esce veloce  a sx)

Paride: (seguendolo) Aspettate, addo’ iate? Ve aggio arapi’ l’acqua , chillo ‘o scarico scorre, ‘a tenimme chiusa.

Guglielmo: (dall’esterno) Pure?

Cicerone: (al giudice che pare non lo abbia riconosciuto) Potete usare il nostro bagno  se avete urgenza.

Gustavo: (perplesso) No, grazie. Posso aspettare.

Cicerone: Io sonoCicerone.

Gustavo: Il gestore della…locanda?

Cicerone: (scherzosamente) Eh, eh, diciamo così.

Gustavo: Locanda  abusiva?

Cicerone: Abusiva? Non direi,ne farei un abuso se questa fosse ancora una sala d’attesa. L’abusivismo non è altro che l’uso improprio di una cosa. Io non sto usando impropriamente una sala d 'attesa, cosa che non è più, ma sto usando propriamente e   provvisoriamente uno spazio vuoto e abbandonato.

Gustavo: Provvisoriamente?

Cicerone: Se dovesse tornare ad essere una sala d’attesa, la lascerò.

Gustavo: Questa è una interpretazione molto filosofica.

Cicerone: Che voi da giudice non potete accettare.

Gustavo: (con intenzione)Sapete che sono un giudice?

Cicerone: Me l’hanno detto.

Gustavo: Lo sono stato.

Cicerone: Lo so. (Gustavo lo guarda perplesso)…me l’hanno detto.

Gustavo: (sorride)Non è esattamente come  sostenete. La filosofia è troppo ambigua. La legge no, la legge è precisa,  giudica quello che appare.

Cicerone: Ah già, la legge è precisa, è giusta. La filosofia invece interpreta quello che gli uomini non….vedono, o fanno finta di non vedere..o vedono ma non devono vedere. Che ne pensate?

Gustavo: Non vi seguo.

Cicerone: Sapete, io penso che siamo troppo abituati al fatto che gli uomini si fermino alla realtà apparente delle cose, che non scavino, che non cerchino la verità.

Gustavo: Fate dei discorsi incomprensibili. Mancano di attinenza.

Cicerone: Voi dite?

Gustavo: Io dico!( i due si fissano)

Cicerone:  Un poco di caffè? E’ ancora caldo!

Gustavo: Grazie.

Cicerone: (servendolo) Accomodatevi.

Gustavo: (si siede). Vedete ‘ io dicendo che questa è una locanda abusiva non volevo disprezzarvi.

Cicerone: Questo l’ho capito. La vostra è una deformazione professionale, ..siete giudice!

Gustavo: E voi siete un filosofo. (si fissano ancora,  per un tempo, senza parlare. Poi per dissimulare) O no?

Cicerone: ( regge il gioco) O Dio la filosofia mi ha sempre affascinato.

Scena 13^  ( Don Gaetano e detti e detti)

Don Gaetano: (da sx) Buongiorno.

Cicerone: Don Gaetano, giusto in tempo. Un poco di caffè?

Don Gaetano: No, grazie, non prendo caffè. Magari un bicchiere di latte.

Cicerone: (scherzando) Ma la colazione non è compresa. Paride non ve l’ha detto? Eh,eh! Scherzo, adesso vi servo. Paride non se lo fa mancare mai il latte. (esegue)

Don Gaetano: (intenzionale) Stavate parlando?

Gustavo: Dissertazioni innocenti e inutili…sul concetto dell’abuso.

Cicerone: (servendolo) La religione come lo vede?

Don Gaetano: Cosa l’abuso?Etimologicamente è l’uso eccessivo di qualcosa. Non so, di medicinali, di cibo. C’è poi l’uso illegale, improprio, illecito, come l’abuso  edilizio o di ufficio, o di potere che è poi il reato commesso da un pubblico ufficiale, o da un istituzione che approfitta della propria funzione per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio.

Cicerone: È peccato? Dico: l'abuso di potere, per esempio, per la religione è peccato?

Don Gaetano: Certo!Tutto ciò che arreca un male al prossimo o anche a se stesso è peccato.

Cicerone:  Questo lo dite come teologo o come uomo?

Gustavo: La teologia, che c’entra…ma se la teologia è solo una collezione di risposte incomprensibili a domande senza senso

Don Gaetano: Come teologo, ..come uomo.., non fa differenza..

Cicerone: Ma io dico ..come religioso..come lo giudicate?.

Don Gaetano: L’abuso?

Cicerone: Si parlava dell’abuso di potere.

Don Gaetano: La religione non ha il compito di giudicare su questa terra. La religione dice: ama la verità, ma perdona l'errore.

Gustavo: Ipocrisia!La religione! La religione è una cosa che esiste da quando il primo ipocrita ha incontrato il primo imbecille.

Cicerone: Juan Ignacio Ferreras in  Antonio Lopez Campillo, “Corso accelerato di ateismo”

Gustavo: Preparatissimo! (i due si fissano ancora)

Don Gaetano: Non credo che quel filosofo abbia tutte le ragioni. Posso tollerare che si dica che la religione è l’oppio dei popoli, che se non esistesse Dio bisognerebbe inventarlo, ma che sia ipocrisia no! Affatto! Dico invece che se gli esseri umani sono più propensi a confessare un errore al prete e non ad un giudice e perché sanno che nella misericordia divina esiste il perdono.

Gustavo: E la legge non è misericordiosa, la legge deve punire gli errori!

Don Gaetano: Assolutamente giusto. Guai se non fosse così. La religione però, prevede la verità assoluta, essa è necessaria non tanto per l'entità della pena, che nostro Signore non prevede, come dicevo, nella Sua Misericordia, quanto per il pentimento, per l’espiazione dal peccato, per la guarigione dell'anima. 

Cicerone: E’ un problema di coscienza dunque, la verità dovrebbe sempre trionfare, a dispetto del timore di Dio e della legge?

Don Gaetano: Infatti, ma che cosa è la verità se non il riconoscimento della gravità del male arrecato con il peccato. Ricordiamoci che l’uomo non pecca contro Dio, ma contro una Sua creatura  che sia il prossimo o se stesso. Rendersi conto della gravità del male ha una importanza primaria ed è condizione…indispensabile per guarire. Il primo passo per guarire è la coscienza di essere malato. Quando un malato avverte dei sintomi, che fa? Va dal medico che fa la diagnosi e gli assegna una terapia; ma non basta, c’è bisogno che il malato voglia guarire, così come il peccatore debba voler cambiare, convertirsi per rendere la guarigione possibile. Non basta la diagnosi, anche se fatta dal più grande luminare, perché possiamo sapere, ma, possiamo…. non voler guarire.

Cicerone: Voi volete guarire , giudice?

Gustavo: (dissimulando) Che c’entro io?

Cicerone: No, dicevo così, vi prendevo ad esempio.

Gustavo: Ad esempio? Già!? Comunque Padre, la guarigione è relativa  alla ricerca del perdono. La legge non può, perdonare, anche in caso di piena confessione, di pieno riconoscimento, si può applicare una pena più mite, prevista dal codice, questo sì! Ma deve punire!

Cicerone: E come la mettiamo, quando il peccato, che poi la legge chiama reato, non c’è? Come la mettiamo, quando il reato è frutto di una accusa falsa. In quel caso la …verità.. la confessione non è possibile. Può un uomo confessare una colpa non commessa?  

Don Gaetano: Assolutamente no! Commetterebbe peccato contro se stesso…

Gustavo: Per il codice servono le prove, non bastano le parole dette a quattr’occhi con un prete. Il delinquente o presunto tale deve esibire le prove di innocenza.

Cicerone: (incominciando ad alterarsi) E se queste…prove..esistono solo nella mente, nel cuore, …nell’anima…. proprio di chi ti ha  accusato, come fa quel poveretto ad esibire le prove di innocenza?

Gustavo: Deve ottenere la confessione di chi gli ha fatto accuse mendaci , deve dimostrare che quella persona dice il falso.

Cicerone: Si deve affidare insomma  alla misericordia…(ormai urla) di una persona che non è Dio, se questa persona non vuole confessare egli deve restarne ostaggio e non può liberarsi? Non può mostrare la sua innocenza?

Gustavo: Non vi capisco, perché vi alterate? Dove volete arrivare?

Cicerone: (fissandolo)Lo avete capito giudice Palladino! Lo avete capito benissimo dove voglio arrivare. Voi mi avete riconosciuto.

Gustavo: Ebbene sì, Professor Surace.

Cicerone: E allora? Perché continuate a tergiversare, a dissertare sulla legge,..su quale legge? Quella legge che 35 anni fa avete usato per far condannare a 20 mesi di reclusione una persona innocente: il fu Agostino Surace, insegnante di filosofia presso il Liceo San Domenico, per violenza sessuale a danno della signorina Diana Palladino. Vostra figlia!

Gustavo: Prove e testimonianze contro di voi.

Cicerone:  All’epoca il reato era  ancor inquadrato come “Violenza carnale” e “Atti di libidine violenta” Vi ricordate giudice Palladino? Vi ricordate che usaste  tutto il vostro potere e il vostro ascendente sul giudice Ruocco affinchè condannasse quel professore?

Gustavo: (urlando anche lui) Affinchè applicasse la legge!! Quel professore  era colpevole!!(rimangono a fissarsi occhi negli occhi)

Scena 14^  (Guglielmo, Paride  e detti, indi Letizia)

Guglielmo: (Improvvisamente entra da sx insieme a Paride. I due sono bagnati fradici paride addirittura e a dorso nudo e  coperto da una  asciugamano intorno alla vita.) Voi mi dovete risarcire a me: Guardate! Io mo’ vulesse sape’ comme faccio; chisto è ‘nu pazzo. Io ve faccio arrestare voglio dire, qua ce sta un giurece, vuie non site torizzati a spletare il mestiero di abbergo voglio dire.

Cicerone: (inviperito)Paride, cosa è successo? Mi spieghi perché sei nudo? (Gustavo va in disparte pensieroso)

Paride: Niente,  ‘nu poco d’ acqua….

Guglielmo: ‘Nu poco d’acqua? Io me so ‘nfuso d’’a capa  a ‘o pere. Nun tengo ‘na cambiata voglio dire. Come faccio?

Don Gaetano:  Ho un pantalone in più in valigia. Se volete…

Cicerone: Qualche altra cosa ve la do’ io. Ma cosa è successo?

Guglielmo: Che è succieso?… , è succieso che io nun m’ero manco asseduto sulla tazza, voglio dire, ‘st’imbecille ha ditto : “ Mo’ vi apro l’acqua per lo scarico!” Quanno a bello e buono mi sento arravacare un ciummo di acqua addosso? Voglio dire?

Paride: Chillo ‘o scarico scorre…

Guglielmo: Scorre? La cascata del Niagata…! Scorre?!

Don Gaetano: E va be’ è cosa da niente.

Letizia: (intervenendo da sx)Guglie’ ma che è stato?

Paride: S’è fatto ‘a doccia co ‘tutte ‘e panne… eh eh..

Guglielmo: Guardate , chillo sfotte… e ride pure…

Don Gaetano: Un piccolo incidente…

Cicerone: Si è rotto il tubo dello scarico mentre  era in bagno.

Letizia: Gesù, e se ti prendi una polmonite? E come li asciughiamo i vestiti?

Don Gaetano: Un pantalone glielo presto io.

Paride: E ghiammo, ia, io ti do quacche cammisa, maglione, vedimme che ce sta dint’’a ‘stu mobile (si avvicina  ad un mobile da dove incomincerà a tirar fuori degli indumenti.)

Letizia: Ma guardate che va  a succedere… E voi Paride, pure vi siete bagnato?

Paride: E certo, pe’ salva’ a isso. Chillo s’era chiuso dinto.

Guglielmo: Ma pecchè tu che faie? Quanno vaie a gabinetto lasci ‘a porta  aperta voglio dire?

Paride: Aggio avuto ‘ a sfunna’ ‘a porta!

Cicerone: Hai sfondato la porta?

Paride: E chillo nun arapeva.

Guglielmo: Nun arapevo? Il tempo ‘e me sagli’ ‘e cazune me lo vuoi dare?

Paride: ( A Guglielmo, offrendogli una camicia) Vide si te va chesta. Mo’ te trovo ‘nu maglione.

Guglielmo: Nun me serve, lascia sta, tengo ‘a giacca, quella si è sarvata.

Paride: (di nuovo a Cicerone) Invece d’arapi’, vuleva pe’forza ‘nfila’ ‘o tubo a ‘o posto suoio.

Guglielmo: Io steve murenne  affugato, nun saccio manco nuota’, voglio dire…

Cicerone: Ma potevi chiudere l’acqua Santo Cielo..

Paride: (ripensandoci, candidamente) Ah, overo. Nun ce aggio pensato. Me songo distratto. E comunque aggio dato ‘nu cauce dintt’a  porta e l’aggio aperta. …e con ‘na  sola mano aggio miso a posto ‘o tubo.

Letizia: Una sola mano?

Paride: E sì, pecchè chell’ata  ‘a tenevo vicino ‘o naso, ‘o frato vuosto fete…

Guglielmo: Ma pecchè tu ‘a faie a prufumo ‘e gesummino?

Don Gaetano: Non credo sia necessario scendere nei dettagli, allora lo volete il pantalone.

Guglielmo: E comme, nun’o voglio? Che aggio ‘a fa? Comme ce vaco ‘a casa. ‘O cazone vuosto, ‘sta camicia e  ‘a giacca.  ‘O vi’? Faccio Pachialone.

Ciecerone: Mi dispiace signor Guglielmo.

Guglielmo: Ve dispiace? Io vi dovesse fare arrestare veramente, voglio dire.(si avvia  a sx)

Letizia: (guardando teneramente Cicerone) Ma che colpa tiene il signor Cicerone. Non solo ci hanno dato i letti. Nun ve ne incaricate. (a Don Gaetano) Iammo Padre ce lo volete dare questo pantalone?

Don Gaetano: Certo! Un po’ lunghetto, ma  andrà bene. Andiamo, ce l’ho in valigia..(si avvia )

Cicerone: Don Gaetano, ….. stavamo parlando….

Don Gaetano: Torno subito, ma….ricordate tutto è condannabile, tutto è perdonabile! A dopo! (esce)

Letizia: (c.s.) A dopo, …? (esce)

Cicerone: (resta  a guardarla) A dopo.

Paride: Me metto quacche cosa ‘ncuollo asciutto. (esce a dx)

Scena 15^  (Gustavo,  Cicerone, indi Don Gaetano, poi Diana)

Cicerone: (Dopo un lungo silenzio durante il quale Gustavo gli da le spalle, sfinito dallo scatto, commosso) Voi non ve ne andate? (silenzio) Colpevole? Colpevole di che? Di aver messo un brutto voto ad una studentessa viziata e nulla facente che invece di studiare cercava di corrompere l’insegnante con le sue grazie, la sua bellezza?

Gustavo: Vedo che il tempo non ha minimamente incrinato la vostra faccia tosta. Stessa versione, stessa linea difensiva. Eppure ormai avete pagato il vostro debito con la giustizia, il destino vi offre l’occasione di chiedere perdono e non lo fate. Cercate vendetta, ma dimenticate che la vostra versione non fu creduta allora e non sarà creduta adesso. C’era una testimonianza che vi inchiodava!

Cicerone: La signorina Olga Fabrocino, poveretta, malata, compagna di classe e amica intima di Diana.

Gustavo: Fu lei che vi scoprì in classe dopo la fine delle lezioni mentre cercavate con la forza di approfittare di mia figlia, alla quale avevate strappato la camicetta  e il reggiseno.

Cicerone: Era d’accordo, aveva concordato tutto con Diana. Diana si trattenne in classe con la scusa di chiedermi dei chiarimenti sul compito svolto, rimasta sola si strappò lei stessa la camicetta e il reggiseno, mi si gettò addosso e incominciò ad urlare. Fu in quel momento che entrò Olga, era fuori della classe, era tutto organizzato, aspettava il segnale, …per vedere, per testimoniare…, urlò anche lei, fece accorrere i bidelli, il Preside dal suo ufficio…

Gustavo: Ancora’ Ancora con la stessa tesi? Olga Fabrocino non ammise mai la sua complicità.Colto sul fatto! Non aveste scampo. (vedendo Don Gaetano rientrare) Padre, lo sentite? Quest’uomo non vuole guarire, come farà Dio a perdonarlo?  Dopo 35 anni anni, racconta ancora la stessa storia. La sua verità.

Don Gaetano: (dopo un sospiro) Ho sentito, l’ho sentita già questa notte….la sua verità.

Diana: (da sx . guardinga) E allora papà? Sei andato in bagno?

Gustavo: Non ancora. Sto discutendo col tuo insegnante che ancora sostiene, dopo tanto tempo, di essere innocente.

Diana: Ma caro professor Surace o se preferisce …Cicerone ,vi avevo chiesto di non parlarne con mio padre. Di non rivelargli la vostra identità. E’ malato, è confuso, il suo equilibrio mentale non deve  essere alterato. Mi pare che ne abbiamo già discusso abbastanza stanotte. Non vedo il motivo di discuterne ancora con mio padre.

Cicerone: Ma come fai? A perpretare…nel tuo inganno. A sostenere ancora il falso. Posso capire, il danno che facesti fu grande, eri una ragazzina, non avesti il coraggio di ritrattare, saresti stata la vergogna di papà. Ma oggi, sono passati 35 anni, il destino ti porta, ti costringe al cospetto della tua vittima, hai la possibiltà di restituire a quest’uomo la speranza nell’umanità e invece neghi, continui a negare! (ora è commosso, quasi piange) Tranquilla. Non voglio far riaprire il processo, ti giuro, a che servirebbe? Nulla mi può ridare i venti mesi passati in carcere; …soldi? No! Ho imparato a farne a meno. Ma come fai? A tenere questo segreto, questo peso, questo macigno? Una volta ho sentito che…..il segreto è come  una bomba. Per disinnescarla bisogna rivelarlo. Sarà bello, ti farà bene, ti sentirai anche tu finalmente libera, anche tu che non sei, non puoi essere meno prigioniera di me.  Dopo quello che mi fu fatto, ho trainato la mia vita fino a quà e mai avrei creduto di avere l’occasione di affermare la verità, la verità assoluta. Dilla! (piange)Ne ho bisogno, per me stesso innanzitutto, per Letizia, ne hai bisogno tu per te stessa, per tuo padre. (nasconde ora il suo pianto tra le mani)

Diana: (Dopo un lungo silenzio. Fintamente commiserevole, gli si avvicina e lo accarezza) Il processo ha già detto la verità. Non capisco professore perché vuole riaprire la ferita che lei stesso si è inferto. La signora Letizia è libera di credere ciò che vuole. Se fu vero amore l’ha già perdonata professore. Mio padre è un uomo di legge e crede in una sola verità, quella processuale. Questa…verità assoluta è una cosa sua. Una sua invenzione.

Don Gaetano:(intervenendo) La veste che indosso mi impone di prodigarmi per la ricerca di essa, il destino ha voluto che mi trovassi a cospetto di una storia assurda, inspiegabile, dove il vero può stare solo da una parte, ma non so da quale. Voglio dire che o il signore Cicerone o la signora Diana e lei signor giudice, qualcuno mente. Non è in mio potere stabilire chi dei due lo stia facendo. Del resto la legge ha fatto il suo corso ai tempi del fatto e oggi il signor Cicerone, a quanto sento,  approfittando del destino, auspica solo una verità assoluta che lo riabiliti e gli restituisca la speranza nell’umanità. Come dicevo, tutto è condannabile, tutto è perdonabile. Se il nostro cuore lo vuole possiamo perdonare chi abbiamo condannato. Affidiamo al Signore il compito di leggere nell’anima del malato che veramente vuole guarire. Mio caro Cicerone, mia cara Diana, mio caro giudice la verità assoluta non è di questa terra. Voi non la dite ma il Signore la conosce.

Scena 16^  ( Letizia, Guglielmo, e detti, indi Paride)

Guglielmo: (comparendo, vestito goffamente,  insieme a Letizia) Eccoci qua! Dite ‘a verità, mi paro Sarchiapone? (nessuno gli risponde) ma è ccaduto quacche cosa, voglio dire?

Diana: Signora Letizia, il signor Cicerone …incoraggiato dal destino, che ci ha fatto incontrare in questa sala d’attesa avrebbe desiderato dare a lei una spiegazione della sua scomparsa, ma non potendole rivelare la verità, auspicava, diciamo così, una mia smentita dei fatti. Lei comprende, del resto ne abbiamo già discusso stanotte, lei era presente, …lei comprende  che non posso assolutamente dire il falso. Io l’ho perdonato da tempo, e…penso che lo possa fare pure lei.

Letizia: (guardando Cicerone che si asciuga le lacrime) Ma tu stai piangendo?

Guglielmo: Ma che è succieso? Letizia? Ma che dice ‘a signora Diana? Che ngi ngentri tu?

Letizia: Dopo ti spiego.

Paride: (rientrando da dx)State ancora ccà? Ma voi dovete lasciare le cammere, se no pagate ‘o supplemento. (silenzio, guarda Cicerone) Cicero’, tranquillo?

Cicerone: (ancora con la testa fra le mani) Niente. Niente, tutto a posto.

Gustavo: Continuate a disperarvi. Non capisco. Dopo tanto tempo! Com’è Don Gaetano? Tutto è condannabile, tutto è perdonabile…., , Diana era bella, giovane , desiderabile,… non riusciste a contollarvi, la legge vi ha punito, tutto è finito. Dichiararsi ancora innocente? Senza una prova?

Cicerone: (con uno scatto rabbioso) Ce l’ho la prova. Ce l’ho!!(tutti rimangono impietriti, Cicerone va ad un mobile, ne prende un cassettino, lo poggia sul tavolo, i presenti osservano, si sfila dal collo un laccio di cuoio a cui è agganciata una piccola chiave. Con la chiavetta apre il cassettino e ne tira fuori una vecchia audio cassetta.) Paride, prendi il mangianastri.

Paride: Subito. ( dal mobile prende uno di quei vecchi registratori a pile col quale un tempo si ascoltavano le cassette) Ecco quà.

Cicerone: Ci sono le pile?

Paride: Sempre carico.

Cicerone: (passandogli la cassetta) Metti questa e falla sentire.

Letizia: (intervenendo prima che Paride avii l’apparecchio.)  Fermati Paride. Io non voglio sentire niente. Io non ho bisogno di prove.

Diana: Ma chi vuole prendere in giro con questa sua messa in scena, professore, …. Scusi …. Cicerone. In quella cassetta non c’è nessuna prova, se fosse così….perchè non l’ha esibita prima.

Cicerone: Se tu l’ascolti lo capirai.

Gustavo: (comprende che Cicerone dice il vero, si rifugia imbarazzato nella sua malettia)) L’articolo 38 delle disposizioni di attuazione al codice civile, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° gennaio 2013, attribuisce, in via generale, al Tribunale per i minorenni la competenza per i provvedimenti previsti dagli articoli 330 e 333 del codice civile…….. Vergogna, vergogna… (esce a sx)

Diana: (in uno scatto cerca di prendere il registratore, Paride ritraendolo glielo impedisce. Si pente subito di quel tentativo che la condanna. Non sa che fare. Guarda Cicerone)

Cicerone: (a Diana) Non la userò, tranquilla. Vai con papà o vuoi restare?

Diana: (lo guarda ma non riesce a sostenere lo sguardo che aspetta una risposta)

Cicerone: Non temere, non la userò, non l’ho usata per tutto questo tempo. Non vuoi ascoltare?

Diana: No e non mi interessa, non so di che parla, lei professore …sta bleffando, (imbarazzata, non sa dove guardare abbassa la testa e di scatto esce a sx).

Paride: Che faccio, ‘o metto ‘o play?(la sua domanda cade nel vuoto. Nessuno risponde)

Don Gaetano: (dopo una pausa, sospira) Io penso che non ci sia altro da aggiungere. Dunque, è quasi mezzogiorno, tra poco arriva l’autobus. Vado a prendere le mie cose. (si avvicina  a Cicerone, lo abbraccia)Ricordate, tutto è condannabile, tutto è perdonabile.

Cicerone: Al contrario, niente è condannabile e quindi…niente è perdonabile. Il malato deve voler guarire.

Don Gaetano: (perplesso scuote la testa) Vi saluto. (esce)

Scena 17^  ( Letizia, Guglielmo, Cicerone  e Paride)

Letizia: (dopo un silenzio) Come hai potuto, amore mio, sopportare questo dolore,, per tutti questi anni?

Cicerone: Infatti non l’ho sopportato. Sono diventato Cicerone. Agostino non c’è più proprio perché ucciso da quel dolore. Può un morto avvertire dolore?

Paride: Ua’ Cicero’ chesta è ‘o massimo.

Letizia: E quindi…non può resuscitare Agostino?

Cicerone: Solo Diana gli poteva restituire la vita …. E non l’ha fatto!

Guglielmo: Vabbuo’, ma mo’ vedimme e nun perdere l’autobus, voglio dire. Leti’, (imbarazzato).. tu …che fai?

Letizia: Mo’ vengo. Tu incomincia  a prendere il borsone.

Guglielmo: Va be’, ti aspetto sulla fermata!

Letizia: (guarda il fratello e poi guarda Cicerone)

Guglielmo: Aggio sbagliato l’espressione, ci voleva ‘o punto ‘e interrogazione, voglio dire, : Va be’ ti aspetto sulla fermata??

Paride: Mo’ te dongo ‘na mano!

Guglielmo: Io ce ‘a faccio. Chillo è ‘nu borsone!!

Paride: (con intenzione)Mo’ te dongo ‘na mano!! (lo spinge fuori uscendo insieme a sx)

Scena 18^  ( Letizia, Cicerone )

Cicerone: (dopo una pausa, si avvicina  al mangianastri) E allora non vuoi sentire?

Letizia:No, te l’ho detto. E’ vero, siamo stati insieme solo due mesi, poi sei scomparso, ma in tutto questo tempo io ho continuato a credere, ad essere certa che un motivo più grande di te ti avesse allontanato da me. Ieri sera, appena ti ho visto, appena t’aggio canusciuto, subito, in quell’istante, ho capito che eri lo stesso  . Gli stessi occhi, di quel ragazzo, di quel giovane professore  che insegnava filosofia in un liceo a Napoli. Me li ricordo ancora , sai? Come mi gardavano mentre mi aiutavi ad  alzarmi dopo una ridicola caduta. <Ti sei fatta male?> mi chiedesti. Non mi ero fatta niente, ma finsi di zoppicare, per ricevere ancora le tue premure. <Qui c’è un bar, avranno sicuro del ghiaccio. Un bicchiere d’acqua, un caffè ti farà bene>  Quando uscimmo dal bar, mi invitasti per una pizza, quella sera stessa. Ti confessai che non ero di Napoli e tu < Che problema c’è, ti  accompagno io, ho la macchina> Era San Lorenzo e la sera mangiammo una pizza in una pizzeria  all’aperto. Io avrei voluto vedere una stella cadente  e  tu mi dicesti : <le stelle cadenti sono i mozziconi delle sigarette che gli angeli buttano dopo averle fumate di nascosto a Dio. Io ti credo  Agostino, io credo a te, non ti devo perdonare niente. Non mi devi nessuna prova.

Cicerone: Mi fai felice, ma ti prego non chiamarmi Agostino. Quell’uomo non c’è più. Si arrese, sconfitto, forse vigliaccamente, senza lottare, quando capì che tutto era congegnato in modo perfetto e mai avrebbe potuto dimostrare la propria innocenza senza la confessione di quella ragazzina viziata. Tu dici che mi credi e mi avresti creduto pure allora, ma sono io che ho bisogno di cancellare qualsiasi ombra. E, ….. solo Diana poteva farlo…, con la verità, quella verità assoluta che viene dal cuore, senza costrizione. Agostino credeva in un mondo che non esisteva, basato sulla lealtà, e invece gli uomini usano la bugia, la menzogna, anche quando non c’è n’è bisogno, anche per nascondere la più stupida delle malizie. Agostino, mentre  era in carcere ha aspettato, questa verità…che non è mai arrivata. Non ti chiamò, non ti cercò per avvisarti, perché aspettava, povero ingenuo …il trionfo della verità.., che scemo quell’Agostino… Tu amavi lui, ma lui non c’è più. Adesso c’è Cicerone. (la guarda  a lungo, poi sospira  e si alza, le si avvcina, una mano sulla di lei, la accompagna verso l’uscita  a sx )Vai , se no perdi il pulman

Letizia: (incredula, stordita, cerca di opporsi) Agosti’..

Cicerone: (le mette una bano dolcemente sulla bocca) Sssshhh! Cicerone!

Letizia: (scoppia in pianto ed esce)

Scena 19^  (Cicerone, indi Paride, indi Letizia)

Cicerone: (rimasto solo, indugia per la stanza, poi siede dinnanzi al mangianastri, Paride sopraggiunge, in silenzio lo guarda, gli si siede a fianco)

Paride: Ce l’hai fatto bello ‘o bidone d’’a cassetta. C’hanno creduto overo , essa e ‘o pate ca tenive ‘a prova..eehheheh, e s’hanno sgamate!

Cicerone: (lo guarda, gli sorride…gli passa il mangianastri) Schiaccia play…

Paride: (esegue)

Voce registrata: (una voce sofferta di giovane donna) Caro Professor Agostino Surace, sono Olga Fabbrocino, mentre registro questo messaggio mi è testimone mia madre, Rita Sallustro, che glielo recapiterà;  sono le ore 14,50 del 6 giugno 1980. Come lei sa, una forte forma di leucemia mi ha colpito e a nulla è valso combattere per tre anni contro questo male. Sono ai miei ultimi giorni di vita. Ho sentito il bisogno, prima di lasciare questa terra di liberarmi da un terribile segreto. Non lo faccio per lei, ma per me. I segreti sono come una bomba che può scoppiarti dentro, per disinnescarla , si devono rivelare. Lo avrei potuto rivelare a chiunque, ma voglio che sia  lei a decidere cosa fare di questa mia confessione. Certo non le restituirà gli ormai trascorsi 20 mesi di vita in carcere, ma nel caso voglia fare giustizia, non esiti, io non ci sarò più, non avvertirò l’onta della vergogna. Lei è a conoscenza della verità, come me  e come Diana. Gli altri no, gli altri non sanno cosa accadde veramente quel giorno. Diana era, fortemente,inutilmente innamorata di lei. Amore adoloescenziale! Ma lei non la vedeva. Anzi, più le si mostrava , più lei era severo. Mi disse che voleva tirarle un brutto scherzo e mi chiese di fermarmi fuori dall’aula e di entrare all’improvviso quando avrebbe urlato. Lo feci, non potevo immaginare che il preside avrebbe chiamato i carabinieri…...e così ebbi paura, paura di ammettere che era stato uno scherzo, un brutto scherzo, uno scherzo troppo grande. Fu così che lasciai andare avanti quel gioco assurdo, colpevolmente continuai a testimoniare contro di lei sostenendo quella che poi avrei capito era la crudele vendetta di Diana. La mia malattia precipitò, il processo si chiuse  e rimasi prigioniera di questo atroce segreto. Ecco, le ho detto tutto , professore, chiederò perdono a Dio, semmai mi volesse accogliere in Paradiso. Con sincero pentimento, Olga Fabrocino. (silenzio)

Paride: Mamma mia Cicero’ …ma tu…ma comme? ‘A quanto tiempo  ‘a tiene  astipata ?

Cicerone: La cassetta? Da trentacinque anni, me la lasciò Agostino Surace dicendomi di non usarla mai. La  vendetta non  sarebbe servita a  niente, solo a rovinare la memoria di Olga Fabrocino, poveretta. Solo Diana avrebbe potuto farlo…, ci avevo perso le speranze ma ieri sera quando l’ho vista ho pensato, ho sperato, che fosse inaspettatamente arrivato il momento.

Paride: E comme l’hai avuta? Chi te l’ha data? Cioè,  …insomma, aggio capito…ma  a Agostino Surace, cioè a te ca però nun si cchiù isso, chi ce ha dette?

Cicerone: La mamma , la mamma di Olga. Aspettò …il professore all’uscita del carcere il giorno che uscì. Una donna distrutta dal dolore. La figlia era morta apppena un mese prima.

Paride: E mo’? Che fai? Ce tuorne addo’ Letizia o te rieste ccà?

Cicerone: Letizia? No, vive nel mondo che Agostino Surace ha lasciato. No, resto, resto qua, meglio solo che male accompagnato!

Paride: Sulo? E io?

Cicerone: Giusto, tengo a te!(gli sorride, sospira) Posa, posa tutto, …

Paride: (toglie la cassetta dal mangianastri e la ripone nella scatola che la conteneva, Cicerone  chiude la scatola e si riappende la chiave al collo, il giovane rimette aposto la scatola e si risiede a guardarlo.) Certo ca ‘e filosofe so’ proprio gente strana.(Silenzio)

Letizia: (da sx , impacciata)Disturbo?

Cicerone: Letizia, che fai , il pulman non lo prendi?

Letizia: Lo ha preso Letizia, io adesso so’ Terenzia.

Paride: E mo’ chi è Terenzia?

Letizia: La moglie di Cicerone….

Cicerone: (Sorride)La prima moglie di Cicerone…

Paride: Eh eh eh, …e figli maschi ne tenevano?

Cicerone: Una femmina e un maschio. Tullia e Marco Tullio, ma…tu resti Paride, mi piace di più. ( di scatto, con nuovo entusiasmo corre al vecchio giradischi, tira fuori un vecchio disco nascosto tra i librie lo fa partire, torna da Letizia) Te la ricordi? Il professor Surace mi disse che  eravate rimasti, …o meglio che lui e Letizia erano rimasti  a questa canzone!

Letizia: Pensi che un giorno li ritroveremo?

Cicerone: …e chi lo può dire. (abbassa il braccetto del giradischi, le si avvicina)Vuoi ballare?(Parte una canzone “Innamorarsi” di Ornella Vanoni, lui dolcemente la cinge  e accenna ad un ballo. Paride, osservandoli esce a dx, mentre le luci calano lasciando i due in scena che lentamente si muovono sulle note della canzone)

fine