Chiave per due

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CHIAVE PER DUE

Chiave per due

di John Chapman e Dave Freeman

Traduzione di Maria Teresa Petruzzi

PERSONAGGI

ENRICHETTA                  

Amante di Gordon e Alec - E’ una splendida donna sui 40 anni. E’ intensamente femminile, divertente e simpatica.

GORDON                                           

Marito di Magda Gordon - Sulla quarantina, gestisce con successo un ufficio di pubblicità.

MAGDA                                             

Moglie di Gordon - Una donna imperiosa, sulla quarantina.

ALEC                                  

Marito di Melissa - E’ un’uomo sulla cinquantina, grande, grosso e alquanto rozzo. Ha con sé un arsenale di attrezzi da pe­sca. Alec proviene dall’Inghilterra del Nord.

MELISSA                                           

Moglie di Alec - E’ una donna di mezza età e viene dallo Yorkshire, al­cune ore di treno da Brighton.

ANNA                                  

Moglie di Richard - Anna è una bella donna sulla trentina, elegantemente vestita. Ha una personalità vivace.

RICHARD                                         

Marito di Anna - Sulla quarantina.

1° TEMPO: Scena 1: lunedì mattina - Scena 2: qualche ora dopo - Scena 3: mercoledì seguente, sera

2° TEMPO: più tardi, stessa sera

SCENA UNICA

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

La commedia si svolge nel salotto e nella camera da letto dell’elegante appartamento di Enrichetta, a Brighton.

Il salotto occupa la maggior parte della scena. Circa un terzo di questa è dedicato alla camera da letto, in fondo a destra, con un letto matrimoniale, una piccola sedia dorata, un comò e una toletta.

L’area della camera da letto è rialzata. Dietro al letto una finestra e alla sua sinistra una porta che conduce al salotto.

Un’altra porta, a destra dell’area camera da letto, si apre verso il bagno. Le pareti della camera da letto sono soltanto immaginarie. Tutta l’area davanti al letto è salotto. Avanti, a destra, una porta si apre sulla sala da pranzo. In fondo a sinistra-centro un arco porta all’ingresso e, sul fondo, il guardaroba. La porta d’ingresso è a destra e il guardaroba a sinistra. Avanti a sinistra una porta conduce in cucina. L’appartamento è bene arredato, in stile Regency, come tutta la casa. Due sedie, un divano, una scrivania con cocktail bar, nella parte rialzata del salotto.

Quando si alza il sipario Gordon (Indossa pantaloni e camicia) si sta annodando la cravatta in camera da letto. La giacca è appesa dietro la porta. Enrichetta entra dalla cucina con in mano il vassoio della colazione. Indossa una sgargiante vestaglia sulla camicia da notte.

ENRICHETTA        - (Entrando in camera da letto) Ah. Ti sei alzato. Credevo che preferissi far colazione a letto.

GORDON                  - Scusa, mi dispiace. (Gordon beve il caffè e prende un toast mentre finisce di vestirsi. Enrichetta siede sul letto con in grembo il vassoio)

ENRICHETTA        - Lo steccato in fondo al giardino sta andando a pezzi. Guarda! (Guarda fuori dalla finestra)

GORDON                  - Adesso non ho tempo. Non puoi trovare qualcuno che la ripari?

ENRICHETTA        - Il problema non è questo, tesoro, sono i costi. Tutti ti chiedono cifre astronomiche… La compagnia del Gas ha mandato un conto di ventisette sterline per riparare lo scaldabagno e l’operaio è stato qui meno di quattro minuti…

GORDON                  - Puoi sempre reclamare, se vuoi.

ENRICHETTA        - Volevo legarle, oggi.

GORDON                  - Legare cosa?

ENRICHETTA        - Le rose. Sono tutte sdraiate.

GORDON                  - Beh, allora legale.

ENRICHETTA        - Come faccio con lo steccato quasi giù?

GORDON                  - Questo caffè è un po’ andato.

ENRICHETTA        - Non è il caffè, è il latte.

GORDON                  - Il latte, hai ragione. (Fa una smorfia)

ENRICHETTA        - Colpa del frigo che non funziona come dovrebbe.

GORDON                  - Lo scaldabagno, lo steccato, il frigo… tutto ci sta crollando intorno.

ENRICHETTA        - Lo so, tesoro, ma cerco di fare quello che posso.

GORDON                  - Enrichetta, altri soldi non te li posso dare. Perché non li ho.

ENRICHETTA        - Non te li ho chiesti, amore. Voglio solo farti notare che chi si lamenta non sono io. Io il caffè, lo bevo, non lo lascio lì. Guarda. (Beve facendo smorfie di disgusto)

GORDON                  - Io non mi preoccuperei.

ENRICHETTA        - Sto cercando di farti risparmiare.

GORDON                  - Enrichetta, tutti i mesi ti dò un contributo notevole per aiutarti a mandare avanti la casa. Abbiamo poco lavoro, capisci? E’ un momentaccio. Chissà quante ne sentirò oggi alla riunione della società.

ENRICHETTA        - Sarai fantastico, tesoro, parlerai splendidamente e come al solito… liporterai al tuo modo di pensare.

GORDON                  - Questo non mi sarà difficile… pensiamo tutti alla stessa cosa… a come evitare di far bancarotta.

ENRICHETTA        - Le cose stanno a questo punto?

GORDON                  - La crisi oggi è mondiale, Enrichetta, e la nostra società ha un solo cliente forte, solo uno. (Gordon a lunghi passi entra nell’area salotto. Enrichetta prende il vassoio e lo segue. Gordon raccoglie la sua borsa, l’apre ed esamina delle carte. Enrichetta si avvia in cucina col vassoio) Siamo di fronte a una catastrofe finanziaria.

ENRICHETTA        - Non è il momento più adatto, lo so, ma… ancora non mi hai dato il dovuto per la casa. (Esce in cucina)

GORDON                  - E va bene. (Si siede, tira fuori il libretto degli assegni e penna)

ENRICHETTA        - (F.S.) Oggi sono arrivate due fatture che proprio non mi aspettavo… sono lì sulla credenza. (Gordon ne prende una in mano, la esamina ed emette un gemito)

GORDON                  - Oh, povero me! (Esamina la seconda fattura, altro gemito) Gesù!

ENRICHETTA        - (F.S.) Non te le ho fatte vedere ieri per non rovinarti la serata.

GORDON                  - Beh, non aiuta a migliorare la mattinata. (Inizia a compilare l’assegno. Poi si arresta) Nemmeno a mia moglie passo tanto. (Dalla cucina entra Enrichetta con dei fiori che sistema in un vaso e mette sul tavolino)

ENRICHETTA        - Cos’hai detto, tesoro?

GORDON                  - Oh, niente.

ENRICHETTA        - Mi pareva che avessi nominato tua moglie.

GORDON                  - Si, ho dovuto fare un bel taglio a quello che le passavo per la casa.

ENRICHETTA        - Oh, povera donna, come diavolo fa a tirare avanti?

GORDON                  - Sembra riuscirci. Beh, i pasti, sai stanno diventando immangiabili. Per fortuna mangio di rado a casa.

ENRICHETTA        - Se non sperperassi soldi dietro alle donne avresti più soldi da dare a tua moglie.

GORDON                  - E’ un po’ buffo che sia proprio tu a dire così.

ENRICHETTA        - Non cambiare argomento. A te manca il senso della responsabilità.

GORDON                  - Ti prego, Enrichetta. Mi bastano i rimbrotti di Magda.

ENRICHETTA        - Perdono! Perdono!

GORDON                  - Ah, scordavo, ti porterò delle altre uova.

ENRICHETTA        - Ma tesoro! Potrei sfamare mezza Africa con le uova che mi porti. Non potresti rimediare un pollo o un galletto, una volta ogni tanto?

GORDON                  - (Pensando ai suoi cari polli e galline) Questo no!Sarebbe come intaccare il capitale.

ENRICHETTA        - Quante galline avete?

GORDON                  - Fammi pensare… Emilia, Marisa, Fiona, Penelope  e Romeo, naturalmente.

ENRICHETTA        - Confessa, la sentiresti la mancanza di Romeo?

GORDON                  - Io no, ma le galline si. Comunque, non hai detto una volta che vivresti di uova?

ENRICHETTA        - Certo, ma in tutto ci vuole moderazione.

GORDON                  - Se vuoi saperlo, io le preferisco a tutto quel pesce che mi proponi in continuazione.

ENRICHETTA        - Credevo che ti piacesse il pesce.

GORDON                  - Certo, ma in tutto ci vuole moderazione. Ep­poi mai nella quantità che sembra consumarsi in questa casa. Deve costare un occhio.

ENRICHETTA        - Non lo pago io, me lo porta la mamma.

GORDON - Beh, a questo punto che lo mangi lei. A me piace variare... di quando in quando.

ENRICHETTA        - D’accordo. Cosa vorresti mangiare mercole­dì?

GORDON - Venerdì, vuoi dire. Mercoledì è il compleanno di Magda... non posso mancare.

ENRICHETTA        - No, certo che no. Volevo dire venerdì. Con che cosa potrò sollecitare il tuo appetito?

GORDON                  - Sai cosa? Quelle cotolette di agnello cotte nella birra.

ENRICHETTA        - D’accordo.

GORDON                  - Potresti scrivermi la ricetta per Magda?

ENRICHETTA        - Adesso, subito?

GORDON                  - Sì, è urgente. Dai... buttamela giù.

ENRICHETTA        - Non hai detto di avere tanta fretta?...

GORDON                  - Non tanta. (Enrichetta comincia a copiare la ricetta, Gordon guarda l’orologio) Un momento, va bene quell’orologio?

ENRICHETTA        - Come un cronometro.

GORDON                  - (Si guarda il polso) Accidenti, il mio va molto avanti. (Si prepara a mandarlo indietro) Ma che diavolo, è l’ora di Johannesbourg! Fa dei salti tremendi poi torna sempre l’ora di Johan­nasbourg! Per sapere l’ora devo sempre sot­trarre due ore e allora so che ora è qui! A que­sto orologio piace l’ora di Johannesbourg! Ma­ledizione, stramaledizione. (Inizia a toglierselo)

ENRICHETTA        - Dai, non è la fine del mondo.

GORDON  - Per me èla fine del mondo. Dobbiamo ven­derli questi orologi, facciamo noi la pubblicità perché la gente li compri e che ora ti danno? L’ora di Johannesbourg! Non l’hai mai vista alla televisione la nostra pubblicità? “L’orologio del duemila, il preferito dagli aero­nauti”. (Lo sbatte contro il polso tenendo il cin­turino) Maledetto! Magda ha preparato per stasera un goulash ungherese.

ENRICHETTA        - Ma va?!!

GORDON - Ci hai ripensato?

ENRICHETTA        - A cosa?

GORDON - A che lasci mia moglie... perte?

ENRICHETTA        - No, grazie.

GORDON - Via, Enrichetta!...

ENRICHETTA        - Ho avuto un marito: mi basta e mi avanza.

GORDON  - Quello era un grande ruffiano e pieno di don­ne.

ENRICHETTA        - E con questo?

GORDON  - E con questo... ecco... ti capisco... Ma tra noi due è diverso, io ti amo.

ENRICHETTA        - E io amo te... ecco... quindi non roviniamo tutto sposandoci. Eccoti qua la ricetta. (Gordon la prende e se la  infila nel taschino, poi cinge Enrichetta con ardore)

GORDON                  - Se non mi vuoi sposare vengo a vivere con te.

ENRICHETTA        - Non credo che la mamma prenderebbe la cosa molto bene.

GORDON                  - ... Se tu me la facessi conoscere… forse.

ENRICHETTA        - No, Gordon, è una donna all’antica. E una puritana.

GORDON  - Non si direbbe, quando si tratta di bere. A giudicare da queste fatture, io la immagino marinata nella vodka.

ENRICHETTA        - Beh, ogni tanto se lo gusta il suo bicchierino!

GORDON                  - Che è poi il mio bicchierino!

ENRICHETTA        - A volte porta qui due o tre amiche.

GORDON  - Morte di sete anche quelle! Perché, vedi, En­richetta, vada per noi due, ma non posso man­tenere a vodka tutto il vicinato.

ENRICHETTA        - Lascia che le parli io.

GORDON  - Come fai se vuole venire nei giorni che sono miei?

ENRICHETTA        - Le dico che lavoro.

GORDON                  - Che tipo di lavoro?

ENRICHETTA        - Segretaria privata di un boss esigentissimo che senza preavviso pretende da me un servizio 24 ore su 24. (Gordon l’attira a se)

GORDON                  - Uhmmm, questo profumo... Cos’è?

ENRICHETTA        - Sono le otto e un quarto, Gordon.

GORDON  - Più tardi telefono per dire che sono rimasto bloccato dal traffico.

ENRICHETTA        - Più tardi quando?

GORDON  - (Avviandosi verso la camera da letto con Enri­chetta) Dipende da te. (Con malizia)

ENRICHETTA        - Ti conosco, caro, ti riaddormenterai.

GORDON  - Metto la sveglia. (Traffica con l’orologio da polso)

ENRICHETTA        - Quello va male.

GORDON  - Carico la pendola: quella suona più forte della sirena dei pompieri. (Enrichetta si infila sotto le lenzuola e Gordon comincia a spogliarsi  mentre cala il sipario)

(Immediatamente dopo si sente suonare una sveglia fortissimo)

FINE DELLA SCENA

SCENA SECONDA

Molte ore dopo. La sveglia sta suonan­do e due minuti dopo si alza il sipario.

Enrichetta, a letto, si sveglia, si rad­drizza sul letto e allungando un braccio ferma la sveglia: poi scuote la figura accanto a sé nascosta sotto le coltri.

ENRICHETTA        -Te l’avevo detto, tesoro, che ti saresti riaddor­mentato! (Dalle coltri emerge una figura anco­ra mezzo addormentata: è Alec!)

ALEC                         - Accidenti, ma che ora è?

ENRICHETTA        - Sono le dieci, guarda.

ALEC                         - Oh - oh, credevo fosse più tardi.

ENRICHETTA        - Cosa vuoi per colazione?

ALEC                         - Niente colazione. Mi sono messo a dieta, non te ne ricordi?

ENRICHETTA        - Già, è vero, tesoro. Ho la memoria di un setaccio.

ALEC                         - Me ne sono accorto. Ma mi piaci, tutta, lo stesso. Qua un bacio.

ENRICHETTA        - Eccolo.

ALEC                         - Su, vieni vicina...

ENRICHETTA        - Si può sapere perché diventate tutti sensibili appena vi svegliate?

ALEC                         - Tutti? Come sarebbe a dire “tutti”?

ENRICHETTA        - Oh, è un modo di dire che ho preso da mam­ma. “Sempre gli stessi, tutti uguali gli uomini”.

ALEC                         - Vorrei proprio conoscerla questa mamma. Ha viaggiato molto, vero? (Alec si alza dal let­to)

ENRICHETTA        - Sì, molto. Oh, tesoro, prima che me ne scordi, lo steccato in fondo al giardino sta andando a pezzi. Chiamo qualcuno per farlo riparare?

ALEC                         - (Dando un‘occhiata fuori dalla finestra) Chie­dono cifre astronomiche oggigiorno. Non ti co­sterebbe meno di centocinquanta sterline. Ci provo io la prossima volta che vengo.

ENRICHETTA        - Rispondete tutti a un modo. (Lui la fissa) Tu.

ALEC                         - Te lo sistemo io, non ci vuol niente. I chiodi li ho comprati, vero?

ENRICHETTA        - No.

ALEC                         - No, hai ragione, quelli erano per sistemare le rose a casa.

ENRICHETTA        - Non so.

ALEC                         - Allora, prima cosa, comprerò i chiodi. I chio­di sono andati alle stelle! Ma prima dovrò si­stemare le rose se no Melissa mi mangia! Le rose penzolano e hanno bisogno di essere lega­te.

ENRICHETTA        - E le mie, no? Credevo che aveste un giardi­niere.

ALEC                         - Lo avevamo, ma ha cambiato mestiere, fa il demolitore e credo che guadagni bene. (Alec va in bagno. Squilla il telefono. Risponde Enrichet­ta)

ENRICHETTA        - Pronto?... Brighton 5021... Gordon! (Guarda verso il bagno e parla sotto voce) Puoi richiamare più tardi? La mamma è qui.

ALEC                         - (F.S.) Chi è?

ENRICHETTA        - E’ Gor... La mamma.

ALEC                         - (F.S.) Chi?

ENRICHETTA        - (Con la mano sopra il ricevitore) Povera mammina! (Poi al telefono) Un momento. (Enrichetta mette il telefono sotto il cuscino e va alla porta del bagno) Chiudo la porta, tesoro, perché la mamma non senta correre l’acqua del bagno. (Chiude la porta e torna al telefono) Oh! Adesso possiamo parlare!... Era la mamma che voleva sapere con chi parlavo. Le ho detto che era l’operaio per lo steccato... Sì, mi ha fatto il preventivo, centocinquanta sterli­ne. …Pare che i chiodi siano andati alle stel­le. …Placcati d’oro? Ma no, Gordon, chiodi normali... Come?... No, tesoro, èmartedì, lo sai che il martedì la porto a ballare... E’ il suo unico svago, povera mammina. … Ma no, co­me faccio a rimandare... Su, fai il bravo, e aspetta il tuo turno... (Lo calma) Ma no, voglio dire quando sarò meno presa dalla mamma.  Domani pomeriggio?... Aspetta che sento da lei, resta all’apparecchio. (Con la mano iso­la il ricevitore) Tesoro?

ALEC                         - (Alec apre e si affaccia alla porta) Sì.

ENRICHETTA        - A che ora vieni domani?

ALEC                         - Perché vuoi saperlo?

ENRICHETTA        - Perché nel pomeriggio la mamma vorrebbe che la accompagnassi a fare un po’ di shop­ping.

ALEC                         - Mi sta benissimo, basta che tu rientri per le sei. (Chiude la porta)

ENRICHETTA        - Perfetto, tesoro, domani va bene, purché alle cinque e mezzo tu te ne vada. ..... Ciao, a domani. (Posa il ricevitore. Prende l’agenda degli appuntamenti e scrive: “Uova alle 17.30. Pesce arriva alle 18.00”. Chiude l’agenda. Entra Alec dal bagno. E’ in pantaloni e camicia)

ALEC                         - Mi sonopesato. Ho messo su due chili.

ENRICHETTA        - Non sarà per quello che mangi qui, tesoro.

ALEC                         - E’ per quello che mangio a casa. Melissa è la migliore cuoca a nord del Tamigi. Le sue tartine alla melassa sono la fine del mondo. Se non venissi qui due volte alla settimana la mia pan­cia sporgerebbe in fuori come un davanzale.

ENRICHETTA        - Questo mi fa venire in mente, tesoro... i soldi per la casa. (Enrichetta si infila una vestaglia e va in salotto seguita da Alec)

ALEC                         - Di nuovo?

ENRICHETTA        - Beh, due settimane fa, l’ultima volta che...

ALEC                         - Non può essere, te li ho dati la settimana scorsa.

ENRICHETTA        - No, tesoro. Forse ti confondi con Melissa.

ALEC                         - Di questo, Enrichetta, dovremo parlarne un po’. Non c’è quasi differenza tra quel che passo a te e quel che passo a Melissa, e lei ha da sfamare tre ragazzi che crescono.

ENRICHETTA        - Io ho la mamma.

ALEC                         - Deve avere un appetito da lupo, tua mamma.

ENRICHETTA        - Non è da te, Alec, esprimersi a quel modo.

ALEC                         - Hai ragione, ma vedi, a volte tua madre passa i limiti. Ecco, voglio dire: fuma come un turco ed è capace di scolarsi quattro bottiglie di vod­ka in una settimana. I tempi sono difficili, Enrichetta. Ho sei pescherecci bloccati a Grimhsy senza contare il resto nel canale della Manica. C’è pocoda stare allegri. (Enrichetta tira fuori le fatture. Lui finisce di vestirsi)

ENRICHETTA        - Ecco le fatture. Io risparmio, non butto via niente.

ALEC                         - Ti credo, Enrichetta.

ENRICHETTA        - Voglio che tu le veda, voglio che le esamini...

ALEC                         - E va bene. (Le posa sul tavolino e le esamina)

ENRICHETTA        - La mamma, comunque, potremmo metterla in un ospizio per vecchi se è quello che preferi­sci.

ALEC                         - Non si tratta di lei, Enrichetta, si tratta di una altra bocca da sfamare… e i tempi sono duri. Guarda qua, non è soltanto vodka. Champagne.

ENRICHETTA        - Era il suo compleanno e sono venute alcune sue amiche.

ALEC                         - Sei bottiglie di champagne? Ha invitato tutta Brighton?

ENRICHETTA        - Sono rimaste due bottiglie. Senti, caro, non sopporto tutto questo rimbeccare, pagherò io e basta.

ALEC                         - Non è questo, Enrichetta! E’ tua madre. Non ha altri mezzi di sostentamento tranne te?

ENRICHETTA        - Papà la lasciò quasi sul lastrico... Ma non importa, venderò un gioiello, uno dei gioielli che mi ha lasciato la nonna.

ALEC                         - Non ricominciamo, Enrichetta! Pagherò io e basta, solo che, per essere una donna senza un soldo butta i soldi con troppa facilità.

ENRICHETTA        - Lascia che le parli io.

ALEC                         - Dille che i tempi sono calamitosi, che dobbiamo stringere la cinghia, che oggi ci sono più pescatori che pesci. L’ho detto anche a Melissa che bisogna fare economia. Mi tocca mantene­re suo padre, senza contare tre fratelli e le loro famiglie.

ENRICHETTA        - (Porgendogli la penna) Non devi permettere che la gente ti sfrutti.

ALEC                         - (Firmando l’assegno) Quando penso al nume­ro di persone che mantengo, ecco, mi doman­do cosa succederebbe se faces­si bancarotta? Farei saltare le casse dell’Assi­stenza Sociale e della Cassa Integrazione! (Le porge /‘assegno)

ENRICHETTA        - Grazie, tesoro, sei adorabile. (Con un braccio gli cinge il collo e lo bacia)

ALEC                         - E no! Adesso proprio no!

ENRICHETTA        - Okay, rimandiamo a stasera.

ALEC                         - Ciao... Non lo credi proprio possibile… in qualche modo, di far ricoverare tua madre?

ENRICHETTA        - Si può provare, ma è co-sto-sis-si-mo! Vuoi che mi informi?

ALEC                         - (Avviandosi all’uscita) Potrebbe non essere una cattiva idea. Ma prima assicurati bene che sia un luogo di temperanza.

BUIO

SCENA TERZA

Mercoledì, tardo pomeriggio.

Le luci rivelano      Gordon che si sta annodando la  cravatta in camera da letto. Entra in salotto  mentre si sta infilando la giacca.

GORDON                  - (Chiamando) Faccio una telefonata a Magda.

ENRICHETTA        - (Fuori scena, dalla cucina) Beh, spicciati, sono già le cinque e mezzo.

GORDON  - (Cominciando a formare il numero) Vuoi un drink, tesoro?

ENRICHETTA        - (F.S.) No, tesoro, sto preparando il tè.

GORDON  - Preferisco un drink. (Prende la bottiglia dal  tavolino dietro il sofà mentre sta col ricevitore in mano)

ENRICHETTA        - (F.S.) Stai esagerando col bere da un po’ di tempo a questa parte.

GORDON  - (Alzando la bottiglia controluce;  è quasi vuota) E’ di tua madre che dovresti preoccuparti. L’ha bevuta tutta. (Versa in un bicchiere il poco rimasto, poi aggiunge pochissima acqua nella bottiglia, scuote bene e versa nel bicchiere. Beve un sorso) Pronto, Magda... Sono io. E’ un’ora che chiamo, dove sei stata?... Nel pollaio?... Frida non fa più uova?… Ah, che birbona! Quando vengo gliene dico due... Non ricominciare, Magda, ho avuto un pomeriggio spossante... Sì, spossante, lì conosci no, i miei clienti? Mai soddisfatti, mai paghi... Un pomeriggio, Magda, che mi ha messo k.o… No, Magda, non sto cercando di schivare la festa del tuo compleanno... Aspettami... sarò lì tra pochi minuti, detto due lettere e vengo... Sì... sì… e se torni nel pollaio, metti due palle da golf sotto la pancia di Frida… tanto per rinfrescarle la memoria. (Mette giù il ricevitore mentre entra Enrichetta: indossa un abito molto elegante)

ENRICHETTA        - Tesoro, credo che il bollitore elettrico non funzioni.

GORDON                  - Non voglio sapere niente. Magda... poco fa, mi ha fatto una scenata. Mi vuole a casa.

ENRICHETTA        - Non ti ho chiesto di aggiustarlo, vorrei solo sapere se possiamo permetterci un elettricista.

GORDON  - Nessuno può, oggigiorno. Forse è capace tua madre.

ENRICHETTA        - La mamma!!?

GORDON  - Beh, mi hai detto che aveva aggiustato l’aspi­rapolvere.

ENRICHETTA        - (Realizzando) Sì, è vero. Chi ci pensava più.

GORDON                  - (Dandole un bacio) Ci vediamo venerdì.

ENRICHETTA        - Non vedo l’ora che arrivi! Conterò le ore e i minuti.

GORDON  - Anch’io. (Enrichetta guarda l’ora all’orologio da polso mentre Gordon esce nell’ingresso. Suo­na il campanello di casa, Enrichetta ha l’aria sorpresa) Chi può essere?

ENRICHETTA        - La mamma. Scappa via dalla porta della cucina.

GORDON  - Aspetta. Sarebbe una buona occasione per co­noscerla!

ENRICHETTA        - No! (Spingendolo fuori in cucina) Via, presto, scappa! (La porta di casa suona di nuovo. Gordon esce in cucina sbattendo la porta nell’usci­re. Enrichetta vuota il portacenere, mette via la vodka e il bicchiere, poi, calma e controllata, va ad  aprire. Voci)

ENRICHETTA        - (F.S.) Anna!

ANNA                        - (F.S.) Tesoro!

ENRICHETTA        - Non ci posso credere! Vieni, vieni dentro! (Entrano. Anna ha con sé un valigetta)

ANNA                        - Spero di non essere capitata ad un’ora inopportuna.

ENRICHETTA        - Ti pare! Fatti vedere. Non posso credere chi sia tu. Sei uno splendore.

ANNA                        - Tu, piuttosto. Io sono distrutta, un relitto, ma non so descriverti la gioia di rivederti.

ENRICHETTA        - Ho continuato a mandarti gli auguri di Natale, ma sono sempre tornati indietro: “indirizzo sconosciuto”. Ti avevo dato per morta.

ANNA                        - Siamo stati trasferiti in Nuova Zelanda.

ENRICHETTA        - Beh, mi sono sbagliata di poco.

ANNA                        - Ho smesso di scriverti quando tu e Bob siete andati in Sud America.

ENRICHETTA        - Ci sono rimasta pochissimo. Ci siamo separati.

ANNA                        - Oh. Tesoro. Proprio mi dispiace.

ENRICHETTA        - Non è il caso, era un farabutto.

ANNA                        - In che senso?

ENRICHETTA        - In tutti i sensi: frode, millanteria, furto a mano armata... tentato omicidio.

ANNA                        - Ha tentato di ammazzarti?

ENRICHETTA        - Non me, ma Peter, un nostro amico, un uomo tremendamente simpatico,  spaventosamente ricco e campione di judo. Un giorno Peter, facendomi delle complicate dimostrazioni di judo, mi aggancia in un modo piuttosto elaborato, Bob entra, prende lucciole per lanterne, lo afferra e lo scaraventa fuori dalla finestra.

ANNA                        - Si era seccato?

ENRICHETTA        - Da morire. Ma adesso dimmi di Richard, fa sempre il veterinario?

ANNA                        - Sempre. Metà delle pecore della Nuova Zelanda le ha in cura lui.

ENRICHETTA        - Suona molto redditizio.

ANNA                        - Lo è.

ENRICHETTA        - Ma tu, come diavolo hai fatto a scovarmi?

ANNA                        - Puro caso… Ho telefonato a tua madre. A Sidney, qualcuno mi aveva dato il suo numero di telefono. Le ho telefonato e mi ha detto dov’eri.

ENRICHETTA        - Ti tratterrai molto in Inghilterra?

ANNA                        - Non lo so.

ENRICHETTA        - Richard è con te?

ANNA                        - No. Siamo venuti insieme, ma ieri abbiamo fatto un’altra litigata e gli ho detto di tornarse­ne in Nuova Zelanda.

ENRICHETTA        - Senza di te?

ANNA                        - Per quel che gliene importa. Ormai vive nell’alcool. Ci prova, ogni tanto, a smettere, ma gli basta un mezzo bicchiere e baaang! Par­te di nuovo.

ENRICHETTA        - Allora… avete proprio rotto?

ANNA                        - Irrevocabilmente. Per sempre.

ENRICHETTA        - Dio, Dio. E dove alloggi?

ANNA                        - Mi troverò un albergo.

ENRICHETTA        - Nemmeno a parlarne, tu resti qui e per pri­ma cosa bevi qualcosa di forte.... Devo avere un goccio di brandy da qualche parte. (Apre un armadietto e prende una bottiglia di brandy)

ANNA                        - Hai un bell’appartamento. Ci stai da molto?

ENRICHETTA        - Tre anni circa.

ANNA                        - (Prendendo il brandy) Grazie.

ENRICHETTA        - Dopo che ho conosciuto Alec.

ANNA                        - Ah, ti sei risposata?

ENRICHETTA        - Non esattamente.

ANNA                        - Ah.

ENRICHETTA        - E’ un... un amico.

ANNA                        - L’amico giusto. L’amico giusto da avere, mia cara.

ENRICHETTA        - E se resti qui nel week-end, ne conoscerai un altro.

ANNA                        - Uh, che bello. Come si chiama?

ENRICHETTA        - Gordon.

ANNA                        - Ad Alec non secca?

ENRICHETTA        - Mica lo sa.

ANNA                        - Vuoi dire che non si conoscono?

ENRICHETTA        - E prego Dio che non si conoscano mai.

ANNA                        - E... con Gordon?

ENRICHETTA        - Sì.

ANNA                        - E con Alec?

ENRICHETTA        - Sì, con tutti e due. Beh, non con tutti e due alla volta.

ANNA                        - Ma tesoro, è eccitantissimo, un marito in Perù,e due boy friend. Quale dei due ti mantiene?

ENRICHETTA        - Tutti e due. E’ l’unico modo per arrivare a fine del mese.

ANNA                        - Nuoterai nel denaro.

ENRICHETTA        - No, cara, hanno famiglia, tutti e due, una moglie da mantenere e non gli resta molto liquido per i piccoli lussi, come me.

ANNA                        - Non senti un senso di colpa quando pensi alle mogli?

ENRICHETTA        - No, cara, Perché non mi passerebbe neppure per l’anticamera del cervello di mandare all’aria i loro matrimoni. Anzi!

ANNA                        - Ma vengono a letto con te tutti e due.

ENRICHETTA        - Beh, sì, ma scusa, se uno ogni tanto prende un taxi non vuol dire conquesto che vuole liberarsi della macchina. Comunque, di mariti ne ho avuto uno e mi basta, grazie tante.

ANNA                        - Come riesci a non farli incontrare?

ENRICHETTA        - Da principio non è stato facile, poi m’è venuta l’idea della mamma. Una all’antica, innocente e severa.

ANNA                        - Tua madre?

ENRICHETTA        - Non la mamma che conosci tu, ma una mamma mitica che morirebbe d’infarto se venisse a  sapere che mi faccio... mantenere.

ANNA                        - E funziona?

ENRICHETTA        - Finora si, grazie al cielo. Se ne perdo uno, li perdo tutti e due.

ANNA                        - Mi accorgo che io ho perso il mio tempo.

ENRICHETTA        - Non te la prendere.

ANNA                        - Chissà cos’è che non va con Richard!

ENRICHETTA        - Chissà cos’è che non va con tutti gli uomini!

ANNA                        - Forse la colpa è stata mia.

ENRICHETTA        - Non dir fesserie. Guarda me. Sposai un uomo delizioso, affascinante, e cosa si è dimostrato? Beh, non sono certo stata io a fare di lui un donnaiolo e un criminale, né tu a fare di Ri­chard un alcolizzato. Le tendenze c’erano, era­no lì, latenti. Gli uomini sono come i tostapane elettrici, quando si guastano tanto vale buttarli via e prenderne uno nuovo.

ANNA                        - In quanto a uomini a quest’ora sarai diventata un’esperta.

ENRICHETTA        - Esperta in cosa? Gli uomini sono dei tali sem­plicioni... non hanno nulla della nostra perspi­cacia e sottigliezza.

ANNA                        - Non ti vengono mai a noia quei due?

ENRICHETTA        - Mi manca il tempo, tesoro. Ho sempre tanto da fare. Lo capisci che mando avanti una spe­cie di piccola industria.

ANNA                        - E con successo?

ENRICHETTA        - Faccio del mio meglio. Doppi turni. A propo­sito: il turno “uno” sta per iniziare a minuti.

ANNA                        - E... generosi? Tutti e due?

ENRICHETTA        - Come possono.

ANNA                        - Beh, due clienti sono più lucrativi di uno solo.

ENRICHETTA        - Anna, cara, non esprimerti con tanta crudez­za.

ANNA                        - Hai ammesso tu di averne due.

ENRICHETTA        - Il numero non ha importanza, ma la parola “cliente” mi offende. Io sono un’amante.

ANNA                        - Sì, ma di due uomini.

ENRICHETTA        - Non per loro. Se non fossimo afflitti da questa crisi economica ce la farei benissimo con uno. A un veterinario con mezzo milione di pecore il soldino non manca, ma qui cara, dobbiamo tutti fare dei sacrifici, ed è stato un anno particolarmente brutto per le... beh, per chi si fa mantenere. Un tè? Un biscottino?

ANNA                        - Un tè, con piacere.

ENRICHETTA        - Devo bollire l’acqua nel pentolino, il bollitore elettrico non funziona. (Esce in cucina. Entra Alec con un sacchetto di plastica. Rientra frettolosamente Enrichetta) Salve, tesoro. (Lo bacia) Stavamo parlando di mariti. Del suo e del mio. Il  mio Alec, la mia cara amica Anna.

ALEC                         - Lieto.

ANNA                        - Lieta.

ENRICHETTA        - Sto preparando il tè. Una tazzina anche te, Alec?

ALEC                         - Volentieri. Ma poi devo scappare a New Haven.

ENRICHETTA        - Proprio adesso?

ALEC                         - E’ così vicino. Tra un’oretta sono qua. Uno dei pescherecci si è incagliato sul bagnasciuga.

ENRICHETTA        - Nessun ferito?

ALEC                         - Nessuno. Ci hanno fatto l’abitudine a incagliarsi. (Porgendole il sacchetto di plastica) Pesce. Per il pranzo.

ENRICHETTA        - Merluzzo?

ALEC                         - Rombo. Del migliore.

ENRICHETTA        - Che bellezza, un po’ di variante.

ALEC                         - Una variante da quelle eterne omelettes.

ENRICHETTA        - Le uova me le porta la mamma. Vivrebbe di uova.

ALEC                         - Le depone lei, per caso?

ENRICHETTA        - Fate due chiacchiere voi due mentre io faccio il tè, ma cercate di evitare argomenti controversi.

ALEC                         - Per esempio?

ENRICHETTA        - Moralistici… Matrimonio… e la mamma. (Esce in cucina. Anna e Alec si guardano)

ALEC                         - E’ arrivata da poco?

ANNA                        - Da pochissimo.

ALEC                         - Vive da queste parti?

ANNA                        - Nuova Zelanda.

ALEC                         - Nuova Zelanda, ah già... ci sono stato quand’ero in marina.

ANNA                        - Davvero?

ALEC                         - Qualche settimana... a Wellington, per via di una elica rotta.

ANNA                        - Ha sofferto?

ALEC                         - (Ride alla domanda)  Molto. Rimarrà qui mol­to?

ANNA                        - All’infinito.

ALEC                         - Dove alloggia?

ANNA                        - Enrichetta mi ha gentilmente invitata a star qui.

ALEC                         - Gli amici dei miei amici sono i miei amici. Sia la benvenuta.

ANNA                        - Grazie.

ALEC                         - Immagino che Enrichetta le avrà spiegato di me.

ANNA                        - Sì, infatti.

ALEC                         - E’ una gran donna, Enrichetta. E’ molto che la conosce?

ANNA                        - Da quando eravamo bambine. E’ come una sorella, per me.

ALEC                         - Allora conoscerà la madre.

ANNA                        - Sì, la conosco.

ALEC                         - Vecchia bigotta. Tutta preti e chiesa.

ANNA                        - Non me lo dica!

ALEC                         - Forse, sotto sotto, è una brava signora, ma, in barba alle sue cantate in chiesa e le opere buo­ne, beve come una spugna. E il marito di En­richetta, lo ha conosciuto?

ANNA                        - Appena appena.

ALEC                         - Lo chiamavano Bob il matto. Non fa che entrare e uscire di prigione in Perù.­

ANNA                        - Sì, ho sentito.

ALEC                         - La madre di Enrichetta gli perdona sempre tutto. Stravede per Bob! E suo marito cosafa?

ANNA                        - Il veterinario.

ALEC                         - Una vocazione bellissima. Tutta gentilezza e amore.

ANNA                        - Per i quadrupedi, non per me. E’ sempre a quattro zampe per l’alcool! (Entra Enrichetta con il  vassoio)

ENRICHETTA        - Alec può dire quel che vuole, l’alcool non la peggiora.

ALEC                         - Probabilmente la migliora!

ENRICHETTA        - (Versando il tè) Ecco qua. Poco zucchero, mi raccomando.

ALEC                         - Non mi sgridare, Enrichetta, lo zucchero è la mia unica consolazione, tranne te, s’intende. (Le soffia un bacio e si serve molto zucchero)

ENRICHETTA        - Non mi stanco mai di dirglielo che lo zucchero è un veleno... (Alec prende la tazza con mano tremante e un pò di tè gli va sui pantaloni)

ALEC                         - Cazzabubbolo! (Posa la tazza e si tasta le tasche in cerca di un fazzoletto) Sono senza fazzoletto.

ENRICHETTA        - Sono appena arrivati dalla stireria.

ALEC                         - Posso averne uno?

ENRICHETTA        - La chiave del cassetto, l’hai tu.

ALEC                         - Ah, già. (Ad Anna) Deve tenerlo chiuso a chiave perché “la mamma” non si accorga che… uhmmm! La mamma non sa di me.

(Va in camera da letto, chiude la porta e con una chiave apre il cassetto alto del comò. Prende un fazzoletto e richiude a chiave. Con questo si asciuga il vestito ecc. Durante tutto questo Enrichetta e Anna continuano a parlare)

ANNA                        - E’ simpatico.

ENRICHETTA        - Molto. (Guarda il vassoio) Oh, scordavo! Una fettina di plum-cake?

ANNA                        - Con grande piacere, sono affamata. Non mangio da ieri.

ENRICHETTA        - Ma che sciocca! Potevi dirlo. Vieni in cucina, ti faccio due uova.

ANNA                        - Oh, grazie. (Escono in cucina. Entra Gordon e si guarda attorno)

GORDON  - Enrichetta?... (Enrichetta appare sulla soglia della cucina e rimane paralizzata)

ENRICHETTA        - Gordon.

GORDON                  - Scusa, tesoro, il mio regalo per Magda... L’hodimenticato nel cassetto. (Intanto Alec esce dal bagno. Gordon è già sulla so­glia della porta della camera da letto. Enrichet­ta, paralizzata, non osa fiatare. Poi, sempre nel­la stessa posizione chiude gli occhi in attesa del­l’inevitabile. Gordon apre il suo cassetto con la sua chiave e vifruga dentro e tira fuori un pic­colo astuccio. Richiude a chiave, poi apre l’astuccio e tira fuori un anello e lo ammira, ma ohimè, questo cade e va a finire sotto il letto) Accidenti! (Si china e in ginocchio cerca sotto il letto. Dal bagno rientra Alec, finisce di tirare su la lampo dei pantaloni e va direttamente in sa­lotto senza naturalmente accorgersi di Gordon che si trova sotto il letto. Alec riprende la tazza di tè)

ALEC                         - Ottimo. (Si avvicina a Enrichetta e le dà un bacio) Ciao, non starò via molto. (Esce nell’in­gresso. Enrichetta ancora congelata dall’ap­prensione, va in camera da letto in punta di pie­di)

ENRICHETTA        - Gordon.

GORDON  - (Alzandosi in piedi) Trovato. Quel fetente era rotolato sotto il letto.

ENRICHETTA        - Ma… e… non ti sei accorto di niente?

GORDON                  - Beh, si, molta polvere.

ENRICHETTA        - (Sollevata) E già, perché l’aspirapolvere si è rotto di nuovo.

GORDON                  - Fate il paio tu e Magda, basta che guardiate
un elettrodomestico, perché quello si guasti (Viene in salotto)

ENRICHETTA - (Seguendolo) Tesoro, vorrei tanto che tu mi telefonassi prima di venir qui. C’è sempre il pericolo che arrivi la mamma e...

GORDON                  - Ieri mi hai detto che l’aspettavi solo stasera.

ENRICHETTA        - Ti ho detto questo?

GORDON                  - Proprio questo.

ENRICHETTA        - A, beh, sì, è vero, è proprio così.

GORDON                  - E allora perché tante storie? (Entra Anna e alla vista di Gordon si arresta, è sulle spine e lancia occhiate furtive intorno a sé ovviamente
cercando Alec)

ENRICHETTA        - A... a proposito... questa è la mia amica Anna. E’ arrivata dalla Nuova Zelanda.

GORDON                  - Piacere.

ANNA                        - Piacere.

ENRICHETTA        - Anna, questo è Gordon. Il tè è appena fatto. Una tazzina, tesoro?

GORDON                  - No, grazie, devo scappare.

ENRICHETTA        - Solo due minuti, ti prego.

GORDON                  - Non posso, sto organizzando il party per il compleanno di Magda che è oggi. Abbiamo invitato mezza città.

ENRICHETTA        - Solo due minuti, per dire “ciao” ad Anna.

ANNA                        - Ho sentito tanto parlare dì lei.

GORDON                  - (Ha un soprassalto) Di me?

ENRICHETTA        - Stai tranquillo, tesoro, Anna è al corrente.

GORDON                  - Allora, vada per una birra in fretta!

ENRICHETTA        - Sai dove trovarla.

GORDON                  - Nel frigo. (Ad Anna) Felice di aver fatto la sua conoscenza. (Esce in cucina)

ANNA                        - Non si può negare che sai scegliere bene. Mi accorgo che in Nuova Zelanda ho perso il mio tempo. (Si sente un gran fragore dalla cucina e un urlo acuto)

ENRICHETTA        - Dio, che hai fatto! (Gordon entra trascinando una gamba)

GORDON                  - Mi sono rotto una gamba.

ENRICHETTA        - Come hai fatto?

GORDON                  - Scivolando su un pesce fottuto!

ENRICHETTA        - Gesù!

GORDON                  - Sul letto... dai... aiutami!

ENRICHETTA        - Non c’è tempo.

GORDON                  - Tempo per cosa?

ENRICHETTA        - Devi andare da Magda, tesoro.

GORDON                  - Non posso, mi fa un male cane... Sul tetto... presto, aiutami e chiama un dottore. (Enrichetta e Anna lo aiutano fino verso il letto)

ENRICHETTA        - E’ il compleanno di Magda.

GORDON                  - Che strazio!

ENRICHETTA        - Ma no, vedrai che finirai per divertirti.

GORDON                  - Mi riferivo alla gamba! Piano, un momento, mettetemi giù piano piano... adagio adagio... (Con uno strattone Enrichetta ed Anna lo metto­no sul letto)

ENRICHETTA        - Non puoi restare.

GORDON                  - Chiama subito un dottore.

ENRICHETTA        - E’ inutile, lo sai che non si muovono per delle piccolezze.

GORDON                  - Piccolezze, una gamba rotta?

ANNA                        - (Togliendogli il calzino) Credo che dovrai to­gliergli i pantaloni.

ENRICHETTA        - Non credo. E’ solo la caviglia che va esamina­ta.

ANNA                        - (Tastandogli la caviglia e polpaccio) Si butti giù.

GORDON                  - (Dal dolore) Uuuuh, ahiii - più piano.

ANNA                        - Silenzio!

GORDON                  - (A Enrichetta) Ma sei sicura che sa quello che fa?

ENRICHETTA        - Sicurissima. Suo marito è veterinario.

ANNA                        - Voglio assicurarmi che non ci sia una frattu­ra. (Preme il cavo del piede con energia)

GORDON                  - Uuuuuh!

ANNA                        - Uuuh, cosa?

GORDON                  - Ha fatto peggio!

ANNA                        - Lo dice lei.

GORDON                  - E chi vuole che lo dica?

ENRICHETTA        - Fa così a tutte le pecore della Nuova Zelanda.

GORDON                  - La Protezione degli Animali lo sa?

ANNA                        - Si tratta di un semplice strappo muscolare.

GORDON                  - (A Enrichetta) Ma cosa vuoi che ne capisca!

ANNA                        - C’è una benda?

ENRICHETTA        - Nel mobiletto in bagno. (Esce Anna)

GORDON                  - Odio gli ospedali...

ENRICHETTA        - Allora vai a casa.

GORDON                  - Peggio che andar di notte, Magda non sop­porta i malati, la turbano, specie il giorno del suo compleanno.

ENRICHETTA        - Qui non puoi assolutamente restare.

GORDON                  - Spiegami il perché?          

ENRICHETTA        - Perché sta per arrivare la mamma.

GORDON                  - Lascia che arrivi. Le dirai che sono il tappez­ziere, che sono caduto dalla scala nel riparare una tenda e...

ENRICHETTA        - Non dire sciocchezze.

GORDON                  - Sono due anni che mi fai evitare tua madre. Quando ero in buona salute questo mi faceva quasi piacere, ma adesso, con una gamba rotta, non sono disposto ad alterare i miei programmi per le schizzinose suscettibilità di una bigotta fanatica che sta in piedi solo a forza di gin.

ENRICHETTA        - Non beve gin.

GORDON                  - Vodka. (Entra Anna con delle bende)

ENRICHETTA        - Spero che chiederai scusa quando la conoscerai meglio.

ANNA                        - (Credendo che si riferisca a lei) Ci scommetto!

ENRICHETTA        - E’ meglio che le telefoni. (Entra in salotto. Chiu­de la porta, prende il telefono, forma un numero. Anna intanto fascia la caviglia di Gordon)

ANNA                        - Con un piccolosforzo sono sicura che ce la fa­rà a camminare.

GORDON                  - Camminare!!!

ANNA                        - Col bastone.

GORIDON                - A che pro?

ANNA                        - Per tornare subito a casa.

ENRICHETTA        - (Al telefono) Pronto? New Haven?... Vorrei lasciare un messaggio per il signor Alec Bult... Non ha una penna? Prenda la mia... Scherza­vo, scusi... Prenda un lapis, è urgentissimo.

GORDON                  - A casa non ci torno, non conciato così. Voglio allungarmi, distendendomi bene e riposare la gamba. A casa dovrei stare in piedi, muovermi, essere gioviale per intrattenere tutti quei creti­ni.

ANNA                        - Sua moglie sarà in pensiero.

GORDON                  - Un’idea! Le telefono e le dico che sono al­l’ospedale con una gamba rotta!

ANNA                        - Potrebbe volere venire a trovarla.

GORDON                  - Mi romperei l’altra gamba!

ANNA                        - (Finendo la bendatura) Va meglio?

GORDON                  - Non molto. Le dispiace sistemarmi meglio i cuscini? (Anna esegue) E tirare bene le lenzuola? (Anna esegue girando intorno al letto e agi­tando il copriletto con disdegno e terminando con un colpetto violento al piumino che causa dolore alla gamba di Gordon) Oh’!… 

ANNA                        - Nient’altro?

GORDON                  - Vorrei un drink. (Anna va in salotto sbattendo la porta)

ANNA                        - A letto vale proprio poco.

ENRICHETTA        - Come hai detto?!

ANNA                        - Niente gli va bene!

ENRICHETTA        - (Al telefono) Oh, bravo, ha trovato una pen­na... Il messaggio èquesto: dire al signor Alec Bult che alla mia mamma èpreso uno dei soliti malori e che ho dovuto metterla a letto. Grazie. (Mette giù il ricevitore)

ANNA                        - (Preparando un drink per Gordon) Che ne fac­ciamo di quel Gordon?

ENRICHETTA        - (Formando un altro numero) Chiamo un taxi, ce lo scaraventiamo dentro e lo spediamo a casa sua.

ANNA                        - Ma non vuole andare a casa sua.

ENRICHETTA        - Vuol dire che circolerà in taxi per le vie di Brighton tutta la notte. Al diavolo, sempre oc­cupati questi radio taxi, faccio prima ad uscire e a fermarne uno. Io vado, tu resta qui al co­mando. Torno subito. (Enrichetta esce di corsa. Anna porta il drink a Gordon)

ANNA                        - Eccola servita.

GORDON                  - Cos’è?

ANNA                        - Vodka.

GORDON                  - Allora grazie.

ANNA                        - Nient’altro, monsieur?

GORDON                  - Nient’altro. Enrichetta dov’è?

ANNA                        - E’ uscita un momento. Sono rimasta io al suo servizio.

GORDON  - Allora un po’ di ghiaccio.

ANNA                        - I suoi desideri, monsieur, sono ordini. (Si av­via beffarda)

GORDON  - E già che c’è anche una fettina di limone.

ANNA                        - (Voltandosi sulla soglia della porta) Di cosa èmorta la sua ultima cameriera? (E va in sa­lotto)

GORDON  - Senta!!

ANNA                        - Sì?

GORDON - Lo sa cos’è che mi andrebbe?

ANNA                        - (Arrestandosi) Lo dica prima che svenga.

GORDON  - Due uova alla coque.

ANNA                        - Lo sa che lei è un bel tipo? Tre minuti?

GORDON                  - No, ce ne vogliono almeno quattro.

ANNA                        - Due uova in quattro minuti? Morirà soffoca­to. (Anna esce incucina mentre Gordon forma unnumero e telefona. Fa una smorfia di dolore e cambia posizione)

GORDON  - Pronto, Magda, sono io... Beh, mi ècapitato un infortunio… beh, sì, spiacevole... No, no, non in macchina... Ho messo un piede sopra un pesce e temo di essermi rotto la gamba... Come “sguazzavo”?...Non sguazzavo affatto.... Ma no, non era in mare, il pesce era per terra pro­prio davanti al pescivendolo... Sì, sul marciapiedi... Beh, volevo farti una sorpresa, portarti un salmone affumicato, perfesteggiare il tuo compleanno, ma quel maledetto pesce mi ha fatto scivolare e sono... Come faccio a sapere che pesce era? Rombo, si, forse un rombo... Se intendo fargli causa? Andiamo, Magda, come faccio a far causa a un pesce!... Magda, ti pre­go di piantarla e di non farmi domande creti­ne. Il punto èche non posso venire al tuo par­ty... Non capisci che sono a letto, immobilizza­to?... E’ una clinica... Come si chiama? Non ne ho la più pallida idea... Non ho letto il nome fuori per via che ero in barella... Cara, non saprei a chi chiederlo… hai ragione, ora ci pro­vo. Sorella, sorella!! (Si affaccia Anna dalla cucina)

ANNA                        - Vuol chiudere il becco, lei! Sa che mi ha pro­prio stufato! (Torna in cucina)

GORDON  - L’hai sentita?... Sì, tutte così, qua dentro… è un postaccio, ma è solo per stanotte. Domattina anche su una gamba sola torno da te... Stasera dovrai arrangiarti da sola... Va bene, te lo do, scrivi? 0273 - 55881... Si, tesoro, adesso provo a dormire e il regalino te lo porto domani. Buon compleanno, e ciao, ciao. (Bacetti al tele­fono. Posa il ricevitore. Entra Anna con ghiac­cio e limone e va in camera da letto)

ANNA                        - Ecco servito ghiaccio e limone.

GORDON  - E’ molto gentile, ma le uova?

ANNA                        - Mancano ancora due minuti.

GORDON  - Vorrei due fette di pane integrale, tagliate sottili, sottili e con molto, molto burro.

ANNA                        - Vuole anche che la sventagli mentre mangia?

GORDON  - Molto gentile.

ANNA                        - Allora vado ad indossare il mio yashmak. (Gordon ride mentre dall’ingresso entra Alec. Anna va in salotto sbattendo la porta dietro di se)

ALEC                         - Che sta succedendo?

ANNA                        - Ah. Alec.

ALEC                         - Ma chi c’è in camera da letto?

ANNA                        - In camera da letto?

ALEC                         - Sissignora, in camera da letto. Non mi pare che sia Enrichetta.

ANNA                        - Enrichetta è andata a impostare. Scusi, ma non doveva andare a New Haven?

ALEC                         - Dovevo andarci, ma ho telefonato e ho saputo che il peschereccio non era il mio. Chi c’è in camera da letto?

ANNA                        - (Pronta) Mio marito.

ALEC                         - Suo ma...

ANNA                        - Sì.

ALEC                         - Non era in Nuova Zelanda?

ANNA                        - Lo era, ma adesso èqui.

ALEC                         - Questo sarà bellissimo perlei, ma per me... che ci fa in camera mia?

ANNA                        - Un infortunio… ha pestato un pesce.

ALEC                         - Pestato un pesce? Guazzava forse nel...

ANNA                        - No. no. E’successo in cucina.

ALEC                         - Mi dispiace.

ANNA                        - Si è rotto una gamba ed è immobilizzato.

ALEC                         - Bella seccatura. Un drink?

ANNA                        - Con piacere.

ALEC                         - Cosa preferisce?

ANNA                        - Uno sherry, grazie.

ALEC                         - Ottima idea, le terrò compagnia. Portiamone uno a suo marito, come si chiama, a proposito?

ANNA                        - Gordon. (In fretta) Richard.

ALEC                         - Gordon Richards.

ANNA                        - No, Richard, senza esse. E’ il suo nome, ma a volte qualcuno lo chiama Gordon, è il suo se­condo nome.

ALEC                         - Gli porto lo sherry?

ANNA                        - Adesso no! Anzi, mai.

ALEC                         - Mai?

ANNA                        - Non beve, non fuma, niente di tutte quelle co­se. E’ molto religioso.

ALEC                         - Ah, anche lui un bigotto fanatico?

ANNA                        - E’ un predicatore laico, ed è per questo che sto in pensiero.

ALEC                         - Non… non…

ANNA                        - Lei ed Enrichetta?

ALEC                         - Il fatto che Enrichetta ed io...

ANNA                        - E’ rimasto così all’antica per queste cose, che abbiamo dovuto dirgli che siete sposati. Spero che non le dispiaccia.

ALEC                         - A me no, ma Enrichetta ha già un marito... in Perù.

ANNA                        - Sì, lo so, e adesso lei dovrà essere lui, Bob il Matto.

ALEC                         - Bob il Matto?

ANNA                        - Sì, Bob, il marito di Enrichetta in Perù... E se lui dovesse parlarle del Perù...

ALEC                         - Ma io non sono mai stato in Perù.

ANNA                        - Nemmeno lui.

ALEC                         - Ne è proprio sicura?

ANNA                        - Sicurissima.

ALEC                         - Ma che stupido, se non lo sa lei che è la moglie.

ANNA                        - Vede, c’è un’intera serie di esperienze nella sua vita di cui non parla mai.

ALEC                         - Senti, senti... Il suo sherry.

ANNA                        - Grazie. Vede, prima che io lo conoscessi, ave­va avuto esperienze terribili delle quali non ama parlare. In Perù, probabilmente.

ALEC                         - Cosa crede che possa essergli successo?

ANNA                        - Non riesco ad immaginarlo, ma spesso di not­te si mette ad urlare nel sonno.

ALEC                         - Cosa, per esempio?

ANNA                        - “Aiuto!!” Oppure “Mollate, mollate!!”

ALEC                         - Cosa c’è da mollare in Perù?

ANNA                        - Non sono sicura che succedesse in Perù. Sono più propensa a credere che si trat­tasse della Nuova Guinea, perché so che là c’è stato parecchio tempo.

ALEC                         - In Nuova Guinea! Oh, beh, adesso capisco.

ANNA                        - E questo ha determinato in lui una specie di blocco mentale.

ALEC                         - Oh, povero Cristo.

ANNA                        - Quindi, dev’essere molto comprensivo.

ALEC                        - Lo sarò.

ANNA                        - Se lo sentirà urlare o gridare è per via di que­gli anni (Enrichetta rientra in fretta)

ENRICHETTA        - Non si trova un taxi. (Vedendo Alec) Alec!

ALEC                         - Taxi? Non eri a impostare?

ENRICHETTA        - (Senza espressione) Cosa? Per Anna.

 ANNA                       - Ho scritto alla madre di Richard per comuni­carle che è arrivato qui sano e salvo. (Le fa se­gno che è nella camera da letto)

ENRICHETTA        - Sano, sanissimo.

ALEC                         - Sanissimo? ma s’è rotto una gamba?

ENRICHETTA        - A parte la gamba, naturalmente.

ANNA                        - Richard si è appisolato.

ENRICHETTA        - Ne ha bisogno. Dimmi, glielo hai presentato?

ALEC                         - Non ancora perché Anna gli ha dovuto spiegare il nostro problema.

ENRICHETTA        - Meno male. Ma quale problema?

ALEC                         - Il fatto che siamo sposati.

ENRICHETTA        - Ah, quello.

ALEC                         - Mi ha spiegato che suo marito rimarrebbe schoccato e sconvolto se venisse a sapere che tu ed io viviamo nel peccato.

ENRICHETTA        - Ah.

ALEC                         - Non gli ho detto ancora niente, gli spiegherai tutto tu.

ENRICHETTA        - Grazie, Anna, hai avuto un’idea brillantissi­ma.

ALEC                         - Ci stiamo bevendo uno sherry, tu cosa bevi, amore?

ENRICHETTA        - Doppia vodka.

ALEC                         - Sissignora. (Va prendere la bottiglia) Vuota, accidenti a lei. Di nuovo tua madre.

ENRICHETTA        - (A Anna) Mia madre è qui a Folkstone, ospite di mia sorella e non sta molto bene. Fegato.

ALEC                         - Con quello che beve! Che altro posso offrirti?

ENRICHETTA        - Vodka.

ALEC                         - Allora uscirò a comprarne una bottiglia.

ENRICHETTA        - Sei un tesoro, sei davvero un amore. (Alec va nell’ingresso)

ALEC                         - Ti occorre altro?

ENRICHETTA        - Non mi pare.

ALEC                         - Allora vado. (Esce)

ENRICHETTA        - Quand’è arrivato?

ANNA                        - Appena uscita tu.

ENRICHETTA        - E’ meglio che vada a dire qualcosa a Gordon (Si avvia in camera da letto)

ANNA                        - Digli che le sue uova stanno arrivando.

ENRICHETTA        - Le sue cosa?

ANNA                        - Lascia perdere. (Esce in cucina. Enrichetta entra in camera da letto)

ENRICHETTA        - Gordon.

GORDON                  - (Con voce flebile) Dove sei stata finora?

ENRICHETTA        - (Accendendo la luce sul comodino da notte) Sono uscita per via della mamma. Ho notizie poco allegre.

GORDON                  - Non le voglio sentire.

ENRICHETTA        - Mi dispiace ma non puoi farne a meno. (Esita) Stai comodo?

GORDON - Ma che domande! Comodissimo! Comodissimo da morire!

ENRICHETTA        - E’ tornato mio marito.

GORDON  - Eh? (Salta giù dal letto e urla di dolore nel mettere il piede a terra)

ENRICHETTA        - Fai piano!

GORDON - Bob il Matto? Quello mi ammazzerà!

ENRICHETTA        - No, stai tranquillo.

GORDON - E’ un violento, è un gangster!

ENRICHETTA        - Torna subito a letto.

GORDON - Per questo l’hai piantato! Ed è anche geloso!

ENRICHETTA        - Ma no!

GORDON - Ricordati di quel che ha fatto a quel vostro amico in Perù.

ENRICHETTA        - Roba vecchia.

GORDON  - Se è capace di scaraventare dalla finestra un campione di judo cosa sarà capace di fare a un povero invalido!

ENRICHETTA        - Lui non ti conosce.

GORDON - Non è questo che lo farà desistere.

ENRICHETTA        - Torna a letto e ascolta. Non devi aver paura di Bob perché gli abbiamo detto che tu sei il marito di Anna.

GORDON                  - Io?!

ENRICHETTA        - E crede che tu sia arrivato in volo dalla Nuo­va Zelanda e che scivolando su un pesce, ti sei rotto una gamba. Stop.

GORDON                  - Chi vuoi che beva queste fandonie?

ENRICHETTA        - Lui.

GORDON                  - Ma è un po’ stupido?

ENRICHETTA        - Un tantino.

GORDON  - Tutto muscoli e niente qui? (Si tocca la fronte)

ENRICHETTA        - E’ per questo che l’ho piantato per te. Voglio accanto a me un uomo intelligente e sensibile, come te.

GORDON  - Ti capisco, ma vorrei che la mia gamba non fosse così sensibile. (Emette un lamento) Scom­metto che se gli amputassero la sua non se ne accorgerebbe neppure.

ENRICHETTA        - Comunque, tesoro, tutti credono che tu sia arrivato dalla Nuova Zelanda, che sei un vete­rinario, che Anna sia tua moglie e che ti chia­mi Richard.

GORDON                  - Sissignora.

ENRICHETTA        - Ti ricordi di tutte queste cose?

GORDON  - Penso di sì, ma... è necessario che lui entri qui?

ENRICHETTA        - Solo per andare al bagno.

GORDON  - Non mi resta che restare a tetto e lamentar­mi.

ENRICHETTA        - Proprio così, per ispirare compassione. Che cos’altro posso fare per te?

GORDON                  - Non direi di no a un’altra vodka.

ENRICHETTA        - Devi aspettare che torni Bob, è uscito a com­prarla. (Enrichetta gli si siede accanto, sul letto e gli mette un braccio attorno al collo)

GORDON                  - Fai piano.

ENRICHETTA        - La gamba è lontana.

GORDON  - Ma supponi che quello torni prima e ci sor­prenda?

ENRICHETTA        - Non aver timori, rilassati.

GORDON  - Starà molto?

ENRICHETTA        - Un giorno o due.

GORDON  - Che cosa è venuto a fare?

ENRICHETTA        - Per un congresso... mi pare.

GORDON  - Avevi detto che era ricercato dalla polizia.

ENRICHETTA        - Qualcosa di simile.

GORDON  - Numi del cielo! (Entra Anna con l’uovo e va in camera la letto)

ENRICHETTA        - Ti porto la televisione?

GORDON  - Per carità, soffro già abbastanza senza le no­tizie del telegiornale. (Entra Anna)

ANNA                        - Cosa ci fai sul letto con mio marito?

GORDON  - Per piacere, Anna, non scocci.

ENRICHETTA        - E’ questo il modo di parlare a tua moglie?

ANNA                        - Chi vuole un uovo alla... coque?

GORDON  - Io no! (Anna lo posa sulla toilette) Gradirei un pò di tranquillità.

ENRICHETTA        - Ci sono due fettine di pane imburrato.

GORDON  - Ho detto vodka!

ENRICHETTA        - Va bene, va bene, okay. (Escono Enrichetta e Anna chiudendo Ia porta)

ANNA                        - E’ prematuro pensarci, lo so, ma come ci ar­rangiamo stanotte per i letti?

ENRICHETTA        - Oddio, non ci ho pensato! C’è solo un altro letto. E’ un lettino, di là, in guardaroba.

ANNA                        - Io posso andare all’albergo.

ENRICHETTA        - Non pensarci nemmeno. Io ho bisogno di te, qui. AIec troverebbe strano che tu lasciassi solo un marito invalido. Alec ed io ci arrangeremo in guardaroba.

ANNA                        - Ce la farete in un lettino così stretto?

ENRICHETTA        - Alec ce la fa dappertutto. Tu dormirai qui, sul sofà.

ANNA                        - Alec non lo troverà un po’ strano?

ENRICHETTA        - Perché strano?

ANNA                        - Beh, per lui Gordon è mio marito.

ENRICHETTA        - Ah. Beh, cara, spiegami bene che cosa hai in mente!... Infilarti nel suo letto e... con lui?

ANNA                        - Per carità, questo mai... tecnicamente. Due bei cuscini nel mezzo, una specie di muro di Berli­no.

ENRICHETTA        - E io dovrei berla! (Ritorna Alec con una bottiglia di vodka)

ALEC                         - Eccomi qua. (Comincia a versare nei bicchie­ri)

ENRICHETTA        - Già che ci sei, un bicchierino anche per Gor... Richard.

ALEC                         - Anna mi ha detto che è astemio.

ENRICHETTA        - Astemio? In questa casa nessuno mi dice mai niente.

ALEC                         - Bisogna parlargli con garbo, maneggiarlo con delicatezza perché è un grande puritano.

ENRICHETTA        - Lascia fare a me, lo maneggerò con i guanti.

ANNA                        - Lo farai felice.

ALEC                         - Il tuo drink, Enrichetta.

ENRICHETTA        - Grazie. A proposito, tesoro; stanotte noi due dormiremo in guardaroba.

ALEC                         - Ma che idea!

ENRICHETTA        - Perché Gordon Richard è nel nostro letto.

ALEC                         - Che ci vada Gordon Richard nel guardaroba!

ENRICHETTA        - Il letto è piccolo e la gamba gli fa male.

ALEC                         - E’ per starci coricato, non per farci i salti mortali. C’è abbastanza da mangiare per sta­sera?

ENRICHETTA        - Sì, cosa ti piacerebbe?

ANNA                        - Due uova sode?

ALEC                         - Al diavolo le uova, sode e non sode. Mangia­mo quel rombo.

ENRICHETTA        - Speriamo che sia ancora mangiabile.

ALEC                         - Non capisco.

ENRICHETTA        - E’ il rombo che Richard ha schiacciato scivo­landoci sopra.

ANNA                        - Ci penso io, vado a cercare di ricomporlo. (Esce)

ALEC                         - Di quello là, che ne facciamo? Io voglio dor­mire nel mio letto.

ENRICHETTA        - Onestamente, non credo che sia il caso di muoverlo.

ALEC                         - Mi fai ridere! Una volta, su un peschereccio che affondava mi ruppi una gamba e mi tirarono su con una specie di gru, come vedi mi hanno mosso, mi hanno spostato.

ENRICHETTA        - Qui gru non ne abbiamo.

ALEC                         - Vado a parlargli io.

ENRICHETTA        - Aspetta, sistemiamo tutto più tardi, tesoro. Beviti la tua vodka, mentre Anna ed io cerchiamo di fare qualcosa con quel pesce.

ALEC                         - Lo vorrei fritto.

ENRICHETTA        - Perché no. (Esce in cucina, Alec va in camera da letto col bicchiere)

ALEC                         - Ohè!! (Gordon si raddrizza sul letto sorpreso e imbarazzato)

GORDON - Lei è Bob?
ALEC                        - Dal Perù. Lei è Gordon Rìchard.
GORDON - Gordon e basta.
ALEC                        - Non le va di essere Gordon?
GORDON - Non tanto.
ALEC                        - Le ricorda troppo il passato, eh?
GORDON - Come?
ALEC                        - Memorie, ricordi, la Nuova Guinea.
GORDON - La Nuova Guinea?
ALEC                        - L’ha scordata?
GORDON - In pieno!
ALEC                        - Forse è un bene. Un bene che il cervello muova certe cose dalla memoria.
GORDON - Nel mio caso è successo.
ALEC                        - Quindi non si ricorda cos’è che non l’ha mollava, laggiù?
GORDON - No. Non ricordo niente.
ALEC                        - Con una gamba in quello stato dovrebbe ricoverarsi.
GORDON - Odio gli ospedali.
ALEC                        - Suppongo che ne avrà avuto fin sopra i capelli, di ospedali, in Perù.
GORDON - Perù?

ALEC                         - Secondo sua moglie, lei ci è stato in Perù.

GORDON                  - Beh, non credo di conoscerlo bene come lo conosce lei.

ALEC                         - Immagino di no.

GORDON  - Perché la maggior parte del tempo la passai oltre frontiera.

ALEC                         - (Non capisce) In che posto?

GORDON                  - Ehm, ehm... Ecuador!

ALEC                         - Bel paese, l’Ecuador...

GORDON  - Bellissimo.

ALEC                         - In che parte dell’Ecuador?

GORDON  - (Vivacemente) Nella capitale.

ALEC                         - Ah, nella capitale... aspetti... si chiama... si chiama...

GORDON  - Si chiama... si chiama… aspetti, si chiama. Che stupido, ce l’ho sulla punta della lingua.

ALEC                         - Grandina come città.

GORDON  - Grandina, ma non enorme.

ALEC                         - Enorme no, ma grandina per essere l’Ecua­dor.

GORDON  - Grandina, grandina.

ALEC                         - Grandina. E adesso lei arriva dalla Nuova Zelanda.

GORDON  - E’ esatto.

ALEC                         - Ci sono stato anch’io.

GORDON  - (Allarmato) Oddio, quando?!

ALEC                         - Una ventina di anni fa.

GORDON  - Adesso non la riconoscerebbe. Tutto cambia­to.

ALEC                         - Anche Wellington?

GORDON  - Oh, quella, completamente trasformata.

ALEC                         - E Christchurch? Trasformata anche quella?

GORDON  - (Credendo che sia una chiesa e non una città) Non ci sono mai stato, ma dalla finestra della stanza da letto si poteva ammirare la cupola.

ALEC                         - (Con aria assente) Oh... e a… Hobart non c’è mai stato?

GORDON                  - No, ma dicono che sia una delle più belle zone della Nuova Zelanda.

ALEC                         - Hobart èin Tasmania.

GORDON - Ne è proprio sicuro? Beh, sarà! La geografia è completamente trasformata. (Di colpo) Mi è venuto in mente.

ALEC                         - Cosa?

GORDON  - Quito. La capitale.

ALEC                         - Della Tasmania?

GORDON  - Dell’Ecuador.

ALEC                         - Mi scusi.

GORDON  - Cara vecchia Quito... mi chiedo come ti avranno ridotta.

ALEC                         - Non la riconoscerebbe?

TUTTI E DUE          - Tutto cambiato! (Enrichetta entra dalla cucina e si accorge che Alec non è nel salotto)

ENRICHETTA        - Tesoro? Tesoro?

ALEC                         - Sono qua, amore.

ENRICHETTA        - Oh. (Si precipita in camera da letto) Ah... ehm... di cosa stavate parlando, ragazzi?

ALEC                         - Di niente. Del Perù.

GORDON  - E dell’Ecuador.

ENRICHETTA        - Fai male a rimuginare nel passato.

ALEC                         - Naturalmente la Nuova Zelanda la conosco meglio del Perù.

GORDON                  - Oh.

ENRICHETTA        - Non sono mai stata in quei posti.

ALEC                         - Speravo di trovare qualcosa in comune con lui.

ENRICHETTA        - E’ difficile.

ALEC                         - Ci sono stato molto prima di lui, ovviamente.

GORDON  - (Indicando il bicchiere) E’ forse per me?

ALEC                         - No! Perdoni la mia mancanza di tatto, avevo scordato che era astemio. (Alec beve)

GORDON  - Anch’io!

ALEC                         - Come, non lo è sempre stato?

GORDON  - Ehm...

ENRICHETTA        - (Interrompendolo) Forse ha a che fare col periodo di amnesia.

ALEC                         - Nella Nuova Guinea.

ENRICHETTA        - Ci giurerei.

ALEC                         - Se potessimo scavare nel suo subcosciente e scoprire cos’è che lo ossessiona lei non avrebbe più questi incubi.

GORDON  - Beh, a quelli mi ci sono abituato.

ALEC                         - Sua moglie mi ha detto delle allucinazioni terribili che la tormentano.

GORDON  - Mia moglie?

ENRICHETTA        - Anna.

GORDON  - Ah, quella là, ehm, mia moglie Anna!

ENRICHETTA        - Sì, lei. Ci ha detto dei suoi incubi, delle urla, del digrignio di denti nel sonno... propone che lei dorma sul sofà per non sentire...

GORDON  - Come decide lei, Enrichetta.

ALEC                         - In questo caso lei dormirà in guardaroba, Enrichetta ed io qui.

GORDON  - No, non con questa povera gamba. Preferisco un letto. Ci sono abituato.

ALEC                         - Come sarebbe “ci sono abituato”.

ENRICHETTA        - A questo tipo di letto, vuol dire. Forse ne avrà uno uguale in Nuova Zelanda.

GORDON  - Immagino di si.

ENRICHETTA        - (A parte, a Gordon) Ma certo che ce l’hai stupidone! (Entra Anna dalla cucina; indossa un grembiule)

ANNA                        - Enrichetta?

ENRICHETTA        - Siamo qui. (Anna va in camera da letto)

ANNA                        - Ho bruciato il pesce rombo. L’olio ha preso fuoco.

ALEC                         - Questo taglia la testa al toro, si va a pranzo fuori.

ENRICHETTA        - Tutti e quattro?

ALEC                         - Beh, lui no, ha la gamba rotta. Tu ed io. Presto, preparati; un bel pranzetto di ostriche, champagne e caviale e poi… a lettino. (Prende per un braccio la riluttante Enrichetta e la con­duce in salotto)

ENRICHETTA        - Vado a cambiarmi.

ALEC                         - Spicciati. Io prendo la macchina e la porto qui davanti. (Esce)

ANNA                        - (Sulla porta della camera da letto) Andate pure a divertirvi! Enrichetta, riposa tra due cu­scini e qui lascia fare a me. (Anna esce in cuci­na. Enrichetta realizza il significato della frase e pesta un piede frustrata)

ENRICHETTA        - No!!

FINE PRIMO TEMPO

ATTO SECONDO

Scena: la stessa - più tardi, la sera stessa.

Quando si alza il sipario, Gordon è sul­la porta della camera da letto, in vestaglia e zoccolando a saltini riesce con difficoltà a raggiungere il divano. Lo raggiunge al momento in cui si sente sbattere la porta d’ingresso e compare Anna con un sacchetto di plastica con­tenente due hamburgers.

ANNA                        - Che ci fa fuori dal letto?

GORDON - Mi è venuto un crampo.

ANNA                        - Oh, poverino... (Posa il sacchetto) Posso fare qualcosa?

GORDON                  - No, no, passerà, anzi, è già passato. (Poi caccia un urlo dal dolore) Oooh!

ANNA                        - Le è tornato il dolore?

GORDON - All’altra gamba.

ANNA                        - E’ mal combinato... credo che dovremo tornarcene a letto.

GORDON - (Allarmato) “Dovremo”?

ANNA                        - E’ un modo di dire. Quando si conforta malato si parla sempre al plurale.

GORDON  - E’ molto, molto singolare. (Anna apre il sacchetto) Cos’ha lì dentro?

ANNA                        - Due hamburgers già cotti.

GORDON - Non l’ha trovato il ristorante cinese?

ANNA                        - Sì, ma adesso vende solo hamburgers.

GORDON - L’hamburger non mi va.

ANNA                        - Su, è piccolo. Il mio me lo sono mangiato per strada.

GORDON                  - (Tirandolo fuori dal sacchetto) Poteva mangiare anche il mio.

ANNA                        - Via, lo mandi giù, deve riprendere forze... ne avrà bisogno più tardi.

GORDON                  - Per fare che cosa?

ANNA                        - Non si sa mai. Potrebbe essere sfidato all’ultimo sangue da Bob il Matto.

GORDON  - Enrichetta sta esagerando... A gironzolar con lui, a ingozzarsi tutti e due di caviale mentre io sono qui con un hamburger fottuto domandandomi come farò a pagare l’affitto.

ANNA                        - Povera Enrichetta, il suo senso di fedeltà è diviso... E’ imbarazzante per una donna nella sua posizione.

GORDON                  - E’ imbarazzante per me!... Rientreranno tutti allegri e se ne andranno dritti a letto, insieme.

ANNA                        - Non ci pensi, il pensarci non fa che farle pulsare la gamba a ritmo più veloce. E’ anche possibile che vadano in bianco.

GORDON  - Ma ètutta la sera che quello sta dietro a tutti i diritti coniugali.

ANNA                        - Io dico che Enrichetta metterà due bei cuscini tra loro.

GORDON  - Questo non lo fermerà. Sono anni che si arrampica su e giù per la Cordigliera delle Ande, cosa vuole che siano per lui due cuscini!

ANNA                        - E’ geloso?

GORDON  - Certo che sono geloso.

ANNA                        - Guardiamo la situazione con logicità: adesso che il marito è tornato lei deve riorientarsi, ridimensionarsi e trovarsi... trovare un altro hobby.

GORDON  - Lei, per esempio?

ANNA                        - Io? Come hobby?!

GORDON  - No, la sua calamità.

ANNA                        - Beh, anch’io come lei mi sono sposata in fretta e adesso mi sto pentendo senza…fretta.

GORDON                  - Oggi ai giovani non succederebbe perché non pensano a sposarsi. Uno dice: “Salve, lo sai che mi piaci, lo sai che ti voglio! Ed eccoli a letto. Si spiega perché nessuno, oggi, arriva al liceo.

ANNA                        - Comunque, quando ho aperto gli occhi, l’ho lasciato.

GORDON  - Cos’è che non andava in lui?

ANNA                        - A parte il bere e le sbornie?

GORDON  - Uhm.

ANNA                        - L’avermi portata in Nuova Zelanda.

GORDON  - Ci fosse al mondo qualcuno che volesse por­tarci mia moglie!!! E’ priva di senso di pietà. Lo vuole sapere? Quando le ho telefonato per dirle che mi ero rotto una gamba, e che non potevo tornare a casa...

ANNA                        - Le ha detto che era qui con Enrichetta?

GORDON - Le ho detto che ero in una clinica.

ANNA                        - Corre un bel rischio.

GORDON  - E’ il suo compleanno, qualcosa dovevo inven­tare, l’indirizzo ad ogni modo non ce l’ha. Le ho dato solo il numero di telefono. Del resto era inutile perché se ne frega di me.

ANNA                        - Come Richard di me. La sua grande passione è sempre stata Enrichetta.

GORDON  - La mia Enrichetta?

ANNA                        - A me mi ha sposata di rimbalzo.

GORDON  - Come Magda me.

ANNA                        - Buffo, non trova? Siamo, io e lei, un paio di premi di consolazione. Allora consoliamoci con un drink.

GORDON - Buona idea. (Si alza saltella pochissimi passi e poi urla) Crampo!  (Cade bocconi sopra Anna, sul sofà. Entrano da fuori Enrichetta ed Alec)

ENRICHETTA        - Vado a vedere come sta il nostro invalido… (Vede i due uno sopra l’altro sul sofà) Cosa sta succedendo?

GORDON  - Sono incastrato!

ENRICHETTA        - (Ad Alec) Tesoro!

ALEC                         - Sì?

ENRICHETTA        - Presto, un piede di porco, presto!

ANNA                        - (Da sotto) Gli è venuto un crampo alla gamba e la gamba ha ceduto.

GORDON                  - Sono ingranato, bloccato!

ENRICHETTA        - Ah, sì, eh?

GORDON - Non posso muovermi!

ENRICHETTA        - (A Alec) Tesoro, prova a sollevarlo e a ripor­tarlo sul letto.

ALEC                         - Su, in piedi, signorino bello. (Gli batte sulla gamba)

GORDON - (Saltando in piedi) Oooow!

ALEC                         - Da questa parte. (Lo aiuta a camminare per alleggerire il peso sulla gamba)

GORDON  - Un momento, dove mi porta?

ALEC                         - Nel guardaroba dove dormirà questa notte.

GORDON  - No.

ALEC                         - Enrichetta ed io intendiamo dormire in quel letto.

GORDON  - Non potete.

ALEC                         - Intende impedirmelo?

GORDON  - Me ne guardo bene, ma prima in quella ca­mera ci dovevo andare io. (Pausa) Per andare in bagno. Se quindi gentilmente mi vuole aiuta­re...

ALEC                         - Non tocca a sua moglie aiutarla?

ENRICHETTA E GORDON                - No!!

ENRICHETTA        - E’ troppo mingherlina per questi sforzi. Su, andate, coraggio. (Gordon ed Alec vanno in camera da letto. Enrichetta chiude la porta e si volta verso Anna) Vorrei proprio sapere...

ANNA                        - (Non la lascia finire) Avete fatto un buon pranzetto?

ENRICHETTA        - Lascia perdere il pranzetto, dimmi di voi due.

ANNA                        - Abbiamo mangiato due hamburger.

ENRICHETTA        - Spiegami perché si è alzato. (A questo punto Alec e Gordon sono usciti dal bagno)

ANNA                        - Senti, Enrichetta, non penserai mica che te lo voglio rubare!

ENRICHETTA        - Invece lo penso, da come eravate agganciati sul divano.

ANNA                        - E’ scivolato ed è caduto.

ENRICHETTA        - E tu, generosa, gli sei scivolata sotto per attu­tire la caduta!

ANNA                        - E’ successo proprio così.

ENRICHETTA        - Beh, da ora in poi sei pregata di non fare da paracadute.

ANNA                        - Andiamo, Enrichetta, rassegnati... ammetti che il giochetto è finito.

ENRICHETTA        - Ma quale giochetto?

ANNA                        - Ormai non puoi continuare a tenerli tutti e due. Ti illudi che Gordon accetti di spartirti con “Bob”?

ENRICHETTA        - “Bob” domattina se ne torna in Perù e qui torna lo status quo.

ANNA                        - Non credo che funzionerà.

ENRICHETTA        - Gradirei che ti occupassi dei fatti tuoi e la smettessi di interferire nei miei affari privati.

ANNA                        - Stai tranquilla, cara, non muoverò dito e ora me ne vado a letto. Ti do la buona notte. (Aiuta su avvia verso la camera da letto)

ENRICHETTA        - Ah, no, cara, tu dormi sul divano.

ANNA                        - Come vuoi tu... Permetti che mi svesta. (Comincia a svestirsi restando in sottoveste o simile. Entra Alec dal bagno e viene in salotto)

ENRICHETTA        - Non puoi dormire vestita?

ANNA                        - Il vestito si spiegazza.

ALEC                         - (Ammirando Anna) Non si preoccupi per me, sono un uomo sposato.

ENRICHETTA        - Alec, vai subito a letto.

ALEC                         - Posso avere un drink? (Sempre con gli occhi puntati su Anna) Nonti disturbare, lo bevo qui.

ENRICHETTA        - Su, a lettino. Hai detto che volevi andare a letto presto.

ALEC                         - In quello a due piazze?

ENRICHETTA        - No, in quello a una piazza, tesoro.

ALEC                         - Staremo un po’ stretti.

ENRICHETTA        - Sarà come nelle Bermuda, quella notte, suquel lettino a una piazza  te ne ricordi?

ALEC                         - Alle Bermuda? (Con entusiasmo) Eccome! (Corre a prendere il pigiama dal cassetto supe­riore del comò in camera da letto)

ANNA                        - Cos’è successo alle Bermuda?

ENRICHETTA        - Pensa ai fatti tuoi.

ANNA                        - Era così per domandare.

ENRICHETTA        - Hai intenzione di saltellare tutta la notte per la casa in mutande?

ANNA                        - Se ci fosse un po’ più di privacy, mi toglierei anche il resto.

ENRICHETTA        - E’ inverosimile come si conoscono poco i propri amici.

ANNA                        - Mi riferisco a te. Scopro solo adesso quello che sei - un flirt - una sgualdrina totalmente immorale e priva di scrupoli.

ENRICHETTA        - Senti chi parla. (Rientra Alec)

ALEC                         - Ehm.... Amore..;?

ENRICHETTA        - Sì, amore?

ANNA                        - (Ad Alec) Scusi se l’ho interrotto.

ALEC                         - (Galante) Le pare, le pare...

ENRICHETTA        - (Ad Anna, raccogliendo i suoi indumenti e buttandoglieli in testa e spingendola nella camera da letto) A letto, presto! (Esce Anna)

ALEC                         - Hai rovinato tutto.

ENRICHETTA        - Cosa ti manca?

ALEC                         - Le lenzuola.

ENRICHETTA        - Te le porto.

ALEC                         - (Indicando la camera da letto con un filo di speranza) Non saranno forse di la?

ENRICHETTA        - No, non sono là. (Lo spinge fuori della porta della sala da pranzo ed escono. Gordon entra dal bagno in camera da letto)

GORDON  - (Alla vista di Anna) Per Giove, mi sento già meglio.

ANNA                        - Mi scusi, adesso mi rivesto... (Prende la vali­getta)

GORDON  - No, per me sta bene, sono un uomo sposato.

ANNA                        - Enrichetta si è molto arrabbiata con me. (Si infila la vestaglia e mette il vestito in valigia)

GORDON  - Come mai?

ANNA                        - Dice che c’è troppa intimità tra noi due.

GORDON  - La lasci dire quello che vuole! Sentiamo: che tentativi fa Enrichetta perliberarsi da quel marito disgustoso? E’ chiaro come il sole che a lei lui piace.

ANNA                        - L’uomo violento a tante donne piace.

GORDON  - L’ha visto anche lei che razza di zoticone è!

ANNA                        - Io lo preferisco dolce, soave, intelligente... so­fisticato.

GORDON  - (Con orgoglio) Beh, “una razza” che sta scomparendo la nostra. Il mondo appartiene a quelli come lui.

ANNA                        - Temo proprio che sia così. (Entra Enrichetta e va verso la camera da letto)

GORDON  - E’ un casino, una baraonda... ho il problema di Magda, e adesso si aggiunge quello di Enri­chetta.

ANNA                        - Non ci pensi! Un colpo di spugna e via tutto!

GORDON  - Altro che spugna! (Ridono e Anna si siede sul letto. Enrichetta irrompe nella stanza come il vento)

ENRICHETTA        - Uhm, che dolce intimità!

ANNA                        - Tu non bussi quando entri in una stanza da letto?

ENRICHETTA        - Quando è la mia, no. E’ una vergogna, è uno scandalo. Dovreste nascondervi!

GORDON                  - Stavamo parlando e basta.

ENRICHETTA        - Dì, cosa facevi!

ANNA                        - Stavo per andare in bagno e mi sono fermata a fare due chiacchiere.

ENRICHETTA        - Sei pregata di continuare il tuo viaggio verso la stanza da bagno e di farti un bel bagno.

ANNA                        - Come vuoi, Enrichetta. (Si alza per andare in bagno) Faccio in un attimo. (Esce con un sorri­so impertinente)

ENRICHETTA        - E fatti anche una bella doccia gelata. (Enrichetta chiude la porta del bagno) Tesoro, tu non sai come mi manchi! Non immagini quel che sto passando!

GORDON                  - Cosa ti ha fatto quel porco?

ENRICHETTA        - Niente di speciale, ma la mia tortura è di es­sere così vicina e così lontana da te. Una vera tortura, lo struggimento, la brama di sentire le tue braccia stringermi a te.

GORDON                  - E quel teppista di tuo marito?

ENRICHETTA        - Non pensarci.

GORDON - Come faccio, Enrichetta... ti è stato dietro, sbavando, tutta la sera.

ENRICHETTA        - Ma che sciocchezze dici.

GORDON                  - Per questo è tornato!

ENRICHETTA        - Sono anni ormai, tesoro, che non c’è più nien­te tra noi due. L’uomo della mia vita sei tu. (Suona il campanello d’ingresso) Al diavolo!

GORDON                  - Cos’è?

ENRICHETTA        - Niente.

GORDON                  - Hanno suonato alla porta.

ENRICHETTA        - Facciamo finta di niente. (Altro suono di campanello)

GORDON                  - C’è qualcuno, hanno suonato di nuovo.

ENRICHETTA        - Suonatori della malora! (In fretta si alza e va in ingresso ad aprire chiudendo la porta della camera da letto. Suona di nuovo il campanello) Al diavolo! Come vorrei che fosse la mamma! (Esce. Gordon torna sotto le coltri mentre si sentono voci nell’ingresso)

RICHARD                - (F.S.) Salve, Enrichetta!

ENRICHETTA        - (F.S.) Richard!

RICHARD                - (F.S.) Chiedo scusa, lo so che è tardissimo.

ENRICHETTA        - (F.S.) Non puoi entrare.

RICHARD                - Devo! (Entra seguito da Enrichetta. Ha l’aria scarmigliata. Ha in mano una bottiglia avvolta in carta velina bianca)

ENRICHETTA        - Stavo per andare a letto.

RICHARD                - Mi dispiace, ti chiedo scusa, ma... ma mi sen­to male.

ENRICHETTA        - Hai bevuto?

RICHARD                - No, no. Che cosa te lo fa pensare?

ENRICHETTA        - Niente, solo che mi sembra un po’ tardi per introdurti in casa d’altri.

RICHARD                - Per l’esattezza, sono 24 ore che non bevo.

ENRICHETTA        - Ma allora, quella cosa che hai in mano?

RICHARD                - Un regalo per te. Cioccolatini.

ENRICHETTA        - (Togliendo la carta) Questo è whisky.

RICHARD                - Allora si sono sbagliati. Ti ricordi di Anna?

ENRICHETTA        - Certo che me ne ricordo. (Posa la bottiglia sul tavolo)

RICHARD                - Ci siamo divisi. Separati. Caput.

ENRICHETTA        - Oh Dio, oh Dio, tu e Anna?

RICHARD                - Anna e io. Ha tagliato la corda. Mi ha lascia­to.

ENRICHETTA        - (Non perdendo d’occhio la porta della camera da letto) Oh... povero Richard! Beh, domani ne parliamo, facciamo colazione insieme e mi rac­conti tutto.

RICHARD                - Adesso o mai.

ENRICHETTA        - Dopotutto Anna è la mia più vecchia amica e se pensi alla vita che le hai fatto fare...

RICHARD                - (Interrompendola) Che ne sai tu?

ENRICHETTA        - Se non le avessi fatto fare una vitaccia non sarebbe scappata.

RICHARD                - E la vitaccia che ha fatto fare a me?

ENRICHETTA        - Non possiamo rimandare a domani? Sei capi­tato all’ora peggiore perché stavo per andare a letto.

RICHARD                - Sì, certo, lo so, mi scuso, me ne vado. (Si sie­de) Bob come sta?

ENRICHETTA        - Non lo so.

RICHARD                - Divisi anche voi?

ENRICHETTA        - Sì, domani ti racconto tutto nei più sordidi particolari.

RICHARD                - Stupendo!

ENRICHETTA        - Chi?

RICHARD                - Sei libera, sono libero, siamo tutti liberi.

ENRICHETTA        - Meno Bob. Sta scontando la sua pena in Perù.

RICHARD                - Sono anni, Enrichetta, che la fiamma del mio cuore è accesa.

ENRICHETTA        - Ebbene, spegnila, mio caro.

RICHARD                - Ma io ti amo. Ti ho sempre amato. Ho fatto tredicimila miglia in aereo per un tuo sorriso.

ENRICHETTA        - (Alzando gli occhi al cielo) Oh, mammina!

RICHARD                - E’ qui?

ENRICHETTA        - Sì, è di là ed è per questo che voglio che te ne vada.

RICHARD                - Credevo che vivesse in Australia.

ENRICHETTA        - E’ vero, ma ha voluto fare un salto qui di po­chi giorni per salutarmi.

RICHARD                - Faccio piano. Ma non capisco, Enrichetta? Adesso che Bob è andato e Anna è andata via, nulla ci impedisce ormai di stare insieme.

ENRICHETTA        - C’è qualcosa.

RICHARD                - Te ne sei trovato un altro?

ENRICHETTA        - Sì.

RICHARD                - Oddio, sono perso! E’ orribile! (Si affloscia su una poltrona e si prende il capo tra le mani) Or­ribile.

ENRICHETTA        - Per me no.

RICHARD                - Se almeno me lo avessi detto!

ENRICHETTA        - Non sono tenuta ad informarti sulla mia vita privata.

RICHARD                - No, lo so, non ho alcun diritto su di te, eccetto il mio affetto sempre imperituro. Dammi da bere.

ENRICHETTA        - No, Richard.

RICHARD                - (Alzando la voce) Dammi da bere!

ENRICHETTA        - Shhh! Va bene, va bene, ma ho solo un goc­cetto di brandy.

RICHARD                - Ma èproprio quello che voglio. (Enrichetta gli versa del brandy) Dov’è?

ENRICHETTA        - Chi?

RICHARD                - Il tuo amante. Voglio conoscerlo.

ENRICHETTA        - Perché?

RICHARD                - Per congratularmi con lui per la fortuna che gli è toccata: quella di riuscire a conquistare il tuo cuore. (Afferra la bottiglia e il bicchiere dal­le mani di Enrichetta  e trangugia d’un colpo)

ENRICHETTA        - Adesso che hai bevuto il tuo brandy vattene, se ancora ce la fai.

RICHARD                - Voglio conoscerlo e dirgli che si è preso l’uni­ca donna che io abbia mai veramente amato. (Si versa ancora da bere) E per dirgli che se non si prende cura di te e non ti tratta da quel­la gran signora che sei. (Alza il bicchiere, ma beve dalla bottiglia) Dovrà fare i conti con... con... con... (Altra bevuta) Non sono uomo da prendere alla leggera... io!

ENRICHETTA        - Gli trasmetterò il tuo messaggio.

RICHARD                - Dammi un tubo.

ENRICHETTA        - Per farne cosa?

RICHARD                - Per metterlo nel bicchiere.

ENRICHETTA        - Un tubo nel bicchiere?

RICHARD                - Un tubo di ghiaccio!

ENRICHETTA        - Ah, un cubo!

RICHARD                - E’ quello che ho detto.

ENRICHETTA        -  Ma il ghiaccio nel brandy non si mette.

RICHARD                - E io ce lo metto. Dammi un tubo.

ENRICHETTA        - (Cercando di farlo tacere) Va bene, va bene, vado a prenderlo, ma prometti che poi te ne vai.

RICHARD                - (Fa si con la testa ripetute volte. Enrichetta va in cucina. Richard continua a bere mentre An­na esce dal bagno)

GORDON                  - Buon bagno?

ANNA                        - Favoloso. Sono ancora tutta bollen­te.

GORDON - Per carità, si raffreddi, altrimenti non garan­tisco di me. (Richard si alza e va in cerca di un altro brandy. Va al mobiletto con le spalle alla porta della camera da letto)

ANNA                        - Eh, no, si calmi. Due donne le ha già. Ricordi il detto: il troppo stroppia.

GORDON                  - Qui c’è spazio.

ANNA                        - Meglio per lei, così potrà spiegare a suo agio le ali! (Anna apre la porta ma vedendo Richard la chiude in fretta rientrando nella camera)

GORDON - (Con sorriso compiaciuto) Abbiamo cambiato idea?

ANNA                        - Sì, cioè no. (Richard bussa alla porta) Cioè sì. (Si infila nel letto)

GORDON                  - Chi è?

RICHARD                - Devo parlarle.

ANNA                        - (In fretta) Gli dica che non può entrare. (Si nasconde sotto le lenzuola)

GORDON                  - Non si può! (Richard entra)

RICHARD                - Senta un po’... (Richard oscilla appena avanti e indietro sulla soglia della porta, ma senza muoversi. Gordon oscilla all’unisono)

GORDON - Mani in alto chiunque tu sia! A proposito, lei chi è?

RICHARD                - Lasci perdere chi sono. (Va dall’altra parte del letto) Sono venuto a dirle di prendersi molta cura di lei.

GORDON - Di chi?

RICHARD                - Lo sa benissimo di chi. Credevo che fosse mia e invece fu di lui e adesso di lei.

GORDON - Lei ha bevuto.

RICHARD                - Questa non è una scusa per non prendersi cu­ra di lei. (Entra Enrichetta col ghiaccio)

ENRICHETTA        - Ma dove sei?

RICHARD                - Sono qua.

ENRICHETTA        - Gesù, Giuseppe... (Si precipita in camera da letto) Ma con che diritto sei entrato in camera da let...

RICHARD                - Gli ho raccomandato di avere molta cura di te.

GORDON - Ma chi è?

ENRICHETTA        - Zitto.

RICHARD                - Perché io l’amo.

GORDON - Chi?

RICHARD                - La sua donna.

GORDON - Lo conosci quest’uomo?

ENRICHETTA        - Sì.

GORDON - Allora presentaci.

ENRICHETTA        - Va bene. (Con intenzione) E’ un veterinario.

GORDON  - (Non interessato) Ah sì?

ENRICHETTA        - E’ arrivato dalla Nuova Zelanda.

GORDON  - (Sempre disinteressato) Guarda, guarda...

ENRICHETTA        - Si chiama Richard.

GORDON - Molto liet... (Realizzando) Richard!! (Tamburella disperatamente il piumino e in fretta ne solleva un lembo perché Enrichetta ve­da Anna, ma la ricopre subito)

RICHARD                - Alto là, in questo letto c’è qualcuno.

ENRICHETTA        - Ma certo - sua moglie - vecchi amici nostri, Gordon e Anna Wilson.

RICHARD                - Come non detto! Porgo le mie scuse!

GORDON  - Non c’è di che.

RICHARD                - Vorrei scusarmi anche con sua moglie.

GORDON                  - Sta dormendo.

RICHARD                - Ci tengo a scusarmi. (Cerca di tirar giù il len­zuolo)

GORDON  - Quelle per favorele lasci stare.

RICHARD                - Ma io devo chiederle scusa. (Alza le coperte dai piedi del letto) Mi perdoni, gentile signora, per aver disturbato il suo sonno.

ANNA                        - (Da sotto le coperte, cambiando voce) La per­dono, ma se ne vada, mi lasci dormire!

RICHARD                - Non mi sono comportato da gentleman. (Cade di peso ubriaco, di traverso, ai piedi del letto ur­tando la gamba di Gordon che emette un urlo di dolore)

GORDON                  - Oooo!

ENRICHETTA        - (Dopo essersi bene assicurata che Richard è ormai privo di sensi) Via libera, madame.

ANNA                        - (Emergendo) Povero Richard. Si è spento. Co­me una candela.

ENRICHETTA        - E’ il castigo di Dio.

ANNA                        - Povero cocco, si sarà sentito solo ed è venuto a cercare me.

ENRICHETTA        - E’ venuto a cercare me.

GORDON  - Ma tu appartieni a me.

ENRICHETTA        - Io non appartengo a nessuno.

GORDON  - L’affitto lo pago io.

ENRICHETTA        - Lo so, ma questo non ti dà il droit de seigneur sulla prima mezza calza che incontri.

ANNA                        - Mezza calza io?

ENRICHETTA        - Devi scegliere: Io o Miss Nuova Zelanda.

GORDON  - Ma qui c’è un grosso malinteso. (Suonano alla porta)

ANNA                        - Hanno suonato alla porta.

GORDON  - Maledetta quella porta! Liberatemi il piede da questo ubriacone. (Enrichetta e Anna volta­no Richard che nel suo torpore si accoccola contro Gordon mettendogli un braccio intorno alla vita. Gordon si scosta con orrore. Richard ripete il gesto, Gordon con violenza lo respinge e nel far così sente il suo alito. Indietreggia  ancor più inorridito e scende dal letto)

ENRICHETTA        - (Ad Anna) E adesso tu vai a dormire sul diva­no. (A Gordon) E tu nella vasca da bagno.

GORDON                  - Con il rubinetto che gocciola?

ENRICHETTA        - Poi ti asciugherai. (Lo spinge nel bagno e lo segue dentro. Suonano di nuovo alla porta. Anna va ad aprire)

VOCI                         - (F.S.) Sono venuta a vedere come sta mio ma­rito. Si è rotto una gamba.

ANNA                        - (F.S.) Le dispiace attendere un momento? (Entra, chiama) Enrichetta... (Entra Enrichetta dalla camera da letto)

ENRICHETTA        - Sono qua.

ANNA                        - C’è una signora che ti cerca.

ENRICHETTA        - (Venendo in salotto) Cosa vuole?

ANNA                        - Vuol vedere suo marito, Gordon Farrow.

ENRICHETTA        - Come hai detto!!?

ANNA                        - Pare che le abbia telefonato per dirle che si trovava in una clinica.

ENRICHETTA        - Ma in quale?

ANNA                        - In questa.

ENRICHETTA        - E adesso come facciamo? Anna, mi devi aiu­tare.

ANNA                        - Sono soltanto una povera mezza calza.

ENRICHETTA        - E adesso tu diventi infermiera. (Prende un to­vagliolo e glielo porge) Mettitelo.

ANNA                        - (Drappeggiandoselo sul petto) Solo questo?

ENRICHETTA        - In testa, stupida, a mo’ di cuffia e in cucina c’è un grembiule con le maniche, prova a met­tertelo, sembrerà un camice da infermiera.

ANNA                        - Sì, signora direttrice.

ENRICHETTA        - E mi raccomando, abbottonatelo per bene, fino a su. (Anna va in cucina. Enrichetta respira a fondo, si aggiusta i capelli e va all’ingresso. Rientra un momento dopo con Magda Farrow)

MAGDA                    - Mi scuso davvero per essere venuta a que­st’ora, ma la sua telefonata mi ha messo in tut­ti gli stati. Per grazia di Dio sono riuscita a trovare l’indirizzo tramite il centralino dei te­lefoni. Non è stato facile. Ho sudato mille cami­cie per trovarlo. All’ufficio abbonati negano l’esistenza di una clinica in questa via, corri­spondente a questo numero di telefono. Imma­gino si tratti di una clinica di data molto recen­te.

ENRICHETTA        - Recentissima, la pittura èancora fresca alle pareti.

MAGDA                    - Lei è la direttrice?

ENRICHETTA        - Sono io.

MAGDA                    - Era forse una degente quella che mi ha aper­to la porta?

ENRICHETTA        - Oh, no, per carità, era una del personale. La sorella Anna.

MAGDA                    - Un po’ insolito per un’infermiera non essere in uniforme.

ANNA                        - (Scusandosi) Abbiamo appena terminato il pranzo annuale per il personale e sorella Anna non era di turno… ma siccome la sorella del turno di notte deve ancora arrivare, sorella Anna la sostituirà.

MAGDA                    - Doppi turni?

ENRICHETTA        - Per forza. Esigenze della professione. Oggi, poi, è stata una di quelle giornate.... frenetica­mente piene.

MAGDA                    - Ricoverati in continuazione?

ENRICHETTA        - Il campanello alla porta non ha mai smesso di suonare. (Dalla cucina entra Anna. Indossa un grembiule camice con l’orologio da polso appun­tato al petto. Col tovagliolo si è combinata, con l’aiuto di due spille da balia, una cuffietta da infermiera. Ha l’aria linda ed efficiente)

ANNA                        - Sono pronta a riprendere servizio, signora di­rettrice. (Enrichetta la squadra a dovere)

MAGDA                    - Le dirò che quando mio marito mi ha telefo­nato mi era apparso molto scontento di come era trattato.

ENRICHETTA        - Non riesco a spiegarmelo. Posso assicurarle che lo trattiamo più che bene.

MAGDA                    - Mi ha detto che la clinica era disgustosa.

ENRICHETTA        - Posso assicurarle che questa èla prima la­gnanza mai avuta.

ANNA                        - Senz’altro la prima.

MAGDA                    - Se non la offende che dica così, questa non ha affatto l’aria di una clinica.

ENRICHETTA        - Certo, questa è solo una dependance... la cli­nica vera e propria èqui all’angolo.

ANNA                        - Quest’ala funge più che altro da pronto soccor­so. (In fretta Enrichetta nasconde la bottiglia del whisky mentre Magda sta guardando altro­ve)

MAGDA                    - Ha più l’aria di una casa privata.

ENRICHETTA        - (Osservando l’etichetta J. Walker del Whisky) Era proprio nelle intenzioni del signor Johnny.

MAGDA                    - Signor Johnny?

ENRICHETTA        - Il signor Johnny Walker, il nostro fondatore. Questa dependance era la sua abitazione pri­vata e lasciò come clausola nel suo testamento che restasse com’era. Secondo il signor Johnny l’atmosfera della casa privata ha, in molti casi, alti valori terapeutici e porta a guarigione più rapida.

MAGDA                    - Ed ècosi, secondo lei?

ENRICHETTA        - Siamo aperti da troppo poco per poterci an­cora pronunciare.

MAGDA                    - Mio padre era medico.

ENRICHETTA        - Interessante.

MAGDA                    - L’atmosfera degli ospedali, l’ha sempre trovata opprimente.

ENRICHETTA        - Odore di verza e di cloroformio! Facciamo deI nostro meglio perché questo, qui, non accada.

MAGDA                    - Qua dentro c’è un buon odore... quasi profu­mo...

ANNA                        - Miss Dior.

ENRICHETTA        - (Si affretta ad aggiungere) Omaggio di una paziente grata.

MAGDA                    - Auguriamoci che mio marito abbia motivo di essere altrettanto grato.

ENRICHETTA        - Sono certo che lo è già.

ANNA                        - Apprezza enormemente tutto quanto gli si fa.

MAGDA    - Mi fa piacere.

ENRICHETTA        - Nel caso della sorella Anna specialmente. Es­sa va oltre gli obblighi del suo dovere.

MAGDA                    - A quanto pare è scivolato davanti a un nego­zio.

ENRICHETTA        - Ah. Non eravamo molto sicure di come fosse andata la cosa.

MAGDA                    - . . ..Sopra a un pesce a quanto pare.

ENRICHETTA        - Il medico ha detto che si tratta di frattura o di slogatura seria e che dovrebbe fare le radio­grafie. E c’è, naturalmente, trauma.

MAGDA                    - Trauma?

ENRICHETTA        - Spasmodico.

MAGDA                    - Si direbbe grave. Posso vederlo?

ANNA                        - In questo momento sta sotto terapia. Se vuole accomodarsi la chiamo, appena finito.

MAGDA                    - Terapie a quest’ora?

ENRICHETTA        - Il nostro servizio è di 24 ore su 24. Le dispia­ce accomodarsi? (Magda va verso la sala da pranzo nel momento in cui Alec entra in pigia­ma e vestaglia dall’arco che proviene dal guar­daroba. Magda sosta sulla porta)

ALEC                         - Mi sono buttato sul letto e mi sono assopito.

ENRICHETTA        - Bravo.

ALEC                         - Dov’è la mia vodka?

ENRICHETTA        - Gliela porto a letto io.

MAGDA                    - Gesummaria!

ALEC - (Vede Magda) Quella chi è?

ENRICHETTA        - Non la riguarda. Su, a lettino. (Sotto voce a Anna) Fingi di essere indaffarata.

ANNA                        - Devo andare a vedere chi è morto, oggi, in geriatria. (Anna esce dall’arco con una andatu­ra esagerata di persona molto indaffarata)

ALEC - Che diavolo sta succedendo? Perché è vestita così?

ENRICHETTA        - (Sottovoce ad Alec) Ha fatto il bagno e si è lavata i capelli.

ALEC - Quella vodka mi ci vuole più che mai!

MAGDA                    - E’ permesso bere a tutte le ore?

ENRICHETTA        - Lui è un caso speciale.

ALEC - Sono suo marito.

MAGDA                    - Che sventura per lei, signora direttrice!

ALEC - Signora direttrice?

ENRICHETTA        - E’ finita l’acqua tonica, tesoro, vuoi andare a prendere un bottiglia nel frigo? (Alec si avvia poi arresta sulla porta della cucina)

ALEC - Oddio, è per caso tua madre?!

ENRICHETTA        - No. (Lo spinge fuori) Acqua tonica, nel frigo! (Esce Alec)

MAGDA                    - Questa clinica non mi sembra amministrata secondo canoni ortodossi.

ENRICHETTA        - Ecco, devo spiegarle. Questo disgraziato è af­fetto da un grave disordine mentale.

MAGDA                    - Non mi sorprende, se passa le notti a trangugiare vodka.

ENRICHETTA        - (Sorride) No, non è vodka, è acqua pura, ma lui non se ne accorge.

MAGDA                    - Capisco.

ENRICHETTA        - In casi come questi è tutta questione di psicologia.

MAGDA                    - Una bella fortuna per lui avere sposato lei.

ENRICHETTA        - Dio me ne scampi e liberi, signora… costui non è mio marito.

MAGDA                    - L’ha detto lui.

ENRICHETTA        - Fa parte della sua psicosi credere che io sia sua moglie.

MAGDA                    - Cos’è che lo induce a crederlo?

ENRICHETTA        - Beh, ha avuto un infortunio. (Irrompe nella stanza Anna con un secchiello per champagne vuoto)

MAGDA                    - Un infortunio?

ANNA                        - Ma adesso si ècompletamente rimesso.

ENRICHETTA        - No, sorella, mi riferivo al signor Bult che è convinto di essere mio marito.

ANNA                        - Ah, lui. Sì sì, un caso davvero patetico.

MAGDA                    - Che sorta di infortunio?

ENRICHETTA        - A cavallo, era al trotto...

ANNA                        - ... Ed ècaduto di sella.

ENRICHETTA        - Qualcosa di simile.

MAGDA                    - Poveretto.

ENRICHETTA        - La caduta l’ha lasciato con...

ANNA                        - ... Un’amnesia sporadica...

ENRICHETTA        - Qualcosa di simile.

ANNA                        - Riprese conoscenza molti, ma molti giorni dopo e la signora direttrice non lasciò mai il suo capezzale

ENRICHETTA        - Quando tornò in sé, la sua mano era nella mia.

ANNA                        - ... O qualcosa di simile.

ENRICHETTA        - E da allora èconvinto che io sia sua moglie.

MAGDA                    - Dev’essere difficilissimo per lei.

ENRICHETTA        - A volte.

MAGDA                    - Non avevo mai sentito un caso così.

ANNA                        - Abbastanza frequente qui da noi.

MAGDA                    - Come viene definito, signora direttrice?

ENRICHETTA        - Come lo chiamano, sorella?

ANNA                        - Paralisi poligama.

MAGDA                    - Ha la paralisi poligama?

ENRICHETTA        - Temo di si.

MAGDA                    - E il malato è soggetto a questo continuo tre­more?

ANNA                        - In attesa!

MAGDA                    - Di che?

ENRICHETTA        - Crede di averne più di una.

MAGDA                    - Di che?

ENRICHETTA        - Di mogli.

MAGDA                    - Una specie di harem intende dire?

ENRICHETTA        - Harem, ha detto la parola.

MAGDA                    - E’ tragico.

ENRICHETTA        - Altro che tragico!

MAGDA                    - Come lo cura?

ENRICHETTA        - Non è facile, ma ci siamo accorti che il tempo è un grande medico, quindi scher­ziamo, stiamo al suo gioco, e...

MAGDA                    - Ma questo non rischia di portare a situazioni un pò curiose?

ENRICHETTA        - Eccome, signora... Ma con la nostra pratica professionale sappiamo ormai come compor­tarci con la psicosi del paziente.

ANNA                        - O qualcosa di simile.

ENRICHETTA        - (Bruscamente) Sorella, qualsiasi cosa lei in­tenda fare con quella roba, per favore, la fac­cia.

ANNA                        - Corro in laboratorio.

ENRICHETTA        - Non dimentichi che deve assistere il dottor Head in quel trapianto di cuore.

ANNA                        - Okay, signora direttrice, corro ad affilare i coltelli. (Anna va in cucina mentre Alec entra con l’acqua tonica)

ALEC                         - Chissà che adesso non riesca a farmi un drink.

ENRICHETTA        - Ma certo, amoruccio bello.

MAGDA                    - L’aiuterà a schiarirsi le idee.

ALEC                         - Prego?

MAGDA                    - Lei è in ottime mani... sono edificata dal contegno del personale, beh, da una gran parte di esso.

ALEC                         - Ma c’è qualquno, qui, disposto a dirmi chi è questa signora?

ENRICHETTA        - Dopo - dopo, tesorino.

ALEC                         - Lei chi è? (Andandole davanti spavaldo)

MAGDA                    - (Con un pò di paura) Sono una donna sposa­ta... ho un marito...

ALEC                         - Felice di apprenderlo, ma qui cosa ci fa ,eh?

MAGDA                    - Sono venuta a trovarlo. E’ ricoverato qui con frattura a una gamba.

ALEC                         - Ma quante mogli ha?

MAGDA                    - (Con un risolino nervoso)  Non tante quante lei.

ALEC                         - Quanto me? Ma cosa sta succedendo qua den­tro? (Rientra Anna)

ANNA                        - Si è bruciata la valvola dell’apparecchio di rianimazione.

ENRICHETTA        - Non importa, ci penso dopo io a ripararla. Conduca la signora Farrow in sala d’aspetto. (Indica la porta della sala da pranzo)

ANNA                        - Per favore, signora, da questa parte.

MAGDA                    - Grazie. (Escono Magda ed Anna)

ALEC                         - Ma quella chi è?

ENRICHETTA        - Nessuno. Bevi la tua vodka.

ALEC                         - La bevo, ma chi è? (Versandosi da bere) Ha detto di essere sposata con Richard.

ENRICHETTA        - Lo è.

ALEC                         - Ma è Anna che è sposata con Richard.

ENRICHETTA        - Si lo è, lo sono tutte e due.

ALEC                         - Non... non... non...

ENRICHETTA        - Tesoro, ti ho già detto che Richard ebbe un terribile periodo nella Nuova Guinea che gli causò la perdita completa della memoria...

ALEC                         - E con questo?

ENRICHETTA        - Quando si sposò con Anna si era completa­mente dimenticato di essere già sposato con questa signora.

ALEC                         - Tutto per via dell’amnesia?

ENRICHETTA        - Sì.

ALEC                         - Ma come mai la signora non lo sa?

ENRICHETTA        - Glielo hanno detto, ma lo shock è stato tale che le ha leggermente sbilanciato il cervello.

ALEC                         - Vuoi dire che crede ancora di essere la mo­glie?

ENRICHETTA        - Proprio così, e crede che questa sia una clinica.

ALEC                         - Come mai proprio una clinica?

ENRICHETTA        - Perché fin dai tempi della Nuova Guinea ha una fissazione: le cliniche. Vede cliniche dap­pertutto. Beh, molto innocua come idea fissa.

ALEC                         - Per Richard sarà uno shock non indifferente, povero Cristo.

ENRICHETTA        - Non lo escludo... - bisogna comunicargli la notizia con molta delicatezza. (Enrichetta va in camera da letto e Alec si versa di nuovo da bere) Gordon!

GORDON                  - (Aprendo) Che c’è?

ENRICHETTA        - Dimmi, ti senti... forte abbastanza?

GORDON  - No. (Zoppica verso il letto)

ENRICHETTA        - Svieni, èarrivata tua moglie.

GORDON  - Magda! (Inciampa col piede) Oow! (Salta giù dal letto) Come ha fatto a che sapere che sono qui!

ENRICHETTA        - Tu, idiota, le hai dato questo numero di tele­fono e ti ha rintracciato.

GORDON                  - Beh, le avevo detto che ero in una clinica.

ENRICHETTA        - Ed è precisamente dov’è convinta di essere.

GORDON  - Una clinica? Non riusciremo mai a dargliela a bere.

ENRICHETTA        - Ci siamo riusciti finora. Non ti agitare, ri­mettiti a letto e lascia il resto alla signora di­rettrice! (Alec entra in camera da letto)

ALEC                         - Come l’ha presa, povero Richard?

ENRICHETTA        - Così - così.

ALEC                         - Non posso dargli torto. (Si arresta alla vista di Richard) Mamma mia, ma quest’altro chi è? (Silenzio di Gordon e di Enrichetta)

ENRICHETTA        - (Vivace, pronta) Oh, lui?

ALEC                         - Non mi dire che non l’avevate visto.

ENRICHETTA        - Certo che lo avevamo visto.

ALEC                         - Chi è?

ENRICHETTA        - Il dottore.

GORDON                  - Dopo un party ha voluto fare una capatina qui prima di rientrare a casa.

ALEC                         - Ed è completamente...

GORDON E ENRICHETTA                - Si!

GORDON - Comeun tritone.

ALEC                         - Chi te lo ha raccomandato?

ENRICHETTA        - La mamma, è il suo medico curante.

ALEC                         - Beh, fanno un bel paio.

ENRICHETTA        - Gordon, tua moglie desidera vederti.

GORDON                  - Meno male. Dov’è?

ALEC                         - In sala da pranzo, povera donna. Se la ricor­da poco, vero, sua moglie?

GORDON                  - Molto poco.

ENRICHETTA        - Conviene che tu vada nel letto in guardaroba, Gordon.

GORDON - Perché?

ENRICHETTA        - Non vorrei che ti vedesse in un letto a due piazze insieme al dottore.

ALEC                         - Ha già le idee abbastanza confuse, povera si­gnora, su, coraggio, le do una mano io. (Si siede sul letto) Mi salti in groppa e per l’amor di Dio si faccia leggero.

GORDON - Lei è un vero amico, Bob. Lo apprezzo. Era­no anni che non giocavo a salta montone. (Con sforzi escono dalla camera da letto mentre Anna rientra dalla sala da pranzo)

ANNA                        - Che state facendo?

ENRICHETTA        - Stiamo cercando di portarlo in guardaroba in modo che la moglie possa vederlo in completa privacy. Spicciati, tesoro.

ALEC                         - (Di colpo) Oowww, la mia schiena, la mia schiena! Andata. (Molla Gordon e ambedue ur­lano dal dolore)

ENRICHETTA        - Zitti, tutti e due. (Alec abbandona Gordon puntellato nel mezzo della stanza e raggiunge una sedia. Ora è completamente piegato in due e da ora in poi camminerà così)

GORDON  - Non mi lasci! Non mi abbandoni, ho una gamba sola.

ALEC                         - Al diavolo la sua gamba, è la mia schiena, la mia povera schiena!

ANNA                        - I malati si moltiplicano. Evviva la clinica!

ENRICHETTA        - Taci e dammi una mano. (Anna ed Enrichetta aiutano Gordon a uscire dall’arco)

ALEC                         - E costui, a proposito, continua a essere svenu­to?

ENRICHETTA        - Il dottore, vuoi dire? Si è ammalato. Eccesso di lavoro. (Anna ed Enrichetta ai lati di Gordon lo aiutano ad uscire. Alec grugnisce e si siede. Entra Magda)

MAGDA                    - Esigo di vedere mio…(Si arresta) Oh, ma è lui!

ALEC                         - Sì... E’ la mia schiena.

MAGDA                    - Con tutte quelle mogli lei ha forse un po’ strafatto...

ALEC                         - Come ha detto?

MAGDA                    - Non è una critica, per carità, a ognuno le sue idee sul matrimonio, e se certi uomini scelgono di avere più di una moglie, chi sono io per get­tare la prima pietra?

ALEC                         - Devo dedurre che lei ha finito per accettare la cosa?

MAGDA                    - Quale cosa?

ALEC                         - Che suo marito si sia risposato.

MAGDA                    - Risposato mio marito?

ALEC                         - Eccome!

MAGDA                    - Un harem anche lui?

ALEC                         - Beh, sì, ma in chiave minore.

MAGDA                    - E’ tutta questione di cominciare, no? Quantemogli ha, oltre me?

ALEC                         - Una, solo una, sorella Anna.

MAGDA                    - Sorella Anna?

ALEC                         - Sì, lei.

MAGDA                    - Oddio, ha fatto presto, è qui solo da poche ore.

ALEC                         - Saranno poche ore, ma sposato è sposato.

MAGDA                    - Lo sa che è curioso? Qui tutti i degenti sem­brano essere sposati col personale.

ALEC                         - (Indifferente) Ah, sì? (Richard si sveglia e gradualmente si va alzando dal letto)

MAGDA                    - Lei è sposato con la direttrice.

ALEC                         - Se lo dice lei.

MAGDA   - (Come parlando ad un bambino) Riesce a ri­cordarsi da quanto tempo è qui?

ALEC                         - No.

MAGDA.  - Qui è felice, vero? La trattano con gentilezza, vero?

ALEC                         - Oh, tanta! (Richard si avvia traballando verso il salotto)

RICHARD                - Oh Dio, sto male, un po’ d’acqua, la testa mi scoppia. Un po’ d’acqua, l’acqua dov’è?

ALEC                         - (Indicando la cucina) Di li. (Esce Richard)

MAGDA                    - Un altro paziente?

ALEC                         - No, è il dottore.

MAGDA                    - Eh? (Enrichetta e Anna rientrano dall’arco)

ENRICHETTA        - Signora Farrow, se desidera vedere suo mari­to...

MAGDA                    - Grazie... ma sono preoccupata per il dottore.

ANNA                        - Quale dottore?

MAGDA                    - Quanti dottori avete?

ENRICHETTA        - Parecchi.

MAGDA                    - Questo aveva l’aria di essere ubriaco.

ENRICHETTA        - Deve trattarsi del dottor Day.

MAGDA                    - E’ sempre ubriaco?

ENRICHETTA        - Lungi da lui!! E’ quasi astemio, la sua è una invalidità nervosa!

MAGDA                    - Causata da...

ENRICHETTA        - . . .Da un’esperienza alquanto spiacevole in... in ehm­

ANNA                        - Alaska.

ENRICHETTA        - ... Con un orso polare.

ALEC                         - Tanto per cambiare non ho mai visto in vita mia tanta gente con tante brutte esperienze.

ENRICHETTA        - Adesso a lettino, signor Bult, prima che ne abbia anche lei.

ALEC                         - Va bene, va bene, ma tra quanto mi raggiun­gi?

MAGDA                    - Che via crucis la sua, signora direttrice.

ENRICHETTA        - Ci si abitua. Tra un momento andrò a sommi­nistrargli la cura. Sorella, vuole, per favore, condurre la signora da suo marito Farrow? Si trova nella corsia Florence Nightingale.

ANNA                        - (A Magda) Da questa parte. (Escono sotto l’arco)

ENRICHETTA        - Posso fare a meno delle tue osservazioni spi­ritose!

ALEC                         - Scusami, cara , ti chiedo scusa, ma vedi, quel­la dà i numeri... cercavo di adattarmi al suo umore.

ENRICHETTA        - Fanne a meno, le cose sono già abbastanza complicate, come sono.

ALEC                         - Su questo ti dò ragione. Ma non puoi star fer­ma cinque minuti e dirmi bene cos’è che sta succedendo qua dentro? Mezz’ora fa ero sul letto in attesa che si ripetesse quella nostra fa­mosa notte nelle Bermuda...

ENRICHETTA        - (Non lo lascia continuare) La ripeteremo, te­soro, te lo prometto, ma vedi, ora c’è il proble­ma di Anna.

ALEC                         - Hai fatto un errore colossale a farla restare qui. Poi arriva il marito ed è tocco, poi arriva la sua prima moglie, e quella è più tocca che mai, poi arriva il loro medico, sbronzo come una spugna.

ENRICHETTA        - Anna è la mia più vecchia amica, Alec.

ALEC                         - Pazienza lei, ma quei pazzi che si è portata appresso, Enrichetta! (Si alza e sempre piegato in due va verso Enrichetta)

ENRICHETTA        - Non ti agitare, angelo mio, domattina saran­no tutti partiti.

ALEC                         - Beh, gli conviene! Perché l’affitto in questo casino sono io che lo pago.

ENRICHETTA        - Ti prometto che non li rivedrai mai più. (Si china quasi a terra per dargli un bacino mentre dalla cucina entra Richard)

RICHARD                - E’ proprio necessario fare queste cose in mia presenza?

ALEC                         - Santo cielo, rieccolo!

RICHARD                - Non immaginate il male che mi fa!

ALEC                         - Oh, si - me ne sono accorto!

RICHARD                - Mi distrugge.

ALEC                         - Me ne accorgo... smetta di bere.

RICHARD                - Parlo di Enrichetta.

ALEC                         - Eh... eh?

ENRICHETTA        - Su, vada subito a coricarsi, dottore.

RICHARD                - Solo se vieni con me, ti devo parlare.

ENRICHETTA        - Non sia immorale, dottore, si comporti come si deve.

RICHARD                - C’è una cosa che devo dirti, una cosa che devi sapere. (Richard la cinge con un braccio)

ALEC                         - Prudenza dottore, potrebbero cancellarla dall’albo dei medici.

RICHARD                - Ma non faccio il medico, faccio il veterinario!

ALEC                         - (A Enrichetta) Aaaah, adesso mi spiego per­ché in tua madre c’è un tocco di poco umano... se la cura lui!

ENRICHETTA        - Chiudi il becco, tesoro!

RICHARD                - (Afferrandole la mano) Oh, Enrichetta, mia Enrichetta!

ENRICHETTA        - Si comporti bene, dottore... le presento Alec, il mio fidanzato.

RICHARD                - Ooooh, è la goccia che fa traboccare il bic­chiere delle mie sofferenze! Addio speranze... sono a terra... distrutto... Mi sento male, dov’è il bagno?

ENRICHETTA        - Là, sempre dritto, dopo la camera da letto.

RICHARD                - Sempre dritto! (Va barcollando in camera da letto, ma invece di girare intorno al letto per re­carsi in bagno va sempre diritto camminando sul letto e entra in bagno)

ALEC                         - Avanti, voglio una spiegazione, cos’è successo tra te e il veterinario?

ENRICHETTA        - Niente, giuro.

ALEC                         - Ti ha mica “visitata”?

ENRICHETTA        - Assolutamente no!

ALEC                         - Sicura, sicura?

ENRICHETTA        - E’ il medico della mamma, non il mio!

ALEC                         - Ma è un veterinario, perdio!

ENRICHETTA        - Sarà uno shock per la mamma quando lo sa­prà, perché lo porta in palmo di mano, lei. (Entra Magda)

MAGDA                    - Ho visto mio marito, vorrebbe un caffè.

ALEC                         - Anch’io.

ENRICHETTA        - Vai a farlo tu, tesoro.

ALEC                         - Perché proprio io?

ENRICHETTA        - Perché io ho da fare. Per favore, te ne suppli­co! (Gli dà un bacio)

ALEC                         - E va bene! (Alec va in cucina sempre piegato in due, con la braccia a penzoloni)

MAGDA                    - Lei è costretta ad adattarsi al suo umore?

ENRICHETTA        - Solo fino a un certo punto.

MAGDA                    - Dev’essere difficile sapere fino a che punto.

ENRICHETTA        - Beh, con l’esperienza di tutti questi anni...

MAGDA                    - Idem per sorella Anna, immagino.

ENRICHETTA        - E’ una grande lavoratrice.

MAGDA                    - Con mio marito ha fatto veramente miracoli. In questo momento sta provando un massaggio.

ENRICHETTA        - Ah! Un massaggio! Corro a sovrintendere. (Richard entra dalla porta della camera da letto)

MAGDA                    - Ammiro il modo in cui lei tiene un occhio su tutto.

ENRICHETTA        - Per forza, perché gli eventi non mi prendano la mano.

MAGDA                    - A chi lo dice! (Enrichetta esce. Magda siede. Richard si raddrizza la cravatta)

RICHARD                - (Andando verso la porta della camera da letto) Richard, coraggio, ricordati che sei un veteri­nario. (Attraversa il salotto senza accorgersi di Magda e arriva alla porta della camera da letto)

MAGDA                    - Si sente un po’ meglio?

RICHARD                - No, non completamente. Lei chi è?

MAGDA                    - (Guardinga) Se ne ricorda del suo ultimo pa­ziente?

RICHARD                - Molto vagamente.

MAGDA                    - E’ il mio Gordon!

RICHARD                - E’ proprio sicura? Gordon? Un segugio, se non sbaglio. Era pieno di bitorzoli.

MAGDA                    - (Preoccupata) Non la seguo.

RICHARD                - O era un pastore tedesco ferito alla gamba?

MAGDA                    - Ferito alla gamba sì, il mio Gordon, ma non è un pastore, è nella pubblicità.

RICHARD                - Ah, ho capito! Fa la reclame del Fido cane in televisione.

MAGDA                    - Può darsi, non lo so, comunque, qual è il suo parere? Frattura?

RICHARD                - Lussazione. Grave.

MAGDA                    - Colpa del pesce. Con le spine. Ci è scivolato su.

RICHARD                - Uno spinone?

MAGDA                    - Un rombo.

RICHARD                - Beh domattina presto mi porti questo rombo che gli do un’occhiata.

MAGDA                    - Non credo che il pesce potrà spiegarle molto. Qui si tratta di mio marito.. stiamo parlando di due cose molto diverse.

RICHARD                - E’ possibile.

MAGDA                    - E non poteva accadere in un momento peg­giore! Avevamo invitato otto persone a cena! Un vero disastro, una grande sciagura! (Suonano alla porta) Perché sa, mio marito avrebbe dovuto aiutarmi a ricevere..., ho dovu­to mandare tutto a monte, e oggi èil mio com­pleanno!

RICHARD                - Cento di questi giorni!

MAGDA                    - Grazie. (Suonano di nuovo alla porta) Ha sen­tito?

RICHARD                - Sì, e le ho detto “grazie”.

MAGDA                    - Alla porta!!!!

RICHARD                - Ah.

MAGDA                    - Avranno sentito? (Chiama) Signora direttri­ce... sorella Anna... Sono occupate di là con mio marito, èmeglio che vada ad aprire lei, potrebbe essere un altro paziente.

RICHARD                - (Confuso, senza capire bene) Va bene, vado. (Va ad aprire. Nel salotto entra a precipizio Me­lissa Bult. Ha una volpe intorno al collo. Ha l’aria alquan­to furibonda. Richard la segue)

MELISSA                 - Dov’è?

RICHARD                -  Chi?

MELISSA - Mio marito. (E a lunghi passi ispeziona il luo­go affacciandosi alle porte e buttando sul tavoli­no dietro il divano la volpe)

MAGDA                    - Temo di non poterla aiutare.

MELISSA - Invece può! Ho fatto pedinare mio marito da un detective e adesso so che viene qui, regolar­mente. E se vedo giusto ritengo che il motivo sia lei. Flirt!

MAGDA                    - Signora, io lei non la conosco, questa è una clinica.

MELISSA                 - Fandonie!

MAGDA                    - Se non mi crede, lo domandi a lui. (Richard guarda dietro la sua spalla cercando di capire con chi stanno parlando)

RICHARD                - Io passo. (Cade in ginocchio dietro il divano, vede la volpe, la prende in mano come fosse vi­va e la accarezza amorevolmente) Oh, povera creatura, piccola vittima,  non sono giunto a tempo, requiescat in pacem.

MAGDA                    - Amen. Mi creda, signora. Sono venuta per mio marito, è stato ricoverato questo pome­riggio per una frattura ad una gamba.

MELISSA - Non ho fatto tutte queste ore di treno per es­sere ingozzata da un sacco di balle! (Entra En­richetta)

ENRICHETTA        - Mi duole averla fatta attendere, signora Far­row. (Si arresta alla vista di Melissa) Questa chi è?

MELISSA                 - La signora Bult, e lei?

ENRICHETTA        - Sono, ehm...

MAGDA                    - La direttrice, naturalmente.

ENRICHETTA        - Di questa clinica. (Entra Anna con il suo soli­to fare “vispo”)

ANNA                        - (Annunciando una notizia importante) Il tra­pianto del cuore procede. Il dottor Head è a metà operazione.

ENRICHETTA        - Magnifico, urrah, sorella Anna! Ha chiesto al dottore se gli occorreva qualcosa?

ANNA                        - Soltanto un donatore.

MAGDA                    - (Scandalizzata) Donatore!!?

ENRICHETTA        - (In fretta) Finanziatore!

ANNA                        - Per la nostra sala operatoria.

ENRICHETTA        - Grazie, sorella. Adesso torni in sala operatoria e mi tenga informata. Il dottore monterà su tutte le furie se si accorgerà che lei non c’è. (Indicando Richard) E’ sovraccarico. (Richard vacillando si drizza in piedi)

ANNA                        - Non si preoccupi per lui, signora direttrice, quando è in quello stato non riconosce nessuno. (Esce ed Enrichetta guida Richard verso una poltrona)

ENRICHETTA        - Posso servirla in qualcosa, signora Bult?

MELISSA - Mi spieghi per quale motivo mio marito viene qui, perché io lo so, l’ho fatto pedinare.

ENRICHETTA        - Per una cura, madame.

MELISSA - Oddio, cos’ha? (Alec entra dalla cucina con una tazzina  di caffè)

ALEC                         - Sono riuscito a fare… (Vedendo Melissa) Me­lissa! Gesù! (Si arresta con un sobbalzo e la spi­na dorsale gli si blocca)

MELISSA - (Andando in collera) Ebbene?

ALEC                         - E’ mia moglie!

MAGDA                    - Un’altra? Affa-sci-nan-te!

MELISSA - Cos’ha?

ALEC                         - La schiena...!!

RICHARD                - Che sia la mia partita?

ALEC                         - Chi lo sa!

RICHARD                - Muoio dal dolore. (Si siede e si assopisce di nuovo)

MELISSA - (Sarcastica) E, ogni quanto questa cura?

ENRICHETTA        - Quando può. Guardi com’è ridotto.

MAGDA                    - Ma questi disturbi mentali sono passeggeri.

MELISSA - Lei come lo sa?

MAGDA                    - Ne stavamo discutendo con la signora diret­trice.

MELISSA - Come si permette di discutere sulle condizioni di salute di mio marito! Voglio parlare con un dottore!

MAGDA                    - (Indicando Richard) Eccolo là.

ENRICHETTA        - Non lo disturbi, è distrutto dal troppo lavoro, signora Farrow. Signora, vuole andare a vegliare suo marito?

MAGDA                    - Con gioia. (A Melissa mentre si volta) Si è creato un harem immaginario. (Esce Magda)

MELISSA                 - Chi?

ENRICHETTA        - (Indicando l’arco) Suo marito. (Melissa si stu­pisce)

ANNA                        - Non si preoccupi, mia cara, perché la signo­ra è un po’ tocca. Suo marito fu sequestrato dai selvaggi della Nuova Zelanda o era la Nuova Guinea, o comunque qualcosa di nuovo.

MELISSA                 - Stai divagando, Alec.

ALEC                         - E’ il dolore alla schiena.

MELISSA                 - Ma non potevi dirmelo che venivi qui?

ENRICHETTA        - Per via della cura! Un… un tantino inortodos­sa.

MELISSA                 - Implica manipolazioni?

ENRICHETTA        - Anche. Oltre alla frenologia e all’agopuntu­ra.

MELISSA                 - Medici ciarlatani! Dovrebbe essere proibito.

ALEC                         - Proprio per questo non ho osato dirtelo. Mi avresti riso in faccia, mi avresti detto che but­tavo via i miei soldi.

MELISSA - Li stai buttando via. E il medico curante sa­rebbe questo? (Si avvicina a Richard)

ALEC                         - Non lo svegliare.

ENRICHETTA        - Sta meditando. Alleviando lo spirito.

MELISSA - (Chinandosi su Richard) Dall’alito direi che si tratta... coi fiocchi! (Entra Anna)

ANNA                        - (Annunciando) Il dottor Head ha terminato il trapianto della testa... (Enrichetta le lancia un’occhiata micidiale) . . .del cuore, volevo dire.

ENRICHETTA        - (Tirando Anna da un lato) Due parole, sorel­la. (Sulla porta della camera da letto le sussur­ra) Non strafare.

ANNA                        - Quella chi è?

ENRICHETTA        - La moglie di Alec.

ANNA                        - Andiamo bene!

ENRICHETTA        - (Tornando nel salotto) Signora Bult, posso presentarle sorella Anna, la mia collega?

MELISSA - Molto lieta, sorella. E’ lei che somministra le cure a mio marito?

ANNA                        - Con l’aiuto della direttrice, naturalmente.

MELISSA - Punzecchiandolo con gli aghi?

ANNA                        - Iniezioni, prego.

ENRICHETTA        - Agopuntura, sorella.

ANNA                        - Ah, quelli!

MELISSA - Molto bene non gli hanno fatto. Non vede co­m’è bloccato?

ALEC                         - La cura, oggi, deve ancora farla.

MELISSA - Voglio assistere.

ENRICHETTA        - Sarebbe poco ortodosso anche per noi. Lo porti subito nell’ambulatorio, sorella.

ALEC                         - (Dolorante) Mi lasci in pace, mi fa un male cane.

MELISSA - Gliela faccia qui!

ANNA                        - Al momento gli aghi sono tutti impegnati.

MELISSA - (Aprendo la borsetta) Perché non un ago da rammendo?

ENRICHETTA        - Siamo senza.

MELISSA - Li ho io.

ALEC                         - Tu piantala di intrometterti.

MELISSA - Eccoli qua, sorella. Nuovi. Comprati oggi. Per il piccolo punto.

ENRICHETTA        - La nostra clinica è specializzata in agopuntu­ra, non in piccolo punto.

MELISSA                 - Un ago è sempre un ago. Prenda questo.

ENRICHETTA        - Contenta lei! Il marito è suo.

ALEC                         - Alto là!

ENRICHETTA        - Proceda, sorella, visto che la signora insiste.

ANNA                        - Agli ordini, signora direttrice. (Prende l’ago da Melissa e va dietro a Alec che è piegato in due sopra lo schienale di una poltrona)

MELISSA - (Autoritaria) Cosa aspetta?

ANNA                        - Ehmm  che suo marito si cali i pantaloni.

ALEC                         - Aspetti e speri.

ENRICHETTA        - Dia qui a me! (Enrichetta emette due o tre suoni nasali cinesi che culminano in un “zuum!” e caccia l’ago nel sedere di Alec. Alec strilla e si raddrizza di colpo)

ALEC                         - Ha funzionato!... va meglio... sono tornato com’ero. Sono un miracolato.

MELISSA                 - Confesso che la cura ha l’aria di funzionare.

ENRICHETTA        - Riesce sempre.

RICHARD                - (Che si è svegliato) C’è un party?

MELISSA                 - Lei è sbronzo.

ENRICHETTA        - Torni a dormire. (Richard obbedisce)

MELISSA                 - Sei guarito, la macchina è davanti alla porta di casa; andiamocene.

ALEC                         - Adesso? Stasera?

MELISSA                 - Ma certo. Raccogli le tue cose e...

ALEC                         - Subito, cara. Ma... e il resto della cura?

MELISSA                 - Se ti giova la rifarai appena ne senti il biso­gno.

ALEC                         - (Raggiante) Oh. Grazie. Caaara! (Esce)

ENRICHETTA        - Una decisione molto saggia la sua, signora Bult. (Entra Magda insieme a Gordon che ora è completamente vestito)

MAGDA   - Me lo porto a casa perché mi sembra in con­dizioni di affrontare il viaggio.

ENRICHETTA        - Prudenza signora, perché non è completa­mente guarito.

MAGDA                    - Quand’è che vuole vederlo di nuovo?

ENRICHETTA        - Un momento, che guardo nel libro degli ap­puntamenti. (Prende il libro)

GORDON                  - Io potrei nel pomeriggio di venerdì.

ENRICHETTA        - Venerdì... venerdì... Mi sta bene venerdì. (Scrive) Uova, ore 16,30 venerdì.

GORDON                  - Grazie, signora direttrice, grazie sorella.

ANNA                        - E’ stato un piacere. (Entra Alec)

ALEC                         - Se dobbiamo andare andiamo. Avanti, mamma.

GORDON                  - Per giuda! La mamma! E io che continuavo a chiedermi chi fosse! La mamma di Enrichetta, ma sicuro! Per giuda, avrei dovuto riconoscer­la, ma chi pensava! Non somiglia neanche un po’ ad Enrichetta.

MAGDA                    - (Confusa, perplessa)  Come... come ha detto?

ENRICHETTA        - (Fa dei segni selvaggi a Gordon con la testa e Gordon cerca di rimediare)

GORDON  - E non c’è motivo perché un figlio somigli alla mamma. Mia madre, per esempio, non mi so­miglia affatto. E non somiglio nemmeno a pa­pà. Difatti, quando sono assieme non sembrano nemmeno sposati. Ma lo sono. O così mi hanno fatto credere. (Tutti si guardano cercando di capire qualcosa dalla situazione e da questo di­scorso strampalato. Pausa)  Lei crede che io sia sbronzo?

MAGDA                    - Ma che storie racconti, Gordon!

GORDON  - (Imbarazzato, non sa come cavarsela) Ehm...

ENRICHETTA        - E’ il trauma.

GORDON  - Sì, il trauma, che mi rende traumatizzato. Ho l’amnesia, io!

MAGDA                    - Da quando?

GORDON  - Chi se ne ricorda? (Con un‘occhiata di intesa Enrichetta esce seguito da Magda)

MELISSA - Anche per noi è ora di andare, abbiamo molte ore di macchina.

ENRICHETTA        - La riverisco, signora Bult.

ALEC                         - Arrivederla, signora direttrice. A... a presto, spero. E’ stata molto gentile, non so come potrei fare senza di lei. E’ stato un privilegio e al tempo stesso un piacere...

MELISSA - (Tagliando corto) Dai, smettila, Alec! Non ve­di che la signora direttrice non vede l’ora di infilarsi nel suo letto?

ALEC                         - Anch’io! (Escono Melissa e Alec)

ENRICHETTA        - (Ad Anna) A te non dovrei rivolgere la parola… ma grazie per avermi tirato fuori dalle peste.

ANNA                        - Mamma mia che serata!

ENRICHETTA        - Gli imprevisti del mestiere!

ANNA                        - Io resto fedele al matrimonio, anche se mio marito è quello là! (Indica Richard) Su, bello, a lettino.

RICHARD                - (Vedendo Anna) Anna!?! Che ci fai qui?

ENRICHETTA        - (Pronta) Ti è corsa dietro, faccetta d’angelo. Tutto è perdonato, tutto dimenticato.

RICHARD                - Troppo tardi, Anna cara, io vengo a stabilir­mi qui.

ENRICHETTA E ANNA      - Nooo!!!

RICHARD                - Signore mie, per favore... non vi accapigliate per me. Piuttosto: perché non mi fate a metà?

ENRICHETTA        - Ci sto. I primi vent’anni con Anna! Eppoi... vado a prendere lo champagne. (Va  in cuci­na)

ANNA                        - Su, Casanova, oggi hai strafatto, sei stanco, da bravo, a lettino. (Apre le lenzuola e lo aiuta a mettersi a letto)

RICHARD                - Come mai sei così carina con me?

ANNA                        - La forza dell’abitudine.

RICHARD                - Sono un pessimo marito!

ANNA                        - Lo so.

RICHARD                - Non ti merito.

ANNA                        - Lo so.

RICHARD                - Non merito nemmeno Enrichetta.

ANNA                        - Non lo so. O forse la meriti!

RICHARD                - Oh, grazie. Sei un tesoro. (Le bacia la mano sempre vago. Anna si infila nei letto. Richard la abbraccia mentre entra Enrichetta con tre bic­chieri colmi  di champagne. Chiude la porta)

ENRICHETTA        - Ecco qua... beviamo al... matrimonio!

ANNA                        - Che beva, che beva, perché da sobrio non credo che lo reggerà! (Bevono. Anche Enrichet­ta si infila dentro il letto dall’altro lato di Richard)

RICHARD                - Sono sobrio come un neonato! (Si mette a can­tare: “if you were the only girls in the world!” e le due donne si uniscono al canto. Mentre i tre stanno cantando, beati, rientra Melissa nel salotto)

MELISSA - (Quasi tra sé) Ho scordato... (Vede la volpe dietro il tavolo) Eccola. (La raccoglie e si avvia, ma il rumore della camera da letto la fa fermare. Apre la porta e a  quella vista resta di stucco) Signora direttrice! (I tre smettono di cantare)

ENRICHETTA        - (Pronta) Non si preoccupi, stiamo tenendo una conferenza al vertice. (Melissa accetta la spie­gazione e un tantino contrita saluta con la mano ed esce. I tre riprendono a cantare a squarciago­la).

FINE