La leçon de français
Commedia in un atto
di Jean-Jacques BERNARD
Traduzione di Lucio Scialpi
da IL DRAMMA n. 253 - Ottobre 1957
LE PERSONE
IL MAESTRO
DURAND-TONNERRE
RENAUD
LARUE
BEAUFRELU
Un'aula scolastica, un giorno qualsiasi, in un'ora di lezione.
A Parigi, naturalmente.
Il Maestro Miei giovani amici, oggi dunque incominceremo le nostre lezioni di francese. Da parte mia mi auguro che non soltanto vi interessino, ma spero che vi piacciano.
(Grida, esclamazioni, risate, versi di animali. Il maestro batte la cattedra con la sua bacchetta e grida con autorità)
Silenzio!
(A poco a poco si fa silenzio)
Vi prevengo subito che non tollererò il minimo disordine. Punirò senza pietà.
Una Voce È « moche »!
Il Maestro Avete tre minuti per comprendere. Non esiterò a far uscire immediatamente tutti coloro che si permetteranno di imitare il raglio dell'asino o il gracidare della rana...
(Risate)
D'altra parte, se vedo che posso trattarvi come amici vi darò delle sigarette...
(Mormorii di soddisfazione).
Delle Voci Questo è « chic »: è una persona « chic »...
Il Maestro ...sigarette di cioccolata, naturalmente.
(Mormorii di disillusione).
La Voce È « moche »!
Il Maestro Insomma, voi potrete trovare in me un maestro o un compagno: quale preferite?
Le Voci Un compagno, un compagno.
La Voce È un tipo « chic ».
Il Maestro Per questa prima lezione vorrei intrattenervi sulle meravigliose diversità della lingua che avete la fortuna di parlare. La flessibilità e la precisione armoniosa della lingua francese sono tali, che ancor oggi essa offre al mondo uno dei più preziosi modi di comunicazione che siano stati donati agli uomini. Vi rendete conto di quello che rappresenta per voi un tale privilegio?
La Voce È una cosa « chic ».
Il Maestro Ma non basta constatare. Bisogna comprendere. Se la nostra lingua è uno strumento così raro, è perché essa sposa tutte le sfumature del pensiero. Non vi sono due modi di esprimere la stessa idea dopo che se ne afferra il senso da vicino. Senza dubbio la maggior parte delle parole ha molti sensi, e, pertanto, una parola adoperata dopo averci riflettuto, non deve dare luogo ad alcuna ambiguità. Ed in ciò consiste la natura della lingua; si potrebbe affermare che una parola vaga non è francese; essa sarà tutto ciò che vorrete: dialetto dell'Alvernia, stile telegrafico, ma non francese.
La Voce È « moche ».
Il Maestro (un po' irritato) Non interrompetemi, prego... Aspettate che vi interroghi. Vi porrò qualche domanda e cercheremo insieme degli esempi che faranno apparire la flessibilità e la squisita scorrevolezza della lingua. Questo esercizio vi costringerà ad uno sforzo salutare perché non ho l'impressione, per ora almeno, che il vostro vocabolario sia molto ricco e soprattutto che il vostro repertorio di aggettivi sia abbondante. Il vostro nome?! Sì, voi alla seconda fila, vicino alla finestra.
Renaud Renaud, signor maestro.
Il Maestro Con che cosa vi gingillate?
Renaud Non mi gingillo affatto, signor maestro. È la mia penna stilografica: più la tormento e meno scrive. È « moche »...
Il Maestro ... Bene... Lasciate stare la vostra penna e rispondetemi. Incominceremo con esempi semplicissimi: voglio abituarvi a trovare la parola esatta, la sola che possa convenire nel caso dato, o almeno, la migliore, perché ben inteso una stessa azione può volere parecchie definizioni: così questa parola può essere in una volta giusta e utile, ma vi sono dei casi in cui è l'esattezza che prevale, come ve ne sono altri in cui prevale invece l'utilità. Capite Renaud?
Renaud Sì.
Il Maestro Non vi domanderò se conoscete Giovanna d'Arco...
Renaud Certo che la conosco!
Il Maestro Lo spero bene! Vi hanno parlato della condotta di Giovanna davanti ad Orléans? (Silenzio) Sì o no?
Renaud Sì.
Il Maestro Che direste di questa condotta se vi fosse chiesto di definirla?
Renaud Che è « chic ».
Il Maestro Non usate ogni momento questa espressione: non è una parola...
Renaud E che cos'è, signor maestro?
Il Maestro Non è una parola precisa. Preferisco le parole crude, le espressioni popolari che hanno un senso e anche un sapore. D'altronde è col parlare popolare che la lingua si rinnova e si ringiovanisce. È l'evoluzione sana e naturale: delle parole forti, delle parole che colpiscono. Bisogna che una lingua viva si trasformi, si arricchisca. Quello che è grave è vederla nel vago, nell'impreciso, nell'incerto, insomma, svanire. Questa parola « chic » è detestabile: volete dire che una cosa è bella? Voi dite che è « chic »; che è onesta? È « chic »; che è utile? È « chic »; che è riuscita buona, salutare, piacevole, raccomandabile? È « chic »: « chic » e soltanto « chic ». Francamente, che ne pensate?
Renaud Che è « moche », signor maestro.
Il Maestro No, tutto quello che vorrete, ma non « moche », che ritengo - nel caso - l'opposto di « chic », ma che è detestabile quanto « chic ». La lingua tende a ridursi a due espressioni. Una cosa è brutta? È « moche »; è fallita? È « moche »; è disonesta? È « moche »; è stupida, sleale, incerta, vergognosa? È « moche », solo « moche » e sempre « moche ». L'esprimersi attraverso « chic » e « moche », ecco dove siamo ridotti. Noi ci smarriamo nel marasma dell'imprecisione; la lingua si infangherà se non vi poniamo rimedi, se voi - voi, cioè tutti i giovani, tutta la gioventù francese - non compirete lo sforzo di rinunciare al parlare impreciso, contrario alla natura della nostra lingua. Ecco, prendiamo un impegno: ogni volta che la parola « chic » o la parola « moche » saliranno alle nostre labbra, ingo-iamola. Vedrete allora come facilmente troveremo la parola giusta, la parola francese... Vi piace questo gioco?
Le Voci Sì, sì, sì...
La Voce È « ch... ». (Ma la parola è ingoiata).
Il Maestro Benissimo... Voi che avete sbagliato, come vi chiamate?
Durand-Tonnerre Durand-Tonnerre.
Il Maestro Durand-Tonnerre... Con un tale nome non si ha diritto di essere faciloni nel parlare... Definirete voi l'azione di Giovanna d'Arco davanti ad Orléans.
Durand-Tonnerre È... (Si ferma).
Il Maestro Andiamo!... Conoscerete pure un aggettivo per esprimere ciò che vi ispira Giovanna...
Durand-Tonnerre Oh sì, signore, è... è stupefacente.
Il Maestro Oh!... Sssì... Preferisco ancora questo. Almeno c'è del colore. Ma non è la parola che vi consiglierei di adoperare nel caso di una discussione su Giovanna d'Arco davanti ad uditori eruditi. Siete in anticipo sul tempo. Non dico che un giorno questa parola non avrà diritto di cittadinanza, ma, per il momento, è una delle parole che la lingua lascia alla porta. Per le parole è come per gli uomini: hanno bisogno di entrare nella società, impregnarsi del clima e fondersi nel tutto. Preferirei un'altra parola.
La Voce Signor maestro, l'ho trovata io.
Il Maestro Chi siete?
Larue Larue.
Il Maestro Ebbene Larue, sentiamola.
Larue Formidabile!
Il Maestro Oh! eccoci nell'inconveniente opposto. Formidabile è una parola troppo superlativa e nello stesso tempo molto usata, d'altronde quasi sempre a sproposito. Soprattutto ha la disgrazia di essere sempre stata impiegata a casaccio, come capita a molti aggettivi formati nella stessa maniera, che finiscono per non aver più nulla in comune con il senso primitivo. Vuol dire che si sono affievoliti, che sono divenuti scipiti. Pensate a l'etimologia della parola formidabile: viene dal latino « formìdo »: terrore. Immaginate quello che poteva esprimere all'inizio una tale parola. Ma oggi non è raro voler dire che un romanzo è « formidabile », ma non per significare che genera terrore. Si vuol dire, semplicemente, che è pieno delle migliori qualità. Quanta gente non dice oggi che fa una colazione formidabile? Pochi giorni fa, rientrando dalle vacanze, qualcuno mi ha detto che avevo un aspetto formidabile.
(Risate, versi di animali)
Silenzio! Vedete come ho torto di scherzare?...
(Attende che sia ristabilito il silenzio)
Ma vi è di meglio: ho udito una ragazza parlare di una rosa formidabile.
(Risate più discrete)
Quello che dico di questa parola, potrei dire di molti altri aggettivi, il cui significato si è in parte perso perché sono stati impiegati a casaccio: ammirabile, meraviglioso, magnifico, stupendo, spaventoso, adorabile, inaudito, ecc. Una lingua consuma rapidamente i suoi aggettivi. La maggior parte degli aggettivi che ho citato potrebbero definire l'azione di Giovanna davanti ad Orléans. Ma ciò che dobbiamo trovare è la parola giusta, precisa, quella che in quel momento era maggiormente appropriata alla nostra eroina nazionale... Chi ha alzato la mano?
La Voce Beaufrelu.
Il Maestro Siete voi che ci direte questa parola, Beaufrelu?
Beaufrelu (il ragazzo ha un difetto di pronuncia) Sì, ezoico.
Il Maestro Che significa?
(Tutti gli scolari ridono)
Volete dire che la condotta di Giovanna davanti ad Orléans è stata...
Beaufrelu Esattamente, ezoica...
Il Maestro (compiacente) Cerchiamo di capirci...
(Beaufrelu smania, sempre più rosso ed eccitato)
Ho capito: eroico.
(Le risate continuano ed aumentano)
Silenzio! Vi prego di non ridere di un compagno... Beaufrelu ha voluto dire eroico, ed io ho capito benissimo. Non subito, ma ho capito.
Beaufrelu Sì, signoze.
Il Maestro Bene, Beaufrelu. Effettivamente, se vogliamo qualificare l'aspetto elevato dell'azione di Giovanna, non vi è miglior termine di eroico. Se consideriamo il seguito di questa azione, allora possiamo dire che fu utile. Questo vi dimostra che ogni azione ha più aspetti e che vi è una parola per indicare ciascuno di essi. Quello contro cui vi metto in guardia è di impiegare queste parole indeterminate che hanno tutti i sensi che si vogliono. Se vi sembrano comode è perché vi dispensano dal riflettere. Ma sono parole pericolose, giustamente, perché aiutano la pigrizia mentale e quella dello spirito. Sopprimono le sfumature, degradano la lingua e per di più la nostra lingua, quella che ha più sfumature, che ha più sottigliezze. Ragazzi, sono obbligato ad avvertirvi del pericolo: quello che vi minaccia oggi, non ne dubitate, è di vedere il vostro Paese perdere in prestigio tutto quello che la vostra lingua avrà perso in ricchezza.
(Mormorii)
Prenderemo un altro esempio, ma questa volta lo sceglierete voi stessi. Vi darò l'aggettivo e mi indicherete una azione a cui si può riferire: l'aggettivo è capriccioso.
(Mormorii soffocati)
Allora, nessuno di voi saprà dirmi a chi e a che cosa e in quale circostanza l'aggettivo capriccioso può applicarsi?
(Silenzio)
Eppure il mondo non manca di gente che ha dei capricci. Ah! Larue alza la mano... Su Larue...
Larue Capriccioso è quando un tipo fa una cosa... e poi improvvisamente un'altra, e poi un'altra ancora... e tutto quello che fa... sono delle cose che...
Il Maestro Sì, Larue. Avete capito l'idea che d'altronde non era difficile, ma non avete saputo esprimerla. D'altra parte, mi date un eccezionale esempio di imprecisione di linguaggio, che è il male di questo mondo troppo frettoloso. E non infierisce solo sugli aggettivi e i sostantivi, ma anche sui verbi. Ascoltate con attenzione la maggior parte della gente parlare e notate l'impiego abusivo del verbo « fare » e del sostantivo « cosa » che avendo mille sensi finiscono in tal modo per non averne più. Non importa quale azione si esprima col verbo « fare »: si « fa » un articolo, ci si « fa » il proprio letto, ci si « fa » i propri attrezzi, si « fa » Pasqua: tutto questo è ancora ammissibile. Ma « fare » del pianoforte per suonare il pianoforte, è più che imperfetto, trasandato. « Fare la casa »; « fare il giardino », questo non va più! In tal modo, dal filo nell'ago si arriva a « fare » i grandi magazzini. E ancora non si tratta che di un verbo, che non è altro che il sostegno di un'idea o di una immagine, ma quando è il sostantivo stesso che si spersonalizza per la sostituzione costante della parola « cosa »... non ci ritroviamo più. Una « cosa » è tutto quello che si vuole: un'idea come un oggetto e anche un personaggio. Voi, io...
(Risate)
Ridete? Ma se alcuni di voi fossero al mio posto, non sono affatto sicuro che vi chiamereste ancora col vostro nome: Larue, Renaud, Durand-Tonnerre, Beaufrelu, ma Coso, Coso, Coso e Coso...
(Risate)
Ho incontrato Coso l'altro ieri; eravamo a Cosa; sembrava tutto « coso ». No, ragazzi, coso non va affatto. Un personaggio, una città, uno stato d'animo, un mestiere sono tali e non coso. Una lingua che permettesse questo non sarebbe più una lingua. Se mettiamo un franco in un salvadanaio ogni volta che sentiremo e diremo coso e cosa, un salvadanaio il giorno non basta. Ne siete convinti, miei giovani amici? Perché vorrei proprio darvi il gusto della precisione, che è la finezza, la forza e l'anima della nostra lingua. Noi, invece, ce ne priviamo per pigrizia o per indifferenza...
La Voce È « moche »...
Il Maestro Può darsi... ma preferirei che lo diceste in altro modo. Saremmo giunti al risultato voluto.
(Guarda l'orologio)
La lezione è finita, ma vorrei poter essere sicuro di aver seppellito, oggi, chic, moche e cosa. Sarebbe un bel risultato.