Ci incontreremo alla Trinidad

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C’INCONTREREMO ALLA TRINIDAD

Titolo originale: Nous irons a Valparaiso

Commedia in quattro atti

di MARCEL ACHARD

Versione italiana di Carlo Lari

PERSONAGGI

GILLES GABANIS

PASQUALE CABANIS

ROBERTO LAHIRE

RABOUIN

MÉNÉTRIER

FELICE HOJOSSE

IL PRESIDENTE

ALBERTO NOGARRE

ADOLFO CHARPENTIER

BOURDILLE

L'USCIERE

VALERIA PARDAILLAN

TERESA CABANIS

SEVE­RINA  PARDAILLAN

LA ZIETTA

SUSANNA FORSTER


ATTO PRIMO

Novembre - Sono le quattro del pomeriggio. Una sala di soggiorno in una casa che i Gabanis abitano dal 1902, come si può vedere — ahimè — dall'arre­damento. Gilles vi si è installato alla morte dei suoi genitori, e siccome è quasi sempre in mare, non si è preoccupato di modificarla al gusto moderno. Anche la tappezzeria, che pure è stata cambiata di recente, è a fiorami! Sul caminetto, che si trova alla sinistra della scena, sovrasta uno specchio collocato in una cornice imitazione Luigi XV. In mezzo alla stanza, un grande canapè con tre spalliere e delle più arzi­gogolate, in velluto bordeaux, è guarnito con testiere di trina. Una poltrona sfacciatamente Voltaire, tro­neggia in un angolo del camino con uno sgabello e un tavolino portatile sovraccarico di libri. Una tavola rotonda, a destra, è ricoperta con lo stesso velluto bor­deaux del canapè. Due poltrone più modeste intorno alla tavola. Dietro la tavola, una finestra che si affaccia sulla via Duguay - Trouin. In fondo alla stanza, una porta a vetri dà sull'anticamera dietro la quale sì vede distintamente la porta di strada. La porta è a vetri smerigliati, ma soltanto a metà, così da far vedere il cappello e la parte superiore della, testa di coloro che vi si presentano. Nell'anticamera, di cui soltanto l'inizio è visibile, c'è la scala per la quale si accede alle camere a destra. Invisibile è anche la porta che reca alla cucina. Aspetto estremamente provinciale e vecchio. Sparse un po' dappertutto le note insolite dei ricordi che Gilles ha portato dai suoi viaggi: un Budda che tentenna la testa, una zanna d'elefante scolpita, un ido­lo negro, una statua indocinese, un albero di corallo, delle conchiglie, ecc. ecc.

 (All'alzarsi del sipario, Teresa è sola in scena, seduta alla tavola, davanti a una scacchiera. Fuma mentre è in atteggiamento di chi riflette. Muove una pedina, si accorge del pericolo che questa mossa reche­rebbe al suo re ed ha un impercettibile gesto di disap­punto. In questo momento sente squillare con violenza e con impazienza il campanello della porta d'ingresso. Teresa ha un sussulto, si volta e vede un cappello ornato di fiori messo di traverso sulla testa di una visitatrice, al disopra del vetro smerigliato della porta. Lo squillare del campanello si fa sempre più insi­stente. Teresa si alza precipitosamente, dischiude la porta a vetri, passa nell'anticamera ed apre la porta dì strada. La zietta appare sulla soglia. È una donna dì 40 o 45 anni che indossa con austerità ma non senza eleganza un abito nero. Porta un cappello guarnito di fiori, ma appena appoggiato in testa e dì sghimbescio, come se fosse stato messo in fretta, dopo una baruffa. Il volto della zietta è sfigurato dall'ira. Ha sotto il naso un fazzoletto intriso di sangue. L'occhio sinistro è tumefatto e sulla mano destra si può vedere una lunga sgraffiatura).

La Zietta                       - So quello che stai per dirmi: come hai fatto per ridurti in questo stato?

Teresa                            - Infatti...

La Zietta                       - Sono caduta.

Teresa                            - Sei caduta!

La Zietta                       - (aggressiva) Sicuro! Sono caduta.

Teresa                            - Hai battuto il naso?

La Zietta                       - Lo vedi. Volevo scansare una vet­tura, ho fatto un passo falso, e mi sono spiaccicato il naso sul marciapiede!

Teresa                            - Anche l'occhio?

La Zietta                       - Come « anche l'occhio ».

Teresa                            - Ti sei spiaccicato anche l'occhio?

La Zietta                       - Dammi il fazzoletto. Non farmi insanguinare il tappeto! (Teresa le porge il fazzoletto).

Teresa                            - (ironica) Tu, quando batti il naso, ti fai automaticamente una «pèsca» all'occhio?

La Zietta                       - (senza ridere) Non ho affatto una «pèsca» all'occhio!

Teresa                            - Ti giuro che ce l'hai.

La Zietta                       - Deve essere stato quando sono ca­duta la seconda volta.

Teresa                            - Perché? Sei caduta di nuovo?

La Zietta                       - Mi sono impigliata nella sottana e sono andata a gambe all'aria un'altra volta.

Teresa                            - Brava! Quando ti ci metti, fai le cose per bene.

La Zietta                       - Scusami. Un'altra volta mi compor­terò meglio. (Una pausa. Teresa la osserva).

Teresa                            - Zietta, tu non sei caduta.

La Zietta                       - Non sono caduta?

Teresa                            - No, zietta!

La Zietta                       - Allora, ti racconto questa storia per farmene un vanto?

Teresa                            - No. Per nascondermi qualche cosa.

La Zietta                       - Io?

Teresa                            - Proprio tu, zietta.

La Zietta                       - Che cosa potrei nasconderti?

Teresa                            - Non lo so. Qualche cosa di grave, pro­babilmente.

La Zietta                       - (ridendo senza troppa convinzione) Mi fai ridere...

Teresa                            - Anche il tuo riso conosco. Ed ora tu non ridi, te lo garantisco.

La Zietta                       - Curami, invece di dire delle scioc­chezze.

Teresa                            - Curarti? E come?

La Zietta                       - Mettimi del ghiaccio sull'occhio, una chiave nella schiena... spicciati... fa qualche cosa. (Dalla porta che nella loro agitazione le donne hanno lasciato aperta, entra, Pasquale Cabanis).

Pasquale                        - Ma che cosa mi hanno detto, zietta... ti sei picchiata?

La Zietta                       - Ecco, ci siamo!

Teresa                            - Ti sei picchiata?

Pasquale                        - Dal droghiere, figurati.

Teresa                            - Ma con chi?

Pasquale                        - Questo non lo so. Non me l'hanno saputo dire.

Teresa                            - Ti metti a picchiarti dal droghiere, adesso?

La Zietta                       - Mi sta a viso, infatti.

Pasquale                        - I miei complimenti, in ogni modo. Dicono che tu le abbia spaccato tre denti.

La Zietta                       - (tradendosi) Davanti. I tre più belli.

Teresa                            - Ma come?

La Zietta                       - Per caso, purtroppo. Con una go­mitata.

Teresa                            - Le hai dato una gomitata?

La Zietta                       - Facevo quello che potevo, scusami...

Pasquale                        - Scusala!

La Zietta                       - (a Pasquale) È robusta come un toro, quella donna!

Teresa                            - Quale donna?

La Zietta                       - La Brébion.

Teresa                            - Ti sei picchiata con la signora Brébion?

La Zietta                       - So che non avrei dovuto farlo. È più alta di me di tutta la testa. Ma che devo dirti: mi scocciava.

Teresa                            - Ti scocciava?

La Zietta                       - Orribilmente.

Pasquale                        - Vi credevo molto amiche.

La Zietta                       - Anch'io, prima che mi schiacciasse il naso...

Teresa                            - Ma, infine perché vi siete picchiate?

La Zietta                       - Non ha importanza.

 Teresa                           - Andiamo, via! Tu, la distinzione fatta persona. (Gesto di modestia da parte della zietta) Non ti sarai accapigliata con la signora Brébion senza una buona ragione.

La Zietta                       - Mi aveva detto certe cose...

Teresa                            - Quali cose?

La Zietta                       - Delle cose che non mi erano pia­ciute.

Teresa                            - (insistendo) Quali cose?

Pasquale                        - Te l'ha detto. Delle cose che non le erano piaciute.

Teresa                            - E che mi riguardavano, non è vero?

La Zietta                       - Che c'entri tu?

Pasquale                        - Che cosa vai a pensare!

Teresa                            - Che mi riguardavano. Ne sono sicura. Tu t'infischi completamente di quello che si pensa di te. L'altro giorno, l'impiegato della Capitaneria del porto ti ha dato della vecchia civetta, e tu non hai battuto ciglio.

La Zietta                       - Perché non sono né vecchia né civetta.

Teresa                            - Tu non te la prendi che per me.

La Zietta                       - Per una volta ho fatto un'eccezione.

Teresa                            - Non ti credo.

La Zietta                       - Mi permetterai tuttavia di avere le mie piccole faccende personali.

Teresa                            - Che cosa ti ha detto?

La Zietta                       - Oh... mi hai seccata... Qualche cosa di offensivo. È evidente.

Teresa                            - Lo domanderò al droghiere.

Pasquale                        - (bruscamente) Lascia tranquilla tua zia, una buona volta.

Teresa                            - (guardandolo prima di rispondere) Che strano modo di parlarmi! Non mi hai abituata a questa rudezza.

Pasquale                        - (immediatamente gentile) Non sono affatto rude, mia cara... sono sicuro che tua zia è spiacente di questo scandalo...

La Zietta                       - Spiacente!

Pasquale                        - E ti chiedo di non aumentare il suo disagio.

Teresa                            - (dopo averli osservati tutti e due) Bene. Molto bene. Perfettamente. (Un lungo silenzio assai pesante).

Pasquale                        - Ora non mettere il broncio.

Teresa                            - Non metto il broncio. Mi dite di tacere e io sto zitta.

Pasquale                        - (teneramente) Non fare la bambina!

Teresa                            - (con amarezza) Me lo aspettavo che tu mi trattassi da bambina.

Pasquale                        - Sei abituata ad averla sempre vinta. Ti sei messa in testa che la signora Brébion abbia detto male di te e ti arrabbi perché ti si dice che non è vero. Come se sì potesse dir male dì te!

La Zietta                       - È assurdo!

Teresa                            - Dimmi allora quello che ti ha detto!

La Zietta                       - (a Pasquale) Non ti pare che dovrei mettermi qualche cosa sull'occhio?

Pasquale                        - Il vecchio rimedio casalingo: un pezzo di carne cruda.

La Zietta                       - Ci sono delle bistecche nella sporta.

Pasquale                        - Proprio quello che ci vuole! (Si avvi­cina alla borsa della spesa. Ma la zietta lo sopravanza, s'impossessa della sporta e passa nell'anticamera dicendo)

La Zibtta                       - Se non ti dispiace, questo piattino me lo preparo da me. (Entra in cucina. Teresa cam­mina nervosamente in su e in giù. Da una scatola armonica che è sulla tavola prende una sigaretta. L'accende e incomincia di nuovo a misurare la stanza a lunghi passi, sotto gli occhi di Pasquale che sta osservandola).

Pasquale                        - Teresa?

Teresa                            - Che vuoi?

Pasquale                        - Mi pareva di averti proibito di fumare.

Teresa                            - Scusami. (Gli sorride dolcemente, gli accarezza una guancia con tenerezza e spegne la siga­retta su un portacenere che è sulla tavola tonda).

Pasquale                        - Grazie.

Teresa                            - (dinanzi alla scacchiera) Credi che possa muovere la torre?

Pasquale                        - (alzandosi e ponendosi alla scacchiera) Certo.

Teresa                            - Non dare consigli così alla leggera. Mi seccherebbe molto se la zietta vincesse.

Pasquale                        - Perché? Giuochi di denaro?

Teresa                            - Peggio ancora. Chi perde dovrà pulire l'argenteria.

Pasquale                        - Muovi la torre. Se la zietta non muove l'alfiere è probabile che tu faccia scacco matto.

Teresa                            - Sai tutto. Sei meraviglioso, tu. (Lo bacia).

Pasquale                        - E tu barerai sempre.

Teresa                            - Ha tanta fiducia in me. Sarei stupida se non ne approfittassi.

Pasquale                        - Certo.

Teresa                            - (con una risatina secca) Che faccia aveva! Però mi piace quasi di più con quel naso! (Pasquale la guarda con intensità. Teresa non sostiene lo sguardo e dice come per scusarsi) Scherzavo!

Pasquale                        - Lo credo!

Teresa                            - (ad alta voce, verso la cucina) Senti... zietta!

- Che vuoi?

La Brébion... io non la

- No.

La voce della Zietta

Teresa                            - (come sopra) saluto più, non è vero?

La voce della Zietta

Teresa                            - (come sopra) E se mi domanda perché, le dirò che senza denti non l'avevo riconosciuta.

La voce della Zietta      - Brava!

Teresa                            - (lentamente, pacatamente, con una gioia inso­lita a Pasquale) Penso alla faccia di Brébion, quando ritornerà a casa stasera. Lui che ci teneva tanto alla bellezza della moglie.

Pasquale                        - Confessalo: tu sei felice di quello che è successo. Non li puoi soffrire nessuno dei due.

Teresa                            - È vero.

Pasquale                        - Perché?

Teresa                            - Non lo so. Probabilmente ho un cattivo carattere, ma l'amore degli altri mi fa sempre un po' male.

Pasquale                        - Ti potrei capire se tu non fossi adorata.

Teresa                            - È terribile, Pasquale. La felicità mia non mi basta. Ero così anche da piccola. In collegio ciò che mi faceva piacere non era già di essere la prima, ma di superare le altre. Ho veramente odiato Maria Chevigné perché nuotava bene quanto me.

Pasquale                        - (dopo un breve silenzio) Non hai paura che ti voglia meno bene dopo queste tue confessioni?

Teresa                            - Tu? Tu mi rassomigli. Sei come me. Ami o non ami. Non sai « amare meno ».

Pasquale                        - (con la voce turbata) Infatti.

Teresa                            - (alla quale piace quel turbamento e vuole aumentarlo) Tu osservi il mio abito nuovo.

Pasquale                        - Sì.

Teresa                            - (dando al corpo la curva per mettere in evidenza la sua linea) Bello, non è vero?

Pasquale,. Bellissimo.

Teresa                            - (sedendosi graziosamente sulle ginocchia di lui) Sei orgoglioso della tua piccola Teresa?

Pasquale                        - (duramente) Tu non sei la mia pie-cola Teresa!

Teresa                            - (si alza all'improvviso e va a sedersi alla tavola) Ah! (Lungo, pesante silenzio).

Pasquale                        - Qualche volta mi chiedo se tu non sia un po' cattiva.

Teresa                            - Io?

Pasquale                        - Sì, tu, Teresa, tu.

Teresa                            - Perché dici così?

Pasquale                        - Perché ti sei seduta sulle mie ginocchia?

Teresa                            - C'è qualcosa di male?

Pasquale                        - Forse, sì...

Teresa                            - Non è la prima volta. Sono quindici anni che lo faccio. E da quindici anni sono la tua piccola Teresa.

Pasquale                        - Se fosse entrato tuo marito...

Teresa                            - Ebbene?

Pasquale                        - Il tuo atteggiamento avrebbe po­tuto irritarlo, non ti sembra?

Teresa                            - Non si irrita con tanta facilità!

Pasquale                        - Avrebbe potuto credere che ci fosse qualcosa fra noi.

Teresa                            - Fra noi?... Con te?... (Bidè in modo insultante).

Pasquale                        - Grazie per la risata.

Teresa                            - Invece, mi rimproverava anche ieri di non essere abbastanza gentile con te.

Pasquale                        - (con violenza) Ma di che cosa si oc­cupa lui?

Teresa                            - Quanto è cretino, eh?! (La volgarità di questa osservazione calma Pasquale).

Pasquale                        - Gilles non è cretino: ha fiducia in sua moglie.

Teresa                            - (sincera) Può averla.

Pasquale                        - Credo infatti che possa averla.

Teresa                            - Sa benissimo che lo amo come una pazza.

Pasquale                        - Fortunatamente per me lo so anch'io. So che se avessi fatto un gesto più audace poco fa, forse tu mi avresti preso a schiaffi.

Teresa                            - Forse? Di certo!

Pasquale                        - Il tuo amore per lui ti mette al sicuro: gli altri se la cavino da sé; e se non riescono a farlo, che soffrano pure.

Teresa                            - Tu soffri?

Pasquale                        - (a voce bassa, con una terribile sincerità) Sì.

Teresa                            - Sai trovare sempre la parola che fa piacere.

Pasquale                        - (prendendola violentemente per un braccio) Ma non hai paura che questa storia prenda una brutta piega?

Tebe sa                          - Paura?

Pasquale                        - Sì. Paura che un giorno io mi stanchi di essere il tuo pulcinella. Posso perdere la pazienza. Ti assomiglio. Sono cattivo anch'io.

Teresa                            - Non farmi ridere!

Pasquale                        - Come mai mi permetti di venire tutti i giorni da te?

Teresa                            - Oh, non sei divertente!

Pasquale                        - E se ami Gilles in questo modo, come hai potuto sopportare il mio sguardo di poco fa?

Teresa                            - Quale sguardo? Non ci ho fatto caso.

Pasquale                        - Non hai veduto che ti spogliavo con gli occhi?

Teresa                            - Addio a domani, Pasquale.

La Zietta                       - (dall'anticamera) A domani? Te ne vai di già, Pasquale?

Pasquale                        - Sì.

La Zietta                       - (entrando nella starna) Il tuo sistema, caro dottore, non vale un fico. L'occhio mi duole sempre di più. Ed è invece la bistecca che comincia a tumefarsi.

Pasquale                        - (con una risata che suona falso) Prova con del ghiaccio.

La Zietta                       - Proverò. Prendi una tazza di tè con noi?

Pasquale                        - No, grazie.

La Zietta                       - Hai tanta fretta? Che ora è?

Pasquale                        - Le quattro e un quarto.

Teresa                            - Come le quattro e un quarto? E Gilles non è ancora rientrato?

La Zietta                       - Te l'aveva detto. Non prima delle sei.

Teresa                            - Mai sentito dire.

La Zietta                       - (a Pasquale) Tu lo conosci, tuo fratello. Dice: le sei, ma quando è a bordo con i suoi compagni...

Pasquale                        - Già.

La Zietta                       - (desiderosa di accomodare le cose) Del resto, che male c'è?

Teresa                            - (scherzando) Eh eh... ci son tante belle figliole al porto.

La Zietta                       - (molto seccata) Ma che cosa vai a pensare!

Teresa                            - (sempre ridendo) Non protestare tanto! Si direbbe che tu abbia visto Gilles con una di quelle belle figliole.

La Zietta                       - Lui? Gilles? Tradirti? Per carità!

Teresa                            - E poi sa quello che gli potrebbe capi­tare se me ne accorgessi. Pan! Pan! Una per lui, una per lei.

La Zietta                       - (che nasconde male la sua inquietudine) Sei troppo buona! La cosa non merita che il disprezzo.

Teresa                            - Niente affatto. Una palla per lei, una palla per lui. Non se n'esce.

La Zietta                       - (con falsa gaiezza) E avanti, dunque!

Teresa                            - (senza ridere, ma con leggerezza) Glie l'ho detto chiaramente a Gilles: «un'altra donna, in quel caso, potrebbe uccidersi. Io no. Perché io ho già preso il veronal quando ho creduto che tu non volessi sposarmi. Non posso ricominciare. Avrebbe l'aria di un'abitudine ».

La Zietta                       - Come dice la Brébion: sarebbe una minestra riscaldata.

Teresa                            - Allora li ammazzo e il giuoco è fatto.

La Zietta                       - Però, perdonare non sarebbe una cattiva idea.

Teresa                            - (nervosamente) Mi hai seccata. Si direbbe che tu abbia davvero paura. Non ti accorgi che scherzo?

La Zietta                       - (sullo stesso tono) Anch'io scherzo. Sei opprimente! (A Pasquale) E tu, credevo che avessi fretta.

Pasquale                        - La discussione m'interessava. Buona sera, zietta. (La bacia) Buona sera, Teresa.

Teresa                            - Non mi dai un bacio?

Pasquale                        - No. Ora no. Non ne ho voglia, ora.

Teresa                            - Come vuoi.

Pasquale                        - A domani. (Prende l'ombrello e il cappello ed esce in silenzio).

La Zietta                       - Che cos'ha?

Teresa                            - Niente.

La Zietta                       - Come niente?

Teresa                            - Son quindici anni che lo conosci. Do­vresti esserti accorta che è un po' strano.

La Zietta                       - Sono decisamente contenta che tu abbia sposato suo fratello. C'è stato un momento in cui ho creduto che avresti preferito Pasquale. (Teresa ride senza rispondere) Perché ridi?

Teresa                            - Un'idea.

La Zietta                       - E va bene. Tu dovresti chiedere a Pasquale una visita accurata.

Teresa                            - Io?

La Zietta                       - Sei troppo nervosa. Anche quando scherzi, si sente in te una specie di violenza... qualche cosa di... sì, di eccessivo...

Teresa                            - Come parli bene!

La Zietta                       - Non sei normale, te lo dico io.

Teresa                            - Conosci qualcuno che sia normale tu? (In questo momento suonano alla porta. Le due donne si voltano all'improvviso guardando la porta d'ingresso. Al disopra del vetro smerigliato si vede un cappellino da donna molto elegante su un fascio di capelli biondi) Una visita!

La Zietta                       - Chi potrà essere?

Teresa                            - (allegramente) Non è un cappello di mia conoscenza.

La Zietta                       - (sospettosa) Guarda, guarda...

Teresa                            - Neppure i capelli sono del quartiere.

La Zietta                       - Infatti.

Teresa                            - Benissimo! È qualcuno che non si conosce!

La Zietta                       - Vado a vedere. (Camminando rasente al muro, si avvia verso l'anticamera, secondo un tra­gitto che le è familiare e che le permette di non esser vista dal di fuori).

Teresa                            - E così?

La Zietta                       - (si precipita bruscamente indietro) Oh!

Teresa                            - La conosci?

La Zietta                       - (che evidentemente dice una bugia) No.

Teresa                            - E allora perché hai detto: oh?

La Zietta                       - Non ho detto: oh!

 

Teresa                            - (guardando) Io, però, non l'ho mai vista. (Si suona di nuovo).

La Zietta                       - (a bassa voce, supplicante) Non aprire!

Teresa                            - Perché?

La Zietta                       - (come sopra) Non aprire, ti prego. Se fossimo fuori di casa...

Teresa                            - La conosci quella ragazza?

La Zietta                       - Sì. E ti scongiuro di non aprire.

Teresa                            - Per una volta che potrei distrarmi un poco...

La Zietta                       - Distrarti? Ma non capisci che dietro quella porta c'è per te la sciagura?

Teresa                            - (impietrita) Cosa? Cosa dici? Sciagura: che parolona! Non puoi parlare più semplicemente?

La Zietta                       - Non aprire, ti prego.

Teresa                            - Voglio vedere. In ogni modo, come sciagura è piuttosto carina. (Apre. Valeria Pardaillan è sulla soglia. Molto graziosa, vestita semplicemente ma esn molto gusto).

La Zietta                       - (con violenza) Come osate?

Valeria                          - (a Teresa) Vorrei parlare con voi, signora.

Teresa                            - (alla zietta) Lasciaci sole.

La Zietta                       - Siamo ancora a tempo. Permettimi di buttarla fuori.

Teresa                            - (ripetendo la frase con autorità) Lasciaci sole! (La zietta esce) Accomodatevi.

Valeria                          - Non importa, signora. Io sono Valeria Pardaillan.

Teresa                            - Sì... e allora?

Valeria                          - Il mio nome non vi dice nulla?

Teresa                            - No.

Valeria                          - E forse non sapete neppure perché io sia venuta da voi?

Teresa                            - Proprio così!

Valeria                          - Signora, mi sembrano indegni di noi questi giuochi d'astuzia.

Teresa                            - Io giuoco d'astuzia?

Valeria                          - Non sono io che ho cominciato lo scandalo.

Teresa                            - (cominciando a seccarsi) Credo di non essere stata neppure io.

Valeria                          - Ho taciuto per due anni. Ho tenuto nascosto per due anni questo segreto che avrei voluto gridare ai quattro venti.

Teresa                            - Quale segreto?

Valeria                          - Ho sopportato tutto. Mi sono fatta piccola piccola, mi sono nascosta come se mi ver­gognassi. Ed ho sofferto due anni. Per voi!

Teresa                            - Per me?

Valeria                          - (ridendo maliziosamente) Perché non dovevate sapere. E avete sempre saputo... perché avete sempre saputo.

Teresa                            - Sempre... che cosa?

Valeria                          - Vi prendevate gioco della mia dab­benaggine e andavate a raccontare ai fornitori che ero un'avventuriera.

Teresa                            - (alzandosi) Io?

Valeria                          - Non lo posso sopportare, signora. Ve lo proibisco. Il dolore che m'avete dato me ne dà il diritto. Vi proibisco di dire che non amo vostro marito. (Teresa è agitatissima. Valeria, sotto il colpo della sua violenta tirata, è ancora tremante. Una pausa. Poi Teresa esce in una risata acuta).

Teresa                            - Ah, questa poi...

Valeria                          - Non ridete, signora. Quando ho cono­sciuto Gilles a Parigi, due anni fa, in settembre, non sapevo che aveva moglie. Non sto cercando delle scuse. Se lo avessi saputo, lo avrei amato lo stesso. Ma non me l'ha detto subito. Probabilmente perché pensava che io sarei durata per lui soltanto il tempo del suo viaggio. I marinai hanno questa mania: una ragazza per ogni porto. Io ero la ragazza di Parigi, come Njù era la ragazza di Hong Kong. C'è mancato poco che non mi preferisse una delle mie compagne, Antonietta Delannoy: una ragazza che ha già avuto quattro amanti! Lui non lo sapeva di amarmi. Se n'è reso conto in mare. Allora ha voluto che venissi ad abitare qui. Ma non avevo il diritto di uscire dall'albergo. Mi servivano il pranzo in camera. Non vedevo che lui e il cameriere... ogni tanto Marisa Brébion... per giorni e giorni. E ritor­navo a Parigi da mia madre quando il bastimento ripartiva. Per non dare un dispiacere a voi! Perché voi non sapeste! Diceva che eravate rimasta una bambina e capace di tutte le pazzie. Teneva alla vostra quiete più che alla sua felicità. Ho accettato questo stato di cose. Ben altro avrei accettato. È il solo uomo che ho amato, il solo che amerò. E per tutto quel tempo il nostro segreto correva per i riga­gnoli. Mi avete reso lo zimbello di tutta la città. Oggi, vostra zia si è picchiata con Marisa. E diceva che non avevate paura di me, che conoscevate le ragazze della mia specie e che bastava darmi dei quattrini! Dei quattrini! Avete avuto torto di insultarmi, signora. Posso andare a chiedere a Gilles di scegliere fra noi due, perché voi non avete più bisogno della sua pietà. (Fa per andarsene).

Teresa                            - Ve ne andate di già?

Valeria                          - Non abbiamo più nulla da dirci.

Teresa                            - Oh, sì, invece!

Valeria                          - Che cosa?

Teresa                            - Prima lasciate che vi guardi un momento. Ero troppo occupata ad ascoltarvi, non vi ho vista bene. (Senza odio, imparzialmente) Il vostro viso non mi piace. È bello, intendiamoci. Ma da dieci anni a questa parte, tutte sono belle. Voi siete bella come un'altra qualsiasi.

Valeria                          - (senza espressione) Magari!

Teresa                            - Mi fa piacere che siate così.

Valeria                          - Tanto meglio!

Teresa                            - Capisco quello che ha potuto fare im­pressione a Gilles: la vostra purezza, il vostro tipo: « Troppo debole per aver paura ».

Valeria                          - Ah!

Teresa                            - E soprattutto quegli occhi: « A te per la vita ».

Valeria                          - Porse. (Pausa).

Teresa                            - Dunque, cara signorina, avete sentito il bisogno di venire a proclamarmi la sincerità del vostro amore?

Valeria                          - Non potevo ammettere ciò che voi pensavate di me.

Teresa                            - Certo: no.

Valeria                          - Ma forse mi sono espressa un po' brutalmente. Accettate le mie scuse, se ritenete che ve ne debba.

Teresa                            - Cosicché voi avevate immaginato che io, da due anni vi sapessi nella mia vita e che mi accontentassi di punirvi raccontando delle piccole malignità sul vostro conto.

Valeria                          - Non capisco.

Teresa                            - Non vi ha mai attraversato il cervello l'idea che io, forse, avrei potuto non sapere nulla?

Valeria                          - (come impazzita) Non è possibile!

Teresa                            - Tuttavia... supponete che non avessi saputo nulla.

Valeria                          - Ma via... tutta la città ne parla.

Teresa                            - Supponete!

Valeria                          - (ostinata) La disputa d'oggi fra vostra zia e Marisa! Ed anche ieri, al caffè della Roccia, la signora Charbonnel... Diceva che volevate farmi rimpatriare.

Teresa                            - Vi hanno detto... si era detto... Sup­ponete che non abbia detto nulla, io!

Valeria                          - Ero folle di rabbia quando sono entrata. Credevo tutto quello che mi si diceva di voi. Avevo tanto bisogno di crederlo. Speravo di trovare una donna che non amasse Gilles se non quel tanto che potesse servire a fargli del male. Una donna che avrei dovuto detestare con tutte le mie forze. Ma voi lo amate quanto me e... siete infelice.

Teresa                            - (piccata) Si vede?

Valeria                          - Non saprò perdonarmi di esser venuta.

Teresa                            - E Gilles ve lo perdonerà?

Valeria                          - Se io facessi una cosa molto difficile e molto penosa per me, mi potreste promettere di non parlargli della mia visita?

Teresa                            - No.

Valeria                          - Ho taciuto per due anni. Avrei taciuto ancora. Ci son volute queste chiacchiere che mi hanno riferito... queste cattiverie che, dicevano, sta­vate per commettere. Ero così decisa a non darvi tm dispiacere!

Teresa                            - Avete pietà di me, anche voi!

Valeria                          - So che vi vendicherete. Ne avete il diritto. Ed io merito di essere punita.

Teresa                            - Oh, lo sarete.

Valeria                          - Volete che lo lasci partire stasera senza rivederlo? Sarebbe una vendetta terribile: impedirmi di dirgli addio!

Teresa                            - Credete?

Valeria                          - Sapere che parte per due mesi, e non salutarlo!

Teresa                            - Mi fate ridere.

Valeria                          - Volete che gli scriva soltanto una volta al giorno?

Teresa                            - Tenetevi le vostre punizioni. Troverò io le mie!

Valeria                          - So quello che dovrei fare. Dovrei pro­mettervi di non vederlo più. Ma non manterrei la promessa. Tenterò soltanto di vederlo il meno pos­sibile. Quel tanto che è necessario alla mia vita. Proprio quello che basta per aver voglia di vivere.

Teresa                            - (con un gesto rabbioso, rovescia col dorso della mano la scacchiera facendo saltare le pedine) Ah, ora mi sento meglio!

Valeria                          - (sorpresa) Che ho fatto?

 Teresa                           - Ancora della grandezza! Ancora della nobiltà! Basta! Non respiro a queste altitudini.

Valeria                          - Scusatemi!

Teresa                            - Riassumiamo. Una ragazza mi porta via il marito. E va bene! Se me l'ha preso, è perché era lì per farsi prendere. Tocca a me a lottare... e chi è più forte vinca. Ma il destino si prende vera­mente giuoco di me quando mi mette di fronte una ragazza come voi. Uscita fresca fresca dalla « Bi­blioteca rosa ». Ripugnante di cortesia e di qualità di cuore. Che cosa posso fare contro di voi? Tutti i torti sono vostri, e sono io che mi sento a disagio. C'è qualche cosa di pericoloso nella vostra dolcezza, lo capisco benissimo. Se mi dessi retta, avrei quasi della simpatia per voi.

Valeria                          - (commossa) Signora!

Teresa                            - Rassicuratevi: non arrivo a tanto. (Guarda a lungo Valeria prima di dare il colpo deci­sivo) Ma tuttavia capisco come Gilles avesse ragione quando mi diceva: « Poiché in ogni modo ti sarei infedele, è meglio che lo sia con lei. Non se ne po­trebbe trovare un'altra così poco ingombrante». (Va­leria barcolla per un attimo, poi cade con la testa in avanti) Ci siamo! Ma cosa le prende a questa ragazza? (Chiamando) Zietta! (Si mette in ginocchio vicino a Valeria dandole dei colpetti con le mani per farla rin­venire) Andiamo, su, andiamo... su... su!...

La Zietta                       - (comparendo) Mi hai chiamata?

Teresa                            - Guarda!

La Zietta                       - Ed è lei che sviene! È il colmo!

Teresa                            - Dammi l'aceto!

La Zietta                       - (cercandolo) Ma che diavolo le hai potuto dire?

Teresa                            - Le ho detto... (Fermandosi) Attenti... potrebbe far finta!

La Zietta                       - Credi? (Le porge l'aceto).

Teresa                            - Com'è carina!

La Zietta                       - Non ti commoverai, ora!...

Teresa                            - (con una punta di rabbia) Lo ama più di me, zietta, lo ama più di me.

La Zietta                       - Ma no, ma no. Tu sei la più forte! E per questo...

Teresa                            - (com angoscia) Non l'avrò mica uccisa?

La Zietta                       - Non fare la stupida! Alzati. Voglio darle degli schiaffi io. Dicono che non c'è nulla di più efficace. (Valeria apre gli occhi) Vedi, basta parlarne.

Valeria                          - Vi chiedo scusa, signora. Non so quello che mi è capitato. È ridicolo. (Si alza).

Teresa                            - Non avrei dovuto...

Valeria                          - No no... voi non c'entrate per niente... ve lo assicuro. Non è colpa vostra se io non sto in piedi.

Teresa                            - Volete bere qualcosa di forte?

Valeria                          - No, grazie. Ma io ho rotto questa statuetta! Non so come scusarmi.

Teresa                            - Non ha importanza.

Valeria                          - Si sì, sono dispiacentissima. (Si porta la mano al petto).

Teresa                            - Vi sentite male?

Valeria                          - Sì, un poco. Scusatemi. Che cosa stu­pida! Si cade e poi non si può più respirare.

Teresa                            - Sedetevi!

 

Valeria                          - No, grazie, signora. Bisogna che me ne vada. Che me ne vada subito. Appena avrò ripreso flato. (Con un povero sorriso) Vi ho dato anche troppa noia. Ma non vi annoierò più, state tranquilla. Potete dirlo a vostro marito. Che non cerchi più di rivedermi. D'altra parte farò quello che è necessario. Io non sapevo. Credevo a tante cose. Ma così è molto meglio per tutti.

La Zietta                       - Avete ragione. Dimenticatelo dunque tranquillamente!

Valeria                          - Già... tranquillamente. (Piange) Tran­quillamente!

Teresa                            - Sta' un po' zitta, tu...

Valeria                          - Ditegli di non preoccuparsi, straccerò le sue lettere...

Teresa                            - Ma che volete fare? Dove andrete?

Valeria                          - Parto... È l'essenziale. Il resto, certo, vi è indifferente. E, pensate, è indifferente anche per me. Arrivederci, signora, vi domando scusa. (Esce. Teresa s'impone di non guardare Valeria mentre esce. La zietta, invece, non la perde di vista).

La Zietta                       - (quando la porta è richiusa) L'hai ridotta in un bello stato!

Teresa                            - È disperata, non è vero?

La Zietta                       - (con forza) Eh sì... piuttosto.

Teresa                            - Non osavo guardarla. Avevo l'impres­sione di aver commesso una cattiva azione.

La Zietta                       - Non credo. Devi essere stata abile, invece.

Teresa                            - (con ammirazione incredula) E ci sono delle ragazze come quella? Ci sono ancora delle ragazze come quella?

La Zietta                       - Dove mai Gilles sarà andato a scovarla?

Teresa                            - (con un'agitazione che andrà sempre aumen­tando) Per fortuna che se n'è andata! Stavo per gridarle di aver mentito!

La Zietta                       - Le hai mentito?

Teresa                            - . Quanto potevo! Sembrava che lei avesse deciso di dire soltanto le parole più commo­venti. Non ce la facevo più. Mi sono difesa come ho potuto.

La Zietta                       - (molto sinceramente) Piccola cara!

Teresa                            - Il suo svenimento è stato terribile. Non ritornava più in sé. Te ne sei accorta?

La Zietta                       - Sì, cara.

Teresa                            - Non farà mica qualcosa di irreparabile? Cosa credi? Cosa credi?

La Zietta                       - No. Non è una pazza come te. Sono tranquillissima. È di quelle che soffrono in silenzio.

Teresa                            - Meno male... Oh sì... meno male! (Una pausa).

La Zietta                       - (timidamente) Sicché, ora tu sai?

Teresa                            - So. E mi sento brutta, brutta!...

La Zietta                       - In che senso?

Teresa                            - Non ero bella se non perché credevo che mi amasse. Ora non significo più nulla.

La Zietta                       - Ma ti ama, che diamine!

Teresa                            - Come una sorella. Una povera sorella della quale ha pietà, e alla quale non vuol dare dispiaceri.

La Zietta                       - Ma no...

Teresa                            - Non ho un piccolo volto d'angelo, io...

 La Zietta                      - Sei molto più bella di lei.

Teresa                            - Di me non può sognare per cinque ora al giorno.

La Zietta                       - (facendo mostra di essere gaia) Forse no. Ma chi pensa a sognare per cinque ore al giorno?

Teresa                            - Sono una donna molto infelice. Scu­sami se non rido.

La Zietta                       - Povero il mio tesoro!

Teresa                            - (in un grido) Da due anni ero infelice. E non lo sapevo.

La Zietta                       - Non esaltarti!

Teresa                            - E questi due anni che ho rubati, li devo a lei. Quante cose ha fatto per lui!  Incredi­bile! E non soltanto per lui. Anche per me! Lo ama meglio di me!

La Zietta                       - Non ripetere sempre la stessa cosa.

Teresa                            - E io... facevo la stupida con Pasquale!

La Zietta                       - Con Pasquale?

Teresa                            - Lo sai benissimo. Sai benissimo che mi divertivo a tormentarlo.

La Zietta                       - Ma no, non lo sapevo... (Ridendo) È buffo!

Teresa                            - No, non è buffo. Non meritavo la mia felicità... Mentre egli si conquistava duramente la sua.

La Zietta                       - Non tanto duramente...

Teresa                            - Ah... la sua dolcezza... come la odio! Quella dolcezza implacabile... Quella dolcezza che le permetteva tutti i sacrifìci... Ne avrebbe saputo inventare, dei sacrifici, all'occorrenza. (Ridendo ama­ramente) Mentre io credevo di aver fatto abbastanza cercando di uccidermi perché mi sposasse.

La Zietta                       - Non parlare più di quella cosa...

Teresa                            - (improvvisamente gridando) E Gilles glielo ha detto! Ne sono certa. È per questo che aveva accettato di nascondersi. Ne ho vergogna, ne ho ver­gogna! (La zietta, spaventata dall'esaltazione di Teresa, compone un numero).

La Zietta                       - (a mezza voce) Pasquale? Venite qui, subito. Ma subito. (liialtacca).

Teresa                            - Non andrai a raccontare i fatti miei a Pasquale? Non ho voglia di apparirgli ridicola. (Osservando lo sguardo della zietta) Ah! Sapeva anche lui? Sapevano tutti. Ma allora bisognava avvertirmi, prepararmi... Non permettere che sapessi tutto d'un colpo! (Suono di campanello. La zietta va ad aprire. Con falsa gaiezza) Deve aver corso per attraversare la strada!

La Zietta                       - (a Pasquale, in anticamera) Ti ho chiamato perché mi preoccupa...

Teresa                            - (cattiva) Lo aspettavi, eh, Pasquale, questo momento? Ebbene ci siamo. Io so. Sei ven­dicato.

Pasquale                        - Tu sai?

Teresa,                           - (sarcastica) E non per sentito dire! Dalla stessa interessata. Ma ti faccio i miei compli­menti. Ti sei comportato veramente bene. Non avevi che una parola da dire per vendicarti delle mie cat­tiverie! Ti giudicavo male, sai! Pensavo: « Mi ama, è geloso, la sua prima cura sarà di mettermi al cor­rente ».

La Zietta                       - Potresti non parlare di queste cose davanti a me.

Teresa                            - (con un gesto d'immenso scoraggiamento) Al punto in cui sono!

Pasquale                        - Cos'è successo?

La Zietta                       - Io non so quello che Teresa abbia detto a quella persona...

Teresa                            - (interrompendola) Qualche cosa di molto ingegnoso. (A Pasquale) Qualche cosa che tu avresti potuto inventare.

La Zietta                       - Sta di fatto che quella persona non vuol più rivedere Gilles e che lascia la città in questo preciso momento.

Pasquale                        - Oh, per Dio!

La Zietta                       - Temi che Gilles non voglia imbar­carsi stasera!

Pasquale                        - Senza averla rivista, è più che pro­babile.

Teresa                            - (con dolore) L'ama tanto?

Pasquale                        - Se potesse credere a un appuntamento mancato, partirebbe, forse malgrado tutto, perché ha un grande concetto del suo dovere. Ma se viene a sapere della visita...

La Zietta                       - Non c'è che da tacere: come se nulla fosse accaduto.

Teresa                            - (con ironia dolorosa) E poi? Si ritro­veranno! E saranno anzi estasiati di questo malin­teso e di questo piccolo dramma. E sarei io forse a riavvicinarli ancora!

La Zietta                       - (toccando il braccio a Pasquale) Pote­vate fare a meno di raccontarle queste cose...

Teresa                            - (con amarezza) E ai loro occhi non sarei neanche più una vera vittima. Sarei una povera donna che ha inventato questa triste storiella! (Qual­cuno batte allegramente, a colpi rapidi, alla porta della strada, secondo un ritmo evidentemente noto. Alla zietta) Va' ad aprirgli.

Pasquale                        - Sembra di eccellente umore!

La Zietta                       - (a Teresa) Non credi che sia meglio salire un momento per calmarti un poco?

Teresa                            - Grazie. Voglio vederlo all'opera. (Si bussa ancora come sopra).

La Zietta                       - Le sere di partenza è sempre un poco alticcio.

Teresa                            - Sarà anche più divertente.

La Zietta                       - In ogni modo, niente dramma;!

Teresa                            - Non una parola!

La Zietta                       - Andiamo! (Va ad aprire. Pasquale divora Teresa con gli occhi. Ma quando lo sguardo di Teresa si incontra col suo, egli lo evita. Sulla soglia appare Gilles Oabanis. È molto allegro e simpatico).

Gilles                             - Buona sera. (Movimento degli altri verso di lui) Oh, non vi muovete! E fate silenzio! Vi chiedo un minuto di silenzio. Ma di completo silenzio. Come se aveste creduto di sentire una sirena nella nebbia. Uno, due e tre! (Si toglie l'impermeabile bleu ed appare in una uniforme nuova fiammante di comandante in seconda) Sono permessi i gridi dì ammirazione!

La Zietta                       - Bravo!

Pasquale                        - Impeccabile.

Teresa                            - Perfetto.

Gilles                             - Avete visto i galloni?

La Zietta                       - Bei galloni!

Gilles                             - Purtroppo il libeccio li sciupa. Non sono più quelli d prima della guerra.

 Teresa                           - (agli altri due) Divertente, non è vero?

Gilles                             - Ho tuttavia la presunzione di sperare che Cloarec sarà contento. Il suo comandante in seconda sarà il meglio vestito del ventesimo parallelo. Tanto più che anche le scarpe sono nuove. (Le indica col mento).

La Zietta                       - E dici poco!

Gilles                             - Disgraziatamente la sinistra mi fa un po' male! Permettete? (Si siede, si toglie la scarpa sinistra e friziona il piede indolenzito).

La Zietta                       - Senza tanti riguardi, eh?

Gilles                             - (con un sospiro di sollievo) Aaah!

Teresa                            - Sono pieni di poesia questi navigatori! (Gilles si accorge delle pedine degli scacchi che son rimaste sul pavimento).

Gilles                             - Vi siete scaraventate ancora le pedine sulla faccia?

Teresa                            - (pronta) Sì. La zietta mi aveva esa­sperata.

Gilles                             - (a Teresa) Per fortuna parto stasera. Se no, mi avresti ancora incaricato di pulire l'ar­genteria,

La Zietta                       - (con gentilezza, a Teresa) Riconosco i miei torti. La pulirò io, via...

Gilles                             - (indicando i frammenti della statuetta) Avete anche massacrato la porcellana?

Teresa                            - (con un sordo cattivo umore) Non ne fare un dramma.

Gilles                             - Un dramma? Io me ne infischio altis­simamente.

Teresa                            - Ah, bene.

Gilles                             - Osservo soltanto che la lotta deve essere stata dura. (Rivolgendosi alla zietta) Ma dimmi una cosa, zietta, è stata Teresa a farti quel complimento sull'occhio?

La Zietta                       - Son caduta.

Gilles                             - Tu cadi sugli occhi?

La Zietta                       - Sì.

Teresa                            - E, cadendo, ha rotto la statuetta.

Gilles                             - Con l'occhio? Giustissimo.

Pasquale                        - Sarebbe forse meglio dirgli la verità.

La Zietta                       - (pronta) Siete pazzo, Pasquale?

Gilles                             - La zia ha ragione. Sei pazzo. Soprat­tutto non diciamo la verità. Il mio motto lo conoscete: la verità fa male agli occhi.

Teresa                            - Graziosissimo motto!

Pasquale                        - (non si sa se volutamente o no) Pen­savo di dirgli soltanto che vi eravate picchiate. (Sob­balzo della zietta e di Teresa).

Gilles                             - Soltanto? Dunque una piccola parte dell'avventura! Ma che bellezza!

La Zietta                       - (a Pasquale) E, senza dubbio, spie­gargli anche la ragione!

Gilles                             - Non ne fate di nulla. Preferisco immagi­nare. C'è di mezzo un bel biondo, non è vero?

La Zietta                       - Non fare lo stupido!

Gilles                             - Avresti torto di protestare, sono orgo­glioso di te. (La bacia superficialmente).

Teresa                            - Conosco Gilles. Se non vuole delle pre­cisazioni, se non si preoccupa di saperne di più, vuol dire che ha qualche cosa d'urgente da fare.

Gilles                             - (aereato) Proprio così. Da fare una tele­fonata. A Obolinski. (A Pasquale) Conosci Obolinski?

Pasquale                        - (freddo) No.

Gilles                             - Ti ho presentato a lui l'altro giorno. (Alla zietta) A proposito, proprio un bel biondo!

Pasquale                        - (glaciale) Non me ne ricordo.

Gilles                             - È seccante, Obolinski.

Teresa                            - Davvero?

Gilles                             - (con l'abbondanza di particolari di chi dice una bugia) Simpatico ragazzo, ma non puntuale, come tutti gli slavi, del resto.

Teresa                            - Conosco così pochi slavi!

Gilles                             - Avevo un appuntamento con lui alle tre e venti alla «Pregata». Dopo essere stato dal sarto.

Teresa                            - Volevi fargli vedere la tua uniforme?

Gilles                             - Ma no! L'ho aspettato per un'ora e non è venuto. Io non so se tu sappia cos'è aspettare un'ora alla « Pregata ».

Teresa                            - No, non lo so.

Gilles                             - Tanto meglio per te. (Cammina zoppi­cando sul piede scalzo fino all'apparecchio telefonico, mentre dice) Allora son passato dal suo albergo per vedere se mi avesse dimenticato. Niente Obolinski. (Compone un numero) Era uscito alle tre senza aver lasciato detto nulla.

Teresa                            - (con finta desolazione) Oh!

Gilles                             - Pronto? Albergo Duguay-Trouin? Parla il signor Gilles Cabanis... Sono io, quello che poco fa vi ha dato cinquanta franchi. (Spiega a Teresa) Gli ho dato cinquanta franchi perché...

Teresa                            - Hai fatto benone. Non ti scusare.

Gilles                             - (parlando all'apparecchio) Vorrei sapere se il signor Obolinski è rientrato. (A Teresa) Non mi scuso, ti spiego! (Parlando all'apparecchio) Sì. Obo­linski. O-bo-lin-ski! (Arrabbiandosi e perdendo il con­trollo) So bene che non ci sono Obolinski all'albergo; è la persona di cui vi ho parlato poco fa! Sì, Obolinski! Non prendete quell'aria furba. Vi chiedo se quella persona è rientrata. Ebbene, allora ditelo! (Riattacca con rabbia).

Teresa                            - (senza espressione) Non hai male agli occhi tu, in questo momento.

Gilles                             - (ispido) Che vuoi dire?

Teresa                            - Se questo signor Obolinski non abita all'albergo, come puoi sperare di trovarcelo?

Gilles                             - (inventando laboriosamente) Non abita all'albergo, ma vi ha fatto colazione e vi ha deposi­tato i suoi bagagli.

Teresa                            - Ah, bene.

Gilles                             - Una cosa semplicissima, come vedi!

Teresa                            - E che buffo nome!... Obolinski!

Gilles                             - Che vuoi fare? È il suo. Non crederai che l'abbia inventato io!  (Teresa si allontana da lui con un atteggiamento che rivela l'irritazione e si dirige verso l'anticamera).

La Zietta                       - (che sta all'erta) Dove vai?

Teresa                            - (con molta naturalezza) A bere un bic­chier d'acqua fresca in cucina... (Esce. La zietta l'accompagna un poco).

Pasquale                        - (sardonico) Ma bravo!

Gilles                             - Sì, credo di essermela cavata abbastanza bene.

Pasquale                        - Davvero?

 

Gilles                             - Non ti piace la mia trovata di Obolinski?

La Zietta                       - (rientrando) Non troppo. Non dovete aver l'abitudine di mentire nella marina mercantile!

Gilles                             - (costernato) È colpa di quell'idiota dì portiere. Gli dò cinquanta franchi e gli spiego bene: « Quando vi parlerò del signor Obolinski, si tratterà invece...». Del resto, non ha importanza e non so perché vi dica queste cose. Ma avete visto il risultato.

Pasquale                        - E non temi che Teresa abbia intuito qualcosa?

Gilles                             - Teresa? Ma no, povera cocca, ma no! Ha fiducia in me quella cara creatura!

Pasquale                        - Però è uscita in un modo strano...

Gilles                             - Ti sembra strano che uno abbia sete? Io per esempio ho sete e non mi trovo strano.

La Zietta                       - (improvvisamente) Gilles... è vera­mente così carina questa Pardaillan?

Gilles                             - (sempre più costernato) Non mi dire che sai tutto!

La Zietta                       - So tutto. E da parecchio tempo. Non te ne parlavo per non farti vergognare.

Gilles                             - Oh!

La Zietta                       - Come hai potuto?

Gilles                             - Non lo so... ero a Parigi...

La Zietta                       - (interrompendolo) Ma che cos'ha questa ragazza che Teresa non abbia?

Gilles                             - Niente. Soltanto... quello che ha... lo aveva a Parigi...

La Zietta                       - E tu hai giocato la felicità di Teresa per un'avventura?

Pasquale -                      - Non è più un'avventura. È pazzo di lei.

Gilles                             - Sì, ora sì.

Pasquale                        - Disgraziatamente!

Gilles                             - Bisogna perdonarmi, zia. Non è colpa mia. Valeria è unica. Vedi... ciò che fa soffrire di più gli uomini che sono stati abbandonati è il fatto che essi credono sempre di rivedere in istrada la donna dalla quale sono stati lasciati. Per una figu­rina che passa, per un modo di camminare, per un volto che assomiglia ad un altro. Se capitasse a me una disgrazia simile, questa delusione non l'avrei. Non mi sembrerebbe di rivederla. Perché nessuna le rassomiglia.

La Zietta                       - (commossa) Ah!

Gilles                             - Nessuna si mette il cappello come lei, per esempio. Una volta, per ridere, ho voluto cal­colare esattamente. Dà al cappello un'inclina­zione di trentotto gradi. Né più né meno. (Come se si trattasse di un miracolo) Camminando, muove un braccio soltanto.

La Zietta                       - Sul serio?

Gilles                             - (ormai partito) Piange così bene! Non puoi immaginarti quanto sia carina quando piange! Eppure è oppressa dal dolore. Pensa: per restare carina pur soffrendo così intensamente, bisogna pro­prio possedere un gran fàscino...

La Zietta                       - Lo credo!

Gilles                             - Ma se sa piangere tanto bene, meglio ancora sa ridere. Ride con frenesia. Così! (Ride con violenza).

Teresa                            - (gridando dalla cucina) Meno male! Non ti annoi! (La zietta e Gilles sussultano).

Pasquale                        - (con durezza) Lo vedi a che cosa ti sei esposto! Avrebbe potuto sentirti!

Gilles                             - Ma no!

Pasquale                        - Sentirti esaltare il modo di ridere del signor Obolinski e il suo cappello a 38 gradi.

Gilles                             - Avrei saputo rassicurarla, sta' tranquillo.

Pasquale                        - (ridendo maliziosamente) Con una bugia.

Gilles                             - Eh... sì... che vuoi? Con una bugia.

Pasquale                        - Sei così sicuro di te?

Gilles                             - Non sono sicuro di me. So però che farei l'impossibile per non dare un dolore a Teresa. Lo sto dimostrando da due anni.

Pasquale                        - Oh! Lo hai dimostrato!

La Zietta                       - Ma cosa vi prende a tutti e due?

Gilles                             - Sai benissimo che l'idea di sposare Te­resa non è stata ìhia.

Pasquale                        - E tanto meno mia!

Gilles                             - Evidentemente l'ideale sarebbe stato che l'avessi sposata tu!

La Zietta                       - (energica) Gilles!

Gilles                             - Io me lo sono augurato. Perché tu l'ami come merita di essere amata. Lei non ne ha voluto sapere ed io la capisco. Le hai fatto paura.

La Zietta                       - Gilles!

Pasquale                        - Lascialo dire, zia. Le ho fatto paura?

Gilles                             - Tu sei vecchio, mio caro. Tu non te ne rendi conto. Ma sei stato vecchio subito. Ti ho sempre conosciuto vecchio. È una gran brutta cosa!

Pasquale                        - Molto brutta.

Gilles                             - E se ti bastasse essere vecchio! Sei anche serio! Il che è peggio! Tu sei « qualcuno », Pasquale! Io lo so. I tuoi superiori, all'Ospedale, lo sanno. Però siamo in pochi, molto in pochi, a saperlo. Gli altri non lo immaginano nemmeno, perché tu li sgomenti, li annoi troppo.

La Zietta                       - Vi prego, ragazzi...

Pasquale                        - Ha ragione.

Gilles                             - Hai annoiata Teresa. Hai fatto quanto hai potuto per disgustarla di me, lo riconosco. Ma lo hai fatto così male che non ci sei riuscito. Ed è etato peggio per tutti. Saremmo stati felici tutti e quattro, se tu ci fossi riuscito.

Pasquale                        - Non esasperarmi.

Gilles                             - Permetti che ti dica soltanto perché non l'hai convinta: perché mi odiavi troppo, e da troppo tempo.

Pasquale                        - Carina, questa!

Gilles                             - Non ti porto rancore! Se tu sapessi come il tuo odio mi ha giovato! Quanta gente che non mi poteva soffrire e che s'è riconciliata con me per quello che tu andavi raccontando sul mio conto!

La Zietta                       - Mi fate paura, tutti e due!

Gilles                             - Non passava giorno che non mi ve­nissero a dire: « Che diavolo avete potuto fare a vostro fratello? ».

Pasquale                        - Vuoi sapere quello che gli hai fatto tu?

 

Gilles                             - Non ci tengo.

Pasquale                        - Mi hai preso tutto quello che volevo io, tutto quello che io amavo!

Gilles                             - Ma no, ma no.

Pasquale                        - Teresa, soprattutto.

Gilles                             - Bisognava guadagnarsela. Te ne ho lasciato tutto il tempo.

Pasquale                        - Il tempo? Eitornavi saturo di avven­ture di altri paesi, col fàscino idiota del viaggiatore, con l'aureola di donne di ogni colore che ti avevano amato, fiero del tuo colorito bronzeo e della tua insopportabile leggerezza.

Gilles                             - Questa volta non l'hai azzeccata: è proprio perché sono leggero che mi si sopporta.

Pasquale                        - (quasi gridando) E perché tu sei leg­gero, non ti preoccupi che gli altri siano infelici.

Gilles                             - Tu conosci il mio motto: « Gli altri sono sempre infelici ».

Pasquale                        - È un motto molto pratico, un motto da mascalzone!

Gilles                             - Non hai questa franchezza che parlando con me!

La Zietta                       - Teresa vi sentirà!

Pasquale                        - Io sono stato infelice, capisci?

Gilles                             - Inutilmente.

Pasquale                        - Ero serio. Questo è vero. Amavo Teresa seriamente. Con tutte le forze, con tutta l'anima!

Gilles                             - Con rabbia!

Pasquale                        - Sì, anche con un poco di rabbia. La rabbia di vederti preferito.

Gilles                             - Tu amavi Teresa contro di me!

Pasquale                        - (sorridendo amaramente) E lei, per averti, ha preso il veronal!

Gilles                             - Non per avere me! Soprattutto per non avere te!

La Zietta                       - Come puoi scherzare su una cosa simile?

Gilles                             - Non scherzo. Poverina! Era sincera! Disperazione da bambina! Come accadde a me quando avevo tredici anni.

Pasquale                        - A te?

Gilles                             - Lo sai benissimo. Ho tentato di ucci­dermi. Per la figlia del professore di pianoforte. Per fortuna mi ricordai a tempo che dovevo fare il com­pito delle vacanze.

Pasquale                        - (alla zietta, con ira) Bisogna com­patirlo: lui ha l'esclusività della leggerezza.

Gilles                             - Ebbene, dopo il suo mancato suicidio, ero sicuro che ti avrebbe amato. Si odia sempre chi vi trascina a simili estremi. Era quello il momento propizio per il tuo tenebroso amore. Ti sarebbe bastato dimenticarti di me e di te, e parlarle soltanto di lei.

Pasquale                        - Vuoi farmi un corso di lezioni?

Gilles                             - Soprattutto tu volevi portarmela via. Perché mi hai sempre invidiato quello che avevo. (È rientrata Teresa. È pallida. Forse ha sentito le ultime frasi).

Teeesa                           - (a Pasquale) Dice delle bugie, non è vero? (Gilles cambia subito tono e scherza per mettersi all'unisono con Teresa).

Gilles                             - (gaiamente) In ogni modo esagero. Sai come succede... chiacchierando...

 

La Zietta                       - Non è acqua fresca quella che hai bevuto, a quel che sembra...

Teresa                            - Ho cominciato con dell'acqua fresca e ho finito con un po' di cognac.

La Zietta                       - Con molto cognac...

Teresa                            - Dunque, Pasquale ha sempre desiderato ciò che possedevi?

Gilles                             - Scherzavamo.

Teresa                            - (a Pasquale) Perché non protesti?

Gilles                             - Oh! Protesta. Protesta energicamente. Non è vero, Pasquale?

Pasquale                        - Sì.

Gilles                             - Ma ha torto di protestare. Perché mi ha sempre invidiato tutto. Perfino le cose più incre­dibili. Ad esempio... una notte... Eravamo ancora in collegio... Avevo sognato di avere i piedi con delle dita enormi... un sogno terribile. Dappertutto mi met­tevano alla porta... la figlia del professore di piano mi restituiva la sua' parola. La mamma mi rinnegava. L'indomani ebbi la dabbenaggine di raccontargli il mio sogno. Voleva anche questo. Lo voleva a qua­lunque costo. Glielo detti in cambio di un mandarino.

Teresa                            - Molto divertente!

Gilles :                           - M'invidiava perfino i ditoni dei piedi!

Teresa                            - (a Pasquale) Su, ridete!

Gilles                             - (scherzoso tende a Pasquale il piede scalzo) Vuoi questi?

Pasquale                        - Come sei spiritoso! Teresa - (con un tono strano) Pasquale, mi per­metti di prendere le tue difese?

Pasquale                        - (adattandosi alla leggerezza del discorso) Te ne prego...

Teresa                            - Sei molto ingiusto con tuo fratello, come sempre!

Gilles                             - Andiamo, via!

Teresa                            - Forse ha invidiato i tuoi sogni, ma io lo credo capacissimo di essersi innamorato di me, e non per farti un dispetto.

Gilles                             - (bonario) Indubbiamente! Dicevo così perché mi seccava.

La Zietta                       - Teresa, piccola mia, stai per fare qualche cosa di irreparabile!

Teresa                            - Pasquale, al contrario, è stato ammi­revole. Un altro si sarebbe scoraggiato a vedere come mi disprezzavi. Logicamente avrebbe dovuto pen­sare: « Ma che cosa ha dunque Teresa, dal momento che Gilles non ne vuole assolutamente sapere?».

La Zietta                       - (in preda ad una vera angoscia) Voi parlate... parlate... state attenti, ragazzi!

Teresa                            - Egli si incaponì; ostinandosi a trovare magnifici questi occhi che tu facevi piangere. Lo ringrazio.

Pasquale                        - (commesso, con voce sorda) Teresa!

Teresa                            - Tu dici che ha sempre desiderato... ciò che possedevi. Tuttavia non ha tentato di portarti via la signorina Pardaillan!

Gilles                             - (da stordito) Certamente... ma è perché... (Rendendosi conto all'improvviso di ciò che ha detto Teresa) Ma cosa dici?

Teresa                            - E ancora una volta egli è stato ammi­revole. Perché è molto graziosa.

Gilles                             - La conosci?

 

Teresa                            - Era qui mentre tu aspettavi Obolinski alla « Fregata ».

Gilles                             - Ma perché?

Teresa                            - Voleva vedermi.

Gilles                             - Ti ha parlato?

Teresa                            - Che domanda! Certo, mi ha parlato.

Gilles                             - Di che cosa?

Teresa                            - Di un po' di tutto. Mi piace moltissimo.

Gilles                             - Ah!

Teresa                            - Per mio gusto, ha troppo cuore. Il dolore non soltanto la opprime, la fa addirittura svenire.

Gilles                             - È svenuta?

Teresa                            - E ha mandato in frantumi i miei so­prammobili.

Gilles                             - Dal dolore? Io non le ho dato dispiaceri.

Teresa                            - Pare di sì. Ha detto che non voleva più rivederti.

La Zietta                       - Questo avevi promesso di non dirglielo.

Teresa                            - Non ne posso più.

Gilles                             - (molto turbato) Non vuole più rivedermi?

Teresa                            - Mai più! (Gilles si precipita al telefono) Inutile telefonare. È partita. (Gilles compone un numero) Inutile, ti ho detto!

Gilles                             - (all'apparecchio) Pronto! Hotel Duguay Trouin? Sono Cabanis. Ma non seccatemi con Obo­linski! Datemi la signorina Pardaillan. (Attesa ango­sciosa degli altri tre) Come partita? Non è possibile! (Istintivamente si rimette la scarpa) Non ci sono treni a quest'ora. Quale vettura? Dove ha detto che an­dava? Ma se non ha avuto tempo di fare le valige! E l'autista non vi ha detto nulla... proprio nulla? Lo so che non v'interessa. Vorrei sapere quello che v'interessa! (A Teresa) Ha riattaccato!

Teresa                            - (con gioia cattiva) Si soffre, eh? (Gilles fa come per avviarsi) Dove vai?

Gilles                             - La devo ritrovare!

Teresa                            - Impossibile. Mi ha detto che si nascon­derà. Sa nascondersi, lei. Ce l'hai abituata tu.

Gilles                             - Sto male. Non le ho fatto niente. È troppo ingiusto. E nessuno mi compiange. Mi odiate tutti e tre.

Pasquale                        - Gilles... « gli altri sono sempre infelici ».

Gilles                             - Dove cercarla?

Teresa                            - Non ti vedrà nella tua bella uniforme nuova!

Gilles                             - (riflettendo) Né da sua madre, né da Marisa.

Teresa                            - Ti resta una consolazione: nessuna le rassomiglia. Non avrai l'illusione dì riconoscerla in istrada.

Gilles                             - (con un grido) Dieci anni della mia vita! Dieci anni per parlare un minuto con lei!

Teresa                            - Né dieci, né venti! Tutta la vita per rimpiangerla, se vuoi!

Gilles                             - (con immenso dolore a una Valeria invi­sibile) Creatura mia!

Teresa                            - La ritroverai la tua creatura! E la consolerai. Non ti odia che momentaneamente, per una cosa che le ho detto io. Sarete felici e avrete molti bambini. Vi cedo il posto. (Esce di corsa).

La Zietta                       - Non lasciarla sola, Gilles... La co­nosci... (Gilles segue Teresa).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La sala d'udienza di una Corte d'Assise in provincia.

(Il pubblico occupa il posto della giuria e quello di coloro che assistono al processo. Al banco degli impu­tati, Gilles e Valeria, quest'ultima pallidissima. Fra Gilles e Valeria, un poco più indietro, la guardia Bourdille, tipo colorito negli atteggiamenti e nell'ac­cento. Di fronte agli accusati, al banco degli avvocati, Gerolamo Ménétrier, giovane, dalla bella voce, e dal­l'impeto vivace, già celebre, il quale fa molto assegna­mento su questo processo per lanciarsi definitivamente, difende Gilles. L'avvocatessa Susanna Forster, affa­scinante bionda di venticinque anni, difende Valeria. Sul seggio del pubblico ministero si agita il terribile Ro­berto Lahire: quarantasette condanne capitali in cin­que anni! Gilles è appoggiato alla sbarra e sembra assopito. La luce che viene da una finestra aperta in alto illuminerà prima il presidente, poi il pubblico mini­stero per terminare, alla fine del lavoro, con un chia­rore di apoteosi sul volto degli imputati).

Il Presidente                  - Signori giurati, voi avete ascol­tato il mio interrogatorio e le risposte degli imputati: avete sentito la perizia del medico legale. Fra poco darò la parola ai testimoni di accusa. Ma vorrei anzitutto mettervi in guardia... (Interrompendosi) Imputato Cabanis, voi dormite.

Gilles                             - (sussultando) No, signor presidente.

Il Presidente                  - Eppure ne avete l'aria.

Gilles                             - Scusatemi, signor presidente, mi duole la testa.

Il Presidente                  - Vi duole la testa?

Gilles                             - Sono abituato all'aria aperta, signor presidente. Questi cinque mesi di carcere preventivo non mi hanno fatto bene.

Il Presidente                  - (seccamente) Cabanis, credo necessario ricordarvi che giocate la vostra testa. E che l'incredibile leggerezza delle vostre risposte rischia di pregiudicarvi nell'animo dei signori giurati.

Gilles                             - Mi dispiace.

Il Presidente                  - Avete risposto alle mie domande con dei monosillabi. L'atto di accusa vi ha lasciato indifferente. Mi sono pure accorto che per due volte avete sbadigliato.

Gilles                             - Sono innocente, signor presidente. Se ne dovranno pure accorgere.

Il Presidente                  - Siete presunto colpevole di un delitto odioso. Il pubblico ministero ha riunito contro di voi un cumulo di accuse schiaccianti. Credo mio dovere segnalarvi il pericolo che il vostro atteggia­mento comporta e di ricordarvi il rispetto che è dovuto alla Corte.

Gilles                             - La rispetto finché posso, signor presi­dente, ma dovete ammettere che il compito non mi è facilitato.

Lahire                            - (violento) Le parole dell'accusato sono intollerabili.

Ménétrier                      - (sullo stesso tono) Il pubblico mini­stero ritiene tollerabili le manifestazioni alle quali ab­biamo assistito in quest'aula e che si sono ripetute poco fa dinanzi al palazzo?

 Il Presidente                 - Ieri delle grida sono scoppiate nell'aula, minacce di morte sono state pronunziate all'indirizzo degli imputati. Se incidenti di tal natura avessero a ripetersi, sarei costretto a far sfollare la sala. Ritengo però, signori giurati, che rimarrete insensibili alle pressioni che potrebbero essere ten­tate su di voi e che pronunzierete il verdetto secondo la vostra convinzione e la vostra coscienza... Intro­ducete il primo testimone.

L'Usciere                       - (chiamando) Rabouin Emilio. (Emilio Rabouin entra. È un facchino d'albergo, tipo ambiguo. La sua intelligenza è molto al disotto della media e, paralizzato dalla paura, si esprime con difficoltà).

Il Presidente                  - Avvicinatevi. (Rabouin si avvi­cina, guidato dall'usciere, fino alla sbarra dei testimoni) Voi non siete parente degli accusati, non siete al loro servizio, ed essi non sono al vostro, alzate la mano destra e giurate di dire la verità, niente altro che la verità. Dite: «lo giuro».

Rabouin                        - Lo giuro.

Il Presidente                  - Rivolgetevi ai signori giurati.

Rabouin                        - Lo giuro.

Il Presidente                  - Come vi chiamate?

Rabouin                        - Rabouin Emilio.

Il Presidente                  - Siete impiegato all'albergo Duguay-Trouin?

Rabouin                        - (al quale la domanda interessa) Impie­gato veramente non potrei dire. Sono un domestico.

Il Presidente                  - Riconoscete gli imputati?

Rabouin                        - Charbonnel sì. Lui si potrebbe dire impiegato. Perché fa sempre di tutto per far spaz­zare a me. E non vuol mai occuparsi delle immon­dizie. Io sono un domestico.

Il Presidente                  - Vi chiedo se riconoscete gli imputati.

Rabouin                        - Gli imputati?

Il Presidente                  - Gli imputati Cabanis e Pardaillan.

Rabouin                        - No.

Il Presidente                  - Non riconoscete quest'uomo e questa donna?

Rabouin                        - I Dubois? Ah, sì.

Gilles                             - Scusate, signor presidente. Ci facevamo chiamare Dubois. Non dico che sia un nome molto originale.

Il Presidente                  - Diteci quello che sapete sul loro conto.

Rabouin                        - Non posso.

Il Presidente                  - Come? Non potete?

Rabouin                        - La signora Dubois mi dava cento franchi la settimana perché non sapessi nulla.

Lahire                            - Rabouin, voi siete dinanzi alla giustizia. Dovete dire tutto quello che sapete. (Rabouin si volta verso Valeria).

Valeria                          - Dite quello che sapete, Emilio.

Rabouin                        - In verità, non so grandi cose.

Ménéteiib                      - Questo non è il parere del pub­blico ministero.

Il Presidente                  - Diteci quello che è accaduto il 9 settembre.

Rabouin                        - Era il giorno d'uscita di Charbonnel. (Si ferma).

Il Presidente                  - E poi? Spero che avrete qualche altra cosa da dirci, perché questa non ci interessa.

Rabouin                        - A me interessava moltissimo, perché facevo le camere, le colazioni, rigovernavo e facevo gli arrivi. Avevo potuto rifilare le immondizie all'av­ventizio.

Il Presidente                  - Avanti... avanti...

Rabouin                        - Erano le tre e facevo il portiere quando vedo giungere la signora Brébion col cappello sugli occhi e con tre denti di meno. Quelli davanti. I più belli. Aveva la camicetta aperta e le mani tremanti. Mi chiede se la signora Dubois è in casa. Io le dico: ora vado a vedere. Lei sale dietro di me. Busso. La signora Dubois dice: entrate. Entriamo.

Il Presidente                  - Avanti... avanti...

Rabouin                        - Nel vedere la sua amica, la signora Dubois impallidisce. È naturale. E dice: « Si ricomincia, eh?». La sua amica dice: «Sì». E io allora mi son detto: « Benissimo! ».

Il Presidente                  - Non c'interessa quello che vi siete detto. ,

Rabouin                        - Benissimo. La signora Dubois era seduta su... su che cosa era seduta... Come si chiama?

Il Presidente                  - Una poltrona.

Rabouin                        - No.

Gilles                             - (che coglie l'occasione per mettere in ridicolo un testimone di accusa) Una sedia.

Rabouin                        - Oh, no. Diamine! Se fosse stata seduta su una sedia, lo direi. Ne ho viste più di voi, di sedie...

Gilles                             - Sul letto?

Rabouin                        - No.

Ménétrier                      - (entrando nel gioco) Sul balcone, forse...

Rabouin                        - (secco) Non ce ne sono balconi.

Ménétrier                      - Sul canapè?

Rabouin                        - Non scherziamo. So cos'è un canapè.

Ménétrier                      - Ah! Era qualche cosa che voi non sapete?

Rabouin                        - Per niente. Se non sapessi su che cosa era seduta non vi farei perder tempo.

Il Presidente                  - Ma è importante sapere su che cosa era seduta?

Rabouin                        - (che non capisce) Come?

Il Presidente                  - Il fatto che fosse seduta su quella tal cosa, ha potuto modificare il eorso degli avvenimenti?

Rabouin                        - Non capisco mai quello che dite.

Il Presidente                  - Se fosse stata seduta su un'altra cosa, il vostro racconto sarebbe lo stesso?

Rabouin                        - Ah, sì... questo sì. Tanto più che non è rimasta seduta!

Il Presidente                  - (furibondo) E allora continuate...

Rabouin                        - Si è subito alzata e ha fatto un gesto di collera.

Ménétrier                      - Di collera o di dispetto?

Rabouin                        - Come sarebbe « di dispetto? ».

Ménétrier                      - Così. (Fa il gesto).

Rabouin                        - Ah, no, no. Era piuttosto così. (Fa il gesto).

Lahire                            - (con violenza) La difesa vuol continuare un pezzo a coprire di ridicolo questo testimone?

 Ménétrier                     - (pacatamente) Cercavamo di pre­cisare.

Il Presidente                  - Continuate, Rabouin.

Rabouin                        - Allora la signora Brébion spiega che ha fatto lite con la zia Charpentier, che le ha asse­stato un pugno nell'occhio e che quell'altro rudero le ha messo in bricioli i suoi denti davanti. Allora io non faccio né uno né due e mi dico: « Beh, ci siamo!... ».

Il Presidente                  - E poi?

Rabouin                        - Avevo ragione. Perché poi la cosa è diventata molto interessante. Io non so quello che la Brébion le abbia potuto dire, ma ecco la signora Dubois che prende il cappello e che dice: « Così non si può andare avanti: bisogna che una delle due sparisca ».

Il Presidente                  - (a Valeria) Avete realmente detto queste parole?

Valeria                          - Sì, signor presidente.

Rabouin                        - Lo credo. Ha anche aggiunto: « Bi­sognerà che Gilles scelga! E allora tanto peggio per lei! ».

Lahire                            - (ai giurati) « Tanto peggio per lei », signori giurati.

Il Presidente                  - (a Valeria) Tutto questo . è esatto?

Valeria                          - Esattissimo.

Rabouin                        - Altro che esatto! Io non ho mai men­tito dopo la Liberazione.

Valeria                          - (alzandosi) Ho detto anche un'altra cosa.

Rabouin                        - Sì... aspettate... Ha detto...

Lahire                            - R...

Rabouin                        - Fu proprio prima di uscire.

Lahire                            - L'ho sotto gli occhi... È nel vostro verbale...

Rabouin                        - (impazientemente) Siete buffo, sapete! Sto cercando. Ah, sì... ecco. Ha detto: « Vorrei vederla morta davanti ai miei occhi ».

Valeria                          - (a Lahire, piano, senza ironia) È la frase che aspettavate, non è vero, signor pubblico ministero?

Lahire                            - Proprio così.

Valeria                          - E voi sperate che questa frase mi perda.

Lahire                            - Spero che questa frase illuminerà i signori giurati.

Valeria                          - (con la sua implacabile dolcezza) Però che brutto mestiere fate!

Lahire                            - Signor presidente, non possiamo per­mettere all'imputata...

Valeria                          - (interrompendolo) Ma insomma, cosa volete dimostrare? Che io sono sua complice? Ebbene, sono sua complice. Se egli ha ucciso, voglio essere punita. Perché sono sua complice in ogni caso, in tutto e per sempre. Sono sua complice se è innocente; e lo sono ancora di più se ha ucciso.

Lahire                            - Lo ammettete!

Valeria                          - Non posso dirvi quello che vi farebbe tanto piacere, signor pubblico ministero. Io non l'ho spinto al delitto. Non gli ho chiesto niente, mai. Ero felice. Dio, che mi giudicherà, mi aveva concesso di esser felice. Ma se egli ha ucciso, io sono colpevole. Colpevole di essere esistita.

Lahire                            - Ascoltatela, signori giurati!

Gilles                             - (contemporaneamente a Lahire) Non ascol­tatela, è pazza! Sei pazza!

Valeria                          - E potete condannarmi. Ve lo chiedo io. Se egli ha ucciso, se il mio amore non ha potuto ispirargli che questo, io sono veramente colpevole. Colpevole di averlo amato così male. Ed è giusto che io sia punita. Ho detto tutto quello che dovevo dire: scusatemi, signor presidente. (Si rimette a sedere).

Gilles                             - (a Valeria, a voce alta) Ma tu sei pazza! Se essi commettono un errore giudiziario! E ne com­mettono di errori giudiziari!

Valeria                          - Allora ci deve essere anche per me, questo errore!

Il Presidente                  - Ricordo agli accusati la proibi­zione assoluta di comunicare fra loro, per qualsiasi ragione.

Gilles                             - Ed è giustissimo. Scusate, signor pre­sidente.

Il Presidente                  - Rabouin... non avete sentito altro?

Rabouin                        - No, signor presidente. Sono rimasto solo ed ho aperto la finestra per far credere di avere spazzato.

Il Presidente                  - Il pubblico ministero ha da fare qualche domanda?

Lahire                            - Sì, signor presidente. Rabouin... si ama­vano molto gli accusati?

Rabouin                        - Quelli lì? Si amavano alla follia, come si dice volgarmente.

Lahire                            - Lei, soprattutto?

Gilles                             - Perché «lei soprattutto? ».

Rabouin                        - Lei era incredibile. Gli faceva maglie di lana e passamontagne per il mare. Il rimanente del tempo lo passava pensando a lui. Non leggeva. Stava sempre col naso appiccicato alla finestra. Ma quando arrivava lui, gli si gettava fra le braccia con un entusiasmo! Alle volte sembrava lo soffocasse. E allora non si parlava più di fare la camera. (Risata squillante di donna fra il pubblico).

L'Usciere                       - Silenzio!

Rabouin                        - Charbonnel diceva anche: questo non è più amore, è una maratona. (Medesima risata fem­minile).

Valeria                          - (alzandosi bruscamente) Devo sopportare anche questa roba? È questo che dà tutti i diritti di credermi colpevole? Anche di servirvi di questo disgraziato per insultarmi?

Rabouin                        - (smarrito) Ma che cosa ho detto? Non arrabbiatevi. Aveva tante giustificazioni. Non usciva mai. E nessuno ha mai potuto dire su lei una parola più lunga. Charbonnel la chiamava la Carmelitana. Diceva che, nel suo genere, era una specie di santa.

Ménetrier                      - Una specie di santa. Ne prenda nota, signor pubblico ministero.

Il Presidente                  - Vi ricordo, signori giurati, che effettivamente non si conosceva dell'imputata, prima di Cabanis, nessuna avventura seria.

 Valeria                         - Né seria, né non seria. Nessuna avven­tura, letteralmente.

Lahire                            - Carina come siete, non ci farete credere...

Valeria                          - Ve lo farò credere, signor pubblico ministero.

Il Presidente                  - Allora come non vi è sembrata odiosa questa vita di menzogna, di finzioni, di com­promessi?

Valeria                          - Ero sua moglie, salvo che per gli altri! (Un silenzio. Il presidente scambia un'occhiata col suo cancelliere. Ménetrier e Susanna Forster prendono degli appunti).

Lahire                            - E gli altri... ma che importa, eh?

Rabouin                        - (inopinatamente) A chi lo dite?

Lahire                            - Non a voi, questo è certo.

Rabouin                        - Scusate!

Lahire                            - Gli altri... che importano? Gli altri non sono interessanti. Vi ripeterò una frase di Cabanis; « Gli altri sono sempre infelici » diceva. « E allora, che soffrano!  Noi, noi amiamo, noi abbiamo tutti i diritti».,

Ménetrier                      - È un po' presto per fare la requi­sitoria, signor pubblico ministero.

Lahire                            - (non raccogliendo l’interruzione) E che importa se fra questi altri c'è proprio colei che è veramente sua moglie? Sua moglie anche per gli altri! Sua moglie davanti agli uomini e davanti a Dio. Di questa santa donna - una santa davvero, quella - non ci si preoccupa, non è vero, avvocato? A lei non si pensa che per augurarci di vederla morta!

Gilles                             - Valeria ha detto così in un momento di rabbia. Ma non ne pensava una parola.

Lahire                            - Il suo vero pensiero lo conosciamo.. Ce l'ha rivelato. « Tanto peggio per lei! » ha detto. Tanto peggio per lei! E «lei» è la moglie di quest'uomo da dieci anni. È sempre stata irreprensibile. Non vive che per lui la dura vita della moglie dei marinai. È affettuosa, tenera, un poco triste. Tanto peggio per lei.

Ménetrier                      - Ma è una vera e propria requisitoria, la vostra, signor pubblico ministero!

Lahire                            - Capisco che la cosa vi secchi, mio caro avvocato. Vi dispiace probabilmente che si ricordi ai signori giurati che questi amanti non si trovano dinanzi a noi perché si sono amati, ma perché questo amore ha fatto una vittima. (Alzando il tono) E non permetterò che mi si interrompa quando esalto le virtù di colei che hanno uccisa!

Ménetrier                      - Signor presidente!

Lahire                            - Di colei che hanno uccisa. Noi che non siamo degli assassini, non diciamo: Tanto peggio per lei! E poiché non possiamo restituirle la vita, vogliamo almeno vendicarla!

Gilles                             - (alzandosi) Signor presidente, poco fa mi avete rimproverato di non rispondervi. Avrei potuto continuare a tacere, tanto non me ne importa nulla. Neppure io sono un assassino, soltanto non posso permettere che quel signore si rimetta tran­quillamente a sedere dopo il suo successo oratorio.

Lahire                            - (urlando) Signor presidente!

Il Presidente                  - Cabanis, moderate le vostre frasi o vi tolgo la parola.

Gilles                             - Io, che non sono un assassino, vi chiedo di ascoltarmi. Sono stato sempre un cattivo marito, ma avevo molta tenerezza per mia moglie. La sti­mavo e la rispettavo. So meglio di voi quello che valeva. È vero che amo Valeria Pardaillan. Per lei avrei anche potuto morire. Ma non uccidere.

Valeria                          - Non mi ama abbastanza. (Lahire prende nota di queste parole).

Gilles                             - Se sa che siamo accusati di questo de­litto, Teresa deve ridere davvero lassù. (Su un altro tono) Sì, deve ridere molto! Perché rideva. Perché era di una gaiezza folle. (Con profonda emozione) Abbiamo passato la vita a scherzare. Lo so, non lo potete credere. Una vittima che scherza... è una cosa che non vi serve, che sciupa tutto il ritratto che avete fatto di lei. A voi serve una povera donna senza difesa, perché quello che voi chiamate il mio delitto possa apparire più mostruoso. Ebbene, no. lo so meglio di voi ciò che era quella piccina. L'ho amata male, ma l'ho conosciuta... E credetemi, il più terribile è pensare che lei non riderà più, che non la sentirò più ridere. Sapeva ridere così bene! Meglio di tutti. Ve lo potranno dire. « La risata di Teresa ». (Ripete singhiozzando) La risata di Teresa. Questo è il vero delitto! Il delitto è che lei non parla più! Ecco un buon argomento per voi. Ve lo do io. Povera la mia piccola Teresa, non mi hanno lasciato nemmeno il tempo di pensare a lei, non mi hanno nemmeno lasciato soffrire, ho dovuto pensare subito a difendermi. Si son serviti di lei contro di me. Hanno fatto il possibile per farmela odiare. Ma non ci sono riusciti. E non ci riuscirete neppure voi. Eravamo degli amici, noi due. E amici siamo rimasti. E c'in-fischiamo di voi!

Valeria                          - Sì. Diglielo, Gilles, diglielo! (Susanna Forster si asciuga rapidamente gli occhi).

Gilles                             - Ho passato dei momenti terribili, in carcere. Momenti di rabbia nei quali non sapevo più dove ero ne quello che facevo. Ebbene, signori, vi dirò ora una cosa, una cosa idiota che vi farà ridere. In quei momenti io dicevo a me stesso: Bi­sognerà che chieda consiglio a Teresa. Capite? E su lei che contavo per difendermi da voi.

Valeria                          - (con gelosia commovente) Contavi su lei?

Lahire                            - (dopo un breve silenzio) Abile la vostra trovata, Cabanis. Proprio la dose giusta di indigna­zione e di rivolta. Non dubito che abbia sui signori giurati, meno induriti di me a queste esplosioni dell'ultim'ora... (Rabouin si soffia il naso) ... il migliore effetto.

Valeria                          - (indignata) Non siete ancora convinto?

Gilles                             - (rimettendosi a sedere, con tono di supe­riorità) Lascia andare!

Lahire                            - Non mi lascio commuovere, io. Ricordo che avendo sposato Teresa Charpentier il 22 mar­zo 1938, la tradivate, ad onta di tanta stima e di tanto rispetto, prima della fine di quello stesso anno, con delle ragazze delle quali i nomi sembra siano stati successivamente Denise, Armanda, Jacqueline, Andreina, Roberta e Marmette.

Rabouin                        - (ridendo) Alla grazia! (È fermato di colpo dal grido dell'usciere).

L'Usciere                       - Silenzio!

Lahire                            - Eicordo che nel marzo 1944, a Hong Kong, una ragazza cinese portò al capitano Cloarec un meticcio di sesso mascolino che asseriva di aver avuto dal Cabanis, all'epoca del suo viaggio pre­cedente.

Gilles                             - Non conoscete le cinesi, signor presidente.

Il Presidente                  - Difatti.

Gilles                             - Lo aveva già portato al capitano della « Rondinella » asserendo che era figlio di Michelet.

Il Presidente                  - Sesta però il fatto che le avete dato la possibilità di credersi incinta di voi.

Gilles                             - Una piccolissima possibilità.

Rabouin                        - (ridendo) Oh, quel Dubois!

L'Usciere                       - Silenzio!

Gilles                             - (a poco a poco rientrando in sé stesso) Oh! riconosco di essere un imputato fatto proprio su misura. Un imputato come non ce ne sono più, signor pubblico ministero. Una testa calda, un ubria­cone, un don Giovanni da strapazzo. Il cattivo sog­getto tipo, come nei racconti di Epinal. E leggero, per giunta. Che non prende sul serio la giustizia del suo paese! Che si permette anche di pensare di essere, stato accusato a torto. E che sapendo di essere inno­cente, crede che questo possa bastare! Un idiota che non ha previsto di aver bisogno di un passato inte­merato per comparire dinanzi a voi. Perché io non ho previsto niente. Perché andavo incontro alla cata­strofe, e, ridete della mia ingenuità, vi andavo in­contro anche con piacere.

Lahire                            - La formula è felice.

Gilles                             - (sincero, senza furberia) Che volete, signori, un carattere come il mio era fatto per una vita senza storia. Tutte le disgrazie mi sono cascate addosso per aver voluto evitare delle piccole noie.

Lahire                            - Signori giurati, non mi dovrò stancare di mettervi in guardia contro un accusato come Cabanis. Viso aperto, facile allo scherzo, è il compagno ideale per giocare a scopa.

Valeria                          - (ridendo amaro) Non sa giocare a carte!

Lahire                            - (furioso, ma simulando di ignorare l'in­terruzione) Egli si serve a suo vantaggio degli argo­menti dell'accusa e specula abilmente sull'indulgenza che ciascuno di noi ha per i cattivi soggetti.

Ménétrler                      - Non capisco esattamente dove voglia tendere il pubblico ministero. Gilles Cabanis è stato un deplorevole marito. Egli stesso lo ammette. Ma, per fortuna, l'adulterio non è ancora reato da Corte d'Assise. Tutti possono trovarsi nel caso di tradire la propria moglie.

Il Presidente                  - (secco) Parlate per conto vostro, avvocato!

Ménétrier                      - Ma non mi risulta che debbano, per questo, assassinarla. E poi bisognerebbe ancora intenderci. Perché infine, o Cabanis...

Lahire                            - Permettete, avvocato, che finisca la vostra frase: Perché infine o Cabanis è un incorreg­gibile donnaiolo e Valeria Pardaillan non è che un numero di più al suo elenco di conquiste...

Gilles                             - Oh!

Valeria                          - Lasciali dire!

Lahire                            - Oppure è un amante sincero, violento, capace di un delitto per salvare quest'amore. L'uno e l'altro egli non può essere.

Ménétrier                      - Infatti...

Lahire                            - Ebbene, io dico che egli è stato l'uno e che poi è divenuto l'altro. Rabouin... come si com­portava l'accusato all'albergo Duguay-Trouin?

Rabouin                        - Una bestia. Una vera bestia. Ha picchiato parecchi viaggiatori, specialmente quello del 18, che aveva visto ronzare intorno alla signora Dubois.

Lahire                            - E con lei?

Rabouin                        - Oh! Con lei era gentile. Le man­dava dei fiori tutti i giorni, e tutti i giorni le portava dei regalini. Le cantava delle canzoni inven­tate da lui, sul tipo di (cantando) « Valeria del mio cuore... ».

Valeria                          - (imparziale) L'aria non è questa.

Il Presidente                  - Ma son proprio necessari questi vocalizzi?

Rabouin                        - No, ma è per dire che si divertivano molto insieme. (Agli accusati) Potete dire davvero di averci fatto ridere, me e Charbonnel. E poi, tutto non si poteva sentire, per via di quella grossa porta. (Si ride).

L'Usciere                       - Silenzio!

Rabouin                        - Le chiedeva anche scusa.

Lahire                            - (pronto) Di che cosa?

Rabouin                        - Di farle condurre quella vita. Un giorno - ne rimanemmo sbalorditi, io e Charbonnel - le offrì perfino di rinunciare alla marina.

Gilles                             - Questo, mai!

Rabouin                        - Vi avevano offerto un posto a Parigi.

Valeria                          - (piano) Nel ramo esportazioni: alla Transafricana.

Gilles                             - È vero. Ora me ne ricordo.

Rabouin                        - Fu lei che non volle. Vi disse che più tardi glielo avreste rimproverato.

Lahire                            - Permettete che insista, signori giurati-Questo marinaio, quest'uomo degli spazi infiniti, questo esploratore di orizzonti, amava tanto questa donna che per lei era pronto a dimenticare il mare.

Gilles                             - (a Valeria) Ti amo ancora più. di quello che credevo!

Lahire                            - Ecco quello che volevo dimostrare. Dico che Cabanis avrebbe fatto qualunque cosa per lei.

Valeria                          - Lo credo!

Lahire                            - Disposto a tutto. Anche a un delitto.

Valeria                          - A tutto, fuorché a un delitto!

Lahire                            - È bastato che glielo chiedesse molto spesso. Voi sapete bene, signori giurati, che la forza delle donne non consiste in quello che esse dicono, ma nel numero delle volte che lo dicono.

Valeria                          - (con disprezzo) Ma che donne conoscete voi?

Ménétrier                      - (attaccando severamente) Rabouin... avete detto che l'accusato era una bestia.

Rabouin                        - Ah, già. E quando dico « già » è perché sono gentile.

Ménétrier                      - È dunque una bestia?

Rabouin                        - Sì.

 Ménétrier                     - Non avete forse delle ragioni per­sonali per essere così affermativo?

Rabouin                        - Eh! Eh! Chi sa?... Cioè...

Ménétrier                      - Rispondete sì o no.

Rabouin                        - Allora devo dire: sì.

Ménétrier                      - Vi ha malmenato?

Rabouin                        - Che pedatone! Non ho potuto met­termi a sedere per otto giorni. Come quell'altra volta che mi ha fatto scendere le scale a ruzzoloni.

Ménétrier                      - Senza che voi ne sappiate la ragione, non è vero?

Rabouin                        - (che evidentemente dice una bugia) Non ne ho la più pallida idea.

Ménétrier                      - (alla Forster) Volete rischiarargli le idee, cara collega?

Susanna                         - Rabouin, quella grossa porta di cui ci avete parlato non vi impediva soltanto di sen­tire, ma anche di vedere?

Rabouin                        - (che si sente a disagio) Eh... ma... cioè...

Susanna                         - E allora non avete forse fatto un buco con un trapano per poter contemplare la signora Dubois mentre si spogliava?

Rabouin                        - Un buchino piccolo piccolo.

Valeria                          - (nascondendosi il volto) Oh!

Gilles                             - Non avrei voluto che te lo dicessero!

Susanna                         - Non siete stato sorpreso dal signor Cabanis a guardare da quel foro, e non è stata forse questa la ragione della pedata nel di dietro?

Rabouin                        - (umiliato) Sì.

Susanna                         - Devo esporre quello che provocò il secondo incidente?

Rabouin                        - (pronto) Facciamone a meno.

Susanna                         - Non avete forse rubato un reggipetto dell'accusata e il signor Cabanis non vi ha sorpreso mentre eravate occupato a prenderlo a morsi?

Rabouin                        - A prenderlo a morsi? Lo baciavo.

Valeria                          - Che orrore!

Ménétrier                      - (con un grande svolazzo di maniche) Ecco chi sono i testimoni del pubblico ministero! Ecco chi sono gli accusatori sulla fede dei quali si vorrebbe mandarci all'ergastolo. I giurati ne terranno conto. (Si rimette a sedere).

Lahire                            - Scusatemi, caro avvocato: Rabouin non è stato insensibile al fàscino della vostra cliente. Lo ammetto e lo deploro. Ma questo però non gli ha impedito di sentire Valeria Pardaillan augurarsi di veder morire la sua rivale dinanzi ai suoi occhi. E un testimone lubrico, forse, ma un testimone.

Rabouin                        - Che volete? Allora era anche più bella.

Valeria                          - (angosciata) È vero, Gilles?

Gilles                             - Ma no, che diamine! È uno stupido, lo sai! (Valeria sorride rassicurata).

Il Presidente                  - Rabouin, potete ritirarvi.

Susanna                         - Se permettete, signor presidente, ancora una domanda.

Rabouin                        - Se è ancora per coprirmi d'insulti...

 Susanna                        - (sottolineando le parole) Avete una buona memoria, non è vero, Rabouin?

Rabouin                        - Perché mi fate questa domanda?

Susanna                         - Ci avete riferito, parola per parola, frasi che furono pronunciate cinque mesi fa. Cinque mesi! La vostra memoria è dunque perfetta!

Rabouin                        - Pare.

Susanna                         - È quello che vedremo fra poco. Signor presidente, chiedo che il testimone rimanga a dispo­sizione della Corte.

Il Presidente                  - Accordato.

Susanna                         - Grazie, signor presidente!

Il Presidente                  - (a Rabouin) Andate a sedervi in sala. Vi richiameremo! L'altro testimone!

L'Usciere                       - (chiamando) Nogarre Alberto! (È entrato Alberto Nogarre. È giovane ed è un bel ragazzo, tipo commesso viaggiatore di una grande ditta. La sua eleganza non è di buona lega, poiché egli l'ha legger­mente provincializzata per non spaventare la clientela. Guanto alla mano sinistra, l'altro guanto non calzato. Passando, ha lanciato agli imputati un'occhiata di sfida).

Il Presidente                  - Non siete parente degli impu­tati, non siete al loro servizio, né essi sono al vostro? Alzate la mano destra e giurate di dire la verità, tutta la verità, niente altro che la verità! Dite: «Lo giuro! ». (Mentre il presidente interroga in tal modo il testimone, Gilles si alza e ostensibilmente curvandosi per avvicinarsi al suo avvocato gli mormora alcune raccomandazioni urgenti, indicando sempre col dito il testimone. Ménétrier lo calma dicendo quasi ad alta voce).

Ménétrier                      - Sì, sì, d'accordo.

Nogarre                         - Lo giuro!

Il Presidente                  - Come vi chiamate?

Nogarre                         - Alberto Nogarre. (Gilles scoppia a ridere come se si trattasse di una facezia).

L'Usciere                       - Silenzio!

Il Presidente                  - Professione?

Nogarre                         - Viaggio per la ditta Dupont. (Gilles quasi soffoca dal ridere e anche Valeria fa sentire una risata breve e squillante).

L'Usciere                       - Silenzio!

Il Presidente                  - Il vostro domicilio?

Nogarre                         - Parigi, via Delambre, 49. Sono qui in vacanze. (Gilles e Valeria non ne possono più).

Il Presidente                  - (con severità) Vi vorrete con­vincere che non avete nulla da guadagnare con que­sto vostro incredibile atteggiamento?

Gilles                             - (additando Nogarre senza ridere) La colpa è sua, signor presidente. Lo fa a posta, per farci ridere.

Lahire                            - Gli accusati cercano di screditare il testimone. È la manovra classica.

Il Presidente                  - Nogarre, diteci quel che sapete!

Nogarre                         - Il 9 settembre pescavo i gamberi nel golfetto della Misericordia. Potevano essere le cinque di sera.

Ménétrier                      - Erano o non erano le cinque di sera?

Lahire                            - Signor presidente, queste interruzioni non sono tollerabili.

Ménétrier                      - È curioso che il pubblico ministero protesti per una interruzione, mentre egli non ha mai cessato...

Il Presidente                  - (interrompendolo) Avvocato, vi permetterò di interrogare il testimone fra poco. Con­tinuate, signor Nogarre.

Nogabre                        - Improvvisamente sento dei gridi che partono dalla duna dei gabbiani che mi sovrastava di una quindicina di metri. Mi volto in su e vedo sulla duna un uomo e una donna che correvano.

Il Presidente                  - In quel momento li avete po­tuto identificare?

Nogarre                         - No, signor presidente.

Ménétrier,                     - E gli è dispiaciuto molto in seguito!

Nogarre                         - L'uomo gridava. Io, naturalmente, non ho potuto afferrare le sue parole. La donna rideva.

Lahire                            - Lei rideva, signori giurati, di quel riso di cui Cabanis ci ha così elegantemente parlato poco fa!

Ménétrier                      - Il pubblico ministero cerca una nuova vittima.

Lahire                            - Io cerco la giustizia.

Ménétrier                      - Anch'io. E non la separo mai dalla verità.

Il Presidente                  - (a Nogarre) Non impressiona­tevi: continuate pure, signor Nogarre.

Nogarre                         - Ho pensato: « Sono degli innamorati che si divertono sulla duna». Tanto più che in quel momento l'uomo ha preso la donna in braccio e l'ha portata via.

Il Presidente                  - Fino a questo punto le vostre dichiarazioni e quelle dell'imputato concordano.

Nogarre                         - Avevo dimenticato quest'incidente, quando, alcuni minuti dopo - direi quattro o cinque minuti - li vidi riapparire tutti e due.

Lahire                            - (sottolineando) Tutti e due!

Nogarre                         - Non gridavano più. Non ridevano più. Sono rimasti così qualche secondo l'uno vicino all'altra. E la donna è caduta.

Gilles                             - (urlando) Non è vero!

Valeria                          - Bugiardo!

Nogarre                         - E questa volta so l'ora. Erano le cinque e sette.

Gilles                             - Mentite! Io non ero vicino a lei!

Nogarre                         - Non dico che ci foste voi. Dico che quell'uomo c'era.

Gilles                             - Mentite!

Nogarre                         - Non dico che l'abbiate spinta voi. Dico che le eravate a fianco!

Gilles                             - Vi pentirete di questa menzogna! Ve ne pentirete. Io non sono arrivato che dopo. Almeno due minuti più tardi. Due minuti troppo tardi!

Il Presidente                  - Cabanis, non interrompete con­tinuamente!

Nogarre                         - Signor presidente, c'era un uomo al suo fianco e quest'uomo era quello che l'aveva por­tata via in braccio pochi istanti prima. Non sono sicuro che di questa circostanza. E non posso testi­moniare che su questa.

Lahire                            - Ci basta. Grazie.

Ménétrier                      -  (con tono minaccioso) Nogarre, erano le cinque e sette?

Nogarre                         - Sì.

 

Ménétrier                      - Come fate a saperlo!

Nogarre                         - Ho guardato l'orologio.

Ménétrier                      - Voi vedete cadere una donna da quindici metri di altezza e il vostro primo pensiero è quello di guardare l'orologio?

Nogaere                        - Prevedevo che sarei stato interrogato.

Ménétrier                      - Siete molto previdente!

Lahire                            - La vostra precisione dà noia alla difesa.

Ménétrier                      - (consultando un appunto) Avete detto... guardiamo un poco... « alcuni minuti dopo li vidi riapparire tutti e due ».

Nogarre                         - Precisamente.

Ménétrier                      - In quel momento voi pescavate, non è vero?

Nogarre                         - Sì.

Ménétrier                      - Allora come avete fatto a vederli riapparire dal momento che voltavate loro le spalle? E che, secondo la vostra dichiarazione, non grida­vano più né ridevano più?

Nogarre                         - Cioè...

Susanna                         - (violentemente) Rispondete!

Nogarre                         - (dopo una breve esitazione) Mi ero voltato. Mi disponevo ad andarmene.

Ménétrier                      - Non siate nervoso!

Nogarre                         - Non sono nervoso.

Ménétrier                      - Le mani vi tremano.

Nogarre                         - No, signore.

Ménétrier                      - Stavate pescando o vi disponevate ad andar via?

Nogarre                         - L'uno e l'altro!

Ménétrier                      - Superba risposta! Dunque voi siete sicuro che un uomo era vicino alla vittima al mo­mento in cui essa è caduta?

Nogarre                         - Certo!

Ménétrier                      - Che cosa aveva in capo quest'uomo?

Nogarre                         - Non capisco la domanda.

Ménétrier                      - Berretto o cappello?

Nogarre                         - Berretto.

Ménétrier                      - Da marina?

Nogarre                         - Credo. Non potevo distinguere bene.

Ménétrier                      - Nogarre, nel vostro desiderio di nuocere all'imputato, avete commesso un errore.

Il Presidente                  - Avvocato, il testimone depone sotto la fede del giuramento. Non avete il diritto di formulare questi sospetti.

Ménétrier                      - (ironicamente) Nogarre, nel vostro desiderio di servire la verità, avete commesso un errore. È una civetteria ben nota di questi signori della Marina Mercantile: non portano il berretto che a bordo.

Nogarre                         - Avrò sbagliato.

Ménétrier                      - Nogarre, non avete mai avuto piuttosto qualche divergenza con l'accusato!

Nogarre                         - Non capisco quello che volete dire.

Ménétrier                      - Non capite che quando vi si parla di berretti.

Gilles                             - (intervenendo) Vi ho dato degli schiaffi, sì o no?

Nogarre                         - Non devo rispondere a voi.

Gilles                             - Due la prima volta, e altri due quando ho saputo quello che avevate detto di Valeria.

Nogarre                         - In ogni modo non me ne ricordo più.

 

Gilles                             - Come bisogna picchiare perché ve ne ricordiate?

Ménétrier                      - Dovete averci fatto l'abitudine a prendere i ceffoni!

Gilles                             - - Sentite, Nogarre: ve lo dico fin da ora. Appena sarò libero aspettatevene una buona dose, ovunque v'incontri.

Lastre                            - (con voce stentorea) Minacce a un testi­mone!

Gilles                             - Non è il testimone che minaccio. Non è per le parole pronunziate qui dentro che io lo prenderò di nuovo a ceffoni. Di questo me ne infischio... io sono innocente. Ma è per quello che ha osato per­mettersi con Valeria... Aveva la camera 18, signor presidente. Si è fatto aprire da Rabouin la porta di comunicazione ed è entrato mentre lei si spogliava. Quando penso che questo por... Lasciate che gli dia due schiaffi, signor presidente! (Fa un gesto verso Nogarre).

Il Presidente                  - Sembra che si sia attentato molto alla vostra virtù, signorina!

Valeria                          - Molto! La fedeltà è più difficile dell'innocenza!

Lahire                            - Ma non si attentava forse alla vostra virtù, perché la si credeva vacillante?

Gilles                             - (veramente furioso) Cosa dite, voi?

Valeria                          - (a Lahire) Voi non dite quello che pensate

Lahire                            - Come?

Valeria                          - Credete davvero che la mia virtù sia vacillante?

Lahire                            - Quello che credo io, non interessa la Corte.

Valeria                          - Rispondete. Io sono l'imputata. Potete permettervi tutto.

Lahire                            - Non siete voi che dovete rivolgere delle domande. Sono io.

Ménétrier                      - Signor presidente!

Il Presidente                  - Parlate, avvocato.

Ménétrier                      - (a Nogarre) Eravate innamorato della signorina Pardaillan?

Nogarre                         - Oh! Innamorato... La desideravo...

Gilles                             - E non era neanche innamorato!

Nogarre                         - Confesso però di aver preso qui le mie vacanze per lei.

Ménétrier                      - Ah!... Però!...

Nogarre                         - Ma via, quella ragazza l'avrei avuta quando avessi voluto e come avessi voluto.

Valeria                          - (con un disprezzo schiacciante) Voi?

Nogarre                         - C'è mancato poco che non l'avessi.

Gilles                             - (urlando) Cosa?

Nogarre                         - È una donna moderna.

Valeria                          - Non fino a quel punto.

Nogarre                         - (sincero) Le avevo fatto sapere da Rabouin che avevo molti quattrini e che ero gene­roso. È bastato.

Valeria                          - (sorride) È bastato a Rabouin. È lui che per poco non avete avuto.

Nogarre                         - Non lo credete, signor presidente. Lei sapeva benissimo che la porta di comunicazione era aperta.

Gilles                             - (disperato) Lo sapevi?

Valeria                          - (con intensità) Ma cosa dici? Non ti perdonerò mai, Gilles, mai...

Nogarre                         - (sincero) Dovevo sorprenderla mezza nuda. Questo era il programma. Era la scusa di cui aveva bisogno. Il signore è arrivato troppo presto, ecco tutto.

Gilles                             - (a voce bassa con sordo rancore) Lo ammazzerò! (Più forte) Lo ammazzerò!

Ménétrier                      - Nogarre, se dicessi quello che penso di voi, il signor presidente sarebbe obbligato a so­spendere l'udienza. Non commenterò dunque il vostro procedere e vi farò soltanto una domanda: siete rimasto all'albergo Duguay-Trouin dopo l'incidente di cui abbiamo parlato?

Nogarre                         - Dopo quale incidente?

Ménétrier                      - Dopo i ceffoni, siete rimasto all'al­bergo?

Nogarre                         - Sì.

Ménétrier                      - Perché?

Nogarre                         - Avevo ancora qualche speranza.

Ménétrier                      - Con la signorina Pardaillan?

Nogarre                         - Sì.

Gilles                             - (questa volta urlando) Lo ammazzerò!

Lahire                            - Lo ammazzerà, secondo le sue abitudini.

Ménétrier                      - Si tien molto conto in quest'aula di quello che si dice in momenti di esasperazione. Ebbene... quel giorno...

Nogarre                         - Quale giorno?

Ménétrier                      - Il giorno dei ceffoni, non avete forse detto a Gilles Cabanis, con il linguaggio del gentiluomo che voi siete: Prima o poi te la faccio pagare...

Nogarre                         - Ma...

Ménétrier                      - Dite sì o no.

Nogarre                         - Sì.

Ménétrier                      - Nogarre, non ho forse il diritto di chiedervi se voi non cerchiate di fargliela pagare ora, a Cabanis?

Lahire                            - Signor presidente, non sopporteremo più...

Nogarre                         - (urlando) No, no!

Ménétrier                      - Non tremate in quel modo, Nogarre.

Nogarre                         - Non tremo. E chiamatemi signor Nogarre. Non sono un imputato, io.

Ménétrier                      - Non ancora! Ma potreste esserlo fra poco. Signor presidente, abbiamo chiesto che il testimone Rabouin non fosse licenziato. Vi prego di richiamarlo.

Gilles                             - (sussultando) Rabouin!

L'Usciere                       - (chiamando) Rabouin Emilio!

Rabouin                        - Presente!

Gilles                             - (pateticamente) Rabouin, tu sei un bravo ragazzo. Dimmi la verità. Sapeva lei che la porta di comunicazione era aperta?

Valeria                          - Non ti potrò mai perdonare, Gilles, mai...

Il Presidente                  - Cabanis, nello stesso interesse della vostra difesa...

Gilles                             - (con un grido) Bisogna che io sappia, signor presidente! Non potrei più vivere. Voglio la verità! Dimmi, dimmi... lei sapeva?

Rabouin                        - Certamente no. Ma quello là mi rifilava cento franchi ogni volta che gli davo qualche speranza.

Gilles                             - (supplicando) Perdono, perdono amore!

Valeria                          - Ti disprezzo!

Il Presidente                  - (a Rabouin che fa per andarsene) Rabouin, non è per questa domanda che siete stato richiamato.

Rabouin                        - Ah no?

Gilles                             - (a mezza voce, sempre in ginocchio) Per­donami, perdonami.

Susanna                         - Rabouin, voi avete un'ottima me­moria.

Rabouin                        - Pare.

Susanna                         - Lo spero per voi.

Ménétrier                      - Rabouin, avete servito voi l'ape­ritivo al signor Nogarre il 9 settembre?

Rabouin                        - Certamente. Charbonnel era di uscita.

Ménétrier                      - Il signor Nogarre vi raccontò l'in­cidente che gli era capitato?

Rabouin                        - Sicuro. Capirete... era interessante!

Gilles                             - (a mezza voce, sempre in ginocchio) Mi perdonerai, amore mio?

Ménétrier                      - Ha detto, allora, che un uomo sì trovava vicino alla ragazza quando essa è caduta?

Rabouin                        - Ah, no. (Sensazione. Tutti restano estatici).

Nogarre                         - Ma sì, invece!

Rabouin                        - Sono sicuro di no.

Gilles                             - (a mezza voce, fra il silenzio generale) Perdonami, amore, perdonami!

Ménétrier                      - (voltandosi verso Gilles, nervosamente) Cabanis, in questo momento si gioca la vostra vita!

Gilles                             - Che me ne importa? Lei mi odia!

Susanna                         - (con vivo interessamento a Valeria) Ma lui deve ascoltare! Deve poter rispondere: si tratta della sua testa.

Valeria                          - Ti perdono.

Gilles                             - Grazie. (Le bacia la mano con tenerezza).

Lahire                            - Troppo presto gridate vittoria, caro avvocato. Il signor Nogarre non ha detto che l'uomo c'era. È vero. Ma non ha detto, d'altra parte, che non c'era.

Rabouin                        - Ah, questo no!

Lahire                            - E allora?

Ménétrier                      - Allora! Ha fatto di meglio. Non ha parlato di delitto.

Rabouin                        - Di delitto assolutamente no!

Ménétrier                      - Come avrebbe potuto farlo? Come parlare di delitto con un solo personaggio? Io voglio dimostrare e dimostro che in quel momento il « signor Nogarre » era convinto di avere assistito a un suicidio o ad una disgrazia.

Rabouin                        - Ah, questo sì!

Nogarre                         - (con violenza) No, invece; affatto!

Ménétrier                      - Non tremate, signor Nogarre. (Con­tinuando) Ed anzi optava piuttosto per il suicidio.

Nogarre                         - lo? .

Ménétrier                      - Sì, perché avete detto a Rabouin: « È strano che non abbia gettato un grido cadendo ». (Sensazione).

Gilles                             - Povera Teresa!

Ménéteiee                     - (quando è sicuro dell'effetto delle sue parole) Lo avete detto?

Nogabee                        - Non me ne ricordo.

Rabouin                        - Me ne ricordo io. Con la mia memoria!... Siete rimasto perfino col bicchiere in aria.

Ménéteiee                     - Un solo problema dunque vi si presenta, signori giurati. Quando questo galantuomo ha cambiato parere? Quando ha creduto bene di aggiungere un personaggio a questa tragedia? Subito dopo l'aperitivo! Quando è andato a deporre alla gendarmeria. Là ha saputo che la vittima era la moglie legittima del suo nemico Dubois. Fino a quel mo­mento non aveva stabilito questo rapporto. La morta era la signora Cabanis. Egli non conosceva che Dubois. Non sudate così, signor Nogarre. (Nogarre difatti si asciuga la fronte) Non aveva ancora bisogno di men­tire, ma si è sfogato poi...

Lahiee                           - (irritato) Ma rispondete dunque, Nogarre!

Ménétrier                      - Rispondete, via! Per una volta tanto siamo d'accordo col pubblico ministero.

Nogaeee                        - Credo... mi è proprio sembrato di vedere due persone.

Ménétrier                      - Ne avete viste due all'istruttoria o sulla duna?

Lahiee                           - Avvocato, è inammissibile...

Ménéteiee                     - È inammissibile che due ceffoni giustifichino un delitto. Che un testimone reticente divenga uno dei vostri collaboratori...

Lahiee e il Presidente    - (insieme) Avvocato...

Ménéteiee                     - Che un testimone falso esca da quest'aula col vostro « Vi ringrazio » di prammatica.

Il Presidente                  - Avvocato!

Lahiee                           - Ma perché arzigogoliamo tanto su un particolare? Cabanis, voi non eravate vicino a vostra moglie al momento della disgrazia?

Gilles                             - Lo giuro sulla sua testa! (Stende la mano sulla testa di Valeria).

Lahiee                           - Strano giuramento! E che dimostra una amoralità della quale non abbiamo più da meravi­gliarci qui dentro. Ma ammetto la vostra tesi per un istante: non eravate vicino a vostra moglie. (Bru­scamente) E dove eravate, allora? (Gilles tace) Non rispondete? (Conciliante) Suvvia! Riprendiamo la vostra versione degli avvenimenti, da quando vostra moglie uscì di casa. Era disperata. L'imputata Pardaillan l'aveva messa involontariamente al corrente della sua disavventura. Vostra zia vi prospetta la possibilità di un atto disperato. E voi correte dietro a vostra moglie con la speranza di evitare una di­sgrazia. Ma lei vi precede notevolmente. Voi le gridate di tornare indietro. Ma lei va avanti ancora più in fretta. E voi? Voi, così atletico, non la potete rag­giungere perché la scarpa sinistra vi stringe troppo. (Ritornando sarcastico) E sempre gridando, sempre correndo, sempre zoppicando, attraversate via Du-guay-Trouin e un piccolo tratto della strada di Parigi senza incontrare nessuno. Vi porta così fino alla duna dei gabbiani. Qui, guadagnate terreno. E così, come ha testimoniato il signor Nogarre, riuscite ad afferrare vostra moglie, prenderla in braccio e portarla via.

Ménéteiee                     - A che cosa tende questa recapito­lazione di fatti che tutti conosciamo?

Lahiee                           - Vostra moglie piange, vostra moglie si agita, vostra moglie dice che vuol morire, vostra moglie dice che vuole uccidersi. Voi cercate di cal­marla, la consolate come potete. E a quanto affer­mate, ci riuscite. (Con violenza) Eppure, dopo pochi istanti, ritroviamo vostra moglie « sola » sulla duna, da dove si butta disotto. E voi non giungete che dopo due minuti. Quindi vi chiedo, Cabanis, dove eravate! Che cosa avete fatto durante questi interminabili minuti? Che cosa ha provocato questo ritardo tra­gico... o provvidenziale? Avete potuto credere si fosse rasserenata al punto di non dovervi più occupare di lei? 0 avete pensato che bisognava lasciare quella ostinata creatura al suo destino, e giungere soltanto dopo? Nell'uno come nell'altro caso, voi l'avete assassinata...

Gilles                             - È mostruoso!

Lahiee                           - ... proprio come se l'aveste spinta con le vostre mani.

Gilles                             - È mostruoso! È mostruoso!

Lahiee                           - Dove eravate, Cabanis?

Gilles                             - Non posso rispondere.

Lahiee                           - Perché siete giunto soltanto due minuti troppo tardi?

Gilles                             - Lo saprete. Io non posso dirvelo!

Lahiee                           - Io mi sono formata un'opinione e spero, signori giurati, di farvela condividere.

Valeria                          - (angosciosamente) Devi parlare, Gilles. Basta con le stupide generosità. Ora si tratta della tua vita. Ti ho perdonato poco fa una cosa imper­donabile. Perché tu potessi difenderti. Ora sei tu che devi fare qualcosa per me!

Gilles                             - (ostinato) Non posso!

Valeeia                          - (con angoscia sempre più grande) Non volevi poco fa che egli si sedesse soddisfatto del suo successo di eloquenza. Questa volta l'ha, il suo successo.

Ménéteiee                     - (incalzante) Dove eravate, Cabanis!

Valeria                          - Ha la tua condanna in tasca. Guarda i giurati, guardali! (Si volta di colpo verso di loro) Ed ha anche la mia! Se è questo che vuoi...

Gilles                             - (dopo una pausa) Non posso. Le cose andranno a posto ugualmente, vedrai.

Il Presidente                  - Cabanis; credo sia mio dovere offrirvi ancora una possibilità: dove eravate? Che cosa facevate? (Gilles tace) Cabanis, avete vissuto un dramma terribile al quale la Corte e i signori giurati non sono insensibili. In loro nome vi invito a rispon­dere. (Gilles tace) L'altro testimone!

L'Uscieee                      - (chiamando alla porta) Charpentier Adolfo!

Adolfo                          - Presente! (È un contadino di 35 anni, ben piantato e vestito a festa).

Il Presidente                  - Come vi chiamate?

Adolfo                          - Adolfo Charpentier.

Il Presidente                  - Professione?

Adolfo                          - Coltivatore a Santa Maria la Grande.

Il Presidente                  - Siete parente della vittima? :

Adolfo                          - Suo cugino. Teresa era una Charpentier... della città. (Con orgoglio) Noi siamo rimasti contadini.

Il Presidente                  - Raccontateci quello che sapete.

Adolfo                          - Sulla morte di Teresa?

Il Presidente                  - La vostra domanda non ha senso. Non potete dir niente del dramma dal momento che non eravate presente! Raccontateci l'incidente di vettura, quello del 18 luglio.

Adolfo                          - Ah, quello del 18 luglio!

Lahire                            - Potete osservare, signori giurati, che Cabanis è uno specialista in « disgrazie ».

Ménétrier                      - Basta con queste interruzioni!

Lahire                            - Cabanis: disgrazie di ogni specie: di montagna o di vettura, a scelta. Varietà e originalità. (Teatrale) Salvo la scelta della vittima.

Ménétrier                      - Chi dirige il dibattimento? Il pub­blico ministero o il presidente?

Il Presidente                  - (convinto ora della colpevolezza di Gilles, finge di non capire) Parlate, Charpentier. (Gesto irritato di Ménétrier).

Adolfo                          - Il 18 luglio, io e il mio compagno ripor­tavamo a casa un carretto di grano. Erano circa le sette e mezzo di sera. Sento dei colpi di clakson. Era Teresa. Mi fa segno di salire. Mi riaccompagnava spesso in questo modo a Santa Maria la Grande, quando andava a pranzo alla trattoria. Lascio il car­retto al compagno e salgo. Chiacchieriamo un po' fra noi.

Ménétrier                      - Avanti, avanti!

Lahire                            - Un momento, se non vi dispiace. Di che cosa chiacchieravate?

Adolfo                          - Di Gilles. Teresa mi diceva che le era sembrato molto strano.

Lahire                            - (ai giurati) Molto strano!

Ménétrier                      - Molto strano!

Adolfo                          - Che non aveva voluto venire con lei in vettura!

Lahire                            - Attenzione, signori giurati!

Ménétrier                      - Panno attenzione, non dubitate, signor pubblico ministero. Ogni momento sembra che dubitiate del loro interessamento al processo.

Lahire                            - Non aveva voluto venire con lei in vettura!

Adolfo                          - E aveva disdetto l'invito a suo fratello Pasquale che doveva pranzare con loro.

Lahire                            - E aveva disdetto l'invito a suo fratello Pasquale!

Ménétrier                      - (a se stesso ma in modo da essere sen­tito) Ci sono degli echi in questa sala.

Adolfo                          - Eravamo quasi arrivati a casa mia, quando due grossissimi camions sbucano dalla strada di Veuzette, l'uno cercando di sorpassare l'altro. Teresa frena bruscamente. Sento una specie di « clic » e ripartiamo subito a grande velocità. Capisco che il cavo del freno si era spezzato. Ho appena il tempo di pensare che era una cosa strana.

Lahire                            - Ah, avete pensato che era una cosa strana!

Ménétrier                      - L'opinione del testimone non c'in­teressa.

Lahire                            - Porse può interessare i giurati.

Ménétrier                      - Non credo. Ciò che interessa a noi sono i fatti e non i commenti di un brav'uomo pro­babilmente poco pratico in fatto di meccanica.

Adolfo                          - (offeso) Ho due camionette e un'auto­mobile!

Il Presidente                  - Stiamo divagando, signori!

Adolfo                          - Breve: non passa un quarto d'ora che io mi ritrovo nel fossato. Quei maledetti camions non avevano creduto bene di fermarsi. Teresa era un po' più lontana sull'erba e così pallida da far paura. Mi precipito verso di lei. La scuoto. Da prin­cipio mi guarda con un'aria istupidita. Ma io la scuoto così forte che finisce per riconoscermi. Poi è arrivato Gilles in bicicletta fischiettando, e quando lei gli è andata incontro, Teresa gli ha detto: « Mio caro, non ti sbarazzerai di me tanto facilmente! ». (Sensazione).

Ménétrier                      - Scherzando!

Gilles                             - (senza alzarsi, assorto e con grande insolenza) Di' un po', Adolfo!

Adolfo                          - Cosa?

Gilles                             - Il podere di Courbeval, se io fossi con­dannato, non ritornerebbe a te per il testamento di Teresa?

Adolfo                          - (al parossismo dell'ira) Non basta a questo porco di aver tentato di assassinarmi insieme a sua moglie. Mi insulta anche!

Gilles                             - Rispondi: sì o no?

Adolfo                          - (voltandosi verso Lahire come ad un alleato) Del resto, il 18 luglio era furibondo che sua moglie mi avesse riaccompagnato.

Lahire                            - Furibondo, signori giurati, furibondo del delitto supplementare che per poco non commise senza saperlo. Furibondo di aver corso il rischio di uccidere Adolfo, quando s'era dato tanto da fare per non uccidere Pasquale. Perché Cabanis non voleva che una vittima: sua moglie! Ma quella la voleva a qualunque costo! Ha tentato di ucciderla il 18 luglio e ci è riuscito il 9 settembre. Ma se il colpo fosse mancato il 9, avrebbe cominciato di nuovo in ottobre, non dubitate.

Gilles                             - No, no e no, signor presidente, questo è uno scherzo. Mi si accusa di un delitto atroce. Non basta. Si dice che l'ho premeditato. E che cosa si porta in appoggio di questa terribile calunnia? Le chiacchiere di uno dei miei futuri eredi!

Lahire                            - Abbiamo altre prove. Se non aveste saputo che il 18 luglio alle 19,30 sarebbe avvenuto un incidente dalle conseguenze facilmente immagi­nabili, perché non eravate in automobile con vostra moglie? Perché avete disdetto l'invito a vostro fratello?

Gilles                             - Dovevo pranzare con Valeria. E pregai, Pasquale di tenere compagnia a Teresa.

Lahire                            - Delizioso!

Gilles                             - Ma Teresa mi fece una scenata: voleva che pranzassi con lei. Allora dissi a Pasquale di non venire più, perché mi dava noia mentire davanti a lui.

Lahire                            - Questo non spiega perché non eravate in vettura con vostra moglie!

Gilles                             - (con grande naturalezza) Dovevo bene scusarmi con Valeria!

Lahire                            - Tutto questo per fortuna è facilmente controllabile. Chiedo, signor presidente, che sia sen­tito il dottor Pasquale Cabanis.

Il Presidente                  - Vi ringrazio, signor Charpentier. Introducete il dottor Pasquale Cabanis. (Adolfo Char­pentier esce).

L'Usciere                       - Cabanis Pasquale! (Entra Pasquale).

Il Presidente                  - Voi siete fratello dell'imputato. Siete dispensato dal prestare giuramento. Nell'in­teresse della verità sarete sentito in virtù dei miei poteri discrezionali.

Pasquale                        - Ai vostri ordini, signor presidente.

Il Presidente                  - Non ho che una domanda da rivolgervi. Il 18 luglio dovevate pranzare con vostro fratello e vostra cognata alla trattoria quando avete ricevuto una telefonata dell'imputato con la quale vi pregava di rimandare il pranzo all'indomani. È vero?

Pasquale                        - (dopo una pausa e nettamente) No, signor presidente. (Stupore di tutti).

Il Presidente                  - Eppure lo avete dichiarato in istruttoria. C'è qui il vostro verbale.

Pasquale                        - (tagliando corto) Ho sbagliato.

Gilles                             - (ad alta voce, meravigliato) Ma cosa ti prende!

Il Presidente                  - Abbiamo verificato sulla vostra agenda di appuntamenti. Vi si può leggere alla data del 18 luglio: Pranzo con Grilles e Teresa alla trattoria. E questa nota è annullata con un tratto di penna.

Pasquale                        - Avevo sbagliato. Ho scritto infatti di nuovo l'appuntamento in data del 19.

Gilles                             - (lentamente) Ma che cosa racconti?

Pasquale                        - Potete controllare. Abbiamo pranzato insieme il 19.

Lahire                            - (nervosamente) Tutti siamo d'accordo su questo punto. Ma vostro fratello vi ha, sì o no, pre­gato di non andare a pranzo con loro il 18?

Pasquale                        - No.

Ménétrier                      - - Ma vostro fratello stesso lo ammette.

Gilles                             - Non fare dello zelo, Pasquale. Dì la verità.

Lahire                            - Il vostro atteggiamento è comprensibi­lissimo. Voi sentite come me la gravità per l'imputato di questa telefonata che precede di pochi minuti l'incidente di cui vostra cognata è stata vittima. E cercate dì evitargli questa aggravante.

Pasquale                        - (freddissimo) Dico quello che ritengo sia la verità.

Lahire                            - Non avete paura che il vostro brusco voltafaccia non sottolinei al contrario l'importanza di quella telefonata e non nuoccia a vostro fratello invece che giovargli?

Gilles                             - (ironico) Non ha paura.

Lahire                            - Capisco che gli siate grato del suo ten­tativo.

Pasquale                        - Vi faccio noto, signor pubblico mi­nistero, che non apprezzo le battute di spirito.

Lahire                            - (freddo e fermo) Certamente volete molto bene a vostro fratello?

Gilles                             - Non si può dire che mi voglia molto bene... non è vero, Pasquale? Non si può dire che tu mi voglia molto bene!

Lahire                            - La vostra ingratitudine è sbalorditiva,

Cabanis                         - Proprio nel momento in cui vostro fratello smentisce se stesso per salvarvi...

Pasquale                        - Odio mio fratello. L'ho sempre odiato (Sensazione).

Lahire                            - Come?

Pasquale                        - (animandosi un poco) Lo sanno tutti.» (A Valeria) Anche voi lo sapete, ve l'ha detto. (A Lahire) Tu lo sai, Roberto, te l'ho detto io! Tutti, tutti lo sanno. Per questo mi potete credere quando dico che mio fratello è innocente del delitto dì cui l'accusate. Non ha ucciso Teresa. Ed io ne ho la prova.

Lahire                            - La prova?

Pasquale                        - Quando Teresa è caduta, egli era con me, a più di cento metri di distanza.

Lahire                            - Ne siete sicuro?

Pasquale                        - Sicurissimo: ci stavamo picchiando.»

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena. Pochi istanti dopo il secondo atto.

Pasquale                        - Sono circa le cinque meno un quarto. Teresa è uscita come una pazza. Gilles si è precipitato dietro di lei. Lì guardo dalla finestra correre l'uno dietro all'altra, ma quando li vedo sparire all'angolo della strada, sono invaso da una forma di esasperazione. Il bisogno di sapere. Esco per raggiungerli (Tace, molto commosso).

Il Presidente                  - (con benevolenza) E poi?

Pasquale                        - (la cui emozione si è rivelata soltanto dai silenzi che interrompono il suo racconto) Al « Calvario delle fontane» sento degli urli che sembrano giungere dalla « duna dei gabbiani ». Corro da quella parte, (Una pausa) Vedo subito Gilles che porta tra le braccia Teresa, la quale piange e si dibatte. (Riesce a conti­nuare con estrema difficoltà) Gilles, vedendomi, ha come un'espressione di gioia. Poveretto, si ralle­grava di questo inatteso rinforzo! Forse pensava: « Saremo in due, ora, a impedirle di fare delle scioc­chezze! ». Non, sapeva, Non poteva immaginare. (Tace. Un altro, al suo posto, scoppierebbe in singhiozzi).

Lahire                            - (con durezza) Poi?

Pasquale                        - (con grande violenza) Parlerò quando i potrò. Non sto raccontando una storiella da salotto!

Ménétrier                      - (con dolcezza) Dunque, vostro fra­tello vi scorge?...

Pasquale                        - Mette Teresa per terra, ma sempre tenendola strettamente per un braccio. Poi viene verso di me. Teresa resiste. Gli grida, con ira selvaggia, qualche cosa che non capisco. Gilles si volta e la schiaffeggia.

Lahire                            - La schiaffeggia? Schiaffeggia questa donna che ha ridotta alla disperazione!

Pasquale                        - (animandosi) Per nostra disgrazia, è proprio questa l'idea che mi ha attraversato la mente! Non ho riflettuto più a lungo di voi, signor pubblico ministero! Per nostra disgrazia, non mi sono detto che Teresa era pazza, in quel momento. Probabilmente, lo aveva minacciato di volersi uccidere, ad ogni costo, prima o poi. Fui felice di quel gesto, felice del pretesto che mi offriva!... Mi sono gettato su Gilles e l'ho picchiato. L'ho picchiato come un pazzo. Aspettavo quel momento da trent'anni. Ero com­pletamente felice.

Valeria                          - È orribile!

Pasquale                        - (facendo la mimica della scena senza accorgersene) Gilles è caduto. L'ho preso per la gola e ho stretto. Si dibatteva con formidabile energia, cercando di liberarsi. Finalmente c'è riuscito ed ha potuto mormorare: « Teresa... la duna... ». Sol­tanto allora ho capito. (Senza enfasi, con grande sem­plicità) Sono io che ho ucciso Teresa. Dovete arre­stare me. Questa soltanto sarà giustizia. (Breve silenzio).

Gilles                             - (a mezza voce) La faccia che farebbe se lo prendessero in parola!

Valeria                          - (urtata) Non sei commosso?

Gilles                             - Aspetto la fine!

Lahiee                           - Non avete parlato a nessuno di questo pugilato, fino ad ora?

Pasquale                        - No, signor pubblico ministero.

Lahire                            - Ne al brigadiere Rosetti né al giudice istruttore?

Pasquale                        - No, signor pubblico ministero.

Lahiee                           - E soltanto dopo cinque mesi, e quando siete ben sicuro che nessun supplemento istruttorio potrà infirmare la vostra tesi, vi decidete a parlarne.

Pasquale                        - Speravo che l'innocenza di Gilles apparisse senza la necessità che io mi disonorassi raccontando questo vergognoso episodio.

Lahire                            - Vi prego, signori giurati, di non lasciarvi impressionare da un racconto che così opportunamente giunge in soccorso della difesa.

Pasquale                        - Dubitate della mia parola?

Lahire                            - Certamente. E ne ho le mie buone ra­gioni. Voi avete picchiato «come un pazzo... »; uso la vostra espressione.

Pasquale                        - Sì, signor pubblico ministero.

Lahire                            - Come spiegate dunque che la terribile lezione che avete inflitto a vostro fratello non abbia lasciato alcuna traccia?

Pasquale                        - Ma...

Lahire                            - Nessuna ecchimosi sul viso, nessun gonfiore, nessun graffio. Il vostro avversario esce dal conflitto fresco come una rosa.

Ménétrier                      - Fresco come una rosa? Eppure io leggo nel rapporto del brigadiere Rosetti...

Susanna                         - (porgendoglielo) Paragrafo 8 del fasci­colo.

Lahire                            - Vi ringrazio, avvocato.

Ménétrier                      - (leggendo) « L'imputato Gilles Cabanis era piegato in due durante tutto l'interrogatorio. E poiché gliene chiesi la ragione, disse di soffrire per dei dolori di stomaco ».

Gilles                             - (a Valeria, indicando Ménétrier) Si ricorda di tutto, è meraviglioso.

Lahire                            - Non ci interessano le stesse cose, caro collega. Nel rapporto Rosetti io leggo invece (leg­gendo): «Quando sono giunto in via Duguay-Trouin, ho trovato Cabanis che piangeva fra le braccia del fratello ». (Smettendo di lèggere) Cosicché, signori giu­rati, ancora piegato in due per i colpi ricevuti nello stomaco dal fratello, si era gettato nelle sue braccia.

Gilles                             - (assolutamente sincero) Eravamo disperati. Non sapevamo più quel che si faceva. (Alza la testa sorpreso di sentir ridere).

Lahiee                           - Dunque, signori, riassumiamo : se uniamo a questa colluttazione che non lascia traccia questi abbracci inopinati, ho il dovere di chiedermi se in questo momento non si stia cercando di prendersi gioco di noi; e se quest'odio fra Gilles e Pasquale Cabanis non sia stato inventato proprio per noi.

Gilles                             - Ah no! Proprio no.

Pasquale                        - (quasi contemporaneamente a Gilles) No, lo sapete benissimo.

Lahire                            - Ho il diritto di chiedermi se il dottor Cabanis, che non ha prestato giuramento, non menta una volta di più inventando questo match di boxe provvidenziale.

Pasquale                        - Una volta di più?

Lahire                            - (violento) Avete mentito poco fa quando avete asserito che vostro fratello non aveva rimandato al giorno successivo l'invito a pranzo del 18 luglio.

Pasquale                        - Ma no...

Lahire                            - Mentite in modo commovente, ma men­tite contro l'evidenza dell'annotazione sulla vostra agenda, contro la vostra dichiarazione in istruttoria, contro lo stesso imputato che vi ha chiesto un po' meno zelo. E mentite adesso...

Gilles                             - (a Pasquale con uno scatto) Era dunque questa la tua trovata?

Pasquale                        - Cosa?

Gilles                             - Mica male, devo riconoscerlo. Sapevi che io non avrei detto che ci eravamo picchiati e che avrei aspettato che ti decidessi tu che con una sola parola potevi salvarmi. E l'hai detta, questa parola. Soltanto, prima hai mentito. Mentito male, visibil­mente, ufficialmente, in modo che non ti si possa più credere. (Quasi allegramente) Hai fatto questa trovata. La pia menzogna per salvare il fratellino, che serve invece a rovinarlo del tutto.

Pasquale                        - (fingendo la ribellione) Oh, come puoi?...

Lahire                            - Incredibile!

Il Presidente                  - Su un punto il prevenuto ha ragione, dottore. Ai signori giurati non sarà facile credervi adesso.

Gilles                             - Sei soddisfatto?

Valeria                          - Perché cercate di perderci? Quando ci si vendica, so bene che si danno colpi all'impazzata. Ma io che cosa vi ho fatto?

Pasquale                        - Signorina, dichiarando che mi sono ingannato su una data...

Valeria                          - Guardatemi in faccia. Perché non osate guardarmi? Mi mandate all'ergastolo e non siete neanche curioso di sapere quale faccia abbia. Voi vorreste che rimanessi per voi una sbiadita imma­gine intravista su un giornale.

Pasquale                        - (alfine guardandola) Signorina, siete molto ingiusta.

Valeria                          - Esisto anch'io. Lo so: il vostro scopo era quello di rovinare Gilles. Vi perdono di non esservi preoccupato di me. Voi, probabilmente, vi siete limi­tato a pensare che dovevo essere punita anch'io. Punita di averlo amato. Potete essere soddisfatto. Ci siete riuscito. E vi compiango!

Pasquale                        - Signorina, capisco la vostra ribellione. Mi portate rancore di un errore involontario di cui si sono fatti un'arma contro mio fratello. (Solenne) Ma io giuro di aver detto la verità e che Gilles è innocente del delitto che gli è imputato.

Valeria                          - Non io devo essere convinta. Io lo so!

Pasquale                        - Teresa Cabanis si è suicidata.

Il Presidente                  - I signori giurati decideranno.

Pasquale                        - Cosa volete che ne sappiano loro?

Gilles                             - Bravo! Insulta i giurati, ora!

Pasquale                        - Affermo, giuro che si è suicidata! E io lo so. L'ho amata per quindici anni. Per quin­dici anni ho cercato di portarla via a mio fratello. Il mio amore le faceva orrore. (Con sforzo) E se si è uccisa è forse perché, avendo perduto Gilles, temeva di dover finire la vita con me... Eppure l'amavo. (È soffocato dai singhiozzi. Si asciuga rapidamente gli occhi dicendo) Chiedo scusa. (Riprendendo) Era molto esaltata, molto violenta, con degli accessi di dispe­razione incredibili.

Lahire                            - L'impresa di credervi si fa sempre più difficile. L'imputato, invece, ci ha dipinto vostra cognata sotto l'aspetto più simpatico. Ha anche commosso i giurati parlando della risata della signora Cabanis.

Valeria                          - (bruscamente, con violenza estrema) L'ho sentita, io, la sua risata, e non mi ha commossa.

Pasquale                        - Se ti condannano, mi ucciderò!

Gilles                             - Eh... bravo!

Pasquale                        - Ti dico che mi ucciderò.

Gilles                             - Non fare lo stupido. Ti sentono!

Pasquale                        - Non ci credi?

Valeria                          - Io vi credo.

Lahire                            - Voglio sperare, signori, che non vi lasce­rete commuovere da questo odioso ricatto sentimen­tale: una trovata dell'ultima ora, come la colluttazione.

Pasquale                        - Mi ucciderò.

Lahire                            - Ricatto che lascia incredulo perfino l'imputato.

Ménétrier                      - (ai giurati) E io, signori, spero invece che il grido di quest'uomo risuonerà profon­damente nella vostra coscienza.

Pasquale                        - Posso anche precisare il momento in cui Teresa ha deciso di morire. Aveva detto a Gilles che la signorina Pardaillan non voleva più rivederlo. Egli era sconvolto. E disse: « Creatura mia! ». (Risata argentina di donna fra il pubblico).

Valeria                          - (compiaciuta) Dicesti: « Creatura mia? ».

Gilles                             - T'invocavo.

Pasquale                        - Tutto il resto Teresa l'aveva soppor­tato. Fu quella parola la causa di tutto. »

Valeria                          - Amore mio!

Il Presidente                  - Avvocato, avete qualche do­manda da rivolgere al testimone? (Gesto di Méné­trier) E il pubblico ministero?

Lahire                            - No, signor presidente. Ne approfitte­rebbe per fare una nuova rivelazione.

Il Presidente                  - Dottore, potete ritirarvi. (Pa­squale rimane fermo, commosso e umiliato).

Valeria                          - Di' qualche cosa a tuo fratello.

Gilles                             - (a Pasquale) Se mi condannano, Pasquale, niente sciocchezze! Io e lei avremo bisogno di un amico!

Pasquale                        - Grazie! (Esce).

 Il Presidente                 - L'altro testimone!

L'Usciere                       - (chiamando) Hoyosse Felice!

Ménétrier                      - Non so in qual conto il pubblico ministero possa tenere la testimonianza di una per­sona attualmente in prigione, che è stata più volte processata, e che ora è imputata di assassinio di un agente.

Hoyosse                        - (che è entrato, rettificando) Di « tenta­tivo » di assassinio! E poi! Hanno la faccia tosta di chiamarlo un tentativo! Sparai in aria per fargli paura. L'ho sbagliato tre volte di seguito apposta. E fu lui, invece, a cacciarmi una palla nella coscia. Allora... (Hoyosse è un giovane teppista di circa 26 anni. Parla con il linguaggio tipico della malavita).

Il Presidente                  - Avvicinatevi. Siete stato con­dannato?

Hoyosse                        - Non ancora. Ma è questione di tempo. Mi vogliono rifilare dentro per dieci anni. Ne son sicuro come se ci fossi!

Lahire                            - Non siamo qui per giudicare il caso Hoyosse. Voglio ricordare, signor presidente, che questo individuo può recare una prova decisiva alla tesi dell'accusa. Vogliate scusarmi di cercare i miei testimoni ove l'imputato mi obbliga a prenderli.

Il Presidente                  - (a Hoyosse) Se non siete stato condannato, dovete prestar giuramento.

Hoyosse                        - Prestar giuramento? Io... come un usciere? Si vedrà anche questa.

Il Presidente                  - Non siete parente degli impu­tati, non siete al loro servizio, né essi sono al vostro.

Hoyosse                        - (scanzonato) Ma no!

Il Presidente                  - Alzate la mano destra e giurate di dire la verità, tutta la verità, niente altro che la verità. Dite: lo giuro!

Hoyosse                        - (che si diverte) Davvero, signor pre­sidente, senza scherzi?

Il Presidente                  - Dite: lo giuro.

Hoyosse                        - Lo giuro, ma c'è da crepar dal ridere!

Il Presidente                  - Riconoscete l'imputato?

Hoyosse                        - Gigi? Direi! (A Gilles) Salute! (Gilles gli sorride sentendosi a disagio e lo saluta appena con un gesto della mano)

Valeria                          - (entusiasmata) Gigi... è carino!

Il Presidente                  - Hoyosse, siete stato nel marzo scorso...

Hoyosse                        - (a Gilles) Ah, quella è Valeria?... Accidenti... mio caro... (Lungo sibilo di ammirazione).

Il Presidente                  - Hoyosse, rispondete alle mie domande.

Hoyosse                        - Signor presidente, dovete scusarmi. Come testimone non conosco gli usi. Le altre volte sono stato sempre a quel posto. (Designa il banco degli imputati).

Il Presidente                  - Hoyosse, nel mese di marzo voi eravate in cura all'infermeria delle carceri?

Hoyosse                        - Esatto.

Il Presidente                  - Parlate ai signori giurati.

Hoyosse                        - Da principio ero all'ospedale, finché sono stati certi che la mie ferite mi impedivano di tagliare la corda, ma poi hanno preferito di avermi sott'occhio, all'infermeria.

Il Presidente                  - Ed è qui che avete fatto cono­scenza con Cabanis?

 Hoyosse                       - Preciso. Mi ce l'hanno portato il sabato, la mattina presto. Batteva i quaranta e tre, e aveva perduto completamente i pedali.

Il Presidente                  - Traduco per i signori giurati; la sua temperatura era di quaranta virgola tre, e delirava.

Hoyosse                        - Questo non si può dire. Non delirava; diceva che era per crepare e tutti ci credevano... il dottore gli aveva dato 48 ore. E per tutto il tempo parlava della sua Valeria. Strillava: «Perché non mi chiedi mai niente, amore mio? Sei sempre stata tu che mi hai dato tutto. Chiedimi qualche cosa ». E questo stringeva il cuore perché infine che cosa avrebbe potuto darle quel disgraziato?

Il Presidente                  - E poi?

Hotosse                         - Le ha chiesto scusa in questo modo dal sabato mattina alla domenica sera.

Lahiee                           - (pronto) Scusa di che?

Hoyosse                        - Del male che le faceva senza volerlo. Per fortuna non ne aveva la forza... se no c'erano dei momenti in cui avrebbe voluto scaraventarsi in ginocchio.

Gilles                             - (protestando) Come, in ginocchio?

Hoyosse                        - Sicuro... in ginocchio... E da principio mi scocciai, ma quando mi ha fregato è quando mi ha preso per la sua Valeria. Non avrei mai creduto che ci fossero tante parole d'amore. Chi sa dove le andava a pescare? Cose semplici, parole di tutti i giorni, ma difficile è sapersene servire così. Può dire davvero di amarla!

Lahiee                           - I commenti del signor Hoyosse non ci interessano.

Ménetrier                      - Non capisco la vostra insofferenza, signor pubblico ministero. Hoyosse è qui a vostra richiesta.

Susanna                         - (con calma) Il pubblico ministero vor­rebbe arrivare rapidamente alla famosa lettera del 30 marzo.

Lahiee                           - Infatti...

Susanna                         - Quella lettera che deve perdere defini­tivamente la mia cliente! Quella lettera senza la quale, l'imputazione a Valeria Pardaillan sarebbe addirit­tura scandalosa. Ebbene, Hoyosse, parliamo di questa lettera!

Hoyosse                        - (seccato) Ancora?

Susanna                         - Siete già stato punito. Non avete da temere più nulla.

Hoyosse                        - Si vede che non conoscete il capo carceriere!?

Il Presidente                  - Siete qui per servire la verità. Parlate senza odio e senza timore.

Hoyosse                        - Senza odio... d'accordo; ma senza timore non direi. Il capo carceriere lo temo. Non è cattivo. Ma questo affare della lettera lo mette fuori dì sé. E diventa veramente poco simpatico!

Il Presidente                  - Davvero?

Hoyosse                        - Del resto, secondo me, Gigi era com­pletamente spacciato. Il suo ultimo permesso di 48 ora scadeva lunedì mattina. E allora, quando la domenica sera, ha avuto un lampo di ripresa e mi ha voluto dettare una lettera per la sua donna, ho preso la penna. (A Valeria) Spero che non abbiate delle idee troppo precise sull'ortografia!

 Il Presidente                 - E la lettera l'avete mandata al suo indirizzo?

Hoyosse                        - (come offeso) Perbacco! La sera stessa. Non ho perduto tempo. Lo avevo giurato a Gigi. Per di più credevo che fossero le sue ultime volontà.

Il Presidente                  - Sapete che la lettera è stata ritrovata nel pagliericcio dell'imputata Pardaillan?

Hoyosse                        - (con l'aria di chi la sa lunga) Sì... il capo carceriere mi ha detto due paroline su questo

Il Presidente                  - Ascoltate, Hoyosse. Cabanis vi ha sì o no dettata questa frase? (Legge senza espres­sione) «Amore mio, ti ho dato un dolore». (Alzando la testa) No, non è questo.

Lahire                            - Due righe più sotto, signor presidente;

Il Presidente                  - Ah sì, ecco. (Legge con enfasi): « Mi hai fatto commettere un delitto inutile! ».

Hoyosse                        - (a Valeria) E voi tenevate questa roba nel pagliericcio? (Con un tòno dal quale si può rile­vare un certo compatimento per le donne) Ah, le donne!

Il Presidente                  - (ripetendo) « Mi hai fatto com­mettere un delitto inutile ». Cabanis, avete o non avete dettato queste parole?

Susanna                         - Hoyosse ha già dichiarato in istrut­toria che non ne era sicuro.

Hoyosse                        - Certo che non ne sono sicuro.

Il Presidente                  - Come certo?

Hoyosse                        - Gigi parlava a voce molto bassa. Forse ho capito male.

Il Presidente                  - Ma via...

Hoyosse                        - Può anche essere una frase che ho aggiunta.

Lahire                            - (incredulo e scandalizzato) Aggiunta!

Hoyosse                        - O modificata. Lo credevo colpevole, io, naturalmente!

Lahire                            - (trionfante) Perché naturalmente?

Hoyosse                        - Io mi conosco. Lo credevo un collega.

Lahire                            - Evidentemente!

Hoyosse                        - Pensavo: se è in gattabuia vuol dire che qualcosa ha fatto. Allora credevo ancora alla giustizia.

Gilles                             - Non ti dar tanto da fare, Felice. Quella frase te l'ho dettata io. Soltanto...

Lahire                            - State a vedere che il signor Cabanis trova una spiegazione anche per questo!

Gilles                             - Oh, riconosco che non è molto chiara, signor pubblico ministero. Ritengo però che dovevo alludere ad un delitto contro il nostro amore.

Lahire                            - (sogghignando) Contro il vostro amore?

Gilles                             - O qualche cosa del genere.

Lahire                            - (ripetendo con sarcasmo) O qualche cosa del genere!

Il Presidente                  - Ah, questi echi!

Valeria                          - Perché non leggete la riga seguente? Essa spiega tutto.

Gilles                             - Probabilmente.

Lahire                            - Probabilmente?

Gilles                             - Sì, probabilmente. Non so le mie lettere a memoria.

Lahire                            - Voglio accontentarvi. (Prende la lettera dal presidente).

Susanna                         - Perché non tutta la lettera?

Lahire                            - Leggerò la riga seguente. È limpida ma non prova la vostra innocenza. Anzi. Leggo: « Mi hai fatto commettere un delitto inutile. Avremmo fatto meglio a confessare tutto ».

Valeria                          - Ecco. È come dicevo. Spiega tutto.

Gilles                             - Il delitto inutile era di aver taciuto e di essersi nascosti. Avremmo fatto meglio a dir tutto a Teresa.

Hotosse                         - Chiarissimo.

Lahire                            - Al signor Hoyosse pare chiarissimo.

Susanna                         - Perché il pubblico ministero rifiuta di leggere tutta quanta la lettera?

Gilles                             - Il delitto inutile era di non aver divor­ziato. Il delitto inutile era la nostra pietà. Questa stupida pietà che non ha evitato il dramma, che avrebbe potuto uccidere il nostro amore, e che ha quasi...

Lahire                            - (ai giurati contemporaneamente a Gilles) Non voglio credere che possiate accettare neppure per un attimo l'inverosimile spiegazione degli im­putati. Di tutte quelle che ci hanno date, questa è la più meschina.

Susanna                         - Ma leggete dunque tutta la lettera.

Gilles                             - Mi accorgo che il pubblico ministero non mi trova interessante.

Il Presidente                  - Continuate, Cabanis.

Gilles                             - Ma no; è chiaro che non interesso il pubblico ministero!

Lahire                            - (levando le braccia in alto) Il signor Cabanis è offeso!

Susanna                         - Signor presidente, forse la mia debole voce non arriva al pubblico ministero.

Lahire                            - Cornei

Susanna                         - (con voce forte e aggressiva) Per questo, signor presidente, chiedo a voi che sia data lettura completa di quella lettera.

Lahire                            - Ma...

Susanna                         - Lo chiedo. E all'occorrenza lo esigerò, rispettosamente, ma lo esigerò!

Lahire                            - Non c'è nulla in contrario!

Susanna                         - Quelle due frasi staccate possono la­sciare qualche dubbio nell'animo dei signori giurati, mentre...

Lahire                            - (interrompendola) Leggo, avvocato, leggo. (Mette gli occhiali e legge senza alcuna espressione) «Amore mio, ti darò un dolore. Ma non quello che tu credi. Ti amo sempre. Soltanto, ecco, sto per morire. Sì, ti faccio quest'ultima cattiveria. Me ne vado e lascio te sola nei guai. Ho fatto quello che ho potuto, faccio ancora quello che posso. Sembra che io sia un malato esemplare. Rideresti a vedermi ingoiare tutti i loro intrugli, tu che non riuscivi mai a curarmi. È proprio perché non vorrei piantarti sola. Per di­sgrazia, sembra che non ci sia più nulla da fare e che domattina tutto sarà finito. Chi sa quante noie avrai, amor mio! Purché ti resti un po' di dolore! Ti diranno molto male di me. Non crederci. Tua madre ti dimostrerà che non sei stata molto felice con me. Non avrà torto, e te ne chiedo perdono. Ti avrò trascinata da una prigione all'altra. Da quella dell'albergo Duguay-Trouin, da te libera­mente accettata, a questa, ove ora sei rinchiusa. Mi hai fatto commettere un delitto inutile. (Sottolinea con intenzione questa frase) Avremmo fatto meglio a confessare tutto. Mia reclusa, mia prigioniera, mia piccola suora, bisogna che ti riveli una cosa ignobile;; sono contento che tu sia in prigione. Perché colui che amerai dopo, non potrà strapparti a me subito! Non sono scemo. So benissimo che mi dimenticherai! E che lo scandalo nel quale siamo coinvolti non mi proteggerà a lungo. So che arriverà qualcuno il quale! ti rimprovererà di lasciare le tue...» (si ferma cercane! di decifrare la parola) « le tue... »

Hoyosse                        - (recitando la lettera in luogo di Lahinì con il suo terribile gergo di guappo) «...scarpe.! So che arriverà qualcuno il quale ti rimprovera di lasciare le tue scarpe sulla tavola e che ti ricom­prerà una borsetta ogni quindici giorni. Io non a chiedo di non spogliarti più per nessuno, ma con-| cedimi i dieci mesi che si pretendono da una vedovai e sarò contento. Dirai: che lunga lettera! Io che noni ti mandavo mai se non qualche parolina di scusa,! come per quella storia di Cahusac che ti fece pian­gere tutta la notte! Ancora, amor mio, una parola di scusa. Ancora una parola che ti farà piangere. Per fortuna, è l'ultima. Valeria, non sapevo parlarti e ti ringrazio di aver capito quello che non dicevo,! Grazie per il tuo cappellino messo di traverso e per il tuo sorriso triste. Grazie di tutto ». (Valeria si unita a Hoyosse e recita con lui la fine della lettera),

Valeria e Hotosse          - (insieme) «Non ti vedrò più, tu che avevi tanta paura d'esser guardata. Dunque finite le celie fra noi. Tu mi hai rimproverato di non averti mai detto con serietà: ti amo. Noni era negli usi, bisognava che scherzassi. Ma oggi, mio piccolo Obolinski, oggi te lo dico una volta peri tutte e senza scherzare ». ( Una lunga pausa. Roberto Lahire che ha ascoltato Hoyosse rimanendo immobile, dopo essersi tolto gli occhiali come per guardarlo meglio, si rimette a sedere per il primo, assumendo un atteggiamento di incredulità).

Lahire                            - (a Gilles) Complimenti! Si recitano le vostre lettere come delle preghiere!

Hoyosse                        - L'ho anche insegnata a Decaille ed a Mervaux.

Lahire                            - Di bene in meglio!

Hoyosse                        - Che volete? Ci è piaciuta. L'amore, quando è così, è qualche cosa. (A Gilles) Ti stimo!

Gilles                             - Grazie, Felice!

Lahire                            - Cabanis gode la stima del signor Hoyosse!

Susanna                         - Inutilmente l'accusa provoca continui incidenti!

Lahire                            - Che volete dire?

Susanna                         - Ma sì... Tutte queste schermaglie forensi! Il delitto, per Cabanis, era di aver tenuto sequestrata la sua amica all'albergo Duguay-Trouin, era di non aver informato subito la povera signora Cabanis.

Il Presidente                  - Avvocato, farete la vostra arringa domani!

Susanna                         - D'accordo. Ma tenevo a sottolineare subito questo punto capitale.

Hoyosse                        - Avvocato, se in ottobre siete libero, io vi ipoteco.

Il Presidente                  - Hoyosse, potete ritirarvi!

Hoyosse                        - Signor presidente, prima di andar­mene, vorrei ringraziare Gigi. Non perché mi abbia reso un servizio. Al contrario. Prima di conoscerlo avevo l'impressione che la vita fosse una porcheria o qualcosa di simile, e forse sarebbe stato meglio così. Ma ora credo che se avessi incontrato una trot-tolina come la sua... forse... io... In ogni modo, avrò tempo dieci anni per rifletterci. Ci penseranno loro, non dubitate.

Il Presidente                  - Potete ritirarvi, Hoyosse!

Hoyosse                        - Signor presidente, spero che in ottobre mi ritroverò a lavorare con voi...

Il Presidente                  - Godo anch'io la vostra stima?

Hoyosse                        - E come! (Hoyosse esce).

Il Presidente                  - L'altro testimone!

L'Usciere                       - Pardaillan Severina! (Entra Severina Pardaillan. È una donna di 40 anni, vestita di nero. Volto distinto. Labbra sottili e un'aria di durezza nel­l'espressione. Non guarda né la figlia né Gabanis e al banco dei testimoni si colloca in modo da non poterli

Il Presidente                  - Signora, voi siete la madre dell'imputata. Non dovete prestare giuramento. E ter­ribile la prova che vi è imposta. Cercheremo di abbre­viarla nella misura del possibile.

Severina                        - (con una volubilità e una violenza che crescono continuamente) Ah, signor presidente, non potete immaginare che cosa sia per una madre vedere sua figlia su quel banco d'infamia. Soprattutto una figlia così adorabile! Per vent'anni ci ha date tutte le soddisfazioni. Non aveva salute, poverina, ma era così dolce e affettuosa quando era ammalata, che io e suo padre ci contendevamo il compito di vegliarla la notte. Vi assicuro che ne valeva la pena. La prima ovunque e la più bella! Dai 18 ai 23 anni ce l'hanno chiesta sedici volte in matrimonio. Ma rifiutava tutti. Aspettava il grande amore! (Con intenso sarcasmo) L'ha avuto, grazie!

Valeria                          - (con grande tensione) Sta' attenta a quel che dici, mamma!

Severina                        - Ecco che cosa ha fatto di lei! Mi­naccia sua madre! Ecco a qual punto è arrivata! Ma ora non mi meraviglia più niente. Avevo tutto pre­veduto dal giorno in cui nostro cugino Rochecote le presentò quest'individuo, per sua disgrazia.

Valeria                          - Per mia disgrazia? È stata la mia sola fortuna! (Gilles le sorride amorosamente).

Severina                        - Mi sono guastata con Rochecote, natu­ralmente. Ma era troppo tardi! Ah, se avessi dato retta al mio povero marito! Dieci anni fa voleva rompere i nostri rapporti con Rochecote a proposito di un muro divisorio. E fui io a riconciliarli. Sarebbe stato meglio mi fossi rotta una gamba. È quasi un bene che mio marito sia morto: sarebbe morto ora, ucciso da quest'affare. Pensate! Venticinque anni nella stessa banca! Il Presidente          - Atteniamoci ai fatti della causa.

Severina                        - Ci sono, signor presidente.

Il Presidente                  - Rivolgetevi ai signori giurati.

 Severina                       - Figuratevi che da principio quell'individuo non ne voleva sapere di mia figlia! Non gli piaceva. Chi sa che cosa pretendeva, quel galantuomo! Preferiva Antonietta Delannoy!

Gilles                             - (incerto) Oh!.,.

 Severina                       - (aggressiva) Non preferivate Antonietta Delannoy?

Gilles                             - (fiacco) È molto imbarazzante!

Severina                        - (più aggressiva che mai) Volete far credere forse che non è stata la vostra amante?

Ménétrier                      - (svolazzo di maniche. L'avvocato è com­penetralo al massimo della sua missione) In verità, signora, non siamo mai stati l'amante di quella persona.

Gilles                             - Non parlate di queste cose.

Ménétrier                      - Ah!

Gilles                             - Sì, non parlate di queste cose!

Ménétrier                      - Ah, bene.

Severina                        - (a Valeria) Non se ne era vantato, eh?

Valeria                          - Non se ne era vantato perché non ce n'era ragione. Ma, insomma, me l'aveva detto.

Severina                        - Mi fai strabiliare!

Valeria                          - Mi spiegò bene... non poteva fermarsi che otto giorni a Parigi, e pensava che con me avrebbe avuto bisogno di più che otto giorni. (Con un sorriso misterioso) Aveva sbagliato, vedi!

Severina                        - Non ti vergogni?

Valeria                          - (esaltandosi) No. Avevo capito subito che era l'uomo della mia vita.

Gilles                             - Grazie, amore. (Le bacia le mani).

Valeria                          - (con esaltazione crescente) Sapevo anche che non contavo per lui, signor presidente. Che ero come Antonietta. Un numero. Sapevo soprattutto di non avere che otto giorni. E perché un uomo non vi dimentichi mai più, per tutta la vita, otto giorni non sono molti!

Il Presidente                  - (conciliante) Dìfatti... sono pochi!

Valeria                          - Ero convinta che non sarei riuscita a nulla. Egli partì, come aveva detto, ed io sono rimasta senza sue notizie per quindici giorni. Niente dalle Canarie. Niente dalle Bermude. Allora mi sono augu­rata che Dio mi facesse morire per punirmi di essere stata tanto stupida. Invece, una mattina, ricevo un suo telegramma dall'isola della Trinidad. Non avevo mai sentito parlare della Trinidad, signor presidente, ed è di là che mi è giunta la più grande gioia della mia vita! Dall'isola della Trinidad.

Severina                        - (acerba) Una gioia che ti ha portata qui, disgraziata! (Con odio) Ma signor presidente, voi non sapete che mostro sia quell'uomo!

Valeria                          - (tentando di farla tacere) Mamma!

Gilles                             - (a Ménétrier, malinconicamente) Cosa mi sentirò dire, ora?

Severina                        - Non le disse, naturalmente, di aver moglie. Lo seppe per caso.

Valeria                          - Me lo hai detto tu!

Severina                        - E quando lei lo seppe, si è rifiutato di divorziare. E si fosse limitato a questo! No. Ha preteso che lasciasse Parigi, che mi lasciasse, e l'ha obbligata a nascondersi qui! La faceva vivere in una catapecchia!

Susanna                         - L'albergo Duguay-Trouin non è una catapecchia!

Severina                        - Se il vostro amante vi obbligasse a starci!

Il Presidente                  - Non divaghiamo!

Severina                        - Sì. Mi ero installata di faccia, al « Gallo d'oro », e dovevo andare a vederla di nascosto, mia figlia. Oh! Sapevo da Rabouin tutto quello che faceva. A un certo momento ho anche sperato che sposasse il signor Nogarre. Ma c'è mancato poco che quel mascalzone non gli spaccasse la faccia!

Valeria                          - Non parlare di Gilles su questo tono!

Severina                        - Lo dico e lo ripeto: mascalzone!

Gilles                             - E volevate venire a stare con noi!

Lahiee                           - Signor presidente!

Il Presidente                  - Questa scena di famiglia ci tra­scina evidentemente assai lontano dalla domanda. Che cosa avete fatto il 9 settembre?

Lahire                            - Il giorno del delitto!

Ménétrier                      - Della disgrazia!

Il Presidente                  - Del dramma!

Severina                        - Io? Niente. È Valeria che è entrata singhiozzando in camera mia al « Gallo d'oro ». Aveva fatto le valige e voleva partire subito. Abbiamo noleg­giato una macchina e siamo partite per Bourges.

Lahire                            - Vostra figlia era a conoscenza del delitto del suo amante e non pensava più che a fuggire!

Severina                        - No, signor pubblico ministero. Mia figlia non è né un'istigatrice, né una complice di assassinio, come voi vorreste farla credere. Mia figlia sapeva soltanto quello che le aveva detto la signora Cabanis. Una cosa orribile!

Lahire                            - Ah sì? Che cosa?

Severina                        - Quella donna asseriva di aver par­lato di Valeria con suo marito e che questo mise­rabile aveva concluso ridendo: «Poiché in ogni modo ti sarei infedele, è meglio che lo sia con lei. Non se ne potrebbe trovare un'altra così poco ingombrante!». (A sua figlia con violenza) Anche di questo ti eri dimenticata!

Valeria                          - (con la medesima violenza) Non me ne sono dimenticata: aveva mentito nel modo più sfac­ciato e vile!

Lahire                            - (a Gilles) Non le trattate bene le vostre vittime!

Severina                        - Aveva mentito? Come lo sai? Non da lei, in ogni modo. Probabilmente te l'ha giurato lui.

Gilles                             - (che comincia a irritarsi, ma ancor sorri­dente) Sulla vostra testa, fra l'altro.

Severina                        - (patetica) Kiri, piccola mia, tesoro mio, ritorna in te stessa! Non lasciarti trascinare nell'abisso! Certo, da principio, non potevi crederlo: troppo orribile. Ma ora devi convincerti: egli ha ucciso sua moglie. (Sensazione).

Gilles                             - (a se stesso) Lei, proprio, non mi vuol bene!

Valeria                          - (urlando) Vattene, non ti voglio mai più vedere. Ti odio! Vattene!

Severina                        - (pietrificata) Che dici?

Valeria                          - Hai potuto pensare una cosa simile! E dirla! Non ti perdonerò mai, vattene!

Severina                        - (molto teneramente, supplicando) Fi­gliuola mia!

Valeria                          - Non sono più tua figlia! Essere madre non consiste nel vegliare il suo bambino quando ha il morbillo. È oggi che bisognava provarlo!

Gilles                             - Fra cinque minuti rimpiangerai le tue parole! Perdonale. Lo sai com'è violenta!

Severina                        - (con un odio invincibile) Non difen­detemi, voi! (Sta per soffocare e deve riprender fiato prima di continuare) Mi avete rubato la mia piccina, me la pagherete! Sai che cosa ha fatto questo indi­viduo per il quale stai per perderti?

Valeria                          - Fatemi portar via, signor presidente! O fate andar via lei!

Severina                        - Mia figlia aveva un'amica, signor presidente. Ha fatto tanto per lei. Ha pagato le spese del sanatorio per tre anni. Le aveva trovato un impiego. Le aveva comprato dei mobili. E quella ragazza ne abusava. Sapeva quanto era generosa, Valeria.

Gilles                             - Farebbe dei regali anche a Papà Natale!

Severina                        - (scoccando all'improvviso contro Valeria questa freccia avvelenata) Sicuro, la tua Brébion! Ti ha tradito anche con lei!

Valeria                          - (con un grido lacerante) No!

Severina                        - Li ho visti io, al Bar della Fregata. Lui con un braccio cingeva la vita di Marina e le parlava all'orecchio ridendo!

Valeria                          - Le cingeva la vita!

Gilles                             - Complottavamo una sorpresa per la tua festa!

Valeria                          - Le cingevi la vita?

Gilles                             - Da buoni compagni. Te l'ho detto: complottavamo.

Valeria                          - Non mi hai fatto mai questa sorpresa.

Gilles                             - Ero in prigione.

Valeria                          - E non me ne hai neppure parlato?

Gilles                             - Dal momento che era una sorpresa!

Valeria                          - Ma quale sorpresa?

Gilles                             - Una medaglia d'oro con la data del nostro incontro e una iscrizione incisa: « Al mio pic­colo Obolinski, per la vita ».

Valeria                          - E tu, per questo, avevi bisogno di Marisa?

Gilles                             - L'orefice le faceva degli sconti!

Valeria                          - Tu menti!

Gilles                             - Te lo giuro!

Severina                        - Sulla mia testa!

Gilles                             - Credi che oserei mentire qui?

Valeria                          - Perché no?

Severina                        - Quando è uscito, Mario, il barman, gli ha anche chiesto: « È inutile dire alla signorina che siete stato qui »; e lui ha risposto: « Sì, perfettamente inutile ».

Gilles                             - Sicuro, non volevo che tu lo sapessi!

Severina                        - Ma il più bello è che ha baciato Ma­risa sulla bocca.

Gilles                             - Cioè... quasi...

Valeria                          - Come quasi?

Severina                        - Volevo baciarla, come sempre, sulle guance. Soltanto, sono scivolato.

Valeria                          - È scivolato!

Gilles                             - Mario aveva dato la cera al linoleum.

Severina                        - Quale verosimiglianza!

Valeria                          - (umilmente) Scusami, mamma.

Severina                        - Ah, cominci a conoscerlo, ora!

Valeria                          - (tra i singhiozzi) Dunque, mi hai tra­dita?

Il Presidente                  - Questo non c'entra con le do­mande.

Lahire                            - Aspettiamo. Forse sì.

Gilles                             - Ti dico no, no e no! Mai!

Valeria                          - Dunque, mentre ti aspettavo come una cretina, tu correvi da un albergo all'altro con Marisa!

Gilles                             - Ecco che correvo da un albergo all'altro, ora!

Valeria                          - Le braccia intorno alla vita. Davanti a me non lo facevi mai!

Gilles                             - Ma sì. Spesso. Te lo assicuro.

Severina                        - Appena voltavi la testa.

Valeria                          - E non le parlavi mai all'orecchio!

Il Presidente                  - Ricominciamo, ora!

Lahire                            - Avete ragione. Non ne caveremo nulla.

Il Presidente                  - Riportiamoci ai fatti.

Valeria                          - E davanti a me non scivolavi neppure sulla sua bocca.

Gilles                             - Sei buffa, sai! Te l'ho detto che fu per il linoleum.

Il Presidente                  - Ai fatti! Ai fatti!

Susanna                         - Vi parla il presidente!

Valeria                          - (infischiandosi di ciò che dice Susanna,, a Gilles) E poi, perché una medaglia? Io non ho la catena.

Gilles                             - La sorpresa prevedeva anche una catena.

Valeria                          - Non ti credo!

Il Presidente                  - Questa discussione ha durato fin troppo. Ora fate silenzio.

L’Usciere                      - Silenzio!

Gilles                             - Insomma, signor presidente, io non posso permettere che mi si accusi di una cosa simile.

Lahire                            - (ai giurati) Di assassinio, se mai. Ma non di questo!

Gilles                             - Senti, creatura mia...

Valeria                          - Non sono la tua creatura. Sei anche tu come gli altri. Ah, bello, proprio bello, il tuo amore!

Il Presidente                  - (assai irritato) Vi farò portar fuori dell'aula!

Valeria                          - (straziante) Ed ero felice in prigione! E ti avrei dato la vita!

Gilles                             - (furibondo) Mi ascolterai una buona volta?

Il Presidente                  - (anch'egli furibondo) E voi m: ascolterete?

Severina                        - (a Gilles, con aria di trionfo) Vo: finirete la vita in galera e lei vi dimenticherà.

Gilles                             - (a Severina) Ma lasciatemi in pace, voi

Ménétrier e Susanna     - (insieme) Fate silenzio, Cabanis.

L’Usciere                      - Silenzio! (Il presidente è fuori di sé).

Severina                        - Vi dimenticherà e sarete becco!

Gilles                             - Di' a tua madre di tacere!

Valeria                          - La mamma vale più di te.

Lahire                            - Signor presidente!

Il Presidente                  - Guardie, portate via gli im­putati!

Valeria                          - Va' a baciare Marisa Brébion, va', va'!

Gilles                             - Ma fu per via del linoleum.

Il Presidente                  - Ho detto di fare uscire gli imputati!

La guardia Bourdille     - Ma signor presidente, mi rovina dai graffi!

Il Presidente                  - L'udienza è tolta.

Severina                        - (a Gilles) Sarete becco!

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

 Il giorno dopo. Una piccola stanza per la quale si può accedere all'aula della Corte d'Assise.

(La scena deve inserirsi in quella dell'atto prece­dente. Due scanni. Una vecchia poltrona rossa, una stufa. È qui che gli imputati aspettano il verdetto. Valeria porta un altro soprabito).

Gilles                             - (camminando in su e in giù nervosamente) Ma cosa stanno almanaccando? (Silenzio) Mi vuoi dire cosa fanno? Mi sembra che quando uno è inno­cente non ci sia bisogno di due ore per dirglielo.

Valeria                          - Non sono due ore: sono dieci minuti.

Gilles                             - Sono troppi anche dieci minuti.

Valeria                          - Dà loro il tempo di mettersi a sedere!

Gilles                             - Non credi che se avessero voluto assol­verci sarebbero già rientrati?

Bourdille                       - (pipa in bocca, dalla panca sulla quale è seduto) Certamente no.

Gilles                             - Ah! Certamente no, vero?

Bourdille                       - Il discorso del presidente dura almeno cinque buoni minuti. Poi, il tempo di pre­parare le schede!...

Gilles                             - Le schede!

Valeria                          - E poi essi non hanno la fretta che abbiamo noi. Prendono sul serio il loro lavoro. Per fortuna, però... È la nostra sola speranza.

Gilles                             - Soprattutto dopo la requisitoria del pubblico ministero. Ecco uno che mi odia. Mi chiedo proprio che cosa gli ho fatto.

Valeria                          - Ha esagerato. E ho sentito benissimo che questo era il parere di parecchi giurati.

Gilles                             - (avidamente) Ti pare che quel biondo piccolo con gli occhiali sia per noi?

Valeria                          - Ne sono sicuro. Anche quello alto, calvo. Ed anche quello col naso a melanzana.

Gilles                             - Non so perché, ma io faccio anche asse­gnamento su quello vecchio che sembra un ombrello.

Valeria                          - Certo.

Gilles                             - (il cui nervosismo sta sempre aumentando) Ma questi non sono che quattro! Valeria, non ce ne sono che quattro per noi!

Valeria                          - (calma) Lo so bene.

Gilles                             - E quel barbone?

Valeria                          - No.

Gilles                             - (urtato) Perché no?

Valeria                          - Gli piaccio troppo. Gli ho visto gli occhi quando tarlavano del mio reggipetto. Sarà cattivo con te.

Gilles                             - Non avrei mai creduto che un giorno avrei dovuto temere della tua bellezza.

Valeria                          - Hai paura?

Gilles                             - Una paura terribile, che mi torce le budella.

Valeria                          - Non si sarebbe detto. Hai assistito al processo come se fosse stato quello di un altro...

Gilles                             - (interrompendola) Finché si lottava, finché si discuteva con loro... finché si poteva dire qualche cosa che li potesse convincere... Ma non pensavo a quello che si rischiava! Ma ora... pensa... se fossero dei cretini!

Valeria                          - (decisa) Non è possibile.

Gilles                             - La prigione l'abbiamo sopportata perché attendevamo questo momento. Perché si faceva asse­gnamento su loro. Ma pensa... se fossero dei cretini!

Valeria                          - (come se parlasse a un bambino) Saremo assolti. Ne sono sicura. Te lo giuro.

Gilles                             - Sì. (Con fervore) Saremo assolti. Credo alla giustizia. Credo alla giustizia! (Urlando su un tono quasi disperato) Credo alla giustizia!

Bourdille                       - (senza muoversi dal suo scanno) Sentite. Io vi lascio parlare. Non sono un tiranno. Ma non fatemi avere delle noie.

Gilles                             - Scusatemi. Sono un po' nervoso.

Bourdille                       - È naturale!

Gilles                             - Non bisogna dimenticare che sono inno­cente!

Bourdille                       - Lo dice anche mio fratello Stefano.

Gilles                             - Ah, vostro fratello? (A Valeria) Questa è una buona cosa, non ti pare?

Bourdille                       - Sì. Mio fratello ritiene che un col­pevole non sarebbe stato così poco abile.

Gilles                             - Sono stato poco abile!

Bourdille                       - A quanto pare. (Sorriso di Valeria).

Gilles                             - E voi, ci credete colpevoli?

Bourdille                       - Non ho un'opinione a questo pro­posito. Il mio ragazzo maggiore mi dà delle preoc­cupazioni in questo momento, e non ho seguito bene il processo. (Valeria e Gilles si guardano).

Valeria                          - Sembra che la nostra storia non sia molto interessante!

Bourdille                       - Conosco bene l'albergo Duguay-Trouin.

Gilles                             - (preoccupato) Ah sì?

Bourdille                       - Stavate al 19, vero?

Valeria                          - (un poco sorpresa) Sì, al 19.

Bourdille                       - (alzandosi) Conosco anche il 19.

Gilles                             - Ah!

Bourdille                       - Vi ha dormito mia sorella Camilla quando è venuta qui per il suo divorzio, il mese scorso. Sembra che non abbiano toccato nulla, che tutto sia rimasto come quando ci eravate voi.

Valeria                          - (commossa) Ah!

Bourdille                       - Ma dite un po': non c'è che un letto, al 19?

Gilles                             - (un poco nervoso) Mio caro, queste cose non vi riguardano!

Valeria                          - Lascia andare!

Bourdille                       - Non arrabbiatevi! Dico così perché mi sembra che dovevate stare un po' stretti.

Valeria                          - (sognante) Sì.

Bourdille                       - Quando sono andato a trovare mia sorella, non sapevo dove mettermi a sedere.

Gilles                             - Noi lo sapevamo.

Bourdille                       - Per fortuna c'è una bella vista sulla piazza del Mercato.

Valeria                          - Tu arrivavi tutti i giorni dalla via Colonnello Moli.

Bourdille                       - Però che cattivo gusto... quella pelle d'orso e quel vecchio cassone e quel coltrone rosso! Per un albergo moderno!

Gilles                             - (mormorante) I tuoi piedini sulla pelle d'orso!

Bourdille                       - Come quel calendario col coniglio che suona il tamburo! Avrebbero potuto cambiarlo. È dell'anno scorso!

 

Gilles                             - Hanno levato l'« Entrata dei Crociati a Costantinopoli? ».

Bourdille                       - Ma che! La padrona dice anzi che voi assomigliate alla principessa turca.

Gilles                             - (trionfante) Ah, vedi?...

Bourdille                       - Sì, ma a darle retta a quella là! Ha fatto mettere in cornice un promemoria! Un pez­zetto di carta nel quale avete scritto: « 'Ricordarsi di ricomprare una borsetta a Valeria! ». Che cosa in­teressante, eh?

Valeria                          - (sorridendo) Come ho pianto quando l'ho trovato! (Susanna entra per ascoltare).

Bourdille                       - Il fatto è che l'indomani mattina mia sorella si riconciliava con suo marito.

Susanna                         - Sentite, Bourdille, la vostra storia è senza dubbio appassionante. Ma può essere che sia questo l'ultimo quarto d'ora che essi passano insieme. Avranno delle cose da dirsi.

Valeria                          - Le' stesse cose che ci dice lui.

Susanna                         - Non mi fermo che un momento. Il tempo di dirvi che passeggiando per i corridoi, ho sentito che tutto il pubblico vi è favorevole.

Gilles                             - Ah! Davvero?

Susanna                         - Se questi signori vi condannano a morte possono aspettarsi un bel putiferio!

Gilles                             - (deluso) Sì, ma il putiferio a quell'ora... che ne dici?

Valeria                          - Ma...

Gilles                             - (sovreccitato) Parliamo piuttosto dei giu­rati. Noi ne abbiamo individuati quattro che ci sono favorevoli.

Susanna                         - Quali!

Gilles                             - Quello piccolo con gli occhiali.

Susanna                         - Sì.

Gilles                             - Quello alto, calvo.

Susanna                         - Sì.

Gilles                             - Il naso a melanzana.

Susanna                         - D'accordo.

Gilles                             - E il vecchio ombrello.

Susanna                         - Volete dire l'assessore che ha le palme accademiche?

Gilles                             - Proprio lui.

Susanna                         - Ah no. Lui no. Lo avete irritato!

Gilles                             - Lo abbiamo irritato?

Susanna                         - Dimenticate invece quello con la barba.

Gilles                             - Pare che Valeria gli piaccia troppo.

Susanna                         - Sì, l'ho osservato anch'io. All'epi­sodio del reggipetto. Ma lo avete riguadagnato          - (a Valeria) grazie a vostra madre. È un uomo che deve odiare la suocera...

Valeria                          - Allora le perdonerai, non è vero?

Gilles                             - Che?

Valeria                          - Alla mamma. Le perdonerai?

Gilles                             - Non è il momento di parlare di queste cose.

Valeria                          - Dopo tutto, dobbiamo a lei se possiamo contare su un giurato di più.

Gilles                             - (con nobiltà, senza enfasi) Le perdonerò se son condannato.

Valeria                          - Ah!

Gilles                             - Non posso lasciarla vivere con un simile rimorso! Ma se sono assolto, allora, certamente no!

Valeria                          - (dal profondo del cuore) Ti ringrazio, amor mio.

Gilles                             - (a Susanna, avidamente) Non ne vedreste ancora un altro?

Susanna                         - Sì e importante! Quello dal colletto inamidato.

Valeria                          - Ah sì. Lui sicuramente. Lo facevi crepare dal ridere.

Gilles                             - (molto soddisfatto) Guarda, non l'avevo osservato.

Valeria                          - Continuamente.

Gilles                             - Molto carino! (Entra Ménétrier).

Valeria                          - Non riesco a capire come avevo potuto dimenticare quello dal colletto inamidato.

Ménétrier                      - E neanche io. È il solo sul quale conto in modo assoluto.

Gilles                             - (atterrito) Il solo?

Ménétrier                      - Non fate quella faccia! Voglio spe­rare che ce ne siano ancora due o forse anche tre. Ma non sono certo che di quello dal collo inamidato.

Valeria                          - Due o tre soltanto?

Gilles                             - Purché siano gli stessi.

Ménétrier                      - È fra i vostri quello calvo, alto?

Gilles                             - Sì.

Ménétrier                      - E quello con la barba?

Susanna                         - Vedete? Il barbuto. Ne ero sicura.

Gilles                             - E quel piccolo, biondo, con gli occhiali?

Ménétrier                      - Ah quello no.

Gilles                             - (furioso) Come no?

Valeria                          - Perché no?

Ménétrier                      - Non so perché. Non mi pare.

Gilles                             - Eppure siamo in tre a contare su di lui.

Ménétrier                      - Probabilmente di questo lui se ne infischia.

Valeria                          - È spaventoso!

Gilles                             - Non perdiamo il nostro tempo a rim­piangere questo «quattrocchi»!

Ménétrier                      - Anche perché non è certo lui il più ostile.

Gilles                             - Ah, no?

Ménétrier                      - C'è l'assessore con le palme acca­demiche.

Susanna                         - Ve l'avevo detto!

Gilles                             - Vecchio rimbambito! Per fortuna che ne abbiamo ancora uno. (Breve pausa) Quale era?

Bourdille                       - La melanzana!

Gilles                             - Ah, è vero, grazie! (A Ménétrier) Che ne pensate?

Ménétrier                      - Il bovaro? No.

Gilles                             - (sconvolto) No? Ma allora non ce ne rimangono che tre! Tre! Dei quali non siamo nem­meno sicuri. È ignobile, è inammissibile!

Valeria                          - (a Susanna, con serietà commovente e un poco comica) Si può, è vero, avvocato, sposare un condannato a morte?

Gilles                             - (scattando) Bel modo di farmi coraggio!

Valeria                          - Vero, avvocato?

Susanna                         - (molto commossa) Credo di sì.

Valeria                          - E lo potrebbe anche sposare una con­dannata a morte?

Susanna                         - Sì, credo di sì.

Valeria                          - Allora, nel caso, voi farete subito le pratiche necessarie. (Susanna abbraccia piangendo Valeria).

Ménétrier                      - Ci sono ancora delle donne fatte così!

Gilles                             - (furibondo) Ma insomma, non siamo mica condannati a morte, per ora!

Ménétrier                      - Ah, se vostro fratello non avesse mentito per quell'affare del pranzo!

Gilles                             - (con amarezza) Già. Ma invece ha men­tito...

Ménétrier                      - Ed è tanto più straordinario che alla fine della sua deposizione ha fatto quanto era possibile per salvarvi.

Gilles                             - (dolcemente, indicando Valeria) È per lei-

Valeria                          - Per me?

Gilles                             - Non ci aveva mai visti insieme. Credo che sia stato affascinato dal nostro amore. (Valeria gli prende una mano).

Susanna                         - Tutti lo sono stati, disgraziatamente.

Gilles                             - Disgraziatamente?

Susanna                         - È proprio questo che può perdervi. La gente ammira gli amanti, ma non li ama. Non li ammette che quando sono molto infelici.

Gilles                             - Va bene. E allora?

Ménétrier                      - Siete infelici, voi?

Valeria                          - Non dite sciocchezze!

Ménétrier                      - Lo siete stati due volte, durante tutto il processo, per cinque minuti. E solamente quando l'uno o l'altro avete creduto di essere tra­diti. Rischiavate la testa con perfetta indifferenza, ma, al contrario, perdevate il controllo per una porta aperta o un appuntamento in un bar.

Valeria                          - Avevo torto. Gli ho chiesto perdono.

Ménétrier                      - Siete capitati di fronte a delle brave persone, probabilmente non molto felici, e le avete fatte testimoni del vostro amore, un amore magni­fico, forse, ma terribile. Non so se potranno mai perdonarvelo!

Valeria                          - (con una indignazione sprezzante) Per­donarcelo?

Susanna                         - E poi avete detto troppo bene di vostra moglie.

Valeria                          - (vivamente) Vero?

Susanna                         - Non dovevate protestare tanto quando. la moglie del capitano Cloarec l'ha accusata.

Valeria                          - Oh no. Era ignobile. Non poteva lasciar passare una cosa simile!

Ménétrier                      - Che volete! L'avete resa troppo simpatica!

Gilles                             - Troppo simpatica? Ma siete un bel tipo! Era adorabile, Teresa! Domandetelo a quelli che l'hanno conosciuta. Alla sua zietta, per esempio, che è impazzita dopo la sua morte. Era allegra, bella, graziosa, affascinante. Se ha fatto tanto male è perché io non l'amavo. Teresa era degna di tutto il rispetto e di tutta la felicità. Era per me una sorella adorabile.

Ménétrier                      - Ecco quello che avreste dovuto dire.

Susanna                         - Per fortuna avete un alleato!

Ménétrier                      - E quale alleato! Il presidente!

Valeeia                          - Ci è favorevole?

Ménétrier                      - Ne sono quasi certo!

Gilles                             - Sì, ma del presidente ce ne infischiamo: non vota!

Ménétrier                      - Non soltanto vota, ma dal 1944 dirige le deliberazioni.

Susanna                         - È una vecchia volpe. Passa per un uomo troppo buono e un po' rammollito. È la sua tattica. Non sta a sentire che gli imputati. E li fa parlare senza preoccuparsi troppo del regolamento. Sono convinta che vi crede innocenti.

Ménétrier                      - Lo conosco. Metterà i giurati di fronte a questo dilemma: gli imputati hanno ucciso e devono essere uccisi; o sono innocenti e devono essere assolti. Non ci possono essere mezze misure.

Susanna                         - E vi farà assolvere.

Gilles                             - Ah, no, no. Non dateci questa speranza, ora! Se volete darci la forza di sopportare ciò che stanno per decidere fra poco, non venite a darci delle speranze!

Valeria                          - Gilles!

Gilles                             - Bisogna rinunziare alla felicità, invece. Presto! presto! Pensare che mi vogliono separare da lei. Del resto, me ne infischio. Morire un po' più o un po' meno!

Valeria                          - (commossa) Amore mio!

Gilles                             - Ne abbiamo fatte abbastanza di indu­zioni. Abbiamo chiacchierato abbastanza del signore alto e calvo e del piccolo con gli occhiali. Sembra che non basti essere innocenti. E allora ci lascino in pace con la speranza!

Bourdille                       - Non siete ragionevole!

Gilles                             - È vero, scusate. (Molto gentilmente a Susanna) Non è con voi che ce l'ho, naturalmente. Voi siete molto cara. Avete parlato benissimo per la mia piccina. Ma è l'attesa... Non so più quello che dico. (Le stringe la mano).

Ménétrier                      - (facendo cenno a Susanna di seguirlo) Ora non tarderanno molto. (Escono).

Gilles                             - Ora non tarderanno molto.

Valeria                          - Ho sentito.

Gilles                             - Quanto tempo abbiamo perduto con questi avvocati!

Valeria                          - Non rimpiangerlo. È stato un modo di tenerci occupati.

Gilles                             - Dunque, non sentivi il bisogno di rima­nere sola con me?

Valeria                          - È troppo atroce. (Breve silenzio).

Gilles                             - Quando penso che forse ti parlo per l'ultima volta! Vorrei dirti qualche cosa di mera­viglioso!

 

Valeria                          - Dimmi qualunque cosa, amore mio. Ma impediscimi di pensare a loro, a quello che fanno, a quello che dicono.

Gilles                             - Però se ci assolvono! (Quasi aggressivo) Come? È possibile? Mi amerai ancora in una vita tranquilla, normale?

Valeria                          - (gravemente) Sì.

Gilles                             - (incalzante) Senza pericoli!

Valeria                          - Sì.

Gilles                             - (sempre più incalzante) Quando non sarò obbligato a superare me stesso ad ogni momento!

Valeria                          - Sì.

Gilles                             - (più incalzante ancora) Quando sarò ritornato un uomo qualunque, come tutti?

Valeria                          - Sì.

Gilles                             - Quando navigherò nel mare delle Antille e tu mi aspetterai alla Trinidad?

Valeria                          - E tu, laggiù, mi amerai ancora?

Gilles                             - Ti sogno giorno e notte, da cinque mesi, capirai!

Valeria                          - Appunto. È molto difficile essere realtà per chi è stato sogno.

Gilles                             - Ti amerò sempre.

Valeria                          - (sorridendo) Dimmelo come nella let­tera di Hoyosse, una volta per tutte, e senza scher­zare. (Si sente un campanello. Bourdille che si era allon­tanato con discrezione, si riavvicina).

Bourdille                       - (si alza) I giurati stanno per rien­trare.

Valeria                          - Non è possibile. Troppo presto. Non ti ho ancora detto nulla. Non ti ho ancora detto nulla.

Gilles                             - Amore mio!

Valeria                          - Ah, come vorrei darti un ricordo... una piccola cosa... Ma non ho più nulla. Mi hanno portato via tutto. (Fruga febbrilmente nella borsetta) Niente.

Gilles                             - (sorridendo) Ti adoro!

Valeria                          - (rialzando la testa) Però un dono posso fartelo ugualmente: non ti ho mai mentito.

Gilles                             - (commosso) Mai?

Valeria                          - Mai.

Gilles                             - Neppure una volta?

Valeria                          - Mai. Non ne sei felice?

Gilles                             - Molto felice. (Con uno sforzo) Anch'io, amor mio, posso farti un dono: ma non sarà bello. Ma sarà una grande prova d'amore. Una prova ter­ribile. Perché con questo dono corro il rischio di perderti.

Valeria                          - Non voglio sapere.

Gilles                             - È necessario. È necessario che io sia degno di te, povero amore mio, almeno una volta, almeno in questo momento. Ecco... (Con un grande imbarazzo e con uno sforzo enorme) Ti ho tradito con Marisa.

Valeria                          - (a voce spenta) Lo sapevo. L'ho sempre saputo.

Gilles                             - E non ho giustificazioni. Mi prendeva in giro perché ti ero fedele. Perdonami, se puoi.

Bourdille                       - (che comincia ad arrabbiarsi) I giu­rati prendono posto.

Valeria                          - Ti perdono. Forse è meglio così. Ora, qualunque cosa accada, siamo veramente soli. Senza fratello, senza madre, senza amica.

L'Usciere                       - (entrando da si­nistra) Agenti, fate entrare gli imputati.

Gilles                             - (con angoscia) Al­lora presto, amore mio, presto. Se dovesse accadermi qualche cosa promettimi che ti rifarai una vita.

Valeria                          - (indicando Bourdille) Andiamo: non diamogli delle noie.

Bourdille                       - Non sono mica un tiranno, io!

Gilles                             - Non potrei morire tranquillo pensando al male che ti ho fatto. Come vedi, non merito il tuo amore e non so­no che un imbecille. Promettimi che ti rifarai una vita.

Valeria                          - Mai.

Gilles                             - (incredulo) Oh! mai?

Valeria                          - (ribellandosi) Di' addirittura che ti dimenticherò.

Gilles                             - Naturalmente. Mi dimenticherai.

Valeria                          - Allora ti amo meno di Teresa. Ti amo meno di Teresa, dillo!

Bourdille                       - (seccato) Ormai devo aprire.

Valeria                          - (con un grido) È finita! Guardiamoci bene, Gil­les; ricordiamoci bene come siamo. Non voglio diventare .per te soltanto una graziosa biondina. Ho gli occhi fondi, gli zi­gomi sporgenti, la bocca grande, una piccola cicatrice sulla guan­cia. E ti amo, ti amo. E tanto meglio se ci uccidono.

Gilles                             - Mio piccolo Obolinski! (Quando si avviano e sono quasi sulla porta entra Ménétrier).

Ménétrier                      - Ma allora, cosa fate? Non v'interessa neppure di sapere che siete

Valeria e Gilles             - Cosa? Assolti?

Ménétrier                      - Sì. Ho Un amico fra i giurati. Me l'ha la­sciato capire.

Gilles                             - E allora... amore... diamoci un appuntamento: c'incontreremo alla Trinidad!

FINE