Ci penso io

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CI PENSO IO

Commedia in tre atti

diARMANDO CURCIO

                                   

PERSONAGGI

ERMINIA PANCALDI

GIO­VANNA e VITTORIA, sue figlie

FRANCESCO VITALI, marito di Vittoria, piccolo in­dustriale

di sapone, profumi, dentifrici, brillantina, ecc.

GEMMA, impiegata

STEFA­NO PANCALDI, fratello di Erminia, industriale di sapone

TORREGGIANE agente tea­trale

BENTINI

BAGNOLLl

GIORGIO LANDI

MA­RIA, cameriera

LUIGI

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La scena rappre­senta una vasta sala borghese. Alle mura alcuni quadri. Pres­so una finestra, una sedia bassa, con un piccolo tavolo da la­voro. Mobili vari: una cassapanca di le­gno nero, scolpito ; un « buffet » basso di quercia scura ; un gran «canapè-». Al­cune sedie « Diretto­rio ». In mezzo, una tavola da pranzo, rettangolare. Sulla parete di fronte, il ritratto di Napoleo­ne Pancaldi.

(All’alzarsi del sipario, la sala è vuota. Poi, Maria entra, precedendo Stefano).

Maria                             - Accomodatevi, signor Stefano! Chiamo su­bito il signore. (Esce).

Stefano                         - (sedendo) Grazie.

Francesco                      - (entrando dalla sinistra) Buongiorno, zio.

Stefano                         - Caro Francesco.

Francesco                      - Avevo bisogno di parlarvi.

Stefano                         - Sono a tua disposizione.

Francesco                      - (è imbarazzatissimo, si schiarisce la voce; ha tutta Varia di non sapere come incominciare) Vo­lete fumare, prego?...

Stefano                         - Ti ringrazio, non fumo mai prima di pranzo.

Francesco                      - Ma vi prego... Eccezionalmente...

Stefano                         - Impossibile. Noi Pancaldi non diciamo mai di sì, quando abbiamo già detto di no.

Francesco                      - Ho capito... (Si dimena nervosamente sulla sedia; alla fine, si decide) Voi sapete, zio, che la mia azienda è sempre andata molto bene...

Stefano >                      - Oh, lo so, lo so... E ne sono stato sempre molto contento.

Francesco                      - Ebbene, adesso è in panna, zio.

Stefano                         - Come mai?

Francesco                      - Una disavventura commerciale. Il più forte dei nostri grossisti è fallito. Doveva saldarci tre giorni or sono una fattura di cinquantamila lire.

Stefano                         - Ed è fallito?

 

Francesco                      - E' fallito.

Stefano                         - (è seccatissimo ; mostra di concentrarsi, come per riflettere sul da farsi).

Francesco                      - Intanto, io su quelle cinquantamila lire contavo; ho impegni urgenti; scadenze improrogabili. Il fallimento del mio cliente potrebbe travolgere anche me. E la mia rovina sarebbe terribile per tutti noi...

Stefano                         - Erminia sa nulla?

Francesco                      - Nulla, zio. Preferisco che non sappia. Tornerà tra giorni da Como; ma conto di celarle ogni cosa.

Stefano                         - Fai benone. (Pausa. L'angoscia di Stefano, che paventa una richiesta di danaro, è assai visibile).

Francesco                      - E allora, zio?

Stefano                         - Ecco qua: per l'amore che vi porto, sono disposto a starti vicino ed a recarti l'aiuto che mi chiedi...

Francesco                      - (illuminandosi) Meno male!

Stefano                         - Purtroppo, però, il mio aiuto sarà soltanto di natura morale, perché le mìe disponibilità econo­miche sono completamente impegnate nel mio giro di affari...

Francesco                      - (rabbuiandosi) E allora?...

Stefano                         - E, allora, mio caro Francesco, ricordati che, nella vita, assai spesso, un consiglio dato a tempo vale molto più del danaro: ed io potrò darti consigli preziosi, che ti serviranno ad affrontare con saggezza il critico momento che attraversi...

Francesco                      - (deluso) Grazie, zio...

Stefano                         - Dunque, raccogli intorno a te i tuoi maggiori creditori e proponi ad essi di ratizzare il tuo de­bito. Anch'io interporrò i miei buoni uffici perché la tua proposta venga presa in benevola considerazione. Quanto al tuo cliente fallito, stai in guardia: e, se vuoi essere validamente patrocinato, ti darò il nome di un valoroso professionista, assai esperto in materia falli­mentare, che potrà ottimamente tutelare il tuo interesse. Ed ora, mio caro Francesco, lascia che io vada... (Alzandosi) Vittoria sta bene?

Francesco                      - Bene. Volete che la chiami?

Stefano                         - No, lascia stare. É? già tardi ed i miei affari reclamano la mia presenza...

Francesco                      - Scusate ancora un momento, zio Stefano. Poiché tra un mese, si matura per me un forte incasso sul quale posso sicuramente contare, se voi poteste pie-starmi una somma liquida che mi permettesse di siste­mare i miei impegni più urgenti, io ve la restituirei immancabilmente fra trenta o quaranta giorni al più tardi.

Stefano                         - Non posso, Francesco. Ti ripeto che ogni mia disponibilità è assorbita dal mio giro di affari...

Francesco                      - Perdonate se insisto, zio Stefano...

Stefano                         - E' inutile, caro. Ti ho già detto che un Pancaldi non dice mai di sì, quando ha già detto di no. Riguardo al mio aiuto morale, puoi contarci.

Francesco                      - Grazie, zio, grazie.

Stefano                         - Mancherebbe altro. Addio, Francesco...

Francesco                      - Arrivederci, zio.

Stefano                         - (esce).

Francesco                      - (siede su d'una poltrona, affranto, e vi ri­mane un po' con la testa fra le mani).

Vittoria                         - (compare dalla sinistra e si ferma accanto alla poltrona, restandovi per un attimo senza parlare).

Francesco                      - (levando il capo) Sei qui?

Vittoria i                       - Hai parlato con zio Stefano?

Francesco                      - Nulla da fare!

Vittoria                         - Era prevedibile. (Siede, con aria di grande sconforto). [Cosa ti ha detto?

Francesco                      - Le solite scuse: che le sue disponibi­lità liquide sono tutte impegnate, che momentaneamente non può, eccettera. Bugie. Tutti sanno che ha fortis­sime riserve in contanti, e che avrebbe potuto aiutarmi senza alcuno sforzo. E cosa gli sarebbe costato impre­starmi cinquantamila lire, che per me rappresentereb­bero in questo momento un vero e proprio salvataggio, e che io gli restituirei sicuramente tra un mese?

Vittoria                         - (tace, visibilmente preoccupata).

Francesco                      - (si leva, le va vicino, la carezza) Non preoccuparti, Vittoria. Tutto andrà per il meglio. Ci rivolgeremo allo zio Alberto...

Vittoria                         - Peggio che andar di notte. Tu non conosci lo zio Alberto. Al suo confronto, lo zio Stefano diventa un fenomeno di prodigalità.

Francesco                      - (siede e rimane ancora un po' assorto) A che ora giunge la mamma?

Vittoria                         - Dovrebbe essere qui a momenti!

Francesco                      - Mi raccomando, Vittoria! Che essa non s'accorga di nulla.

Maria                             - (entra, precedendo la signora Erminia, Gio­vanna e un facchino) La signora Erminia! (Esce).

Erminia                         - Buongiorno, figli miei.

Giovanna                      - (bacia Vittoria, saluta Francesco. Scambio di effusioni e di cordialità fra tutti).

Vittoria                         - Avete viaggiato bene?

Erminia                         - Malissimo. Indovinate un po' chi troviamo in treno? Mario De Leone, il poeta...

Francesco                      - Quello gobbo?

Rimesta                         - Quello gobbo, sì. Ah, cari miei ragazzi, non è affatto vero che i gobbi portino fortuna. Se s'in­contra quel gobbo lì, altro che fortuna! Capita la di­sgrazia di dover sentire tutte le sue poesie, i suoi so­netti, con la coda, senza la coda, con le dieresi, le li­cenze poetiche e chi più ne ha più ne metta. Alla fine, quando credevamo che con le poesie l'avesse smessa, ci confessa che lui è versato anche nelle novelle, perché ha molte corde al suo arco. «Va, va - stavo per dirgli -staccane una di queste corde e attaccatela al collo ». (Al facchino) E tu, cosa vuoi? Il Facchino \(si porta la mano al berretto).

Erminia                         - Ah! Il guiderdone!

Francesco                      - Aspettate, mamma, che faccio io!

 

Erminia                         - Nemmeno per sogno! Mi rovineresti tutta la contabilità! (Dà dieci lire al facchino) Ecco qui: adesso sono al pareggio. Quanto mi hai dato per la campagna? Seimila lire: mi sono rimaste solo quelle dieci lire. Adesso il mio bilancio quadra perfettamente Questo significa essere un'amministratrice coi fiocchi E pensare che il mio povero papà, pur essendo fortissimo in ragioneria, impiegava delle intere notti per bi­lanciare l'attivo col passivo. Ma poi, per la verità, ci riusciva sempre! E nessuna azienda affidata a lui è mai andata in malora. (Guardandone il ritratto) Del resto, non si chiamava Napoleone per niente! E a Milano, quando si nominava Napoleone Pancaldi... Basta là... non si andava più avanti! (Al facchino) E tu, cosa fai ancora impalato lì? Fila via!

Il Facchino                    - (esce).

Erminia                         - (siede, soddisfatta).

Vittoria                         - E così, mamma, ti sei divertita?

Erminia                         - - Come ci si diverte sempre in villeggia­tura. E poi, siamo capitate in un albergo pessimo e caro. Stamattina, quando sono andata per il bagno, ho visto che tutt'in giro c'era un dito di sporco alto così. « Dite un po' - ho detto alla cameriera - e, quando si è fatto un bagno in questo albergo, dov'è che si va poi a fare un altro bagno per lavarsi? ». Roba dell'altro mondo! Non ti dico, poi, il conto! Una truffa, una vera truffa, Quando siamo andate via, ho visto la cuoca che spen­nava dei polli innanzi alla cucina. C'era il padrone a pochi passi che si profondeva in inchini: stava tutto curvo così, che sembrava un punto interrogativo. Mi volto alla cuoca e le dico: « Quei polli lì sono fore­stieri? ». «Oh! - dice - perché ? ». «Vedo che li spen­nate così bene! ». Il padrone dell'albergo è diventato blu... (A Vittoria) E tu, cara cocca, sei stata bene a Salsomaggiore?

Vittoria                         - Sì, mamma, bene.

Erminia                         - (a Francesco) Anche tu, mio arcigno ge­nero?

Francesco                      - Sì, mamma.

Erminia                         - Ti vedo un po' rannuvolato.

Francesco                      - No, mamma. E' una vostra impressione.

Erminia                         - Una mia impressione? 'Sarà! (A Vittoria) Vittoria, fatti aiutare dalla donna e porta la mia roba nella mia camera.

Vittoria                         - (esegue).

Giovanna                      - Vuoi prendere qualcosa, mamma?

Erminia                         - Sì, un cappuccino.

Giovanna                      - (a Maria, che aiuta Vittoria a portar le valigie) Un cappuccino,

Maria                             - (Esce).

Erminia                         - (a Francesco) Francesco!

Francesco                      - Mamma!

Erminia                         - Tu hai qualche preoccupazione!

Francesco                      - No, mamma!

Erminia                         - E io ti dico di sì...

Francesco                      - Vi assicuro, mamma. E' una vostra im­pressione!

Erminia                         - Ebbene, Francesco, ascoltami. Io so che la tua azienda è in pericolo...

Francesco                      - Chi ve lo ha detto?

Erminia                         - Ssst! Lasciami finire! So che uno dei tuoi clienti è fallito. Egli doveva saldare tre giorni or sono una fattura di cinquantamila lire. Il suo dissesto ti mette in serio imbarazzo, perché non puoi far fronte agli impegni che scadono in questi giorni...

Francesco                      - [Mamma, chi vi ha detto tutto questo? Io non ho parlato con anima viva! Non c'è nessuno, dico nessuno, che sappia...

Erminia                         - Ma una mamma sa sempre. E le tue ama­rezze, le tue preoccupazioni non sono quelle di mia figlia?...

Francesco                      - Non capisco nulla!

Erminia                         - Ma io sì, per fortuna! E come! Dimmi un po', caro Francesco, è vero tutto ciò che ti ho detto?

Francesco                      - Sì, mamma.

Erminia                         - E' vero che ti occorrono cinquantamila lire circa, altrimenti la tua azienda potrebbe naufragare?

Francesco                      - Sì, mamma...

Erminia                         - 'Che tra un mese potresti rimborsare tale somma, poiché si maturano altri incassi?

Francesco                      - Anche questo sapete?

Erminia                         - Sì, caro. Ti ripeto che io vigilo su tutto e che so tutto. E allora? Come hai deciso di regolarti?

Francesco                      - Non ho ancora deciso nulla, mamma...

Erminia                         - Hai chiesto aiuto a qualcuno?

Francesco                      - Sì. A zio Stefano.

Erminia                         - Ahi, ahi. Cosa gli hai detto?

Francesco                      - Gli ho parlato della mia disavventura e l'ho pregato di prestarmi del denaro...

Erminia                         - E lui?...

Francesco                      - (tace).

Erminia                         - Ci scommetto che ti ha dato dei consigli.

Francesco                      - E' proprio così, mamma.

Erminia                         - Già. Perché lui, in fatto di consigli, è di una generosità commovente. Se tu hai bisogno di mille lire, stai sicuro che lui non esita un istante: ti dà mille, duemila consigli, e tutti magnifici, tutti disinteressati. Quell'uomo lì finirà col rovinarsi, a furia di dar con­sigli! Finirà col ridursi a tarda età senza neppure un consiglio! (Pausa). E con Alberto hai parlato?

Francesco                      - No, non ne ho avuto il coraggio...

Erminia                         - E hai fatto benissimo.

Francesco                      - Vittoria, difatti, mi ha detto che zio Al­berto è più avaro di zio Stefano...

Erminia                         - No, no... Vittoria si sbaglia... Zio Alberto più avaro di zio Stefano? Ma nemmeno per sogno! Sono in gara, ecco tutto. C'è una lotta, una competizione. E' qualche cosa come l'incontro Paolino-Camera. Qualche volta si direbbe che debba vincere lo zio Alberto, ma poi lo zio Stefano tiene duro, riprende il sopravvento... Insomma, è l'incontro di due campioni... In tutti i modi, tra l'uno e l'altro, offrono un bello spettacolo sportivo! (Pausa). Oh, senti qua, Francesco. Fai venire al tele­fono mio fratello Stefano...

Francesco                      - Credete che a voi?...

Erminia                         - Non so... Voglio parlargli...

Francesco                      - Farete un altro buco nell'acqua.

.

Erminia                         - Non credo. A me dirà di sì, forse. E sai per quale ragione? Perché io non gli chiederò mica del denaro. Gli chiederò dei consigli, io!

Francesco                      - (compone un numero al telefono, poi) Pronto! Volete chiamarmi Stefano Pancaldi, per fa­vore? (Ad Erminia) Ecco: a voi...

Erminia                         - (al telefono) Ciao, caro Stefano... Senti un po': come vanno i tuoi affari? Ce la crisi? Ho io  capito: significa che quest'anno hai guadagnato cento mila lire meno dell'anno scorso. Senti, germano. Io avrei bisogno di vederti un momentino: non allarmarti, ho da chiederti un consiglio... Vieni tra poco? Bravo. Ti aspetto qui... (A Francesco) E tu, non vai in ufficio?

Francesco                      - (con imbarazzo) Sì, mamma... Tra poco vi andrò.

Erminia                         - Ho capito. Tu cominci a disertare l'uf­ficio e ciò è male. Non è vero, forse?

Francesco                      - Ma no, mamma...

Erminia                         - E io ti dico di sì... Conosco la psicologia del debitore: ogni telefonata, ogni scampanellata gli mette paura... Ed egli abbandona gli affari, evita ogni contatto coi creditori... Così la sua azienda fatalmente, inevitabilmente, si scardina e crolla... Oh, conosco que­sta musica! E' stato il quotidiano concerto della mia infanzia! E conosco anche la psicologia del creditore: credi a me, il creditore è la migliore bestia che esista: diceva il mio papà che il creditore è come quei mastini che, se tu scappi, ti corrono dietro e magari ti adden­tano i polpacci; ma, se tu gli vai incontro ridendo, ti leccano le mani e ti fanno le feste... E tu vorresti scap­pare?

Francesco                      - No, mamma, ma...

Erminia                         - Ma... ma... ma... Bisogna star sulla breccia, bisogna... Con coraggio, con fiducia... Altro che ma! E poi... che paura ti fanno i creditori? U creditore è in ogni caso il tuo migliore alleato, il tuo più costante, più affezionato amico... Caro mio genero, viene il mo­mento in cui noi siamo dimenticati da tutti: dagli amici, dai parenti, perfino dai nemici: ma dai creditori, mai! Dunque, va! Stai in ufficio serenamente ed abbi fede! Qualche cosa succederà!

Francesco                      - Arrivederci, mamma... (Esce).

Erminia                         - Addio, caro... (Va al telefono; compone un numero, poi) Pronto! Torreggiani? E' la signora Pancaldi! Sono io, Torreggiani. Come va? Tutto male? Be', questo è l'importante. Sentite, Torreggiani, avrei bisogno di parlarvi. Venite qui? Ecco, bravo Torreg­giani, v'aspetto! (depone il microfono. Alle ultime battute, sotto la porta di sinistra è comparsa Giovanna).

Giovanna                      - A chi telefonavi, mamma?

Erminia                         - Brava, proprio di te avevo bisogno... Senti qua: oramai le vacanze sono finite e si ricomincia una vita nuova. In casa Pancaldi, vi sono molte cose che non vanno: ma le faremo andare... (Con intenzione) Hai capito?

Giovanna                      - Cosa intendi dire, mamma?

Erminia                         - Intendo dire... un sol nome: Giorgio Landi... E mi pare che sia abbastanza...

Giovanna                      - Continuo a non capire, mamma...

Erminia                         - Mi capirai, quando ti dirò che certi a-mori, diremo così, balneari, devono finire quando la villeggiatura 'finisce?.,.

Giovanna                      - Ma il mio amore, mamma, non è uno di quelli che tu chiami balneari...

Erminia                         - (ironicamente) Ah no? Ah, si tratta dun­que d'una cosa seria?

Giovanna                      - Giorgio Landi, è il mio primo amore, mamma...

Erminia                         - Ma certi primi amori sono come i primi

Erminia                         - (Diecimila lire? E' l'ultima vostra parola?

Torreggiani                    - Come si potrebbe fare diversamente? Voi sapete meglio di me che uno spettacolo costa. Ed io vi garantisco un complesso di primi ordini e un teatro importante... L'economia, in certi casi, rappre­senterebbe un danno.

Erminia                         - Se voi credete che queste siano le con­dizioni più favorevoli, accetto senz'altro. Ma, mi racco­mando... Un grande teatro.

Torreggiani                    - Potete contarci...

Erminia                         - Per quando si potrebbe fissare il debutto?

Torreggiani                    - Tra un mese, al massimo.

Erminia                         - Benone. E speriamo bene. Vi manderò Giovanna e vi accorderete con lei per l'opera da sce­gliere, per le prove e per tutto il resto. Quanto a noi, regoleremo £ nostri rapporti a debutto avvenuto.

Torreggiani                    - Come voi volete.

Erminia                         - E speriamo in un successone...

Torreggiani                    - Quanto a questo, io farò del mio meglio... Ma, sapete, in teatro bisogna nascere con la camicia...

Erminia                         - E bisogna sapersela togliere. Ma con mia figlia niente da fare, caro Torreggiani. E allora siamo d'accordo. Arrivederci.

Torreggiani                    - Arrivederci, signora.

Maria                             - (entrando) Il signor Stefano.

Erminia                         - Fallo passare.

Maria                             - (esce).

Erminia                         - Caro Stefano!

Stefano                         - Mia cara Erminia! Godo nel vederti bene!

Erminia                         - Si fa quel che si può (Osservandolo) E tu? lascia che ti guardi! Ma come stai bene! Sei perfino ingrassato! Si vede che i tuoi affari vanno bene!

Stefano                         - Oh Dio! Ti ho già detto che, nonostante la crisi, qualche cosa si fa...

Erminia                         - Già, già... Me l'hai detto! Mi hai detto che c'è la crisi...

Stefano                         - Sicuro, sicuro...

Erminia                         - E io ti ha risposto che hai guadagnato cen­tomila lire meno dell'anno scorso...

Stefano                         - Oh  Dio, cosa vuoi? (Nonostante la crisi, io mi salvo... Mi salvo sempre...

Erminia                         - Stefano, sai cosa c'è di nuovo: adesso che ti vedo, mi accorgo che, invece di guadagnare cen­tomila lire meno dell'anno scorso, hai guadagnato cen­tomila lire di più...

Stefano                         - (ridendo) Adesso, esageri...

Erminia                         - Va là, va là che ti conosco!

Stefano                         - Se non fosse per la crisi, ti assicuro che- Ma, sai, questa benedetta crisi...

Erminia                         - Ah già! Ce la crisi! Tutti gli anni c'è la crisi! Io ero piccina così e c'era la crisi! E di anni ne è passato qualcuno... Ma la crisi è rimasta! Quella non manca mai! E, nonostante la crisi, te ne fai di pubblicità: pagine intere nel «Corriere della Sera» e nella « Domenica del Corriere »... E poi dappertutto... Insomma, si vede che va bene... Quello che m'è pia­ciuto molto è stato l'annunzio col sole.

Stefano                         - (con disappunto) No, quello non è mio...

'Erminia '                       - Come non è tuo? Ma sì, che mi pareva tuo: «Il sole tramonta, il sapone Floreal non tramonta mai »...

 

Stefano                         - Ti sbagli... Ti sbagli come si sbagliano tutti... Il sapone « Boreal »... E' un mio concorrente, un certo Mezzetti... Forse, lo conoscerai...

Erminia                         - Ah, Mezzetti... Sicuro che lo conosco...

Stefano                         - Ebbene, gioca sulla somiglianza dei nomi, sfruttando il credito del mio sapone... Invece di «Flo­real», «Boreal»... Ma è un tristo figuro, un perso­naggio ignobile! Non parliamone neppure... Piuttosto, cara Erminia, vuoi dirmi la ragione per la quale mi hai fatto venire fin qui?

Erminia                         - Ecco qua: io ho molta fiducia in te ed ho bisogno d'un tuo consiglio. Io so che, quando ti si chiede un consiglio, non lo rifiuti mai.

Stefano                         - Mai, mai...

Erminia                         - Ecco, bravo... In famiglia Pancaldi, siete tutti così. Quando si tratta di consigli, non vi tirate mai indietro...

Stefano                         - E siamo scrupolosissimi nel darli!

Erminia                         - Precisamente: siete scrupolosissimi. E ge­nerosi. In fatto di consigli, siete dei veri e propri be­nefattori. Ecco la ragione per la quale io mi sono ri­volta a te!

Stefano                         - Sono a tua disposizione!

Erminia                         - Dunque, mio caro Stefano, tu devi sapere che il vento della follia ha attraversato il cervello di mio genero.

Stefano                         - Cosa dici mai?

Erminia                         - La verità...

Stefano                         - Francesco è impazzito?

Erminia                         - Oh Dio! Non proprio impazzito, ma quasi. Egli è stato preso dal dèmone del gioco: « rou­lette », Venezia, San Remo... In tre giorni ha perduto cinquantamila lire... Per carità, mio caro Stefano, non credere che io ti chieda del denaro in prestito: ti ho già detto che io voglio un consiglio, e solo un con­siglio...

Stefano                         - Io sono a tua disposizione per tutto ciò che può occorrerti... Se non ti aiutassi io che sono tuo fratello, chi dovrebbe aiutarti? (Concentrandosi) Dun­que, Francesco è stato preso dalla febbre del gioco e rischia di rovinarsi... (Pausa). Erminia, vuoi che te lo dica? Lo avevo indovinato!

Erminia                         - Sei un genio!

Stefano                         - Oh Dio, ho dell'esperienza! Ho molta esperienza della vita ed è difficile che io mi sbagli!

Erminia                         - Questa è la prova!

Stefano                         - Francesco mi ha chiamato poc'anzi e mi ha raccontato una serie di frottole: il cliente fallito, gli impegni, le cambiali che scadevano... Alla resa dei conti: gli occorreva del denaro e lo chiedeva a me... A me, proprio a me... Figurati!

Erminia                         - A chi lo dici!

Stefano                         - Ma io non sono nato ieri. Io conosco i miei polli ed ho subodorato il trucco. «Ti occorre de­naro? » ho detto al tuo caro genero. «Ebbene, mi dispiace, ma io non posso dartene: ho tutte le mie dispo­nibilità bloccate nel giro... ».

Erminia                         - Hai fatto benissimo! Lo avresti perduto, il tuo denaro!

Stefano «                      - Lo avrei perduto di sicuro! Ma io, figu­rati!, furbo... Lui ad insistere... ed io a difendermi... Conclusione: ho finito di prendere per moneta sonante tutto ciò che mi raccontava e gli ho dato dei consigli...

Erminia                         - Molti?

Stefano                         - Oh Dio, quelli che bastavano... Ma adesso la cosa cambia aspetto... Qui si tratta di concentrare tutti i nostri sforzi, per impedire che questo sciagurato vada verso la rovina... .

Erminia                         - E che trascini nel precipizio anche la sua azienda...

Stefano                         - (alzandosi) Senti, Erminia: poiché si tratta d'una cosa di estrema delicatezza, voglio rifletterci su e risponderti dopo matura ponderazione. In certi casi, un consiglio è tutto: ma bisogna che sia saggio e pru­dente... Domani, ci rivedremo e ti saprò dire qualcosa... Ciao, Erminia. (Fa per andare).

Francesco                      - ((entrando) Siete ancora qui, zio Ste­fano?...

Stefano                         - (freddissimo) Già... Stavo per andar via...

Erminia                         - Arrivederci, caro Stefano...

Stefano                         - Addio... Ciao, Francesco! (Gli dà la mano) E ricordati che il gioco è un baratro, un orrendo ba­ratro...

Francesco                      - Non capisco, zio Stefano...

Stefano                         - (ammiccando ad Erminia) Mi capisco io! (A Francesco) Vuoi un consiglio? Guarisci... Altrimenti, sarà la fine... (Esce).

Francesco                      - Ma... è impazzito, lo zio Stefano?

Erminia                         - Niente affatto. Fino al momento in cui non darà danaro, invece di consigli, non c'è da preoc­cuparsi della sua ragione. ((Cambiando tono) Ma... sei ancora qui, dunque?

Francesco                      - Sì, mamma... Devo confessarlo: rima­nere in ufficio mi atterrisce... E' un continuo andirivieni di creditori...

Erminia                         - Oh, benedetto figliolo!...

Francesco                      - Ad ogni modo, domani...

Erminia                         - Domani, mio caro genero, in ufficio verrò io-

Francesco                      - A far che?

Erminia                         - Tutto.

Francesco                      - Non capisco, mamma...

Erminia                         - Capirai! Da domani in poi, tu ti occu­perai della parte tecnica e io della parte amministra­tiva.

Francesco                      - Ma, mamma... Voi non sapete, non siete pratica...

Erminia                         - Credi? Caro genero, io sono figlia di Napoleone Pancaldi, e tanto basta. Sai chi era Napo­leone Pancaldi?

Francesco                      -        - (Lo so, mamma, ma...

Erminia                         - Era l'asso dei ragionieri, l'Augusto Murri, il Bastianelli, il Caldarelli delle aziende malate. Quando una ditta era moribonda, la portavano a Napoleone Pancaldi e Napoleone Pancaldi operava... E che manine! Che tocco! Con quel chirurgo lì, nessuna azienda è mai morta!

Francesco                      - Mamma, ma...

Erminia                         - Silenzio! Lascia fare a me!... Tu della parte tecnica, io della parte amministrativa!

Francesco                      - Ma... avete un programma?

Erminia                         - Un programma? E perché dovrei avere un programma? Oggi, nessuno ha un programma. Ci regoleremo giorno per giorno, a seconda degli avve­nimenti... Vedi: la fortuna di taluni è quella di avere un solo programma: quello di cambiar programma giorno per giorno... Ed ora, Francesco, prepara la mia stanza ed avverti il personale.

Francesco                      - Come volete, mamma... (S'avvia).

Erminia                         - E ti raccomando: non avvilirti. Vedrai che tutto andrà bene!

Francesco                      - Sì, mamma. (Esce).

Erminia                         - Tutto andrà bene! Speriamo, almeno! (Guardando il ritratto di Napoleone Pancaldi) Napo­leone, assistimi!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La scena rappresenta lo studio direttoriale della Ditta Vitali, produttrice di sapone, dentifrici, brillan­tina, profumi, ecc. Un grosso tavolo a sinistra. Poltrone di cuoio. Un tavolinetto con macchina da scrivere. Car­telliere, orologio. Quadri. Cartelli pubblicitari.

Erminia                         - (è seduta al tavolo).

Gemma                         - (è in piedi davanti a lei).

Erminia                         - (consultando dei fogli che Gemma le porge) Questo sarebbe l'elenco dei creditori: De Matteo, Mar­chesi, Di Donato, Duliani... Un totale di circa quaran-tottomila lire... Tutta roba che scade in questi giorni?

Gemma                         - Eh, sì! Quasi tutta... Del resto, qui c'è la finca delle date: 13 settembre, 15 settembre, 18 set­tembre... Fino alla fine del mese abbiamo sempre sca­denze...

Erminia                         - E quelle cifre in rosso cosa sarebbero?

Gemma                         -        - (Quelle sono cambiali... Queste altre sono autorizzazioni a tratte... E questi, invece, sono creditori che bisogna pagare in questo mese...

Erminia                         - Ahi, ahi, questi sono i più importanti?...

Gemma                         - No: i più importanti sono i creditori che hanno in mano delle cambiali...

Erminia                         - Ma le cambiali, ditemi un po', le cam­biali non rappresentano un pagamento?

Gemma                         - Veramente...

(

Erminia                         - No, no: siamo logici... Quando io stu­diavo ragioneria, mi hanno insegnato che la cambiale è una forma di pagamento... E allora? Se questi cre­ditori sono già stati pagati, cosa vogliono di più?

Gemma                         - Oh Dio, signora, voi sapete perfettamente che tutte le ricevute a saldo, per pagamenti con cam­biali, portano la sigla s.b.f.

Erminia                         - E cosa vuol dire questo s.b.f.?

Gemma                         - Vuol dire « salvo buon fine »...

Erminia                         - Ah, io credevo che significasse « se basta firmare »... Ad ogni modo, la prima scadenza sarebbe...

Gemma                         - Dopodomani...

Erminia                         - Sabato...

Gemma                         - Ma si può anche non pagarla sabato...

Erminia                         - Si capisce! Anzi, non si deve pagarla sabato! Iddio non paga il sabato, vogliamo forse metterci al disopra di Dio?

Gemma                         - E' pagabile lunedì, prorogabile a martedì... Insomma vi sono sei giorni di tempo...

Erminia                         - E vi pare poco! Non siamo più all'epoca d'una volta, quando, perché succedesse qualcosa, oc­correvano degli anni... Questa... è l'epoca della velocità: ora, le cose succedono in fretta... In sei giorni, sapete quante ne possono succedere? (Pausa). Oh! e adesso, cara signorina, guardiamo la posta...

Gemma                         - Ecco, ci sarebbe questa lettera della Ditta Parodi di Monza...

Erminia                         - E cosa vuole?

Gemma                         - (dopo d'aver dato una rapida scorsa alla let­tera) Dice che avanza duemila lire... per una forni­tura di gennaio...

Erminia                         - Avanza?

Gemma                         - Sì...

Erminia                         - Questo non dev'essere inglese: se no, non avanzerebbe di sicuro...

Gemma                         - No, difatti è italiano: è Parodi, di Monza...

Erminia                         - E cosa vuole?

Gemma                         - Desidera sapere se il denaro c'è...

Erminia                         - Si capisce che c'è! Mancherebbe altro che non ci fosse! Soltanto che non è presso di noi... E' in circolazione! Ma lo sa o non lo sa, questo benedetto signore, che il danaro bisogna che circoli? Adesso, gli risponderemo come si merita!

Gemma                         - Veramente, scrive in un modo molto gen­tile...

Erminia                         - Se è molto gentile, significa che non ha bisogno di danaro: e allora gli risponderemo di atten­dere...

Gemma                         - Benissimo, signora...

Erminia                         - E quest'altra lettera?

Gemma                         - E' di un nostro produttore, Attilio Ferrari, che, avendo trovato un'altra occupazione, ci avverte che col prossimo mese cesserà di viaggiare per la nostra ditta.

Erminia                         - Troveremo di meglio. E quest'altra?

Gemma                         - E' della Ditta Zanfrognini di Busto Arsizio...

Erminia                         - Cosa dice?

Gemma                         - Questa è un po' sgarbata... Vuole il suo denaro...

Erminia                         - Il suo danaro? Ma il suo glielo diamo... E? il nostro che non gli possiamo dare... Ed è sgarbata?

Gemma                         - Sgarbatissima...

Erminia                         - Ah, se è sgarbata, la faremo attendere, perbacco !

Gemma                         - Dice che, se per domani non salderemo la sua fattura, passerà gli atti al legale!

Erminia                         - Ahi, ahi! Questo è noioso! Preferisco non avere a che fare con gli avvocati...

Gemma                         - Penso che non ci sia da preoccuparsi, si­gnora. Questa partita non è stata saldata, perché la for­nitura non era regolare...

Erminia                         - Cosa intendete dire?

Gemma                         - Che abbiamo ragione e che, quindi, ab­biamo il diritto di non pagare! Lasciate che si mettano in mezzo gli avvocati!

Erminia                         - Ragazza mia, se ci si mettono in mezzo gli avvocati, più abbiamo ragione e più facilmente per­deremo la causa. Vado io a Busto, e cerco di sistemare la faccenda. A che ora parte il treno per Busto?

Gemma                         - (dopo di avere consultato un orario) Alle cinque.

Erminia                         - Bene! Avvertite per telefono la Ditta Zan­frognini che prenderò il treno delle cinque e che alle sei al massimo sarò da loro.

Gemma                         - Va bene, signora! '(S'avvia; poi, si ferma) Scusate, signora, dimenticavo che il telefono non fun­ziona...

Erminia                         - Come mai?

Gemma                         - -Siccome è stato ritardato il pagamento...

Erminia                         - Ah, capisco! (Capisco! Questa Società dei telefoni ha il senso dell'opportunità. Già, perché generalmente il telefono serve a chiedere qualcosa. State pur sicura che, se qualcuno vi telefona, non è mai per offrirvi del danaro, per pregarvi di accettare dei quattrini... Mai, mai... Vi telefona per chiedervene... E allora la Società dei telefoni, quando capisce che ogni tentativo sarebbe inutile e fastidioso, sospende l'uso. (Pausa). Va bene, signorina... Telegrafate alla Ditta Zanfrognini che alle sei sarò senz'altro a Busto...

Gemma                         - (esce).

Luigi                             - (annunciando) Il signor Bagnolli...

Erminia                         - Fate entrare...

Luigi                             - (introduce Bagnolli; indi, esce).

Bagnolli                        - Buongiorno, signora... Io sono passato di qui, perché, avendo necessità liquide...

Erminia                         - Volete il saldo di quella vostra fatturina?

Bagnolli                        - Ecco, precisamente...

Erminia                         - Senz'altro... (Suona e a Gemma che com­pare, dice) La fattura di Bagnolli... (Poi) Sicché... avete necessità liquide... (Gemma esce).

Bagnolli                        - Sì... Oh Dio-

Erminia                         - Già... Me l'avevano detto...

Bagnolli                        - Cosa?

Erminia                         - Il nostro mondo è così piccolo: si sa tutto. I pettegolezzi girano...

Bagnolli                        - Non capisco...

Erminia                         - Oh Dio! Non è poi molto difficile ca­pire... Ieri appunto, un vostro concorrente è passato da me: aveva una vecchia fattura sospesa. E, mentre io gliela liquidavo, voi sapete come avviene, dice: «Ba­gnolli qui... Bagnolli lì...». «Certo - dico io - sono momentacci...». «E poi - dice lui - la concorrenza...». « Oh Dio - dico io - anche voi, con la vostra organiz­zazione, dovrete avergli dato qualche fastidio... ». « Fi­guriamoci!... » dice lui.

Bagnolli                        - Cafìero!... E' stato Cafiero a dirvi que­sto...

Erminia                         - Perché volete che io faccia dei nomi?

Bagnolli                        - Farabutto!

Erminia                         - Ebbene, posso garantirvi che non è stato Cafiero !

Bagnolli                        - (sorridendo, incredulo) Conosco i miei polli!

Erminia                         - Non vorrei che vi foste dispiaciuto!

Bagnolli                        - Figuratevi... Non è che mi dispiaccia, ma tengo a dirvi che queste voci messe in giro dalla con­correnza sono assolutamente infondate! Cafiero cerca in tutti i modi di danneggiarmi, ma scuotere il mio fido è difficile... Ho le ossa dure, io! (Alzandosi) Voglio anzi dirvi subito che le mie necessità di liquido non esistono... Io posso aspettare finché vi fa comodo e non ho alcuna fretta di incassare...

Erminia                         - Ma vi pare!... Sedete... Ormai vi trovate qui e voglio pregarvi...

Bagnolli                        - No, no, assolutamente... Vado via...

Erminia                         - Mi fate dispiacere...

Bagnolli                        - Vi dico che non ho alcuna urgenza... Passerò in un altro momento... Tra cinque o sei mesi... (Entra Gemma e porta la fattura, poi esce).

Erminia                         - Vi prego, Bagnolli... Desidero chiudere questa pendenza... Voi sapete che, anche amministrati­vamente, tenere delle pendenze aperte è un fastidio...

Bagnolli                        - Se « per questo, non voglio dispiacervi... (Siede).

Erminia                         - Grazie... Vi assicuro che mi fate un vero regalo... E poi voi sapete quanta solidarietà io ho sem­pre avuta per voi e come desidero aiutarvi...

Bacnolli                         - (alzandosi) No, no... signora... Vi prego... Non posso proprio accettare... Tra cinque o sei mesi passerò di qui e imi pagherete...

Erminia                         - Come voi volete... (Gli porge la mano).

Bagnolli                        - (esce).

'Luigi                             - Il signor Bentini...

Erminia                         - Fate entrare...

Luigi                             - (introduce Bentini, poi esce).

Bentini                          - Buongiorno, signora. Io sono dell'Ufficio Pubblicità Nazionale. Vengo per il saldo d'una fattura relativa alla pubblicità inserita 8ull'« Illustrazione di tutti »...

Erminia                         - Che data ha la fattura?

Bentini                          - E' un po' vecchiotta. (Dandole una ri­vista) Ecco qui il giustificativo dell'annuncio pubblici­tario...

Erminia                         - Dunque, guardiamo un po'... Mi pare per­fino impossibile che il mio amministratore non abbia pagato... (Leggendo) Acqua di Colonia « Il mio sogno sei tu » della Premiata Profumeria Vitali, antica ditta fondata nel 1916... Ah, ecco ecco... Qualche cosa ci do­veva ben essere... Caro signore, mi dispiace tanto per voi, ma non ho nulla da farci...

Bentini                          - Cosa intendete dire?...

Erminia                         - Intendo dire che... chi ha sbagliato paga...

Bentini                          - Non ho capito...

Erminia                         - Leggete, leggete questo annunzio con at­tenzione...

Bentini                          - Ebbene?

Erminia                         - Ebbene, cosa v'è scritto? Antica ditta fondata nel 1916...

Bentini                          - Precisamente: antica ditta fondata nel 1916...

Erminia                         - Sapete quando è stata fondata la mia ditta?

Bentini                          - Veramente...

Erminia                         - Nel 1915...

Bentini                          - E allora? Evidentemente si tratta d'un er­rore tipografico... Ma fortunatamente, è un errore di nessuna importanza e che non può certamente portare alcun danno alla vostra ditta...

 

Erminia                         - Ah, credete? Credete che un errare si­mile non possa portarmi nessun danno?

Bentini                          - Non mi pare, signora... Alla fine, si tratta di un anno...

Erminia                         - Ah, e vi pare nulla? (Ma sapete cosa gua­dagna in un anno la mia ditta? Trecento cinquantamila lire...

Bentini                          - Su questo non v'è dubbio...

Erminia                         - E allora? Rimborsatemi le trecentocin­quantamila lire e non se ne parli più...

Bentini                          - Voi volete scherzare, signora...

Erminia                         - No, no, io faccio sul serio... Con gli affari io non scherzo mai... Mancherebbe altro! Ma sapete voi cos'è un anno? Ma sapete voi che Cristoforo Co­lombo in poche settimane scoprì l'America? Immagi­niamo un po' cos'avrebbe potuto scoprire in un anno... Sapete voi quante battaglie vinse in un anno Napoleone? No? E nemmeno io! Ma deve averne vinte parecchie... E chi di noi non è un po' Napoleone, chi di noi non ha le sue battaglie grandi e piccole, le sue sconfitte, le sue vittorie... QB voi vorreste falsare la storia? Caro signore, io vi ripeto che la mia ditta è stata gravemente danneggiata dalla vostra e che voi mi dovete un con­gruo risarcimento... Non ho altro da dirvi... Buongiorno, signore...

Bentini                          - (inchinandosi, umiliato) Buongiorno, si­gnora  (Esce).

Stefano                         - (entra dalla sinistra) Mia cara Erminia...

Erminia                         - Oh, sei qui. Bravo, hai fatto bene a ve­nire. T'aspettavo. Siedi, siedi...

Stefano                         - (sedendo) Grazie...

Erminia                         - Dunque, mio caro Stefano, qui la fac­cenda si fa seria. Come stai a consigli?

Stefano                         - Cosa intendi dire?

Erminia                         - Intendo dire: hai riflettuto su tutto quanto ti ho detto ieri?

Stefano                         - Perbacco! Tu sai che io tengo enorme­mente alla tua felicità ed a quella di tuo genero. Ho meditato tutta la notte su quanto mi hai detto ieri ed ho preso una importante decisione.

Erminia                         - Sentiamo un po'! Di che si tratta?

Stefano                         - Parlerò io a Francesco...

Erminia                         - (tace).

Stefano                         - Come ti pare l'idea?

Erminia                         - Quale idea?

Stefano                         - Quella di parlare personalmente a Fran­cesco.

Erminia                         - Non capisco!

Stefano                         - Ti ripeto che ho deciso di parlare per­sonalmente a Francesco...

Erminia                         - Questa sarebbe la importante decisione che hai preso?! Hai meditato tutta la notte e, final­mente, hai rotto ogni indugio e hai detto: « Non im­porta! avvenga quel che vuole, a Francesco parlo io! ».

Stefano                         - Perfettamente!

Erminia                         - Stefano, ti ammiro!

Stefano                         - E non sai ancora cosa intendo dirgli!

Erminia                         - No, ma lo immagino!

Stefano                         - « Francesco - gli dirò - giovani onesti, laboriosi, stimati, finirono miseramente in conseguenza dell'orrendo vizio del gioco! Il loro esempio ti riporti sulla via della rettitudine, della saggezza! Francesco, nipote mio, tu sei sull'orlo d'un baratro, uno spaven­toso abisso si spalanca dinanzi a te! Sei ancora a tempo, per salvarti! Iddio ti illumini! ».

Erminia                         - Questo hai pensato di dirgli?

Stefano                         - Sì! E credo che le mie parole lo com­muoveranno !

Erminia                         - Mio caro Stefano, come sei lontano dalla realtà delle cose. Le tue parole, bellissime dal punto di vista letterario, cadrebbero completamente nel vuoto. Francesco ormai è preda dell'orribile febbre e non a-scolta più nessuno... Tanto più, poi, che il tuo discorso giungerebbe tardivo... Stefano, fratello mio, ascoltami: ho una grave notizia da darti...

Stefano                         - E cioè?

Erminia                         - Francesco ha venduto l'azienda...

Stefano                         - Possibile?

Erminia                         - Sì, sì... Ma questo sarebbe niente... tra­volto nel gorgo tremendo del suo orribile vizio, stretto dal continuo bisogno di danaro, l'ha venduta per una somma irrisoria...

Stefano                         - Una somma irrisoria?

Erminia                         - Sì, caro! Sì, fratello mio: questo gioiello d'azienda, ottantamila lire all'anno di reddito, circa due­centomila lire d'impianti, crediti per circa trentamila lire... Regalata! Regalata! Nessuno ci crederebbe! Di' un po' tu per quanto?

Stefano                         - Non so... Non ne ho un'idea!

Erminia                         - Cinquantamila lire!

Stefano                         - Possibile?

Erminia                         - Altro che possibile! Ed è uno strozzino, un autentico strozzino che ha comprato!

Stefano                         - Accidenti! Altro che strozzino! Un red­dito di ottantamila lire annue, duecentomila lire di im­pianti, trentamila lire di credito... E tutto questo per cinquantamila lire? Bisogna pur dire che Francesco ha smarrito la ragione! (Pausa). E cosa intende fare, dopo, Francesco?

Erminia                         - Non so... Dice che ha due o tre sistemi per vincere alla «roulette»... e a furia di sistemi per vincere, finirà col perdere quel poco che gli rimane...

Stefano                         - E' incredibile! (Guardandosi intorno) Cin­quantamila lire! Anche il mobilio?

Erminia                         - Tutto, tutto, tutto!

Stefano                         - E quando prenderà possesso, il compra­tore?

Erminia                         - Dopo la firma del contratto... credo...

Stefano                         - Il contratto non è stato ancora firmato?

Erminia                         - Lo sarà domani mattina alle dieci... Eccolo qui... (Mostra un foglio di carta da bollo, riempito) Mi piange il cuore... Mi piange il cuore...

Stefano                         - Eh, lo credo... (Legge il contratto, sal­tando molte frasi) «Tra i signori... Arturo Mezzetti... ». (Ha un sobbalzo; poi rivolto ad Erminia, con indignazione) Mezzetti?

Erminia                         - Lo conosci?

Stefano                         - Vuoi che non lo conosca? E' produttore del sapone «Boreal», un mio concorrente... (Riprende la lettura) « ...Tra i signori... eccetera eccetera... domi­ciliato a Milano... si stipula e pattuisce: il signore... ec­cetera... cede al signor... che dichiara di accettare... ec­cetera... per la somma di lire cinquantamila... Sì elenca... eccettera... duecentomila... Un patto d'i riscatto... ». (Sor­preso) C'è un patto di riscatto?

Erminia                         - Non so... Non me ne intendo...

Stefano                         - (legge) « ...può riscattare, versando la som­ma di cinquantamila lire, senza alcun interesse... ». Que­sta clausola è importante e ti solleva di ogni preoccu­pazione: la ditta tra un mese ritornerà in vostro pos­sesso...

Erminia                         - In che modo?

Stefano                         - Francesco si riserva il diritto di restituire le cinquantamila lire e rientrare in tal modo in pos­sesso dell'azienda...

Erminia                         - Sì; ma si riserva anche il diritto di gio­carsi le cinquantamila lire e di perderle. E, dopo che avrà perduto fino all'ultimo soldo, non sarà mica coi suoi sistemi per vincere alla « roulette » che riscatterà la ditta. Stefano, mio caro Stefano, quello che ha com­prato sa il fatto suo... E' un furbo di tre cotte... te lo dico io!

Stefano                         - Lo credo bene! Comprare quel po' po' di roba per cinquantamila lire! (Pausa). Tu poi, cara so­rella, avresti potuto in questo affare dar la preferenza a me!

Erminia                         - Figurati se non lo avrei fatto! Ma ho saputo tutto solo oggi! E, del resto, come potevo pen­sare che l'acquisto fosse per te interessante?

Stefano                         - (con ostentata indifferenza) Oh Dio, non fosse altro che per permettere alla nostra roba di rima­nere in famiglia... E poi, si tratta d'un genere affine!

Erminia                         - Capisco, capisco...

Stefano                         - E... dimmi un po'... non ci sarebbe il mezzo di disimpegnarsi?...

Erminia                         - In che modo?

Stefano                         - Il contratto non è ancora firmato. Fran­cesco, fino all'ultimo momento, è libero di disporre della sua volontà...

Erminia                         - Ma Francesco, te l'ho già detto, è deciso a vendere...

Stefano                         - Ma potrebbe, alle stesse condizioni, ven­dere a persona di famiglia. Non ti nascondo che l'idea di impedire che un losco speculatore compia questo turpe mercato, mi seduce. E, alle stesse condizioni, com­prerei volentieri...

Erminia                         - Alle stesse condizioni?

Stefano                         - Oh, Dio... Questo si capisce...

Erminia                         - Io credo, mio caro Stefano, che non ci sia nulla da fare: Francesco ha dato la sua parola e, quando Francesco dà la sua parola, è ben difficile che si tiri indietro!

Stefano                         - La parola, siamo d'accordo, vale più d'un contratto, ed io che sono un vecchio commerciante ne conosco l'immenso valore: ma solo se è data tra gen­tiluomini, tra persone d'onore...

Erminia                         - Che intendi dire?

Stefano                         - Intendo dire che, in questo caso, di gen­tiluomini ne vedo uno solo: tuo genero, il nostro di-sgraziatissimo Francesco. Ma l'altro? E' un gentiluomo, l'altro? Non si tratta, com'è facile capire, d'un losco speculatore, d'un bieco strozzino?... E credi che valga la pena di usar del rispetto verso un così tristo figuro?

Erminia                         - Ah! io non ne userei di certo... E' tutta una categoria di persone che io manderei direttamente in galera...

Stefano                         - E faresti bene, cara mia! Perché Fran­cesco dovrebbe aver dei riguardi?

Erminia                         - Posso provare a parlargli, ma sarà difficile persuaderlo !

Stefano                         - Io credo invece, che se ti ci metterai con impegno vi riuscirai...

Erminia                         - Tentiamo! (Va al telefono e compone un numero. A Stefano) Dimmi un po': ma non ti pen­tirai, dopo?

Stefano                         - Innanzi tutto, io non mi pento mai d'una buona azione... E, poi, un Pancaldi non dice mai di no, quando ha già detto di sì... (Cambiando tono) Ma fun­ziona il tuo telefono?

Erminia                         - Perbacco! Ho telefonato fino adesso!

Stefano                         - Ho tentato di telefonarti tutta stamat­tina e non vi sono riuscito!

Erminia                         - Creditori! Creditori, mio caro! E' un con­tinuo assalto di creditori! (Al telefono) Pronto! Volete chiamarmi il signor Francesco? Caro Francesco, senti un po'... per quel contratto di cessione dell'azienda, lo zio Stefano dice che la cosa sarebbe interessante per lui... Sai: non per l'affare in se, ma per impedire un losco mercato...

Stefano                         - (suggerendo) ...e perché l'azienda rimanga in famiglia...

Erminia                         - ...e perché l'azienda rimanga in famiglia, però... spostandosi verso il suo lato... Cosa ne dici? No, eh? \(A Stefano) 'Cosa ti dicevo? Niente da fare: lo conosco io, quel benedetto ragazzo...

Stefano                         - Accidenti!

Erminia                         - (al telefono) Senti un po' Francesco: ma guarda che si tratta di mio fratello, di zio Stefano... Tu sai quanto affetto mi leghi a lui, sai come egli lo ri­cambi e quante volte ci è venuto incontro coi suoi con­sigli... Niente da fare? Sei già impegnato con l'altro? (A Stefano) Vedi: te l'ho detto... (Niente da fare: è già impegnato con l'altro...

Stefano                         - Insisti! Insisti!

Erminia                         - (al telefono) Dice così lo zio Stefano che non è il caso di aver riguardi per l'altro... In fondo, chi è questo signore? E' uno strozzino che vuole fare un losco affare... E allora, dice zio Stefano, strozzino per strozzino... Egli è qui presso di me, pronto a firmare il contratto... E verserebbe subito anche la somma... (A Stefano) Vero?

Stefano                         - Ho qui con me il libretto degli assegni...

Erminia                         - Vedi: ha qui con sé il libretto degli as­segni... Cosa dici? La clausola del riscatto? Ma natu­rale! Egli accetterà tutte le clausole che sarebbero state accettate dall'altro... strozzino... Oh, scusa tanto! dall'altro acquirente... \(A Stefano) E' vero?

Stefano                         - Naturale! '(Al colmo della gioia) Accetta? Accetta?

Erminia                         - (al telefono, senza badargli) Vorrei che ]tu fossi presente... Non puoi? E allora non importa! Farò io tutto... (Attacca il ricevitore) Sei ben fortunato, caro Stefano!

Stefano                         - Grazie! Sicché... possiamo stipulare su­bito?

 

Erminia                         - Come hai sentito, Francesco mi autorizza a trattare in sua vece... (Suona il campanello).

Gemma                         - (compare).

Erminia                         - Signorina, sulle due copie di questo con­tratto sostituirete al nome di Arturo Mezzetti quello di Stefano Pancaldi...

Gemma                         - Stefano Pancaldi... Senz'altro... (Va alla macchina da scrivere).

Stefano                         - No, non « senz'altro »... Stefano Pancaldi, fu Napoleone, domiciliato in Milano, via Porpora, 28...

Gemma i                       - Va bene... (Scrive).

Stefano                         - (riempie intanto un assegno e lo consegna ad Erminia) Va bene, così?

Erminia                         - In data di lunedì?

Stefano                         - Domani è venerdì, dopodomani è sabato, di domenica le banche sono chiuse...

Erminia                         - Ma di venerdì e di sabato sono aperte... Ho capito! L'hai fatto per guadagnare quei pochi in­teressi!

Stefano                         - No, no... In tal modo, Francesco sarà co­stretto a giocarli più tardi!

Erminia                         - Sei sempre un altruista!

Gemma                         - (mostrando i due fogli di carta da bollo) Ecco pronto!

Erminia                         - Benone! (A Stefano) Leggi!

Stefano                         - Per me, ho già letto e va bene! (Firma).

Erminia                         - L'altra copia, con la firma di Francesco, te la farò tenere domani allo studio.

Stefano                         - Molto bene! (Fa per avviarsi, poi, si fer­ma) Oh, e per l'entrata in possesso?

Erminia                         - Non hai letto? C'è un articolo, nel con­tratto: « Il compratore entrerà in possesso della ditta allorché, trascorso il mese, essa ditta non verrà riscat­tata dal venditore ».

Stefano                         - Benissimo. M'era sfuggita. Ma non im­porta. Una clausola, che sarebbe stata accettata dall'al­tro, può esserlo anche da me...

Vittoria                         - (entrando) Buongiorno, mamma... Buon­giorno, zio Stefano... (Fa un cenno a Gemma, che la saluta con molto ossequio).

Erminia                         - Mia cara Vittoria... Siediti... Come mai da queste parti?

Vittoria /                       - Devo parlarti...

Stefano                         - Io ti saluto, Erminia. Buongiorno, Vit­toria. Buongiorno, signorina... (Esce).

Erminia                         - Potete andare anche voi, signorina.

Gemma                         - (s'inchina ed esce).

Erminia                         - Eccomi a te, mia cara. C'è qualche cosa di grave?

Vittoria                         - Di grave no, ma... ,(E' imbarazzata, ha un'aria misteriosa, che non lascia presagire nulla di buono).

Erminia                         - Vittoria, parla... Per carità, mi fai spa­ventare! E Dio sa se ciò è difficile!

Vittoria                         - Mamma cara, stamattina inavvertitamente mi è capitata tra le mani della corrispondenza indiriz­zata a Giovanna ed ho appreso... che Giovanna ha per­duto la testa per un giovinastro, un certo Giorgio Landi...

Erminia                         - Ebbene?

Vittoria                         - Ecco: sì... Giovanna ha perduto la te­sta... (s’interrompe).

Erminia                         - E tu credi che io abbia il diritto d'impe­dire a Giovanna di perdere la testa per qualcuno? D'al­tra parte,, non so cosa ci sia d'allarmante in tutto questo...

Vittoria                         - (decidendosi) Mamma, Giovanna non ha perduto soltanto la testa...

Erminia                         - Non capisco...

Vittoria                         - Sì, insomma...

Erminia                         - (cominciando a capire) Giovanna?

Vittoria                         - Sì, mamma...

Erminia                         - Si sono regolati come ci si regola, gene­ralmente, dopo il matrimonio...

Vittoria                         - (tace, confermando).

Erminia                         - Oh, guarda, guarda, guarda! (Passeggia avanti e indietro, riflettendo) E lui, chi è lui?

Vittoria                         - Un giovinastro...

Erminia                         - Questo me l'hai detto! Ma perché lo chiami un giovinastro?

Vittoria                         - (stupita) Mamma, ti pare che un gentil­uomo avrebbe fatto ciò che ha fatto lui?

Erminia                         - Non capisco...

Vittoria                         - Egli ha spinto Giovanna verso... verso...

Erminia                         - E perciò sarebbe un giovinastro?

Vittoria                         - Naturalmente...

Erminia                         - Allora l'umanità si divide in due cate­gorie: i giovinastri e gli imbecilli... Che altro sai di lui?

Vittoria                         - E' un fannullone.

Erminia                         - Perché lo chiami « un fannullone » ?

Littoria                          - Perché non lavora...

Erminia                         - E tu credi che tutti quelli che non lavo­rano siano dei fannulloni? Alle volte sono dei geni: vi sono poeti, pittori, letterati, filosofi che non lavo­rano... Si fanno crescere i capelli lunghi, vanno al caffè a parlare male del prossimo, ma nessuno di essi pensa d'essere un fannullone. Sono solamente dei geni. Questo tizio potrebbe essere un genio...

Vittoria                         - <No, cara mamma... Non è un pittore, né un poeta... E' solamente un disoccupato...

Erminia                         - Ma un disoccupato non è un fannullone... E1 solamente uno che non ha trovato da lavorare. Ap­pena avrà trovato da lavorare, lavorerà.

Vittoria                         - Non ha titoli di studio, non è specializ­zato in nulla, non conosce" nessun mestiere... Cosa po­trebbe fare?

Erminia                         - Cosa vuoi che ti dica? Un giovanotto che non sa far nulla, generalmente sa far tutto...

Vittoria                         - Questo non sa fare che una sola cosa: giocare al bigliardo. Passa tutte le sere a giocare al biliardo con gli amici...

Erminia                         - Benissimo. Ecco per Giovanna una ga­ranzia: un marito che gioca a bigliardo, non va certo a cercare delle donne...

Vittoria                         - Mi pare che questo giovanotto non abbia nessuna disposizione per la carriera di marito...

Erminia                         - Cosa intendi dire?

Vittoria                         - Una delle lettere trovate nella corrispon­dènza di Giovanna ha tutta l'aria di essere una lettera di addio. Lo sparviero s'accinge ad abbandonare la preda...

Erminia                         - Che paroloni! Lo sparviero... La preda... Ti esprimi come un romanzo di appendice. In altri ter­mini, questo giovinotto vorrebbe squagliarsela. Già: è un sistema piuttosto usato. (Riflette) Ecco un'altra azienda in crisi! Napoleone, assistimi!

Giovanna                      - (entrando) Buongiorno, mamma.

Erminia                         - Oh, anche tu sei qui?

Giovanna                      - Sono venuta a comunicarti che la prima rappresentazione è fissata per il 15 settembre al « Puc­cini ».

Erminia                         - Benone!

Giovanna                      - Un complesso di prim'ordine. Tenore: Angelucci. Basso: Prina. Contralto: Tina De Angelis.

Erminia                         - E cosa darete? La «Lucia»?

Giovanna                      - Sì. Sarà un bellissimo spettacolo.

Erminia                         - Come vanno le lezioni?

Giovanna                      - Benissimo. Il maestro è molto contento. Dice che sono in forma perfetta. «Dovreste andare in America!», dice sempre, «Dovreste andare in Ame­rica! ».

Erminia,                        - E tu?

Giovanna                      - Io preferisco rimanere accanto a te, mamma cara!

Erminia                         - (abbracciandola) Sei felice?

Giovanna                      - Tanto!

Erminia                         - (a Vittoria) Senti un po', Vittoria. Ho bisogno di parlare a Giovanna. Lasciaci sole, ti prego.

Vittoria                         - Anzi! Ho anche fretta di tornare a casa. Addio, mamma! Arrivederci, Giovanna!

Giovanna                      - Addio!

Erminia                         - Addio!

Vittoria                         - (esce).

Giovanna                      - C'è una sola cosa, mamma, che ama­reggia la mia gioia: sono le diecimila lire che dovrai a Torreggiani, quando avrò debuttato...

Erminia                         - E ce n'è un'altra, mia cara Giovanna, che amareggia la mia. Ed è molto più seria... (Pausa). Dimmi un po', cosa c'è stato tra te e Giorgio Landi?

Giovanna                      - 'Nulla, mamma.

Erminia                         - Già: nulla. E' ben lì il grave. Perché , tra un uomo e una donna, finché ci sono di mezzo gli abiti, tutto s'accomoda. II brutto è quando non c'è «nulla». E' da quel «nulla» lì che comincia l'irre­parabile.

Giovanna                      - (dopo molta esitazione, chinando il capo) Mamma, gli volevo tanto, tanto bene!

Erminia i                       - Mancherebbe anche quello, che tu non gli avessi voluto bene! E ci scommetto che glielo hai fatto capire fin troppo.

Giovanna l                    - Che intendi dire?

Erminia                         - Intendo dire che darsi ad un uomo per­che gli si vuol bene, è il meno. Il guaio peggiore è vo­lergli bene fino al punto da darsi a lui... Perché allora l'uomo mette su boria, si dà delle arie da conquista­tore, e allora... lo sparviero abbandona la preda...

Giovanna                      - Arie da conquistatore! Si tratta d'un giovane per il quale tre donne han tentato di morire!

Erminia                         - Sì, sì, li conosco quei tipi di « irresistibili ». Quando ero giovane, erano i soli a cui resistevo. E... mica per niente! Proprio per affermare un principio d'indipendenza... I «fatali». Se tutte queste ragazze si suicidano per loro, sfido che sono fatali! (Pausa). E allora, dimmi un po': è vero che... sì insomma, che vorrebbe - per adoperare una parola alla moda - dimissionarti?

 Giovanna                     - (tace).

Erminia                         - Sì, sì... Anche questo è nell'uso, nel pro­tocollo. Gli irresistibili fanno così. Non resistono mai, neppure loro. Tagliano la corda e chi s'è visto s'è visto.

Giovanna                      - (alza le spalle, tacendo).

Erminia                         - Cosa gli hai detto? Come ti sei regolata? Gli hai scritto?

Giovanna                      - (esitando) No, mamma...

Erminia                         - Non è vero! Gli hai scritto! E gli hai scritto delle sciocchezze! (Mostrandole la lettera) «Mo­rire». «Scomparire dalla scena del mondo!». Ma è una mania? Dovreste organizzare, dovreste! Formare il « Comitato delle vittime di Giorgio Landi », eleggere una presidentessa e sfilare in corteo! Ma, dimmi un po', quale impressione credi possa fare su di un uomo che, in quel campo, ha fatto già una così brillante car­riera, la tua stupida minaccia? Certamente, nessuna... Anzi, lo spingerà a rimirarsi con profondo compiaci­mento dinanzi allo specchio, esclamando: «Povera crea­turina! Mi dispiace tanto per lei, ma in fondo era ir­reparabile. Come può una donna, dopo d'avermi cono­sciuto, sfuggire alla sorte comune? Ed ora andiamo, povero Giorgio Landi, andiamo ancora a disseminare di vittime questa nostra disgraziata città ».

Giovanna                      - 'Cosa volevi che facessi, mamma ?

Erminia >                      - Ma spingere lui a cadérti ai piedi, di­cendo: «Se non mi sposi, commetto una sciocchezza! ».

Giovanna                      - E' molto facile a dirsi.

Erminia                         - E' altrettanto facile a farsi... Tra l'uomo e la donna, se s'inginocchia l'uno, non s'inginocchia più l'altro. E tutta l'abilità consiste nel non essere il primo. Dov'è ora quest'irresistibile?

Giovanna                      - A Roma.

Erminia                         - A far che? A giocare al bigliardo?

Giovanna                      - Credo che stia cercando d'occuparsi. Dice che a Roma conosce un tale...

Erminia                         - Tutti, a Roma, conoscono un tale. (Pas­seggiando avanti e indietro, nervosamente) E' incredi­bile... lo sparviero... la preda... le lettere alla Jacopo Ortis...

Gemma                         - Signora, sono le cinque meno un quarto...

Erminia                         - Avete ragione, vado subito! (Si rassetta, mette il cappello) Prendete la pratica che riguarda Zanfrognini e la lettera di oggi...

Gemma                         - (prende la pratica e gliela porge, poi esce).

Francesco                      - Dove andate, mamma?

Erminia                         - A Busto, per aggiustare una grana.(A Giovanna) Stai, tranquilla, Giovanna. Vai a casa e studia serena. Vedrai che tutto s'aggiusterà. (A Francesco) Qui, tutto procede bene. Ogni cosa è a posto e tra poco tutto filerà come l'olio. Addio, Francesco. Addio, Giovanna. (Fa per uscire, poi a Francesco) Oh, dimenticavo una cosa importante: le cinquantamila lire che ti occorrono sono qui... (Gli dà un assegno).

Francesco                      - (con stupore) Possibile? E chi ve le ha date?

Erminia                         - Stefano!

Francesco                      - E' inverosimile! Zio Stefano! Come vi­vete potuto?

Erminia                         - In un modo semplicissimo: invece di pre­gare, mi son fatta pregare.

Francesco                      - Non capisco...

Erminia                         - Non è necessario. E se Stefano ti par­lasse di vendita, di contratti, di gioco, di altre diavo­lerie, digli di sì... Hai capito?

Francesco                      - Sì, mamma...

Gemma                         - Signora, sono le cinque meno dieci...

Erminia                         - (andando via con premura) Vado, vado! Eh, perbacco! Il capostazione è l'unico creditore che non aspetta! (Esce).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena del primo atto. Sono le prime ore del mattino. Giovanna, Vittoria e Francesco sono a tavola e prendono il caffellatte, leggendo avidamente un gior­nale. Lunga scena muta, durante la quale i giornali vengono scambiati e scorsi con impazienza.

Francesco                      - Sentite qua: «Voce calda, soavissima. Nel mentre sono lodevoli i suoi centri coloriti ed i suoi acuti robusti, è irraggiungibile la dolcezza dei suoi passi e delle sue smorzature, che fanno di questa so­prano una delle maggiori affermazioni del nostro teatro lirico... ». E' un inno...

Vittoria                         - E sentite questo... « Tra tutti i cantanti che iersera furono interpreti della « Lucia », spicca net­tissima la personalità di Giovanna Pancaldi, che può senz'altro considerarsi una rivelazione.

Giovanna                      - (leggendo col boccone in bocca) Bel­lissima, questa! « Il timbro della sua voce, la cui gamma vastissima consente a questa giovane ma ormai affer­mata soprano possibilità di arpeggi di efficacia e bel­lezza... ». Un'apologia addirittura...

Vittoria                         - Allora diremo: apologia di reato...

Giovanna                      - (offesa) Devi sempre fare dello spirito idiota...

Vittoria                         - E tu devi sempre prendere cappello, an­che per la più innocua delle barzellette...

Erminia                         - E' cominciato l'incontro pugilistico?

Francesco                      - Bene. Io vi lascio nel combattimento e vado in ufficio. (Ad Erminia) Volevo avvertirvi che la scadenza di questo mese è andata a buon fine e che siamo in condizioni di versare a zio Stefano le sue cin­quantamila lire. (Dandole un assegno) Ecco il suo as­segno!

Erminia                         - Meno male!

Francesco                      - Addio, Vittoria. A rivederci, Giovanna. E ancora complimenti per il successo magnifico. (Esce).

Giovanna                      - Grazie.

Maria                             - Il signor Giorgio Landi. (Restano tutti sor-presi).

Giovanna                      - Fatelo entrare.

Erminia                         - Ma nemmeno per sogno! Fatelo atten­dere! Suoneremo quando deve entrare!

Maria                             - (esce).

Erminia                         - Cos'è, il vostro combattimento è finito? Vi concedo un assalto di tre minuti... (Guarda l’orologio).

Vittoria                         - Con Giovanna, mamma, non si può fare il più innocente scherzo: se ne offende...

Giovanna                      - Io me ne offendo? Ho molto spirito, io! E tanto da venderne. Ma certi scherzi non mi sembrano di gusto eccellente... Anche ieri sera hai fatto il possi­bile per amareggiarmi la gioia del successo...

Vittoria                         - Io? Se tu sapessi quant'ho sofferto...

Giovanna                      - Del -successo?

Vittoria                         - Sei malvagia. Questo sei.

Giovanna                      - E tu no, forse? Se la malvagità si po­tesse vendere, giuro che ti arricchiresti....

Vittoria                         - (a Erminia) Mamma, non dirai che sono io a provocarla!?

Giovanna                      - Oh! la vittima! Jo, io sono la vittima!

Vittoria -                       - Vittima, sì, ma di te stessa: della tua albagia, della tua presunzione, del tuo orgoglio...

Erminia                         - (le divide col braccio, come l'arbitro d'un incontro pugilistico, guardando l'orologio da polso) Alt. I tre minuti sono passati. Il combattimento è finito!

Vittoria                         - Permettimi di terminare la mia frase.

Erminia                         - Impossibile. Continuerete più tardi. Per ora il combattimento si considera nullo, la partita pari. (A Vittoria) Tu puoi andare. A Giovanna) Il signor Giorgio ha aspettato quanto occorreva. Ed ora, ti prego: ricordati che un'intera platea ti ha acclamata, non umi­liarti innanzi ad un uomo solo. (Suona, poi esce).

Giorgio                          - (introdotto da Maria, che subito dopo esce, entra Giorgio. E' un giovanotto di 27 anni, elegante, fatuo. E' corrucciato, freddissimo. Giovanna lo accoglie con sostenuta cortesia). Buongiorno, Giovanna.

Giovanna                      - Buongiorno.

Giorgio                          - (imbarazzato) Da te è come dal dentista: si aspetta nel salotto prima di entrare. Avevi visite?

Giovanna                      - Sì.

Giorgio                          - Ammiratori?

Giovanna                      - Un amico.

Giorgio                          - Doveva essere una cosa molto importante, visto che mi hai fatto aspettare.

Giovanna                      - Oh, affari.

Giorgio                          - Affari di cuore?

Giovanna                      - Cos'è? diventi geloso?

Giorgio                          - Può darsi. Il diavolo si fa frate. E' sor­prendente, nevvero? Ma c'è qualcosa di più sorpren­dente ancora: e cioè che tu non te ne sorprenda affatto.

Giovanna                      - Di che cosa dovrei sorprendermi?

Giorgio                          - Già. Anche la mia visita ti sembra così naturale. Come se fosse una cosa di tutti i giorni. E non mi domandi neppure perché sono qui?

Giovanna                      - Credevo fossi venuto per farmi i tuoi complimenti.

Giorgio                          - Quelli li lascio fare ai tuoi vagheggini. Sono venuto per dirti che tutto è finito tra noi...

Giovanna                      - (contenendosi, a stento) Vuoi dirmene la ragione?

Giorgio                          - E me lo domandi?

Giovanna                      - Credo di averne il diritto...

Giorgio                          - Eccola, la ragione! (Getta sul tavolo un pacchetto di lettere) Sono le lettere di cortesi informa­tori, che mi descrivono le belle imprese di cui sei stata l'eroina in questi giorni. La tua condotta è inqualifi­cabile.

Giovanna                      - Non capisco! Posso leggere? (Prende una lettera e la scorre, con vivissimo stupore). Sono menzogne! Abominevoli calunnie! E, se tu mi stimassi un tantino, mi crederesti! Ma chi può avere scritto que­ste mostruose invenzioni?

Giorgio                          - Evidentemente, una persona che ti conosce bene!

Giovanna                      - Una mia nemica... Ed è semplicemente odioso che tu vi presti fede! Io non sono stata l'amante di Torreggiani, non sono mai andata in « cutter » col tenore D'Ambrosio...

Giorgio                          - E perché mai avrebbero inventato tutto ciò?

Giovanna                      - Invidie, vendette... Io ho debuttato per i miei mariti e solamente per essi... Quale importanza, del resto, vuoi attribuire ad alcune lettere anonime?

Giorgio                          - Sono firmate...

Giovanna                      - (leggendo) Rosa Desideri... Ma è un nome falso!

Giorgio                          - Falso io non falso, io sono venuto qui per dirti che tutto è finito tra noi.

Giovanna                      - Se la prendi su questo tono, ti dirò che puoi regolarti come credi.

Giorgio                          - Ah, ilo so, lo so, che di me non te ne importa più nulla.

Giovanna                      - Può darsi, Alla fine, ho bisogno d'un vero uomo, io! Non d'un campione di bigliardo né di un manichino da spiaggia.

Giorgio                          - Ah, sì? Sono un manichino da spiaggia? Ebbene, me ne vado. Parto, e questa volta per sempre...

Giovanna                      - Addio...

Giorgio                          - (esce, con l'aria d'un uomo gravemente of­feso).

Giovanna                      - (casca a sedere su d'una poltrona, copren­dosi il volto con le mani, come presa da una isterica crisi di pianto).

Erminia                         - (entrando dalla destra) Ebbene?

Giovanna                      - E' inaudito! E' inaudito!

Erminia                         - Cosa?

Giovanna                      - Ha ricevuto delle volgarissime lettere a-nonime, contenenti le più infamanti calunnie sul mio conto. Secondo l'autrice di tante turpitudini, sarei l'a­mante di impresari e d'artisti, la mia condotta sarebbe scandalosa.

Erminia                         - E Giorgio ha creduto a tutto ciò?

Giovanna                      - Naturalmente.

Erminia                         - Bisogna essere ben sciocchi per attribuire una qualsiasi importanza a delle lettere anonime.

Giovanna                      - Erano firmate, mamma.

Erminia                         - Appunto. Non avevano neppure il van­taggio di essere anonime.

Giovanna                      - Ma io mi domando chi può avere scritto tante mostruosità...

Erminia                         - Un'anima nera, senza dubbio. Un essere nefando e spregevole (Pausa). Ed è andato via?

Giovanna                      - Chi?

Erminia                         - Giorgio.

Giovanna                      - Naturalmente. E' andato via furibondo.

Erminia                         - Peccato! Volevo chiedergli se le sue ca­pacità gli consentirebbero di coprire un posto di pro­duttore che è rimasto vacante nella ditta di Francesco.

Giovanna                      - Credo che si tratterebbe d'una sistema­zione molto conveniente per lui... Ma ormai tutto è fi­nito tra noi...

Maria                             - Il signor Torreggiane..

Giovanna                      - Ti lascio sola, mamma... (Esce).

Erminia                         - Fatelo entrare...

Maria                             - (esce).

Torreggiani                    - Cara signora.

Erminia                         - Accomodatevi. Torreggiani.

Torreggiani                    - Volete fumare?

Erminia                         - Vi ringrazio. Ho smesso di fumare da tre mesi, per ragioni di salute. (Pausa). Non insistete, vi prego. Vi ho già detto che non fumo...

Torreggiani                    - Veramente...

Erminia                         - Dico così, perché normalmente i miei amici, da quando non fumo, fanno a gara per offrirmi delle sigarette: insistono, mi pregano, scongiurano. Quando fumavo rimettevano il pacchetto in tasca e non se ne parlava più... E' da quando non fumo più che ho capito quanto siano generosi i miei amici... Dunque, caro Torreggiani?

Torreggiani                    - Avete visto che successo? Siete sod­disfatta ?

Erminia                         - Volete che non sia soddisfatta? Da tre o quattro giorni non ragionavo più... Mi pareva di dover subire un'operazione chirurgica. « Riuscirà ? » dicevo tra me «non riuscirà? ». Un'ossessione, un incubo.

Torreggiani                    - Quando le operazioni chirurgiche sono affidate al sottoscritto, riescono sempre.

Erminia                         - Perché ? Se mia figlia non aveva voce, gliela fabbricavate voi?

Torreggiani                    - Non dico questo: ma uno come me, un impresario che ha la mia pratica, salva sempre la situazione. La serata sarebbe finita bene.

Erminia                         - E come sarebbe cominciato il mattino dopo? Ecco ciò che mi premeva. Finir bene una serata è il meno. Quello che conta è iniziare bene una car­riera. E la carriera di Giovanna è cominciata benis­simo! Due impresari vogliono scritturarla. Uno le offre duemila lire per recita, uno tremila.

Torreggiani                    - Come vedete avete speso bene il vo­stro denaro.

Erminia                         - Quale denaro?

Torreggiani                    - Il denaro che mi dovete...

Erminia                         - Vi devo del denaro? Non capisco.

Torreggiani                    - Parlo dell'accordo esistente tra noi. Come ricorderete, si convenne che, al debutto di vostra figlia, voi mi avreste versato diecimila lire.

Erminia                         - Io dovrei versarvi diecimila lire?

Torreggiani                    - E' nei patti.

Erminia                         - Perché ? avete cantato voi'

Torreggiani                    - Innanzi tutto, è la consuetudine...

Erminia                         - Una consuetudine ben strana. Cosa ne direste d'un ingegnere che, dopo d'aver costruito un pa­lazzo, versasse una grossa somma all'acquirente, per in­durlo all'acquisto?

 Torreggiani                   - D'altra parte, gentile signora, ciò era tra noi convenuto... Anzi, mi venne da voi offerto...

Erminia                         - Da me? non ricordo...

Torreggiani                    - Scusatemi: ricordo io. Voi mi chie­deste cosa avrei voluto per far debuttare vostra figlia...

Erminia i                       - Piano, piano, piano... Io vi chiamai e vi dissi: «Torreggiani, io desidero far debuttare mia fi­glia... Mettete fuori una cifra... ».

Torreggiani                    - Ed io vi dissi: «diecimila lire...».

Erminia                         - Benissimo.

Torreggiani                    - Dunque, voi ammettete?

Erminia                         - Perbacco! Ma io vi dissi: Mettete fuori una cifra... E cioè... la cifra dovevate metterla fuori voi...

Torreggiani                    - Non vorrete che io vi versi diecimila lire.

Erminia                         - E perché no?Non vedo cosa ci sarebbe di strano, visto che mia figlia ha avuto un successo stra­grande te voi avete incassato fior di quattrini; ad ogni modo, in considerazione dell'equivoco che s'è creato tra noi, taglieremo il male a metà...

Torreggiani                    - Mi darete cinquemila lire?

Erminia                         - No, no... Secondo il vostro punto di vista, io dovrei darvi diecimila lire; e, secondo il mio, voi dovreste darle a me. Né io le dò a voi, ne voi le date a me... Così, staremo in pace. Vi par giusto?

Torreggiani                    - Ma... volete che io ci rimetta dieci­mila lire?

Erminia                         - E non ce le rimetto, forse, io? Dite un po': quale soprano lancerete, dopo mia figlia?

Torreggiane                   - E' un contralto, una signorina di Como...

Erminia                         - Quanto dovrebbe darvi? diecimila lire? Chiedetegliene ventimila. Le buggerature, in commer­cio, sono come i biglietti falsi: quando non si possono restituire, si rimettono in circolazione.

Maria                             - Il signor Stefano.

Erminia                         - Fallo entrare.

Maria                             - (esce).

Stefano                         - (entra e rimane in disparte, attendendo. Ha l'aria imbarazzata: è scurissimo).

Erminia                         - Arrivederci, Torreggiani. Cos'è? Mi ser­bate rancore?

Torreggiani                    - Eh, non vorrete che sia contento di essere stato giocato con tanta furberia!

Erminia                         - Ma sarete contento, spero, d'aver guada­gnato, con la rappresentazione di ieri sera, fior di quat­trini.

Torreggiani                    - Sì, la serata è andata bene... Non lo nego... Ma io avrei fatto ugualmente debuttare vostra figlia, perché la sua voce merita... Quanto a questo, devo riconoscerlo con tutta lealtà...

Erminia                         - L'avreste fatta debuttare? Però, sei mesi fa la sentiste e non la trovaste sufficientemente matura... Come vedete, il miraggio di diecimila lire è bastato a farla maturare... Arrivederci, Torreggiani. E protegge­temi.

Torreggiani                    - Volentieri, per quanto non Io meri­tiate. (S'avvia, poi si ferma) Scusate: avete detto che due impresari offrono una scrittura alla vostra figliola... Uno, duemila per sera... L'altro, tremila... Spero che darete la preferenza a me che l'ho lanciata. Ho bisogno d'un soprano per Parma. Vi telefonerò...

Erminia                         - Quando vorrete... E, per voi, quattromila... Arrivederci, Torreggiane...

Torreggiani                    - (esce).

Erminia                         - Caro Stefano...

Stefano                         - Mia cara sorella, oggi solamente, dopo un mese dalla firma del famoso contratto, ho saputo d'es­sere stato da te abilmente turlupinato...

Erminia                         - In che senso?

Stefano                         - In tutti i sensi. Ho rivisto, qualche giorno fa, un amico d'infanzia di Francesco, che è anche un mio conoscente. Egli ha negato nel modo più reciso che Francesco giuochi e che abbia sperperato alla « rou­lette » delle sostanze...

Erminia                         - E questa tu la chiami turlupinatura?

Stefano                         - Certamente!

Erminia                         - Secondo te, insomma, il fatto che Fran­cesco non si sia rovinato è per te offensivo e irrispet­toso...

Stefano                         - Non dico questo, ma...

Erminia                         - Come ma? Dovresti essere arcicontento d'una notizia simile, ed invece vieni qui con tutta l'aria di volermi muovere dei rimproveri ed ottenere delle soddisfazioni... Ebbene, mio caro fratello, se proprio ti fa piacere, da domani imporrò al marito di mia figlia di rovinarsi alla «roulette», al « baccarat », al « trente et quarante » e a qualche altro giuoco d'azzardo...

Stefano                         - Non è il caso di prenderla su questo tono. Io non mi dolgo per nulla del fatto che Francesco non giuochi, mi dolgo che me lo abbiano voluto far credere. E le bugie, ricordatelo, sono come le ciliege: una tira l'altra. Questa prima menzogna mi ha permesso di sco­prire che anche le trattative intercorse tra Francesco e Mozzetti sono un parto della tua fantasia...

Erminia                         - Chi è che ti ha detto ciò?

Stefano                         - Eh, cara mia, le bugie - sappilo - hanno le gambe corte...

Erminia                         - Sì, e poi?... L'avrai finita, con i tuoi proverbi? Ebbene, te ne ricorderò qualcuno anch'io: « Il fine giustifica i mezzi » ; « Chi pratica lo zoppo, im­para a zoppicare»... E infine: «L'ingordo mette nel sacco l'avaro », che è un piccolo proverbio coniato da me, di cui ti sarà facile scoprire il significato...

Stefano                         - « L'ingordo mette nel sacco l'avaro » ? E chi sarebbe « l'ingordo » ?

Erminia                         - Tu.

Stefano                         - E « l'avaro »?

Erminia                         - Sempre tu. La vera turlupinatura, mio caro Stefano, l'hai fatta tu a te stesso. L'avaro non avrebbe mai prestato cinquantamila lire a mio genero, ma l'ingordo s'è messo a rischio di prendere la più solenne delle buggerature. Ma non la prende, perché mio genero è un gentiluomo...

Stefano                         - Un gentiluomo non ricorre a questi mezzi.,.

Erminia                         - E a quali mezzi deve ricorrere?

Stefano                         - Un gentiluomo parla con chiarezza, dice la verità... Se Francesco avesse detto la verità...

Erminia                         - Cosa avrebbe ottenuto? Gli avresti forse dato le cinquantamila lire? No, di sicuro... Gli avresti dato un consiglio...

Stefano                         - Chi lo sa? Forse, mi sarei commosso, mi sarei compenetrato della sua speciale situazione.

Erminia                         - Va bene: ammettiamolo... Ti saresti commosso, ti saresti compenetrato della sua speciale situa­zione, e, invece di dargli un consiglio, gliene avresti dati due... Ah, no, no! L'avaro avrebbe gelosamente ser­rato al petto il suo peculio. L'ingordo, invece, lo ha abbandonato con tanta facilità che veniva perfin voglia di non raccoglierlo. E tu vuoi che ti dicessimo la ve­rità. Ah, no! Il giorno in cui mi metterò anch'io a dar consigli, ne darò uno solo: non dite mai la verità. Caro il mio Stefano, quando in politica non dicono la verità, sai cosa fanno? Fanno della diplomazia. Ebbene, cosa vuoi? Ho fatto anch'io della diplomazia. Sono riuscita a cavarti dalle tasche le cinquantamila lire che occor­revano a Francesco per non fallire. Ora le cinquanta­mila lire sono qui  - (gli dà un assegno): te le rendo. E te le rendo in tempo debito. Sicché, secondo la clau­sola del nostro contratto, tu non puoi vantare più alcun diritto sull'azienda Vitali. (Porgendogli una ricevuta) Ti prego di firmare.

Stefano                         - Cosa sarebbe questa?

Erminia                         - Una ricevuta. Per regolarità.

Stefano                         - (firma).

Erminia                         - E sorridi una buona volta! O, per sorri­dere, hai bisogno che ti stia davanti il fotografo?

Stefano                         - Va là, va là, che sei una gran furba.

Erminia                         - (conserva gelosamente la ricevuta) Eh. mio caro, al mondo se tu sei furbo, riesci a vendere anche un cavallo zoppo... Ma se tu sei scemo, più il tuo cavallo è buono e più t'imbrogliano...

Stefano                         - (ha l'assegno tra le dita, aspettando a con­servarlo) Però, vedi, sei meno furba di quanto credi...

Erminia                         - In che senso?

Stefano                         - Ecco: se tu, poniamo il caso, mi avessi parlato con lealtà, con franchezza... Chi lo sa? Io sono tuo fratello... Le cinquantamila lire te le avrei anche regalate...

Erminia                         - (strappandogli l'assegno dalle dita e conser­vandolo in petto) Ah, sì? Basta la parola!

Stefano                         - (allarmatissimo) Naturalmente, si fa per dire...

Erminia                         - Sì, caro: ma oramai è detta e non par­liamone più...

Stefano                         - Di' cara: non vorrai mica scherzare?

Erminia                         - No, no... Voglio lare sul serio, io! (Strin­gendo al petto l'assegno) Se tu sapessi quanto mi sento tua sorella, in questo momento...

Stefano                         - Ma lo sai che sei una gran burlona? Su, via, non facciamo scherzi: dammi l'assegno...

Giovanna                      - (entra dalla sinistra e siede).

Erminia                         - Sei qui, Giovanna?

Giovanna                      - (con tristezza) Mamma...

Stefano                         - Vuoi darmi il mio assegno? Devo andar via...

Erminia                         - (avvicinandosi a Giovanna con tenerezza) Giovanna, sai chi è quell'anima nera, l'autrice di tutte quelle turpitudini?

Giovanna                      - L'hai scoperta, mamma?...

Erminia                         - Sì...

Giovanna                      - E chi è?

Erminia                         - Sono io...

Giovanna                      - Possibile? E perché mai, mamma?

Erminia                         - E' colpa mia, mia cara Giovanna, se gli uomini s'innamorano solo delle nostre cattive qualità?

Giovanna                      - Ma, Giorgio è partito...

Erminia                         - Non è partito... Ma, se lo fosse, ti telegra­ferebbe dalla più vicina stazione per dirti che torna...

Giovanna                      - Dio volesse!

Erminia                         - Come potrebbe non cadere ai tuoi piedi? dubita della tua fedeltà, è geloso di te, ti vede splen­dente di successo, circondata di ammiratori. (Cingendole il collo) Ah, Giovanna, figlia mia, se tu sapessi quante cose ho imparato da mio fratello Stefano...

Stefano                         - Cosa?

Erminia                         - Ecco: per esempio, ho imparato a dare consigli... Ma a chi vuoi che servano i consigli? Ai gio­vani? Oh, i giovani hanno diritto alla loro porzione di sciocchezze, devono esaurire il loro repertorio di stu­pidaggini, perché le stupidaggini quando sono ben fatte sono la poesia della vita.

Stefano                         - Erminiuccia, scusami... Ho fretta, sai... Dammi l'assegno...

Erminia                         - E aspetta! Non vedi che stiamo parlando di cose serie? [(Squilla il telefono. Correndo all'appa­recchio) Pronto! La signorina Giovanna? viene su­bito! (A Giovanna) E' lui... Giorgio Landi! (Calmando la sua impazienza) Aspetta, cara, aspetta! (A Stefano) Stefano, tu hai detto che sono una gran furba... Forse, è vero... E sai in che cosa consiste la mia furberia? Nell'utilizzare le cattive qualità degli uomini, perché di buone non sempre ne hanno; nel non chiedere alla loro generosità, ma al loro egoismo, alla loro ambizione, alla loro cupidigia, ai loro bassi sentimenti... (Indi­cando il telefono) ... E, come vedi, anche alla loro ge­losia. (Dando il microfono a Giovanna) A te! Anche questa volta il signor Giorgio Landi ha atteso abba­stanza !

Giovanna                      - (precipitandosi all'apparecchio) Sei tu, Giorgio? Sì, sono io... Sì, sì, sì, sì, sì, sì... (Depone il microfono. A Erminia) Avevi ragione, mamma!...

Erminia                         - (abbracciandola) Vedi? Qualche volta hanno ragione anche le mamme!

Stefano                         - (insistente, monotono) Erminia, ti prego! Dammi l'assegno! Devo andar via!

Erminia                         - (senza badargli; a Giovanna, dandole l'asse­gno) E questo, vedi, te lo regala lui... (indica il quadro di Napoleone Pancaldi). Anzi, lui... (indica, riprenden­dosi, Stefano).

Stefano                         - Ma... sei matta?

Erminia                         - Ssst! (A Giovanna) E' il suo regalo di nozze !

Stefano                         - Neanche per sogno!

Erminia                         - (fulminandolo con uno sguardo) Oh! Or­mai è detta e non puoi tirarti più indietro! Un Pancaldi non dice mai di no, quando ha già detto di sì. (A Gio­vanna) Ringrazia lo zio!

FINE