Cinemania

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CINEMANIA

Commedia in un atto

Di JEAN DES COGNETS

PERSONAGGI

IL CONTE DI FLEURAC, 30 anni

LA CONTESSA DI FLEURAC, 23 anni

GONTRANDO, cameriere 24 anni

SUSANNA, cameriera 19 anni

Salotto elegantissimo. Tre porte: una in fondo e ima per lato. Al levarsi del sipario, il came­riere, con lo scopino di piuma tra le braccia conserte, contempla il tappeto con aria alquanto noiata.

I.

Il cameriere, poi la cameriera.

Il cameriere                   - Non avrei mai creduto che questo lavoro fosse così seccante: non perché qui ci sia troppo lavoro, ma perché il lavoro è così insipido. Ma forse con l'abitudine... (va verso un paravento posto in un angolo, fa per ripiegarlo... quando, dietro, vede una graziosa cameriera bionda, vestita di bleu, con scarpette di vernice, un nodo fra i capelli).

Il cameriere                   - Oh!

La cameriera                 - (facendo un inchino) Per ser­virla: Susanna, la nuova cameriera, che ha preso servizio stamattina.

Il cameriere                   - (con fare teatrale) Felicis­simo. Gontrando, il nuovo cameriere che ha preso servizio ieri sera.

La cameriera                 - (ridendo) Ieri solo? Pen­sare che contavo su di voi per mettermi al corrente!

Il cameriere                   - Ed io altrettanto. Avete già [ servito?

La cameriera                 - Sono agli inizi... ma senza emozione, come potete vedere. Cerchiamo dun­que di aiutarci vicendevolmente. Sapete qual­che cosa sulle abitudini dei padroni?

Il cameriere                   - Così, così! Sul conte, ma di seconda mano. Informazioni di circolo.

La cameriera                 - Siete croupier?

 Il cameriere                  - No. Punto qualche volta e per­do. Ma sono amico di Domenico, il capo usciere del Jokey, a cui il signor conte fa di preferenza l'onore di chiedere in impre­stito qualche biglietto da mille nei giorni neri. È così, che gli sono stato raccomandato.

La cameriera                 - Io mi sono rivolta all'agenzia della signora Abraham. La contessa mi ha assunta senza discutere.

Il cameriere                   - Si capisce, la contessa ha subito capito che avete del buon gusto.

La cameriera                 - Oh! non è per questo.

Il cameriere                   - Per che cosa allora?

La cameriera                 - (confidenziale) Ella sente il mistero...

Il cameriere                   - (sorpreso) Ah! veramente?

La cameriera                 - Sì. Basta vederla, per ca­pire che nella sua esistenza passa qualche co­sa... qualche cosa di fatale. Ella è alle prese con forze misteriose, con potenze occulte...

Il cameriere                   - (ironico) Sì?...

La cameriera                 - Credetemi. Ho buon fiuto. Non mi sbaglio. Il mistero! Qui, dappertutto e è mistero. Il mistero ci circonda e ci minac­cia. Ne respiro l'atmosfera. Intrighi, cospira­zioni, tragedie intime, ecco la mia vita e il mio diletto...

Il cameriere                   - Capisco. Amate il cine­matografo?

La cameriera                 - Appassionatamente. Ma la vita è migliore. E dalla vita voglio avere le più grandi emozioni. Sono stanca d'essere sem­plice spettatrice. Voglio avere la mia parte nell’azione ed una parte importante.

Il cameriere                   - Ed è per questo che vi siete decisa a servire? Già, veramente non siete una cameriera come tutte le altre. Siete una ragazza moderna, voi!

La cameriera                 - (con fare declamatorio) Ogni cuore ha il suo segreto.

Il cameriere                   - Ogni anima il suo mistero.

La cameriera                 - Anche voi, certo!

Il cameriere                   - Io?...

La cameriera                 - Sì, anche voi. Credete forse che non abbia capito che nascondete qualche cosa?

Il cameriere                   - Io? Nulla. Sono trasparente e limpido come l'acqua d'un lago.

La cameriera                 - Il cui fondo però sa le tem­peste.

Il cameriere                   - Nessuna tempesta nella mia anima. Sono un bravo ragazzo. Chi mi ha vi­sto una volta, mi conosce perfettamente.

La cameriera                 - Non negate: avete dispiaceri d amore!

Il cameriere                   - Io? Non ne ho avuti mai in tut­ta la mia vita, (riprendendosi) Ma forse dopo che vi ho vista, potrebbe essere che...

La cameriera                 - Adulatore! (fra se) E un bel giovanotto. Non ha il fare da -cameriere... Forse?... Ma perché è venuto in questa ca­sa? Non tarderò a saperlo...

(Così dicendo, si mette a girare at­torno alla camera e dà dei piccoli colpi contro il muro).

Il cameriere                   - Interrogate i muri?

La cameriera                 - Cerco gli armadi nascosti sotto la tappezzeria, i passaggi segreti. È una pre­cauzione sempre utile.

Il cameriere                   - (ironico) Avete dimenticato il soffitto.

La cameriera                 - (seria) Ho già guardato. Non vi sono tracce.

Il cameriere                   - No? Pure mi è sembrato di vedere un ragno.

La cameriera                 - Benissimo. Ragno di mattina, sfortuna. Lagrime. La giornata è promettente.

(Esce pianamente, chiudendo così piano la porta che il domestico non se ne accorge).

Il cameriere                   - (rimasto inconsapevolmente solo) Ma smettiamo di chiacchierare... Datemi qualche consiglio pratico. Ditemi: il tappeto è ben spolverato? I mobili sono a posto? (alza il capo e s'accorge d'essere solo) Oh! È sparita? Che? Forse passa attraverso i muri? E pericolosa questa ragazza alla Sherlock Holmes, sempre alla ricerca di avventure. Mi sarà di grande incomodo!... (tutto d'un tratto si mette la mano sul cuore. Entra la contessa) Oh!... Dio!

II.

La contessa e il cameriere.

La contessa                   - (entrando) Siete voi il nuovo cameriere?

Il cameriere                   - (cadendo ai suoi ginocchi e aggiustandosi i baffi posticci) Sì, sono io, o crudele. Sono io, Gustavo, nell'abbiezione a cui mi ha ridotto l'amore!

La contessa                   - Signore! Quale follia. Ma co­me avete osato?

Il cameriere                   - Non avevo altra scelta. Voi avete chiusa la porta e sono entrato per la finestra.

La contessa                   - Alzatevi e andatevene! Se arrivasse mio marito!

Il cameriere                   - Non c'è pericolo: è ancora a letto.

La contessa                   - Alzatevi, vi ripeto.

Il cameriere                   - Non prima d'avere ottenuto il vostro perdono.

La contessa                   - Alzatevi. Vi perdono.

Il cameriere                   - Chiamatemi Gustavo!

La contessa                   - Ebbene, vi perdono, Gustavo.

Il cameriere                   - Dite che mi amate.

La contessa                   - No, no! Alzatevi!

Il cameriere                   - Giammai!

La contessa                   - Siete pazzo!

Il cameriere                   - Di voi!

La contessa                   - Siete pazzo, ripeto, e vi sup­plico: alzatevi!

Il cameriere                   - I vostri desideri, p bella Francesca, sono ordini per chi vi ama! (si alza).

La contessa                   - Insolente!

Il cameriere                   - Badate che sono capace di ricadere ai vostri piedi!

La contessa                   - Ah! no. Basta! Uscite o suono.

(Si sente un colpo di campanello).

La contessa                   - È mio marito!

Il cameriere                   - (solenne) Che impari ad at­tendere!

(Secondo colpo di campanello).

La contessa                   - Andate. Cosa volete ancora?

Il cameriere                   - Voi lo sapete benissimo! Vi amo.

La contessa                   - Ancora?

Il cameriere                   - Sempre.

La contessa                   - E io vi detesto.

(Terzo colpo di campanello).

Il cameriere                             - Corro, corro subito! (.Andandosene, s'accorge che la ca­meriera stava spiando attraverso la serratura e vede che al suo pas­saggio lo minaccia col dito. Ri­sponde mostrandole i pugni).

III.

La contessa, sola.

La contessa                   - E pensare che credevo di essermi liberata per sempre di quell'importuno. Adesso so cosa devo fare? È capace d'ogni cosa. L'ha detto lui. Solo Roberto può salvarmi. Era così furioso contro questo Gustavo!

 

(Rientra nella sua camera).

IV.

La cameriera, sola.

La cameriera                 - (entrando) Mi sembra che le cose vadano molto bene. Il cameriere stava inginocchiato ai piedi della contessa. Benis­simo. Imbecille... In verità però la contessa non si sentiva molto lusingata, (andando verso la porta della contessa ed origliando) Oh! Oh! Scrive!... E scrive nervosamente...

V.

La medesima. Il cameriere.

Il cameriere                   - (entrando) Il conte prende il bagno e ne avrà per dieci minuti, (vedendo h cameriera) Ah, siete contenta voi!.

La cameriera                 - Di che cosa?

II cameriere                   - Come, di che cosa? Tutti i vostri desideri sono appagati. Cadete in pieno mistero. Un mistero così profondo che senza di me non riuscirete mai a trovarne la chiave. Perché l'abisso è immenso e la chiave è in fondo all'abisso.

La cameriera                 - La spiegazione è molto sem­plice...

II cameriere                   - Non credete. Ma poiché avete sorpreso per caso una parte del segreto che incombe su questa casa, mi sono deciso a farvi una confidenza. Ma voi mi dovete giu­rare di essere muta come una tomba e di es­sermi una fedele alleata?

La cameriera                 - (palpitando) - Lo giuro.

II cameriere                    - Se mancate a questo giura­mento, o se simulate, la vendetta implacabile dell'Index écarlate vi perseguiterà. Ebbene, ascoltate.

La cameriera                 - Ascolto.

Il cameriere                   - Qui nessuno si chiama col nome che porta. Io non sono io. Lui non è lui. E loro non sono loro...

La cameriera                 - (spaventata) E chi sono adun­que?

Il cameriere                   - Avete certo sentito parlare della giovane regina di Silvania, Micaela, che si incapricciò del giovane granduca Borislao? Ebbene, costei è la contessa, e il granduca è il conte, (cantarellando le note del « Lohen­grin ») E Ladislao, loro cavaliere, sono io.

La cameriera                 - Oh! la padrona è così bella e lui ha lo sguardo così fiero!

Il cameriere                   - Sotto questa umile livrea sono entrato in questa casa per fare gli interessi del vecchio re, mio padrone. Questa mattina, in ginocchio ai suoi piedi, supplicavo la mia graziosa sovrana, in nome del figlio, il pic­colo principe Adalberto, di rinunciare al suo amore colpevole e oli raggiungere la terra na­tale. Credo che sia rimasta molto emozionata. Ho speranza. Ma tutto questo, senza dubbio, vi sarà apparso molto strano?

La cameriera                 - Strano a me? Mi sembra la cosa più naturale del mondo. Storie simili succedono tutti i giorni, tutte le sere." Contate su di me: vi sarò utile.

Il cameriere                   - Il mio cuore e la mia mano, graziosa fanciulla, saranno vostri!

La cameriera                 - Non fate promesse imponde­rate. Mi giudicherete ali opera. Ho la cer­tezza del successo!

VI.

I medesimi. Il conte.

Il conte                          - (vestito con un pigiama, entra adirato) Non disturbatevi vi prego! Fortunatamente ho imparato in collegio a vestirmi da solo. Voi mi avete lasciato tre ore nel bagno! Andate adesso, per lo meno, a rimettere in ordine il gabinetto di toilette. E preparatemi l'abito da passeggio. Devo uscire prima di mezzo­giorno.

VII.

Il conte, poi la cameriera.

Il conte                          - Un bell'acquisto, questo nuovo ca­meriere! Farò le mie congratulazioni a Do­menico. D'altra parte, in questi tempi, i servi sono così rari! Ma adesso, al lavoro! Il giovane marchese Locmaria m'ha dato un bel grattacapo. La graziosa vedova brasiliana, i cui occhi di fiamma e i cui milioni l’hanno ferito d amore, non sembra disprezzare del tutto i suoi sospiri. Ella però gli chiude la bocca ogni volta che tenta di dirle il suo amore. « Non vi ascolterò, gli ha detto, se voi non esprimete in versi l'amore che avete per me. Il mio primo matrimonio è stato troppo prosaico. Il secondo deve essere solo poesia. A voi, Cirano: ed io, come Rosanna, mi affaccio al balcone ». Questa specie d'ultimatum galante ha lasciato Locmaria molto male. Cavalca benissimo, tira di scherma meravigliosamente bene, danza egregiamente. Ma la letteratura non è il suo forte. Ieri, è stato da me e mi ha supplica­to: « Se non vieni in mio aiuto, sono rovinato. Lolita mi sfugge. Salvami. Tu sai fare so­ netti e madrigali con arte. Un piccolo sonetto di circostanza non ti costerà gran lavoro, ma in compenso sarà la felicità della mia vita ». « Insomma, rispondo, proponi a me di far la parte di Cirano e a te vuoi riservare quella di Cristiano! ». «Ma io ti lascio la parte migliore! ». «Ma non sai tu, disgraziato, che mia moglie s è messa in testa, anche lei, di. maritare la bella vedova e che tu non sei il suo candidato. Cosa mi accadrà mai, se venisse a sapere che a me deve la sua sconfitta? ». Ma Umberto non si è cu­ rato molto dell'imbarazzo in cui avrebbe po­tuto mettermi, ma ha saputo pregarmi così bene, che gli ho fatto questa testuale pro­ messa: « Il tuo sonetto sarà da Lolita prima di mezzodì, nascosto in un gran mazzo di fiori! ». (guarda , l'orologio e fa un gesto disperato) Già le dieci? Manco alla pro­ messa Ma, veramente il sonetto non è che di quattordici versi. Ho trovato, mentre facevo il bagno, il quattordicesimo. Ed è bel­lissimo, (declamando) « Et Vénus nous attend sous les myrtss de Chypre! ». Magnifico que­sto verso! Classico. Gli altri tredici non hanno importanza. Intanto cominciamo a tro­vare una rima a Chypre... Vediamo... (tirando fuori un rimario) Chypre... Ypre! È tutto. Solo Ypre... il vescovo d'Ypre... Chi sarà mai? Giansenio! Giansenio, vescovo d'Ypre. Ma come fare entrare in un sonetto il vescovo d'Ypre? (cammina a lunghi passi per la stanza. E, rivoltandosi, improvvisamente, si vede di fronte la cameriera, che è entrata come al solito, in punta di piedi).

Il conte                          - Che fate?

La cameriera                 - (ingenuamente) Faccio puli­zia, signor conte.

Il conte                          - Dovete anzitutto sapere, figlia mia, che non si deve entrare in una camera...

La cameriera                 - Ho bussato due volte. Il signor conte non ha risposto. Ed io ho creduto...

Il conte                          - (preoccupato) Bene, bene… (dopo un breve silenzio) Dite un po', figlia mia non avete sentito niente?

La cameriera                 - Quando, signor conte?

Il conte                          - Prima d'entrare.

La cameriera                 - (protestando) Vostra Altezza, crederà forse che io abbia origliato alla porta?

Il conte                          - Non intendo dire questo. Non lo credo affatto. Vi interrogo solamente. D'altri parte, voglio spiegarvi: ho qualche volta l'abi­tudine di parlare ad alta voce, soprattutto quando sono intento a comporre qualche verso, perché sono un po' poeta. Allora, per esercitare la mia verve, parlo a personaggi immaginari, comprendete? A personaggi che non esistono che nella mia immaginazione.

La cameriera                 - Comprendo benissimo. Ma Sua Altezza avrebbe torto a dubitare di me, sono la discrezione in persona.

Il conte                          - Non lo metto in dubbio. E or potete andarvene... E poi, a proposito, chiamatemi signor conte. Basta.

La cameriera                 - (con una sprofonda riverenza) Rispetterò la volontà e l'incognito di Monsignore, (esce).

VIII.

Il conte poi la contessa.

Il conte                          - Monsignore?... Incognito? Questa ragazza mi sembra un po'... (fa un gesto significativo con la mano) Ma la sua pazzia mi sembra innocente! Una bella coppia di dome­stici. L'uno non viene quando si chiama, e tratta da eguale a eguale. L'altra arriva senza essere chiamata e vi dà del Monsignore!... Ma, intanto, dove ero stato. Già, al vescovo Giansenio... (si siede al tavolino quando sente aprire la porta) Ah! Un altro. Non mi la­sciano in pace oggi. Devo chiudere le porte a chiave

(entra la contessa in abito da passeggio).

La contessa                   - Sono io, caro. Il vostro cat­tivo umore non è scomparso col bagno.

Il conte                          - Vi domando scusa, amica mia.

La contessa                   - Già al lavoro?

Il conte                          - Vi sorprende?

La contessa                   - Sì, un poco. Si può sapere...

Il conte                          - Oh! è poca cosa... non oso nem­meno...

La contessa                   - Un segreto? Non insisto. Sono stata abituata come una bambina, a cui non si contano le faccende dei grandi.

Il conte                          - (tentando una diversione) E che si sgrida quando entra senza far rumore.

La contessa                   - Precisamente. E che non si lascia parlare quando vorrebbe Mentre io ho bisogno di conversare qualche volta, poiché non no il dono di sapere scrivere. Ci si sposa, dicono, per vivere insieme.

II conte                          - (interrompendo dì scrivere, con un so­spiro) Ci si sposa per vivere tranquilli. Non­ dimeno, vi ascolto, amica mia.

La contessa                    - Voi mettete tanta compiacenza nelle vostre parole, che non voglio disturbarvi. (sospirando) E pensare che vi ho sposato per il vostro eccellente carattere!

II conte                          - Mi avete guastato, vedete?

La contessa                    - Scusatemene tanto, amico mio. Non voglio importunarvi oltre. Avevo creduto di avervi da dire qualche cosa.

Il conte                           - Parlate!

La contessa                    - Non me ne ricordo più.

Il conte                           - Se l'avete dimenticata così presto. vuol dire che, senza dubbio, non era molto im­portante.

La contessa                    - Nessuno meglio di voi lo può dire. Addio.

Il conte                           - Desiderate che v'accompagni?

La contessa                    - Grazie, grazie! Ho troppe spese ai magazzini.

Il conte                           - Allora, buon divertimento. Senza fallo dovrò uscire anch'io prima di colazione.

La contessa                    - Addio. Che Vulcano v'inspiri.

Il conte                           - Non Vulcano, Apollo vorrete dire. La mitologia è alquanto confusa nella vostra mente, ma voi sapete dare a tutto una tinta graziosa, (la contessa esce).

IX.

Il conte, solo.

Il conte                          - È gentile mia moglie. Ma intanto sono le undici! Non riuscirò mai più a tro­vare i tredici versi prima di mezzogiorno.. Tanto peggio, viva la prosa, (scrivendo) « Non voglio confidare ad un semplice foglio, e alla irregolarità della posta i versi che mi furono dettati dalla vostra bellezza divina... Voglio che la mia voce tremante li scandisca al vostro piccolo orecchio delizioso. » (mette la lettera in ima basta che sigilla e la depone sotto una cartella e chiama) Gontrando, in fretta, dammi l'abito da passeggio!

(Esce. Subito la cameriera entra con la solita aria misteriosa).

X.

La cameriera, poi la contessa.

La cameriera                 - (dopo avere gettato uno sguardo attorno, alza la cartella e prende la lettera, l’esamina) Non ha indirizzo!...Buona pre­cauzione. La busta è ben chiusa... Vediamola in trasparenza! Peccato, c'è una seconda busta interna, opaca.

(Entra la contessa, pronta per uscire, col cappello in testa. La cameriera ha cacciato immediatamente la lettera nella cartella).

La contessa                   - Susanna, ho dimenticato la mia borsetta in camera ed una lettera. Andate a prenderle.

La cameriera                 - Sì, signora, (va nella camera della contessa e ritorna, tenendo in mano la lettera) Anche questa senza indirizzo! Vo­gliono vincermi d'astuzia. Ma non riusciranno. (in un attimo toglie dalla cartella la lettera del conte, la mette nella borsetta della signo­ra e nella cartella mette l'altra lettera). Ecco, signora. Ho trovata la lettera, è nella borsetta. (la contessa e la cameriera escono).

XI.

Il conte.

(// conte entra, elegantissimo con un fiore all'occhiello. Ac­cende una sigaretta, prende la lettera dalla cartella e se la pone in tasca. Sembra esitare un istante, poi fa un gesto di impazienza ed esce con la can­na sotto il braccio).

XII.

Il cameriere e la cameriera.

(il cameriere entra, prende un sigaro, si sdraia su di una pol­trona e, preso da un tavolino un ritratto della contessa, lo contempla amorosamente).

Il cameriere                   - Ah! in questo mestiere (vi sono anche dei momenti tranquilli!

La cameriera                 - (entrando improvvisamente, con vo­ce cavernosa) Ladislao!

Il cameriere                   - (quasi spaventato) Ladislao!

La cameriera                 - (col medesimo tono) Si, La­dislao.

Il cameriere                   - (passandosi la mano sulla fronte) Già! Ladislao sono io.

La cameriera                 - L'ora segnata dal destino, o Ladislao, sta par scoccare. La mano d una donna ha saputo distruggere gli intrighi dei perversi... L'amore colpevole è alla fine!

Il cameriere                   - Cosa volete dire, bambina mia? Abbiate la bontà di spiegarvi meglio.

La cameriera                 - Ebbene, stamattina il gran­duca ha scritto una lettera.

Il cameriere                   - A una donna, senza dubbio.

La cameriera                 - Lo credo, senza esserne in modo assoluto sicura. Quel che è certo, è che deve fare con lei un viaggio a Cipro e che il concorso del vescovo sarà indispensabile...

Il cameriere                   - Ma la lettera?

La cameriera                 - L'ho intercettata.

Il cameriere                   - Molto bene. Datemela!

La cameriera                 - Non posso. La tiene la gran­duchessa nella borsetta.

Il cameriere                   - La granduchessa? Sono per­duto! Le avete data la lettera scritta da suo marito? Non è... non è molto... Pazienza, at­tendiamo gli eventi.

La cameriera                 - Non è tutto. La granduchessa ha scritto, anche lei, una lettera.

Il cameriere                   - A me?

La cameriera                 - Non c'era indirizzo.

Il cameriere                   - Allora sicuramente era per me. Datemela.

La cameriera                 - Non posso. L'ha il granduca.

Il cameriere                   - (furioso) Miserabile! Avete dato al conte la lettera scritta dalla moglie! Non è possibile! Mentite! Voglio questa let­tera. È mia. (tenta di afferrare per i polsi Susanna, ma questa si libera con facilità dalla stretta, corre dietro ad un tavolino, estrae di tasca una piccola rivoltella).

La cameriera                 - In alto le mani. Non scherzo.

Il cameriere                   - Lo vedo bene.

La cameriera                 - Sono sempre preparata a tut­to. Ho sempre con me tutto il necessario. (E tirando fuori di tasca una serie infinita di og­getti, li enumera ad uno ad uno) Un micro­fono per sentire attraverso i muri... Un grimal­dello per aprire le serrature... Un diamante per tagliare i vetri... Dell’inchiostro misterioso per le corrispondenze segrete... Un rivelatore per gli scritti invisibili... Un flacone di narcotico... Del veleno in un anello... Una corda per ca­larsi dal sesto piano... chiodi per fare scop­piare i pneumatici...

 Il cameriere                  - Basta basta, camarad (si sentono due squilli di campanello) Suonano. Facciamoci trovare al nostro posto. Io corro nell'ufficio!

La cameriera                 - Ed io, nella camera da letto!

XIII.

Il conte, la contessa.

(// conte e la contessa entrano ognuno da una porta diversa.)

Il conte                          - (sorpreso) Voi?...

La contessa                   - (con imbarazzo) Sì, avevo dimenticato le chiavi. Temevo che non mi sentissero suonare. Ma voi cercate qualche cosa?

 Il conte                         - Una cosa senza importanza. (suona, il cameriere appare) Non avete trovato nulla sul mio tavolino?

Il cameriere                   - Nulla, signor conte. (si ritira).

La contessa                   - Una lettera forse?

Il conte                          - Precisamente. L'avete trovata voi!

La contessa                   - Se avete la bontà di dirmi a chi era indirizzata, forse potrei ricordarmene

Il conte                          - (fra sé) (Non sa nulla. Forse vuole farmi parlare. Prendiamo l'offensiva.)(ad alta voce) Ma voi non avete pure dimenticato una lettera, prima d'uscire?

La contessa                   - (fra sé) (Deve averla. Giochiamo il tutto per tutto), (forte) Venivo precisamente per cercarla.

Il conte                          - Inutile ogni ricerca. Era sul mio tavolo.

La contessa                   - (ridendo) Siete più ordinato di me. Posso incaricarvi di imbucarla?

Il conte                          - Ma manca d'indirizzo.

La contessa                   - È il colmo della distrazione…..

Il conte                          - O della dissimulazione.

La contessa                   - (fra sé) (Non l'ha letta). (forte) Non comprendo...

Il conte                          - (fra sé)        - (Giochiamo d'audacia. (forte) L'ho letta, la vostra lettera. Non continuate a mentire!

La contessa                   - Cosa intendete dire? Vi comportate molto... molto...

Il conte                          - Un uomo, di cui si ride indegnamente non ha più regole cavalleresche da osservare o da seguire.

La contessa                   - Un uomo che non osserva le più elementari regole dell'educazione, non merita molti riguardi. Però tengo a chiarire che ho trovato nella mia borsetta la lettera che avete scritto e che cercate!

Il conte                          - E che avete letta.

La contessa                   - Come voi avete letta la mia!

Il conte                          - (fra sé)        - (Si vanta, ma non ha osato. Siamo generosi).

La contessa                   - (pure fra se) (Avevo indovi­nato: non ha osato. Approfittiamone).

Il conte                          - In questa faccenda, riconosco la delicatezza del vostro carattere, (affabile) E vedo in ciò una prova plausibile del vostro amore...

La contessa                   - Che voi non meritate!

Il conte                          - Vi giuro che quella lettera non con­tiene nulla...

La contessa                   - Allora posso aprirla!

Il conte                          - Apriamola insieme.

La contessa                   - Grazioso.

Il conte                          - Grazioso che voi non sappiate re­sistere alla vostra curiosità!

La contessa                   - Che grande confidenza!

Il conte                          - Che confortante fiducia!

La contessa                   - - Siamo leali l'uno coll'altra. E questa lealtà che noi abbiamo l'uno verso l'altra deve essere completa, senza riserve, sen­za strascichi, senza rancori: restituiamoci le let­tere.

Il conte                          - Sia. Questa soluzione è degna di noi. Restituiamoci le lettere e perdoniamoci a vicenda il peccato che abbiamo commesso.

(Si scambiano le lettere, con qualche precauzione. Ad ope­razione fatta appaiono tutti e due molto più disinvolti).

Il conte                          - Ah! Francesca, non avrei mai créduto...

La contessa                   - Chut! Avete promesso...

Il conte                          - È vero! Ma dite un po': questo qui prò quo non vi sembra un po' bizzarro?

La contessa                   - Più ci penso e meno mi con­vinco che sia opera del puro caso. Ho il dub­bio che il nuovo cameriere non ne sia estra­neo... Costui ha un fare così poco convincente.

Il conte                          - Sono lusingato che sappiate sem­pre trovare lati poco simpatici nei miei ca­merieri. Ad ogni modo non vi nascondo che la vostra cameriera potrebbe essere stata in grado di architettare questo colpo così grazioso. In conclusione procediamo all'interrogatorio del sospettato, (suona e il cameriere entra).

XIV.

I medesimi e il cameriere.

Il conte                          - Gontrando, qui è avvenuta una so­stituzione di lettere molto grave. Ho le mie ragioni per credere che ne siate l'autore.

Il cameriere                   - Il signor conte mi permetta di dirle che è in errore e di avvisarla che la nuova cameriera è in preda ad una specie di esaltazione, che potrebbe renderla capace di tutto. Il cinematografo le ha montata la testa. Porta con sé un vero arsenale di oggetti pe­ricolosi. Non mi sento tranquillo...

Il conte                          - Va bene. Dite alla cameriera di venire qui. (il cameriere esce).

XV.

Il conte, la contessa, la cameriera.

La cameriera                 - (entrando) La signora mi de­sidera?

La contessa                   - (prudente) È il signor conte...

Il conte                          - (secco) Ragazza mia, non fate per noi. Vi pago gli otto giorni e potete...

La cameriera                 - Lo prevedevo, perché so da dove il colpo viene. Ladislao mi ha tradita.

Il conte                          - Ladislao?

La cameriera                 - Il nuovo cameriere. Sì, voglio dirvi chi è l'uomo che si è introdotto qui!

La contessa                   - Ma, signorina, non è questo che vi domandiamo, (al conte) Vedete che que­sta ragazza non sa quel che si dice.

Il conte                          - (non rilevando l’osservazione della si­gnora) Come? Dite che il cameriere sarebbe una persona sospetta? Spiegatevi, senza paura.

La cameriera                 - Non ho paura di nessuno. Ho sempre con me, quanto basta per difen­dermi: la rivoltella, l'anello col veleno, il flacone del narcotico! (tira fuori di tasca uno dopo l'altro gli oggetti nominati).

Il conte                          - (alla contessa) Vedete bene che non bisogna contrariarla.

La cameriera                 - Ebbene, Ladislao è vendu­to ai vostri nemici. Gettate la maschera e confidatemi il vostro amore. Sotto la mia pro­tezione, sarete inattaccabili. Partiamo insieme per la Silvania. (Brandisce la rivoltella).

Il conte                          - Il diavolo mi porti se capisco qualcosa!

La contessa                   - (a bassa voce) Fingete di ac­condiscendere o siamo perduti.

Il conte                          - Grazie, o fanciulla, saprò ricom­pensare il vostro zelo.

La cameriera                 - Vostra altezza è troppo buo­na. Io lavoro per l’arte, (si rimette la ri­voltella in tasca).

Il conte                          - Ma il più assoluto silenzio. Biso­gna che i nostri nemici non sappiano nulla.

La cameriera                 - Soprattutto Ladislao.

Il conte                          - Lo caccerò immediatamente. Quan­to a voi, preparate in fretta il vostro baule. Andate all'hotel che sta qui di fronte...

La cameriera                 - Prevedevo tutto ed ho tutto preparato.

Il conte                          - E lì, attendete i nostri ordini!

(La cameriera fa un segno af­fermativo con il capo ed esce).

XVI.

Il conte, la contessa, poi il cameriere.

La contessa                   - L'abbiamo scampata bella!

Il conte                          - In tutta questa faccenda non vedo chiaro. Per ogni eventualità, facciamo, men­tre siamo in tempo, piazza pulita.

Il cameriere                   - (entrando) Il signore ha suo­nato?

Il conte                          - (prudente) È la signora...

La contessa                   - Il signor conte sa che vi siete introdotto in questa casa sotto un nome falso.

Il cameriere                   - So da dove viene il colpo...

La contessa                   - (prendendo per un braccio il con­te, quasi per averne proiezione, e guardando fissamente Gontrando) Comprenderete per­ciò come la vostra presenza qui sia di troppo.

Il cameriere                     - Me ne andrò, (alla contessa) Servitor vostro... (al conte) Spero che noi potremo incontrarci su di un terreno migliore... (esce).

XVII.

Il conte, la contessa.

Il conte                          - Cosa vuol dire questo imbecille: su di un terreno migliore?

La contessa                   - (nervosa) Quel miserabile è uscito minacciando... l'altra è qui di fronte che attende e può rientrare da un momento all'altro e minacciarci con la rivoltella, i ve­leni... Ho paura.

Il conte                          - Rassicuratevi, cara Francesca. Ci sono io.

(Suonano alla porta d'in­gresso).

La contessa                   - (si stringe al marito) Non an­date ad aprire per carità! Ho paura, ho paura!

Il conte                          - (intrepido, dandole un bacio sulla fron­te e incamminandosi verso la porta) Lasciate fare a me.

(va ad aprire ed entra, molto agi­tato, il marchese Locmaria).

XVIII.

 I medesimi e il marchese

Il marchese                    - Me ne succede sempre qualcu­na. Non vi è nessuno al mondo che abbia una sfortuna come ho io. (notando la contessa, che, lì per lì, non aveva vista) Oh! contessa, le mie scuse, i miei omaggi. Permettetemi di confidarvi le mie disavventure, (si siede. Il conte di nascosto gli fa segno d'essere prudente).

Il marchese                    - Dovete subito sapere, cara con­tessa, che mi sono innamorato pazzamente della divina Lolita, la nostra opulente brasiliana. L'ha vista, per la prima volta, nel vostro salotto. Questa passione, nata, dirò così, sotto i vo­stri auspici aveva tutte le chances per ben riuscire. Le cose erano già bene impostate quan­do, questa mattina, mi presentai dalla nostra bella amica. La trovai disperata. La came­riera l'aveva lasciata improvvisamente. « Che disgrazia! Come potrò andare avanti tutta sola? Devo mettere un po' di ordine in casa, ma come farò?». In breve, mi disse: «Andate, correte a cercare, e portatemi subito, su­bito una cameriera ed io vi concederò la mia mano! ».

Il conte                          - (rassicurato) Felice mortale!

Il marchese                    - Come? Oggi è lunedì e tutte le agenzie sono chiuse?

Il conte                          - Ma io ho chi t'occorre.

Il marchese                    - Scherzi?

Il conte                          - La cameriera della contessa è stata licenziata stamattina.

Il marchese                    - Rifiuterà!

Il conte                          - Accetterà, sicuramente. Attende gli ordini all'hotel meublé, qui di fronte. Non mi spiego oltre, sarebbe troppo lungo. Datemi solo il tempo di scrivere due parole (scrivendo e leggendo nello stesso tempo). « Gli affari van­no bene. Seguite dove vi condurrà il marchese Locmaria, che vi porta questo biglietto. Con­fidenza e discrezione ». Ecco.

Il marchese                    - Grazie, amici carissimi, la mia riconoscenza. Voi fate di me il più felice degli uomini  (esce).

XIX.

Il conte e la contessa.

Il conte                          - Ed ora siete tranquilla?

La contessa                   - Abbastanza. Ma tutte queste emozioni mi rendono Parigi antipatica. Vorrei partire, andare lontano, lontano...

Il conte                          - Lontano, sì... dove volete, (tene­ramente) E soli, noi due soli!

La contessa                   - Ah, sì! Senza domestici!

Il conte                          - Senza domestici! E dire che vi è tanta gente che rimpiange di non averne.

La contessa                   - Non conoscono... non cono­scono la loro fortuna.

FINE