COLLOQUIO COL TOPOLINO
Monologo
di GALEAZZO A. GALEAZZI
PERSONAGGI
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Commedia formattata da
Una brutta e triste cinquantenne - (e più la imbruttiscono e intristiscono i grossi occhiali da miope), in una brutta e triste stanza netta quale è adunato tutto il mobilio di una vecchia casa.
La pioggerella autunnale smeriglia i vetri detta -finestra e dilaga i tetti bruni che ne costituiscono il panorama.
La donna legge seduta a un tavolinetto accostato alla finestra e sul quale posano libri e foglietti di carta e un lapis.
Ogni tanto si volge e tende l'orecchio a un rodio sempre più deciso e distinto che te giunge dal pavimento li presso, tra pavimento e parete.
Parla a lunghe pause.
Finirai per fargliela.
Ma dove ti credi d'arrivare?
Ti credi che sbucherai in paradiso?
E che ti credi di trovarci?
Una dispensa di lardi e formaggi?
Se non te ce lo metto io un rosicchio...
No. Te l'hai da guadagnare. E voglio vedere quanto naso ci hai e quanto coraggio.
Hai da fare la traversata per arrivare alla credenza.
- (Un silenzio più lungo e poi si china per udire meglio)
Ah! L'hai smessa.
Ti riposi?
O ci hai rinunciato.
Ti ritorni? Eppure, a sentirti, avrei detto che si trattava dell'ultimo millimetro.
Anche voi come noi? (Pausa più lunga)
Non mi sarebbe mica dispiaciuto che gliela facessi. Ormai t'aspettavo. Né t'avrei impaurito con uno strillo; né sarei balzata sulla sedia stringendomi addosso le sottane (e poi, quasi tra sé) come fanno tutte le vergini e le maritate che le sottane vorrebbero portarle a margherita. (Pausa più lunga)
T'avrei detto... benvenuto. E col cuore... Sono cosi sola... (Pausa) Vuole lezioni di matematica? t'avrei detto. Lasci stare. Non è servita niente nemmeno a me. Nemmeno pel calcolo delle... probabilità. Eppure è l'unica cosa che capisco, la matematica. Ma lei non ne ha bisogno. Guardi che razza d'ingegnere è lei! Lei ha saputo scavare una galleria dalle fogne della strada al quarto piano. Un pozzo dal sotto in su. I nostri, li sanno scavare soltanto dall'alto in basso, i pozzi. Gli ingegneri. Perché i filosofi e i teologi fanno come lei: pozzi dal sotto in su. E quando sbucano all'aperto... addio! Sono i primi a impaurirsi.
Lo sapevi, topolino? Allora non eri un ingegnere, ma un teologo. E ti sei ritornato. Un teologo prudente.
O ti hanno avvertito che io devo restare sola?
E ti sei messo anche tu dalla parte dei tristi?
O ti hanno persuaso che anche a essere in due sono sempre soliloqui? Perché... cosi è, Non ti credere: anche questi con le formule sono soliloqui: nel senso che ogni risposta ti porta a un'altra domanda: e quella che ti resta tra i denti, in ultimo, è una domanda senza risposta.
Infinito!
- (Tra sé) E anche Einstein, se ha voluto vedere più in fondo... s'è dovuto buttare a capofitto nella morte.
E allora... tanto vale restare qui, nella speranza di poter parlare un giorno con un topolino. Perché, dopo morto, te lo rosicherà lui, il topolino, il tuo miste-
ro matematico: e tu, zitto, Einstein. (Lungo silenzio)
Sono tutti soliloqui.
Sarebbe stato un soliloquio anche questo con te... se non ti fossi ritornato. E però... (Si riaccinge a leggere)
- (Legge) « Applicando il Ph di Quldino, dimostrare che il solido generato dalla rotazione di un esagono regolare di lato L... » - (II rodio riprende più forte)
- (Quasi felice) Ah! Ricominci?
Allora.., vuoi proprio fargliela. (Depone il libro sul tavolo e aspetta con visibile ansia)
E si: gliela stai facendo.
Forza! Coraggio! Bravo! Ecco! Gliel'hai fatta!
È crollato. E ci sei! (Una pausa più lunga)
Paura? Delusione? Te l'avevo detto.
- (Ed ora quasi vezzosa) E il guaio è che ci hai un naso cosi pieno di polvere che se non starnutisci non sentirai l'odore del formaggio che sta li dentro.
Dove vuoi andare? Sembri una locomotiva in partenza: di quelle antiche: di quelle che mettevano due baffoni bianchi per soffiarlo fuori tutto il fiato.
Ma tu, se ancora un poco ci vedo, tu, ì baffi, non ce li hai. Li hai perduti? Allora sei vecchio. Un vecchio sorcio. E io... una vecchia gatta. Cosi, sta' tranquillo. II proverbio vuole gatta giovane per sorcio vecchio.
Comunque... più vecchio di me: questo è certo. Lo vedo dalla prudenza. Tu prima d'azzardarti a mettere fuori le orecchie... Ma sai che sembra la tua testa, cosi senza le orecchie?
La testa d'un serpente.
Diavolo! (È scattata sulla sedia)
- (Persuasa e Impaurita, si fa un approssimativo segno di croce ; poi rantola) Era lui!!
E, riconosciuto, s'è eclissato. Era lui! Era lui!
Toh! Mi c'è venuta la pelle d'oca!
E mi sono fatta pure il segno della croce!
Io!! (Pausa, ma quasi rantolando)
Io... che Ilio chiamato e aspettato per anni! (Grida) Stupida! Vigliacca! Disgraziata! (Una pausa più lunga)
E avrei potuto dire d'averlo visto: d'averci parlato! (Pausa)
Ma potrò sempre dire d'averlo intravisto... E che lui c'è davvero. Perché, l'altro... mai! Nemmeno intravisto. Nemmeno quando mia nonna mi assicurava che appena m'addormentavo, attorno al mio lettuc-cio, scendevano dal cielo voli dei suoi angeli.
Gli angeli! mai visti, nemmeno loro. Perché, di giorno, anche gli angeli si vergognano a restarmi vicini. Si vergognano anche loro della mia bruttezza. Tanto ero brutta pure da bambina: quando sono belle perfino le scimmie.
Ci sono nata bruttissima, io.
E sono rimasta sulla piazza quand'ero in fascia.
Contro la mia bruttezza hanno fallito anche i proverbi.
E tuttavia, direi che i miei compagni di scuola esageravano a volgere i musi verso di me, quando si giungeva a quel verso del Canto trentaduesimo del Purgatorio: «Simile mostro in vita mai non fu ». E che più esageravano nel declamare quell'altro, del Sonetto 75 del Petrarca: « O delle donne altero e raro mostro ».
Posso dire che tutta la mia cultura letteraria è qua.
Me li hanno scolpiti sulla fronte quel Dante e quel Petrarca.
Ma io stessa, come avrei potuto accettare senza arrossire sempre, la sollecitazione con cui il professore di matematica mi invitava a disincagliare i compagni dalle secche di un teorema? « Sentiamo che sa dirci il nostro matematico ».
Ed erano ancora fiamme quando quello di filosofia diceva più innocentemente: « Quel mostro d'ingegno e di sapienza. Platone... »
E però, a casa, erano novene e tridui e lacrime. Fiumi di lacrime!
E le lacrime che lavano peccati e delitti, a me sono servite solo a invecchiarmi gli occhi e a solcarmi la faccia. (Si piega verso il buco e grida) Si! Perché prima di sperare in te, anche io, come tutti, ho battuto alle porte dei santi!
Mi ci sono sbucciata le nocche alle porte dei santi!
Ma quando un sacerdote volle consolarmi dicendomi che Iddio era tanto geloso della bellezza dell'anima mia da averla chiusa in un corpo che... disgustasse... allora ho gridato a te, perché tu gliela rubassi questa anima, rifacendomi bella! La più bella di tutte le donne! La. più bella del mondo! (Un lungo silenzio)
Finito di sperare in Dio, ho creduto alle favole dei poeti.
Ma poi no! Non ai poeti soli! Non è stato detto da chi poteva dirlo che tu sei il signore di questo mondo? E non sei stato tu a far crocifiggere su questo mondo perfido il tuo Dio?
La fine del gioco eri dunque tu!
Con te sì finiva.
Con te si finisce. (Pausa più lunga)
Ma la mia voce che non era stata capace di salire a Dio, non è stata capace nemmeno di scendere a te.
La mia voce è soltanto un nodo scorsoio per la mia gola.
E questo è un mistero più grande del mistero della mia bruttezza.
Mistero!
E con chi parlare dei misteri se non con te?
Non sei forse stato il primo che sul mazzo di carte del mistero ti sei giocato l'anima? (Un lungo silenzio)
Oh! Rieccoti!
Allora sei tu davvero.
Sei proprio tu.
E basta dire questa parola « mistero » perché tu comparisca.
Bravo!
Hai perso il pelo, ma non il vizio.
E hai ragione. Solo con noi uomini puoi giocarla bene la partita del mistero.
Abbiamo la stessa tua testardaggine e nobiltà nel volerla vincere. (Un lungo silenzio)
E adesso mi guardi pure.
Certo: se dobbiamo parlare del mistero della mia bruttezza, dovrai persuadertene.
A stare ai tuoi occhi e al tuo naso, si direbbe che ti pare impossibile che sia una Èva anche io. (Pausa, poi decisa)
Non mi riconosceresti nemmeno se mi spogliassi? Nuda? (Un lungo silenzio)
Quanto l'ho desiderato di spogliarmi nuda davanti a un Adamo, magari più miope di me,
E quanto dev'essere stata contenta Èva, dì farsi vedere nuda da te.
Che volevi ne capisse Adamo di quella bellezza? (Con una ironia che giunge al disprezzo) Adamo era stato fabbricato soltanto per i casti amplessi procreatori.
Non c'erano che questi tuoi occhi per misurarla la bellezza dì Èva! E scommetto che Iddio, prima di lasciarla sciupare da Adamo, ha voluto la vedessi tu.
Ha voluto vantarsi proprio con te dell'opera delle sue mani. Per farti abbrustolire d'invidia. (Una pausa più lunga)
Ma si: tutte le meraviglie che ha fatto, le ha fatte per farti dannare. (E poi con altra voce, e temendo di averlo offeso nell'orgoglio) E però non lo sospettava che a quella spericolata di Èva potevi riuscirle simpatico?
Che ne dici? ,
Mistero! (Un più lungo silenzio)
Non lo sapeva quanto l'aveva fatta curiosa? Curiosa e... anormale: da non poter capire perfino la matematica? (Ride)
E da capire la scienza del bene e del male?
Soprattutto quella del male?
Che ne dici?
Mistero!
Se l'aveva impastata lui, non doveva saperlo d'averle fatto un cervello vivo come l'utero? E quindi molto più sveglio del cervello di Adamo?
Ma soprattutto non doveva saperlo che, uscita come era dalle mani del Bene, quello che le mancava per essere perfetta era soltanto il Male? E che per impos-sessarsene l'avrebbe strappato di mano a chiunque lo possedesse?
Non doveva essere perfetta, Èva?
Mistero!
E nemmeno tu me lo puoi spiegare.
Ma adesso, non credere che t'ho tanto chiamato e aspettato perché volevo da te una lezione o una iniezione o una infusione di... sapienza.
Da quel giorno di Èva, ogni donna è stata una moltiplicatrice elettronica di sapienza.
Figurati che,.. « quantità»... sono oggi io!
Te l'ho detto: io t'ho chiamato perché ho creduto alle favole. Dei poeti e dei preti.
E perché la Bibbia e il Faust me ne hanno convinta.
E allora, a chi appigliarsi se non a te, volendo vivere nella gioia?
E io ero nata solo per la gioia.
Io, con questo viso e questo corpo.
Con questa bruttezza totale.
Tutta brutta: anche nella voce e nei gesti.
Repulsiva, non dirò per l'amore, ma perfino per l'amicizia.
Una volta sola ho potuto illudermi di diventare la moglie o l'amante d'un uomo. Era un cieco. Ma anche lui, un giorno, sembrò che mi vedesse.
Fu allora che mi buttai a chiamarti, a invocarti, a offrirti l'anima mia notte e giorno!
Fammi bella come hai fatto giovine Faust. E sarò tua eternamente. E l'ho sognato il miracolo! A notti intere con. un crescendo di deliri. Perché quello che non volevi fare tu sapeva farlo la mia fantasia.
Ma tu sei capace di rifarmi giovane e bella come voglio?
Di farmi cosi ricca di fascino che tutti abbiano bisogno di contemplarmi, di starmi accanto, di parlare con me, di ricevere da me sorrisi e carezze? Di ascoltare le mie parole e i miei pensieri come ascoltano la musica? Di mettermi nelle mani i loro fiori e i loro bambini? Proprio com'è di tante donne felici. (Una lunga pausa)
Che?! Dubiti di diventare geloso.
Brucerebbe anche te vedermi felice per altri? (Pausa. Con voce di seduzione) E allora perché non mi fai felice per te? (Pausa)
II tuo alto nemico, questo sa farlo: e i santi e le sante sono felici anche sulla terra. (Un più. lungo silenzio)
- (Cruda) Sai di non potermi fare felice tu?
Sai d'essere più piccolo della mia fame e del mio sogno?! (Un lungo silenzio)
- (Poi umile e accorata) Eh via! Io non sono che una povera vecchia donna. È. facile fare felice una povera vecchia donna che non assaporò mai una dolcezza. Che anche l'anima ha vergine d'ogni contatto.
Non lo sai che sono stati tutti i miei giorni per me?
Le celle aperte d'una immensa prigione vuota. E in ognuna potevo entrare sedermi stendermi. Ma inutile che tentassi di leggere i segni che graffiavano i muri. Non uno aveva lasciato una parola per me.
Non c'erano che i miei passi dentro i miei giorni; e il battito di questo mio cuore; di questo grosso orologio.
Nemmeno le stagioni entravano nei miei giorni. Scivolavano sulle muraglie dell'anno ed era un caso se s'impigliavano per qualche momento alle gelosie e alle inferriate delle finestre. Dalle tramogge di quelle albe colava come una farina grigia di luce.
E le mie mani non erano che candelette di sego. (Pausa lunga)
Se non ci fossero state le formule matematiche a farmi fumare fuori dai comignoli il cervello...
Ma era il cervello solo che pigliava il volo.
Il cuore seguitava a battere i secondi sul comodino e ne risonavo come se fossi stata di legno, (Pausa)
Da quelle fughe verso gli abissi di un cielo dove roteavano vertiginose costellazioni spente di numeri e figure, sarei potuta rientrare almeno pazza.
E invece rientrai con un cappellone piumato da risate e paura.
Il titolo di professoressa di matematica,
E quando uscii per le strade, fu per passarvi così orrendamente impennacchiata.
I miei ragazzi gridavano dalla lontana: «La professoressa di matematica!» e si nascondevano dietro le cantonate. (Un lungo silenzio)
La misuri adesso la mia solitudine e la mia infelicità? (Con un crescendo di tono) E non te ne impietosisci?
E non te ne adiri?!
E non vorrai vendicarmi?)!
- (Poi con voce improvvisamente cauta e fatta densa di seduzione e aspra di tentazione) Nemmeno in quest'ora che siamo soli, io e te, e che potremo compiere qualunque giustizia?
E fare un miracolo da screditare il cielo?
Se il semplice uomo, sollecitato da una donna, ha potuto compiere tante follie e prodigi, che potrai fare tu? (Una lunga attesa)
Fammi vedere chi sei!
Non sarò certo io ad impaurirmi. (Un silenzio)
- (A sfida suprema) Hai paura tu?! Di me?
- (Dopo un lungo silenzio e oramai stanca e senza più speranza) Allora... ammainiamo le vele più alte.
Mi contenterò di poco.
Saprai soffiarmi un po' di rosa su questa raand gialla?
Oh no! No! Troppo piccolo prezzo per un'anima, pure ridotta al tizzone come la mia. Troppo poco! (Un silenzio)
Dovrai almeno rifarmi belle le mani e i piedi. Guarda come me li ha distorti l'artrite! (Una pausa più lunga)
Ebbene ?
- (Un grande silenzio, poi con voce tristissima e con estrema ironia)
Hai ragione... Perché?
Perché coi bei piedi e colle belle mani io vada a prendere in quella credenza un rosicchiolo di formaggio per un topolino che è venuto a tenermi compagnia?
Che se ne farebbe lui della bellezza delle mie mani e dei miei piedi?
Lui non aspetta che il rosicchiolo di formaggio.
- (Dopo un altro silenzio, con altra voce, del tutto uscita dalla illusione e dal gioco) E allora... aspetta: vado a prendertelo davvero... topolino.
Devi aver fame. E io... tutte quelle parole! Poverino! Che puoi averne capito tu? Ma.,, un uomo... avrebbe voluto sentirle?
E invece... tu... sei rimasto li... zitto... educato...
Aspettami. Ma aspettami davvero.
- (Si alza cauta e più cauta va a una credenza.: ne torna portando un minuzzolo di formaggio. Giunta in vista del buco si arresta: si china) Sei scappato?! (Meno cauta si accosta e grida) Stupido! Peggio per te. (Pausa) E ti meriteresti... (Un silenzio)
Ma no: io te lo lascio qui Io stesso. (S'inginocchia chinandosi sul buco. Pausa) E se tornerai... vedrai che non c'era inganno. E che non c'è pericolo per te. Qui non c'è gatto. (Pausa) Ed anzi amicizia e sicurezza troverai: come se questa fosse casa tua. E io mi divertirò a vederti trotterellare e arrampicare e cercare e fiutare e addentare da padrone. (Pausa) Che se poi, quando m'avrai conosciuta e mi riconoscerai, vorrai farmi la grazia di venire a prendere il rosicchiolo dalle mie dita... Ho sentito che certi topolini finiscono per farlo coi loro amici... E che certi altri... che certi altri topolini s'arrampicano fino a mordicchiargli il mento come per un bacio... ai loro amici... Oh allora! (Un gemito e un silenzio)
Topolino... Topolino... Mi odi? Mi ascolti?
- (A voce più alta) E sai che ti prometto pure? Ti prometto che non dirò più tante pazzie come oggi. Perché Io so che tu sei come un bambino innocente... (Pausa) Ti racconterò le favole dei gatti burlati dai topi... Ne so tante. (Un silenzio) Oppure... starò zitta... Si starò zitta. (Pausa e poi quasi tra sé) Tanto si può anche tacere quando s'è in due.
E vedrai come sarò contenta. Tanto contenta da fare rabbia al diavolo. (Pausa) Tanto contenta che sarà finalmente contento anche Iddio... di vedermi consolata. (Scoppia in pianto)
FINE