Colore
di
Akul K.
(Luca Musella)
Note:
Le canzoni e alcuni brani del monologo sono accompagnati da una chitarra. Il
musicista è a fronte del palco, quasi in quinta, a sinistra rispetto al
pubblico. È illuminato da una luce blu- ciano, d'intensità molto al di sotto di
quella della scena. L'attrice non interagisce durante la recitazione con il
chitarrista.
In alcuni istanti, anche per alleggerire il testo, l'attrice interrompe la
recitazione come se fosse in prova. Sgrida il chitarrista perché in ritardo e
domanda delucidazioni rivolgendosi alla sala sulla luce, sul vestito, sulla
pancia visibile ecc. ecc. Dalla sala arriva solo silenzio e spero qualche
applauso. Il passaggio tra recitazione è realtà deve essere impercettibile e
ambiguo. Il tono è isterico e mostra un'aggressiva insicurezza sulla
rappresentazione e sull'attrice stessa. Fragilità.
L'ultimo giorno, l'attrice scende dal palcoscenico e, continua la
rappresentazione muovendosi nella prima fila del pubblico. Solo alla fine, con
il buio in sala, torna lentamente sul palco e si chiude il sipario.
La luce, a differenza delle ultime cose che ho visto in teatro, è forte, bianca
e netta. Il viso dell'attrice è sempre illuminato, anche dal basso, mentre la
scena a volte è buia o in penombra. Nessuna gelatina, solo il chitarrista ha un
altro piano cromatico.
La scena è molto realistica. Immagino una delle tante case stravaganti di
un'attrice a Trastevere (esempio: vasca da bagno vicino al letto). Design
accurato misto a qualche oggetto di modernariato. Alle pareti è appeso qualche
quadro. Non ci sono fondali neri, la scena è delimitata dalla luce e dalle
pareti, mentre il resto del palco è a tratti visibile, comunque mai mascherato.
Tipo teatro di posa.
La scena si svolge in una camera da letto, ben arredata. L'attrice si muove in
questo ambiente in modo isterico e compulso. I giorni della settimana sono
evidenziati da un buio in scena.
Lunedì
Non ho tentato il suicidio, brutto stronzo, ho solo cercato di tingermi i
capelli con il mercurio cromo. Stasera al caffè latino mi metto i guanti
bianchi. Le copro le mani, mica mi va di passare per fessa. Poi, che me ne
fotte, tanto è lunedì, piove e verranno soltanto tre allupati. Gli uomini,
cazzo, vogliono solo fottermi a sangue. Tutta la vita a sbavarmi dietro.
L’amore vero, quello che mi ha fatto fare le foto con la lingua fuori in una
macchinetta automatica, prima sola, poi in braccio a lui, poi sempre in braccio
e con la lingua fuori, poi di nuovo sola, quello era amore. Svanito,
fottutamente perso: già la musica, un successo che doveva arrivare con il treno
e in un'altra città.
E poi traslochi, merda quanti traslochi, sempre in case più piccole, a
succhiare cazzi più aggrinziti dagli anni e dall’impotenza. Ho quarantacinque
anni e mi sento una merda. Il blues è una musica da strada, una giovane fica e
trenta persone che ascoltano e ti danno una monetina, questo è il blues.
Non si fanno le marchette per cantare il blues, si scende in strada, libera e
assonnata, e si canta come una zingara, non come una subrettina del cazzo. Io
lo ho sempre saputo, eppure, ho bruciato i miei anni dietro un Sanremo. Un
sogno che non era il mio…lo era si, ma, come dire…in parte. Dai e dai è
arrivato pure il mio turno, ho lasciato che passasse, tanto non poteva cambiare
un fico di me.
L’arte non ha nulla a che vedere con le cenette, è dentro di me, io so che sono
una cazzo d’artista, ma lo sputtanamento è negli occhi degli altri, nei come ti
sei ridotta mi sembri giù, nel quando esce il prossimo disco, detto in modo
sarcastico, alla io so che non uscirà mai, eppure se esce, non se lo caca
nessuno.
Vieni qua, brutto stronzo, aprimi una birra, quando fumo mi si secca la gola e
mi si bagna il cervello.
E poi giù, da ministri a sottosegretari, da sottosegretari a portaborse, a darla
a tutti e a non avere niente da nessuno. Ba. A non saper prendere niente da
nessuno. Da quando è cambiato il vento, solo calci in culo. Eppure quella
discografica ci mangiava con quelli lì, ma è una donna per tutte le stagioni,
io per nessuna: prima avevo il suo numero telefonico diretto, poi quello del
segretario frocio, adesso, ho perso anche quello del centralino.
Facciamoci un’altra canna, l’ultima, poi mi preparo: a quelli stasera non ci
posso mica mostrare solo le tette, che dici, guardamele. Sono piccole? Che ti
piacerebbero qualche centimetro in più. Però non scendono, le tette piccole
sono una garanzia di eterna giovinezza, guardale, me le faccio rifare?
Dovevo dire di no, una cazza d’artista non canta per tre allupati, ma perché
continuare così? Sono anni che dovrei smettere: potrei tornare a casa, stare
con mio figlio, cercarmi un uomo vero.
Il mio paese non è male, ti annoi da matti, però c’è il mare tutto l’anno. E’
lì, ti entra negli occhi ogni mattina, ti vive accanto e non ti chiede chi sei.
A volte penso che è tardi, oppure, forse, è troppo presto.
Vieni qua, avvicinati, ti leggo una canzone che ho scritto, voglio vedere la
mia voce scivolare sulla tua faccia, ma non la voglio cantare, tutta scosciata,
davanti a tre allupati.
Nero
'Sta notte fa friddo,
'Stu friddo è paura.
Me trase dint’ 'e vvene,
Me porta 'e penziere.
Io guardo 'stu buio,
e provo a vulà.
Io guardo 'stu mare,
e cerco pietà.
Purtateme 'o sole,
nu poco 'e calore.
Purtateme luce,
Saglite 'e culure,
Fujmme 'e ppaure.
Miezz' 'o nire 'e 'stu mare,
Me pare 'e vedè,
'Na lampara luntana.
'Sta luce improvvisa,
che me fa addunà:
Ca pure chesta notte,
Nu lampo po’ capì.
Ca pure n'ata sciorta,
Rimane pò venì.
Vulesse tuccà 'o mare,
Senza 'nfonnere 'e mmani.
Vulesse vulà e partì,
Senza perdere 'stu munno.
Vulesse magna’, senza 'ngrassa.
Murì e nun me ne j.
Sunnà e campa’.
Vulesse divintà n’anema in libertà.
Vulesse nun vedè 'o nire dinte a me,
E nun me vergognà da bestia ca 'nce sta.
Tenè 'e mmane chiene 'e brillanti,
E piere spuorche de' briganti.
Voglio po’ vedè l’ aneme c’aggio perso,
'E viche scure c' 'o sole,
'E case chiene e festa.
'Nzeguì 'na crepa dint’ a nu muro
E scumparì,
Senza salutà a nisciuno.
Perché fai quella faccia? Non ti piace? Dimentico che tu non capisci un cazzo
quando parlo in dialetto. Il suono delle parole, almeno?
Fanculo, non ridere, vai via, via, mi faccio una doccia e vado a fanculo anche
io. Non ridere, sei fumato, quanto sei tanto stronzo.
***
Martedì
Mamma che faccia gonfia, se continuo a farmi così, non ne esco. Il solito
trucido, che pensa che perché ti offre la cocaina gli devi mettere la lingua
nel culo. Poi, forse, glielo pure messa. Ero strafatta: prima le canne, poi
birra, poi, qualcosina per il concerto, stravizi a cena, poi il trucido e la
cocaina. Madonna, guarda che faccia, sembro mio padre con i capelli lunghi.
Ho voglia di scrivere qualcosa di assoluto, di vero.
Ho voglia di una vita diversa. A Roma sembra che tutti non abbiano un cazzo da
fare, va bene noi cantanti, ma gli altri? Sono cantanti anche loro?
Schierati alle prime dei film, alle presentazioni dei libri, alle cene di gala
e a quelle di beneficenza con zelante e deforme costanza. Dei mostri di cera,
fradici, inutili, insolenti, sempre in cerca di un aperitivo nuovo, di un cazzo
di posticino intimo. (verso animale) Li incontri in mandrie, insulse canaglie,
con il capo banda, lucido e adorato, che, caso mai ha avuto una nomination del
cazzo dieci anni fa, ma da allora non ha fatto più nulla, se non condurre il
suo gregge nell'ultimo bar alla moda.
(verso animale)
Campo dei fiori…no…no… che orrore è un posto da coglione.
Ciccino - tesorino, mio amorino - vieni fammi un bel pompino. Poi ti scrivo una
canzone, molto dura, un po' folk, non una minchiata d'amore. Stronzettino di
papà, la canzoncina mia, falla cantare a quella porca di tua zia. Quella col
parrucchino, sempre in cerca di un ragazzino. Ciccirinella ho trovato una
grande mozzarella, viene da sola da Sorrento, viene anche se fa molto freddo.
Corri amore non mancare, stanotte mi faccio inculare pubblicamente sulle scale.
Apologia del non luogo. Apologia amore, apologia del perdono. Ho invitato
chierici e cantanti, non temere amorino, tutti culi, tutti quanti.(verso
animale)
Io non sono così, io sono una cazza d'artista. Io sono fuori dal giro, non che
abbia fatto granché per esserlo. E' così, senza volerlo che, sono distante da
loro. Puttana, Ahimè son nata, troppo sincera e troppo folle per sorridere
ventiquattro ore al giorno, incapace di scorrere, inerte e senza palle, dentro
la fanghiglia delle loro oziose relazioni.(cazzo, alla vecchiaia imparo anche a
parlare). Fanghiglia delle loro oziose relazioni, stupida, ma se sono delle
trottoline impazzite. Io ho l'amore in corpo, io ho la musica che esce da ogni
fottuto poro della mia carne: non sono lucida, omologata e senza spigoli, come
una pallina di un flipper.
Vanno su, vanno giù, sanno fare uno show per bambini, uno spogliarello, un
documentario, volare su un deltaplano, costruire chiese bizantine con altari
barocchi, angioletti pasoliniani e scale hiccocchiane (non è un pollo cretini),
io so fare solo me stessa e neanche tutti i giorni.
Debbo fare qualcosa, oggi non fumo e non tocco niente, lo giuro. Ho voglia di
vedere mio figlio, cazzo che genio, lui capisce che la mamma non ci sta con la
testa, fa la sua vita con i nonni e mi tratta come un’amica.
Oggi ci voglio stare due ore al telefono, poi se mi sgonfio, sabato torno a
casa qualche giorno e sto solo con lui. Amorino mamma ti dedica una canzone.
Rosso
Gira - comme cazze gira.
Tremma , 'a sente 'e tremmà.
Ma i’ c’aggia fa’,
Vennere o accatta’.
Canto,
Pe m' arricrià.
Pe vedè, ll’uocchi 'ncuollo
De' fetienti.
Ma chesto saccio fa’,
Saccio tremmà.
N’artista senza maschera,
Che mmani sporche 'e terra,
Cu l’uocchie chine 'e mare,
Ca scarfane 'na sera,
Pe fa vedè 'nu poco 'e primmavera.
Ma io chesto saccio fa’,
Saccie canta’.
Correre apprieso a vvuie,
Pe ve fa’ sentì chesta libertà.
E si 'a notte po' me vene 'e tremmà,
Arapo 'o balcone e me metto a cantà.
Questa è bella, non l’ha sentita nessuno. Mi ricorda un’altra me, una ragazza
luccicante e libera. Se ci penso, mi vedo ancora, sulla soglia di un mondo che
non immaginavo tanto una merda.
Quando sono arrivata a Napoli avevo vent’anni, tutto il mondo aveva vent’anni.
L’aria era frizzante - Movimento, tutto sembrava in movimento ed io avevo
un’energia mostruosa.
Cazzo, lasciarsi il paesino alle spalle, fu il massimo.
Che aria, la morte allora era lontana, niente a che vedere con la faccia gonfia
di stamattina. Ogni giorno mi sembrava di salire un gradino di una scala,
sempre più in alto, con compagni, che adesso anche se fanno un pirito entrano
nelle hit, io salivo più veloce di loro, poi Roma e una consacrazione
annunciata, poi, all’improvviso mi sono fermata, senza motivo, pensavo di
potermelo permettere e, invece giù, nessuno che mi riconosce per strada, giù il
telefono muto, giù trenta allupati a guardarti come si guarda un trans lungo un
viale, giù ogni mattina una faccia gonfia da perdonare.
Mi faccio una canna, solo una, mi rilassa.
Vorrei cancellarmi, chiudere bottega e via. Non c’è la faccio a tornare a casa
e dire che non sono arrivata, che tutto quello che ho fatto, non mi ha portato
a nulla, che era meglio sposare il padre di mio figlio, crescerlo e godermelo,
cantando alle feste del paese o ai matrimoni. Allora sarebbe stata una scelta,
oggi no, oggi è una baldracca che torna a casa per raggiunti limiti di
età.
Dio che energia negativa, vedo tutto confusamente nero, vedo me stessa come una
chiavica che ha inghiottito anche chi si è avvicinato troppo. Andiamo in
cucina, la grande artista ha fame, la servitù dorme ancora, l’harem di cazzi
pure, ma l’artista ha fame, il frigorifero bombè è pieno di merda, di cibi
avariati e puzzolenti, chiamo al bar, l’artista ha fame portatele una paio di
pizzette e una birra, anzi due.
Mandatemi lo stronzo con il vassoio, mandate il mio carceriere, l’adolescente
viziato che assaggia i resti degli altri uomini sul mio corpo, che cerca
disperatamente la sua armonia, vomitandomi addosso la sua fottuta follia.
Vieni, brutto stronzo, bussa alla mia porta come ad un cesso occupato e
vieni.
L’artista ha fame, tu solo sai sfamarla, vieni, vieni a prenderti la tua dose
d’aria traviata. Vieni a toccare il fondo della tua adolescenza inferma, vieni,
ho fame, ho tanta fame.
***
Mercoledì
Verde
Dimmi che non è,
Tu sai cosa è?
Nulla è in gioco.
Se vuoi, vieni con me,
Io ti aspetterò,
Fino all’alba.
Mezza cotta di vino,
Inquieta di sesso,
Ti aspetterò.
Alba di seta viva,
Che non può morire, mai.
In un teatro vuoto,
Piango la fine del mondo,
Fuggo dalla guerra,
Mi nascondo sotto terra.
Ferita a morte, dai miei pensieri,
Da quella che ero ieri,
Da quello che non posso più,
Da quello che sei tu.
Esco solo di notte e non guardo
I colori del mondo,
Guardo la notte e il buio,
Vestita dei miei pensieri.
La luce dei tuoi occhi,
L’odore che tu avevi,
Trafuga la mia morte.
Come una sorte.
Quella di un disgraziato,
Quella di un graziato.
Ti perderò,
Come ho perso il mattino,
Come ho perso i miei ieri,
Confusi e frastornati,
Dalle mie ire ingiustificate.
Ti perderò,
In un bicchiere di vino,
Il fuoco fatuo di un declino,
Tra impotenza e botte.
Ma adesso incatena i miei rimpianti,
Domami, mangiami,
Grano di un luglio troppo lontano.
Non so cosa ho da darti,
forse solo un momento,
una fitta di struggente tormento.
La vita non è questa.
Questo è solo un riflesso,
Un fangoso e crudele rodimento.
Ma tu corri da me,
Con la tua seta viva,
Inebriarmi in questa finta follia.
Dormire senza sognare,
Tutto l’assurdo male.
Questa la canto a Parigi all’ Olimpià, lo giuro. Poca musica, forse solo una
chitarra, io dentro l’occhio di bue, vestita da dea che li faccio cacare
sotto.
Amica mia, sei grande e bona. Basta non toccare la roba e mi sveglio un’altra,
via energia negativa, via, è presto per i bilanci. Non riuscirei ad avere
figli, ma posso arrivare dove voglio. Oggi vado in sala, due minuti nel disco
di K, che carino a pensarmi, due minuti, ma va bene così.
Ho provato e riprovato, sono solo due minuti…Sono potente, cazzo entro dentro e
squarcio la musica, reggo tutto il pezzo.
Mi faccio carina, il mercurio cromo sulle mani, ma quando se ne va: tutti a
chiedermi e io a mostrare i riflessi dei miei capelli. Aspetta un attimo, solo
un pochino di roba, solo per fare capire la mia forza, esco da un periodo così,
non voglio mostrarmi insicura, debbo stenderli. Tutti a guardarmi come un
oggetto di antiquariato, mi stimano, ma mi vedono superata. Ho solo
quarantacinque anni e quei manager e scrocconi a salutarmi come ad una vecchia
amica, nessuno a cercarmi, forse pensano non sia alla loro portata, mi mostro
troppo altera è come se fossi una su cui non si può contare. Cazzo, sono anni
che non faccio un bidone e nessuno che abbia un po’ di fiducia.
Un po’ di roba prima di andare, splendida e simpatica, non ho bisogno di loro,
se almeno si facessero avanti. Alessandra facciamo un bel disco, A Sandrì
facciamo qualcosa insieme, A Sandrì sei unica. K si ricordà di me perché gli
porto bene, scaramantico di merda, mi schifa, ma mi telefona ogni cosa che fa,
due minuti, A Sandrì mi impreziosisci tutto, allora perché non mi scrivi un
disco, lo fai alle ventenni che non hanno voce e le produci pure, A Sandrì ti
porta buono, ma non tiene vent’anni. Poi, i dischi durano una settimana, ma chi
comanda, vuole carne fresca. E i vecchi marpioni pure. A Sandrì, tenimmo stù
gruppo rap che è nu’ sballo, tenene meno e vent’anni, ma l’è verè ‘ncopp a
scena, li portiamo a sanremo, l’anno che vene. L’anno che vene, Alessandra se
ne va affanculo, basta pensare, uno schizzetto e tiro fuori positività. Basta
pensare.
Finalmente è arrivato lo stronzo, bussa alla porta come a un cesso occupato,
sempre allo stesso modo. Entra, vieni, siediti vicino, sono agitata, mi prendo
qualcosina e vado.
Quando non ti vedo, sto meglio, ma cosa cerchi da me? Ti abboffo di corna, non
ti amo e stai sempre dietro il mio culo. Cosa vuoi?
Forse ti fotti la mia energia? Brutto stronzo. Aspetta facciamoci qualcosina,
che mi passa la paranoia.
Mi sento meglio, ti arrapo da bestia, vieni, ho voglia, abbiamo un’oretta, poi
debbo, comunque, arrivare in ritardo.
Cazzo che aspettino.
***
Giovedì
Merda, perché finisco sempre con un uccello in bocca. Non ho più voglia da
anni, non amo, non desidero, ma mi lascio prendere da tutti. Dal garzone del
bar, che mi porta la colazione e gli piace leccarmi tutta, soprattutto quando
non sono pulita, arriva la mattina con il vassoio e si ficca nel letto che
puzza di notte, come se fosse il suo. Pure quello di ieri, il nuovo factotum di
K. Non ne avevo nessuna voglia, avevo smania di tornare a casa a dormire,
curare il mio mal di testa e basta, poi, senza motivo, mi metto a quattro zampe
e faccio la cagna strafatta.
Giallo
Quann c’è viente mi sento chiù viva,
Mi trase dint’ na strana pazzia.
Comme a na vota - che quann’ chiuveva,
Arapev e finestre e m’infonneva.
Pienza a stu vuoto,
Around tutt’ e cose.
Pienza a sta terra,
Without pazienza.
Sento che dint’ o core nun c’è sta
Chilla e na vota.
Forget
peace - forget ammore
Forget o suonne,
Fatica - rummore.
Gurd sta
vita comm a nu juoco,
Na pazziella, na specie e caccavella.
Scarfame e mani do friddo e sta terra.
Forget
peace - forget ammore
Forget o suonne
Fatica rummore
One day- one man,
lost a pace,
while me guardai.
Because i cry,
Because i fly.
I love my hand,
I love yours eyes,
I love last cild,
I love yuo while cry.
Forget my skin.
Forget this life.
Che
giornata, la musica è in mano a pigmei. Bla, bla, bla, e non si fa un disco
vero da dieci anni. Ore e ore di prova, con musicisti che sono modelli per
sfilate e cantanti famosi che non hanno più voce, né un cazzo da dire. Bla,
bla, bla. Manager e tuttofare, untuosi e lucidi che sporcano tutto. Insozzano,
puzzolenti canaglie, ti vengono dentro senza chiederti il permesso. Bla, bla,
bla, canaglie.
Canaglie da calendario, piglianculo in perenne autopromozione, ehi, attenti, se
qualcuno di voi ha un negozio… attenti… entrano, piglianculo insolenti e
comprano l'ira di Dio, poi quando devono pagare fanno gli occhi dolci e ti
regalano il calendario. Ma chi se l'appende in casa il calendario di un uomo di
mezza età, flaccido e oliato. Boo! Cazzi vostri… io vi sto avvertendo, poi non
mi venite a rompere i coglioni…
Anche io ho fatto un calendario, qualche anno fa… e' stata l'autopromozione
planetaria della mia fica… mi hanno trombata tutti dal fotografo al grafico,
all'editore, anche il writer non era male… aspetta forse era il copy… ba mi ha
accopata… fino ad una quarantina di fan's iperrealisti… Volevano toccare con
mano la mia grandezza…Io però ho toccato di gusto la loro…
Bla…bla… bla… canaglie
Sono una grande artista, nata per far luccicare gli occhi degli altri, dei
ragazzini innamorati, dei vecchi. Accendere i ricordi, portare per mano nella zona
proibita, dove si toccano i sogni, dove il tempo è scandito dal rumore delle
piccole cose, dal fruscio del mare che è quello della lavatrice, dal battito
del cuore, che è anche il ronzio lontano di un frigorifero.
Sono una grande artista, ho le chiavi per entrare nel intimo di ogni passante
che incontro. Ho miliardi di poesie, sono dentro di me come un cielo stellato.
Io posso mostrarle la notte, quando la musica accende la mia vera anima, quella
della purezza e della follia. Io sono la notte che diventa arte. Io sono
l’amore, che diventa poesia quando incontra gli occhi moribondi degli altri,
quegli occhi che implorano amore.
Cazzo, sono una grande artista e invece sto qua mezza fatta a soddisfare le
voglie di un garzone di un bar, almeno mi amasse, no lo stronzo mi fotte come a
una cagna, poi va a parlare d’amore a qualche sciacquetta della sua età.
Lo stronzo ama il sapore fetido del mio alito avvizzito, del mio corpo sudato,
mi sogna come la malattia della quale è schiavo. Adesso arriva, bussa alla porta
come a un cesso occupato e passeggia sul mio corpo come se fosse quello di un
cadavere. Del suo cadavere. E’ l’unica persona con cui sono sincera. Sabato, se
sono in vena torno a casa qualche giorno.
Mio figlio non ha più bisogno di me. Cresce estraneo, lucido e ribelle, farà i
miei stessi errori, cadrà dove sono caduta io, non potrò farci niente, forse
dovrei mostragli la merda che ho addosso. Un bel clip con il garzone che si
masturba leccandomi il culo e qualche mia vecchia canzone di sottofondo. Questa
è tua madre, Alessandra ti ama, Alessandra ti sogna, Alessandra ti cerca,
Alessandra si tinge i capelli con il mercurio cromo, Alessandra è la mamma che
non ha saputo dare, che ti ama, ma da troppo lontano.
Adesso arriva il garzone, mi sveglia, mi ricorda che ho quarantacinque anni,
che posso arrapare solo un adolescente viziato.
Vieni stronzo, ho fame.
Ieri è stato un trionfo. Due minuti, ma gli ho fatto vedere chi sono a
quelli.
K si è quasi commosso. Tu, mi hai detto che passavi a vedermi, ma è stato
meglio che non sei venuto, non avrei potuto darti retta.
La vuoi una canna?
***
Venerdì
Ho voglia di partire, di tornare a casa qualche giorno, ma non voglio andare da
sola in treno, da sfigata. Potrei stare a Napoli, da li trovare qualcuno che
vuole farsi un giro con me. Se lo stronzo avesse la macchina, o almeno una
patente.
La reginetta è arrivata, aspetta da mezz’ora l’autobus.
Riuniamo la banda, arriva la regina, direttamente dal trionfo dell’Olimpià,
direttamente per noi. Ha dovuto anche cambiare il treno a Napoli.
Ha aspettato la coincidenza leggendo un giornale, come una comune mortale, poi,
nel interregionale, ha anche fatto amicizia con la moglie di un fornaio, stessa
età, ma che vita diversa, quattro figli maschi e due femmine, la mattina si
sveglia quando la star va a letto e non ha mai cenato con Pippo Baudo. No, se
non trovo chi mi accompagna, non ci vado a casa.
Bianco
AAA (sospirato)
Un urlo, un lamento,
Una voce, dentro.
Felina e crudele,
Non sa uscire.
Una voce lontana,
Che mi sveglia di notte.
Mi contorce.
Il mio sangue ribolle,
Di luce non mia,
Di questa pazzia.
AAA (urla)
Amami.(due o tre volte)
Incatenata a un sogno.
A questo tremendo bisogno.
Questa follia che mi attrae.
Questa voce fa male.
AAA (urla)
Amami.
Non voglio pensare, a ciò
Che mi assale.
Chiudere tutto e scappare.
Una terra lontana,
Terribilmente necessaria.
Fertile e fiera,
Occhi di pantera.
Amami (due o tre volte)
AAA (urla)
Amami.( una volta)
Il mercurio cromo, mio padre chissà che si mette in testa, ma quando se ne va?
Forse è meglio partire la prossima settimana, poi domani è sabato e c’è la
festa di K e ci saranno tutti. Ma perché lo stronzo non è ancora arrivato. Sta
diventando anche il mio solo amico, prima c’era Maria, dormiva anche qualche volta
con me, pittrice virtuale, pittrice senza quadri, pittrice del cazzo. Si è
rotta di non fare nulla tutta la vita ed è scappata con un bifolco negro ai
Caraibi. Lui, mezzo delinquente, ballava ogni tanto in un circolo folk al
Testaccio, Maria, da vera democratica, si arrapava ad andare a quelle serate.
All’inizio, non riuscivano neanche a parlare, però trombavano tutti i giorni.
Maria la tosta: “Il gioco lo conduco io, è un passatempo come un altro di una
donna raffinata e un buon selvaggio”.
Poi, il selvaggio è voluto tornare a casa e, la raffinata Maria, è corsa
piangendo, in grembiulino da brava massaia, dietro a Big banana. Si è fatta
mettere in cinta e per incanto l’artista ha incominciato a dipingere. Quando mi
telefona, mi sento ancora più una merda. Prima sentivo nel suo fallimento di
donna e di artista, un toccasana al mio, oggi è una donna amata, trombata,
riprodotta e realizzata. Quelle cazze di E. mail con il suo negretto che poppa,
poi che cammina o con il vestitino di carnevale, chi se ne fotte, scompari,
via, via.
Ti amo, mi manchi, Alessandra vienici a trovare, il taxi del marito bifolco, e
i quadri… li spedisce agli amici, almeno uno ogni settimana, un quadro
mozzafiato, bello, pieno di colori assurdi, un quadro vero di una artista vera,
prima, un quadro di quelli non riusciva a farlo in un anno
Ma perché lo stronzo non viene?
Bussa, il cesso non è occupato, Alessandra ti aspetta, cazzo il telefono non
squilla da due giorni.
Lo stronzo passa quando gli si gonfia la patta, lo stronzo non mi ama, forse mi
odia e come se trombasse a sangue la madre, niente a che fare con la passione
pura di Big banana e la sua schiava bianca, non entra nella mia musica con i
colori della sua terra, non mi feconda, è un malato occidentale vizioso,
drogato e stronzo.
Ride della sua porca con gli amici, e io qua ad aspettare la colazione, a
concedermi a lui, prima di iniziare le mie gloriose giornate.
Eccolo, è arrivato, stronzo perché hai fatto tardi?
Vieni, sbattimi al muro che mi sento di morire.
Oggi ho una giornata di merda, debbo vedere il mio agente, ho una particina in
un film, sempre cammei, ma sempre particine.
Che uomo incapace, con un’artista come me in scuderia, non riesce a procurarmi
altro che piccole cose, pensa stasera debbo cantare ad una riunione aziendale,
quattro canzoni e la consegna di dieci ombrelli e dieci baci ai loro migliori
impiegati, mi pagano due milioni, tu stronzo ci metti un mese ad appararli.
"Sandrì coprimi questo buco, è importante per me." Poi, io mi
sputtano e lui, si fa bello con gli amici. Sa sempre attaccare l'asino dove
vuole. Coglione, non ha capito, io non sono un asino, se sto al suo gioco è
solo perché oramai me ne fotte poco della mia reputazione. Mi usa come merce di
scambio: io ti paro il mazzo con Sandrina, poi tu ti ricordi di me per la
ciccina o il ciccino di turno.
Pensa di gestire il mondo e invece muove solo un poco di merda. Lo comprendo,
stressato e strafatto, cupo di assoluta infelicità, ma convinto di essere un
dio indispensabile.
Lui, invece non ci capisce un cazzo. C'è un estetica nella decadenza che tutti
questi esauriti non vedono. E' una specie di disperata libertà, che, come uno
specchio opaco, ti rimanda un immagine di te ambigua, difficilmente
sovrapponibile alla prima troietta in cerca di gloria. Loro, pensano di essere
terribilmente furbi, non sanno che sono solo dei mediocri pusher di periferia.
La loro onnipotenza scompare al primo passo falso, al primo padrino trombato.
Io sono qui, come una corda di un violino scassato, che vibra al di là delle
loro meschine esistenze. Io sono i secoli di vita che ho dentro, l'odore del
mare, il ragù con le tracchie, io sono indispensabile, non loro.
Vieni con me stasera, non ho voglia di andarci da sola. Cazzo che ansia.
Io canto venti minuti e regalo dieci ombrelli, però dieci anni fa non ci sarei
andata. Dieci anni fa a te non si drizzava l’uccello, mi accompagni, ti do un
po’ di soldi. Dai stronzo, ti fai meno e mangi anche gratis.
***
Sabato
Però lo stronzo potrebbe farmi da manager. Ieri è stato perfetto, mi ha fatto
sentire anche notevole con il personal manager a consegnare ombrelli.
Imbecilli, a dare importanza ad un garzone drogato.
Lilla
Vino – birra e cognac
Bevimmece tutto chello ca ce sta.
'Mbriacammece d’ammore,
scurdammece 'e dulore.
Solo chesto s’ adda fa,
Pe’ putè suppurtà,
L’ombra scura,
che areto a nuie ce stà.
Poesia- musica e alleria.
'Mbriacateve della vostra pazzia.
D’ a matina, fino a sera,
Correte 'sta vita senza galere.
Si poi ve vene 'e ve scetà,
Nun ce penzate,
E jateve a 'mbriaca.
Si chillo de' tasse,
Ve vene a cercà,
Guardate a n’ auciello
E turnateve a ‘mbriaca.
Si po', 'o duttore ve vo' visità,
Saglite int’ 'o viento
E vulate a 'mbriaca.
Si dint’a 'sta vita,
Ce sta poco a fa,
Sunnate 'na stella
E turnateve a ‘mbriaca.
Se ormai 'o nuost’tiempo nun tene pietà,
cantamm’ l’ammore
e 'mbriacammece 'ca..
Era proprio un gran fico il garzone. Appena fa diciotto anni gli compro una
macchina e mi faccio portare in giro. Sembra già un uomo, invece è un bambino
che si fa troppo. Non ci vado a casa, oggi mi dedico a me stessa, poi, stasera
c’è la festa di K.
Voglio vedere un po’ di gente che non vedo da anni. Lui, si è fatto odiare da
tutti, cazzo, non una persona che ne parli bene alle spalle.
K è finito, l’ultima volta che l’ho visto mi è sembrato molto malato, K si è
fottuto i brani del suo gruppo storico, li canta come se fossero i suoi, K
merda di uomo e merda d’artista, via così, non uno che ne parli come di un
essere umano.
Ma quando fa una festa sembra un raduno generazionale, tutti grandi amici,
tutti fratelli: grandi pacche sulle spalle e solo complimenti alle sue ultime
cacate. Magia del successo.
Quel Pippo, cazzo che checca, ci ha sempre lo slip dentro al culo. Che sballo
ascoltarlo in pantacollant trasparenti, camicia di seta giallina aperta su un
petto finto, lucido e gonfiato a convincerci a frequentare i fascisti,
eternamente la stessa solfa.
"Quelli hanno le televisioni, i piccoli comuni in mano, tra un po' anche i
grandi, non ti chiedono niente, solo di esprimere quello che hai in corpo. Io
dalla sinistra ho avuto solo calci in culo. Questi sono educati, attendibili,
poi voi siete dei professionisti, andiamo che sono queste cazzo
d'etichette."
Io annuisco sempre, dopo essermi trombata pubblicamente tutto il partito
socialista, autisti compresi, mica adesso…no bellini, erano quasi al 15%…non ho
certo il coraggio di condannare. Però che squallore, è come se tutti fossimo
delle merde di veline in cerca di buchi televisivi, la musica non è più un
cazzo se non trova spazi a domenica in.
Io questo gioco lo conosco troppo bene, mi ha annoiato. Quante volte mi sono
trovata in una megacasa, nelle stesse discussioni, con il manager di turno che
è fottutamente convinto di essere lui il vero artista, il vero ed unico artefice
della trasformazione della merda in arte, della sfiga in trionfo. E' sempre
stato così, solo che prima era meno scientifica la cosa. Meno chiara. Non sto
facendo l'artista anarchica e pura. Il mio caso è diverso. Per quanto puttana e
arrivista sia stata, c'è una bestia dentro di me, una bestia ironica e feroce,
che mi ha portato ad essere quella che sono. Si stronzetti, sono una cazza
d'artista anarchica e pura che a dispetto di tutte le marchette e le leccate di
culo che ha fatto è rimasta vergine come un torrentello di montagna, come una
bimbetta con le treccine e le gambe sporche di borotalco.
Adesso ho tutto il tempo che voglio, lo stronzo non lavora, sta con me tutto il
giorno, poi scappa, come un figlio ribelle. Voglio provare a scrivere qualcosa,
mi sento mille cose dentro, mi sento mille persone, sento la mia musica
gorgogliare dentro me, come un’energia fluida e viva, ma non riesco a tirare
fuori niente. S’impappina e mi esce di mente. La mia musica mi sfugge, come
quello stronzo del garzone arrapato.
Vieni brutto stronzo, bussa alla porta come ad un cesso occupato e stai con me,
tutto il giorno. Mi fai sentire indispensabile.
La sua mammina troia, si acquatta come un gattino dietro le spalle e, mentre
scrivo, si inizia a strusciare, mi odora, ha un bisogno di me fottuto, sono la
luce e il buio, l’amicizia e l’amore, il sesso e la tenerezza, la madre e la
figlia, non capisce quanto sono tutto per lui, per la sua vita di merda, piena
di violenza, solitudine e droga.
Vieni bambino mio, bussa alla mia porta come a un cesso occupato, Alessandra
non ti lascia solo, raccoglie le tue lacrime di bambino e il tuo sperma di
uomo, vieni, senza di me sei già morto.
Vieni che mammina ti salva, ti apre un bar al paesino suo e non piange quando
ti sposerai con una tua coetanea, quando stringerai tra le braccia un figlio
che non potrà essere il mio. Vieni, ti salvo, ti faccio fare la rota tra le mie
braccia, vieni, vomitami addosso tutta la merda che hai in corpo. Mammina ti
salva brutto stronzo, mammina ti porta lontano.
La musica, mammina è la musica, è un violino scassato ma magico, mammina
aggiusta il violino, non consegna più ombrelli tutta scosciata, mammina ti
salva, poi, arriva all’Olimpia di Parigi e ci da dentro, non si ferma davanti
alle lacrime, li fa godere tutti, fottuti bastardi, li porta in cielo, ma
adesso è un violino scassato, deve salvarti, deve far scomparire le tracce di
mercurio cromo e salvarti, ti apre un bar tutto tuo, io entro e esco dalla roba
come voglio, è successo mille volte, stacco la spina e in pochi giorni ne sono
fuori, tu no, ci sei dentro, sei completamente dentro e sono l’unica tua via di
salvezza, vieni, bussa alla porta come ad un cesso occupato, oggi mammina ti
porta via brutto stronzo.
Ecco i suoi passi, vieni dal tuo dolce cadavere, vieni a pulire i resti di
altri uomini, vieni bambino mio, ho un po’ di coca, l’ultima, poi andiamo
lontano, fuggiamo da questa merda.
Vedo chiaramente la fine della discesa, una strada che mi riporta a casa, da
mio figlio, dalla ragazzina viziata e allegra che ero, dal mio immenso e
nascosto talento. Alessandra molla tutto, particine, due minuti e trenta
allupati. Alessandra molla tutto.
Alessandra torna a casa, ti apre un bar, poi va all’Olimpia e li fa cacare
sotto. Sono un’artista, la sublime voce di questo millennio, non una comparsa
strafatta.
***
Domenica
E’ finita, la notte della mia vita ha toccato il fondo, quando stanotte mi sono
vista in quello specchio, ho capito finalmente che ero morta. Questa volta non
ne esco viva, debbo uccidere la cantante fallita che sono, ricominciare senza
di lei, senza questa luce malata che mi esplode dagli occhi, senza i colori
cupi e assonnati del mio tramonto. Senza la musica.
Dimenticare la festa di K, quelle finte identità, che però siamo, nelle teste
lucide e unte degli scrocconi. Dimenticare quello che potevo essere e non sono.
La bambina prodigio non canta più, non ha più fiato, non ha più un cazzo da
dire. E’ finita.
Io sono lo stupore e il disgusto negli sguardi dei palloni gonfiati e senza
voce. Io sono il lampo d’azzurro che precede la notte. Io sono il silenzio, il
garzone drogato, l’impotenza degli anni.
Io sono una innocente baldracca di mezza età.
Debbo abbandonare la donna viziosa riflessa nello specchio. Quello specchio in
cui mi sono vista battuta, senza luce, rugosa e aggrinzita dalla vita, dalla
mia vita, dai miei anni. La cantante Alessandra, l’amicona bastarda, Sandrì
tenimmo nu’ gruppo ch’ è nu’ sballo. Sandrina è drogata, fottuta, Sandrina è
allucinata.
Sandrina è dint’o’specchio, guardatela che pena, soddisfa, senza essere
soddisfatta, tre uomini, tre giovani allupati, vigliacchi, senza amore e senza
nome. Il ciondolo che mi ha regalato papà che urtava contro le palle di quello
che me lo infilava in bocca. Sandrì a quattro zampe, magra e
spelacchiata…
Sono l’ultima spiaggia di una festa noiosa, la porca da trombarsi nel bagno a
fine serata, la cantante strafatta e finita. E’ finita.
Azzurro
Azzurro - immenso è il cielo
Azzurro - morte è il cielo.
Azzurro – follia,
Azzurro- anima- vita mia
Cala la luce senza colori.
Cala - scompari con i dolori.
Grida la terra, ora che è sola.
Grida - sconfitta - la mia paura.
Cala la notte sulla città,
sulla mia vita senza onestà.
Azzurro - immenso è il cielo.
Azzurro - morte è il cielo.
Ora che è azzurro solo il ricordo.
Ora che corro senza ritorno.
Ora che cerco la mia realtà.
Di questo azzurro tengo pietà.
Di questo cielo lurido e solo.
Di questa luce senza decoro.
Di questo azzurro senza viltà,
tengo paura e tengo pietà.
Corri mia luna, esci dal nulla.
Prova a resistere a questa agonia.
Prova a salvare, di questo cielo,
solo l’azzurro o il suo pensiero.
Corri mia luna scaccia la notte.
Corri, salviamo le vite rotte.
Corri, un tuo briciolo di poesia,
può salvarmi dalla follia.
Azzurro immenso è il cielo.
Azzurro morte è il cielo.
Azzurro – follia,
Azzurro- anima- vita mia
Azzurro immenso è il cielo.
Un attimo prima dell’agonia.
Quando il tramonto rompe i colori,
con tutto l’immane sangue dei suoi toni.
Canzone cupa – colore amaro. Musica – vita – chiedo perdono. Del mio tramonto
senza decoro. Di una vendetta che da lontano, di quest’azzurro, tiene le mani.
Quella bambina che canticchiava come una fata, piena di luce, quella bambina,
che forse ero io, in quello specchio trova l’oblio.
Oggi che è morta, chiedo perdono. Corri garzone, mercurio cromo.
Buio - l'attrice scende dal palco -
***
Luce - illuminata da uno spot, l'attrice recita muovendosi tra le prime file
del pubblico, come se stesse già altrove…Il palcoscenico è nel buio.
Lunedì
Ho tentato si, non mi tingevo i capelli, brutto stronzo, è la sindrome del
lunedì, ma sono fuori. Tu non sei venuto. Sono rimasta a guardare il soffitto
tutto il giorno, stesa immobile come se fossi morta. Sono fuori, sono salva.
Ieri ho osservato tutta me stessa da molto lontano.
Erano anni che non vedevo con tanta chiarezza le cose. Erano anni che non avevo
tanta intimità con la mia vita.
Mi sono vista morta, i polsi bagnati di rosso, la mia casa inondata del rosso
vivo: il mio sangue.
Poi, ho preso una lametta, ero determinata, ho affondato la lama dentro la
carne, senza stracciarla, ho cercato di sentire, senza menzogna, se era quel
che volevo. Ho capito: voglio vivere. Ho capito: voglio che tu viva.
Adesso apri le orecchie. Se sei arrapato ti faccio prima un pompino, ma apri
bene le orecchie, brutto stronzo.
Sei un uomo morto, anzi non sei manco un uomo, un bambino che non farà in tempo
ad essere uomo. La droga non alimenta nessun presunto quanto inesistente tuo
talento, sei solo un garzone di bar insoddisfatto e folle.
Ho conosciuto tanta gente come te: a vent’anni pirati, a trenta falliti, a
quaranta già morti da un pezzo. Tu non hai un cazzo, sei il niente e non hai un
futuro. Adesso apri bene le orecchie.
Io voglio uscire da questa merda con te. Non ridere, hai quasi la stessa età di
mio figlio. Io vado via, qualche settimana dalla mia amica Maria, poi, quando
sto meglio, torno a casa, al paesino.
Non ti lascio morire, ti porto con me. Ci facciamo la rota insieme, al mio
paese ti presento come pseudo factotum, il fisico c’è, ti apro un bar, dirò che
è un ottimo investimento, salvo il tuo culo salvando il mio. Adesso ascolta.
Questa è una favola che mi raccontava mia nonna, ho sognato stanotte che
qualcuno la raccontava a te. Ascolta piccolo stronzo, ascolta piccolo mio.
Nel regno di un re molto cattivo, c’era un bambino che era un angelo, aveva i
capelli rosso bruciati ed era vestito da straccione. La mamma era una strega
cattiva, il padre, un bandito. Lo straccione gozzovigliava tutto il giorno,
nessuno, neanche lui sapeva dell’ angelo. Rubava e picchiava gli altri bambini,
ma quante botte prendeva quando un adulto lo pescava con le mani nel sacco.
Cresceva forte, nonostante il freddo e la fame.
Poi, una sera di primavera incontro un gruppo di artisti da strapazzo, gli
fecero credere che aveva una voce flautata, che era un’artista, che era uno di
loro.
Il lazzarone si unì a quella sgangherata compagnia, ed ebbe molto
successo.
Diventò il cantore da hit del re, nel regno del re cattivo. Era un cattivo
cantore, di un cattivo re, in un regno dove tutto e tutti erano diventati
cattivi, anche le orecchie. Il bambino era quasi un uomo e non sapeva ancora di
essere un angelo. Anzi, diventava sempre più cattivo.
Una sera, mentre osservava i riflessi al mercurio cromo dei suoi capelli, vide
nello specchio che la sua faccia era quella di un angelo.
Nessuno e niente avevano dato a lui questa consapevolezza, non un segno o un
sogno a confermarla. Era li, solo davanti ad uno specchio che rifletteva il
volto straordinariamente puro di un angelo.
Non aveva il coraggio di parlarne a nessuno, ma ogni giorno che passava sentiva
una forza oscura e magica crescere in lui ed osservava con stupore l’immensa
miseria nella quale aveva fin allora vissuto.
Vedeva il re, la sua finta potenza rispetto alla morte. Vedeva gli artisti, i
suoi unici amici, la loro finta potenza rispetto alla vita. Vedeva se stesso,
la sua finta potenza rispetto all’amore.
Passavano i giorni e l’angelo decise di tagliare la corda.
Era una sera di primavera, fresca e calda, l’angelo sellò il suo cavallo e
senza salutare a nessuno, sparì, solo e libero, dentro la notte.
Anni dopo, incontrò una bambina sulla riva di un lago. Aveva fino a quel giorno
girato per il mondo, adesso aveva voglia di fermarsi.
Domandò alla piccola il suo nome, ma la bambina non rispose, fece solo dei
segni con le mani per fargli capire che era muta.
L’angelo osservò i magnifici colori dei suoi occhi e della sua pelle dorata,
poi prendendola per mano gli disse:
“Ecco, l’angelo della mia musica, la voce che cercavo per descrivere tutti i
colori del mondo.”
Ascolta brutto stronzo, nessuno più di me sa il mare di merda in cui sei, ne i
tuoi amici, ne tua madre, ne la sciacquetta di turno. Io sono la tua luce e il
tuo oblio, l’unica che ti può salvare. Non piangere amore mio, anche io ho
paura, ho paura di quando la bambina cresce e si trova un angelo vecchio
accanto.
Ho paura un giorno di incontrare K al paese, che entra schifato nel nostro bar,
e si accorge che sono io la cassiera.
Ho paura di dover giustificare a mio figlio un'assenza ingiustificata. Non sono
una madre che è stata lontana, ma è ricoperta di gloria. Torno da mondi spenti,
irraggiungibili vuoti, torno ricoperta di merda.
Non piangere amore mio, siamo alla frutta, ma siamo due angeli.
Questo è il regno dei cattivi, io ho già deciso. Non voglio implorarti,
racimolo altre due lire con qualche marchetta, sbatto le mie canzoni sulle
facce di trenta allupati, mando affanculo tutti e parto, ho già prenotato.
Niente, nulla lascio alle spalle, solo il tuo lamento di moribondo, solo il
pensiero dei casini in cui già ti vedo, solo la bara di legno micragnoso e il
lenzuolo nel quale sarai avvolto. Ascolta piccolo mio, anche se adesso non puoi
capire, fatti firmare un cazzo di passaporto e vieni con me.
Mammina ti ama.
Buio - l'attrice torna sul palcoscenico - Sipario