COME ONDE
DEL MARE
Commedia in 12 scene di
Luca
Toschi
PERSONAGGI
IL VECCHIO MARINAIO
MARIA (la locandiera)
PERLA (figlia della locandiera)
ANDREA (un ragazzo)
LA RAGAZZA MISTERIOSA
LA SIGNORA
GIULIA (giovane pescivendola)
LUISA (la nipotina del Vecchio)
STEFANIA (hostess di nave)
SCENA I^
In proscenio, all’estremità destra del palco, un pannello bianco. Dietro la
linea del sipario, l’interno di una locanda. Sul fondo, a sinistra, un mobile
bar – quadro chiavi. Al centro, un entrata che conduce sia alla cucina che ai
piani superiori.. Sulla destra, fuori scena, l’ingresso alla locanda. Sul
palco, due tavoli con alcune sedie. Al tavolo di sinistra si siederà il vecchio
marinaio. Sull’altro tavolo, in posizione più arretrata, sono disposti i pezzi
di un puzzle non terminato.
Musica di attesa (“Rama” di Marco Milone). Quando termina la musica si apre il
sipario. Luce solo sul tavolo del vecchio. Musica (“Fields of Coral” di
Vangelis). Si illumina da dietro anche il pannello, di una soffusa luce verde.
Entra il Vecchio e, dopo una rapida occhiata attorno, si va a sedere,
lentamente. Estrae dalla tasca del cappotto un libro e si mette a leggere. Dopo
alcuni istanti entra la locandiera. La musica sfuma ed il pannello si spegne.
Luce calda diffusa su tutta la scena. La locandiera attacca una chiave al
quadro dietro al bancone, dà una rapida occhiata al Vecchio, scuote la testa, e
va a sedersi all’altro tavolo, dove inizia a comporre il suo puzzle.
MARIA – (Al vecchio, continuando nella sua ricerca di pezzi) Allora, vecchio,
cosa ne pensi?
VECCHIO – (Dopo un attimo, sollevando appena gli occhi dal libro) di cosa?
MARIA – (Brusca) Come di cosa? Del messaggio, no? Del misterioso messaggio
radio.
VECCHIO – (con scarso interesse) Ah, quello.
MARIA – Da questa mattina non si fa altro che parlare di questo messaggio
ricevuto dalla capitaneria, senza che si sia riusciti a capire chi lo ha
trasmesso, e tutto quello che sai dire è: “Ah, quello?”
VECCHIO – Cosa vuoi che ti dica, Maria? Se qualcuno lo ha inviato, un motivo ci
sarà. Si tratta solo di aspettare.
MARIA – (Si alza dal tavolo e si avvicina al Vecchio) Aspettare cosa?
VECCHIO – (La guarda intensamente) Chi lo sa? Tutti noi aspettiamo qualcosa,
sempre. Siamo così abituati ad aspettare, che spesso non ci ricordiamo nemmeno
più cosa stiamo aspettando. Si aspetta, e basta.
MARIA – (dopo un momento di esitazione) E tu, vecchio, cosa stai aspettando?
VECCHIO – (indicando il suo libro, con un sorriso) La fine di questa storia,
per poterne cominciare un’altra.
MARIA – (Scuotendo la testa, si allontana, dirigendosi verso il bancone) Tu e i
tuoi libri. Nessun libro ci dirà mai perché alla mattina ci svegliamo, per
andare poi a letto la sera, più vecchi e più stanchi di un giorno. (Si mette a
pulire il bancone) E se fosse stato uno scherzo?
VECCHIO – Cosa?
MARIA – (Spazientita) Stasera proprio non ci stai con la testa. Sarà questa
nebbia. Il messaggio, dico, potrebbe essere stato uno scherzo. In molti lo
pensano.
Parte una musica sommessa (“Albatross” di Medwin Goodall).
VECCHIO – Se è uno scherzo, mi sembra inutile perderci tempo.
MARIA – Certe volte sei assolutamente irritante. Cos’è che diceva? (Interrompe
la sua azione, concentrandosi per ricordare) Segui l’onda…
VECCHIO – “Segui l’onda / Incontra il vento. / Segui il vento, / Incontra la
tempesta / E nella tempesta / L’Infinito. / Ad un gabbiano / Affida il tuo
dolore, / Le paure, la speranza. / Oltre l’orizzonte, / Io sono là / Dove tu
non sai.”
MARIA – (Ripetendo) … Ad un gabbiano affida il tuo dolore… Se soltanto fosse
possibile…
Lentamente, il pannello si illumina. Entra nel locale una ragazza. Indossa un
impermeabile bianco, un berretto di lana, guanti, sciarpa, e porta una grossa
borsa a tracolla. Fa alcuni passi, poi si arresta, guardandosi attorno. Infine
si dirige verso il bancone. Il vecchio le da una lunga occhiata, ricambiato,
poi riprende la sua lettura.
MARIA – (Alla ragazza, in tono cordiale, avvicinandosi) Serata schifosa, eh?
Posso servirti qualcosa? Magari di caldo? Questa nebbia entra nelle ossa.
RAGAZZA – (Sorridendo) Grazie, magari più tardi. Avrei bisogno di una stanza
per la notte, se ce ne sono di libere.
MARIA – Se ce ne sono di libere? (Tirando fuori un registro) Ragazza mia, sono
tutte libere… (Poi, dopo avere aperto il Registro e averlo sfogliato) anzi no,
veramente una l’ho affittata questa mattina. Comunque, non siamo davvero in
alta stagione. Una singola?
RAGAZZA – Sì. Una singola. Solo per questa notte. Sono in viaggio.
MARIA – Sei coraggiosa a viaggiare da sola, di questi tempi. (Pensierosa) Più o
meno devi avere l’età di mia figlia… Posso avere un documento?
RAGAZZA – (Lo prende dalla sua borsa, dopo una breve ricerca, e glielo porge.
Quasi tra sé, allontanandosi verso l’uscita, mentre Maria prende una chiave)
Ognuno deve percorrere la propria strada. Non lo si può evitare. Imparando a
volare, a seguire il vento…
La musica si arresta. La luce dietro al pannello si spegne.
MARIA – (Le va incontro, meravigliata) Hai detto… seguire il vento?
RAGAZZA – (Girandosi verso di lei) Sì, perché?
MARIA – Anche tu hai sentito del messaggio?
RAGAZZA – Messaggio? Quale messaggio?
MARIA – (Incredula) Non ne sai niente?
RAGAZZA – (Divertita) No. Cos’è che dovrei sapere? Sono arrivata solo adesso e
veramente non…
MARIA – E’ incredibile. (Avvicinandosi al Vecchio) Vecchio, non diceva “segui
il vento”?
VECCHIO – (Sollevando la testa, paziente) Sì, Maria. Diceva anche “segui il
vento”.
RAGAZZA – Non capisco cosa…
MARIA – Non importa, non importa. (Ritorna verso la Ragazza e le porge la
chiave) Ecco, tieni. Vista mare. Anche se con questa nebbia… (Si avvia verso la
porta sul fondo) Vieni. Ti mostro la camera. (Esce, seguita dalla ragazza).
Entra in scena un ragazzo. Giaccone pesante e berretto da marinaio. Si guarda
intorno, vede il vecchio seduto e gli si avvicina, togliendosi il
giaccone.
ANDREA – Ciao, vecchio. (Si guarda di nuovo attorno) Maria, non c’è? E… Perla?
VECCHIO – (Sorridendogli) Maria è andata di sopra ad accompagnare una cliente.
Perla ancora non l’ho vista, penso sia in città.
ANDREA – (Esitando) Sai, sono stato alla spiaggia, prima. Camminavo nella
nebbia, in riva al mare, ed era come se fossi… sospeso, fuori dal tempo. (Si
dirige verso il tavolo con il puzzle. Poi, leggermente imbarazzato) Una
sensazione strana, non so spiegarti. Pensavo a quante storie il mare porta con
sé e poi magari lascia su di una spiaggia senza che nessuno se ne accorga,
senza che nessuno le possa raccogliere prima che la marea le cancelli. (Torna
ad avvicinarsi al Vecchio) E pensavo ai miei, di sogni, e se mai riuscirò a
realizzarne qualcuno.
Le luci si abbassano. Rimane illuminato solo il tavolo del Vecchio. Il pannello
torna ad illuminarsi. In sottofondo, inizia una musica (“Fields of Coral” di
Vangelis). Andrea si siede.
VECCHIO – (Lo guarda pensieroso) Ho conosciuto un marinaio, tanto tempo fa. Non
era molto più vecchio di te. Eravamo imbarcati sulla stessa nave, un
mercantile. Fu in uno dei porti su al nord che, per la prima volta, lui sentì
parlare delle aurore boreali. E ne rimase subito affascinato. Io sapevo di
quello strano fenomeno, dicevano si verificasse a volte oltre il circolo polare
artico. Dicevano che il cielo sembrava prendere fuoco. Sì, ne avevo sentito
parlare, ma quei racconti non mi avevano mai veramente impressionato. (Si alza,
e prosegue il suo racconto avanzando verso il proscenio).
Vedi, in mare se ne sentono tante di storie, e poche corrispondono alla realtà.
Ma per quel ragazzo fu diverso. Si mise in testa che lui doveva vederle di
persona, quelle fiamme che accendevano le notti polari. Ad ogni porto cercava
sempre nuove informazioni. E ad ogni informazione che riusciva ad avere, sempre
più forte diventava in lui il desiderio di andare là dove il ghiaccio e la
notte si confondono.
(Torna ad avvicinarsi ad Andrea) Un giorno, messo da parte un po’ di denaro,
sbarcò dalla nave, per andare incontro al suo destino. Passarono mesi, e di lui
non sentii più parlare. Continuai i miei viaggi per mare, ora su di una nave,
ora su di un’altra, e mi dimenticai di lui. Poi, una sera, mi trovavo in
Scozia, in una locanda di Glasgow, lo incontrai. (Fa una pausa, sedendosi) Mi
riconobbe lui, e si avvicinò. Ti assicuro, Andrea, non mi fu necessario
chiedergli se fosse riuscito a realizzare il suo desiderio. L’aurora boreale,
che io non avevo mai visto, la vidi, quella sera, nei suoi occhi. (Tace,
rimanendo assorto, come perso in quel ricordo).
La musica si arresta. Le luci tornano ad alzarsi. Pannello spento.
ANDREA – (Spezzando il silenzio) Vorrei poter essere come quel marinaio. Avere
il suo coraggio.
VECCHIO – Tu sei come quel marinaio, Andrea. Devi credermi. Io ti
conosco.
ANDREA – (Rimane per un momento in silenzio, come a riflettere sulle parole del
Vecchio. Poi, cambiando discorso, indicando il libro aperto sul tavolo) cosa
stavi leggendo?
VECCHIO – Conrad, uno scrittore che il mare lo ha conosciuto per davvero.
ANDREA – E’ un romanzo?
VECCHIO – Un racconto, la storia di una tremenda tempesta e di un uomo che ha
saputo affrontarla. Come ogni uomo dovrebbe affrontare le proprie tempeste. Si
intitola “Tifone”.
SCENA II^
Rientra la locandiera, con due bottiglie di acqua vuote in mano.
MARIA – (Entrando) Una strana ragazza davvero. (Si avvicina al Vecchio)
Viaggiare da sola… Con tutto quello che si sente. Cose orribili.
VECCHIO – (Affettuosamente) Maria, succedono anche cose bellissime.
MARIA – Ah sì? A me non sembra. Ma li leggi i giornali? Ascolti la televisione?
(Accorgendosi di Andrea) Ciao Andrea. Novità, sul misterioso messaggio?
VECCHIO – E’ l’argomento del giorno. Il misterioso messaggio. Come se tutta la
vita non fosse già un grande mistero.
MARIA – (Ad Andrea) Non ci badare. L’umidità ha sempre dato qualche problema,
ai vecchi. (Si dirige verso il bancone. Si china a posare le bottiglie).
ANDREA – (Si alza e si avvicina a Maria) Perla è fuori?
MARIA – (Rialzandosi a fatica) Sì. È andata in città a fare spese. Anzi, mi
faresti un piacere? L’autobus dovrebbe essere qui a momenti, e sicuramente sarà
carica…
ANDREA – (Condiscendente) Ho capito. Le vado incontro. (Esce).
MARIA – (Seguendolo per alcuni passi) Comincia a fare scuro… Non mi piace che
la mia Perla sia fuori con il buio… E’ ancora una bambina… (Scuote la testa e
torna dietro al bancone).
Entra Giulia, proprietaria, assieme ai genitori, di un banco di pesce al
mercato. Ancora giovane, sogna il Principe Azzurro, ignorando la corte di
Federico, un pescatore che vorrebbe sposarla. Indossa ancora il grembiule del
mercato.
GIULIA – (Allegramente, entrando) C’è da perdersi, con questa nebbia. Si
rischia di finire in acqua. (Si dirige verso il banco bar).
VECCHIO – Credo di averlo già raccontato, ma in una sera di nebbia come questa,
solo molto più fredda, mi trovavo nel porto di Odessa… su di una banchina
deserta…(Si alza e si dirige verso il banco bar) Forse avevo bevuto un
bicchierino di troppo… ancora potevo permettermelo… non ho mai capito come sia
successo… (Si dirige verso il proscenio) un momento prima camminavo
tranquillamente, e un istante dopo mi sono ritrovato in acqua. Ghiaccio
liquido. Poche volte ho visto la morte in faccia così da vicino. Poi, mentre
stavo disperatamente cercando un appiglio, ormai in preda al panico, mi sono
sentito afferrare e trascinare da una sagoma che non riuscivo a distinguere. Mi
sembra ancora di sentire sotto le mani quei gradini scivolosi di alghe eppure
così rassicuranti. Già. Fu così che conobbi Yuri…
MARIA - …e dopo una bella sbronza siete diventati amici. Saranno almeno venti
volte che ci racconti questa storia.
Giulia va a sedersi al tavolo dove prima era Maria.
VECCHIO – (Continuando imperterrito, torna ad avvicinarsi a Maria) Pensa… Era
venuto sul molo per fare, come dire, i suoi bisogni… e mi ha visto cadere in
acqua. Le strade del Signore sono davvero infinite. (Scuotendo la testa, torna
a sedersi).
MARIA – (Sospirando) Come infinita dev’essere la nostra pazienza. (Poi,
avvicinandosi a Giulia) Comunque Giulia, pensandoci, cadere in acqua potrebbe
essere l’occasione giusta per incontrare il tuo Principe Azzurro. Tu cadi, e
lui viene a salvarti.
GIULIA – Preferirei incontrarlo in modo meno… traumatico. E poi, oggi, l’unica
cosa di azzurro che ho visto è stato il pesce, al mercato. Me ne sento ancora
la puzza addosso. Disgustoso. (Sconsolata) Sorte beffarda: odio il pesce e mi
tocca venderlo. (Poi, sognante) Ah, mio sconosciuto, quando ti deciderai a
comparire e a portarmi via da questo squallore?
MARIA – (In tono di rimprovero) E il povero Federico? Non sa più cosa
inventarsi, quel ragazzo, per fare colpo su di te. E’ così innamorato che mi fa
tenerezza.
GIULIA – Il “povero” Federico rimarrà sempre povero. E per giunta pescatore.
Figuriamoci se posso anche solo prendere in considerazione uno che al pesce ci
vive in mezzo.
MARIA – Forse hai ragione tu. In fondo io ho creduto all’amore di un marinaio,
ed eccomi qui, con una figlia come suo unico ricordo. (Allontanando il
pensiero) Prendi qualcosa?
GIULIA – (Sfregandosi le mani) Magari un tè. (Maria torna al bar e inizia a
preparare il tè). A proposito di marinai, a quanto pare ne abbiamo uno in vena
di scherzi poetici.
MARIA – Il messaggio, già. Cosa ne pensi?
GIULIA – Mi ha, non so… emozionata. Come se fosse diretto a me…
MARIA – Sicuro. Ho provato anch’io la stessa cosa. Mi ha fatto venire in mente…
bah, lasciamo perdere. (Porta a Giulia il suo tè).
Vengono interrotti dall’entrata, dalla porta centrale, di una signora elegante.
E’ ospita alla Locanda. Si capisce, dai suoi modi, educati eppure distanti, che
qualcosa la tormenta, anche se cerca di non darlo a vedere.
MARIA – (Vedendola, le va incontro) Tutto bene, signora? Ho pensato che forse,
con questa umidità, potrebbe avere bisogno di un’altra coperta… Se crede, posso
portargliela in camera…
SIGNORA – (Si arresta, come spaesata) Un’altra coperta?… Sì, grazie. Molto
gentile. (Sorridendo) E’ freddo, così freddo… (Si riprende, appoggia la chiave
della sua stanza sul bancone e poi si dirige verso l’uscita).
MARIA – La nebbia. Penetra nelle ossa. Non è davvero una bella stagione,
questa.
SIGNORA – (Arrestandosi) Forse, però c’è molta quiete, e a volte può essere un
bene così prezioso, la quiete…
MARIA – Esce?
SIGNORA – (Senza quasi girarsi, sempre ferma) Sì. Vorrei fare una passeggiata
fino ai moli.
MARIA – (Facendo un passo verso di lei) Faccia attenzione, signora. Alcune zone
sono poco illuminate, può essere pericoloso, si rischia di finire in acqua… Ne
stavamo parlando proprio poco fa. E poi, la sera, non sono molto raccomandabili
i moli.
SIGNORA – Non si preoccupi. Non starò via molto. Ho solo bisogno di un po’
d’aria. Due passi, fino a poter sentire il mare… mi sembra passato così tanto
tempo dall’ultima volta…
MARIA – Come crede. Io l’ho avvertita.
SIGNORA – La ringrazio. E le assicuro che farò attenzione. (Esce).
MARIA – (A Giulia, scuotendo la testa, appena la Signora è uscita) Speriamo di
rivederla. Mi deve ancora pagare il conto.
GIULIA – (Ridendo) Sei cinica! Quando è arrivata?
MARIA – Questa mattina. Da sola. E’ andata in camera sua e non l’ho più rivista
fino a un momento fa. Viene dalla città. Non so altro.
GIULIA – Mi chiedo cosa può averla spinta a venire in un posto come questo…
MARIA – (Offesa) Oh, dico! Cosa vorresti dire con “un posto come questo”? Ma
sentila. La mia locanda è più che rispettabile, non come certe altre bettole
che ci sono da queste parti. Un posto come questo! (Intanto che parla, prende
il vassoio con la tazza di tè ormai vuota, li riporta dietro al mobile bar, poi
torna a sedersi accanto a Giulia).
SCENA III^
Da destra rientra in scena Andrea, in compagnia di Perla, la figlia della
locandiera. Portano due borse della spesa piene ognuno.
PERLA – (A sua madre, avvicinandosi) Ciao, mamma. Fortuna che Andrea è venuto
ad aiutarmi…
MARIA – (Si alza) Per la verità pensavo saresti tornata prima.
PERLA – (Si avvia verso il bancone, seguita da sua madre e da Andrea, e
deposita per terra le sue borse, estraendone una confezione di latte che
appoggia sul banco) In centro c’era la solita confusione. E poi ho dato
un’occhiata alle vetrine. (Ad Andrea, che nel frattempo l’aveva seguita vicino
al bancone) Vieni, andiamo a mettere giù questa roba. (Escono dalla porta
centrale, diretti in cucina).
GIULIA – (Si alza anche lei e raggiunge il mobile bar) Le vetrine… Che grande
tentazione! Le cose sembrano tutte più belle, dietro a una vetrina.
MARIA – (Che intanto ha sistemato il latte) E allora sarebbe meglio che ci restassero!
Fosse per me… Poi mettono di quelle cose assurde… E che prezzi!
GIULIA – Beh, sui prezzi non posso darti torto. Però l’altro giorno ho visto un
abito che era un incanto… (poi, con rabbia, e dirigendosi verso il centro della
scena) Finché porto questi stracci potrei anche andarci a sbattere contro, al
grande amore della mia vita, e neanche mi vedrebbe!
VECCHIO – (Alzando la testa dal suo libro) Non è l’abito che fa il monaco…
GIULIA – (Sospirando, e tornando sui suoi passi) Cosa ne vuoi sapere! La verità
è che, con l’abito giusto, anche una rana può apparire principessa.
VECCHIO – Dici bene: può apparire.
GIULIA – (Sconsolata) Tra puzza di pesce e vestiti, nessun uomo si accorgerà
mai di me. Nessun uomo come dico io.
MARIA – Naturalmente. I poveri pescatori non contano. Io comunque non ci trovo
niente che non vada, nei tuoi vestiti. E la puzza di pesce è una tua
fissazione. Scommetto che farai la doccia almeno tre volte al giorno.
GIULIA – (Offesa) Non è una fissazione. Sei tu che ormai non ci fai più caso.
(Poi, dopo un attimo) Adesso è meglio che vada a casa. Devo dare una mano ai
miei vecchi. Poveretti, tutta la vita hanno lavorato per potermi lasciare quel
banco di pesce al mercato… (Uscendo) Magari torno più tardi. Per le ultime
novità… (Esce).
VECCHIO – (Tra sé) Conosci te stesso, diceva la scritta ai piedi della sfinge…
MARIA – Sfinge? Che Sfinge?
VECCHIO – Lascia perdere, Maria. Non importa.
Rientrano Andrea e Perla. Andrea si dirige verso l’uscita, come per guardare
fuori.
PERLA – (A sua madre, porgendole una scatola di zucchero) Ecco fatto. Tutto a
posto.
MARIA – Sarà meglio che vada a vedere cosa avete combinato… (si dirige verso la
cucina).
ANDREA – (Appena Maria è uscita, tornando indietro) Alla faccia della fiducia!
PERLA – (Scusando sua madre) Normale. Non è che non si fidi, ma a volte il suo
concetto di ordine non corrisponde al mio. (Poi, cambiando discorso, gli si
avvicina) Allora, quest’estate ti imbarchi.
ANDREA – (Sedendosi al tavolo dove prima era Giulia) Finita la scuola, sì. Mio
zio mi ha chiesto se volevo farmi qualche mese sul suo peschereccio. Col grado
di aiuto - mozzo.
PERLA – (Sedendosi accanto a lui) Ti invidio. Su di una nave io ancora non ci
sono mai salita.
ANDREA – (Ironico) Chiamarla “nave” è un po’ esagerato. Comunque, sì, penso
sarà interessante. Poi chissà, potrebbe sempre capitarci qualche avventura
imprevista, tipo quelle che racconta il Vecchio. (Al Vecchio, alzando la voce)
Che ne dici, Vecchio? (Il Vecchio scuote la testa, sorride e non risponde).
PERLA – (Ridendo) Spero che, al tuo ritorno, non comincerai anche tu a
raccontarci storie… le sue bastano e avanzano. (Poi, dopo un momento, più
seria) Di sicuro, questa esperienza ti sarà utile, quando sarai all’Accademia.
ANDREA – (Esitando) Quando sarò all’Accademia. “Se” verrò ammesso… Lo sai, non
è così facile…
PERLA – Ma certo, che sarai ammesso. E sono sicura che sarai tu, un giorno, a
comandarla, una nave.
ANDREA – Poi sarei io, quello che viaggia di fantasia. Comunque, c’è ancora
tempo. Intanto devo finire il Liceo. Tu, piuttosto, sei riuscita a parlare a
tua madre?
PERLA – (Si alza e si allontana, in direzione del proscenio, imbarazzata)
Ancora no. Non so come fare a dirglielo.
ANDREA – (Si alza a sua volta e le si avvicina) Diglielo e basta.
PERLA – Non è così semplice. La conosco. (Allontanandosi ancora di alcuni
passi).
ANDREA – (Rimanendo fermo) Però hai deciso.
PERLA – (Gli si avvicina nuovamente) Ho deciso. Ci voglio provare. Ci devo
provare. E’ sempre stato il mio più grande desiderio, poter studiare il mare,
conoscerne i segreti, magari fare anche qualcosa per salvarlo… Sì, voglio
andare all’Università, iscrivermi a biologia marina…
ANDREA – (Divertito) Tu vuoi salvare il mare?
PERLA – Sicuro. Almeno, fare quello che ancora è possibile. Però adesso il
problema è dirlo a mia madre. Per frequentare i corsi, dovrei poter stare,
almeno per qualche giorno alla settimana, fuori casa. Figurarsi, Fuori casa. Lo
sai com’è, mia madre. Ha sempre paura che mi possa capitare chissà cosa. E poi
ci tiene a questa locanda. Vorrebbe che io potessi portarla avanti…
ANDREA – (Che intanto è tornato a sedersi) Stiamo parlando della tua vita… E
poi, anche se non dovesse capire, tu puoi andare lo stesso. Adesso sei
maggiorenne. Vedrai che, di fronte al fatto compiuto, non potrà che
rassegnarsi.
PERLA – (Avvicinandosi ad Andrea) Ma io non voglio che si rassegni. Si è già
dovuta rassegnare troppo, nella sua vita. E ha già dovuto provare il dolore di
perdere una persona alla quale voleva bene…
ANDREA – Parli di tuo padre. Lui se ne è andato, vi ha abbandonate, d’accordo.
E per questo ti deve tenere in gabbia? E tu ti devi rassegnare a starci?
VECCHIO – (Intervenendo nella conversazione) Se non ha ali, l’amore può
diventare una gabbia. Ma ogni gabbia ha la sua porta, e ogni porta la sua
chiave.
PERLA – (Si siede anche lei, vicino ad Andrea) Il problema è trovare la porta e
la chiave giusta.
Rientra Maria.
MARIA – (A Perla) Chiave? Di che chiave stavi parlando?
PERLA – Niente, mamma. La chiave del… motorino.
MARIA – (Preoccupata, le si avvicina) L’hai perduta?
PERLA – No mamma. E’ solo che questa mattina faticava ad entrare.
MARIA – Si sarà formata della ruggine nella serratura. Questa dannata umidità
farebbe arrugginire anche l’oro.
VECCHIO – Non credo di avervi mai raccontato…
MARIA – (Interrompendolo) Oh no! Ci risiamo.
Andrea e Perla si alzano ed escono. Il Vecchio alza le spalle e va al bancone.
VECCHIO – Quanto entusiasmo!
MARIA – (Versandogli un bicchiere di vino) Tieni Vecchio, e non ci pensare!
Con il suo bicchiere il Vecchio torna al tavolo e si rimette a leggere. Maria
torna al suo puzzle.
SCENA IV^
In scena, il Vecchio e Maria, ognuno al suo tavolo.
MARIA – (Al Vecchio) A che serve ricordare, Vecchio? Dare vita alle ombre del
passato porta soltanto dolore.
VECCHIO – I ricordi ci dicono chi siamo, Maria. Certo, possono fare male, ma
soltanto la verità nascosta nei nostri ricordi ci può permettere di trovare una
risposta.
MARIA – Una risposta?
VECCHIO – Sicuro. Una risposta alle domande che non abbiamo il coraggio di
porci.
MARIA – (Dopo un momento, riscuotendosi dai suoi pensieri) Sono preoccupata.
Vorrei che Perla non dovesse soffrire quello che ho sofferto io, ma ho paura di
non riuscire a proteggerla.
VECCHIO – Perla è una ragazza in gamba. Non è di lei che ti devi preoccupare.
MARIA – Cosa vorresti dire? Di chi mi dovrei preoccupare, allora?
VECCHIO – Non ti devi preoccupare. Semplicemente.
Entra una ragazza, evidentemente agitata. Porta con sé una borsa a tracolla e
trascina a fatica una grande valigia chiusa malamente. Si capisce che ha
corso.
STEFANIA – (Entrando) Lo sapevo, lo sapevo. Ne fosse andata dritta una… (La
valigia si apre al centro del palcoscenico, lasciando cadere diversi indumenti.
Subito chinandosi a raccoglierli) Anche la valigia ci mancava… Oggi non è
proprio giornata. Ecco, quando le cose si fanno in fretta… Stupida
valigia…
MARIA – (Che fino a quel momento l’ha osservata in silenzio, si avvicina) Serve
aiuto, signorina? Posso fare qualcosa?
STEFANIA – (Finendo di raccogliere le sue cose e chiudendo alla meglio la
valigia) No, grazie. Grazie, adesso è tutto a posto. E’ questa valigia che…
Fosse poi soltanto la valigia. Partita, è partita, capisce? Senza aspettarmi.
Il mio primo giorno. (Si mette a sedere al tavolo libero) Un disastro. E
adesso? Che faccio? La raggiungo a nuoto?
MARIA – Si calmi signorina. Vorrei capire qualcosa, magari…
STEFANIA – (Sconsolata) No. Non c’è più niente da fare. Andata.
MARIA – Andata?
STEFANIA – Andata. Levato le ancore. La mia nave. Partita. Già in viaggio. E
una nave indietro non torna. Nemmeno un aereo se è per questo, soltanto che io
dovevo salirci, su quella nave…
MARIA – (Avvicinandosi al tavolo, risoluta) Se adesso fa un bel respiro e mi
racconta tutto con ordine, le porto una bella tazza di tè caldo. Offre la casa.
STAFANIA – Una cioccolata. Se fosse possibile. Quando mi va tutto storto,
perché non è la prima volta capisce, che mi va tutto storto intendo, insomma,
quando succede, una cioccolata è l’unico rimedio. Infallibile.
MARIA – Allora vada per la cioccolata. (Si avvia a prepararla). Diceva di una
nave…
STEFANIA – La mia nave. Sarebbe stato il mio prima imbarco. Mi hanno assunta,
anzi mi avevano assunta, come hostess sull’Esperia. Bellissima. Alle sedici,
doveva partire. E alle sedici è partita. Nemmeno un minuto di ritardo. Neanche
fosse una nave svizzera.
Nave, passeggeri, equipaggio. Tutti partiti, tranne me.
MARIA – Ma come è successo?
STEFANIA – (Si alza e le si avvicina) Una storia che se gliela racconto non mi
crede. Quasi non ci credo nemmeno io. (Inizia a raccontare e, mentre racconta,
cammina per tutto il palcoscenico) Comunque, vado per prendere la macchina e
quella non parte. Lo so, dovevo portarla dal meccanico, era una settimana che
andava a singhiozzo, ma insomma, che proprio oggi… Fa niente. Allora chiamo un
taxi. Sono già per strada, quando mi accorgo di avere lasciato la borsa con
tutti i documenti a casa. Torna indietro a prendere la borsa. Arrivo a casa, e
suona il telefono.
Maria porta al tavolo la cioccolata.
MARIA – Ecco, una bella cioccolata calda. Modestamente, la mia specialità.
STEFANIA – (Torna a sedersi al tavolo) Grazie.
MARIA – (Sedendosi allo stesso tavolo) E poi? E’ andata a rispondere?
STEFANIA – (Dopo aver bevuto due lunghi sorsi di cioccolata) Certo, non avrei
dovuto, ma poteva anche essere importante. Non potevo mica rimanere tutto il
viaggio
con l’angoscia. Invece era la mia amica Gianna. (Beve altri due sorsi, poi si
rialza e ricomincia ad andare avanti e indietro.) Mi telefona per dirmi che il
suo ragazzo l’ha mollata. E giù a piangere. Che faccio, le sbatto il telefono
in faccia? Cerco di consolarla. Compito mica facile. Intanto il taxi aspetta.
Quando finalmente riesco a farle capire che avrei un po’ di fretta e che la
richiamo appena posso, via di corsa. Di corsa si fa per dire, perché un po’ il
traffico un po’ la nebbia, c’è poco da correre… Insomma, per farla breve,
arriviamo fin qui che già è tardissimo, e il taxi fora, capisce? Mentre il
poveretto cambia la ruota, faccio una telefonata da una cabina alla capitaneria
giusto in tempo per sentirmi dire che la mia nave era già partita. Già, perché
vede, alle sedici, doveva partire, mentre io non so come mi ero segnata che la
partenza era alle diciotto. Ancora non so proprio come… Inutile proseguire. Così
ho pagato il taxi e ho camminato e camminato, così, senza sapere cosa fare o
dove andare. Poi quando mi sono accorta di essere abbastanza stanca di
camminare, ho deciso di trovare un posto dove fermarmi per la notte. (Torna a
sedersi e finisce la sua cioccolata) Buonissima.
MARIA – Mi dispiace. Per la nave, voglio dire.
STEFANIA – Anche a me. Non è facile trovare una buona nave. Di questo lavoro
poi ne avevo davvero bisogno. Pazienza. Vorrà dire che me ne dovrò cercare un
altro.
MARIA – Dove è diretta, la nave?
STEFANIA – Fa una crociera nel Mediterraneo. Primo scalo a Patrasso, in Grecia.
MARIA – (Si alza in piedi e raccoglie la tazza vuota) Perché non manda un
telegramma alla nave inventando una scusa e dicendo che li raggiungerà in aereo
al primo scalo? Non mi sembra davvero il tipo di ragazza che si perde d’animo
facilmente. (Porta la tazza dietro al bancone).
STEFANIA – No. Se è per questo… Credo di non essere molto fortunata, sa. Non è
davvero la prima volta che me ne capitano delle belle. Se avessi dovuto
perdermi d’animo…
MARIA – Ecco, vede? E allora?
STEFANIA – Allora… Per cominciare i soldi per l’aereo non li ho… Come ho detto,
di questo lavoro ne avevo davvero bisogno…
MARIA – (Resta un attimo pensierosa, poi le si avvicina) Sa cosa facciamo? I
soldi glieli presto io. E quanto la nave avrà finito la sua crociera e sarà di
ritorno me li restituirà.
STEFANIA – (Meravigliata) Sono poche le persone come lei, sa? Nemmeno mi
conosce. Potrei anche avere inventato tutto.
MARIA – Potrebbe, è vero. Però io le credo. So cosa vuol dire non avere molta
fortuna, nella vita.
STEFANIA – E’ davvero molto gentile. Però io non posso accettare. (si alza).
MARIA – Senta, non mi ritengo una persona particolarmente generosa, però
aiutarla mi farebbe davvero piacere. E di piaceri le assicuro non me ne sono
rimasti molti. Vorrebbe togliermi anche questo?
STEFANIA – (Esitante) No… certo che no… anzi… però… voglio dire…
MARIA – (Risoluta) Allora è deciso. E non se ne parla più. Intanto, per questa
notte lei si ferma a dormire qui alla locanda. Ho tante di quelle stanze
libere… E domani mattina mandiamo il telegramma e ci informiamo sui voli.
STEFANIA – Però segna tutto…
MARIA – (Andando verso il banco a prendere una chiave) Tutto. Fino all’ultimo
centesimo. E adesso venga, l’accompagno alla sua stanza. Un documento me lo
darà più tardi.
STEFANIA – (Avvicinandosi e seguendola) Non so proprio come ringraziarla…
MARIA – E allora non mi ringrazi. (Escono).
Dopo pochi istanti entra una ragazzina. E’ la nipote del vecchio marinaio. Si
dirige risoluta verso il tavolo del nonno.
LUISA – Nonno, la mamma dice che devi venire a casa. E’ ora di cena. Dice anche
che in questa locanda ci passi troppo tempo, e che in una serata come questa
potevi anche rimanere in casa.
VECCHIO - Rimanere in casa? A fare cosa?
LUISA – (Incerta) Come “a fare cosa?” Tutto quello che vuoi. Anche a leggere il
tuo libro.
VECCHIO – Per carità. Con tutta quella confusione. E poi, lo sai, sono stato
per mare troppo a lungo per rassegnarmi a una tranquilla vita domestica. In
qualche modo, qui mi sembra di essere ancora a bordo…
LUISA - (Si guarda attorno) Hai visto Andrea?
VECCHIO – (Chiude il suo libro e sorride) E’ di sopra con Perla. Dovevi dirgli
qualcosa? Se vuoi salire… Tua madre può anche aspettare cinque minuti.
LUISA – No, no. Non vorrei disturbare. Comunque non è niente di importante.
VECCHIO – Sei gelosa?
LUISA – (Imbarazzata) Nonno, ma che dici?
VECCHIO – Andrea è un bravo ragazzo.
LUISA – Se lo dici tu. (Poi, impaziente) Allora, andiamo?
In sottofondo una musica (“Albatross” di Medwin Goodall).
VECCHIO – (Si alza, si infila il cappotto e si avvia, lasciando il suo libro
sopra al tavolo) D’accordo, d’accordo… andiamo.
LUISA – (Mentre si avviano verso l’uscita) Nonno, dopo cena me la racconti una
delle tue storie?
VECCHIO – Non ti hanno ancora stancato? Lo sai la mamma cosa ne pensa… E poi
adesso voi ragazzi avete la televisione…
LUISA – Le tue storie non mi stancheranno mai, nonno. Quando me le raccontavi,
da piccola, non riuscivo mai ad arrivare alla fine perché finiva sempre che mi
addormentavo prima… però poi me le sognavo… ed erano sogni bellissimi.
VECCHIO – Sei una bambina… oh, scusa, volevo dire una signorina, davvero
speciale. La mia nipotina preferita. (Escono).
Le luci si abbassano. Rimane illuminato il tavolo del Vecchio. Si accende il
pannello. Rientra la ragazza misteriosa. Si è tolta l’impermeabile e adesso
indossa un maglione, sempre bianco, sopra un paio di jeans. Si guarda un po’
attorno, si avvicina al tavolo dove era seduto il Vecchio, prende in mano il
suo libro e lo sfoglia.
SCENA V^
Rientrano Andrea e Perla. Le luci si rialzano.
PERLA – (Si guarda attorno un attimo, poi tornando sui suoi passi si affaccia
alla porta e chiama) Mamma! Mamma!
ANDREA – Sarà andata ad accompagnare qualche cliente di sopra… (Si accorge che
Il Vecchio non c’è più) E’ uscito anche il Vecchio.
PERLA – (Tornando verso Andrea) Sicuramente è venuta Luisa a chiamarlo. Come
tutte le sere.
ANDREA – (Si dirige verso il tavolo rimasto libero) Se potesse sistemarsi una
branda, ci passerebbe anche la notte qui dentro, il Vecchio.
PERLA – Dice che a casa sua non sente il mare. Il bello è che abita a soli
dieci minuti di strada. Non sente il mare!
RAGAZZA – (Che ha seguito la breve conversazione molto attentamente, si
avvicina a Perla) Tu devi essere Perla. Tua madre mi ha parlato di te, mentre
mi mostrava la stanza.
PERLA – (Sorpresa) Sì, certo. …Sei arrivata oggi?
RAGAZZA – Oggi. Sono in viaggio.
PERLA – Brutta giornata, per viaggiare.
ANDREA – Vieni da lontano?
RAGAZZA – (Assorta, si allontana verso l’altro tavolo, rimanendo però nel
proscenio) Sì. Da lontano. Sì. Un viaggio lungo, il mio.
La musica sfuma e si arresta. Il pannello si spegne.
ANDREA – (Le si avvicina e le allunga la mano) Io mi chiamo Andrea.
RAGAZZA – (Stringendogliela) Piacere.
PERLA – (Anche lei si avvicina, e le stringe a sua volta la mano) E io Perla.
RAGAZZA – Bellissimo nome. Devi essere davvero preziosa, per tua madre, se ti
ha dato questo nome.
PERLA – Hai detto bene, preziosa. Così preziosa che ho paura non vorrà
lasciarmi andare…
RAGAZZA – Te ne vuoi andare?
PERLA - Vorrei iscrivermi all’Università…
ANDREA – (Riferendosi a Perla) Vuole salvare il mare.
RAGAZZA – Compito impegnativo. (A Perla) Pensi di potercela fare?
Andrea, vedendo che la ragazza non è minimamente interessata a lui, si siede al
tavolo del Vecchio, prendendo in mano il suo libro.
PERLA – (Sorridendo, si allontana di qualche passo) Di sicuro, non da sola. Mi
piacerebbe poter fare qualcosa… ecco.
RAGAZZA – (Le si avvicina) Allora, forse sarà il mare a fare qualcosa per te.
PERLA – In che senso? Non capisco cosa…
RAGAZZA – Non importa. Non farci caso. Mi stavi dicendo che però tua madre non
è d’accordo…
PERLA – Non lo so, non glie ne ho ancora parlato. Però lei è molto… protettiva,
ecco. Pensa che io sia ancora una bambina. Non fa che ripetermi che il mondo è
brutto… che bisogna fare molta attenzione. Se ritardo dieci minuti va in ansia…
cose così, insomma. Poi lo so, vorrebbe che io tenessi questa locanda…
RAGAZZA – (Andando verso il bancone) E’ importante per lei, questa locanda.
PERLA – Molto. Molto importante. Qui c’è tutta la sua vita. Le cose belle e
quelle brutte. Ma anche a quelle brutte in qualche modo è rimasta legata. E’
qui che ha conosciuto mio padre, ed è qui che lo ha aspettato per anni… A volte
mi viene da credere che ancora lo stia aspettando. Forse nemmeno se ne rende
conto.
ANDREA – E’ assurdo!
PERLA – (Gli si avvicina) Lo so, e anche lei lo sa. Però bisogna anche capirla.
Di sicuro non è stato facile mandare avanti la baracca i tutti questi anni, e
adesso che potrei finalmente darle una mano…
RAGAZZA - …Ti accorgi che la tua strada è un’altra.
PERLA – Già.
RAGAZZA – Tu non pensi che tuo padre possa tornare?
PERLA – (Sorpresa, esitante) Non… non lo so. (Torna ad allontanarsi di qualche
passo)
ANDREA – (Alzandosi) Non vedo cosa…
RAGAZZA – (Ignorandolo, sempre a Perla, seguendola) Ti piacerebbe? Voglio dire,
ti piacerebbe se tuo padre tornasse? Pensi che questo in qualche modo potrebbe
cambiare le cose? Per te, per tua madre…
PERLA – (Si dirige verso il proscenio) Non lo so. Davvero. Per tanti anni l’ho
aspettato, e chiedevo di lui, a mia madre. Poi mi sono accorta che questo la
faceva stare male, anche se ha sempre cercato di fare in modo che io non me ne
accorgessi, così ho smesso di chiedere. Ho smesso di immaginarmi il suo volto,
ho smesso di costruirci delle storie, di cercare di capire, di arrabbiarmi. Ho
smesso di pensarci. Se adesso, in questo momento, entrasse da quella porta, io…
Comunque, non verrà. (Va a sedersi al tavolo con il puzzle).
RAGAZZA – Allora devi dirglielo. Devi dire a tua madre che hai smesso di
aspettare, che le vuoi bene e che hai deciso di iscriverti all’Università.
ANDREA – (Sempre cercando di inserirsi nella conversazione, si avvicina) Sono
giorni che le ripeto di dirglielo, senza farsi tutti questi problemi. E’ la sua
vita, è il suo sogno, e ha diritto di seguirlo.
RAGAZZA – (Ad Andrea, improvvisamente interessata) Tu ci credi, ai sogni?
PERLA – (Ridendo) Sono il suo pane. (Si porta dietro al bancone, dove sistema
alcune bottiglie, poi esce).
ANDREA – (Leggermente imbarazzato, si ritrae di qualche passo) Qualche volta mi
piace immaginare delle cose…
RAGAZZA – (Ferma) Per esempio?
ANDREA – (Portandosi a sua volta verso il proscenio) Quando guardo il mare,
certi giorni, e lo seguo fino all’orizzonte, penso a quante cose ci sono che
non conosco, e penso a quelli che l’hanno percorso, quel mare, scoprendo altri
orizzonti, nuove terre e ancora mare. Allora mi immagino come uno di loro, e
viaggio con la fantasia. Anche se, come dice sempre mio padre, è inutile
perderci tempo, con le fantasie. Io lo so, che ha ragione, però… (Si siede
nuovamente al tavolo del Vecchio).
RAGAZZA – (Avvicinandosi) Ne sei convinto?
ANDREA – Di cosa?
RAGAZZA – Che viaggiare con la fantasia sia una perdita di tempo.
ANDREA – Non so. Di sicuro, la vita vera è un’altra cosa.
RAGAZZA – (Si allontana da lui di alcuni passi, poi si gira) Tu senti la voce
del mare, Andrea, che ti chiama. Questa non è una fantasia.
ANDREA – (Stupito, divertito) non sapevo che il mare potesse parlare.
RAGAZZA – (In proscenio) Conoscevo un ragazzo, una volta. Aveva paura
dell’acqua profonda, non voleva assolutamente andare dove non si tocca, non
voleva imparare a nuotare. I suoi amici lo prendevano in giro, si tuffavano, lo
invitavano a seguirli, ma lui niente. Troppa paura. Poi, un giorno, così,
all’improvviso, ha sentito la voce del mare, che lo chiamava, e non ha più
avuto paura. Si è tuffato, ed ha imparato a nuotare.
ANDREA – (Dubbioso) La voce del mare…
Si abbassano le luci. Illuminati rimangono solo il tavolo del Vecchio ed il
Proscenio.
RAGAZZA – E’ come il richiamo delle sirene, e chi l’ascolta una volta non può
dimenticarla. Chi ha udito la voce del mare non può che tuffarsi tra le onde a
seguirne il canto, che a volte è dolce e quasi impercettibile, altre volte è un
urlo di rabbia e di dolore, agonia delle cose che muoiono e grido di quelle che
nascono.
La ragazza si avvicina al tavolo dove è seduto Andrea. Si siede. Si illumina il
pannello.
SCENA VI^
In scena, sempre Andrea e la Ragazza.
ANDREA – (Alzandosi) Beh, si è fatto tardi. Sarà meglio che vada. (Si infila il
giaccone e si dirige verso l’uscita).
RAGAZZA – (Si alza anche lei e si avvicina ad Andrea) Scusa, me lo potresti
fare, un piacere, un grande piacere?
ANDREA – Se posso…
RAGAZZA – (Estrae dalla tasca una piccola conchiglia e glie la porge) Vorrei
che tu andassi sul molo, quello vicino al faro, a gettare in mare questa
conchiglia. Adesso.
ANDREA – (Stupito) In acqua? Ma… non capisco…
RAGAZZA – (Insistendo) Ti prego. (Gli porge ancora la conchiglia) e’
importante.
ANDREA – (Alza le spalle e prende la conchiglia dalle sue mani) D’accordo. Sono
di strada…(Esita ancora un momento, poi esce).
RAGAZZA – (Quasi tra sé) Grazie.
Rientra Maria insieme a Perla. Si rialzano le luci sulla scena. La ragazza si
avvicina al tavolo con il puzzle. Il pannello si spegne.
MARIA – (Divertita, entrando) Mai conosciuto un disastro simile. Qualunque cosa
tocca la distrugge. Non ci crederete, ma in dieci minuti è riuscita ad intasare
la vasca, a rovesciare la lampada del comodino che, naturalmente, si è rotta, e
a momenti non si tirava addosso l’armadio. Mi chiedo se per quella nave non sia
stata una fortuna non averla presa a bordo. Forse sul Titanic c’era sua nonna!
(Si porta dietro al bancone).
PERLA – (Si alza e le si avvicina) Ma di chi stai parlando, mamma?
MARIA – Della nostra terza cliente. O meglio, cliente per modo di dire, visto
che le ho offerto io ospitalità per questa notte.
PERLA – (Incredula) Tu… hai offerto…?
MARIA – Eh, sì, cara la mia bambina. Che ti credi? Che io non sappia essere
generosa? Anche se mi auguro di non dovermene pentire, questa volta. Cosa ti
devo dire? Mi ha fatto tenerezza. Dovevi vederla. E quel suo racconto assurdo,
poi! Uno spasso! Non per lei, intendiamoci, ma ha un modo di raccontare le
cose… Comunque, penso che avrete modo di conoscerla presto. (Poi, vedendo la
Ragazza) In camera tutto a posto? Serve niente?
Perla prende uno straccio dietro al bancone e va a pulire il tavolo al quale
prima erano seduti.
RAGAZZA – Tutto perfetto, grazie. Penso che mi troverò benissimo. E sono stata
molto attenta a non fare danni.
MARIA – Figurati. Si vede che sei una brava ragazza. Poi credo che per arrivare
a combinarne così tante bisogna nascerci. Sicuro, nascere sotto una stella
davvero particolare.
PERLA – A volte, di notte, guardo il cielo, e mi domando quale sia la mia
stella.
RAGAZZA – (Sempre guardando il puzzle) Forse l’importante è soltanto sapere che
ci sia, una stella, una stella per ognuno di noi, a indicarci la strada.
MARIA – A stare troppo col naso per aria si rischia di andare a sbattere da
qualche parte, e allora sì che se ne vedono, di stelle!
Entra Stefania, agitata, e si dirige verso la Locandiera.
STEFANIA – Mi scusi ma… beh, ecco… non so come dire… solo che… avrei un piccolo
problema…
MARIA – (Esce dal bancone e si dirige verso il proscenio) Un piccolo problema?
Dunque, vediamo… potrebbe essere…(Si gira verso Stefania, che è rimasta al
bancone) ha preso fuoco la camera? No… questo lo escluderei… non sento odore di
bruciato…
STEFANIA – (rassicurante) No no… niente di così drammatico, per fortuna…
MARIA – Per ora…
STEFANIA – (Avvicinandosi alla locandiera, esitante) Solo che, mentre stavo
sistemando le mie cose, mi sono accorta che nella valigia non c’era più il mio
porta documenti… potete immaginare il panico… voglio dire, anche i documenti,
come se non bastasse quello che già mi era successo… e poi ero assolutamente
sicura di avercelo messo, prima di partire… Così ho svuotato e rivoltato tutto
per bene ma… niente da fare… poi, mi sono ricordata che entrando qui, poco fa,
mi si era aperta. Magari erano caduti fuori senza che io me ne fossi accorta…
Allora sono uscita di corsa per venire giù quando… (pausa).
MARIA – Quando?
STEFANIA – Quando, arrivata sul pianerottolo, mi sono improvvisamente ricordata
che il porta documenti l’avevo messo nella tasca interna del cappotto, dopo
essere tornata a riprendere la valigia che avevo dimenticato in macchina… per
maggiore sicurezza…sa com’è, in fondo la valigia non era un posto poi così
sicuro…
MARIA – (Con un sospiro di sollievo) Allora, come si dice, tutto è bene quello
che finisce bene…
STEFANIA – (Imbarazzata) Sì, però…
MARIA – C’è dell’altro?
STEFANIA – (Torna verso il bancone) Ecco… mi sono accorta di essermi chiusa
fuori, dimenticando la chiave in camera.
MARIA – (Dopo un attimo) Mmmh, questa volta la faccenda è seria. Mi sa che
dovremo chiamare un fabbro.
STAFANIA – (Preoccupata) Veramente? Pensavo che magari…
MARIA – (Sorridendo, la raggiunge) Ma no, andiamo, non capisci che sto
scherzando? Adesso vengo di sopra con la chiave universale e ti apro .
PERLA – (Che nel frattempo si era portata dietro al bancone) Se vuoi vado io,
mamma…
MARIA – (A sua figlia) Grazie… (poi, a Stefania, indicando sua figlia) Lei è
Perla, mia figlia, e questa distratta ragazza è…
STEFANIA – (Stringendo la mano a Perla) Stefania. Piacere. E scusami per questo
disturbo, ma davvero…
PERLA – (A Stefania) Non ti preoccupare… Nessun disturbo. Vieni. (Si avvia,
seguita da Stefania).
MARIA – (Dopo averle osservate allontanarsi, scuotendo la testa) Voglio proprio
vedere quale sarà la prossima che combina… perché sicuramente ci sarà, una
prossima…
RAGAZZA – (Che intanto si è seduta al tavolo con il puzzle) Prima stava dicendo
che siamo solamente in tre ad avere preso alloggio qui, per questa notte.
MARIA – Sì. Tu, quel vulcano che hai appena conosciuto e una signora.
RAGAZZA – Una Signora?
MARIA – Una signora, già. Anche lei da sola. A proposito, è da un bel pezzo
ormai che è uscita. Diceva che andava a fare due passi… Con questa nebbia,
andarsene in giro da soli… (scuote la testa e si avvicina alla Ragazza).
RAGAZZA – Bello questo puzzle. Anche a me piacciono molto.
MARIA – Oh, beh, è solo un modo per passare il tempo, quando non ci sono
ospiti.
RAGAZZA – Ci vuole una grande pazienza… questo poi non mi sembra dei più
facili.
MARIA – No, non lo è. Non sono nemmeno sicura di arrivare a terminarlo.
RAGAZZA – (Alzandosi) Perché non prova a farsi aiutare?
MARIA – Credo non interessi a nessuno. Poi, come ho detto, è solo un passatempo
senza importanza…
RAGAZZA – Non riuscirei mai a lasciarlo incompiuto.
MARIA – (Si allontana, portandosi all’altro tavolo) Ci sono purtroppo cose,
nella vita, che rimangono incompiute. Che lo si voglia o no.
RAGAZZA – A volte, però, manca soltanto la parola “fine”.
MARIA – (Indicando la porta d’ingresso) Vedi quella porta? Tanti anni fa, un
uomo è uscito da quella porta, senza più fare ritorno. Se ne è andato, capisci,
così, senza aver scritto, come dici tu, la parola fine.
RAGAZZA – Forse non era sua, la storia, e non la poteva scrivere lui quella
parola. (Torna a sedersi).
SCENA VII
Maria è dietro al bancone. La Ragazza è seduta al tavolo con il puzzle. Entra
Giulia e si dirige verso la locandiera.
GIULIA – (Entrando) Sta succedendo qualcosa, là fuori. Maria. Prima il
messaggio, poi tutto il resto… sentissi che storie!
MARIA – (Sorpresa, andandole incontro) Quali storie?
GIULIA – Conosci Gianni, il marito della Franca, no? (Conduce Maria verso il
proscenio).
MARIA – Certo che lo conosco. E allora?
GIULIA – Beh, oggi è rientrato in porto molto presto…
MARIA – Problemi?
GIULIA – No no, tutto regolare. Cioè, si fa per dire, perché Gianni ha
raccontato una storia… non so come definirla. (Esita).
MARIA – Non definirla. Racconta e basta. (Si siede al tavolo del Vecchio).
Musica di sottofondo (“Prophecy Theme” di Brian Eno). Si abbassano leggermente
le luci. Si accende il pannello.
GIULIA – (Le si avvicina, si toglie il cappotto, lo appoggia sopra una sedia e
poi, in tono confidenziale) A me l’ha raccontata Francesca al telefono, che
l’ha sentita da sua madre, con la quale si è confidata la Franca, dopo che il
marito le aveva raccontato quello che gli era capitato. Comunque, per farla
breve, (si siede) questa mattina, più o meno alla stessa ora del messaggio, la
sua barca era ferma al largo, le reti gettate, quando il mare si è fatto
improvvisamente piatto… immobile come non l’aveva mai visto… così ha detto
Gianni… E poi… Insomma, a poca distanza dalla barca l’acqua si sarebbe… accesa.
Prima una piccola chiazza luminosa, verde, che poi si è allargata fino a
sfiorare lo scafo, e questa luce… è sempre Gianni ad averlo detto… pulsava.
Ecco. Poi, dopo pochi istanti, è svanita, e il mare è ritornato… normale.
MARIA – Ma questa cosa, la luce, l’ha vista solo Gianni? E’ un brav’uomo, per
carità, però lo sanno tutti che a volte esagera un po’…
GIULIA – No. La luce l’hanno vista anche tutti gli altri, a bordo. Comunque
adesso viene il bello. (Torna ad alzarsi) Dopo questo episodio, tutto fila
tranquillo fino al primo pomeriggio. Solo la nebbia che si fa sempre più fitta.
E poi, all’improvviso, di nuovo quella luce, però questa volta in mezzo alla
nebbia, la stessa luce verde che si allarga e pulsa, e la nebbia che inizia a
vorticare… sono le precise parole…e…
MARIA - …E?
GIULIA – (Sempre più misteriosa) Un suono. Una specie di melodia, che però non
era musica, una specie di sussurro, che però non erano parole…
MARIA – Insomma, una specie. (Si alza e va dietro al bancone a versarsi un
bicchiere d’acqua).
GIULIA – (Seguendola) Non so cosa dirti. Anche questo sentito da tutti e anche
questo svanito, assieme alla luce, di colpo. A questo punto Gianni ha deciso
che per lui era abbastanza e sono tornati in porto.
MARIA – (Dopo un istante) Devono aver preso un bello spavento.
GIULIA – Altroché. La moglie di Gianni dieci volte se l’è sentita raccontare.
MARIA – Certo che se a bordo tutti hanno visto e sentito…
GIULIA – Aspetta, perché non è ancora tutto.
MARIA – C’è dell’altro?
GIULIA – Eccome. E ti riguarda da vicino. (Si dirige verso il tavolo del
Vecchio, e si siede)
MARIA – (Preoccupata, la segue, rimanendo in piedi ) In che senso?
GIULIA – Mentre rientravo a casa, ho incontrato Saverio, e mi ha raccontato
che, dopo pranzo, stava andando al suo capanno per sistemare le reti, quando
dalla nebbia, proprio davanti a lui, si è visto sbucare un gabbiano…
MARIA – Questo non mi sembra un fatto straordinario…
GIULIA – Ma un gabbiano come non ne aveva mai visti.
MARIA – Volevo ben dire!
GIULIA – (Proseguendo, si alza) Più grande dei normali gabbiani, e
completamente bianco… quasi…abbagliante. E l’ha visto dirigersi proprio verso
la tua locanda.
MARIA – (Sorpresa) Come fa a dire che fosse diretto proprio qui? Anche ammesso
che venisse in questa direzione, ci sono altre case qui attorno… e poi, la
nebbia…
GIULIA – Non lo so. Devi chiederlo a Saverio. Lui mi ha detto che l’ha visto
dirigersi verso la tua locanda.
MARIA – (Pensandoci un attimo, andando verso il centro del proscenio) Anche se
fosse, comunque non mi sembra un grande mistero. Sarà stato attirato dall’odore
del cibo. Oppure si è confuso e ha sbagliato strada.
RAGAZZA – (Che fino a quel momento era rimasta assorta sul puzzle, alza la
testa e, guardando Maria) No, non credo.
La musica si interrompe. Le luci si rialzano. Si spegne il pannello. Maria e
Giulia guardano la ragazza, sorprese dal suo intervento.
MARIA – (Facendo un passo verso il tavolo della ragazza) No? E allora?
RAGAZZA – Forse stava cercando qualcosa o… qualcuno.
MARIA – Questa è bella. Un gabbiano in cerca di qualcuno. E di chi?
RAGAZZA – (Sorridendo) Chi lo sa.
GIULIA – (Che era rimasta vicino all’altro tavolo) Si sarà perso la sua
gabbiana.
RAGAZZA – Sono gli uomini, che spesso nemmeno riescono più ad alzare la testa
al cielo, a perdersi, non i gabbiani, che volano alti e leggeri e non temono le
tempeste.
MARIA – (Sorpresa) Sei un’ambientalista?
RAGAZZA – (Dopo averci pensato un attimo, con un sorriso) Una specie, sì.
SCENA VIII
In scena, al tavolo del Vecchio, Giulia e Maria. All’altro tavolo, la ragazza.
RAGAZZA – (Si alza e si avvicina alle due donne, dopo che queste erano rimaste
assorte in un silenzio pensieroso) Insomma, a quanto pare sono capitata in un
posto pieno di misteri.
MARIA – Non devi credere che qui sia sempre così, anzi…
GIULIA – Anzi, questo di solito è il regno della monotonia più assoluta,
soprattutto in questa stagione. Certo, d’estate ci sono i turisti, ma anche
quelli alla fine non cambiano le cose: vengono, portano un po’ di lavoro, un
po’ di soldi, la solita confusione… e poi se ne vanno. E tutto torna come
prima. Per carità, succedono anche qui le cose belle e quelle brutte, come
dappertutto, ma mai niente di straordinario.
RAGAZZA – Oggi però…
MARIA – Eh sì, oggi è davvero una giornata particolare. Da quando sono in
questa locanda, e sono davvero tanti anni ormai, fatti così non se ne erano mai
sentiti.
RAGAZZA – (Allontanandosi) Il mare ha le sue storie…
MARIA – Storie quante ne vuoi. Spesso uscite da un bicchiere di troppo. (Si
alza e torna nuovamente dietro al suo bancone, mettendosi a pulire alcuni
bicchieri).
GIULIA – (Sempre seduta) Quello che è successo oggi sono sicura che deve avere
un significato. Per forza.
RAGAZZA – (Le si avvicina) Secondo te, quale potrebbe essere?
GIULIA – E chi lo sa? Almeno, portasse qualche cambiamento.
MARIA – Per me, queste cose succedono quando succedono, dove capita, e poi
basta. Tutto finisce lì. E chi le ha viste andrà avanti a parlarne per
anni.
RAGAZZA – (Si avvicina al bancone, poi si rivolge a Giulia) Cosa dovrebbe
cambiare?
GIULIA – (Alzandosi, arrabbiata) Tutto. Per esempio, che una mattina,
svegliandomi, potessi sapere che quello che mi aspetta non è un banco per la
vendita del pesce.
MARIA – (Alla Ragazza, confidenziale) Vende pesce al mercato. E odia il pesce.
GIULIA – (Si allontana, portandosi verso il proscenio) Lo odio, sicuro. E’
così… viscido e poi… puzza, ecco.
MARIA – (Sempre alla Ragazza) Spera di incontrare il Principe Azzurro, e ha
paura che non succederà mai perché pensa che l’odore del pesce lo tenga
lontano. Un po’ come l’aglio per i vampiri.
RAGAZZA – Sarebbe davvero un Principe da poco. (Va a sedersi al tavolo del
Vecchio).
MARIA – Comunque, cento volte le ho detto di vendere quel banco di pesce e di
comprare… che ne so, una profumeria.
GIULIA – (Torna ad avvicinarsi al bancone) Quel banco è stato la vita dei miei
genitori. Se lo vendessi per loro sarebbe un dolore troppo grande.
MARIA – Credi davvero che a loro farebbe dispiacere saperti felice?
GIULIA – Non lo so. Loro sono all’antica. (Si porta, gesticolando, verso
l’altro tavolo) Sai, le tradizioni di famiglia e tutto il resto. Inoltre il
banco è una garanzia, anche se di sicuro non ci diventerò mai ricca. Qualunque
altra attività dovrei impararla, e sarebbe comunque più rischiosa…
MARIA – Sei così giovane. Potresti imparare qualunque cosa, se solo tu lo
volessi.
GIULIA – Certo, mi piacerebbe, ma…
MARIA – (Alla Ragazza) Tu cosa ne dici? Finché si è giovani come voi…
RAGAZZA – A volte è impossibile fare una scelta, perché questa a sua volta
dipende da altre scelte fatte, e così via, fino alla prima.
GIULIA – La prima cosa?
RAGAZZA – La prima scelta che dobbiamo fare. Quella più importante. (Si alza e
va al banco a prendere la sua chiave).
GIULIA – (Interessata, si avvicina alla ragazza) E quale sarebbe?
RAGAZZA – Questo, bisogna scoprirlo da soli. E’ diversa, per ognuno di noi.
(Esce).
Entra Perla, dalla cucina, molto agitata.
PERLA – Mamma, è successa una cosa… alla radio…
MARIA – (Andandole incontro) Cos’altro è capitato, adesso? Sono sbarcati gli
UFO?
PERLA – (Sempre ferma sulla porta) No mamma, questo non è uno scherzo. Stavo
ascoltando la radio, di là in cucina, quando hanno trasmesso una notizia appena
arrivata…
GIULIA – (Si avvicina, interessata) Che notizia?
PERLA – (Andando verso il proscenio, seguita da sua madre e da Giulia) Il
peschereccio di Pinelli, il Proteo, dicono sia scoppiato un incendio a bordo.
GIULIA – (Portandosi le mani al volto) O Signore benedetto!
MARIA – Ma non è la barca sulla quale lavora Federico?
PERLA – Proprio quella.
GIULIA – (Sempre più agitata) Che altro hanno detto? Ci sono feriti? Si sa
qualcosa?
PERLA – Per la verità, la notizia era appena arrivata… ancora non sapevano
molto. Stanno mandando i soccorsi.
MARIA – Ma come può essere successo? Un incendio? Non hanno proprio detto
niente di più?
PERLA – No mamma. Niente.
GIULIA – (Si infila il suo cappotto e si avvia verso l’uscita) Vado alla
capitaneria. Per sapere qualcosa.
MARIA – (Seguendola per alcuni passi) Calmati, dai. Aspetta. Vedrai che presto
arriveranno notizie. Non è detto sia una cosa grave.
GIULIA – (Voltandosi un attimo) No, No, certo, però… io vado. Così… poi faccio
sapere qualcosa anche a voi. (Esce).
MARIA – (Dopo un momento, tornando verso Perla) povera ragazza, adesso se n’è
accorta…
PERLA – Accorta di cosa, mamma?
MARIA – E’ preoccupata per Federico. Perché gli vuole bene. Anche se fa il
pescatore…
PERLA – Torno di là, a sentire se dicono ancora qualcosa… (esce).
SCENA IX
Dall’esterno rientrano Andrea in compagnia della Signora.
ANDREA – (Entrando con la Signora) Venga, si sta meglio, al caldo.
SIGNORA – (Entrando) Devo aver perso il senso del tempo. Non mi sono nemmeno
accorta che ormai stava facendo buio. Che sciocca. (Poi, direttamente alla
Locandiera, avvicinandosi di qualche passo) Ma, vede, quella sirena… Sì, dico,
quel suono così… carico di nostalgia, e disperato, sempre uguale, come un
lamento per un dolore senza nessuna possibile consolazione… quel suono… quel
grido… e le onde che si schiantano per spegnersi poi con un sospiro così lieve…
una dopo l’altra… senza fine… (Poi, ad Andrea, che l’ha seguita a breve
distanza, sforzandosi di apparire allegra) Fortuna che questo giovanotto è
venuto a… beh, diciamo pure a ripescarmi. Non fosse stato per lui… Non so
proprio come poterti… ringraziare. Neanche immagini cosa abbia significato per
me la tua… presenza.
ANDREA – (Alla Signora, leggermente imbarazzato) Non ho fatto niente. Non ci
pensi.
SIGNORA – (Dopo un attimo, con un sorriso forzato) Lo vorrei tanto, non sai
quanto lo desideri… Non pensare, non pensare più a niente, non sentire più
quelle onde che si infrangono… ma non posso, capisci? Anche adesso, quel
rumore, e il freddo…
MARIA – (Si avvicina, intervenendo) Gliel’avevo detto, Signora, che non era la
sera, questa, per uscire. (Poi, ad Andrea) Ma cosa…?
ANDREA – Niente, sono andato al molo come mi aveva chiesto… (si guarda intorno,
alla ricerca della ragazza).
MARIA – Come ti aveva chiesto?
ANDREA – (A Maria, riprendendo il racconto, leggermente imbarazzato) No,
niente, … è che quella ragazza… insomma, sono andato al molo, quello vicino al
faro, quando mi sono accorto che sulla panchina lì vicino c’era qualcuno… e
poi…
SIGNORA – (Interrompendolo) Gli ho chiesto se conosceva questa locanda, e se
poteva riaccompagnarmi. Temevo di non ricordare la strada.
MARIA – (Le si avvicina) Venga, non resti lì, si sieda. Le preparo qualcosa…
(l’accompagna a sedersi al tavolo del Vecchio, poi torna verso il bancone). Un
caffè?
SIGNORA – Sì, grazie. Un caffè, sì. (Maria va al bancone).
ANDREA – Beh, allora io vado…
SIGNORA – (Preoccupata) Aspetta. Siedi un attimo. Ti sarai congelato anche tu,
là fuori.
ANDREA – Oh, io ci sono abituato.
SIGNORA – Fammi compagnia. Ancora un momento. Se non ti dispiace.
ANDREA – (Sempre più imbarazzato) No, si immagini… anzi. (Si toglie il cappotto
e si siede vicino alla Signora. Poi, alla Locandiera, scherzando) Maria, allora
portami … un doppio malto.
MARIA – Un latte caldo per il signorino. Pronto in un momento. (Prepara).
SIGNORA – (Ad Andrea) E’ sempre così, in questa stagione? Voglio dire, tutta
questa nebbia… ce l’avete spesso?
ANDREA – Abbastanza. Cioè, magari non così fitta, quello no, però viene su
abbastanza spesso…
SIGNORA – E’ incredibile come un fenomeno così… naturale, riesca a modificare
la realtà… a farne apparire i contorni sfumati, come in un sogno… e nello
stesso tempo a far risaltare certi dettagli, isolandoli dal loro contesto.
Particolari, magari insignificanti, che diventano ad un tratto così importanti…
(ad Andrea) Prendi la panchina, quella sulla quale ero seduta fino al tuo
arrivo, quella panchina, e il lampione lì vicino… Una panchina fra tante altre
panchine, un lampione fra tanti lampioni… eppure, mentre ero lì, ho avuto
l’impressione che non esistesse niente altro… che muoversi non avesse senso,
perché in tutto l’universo quello era l’unico luogo reale rimasto… quella
panchina, quel lampione, lo schianto delle onde e il grido della sirena. Niente
altro. (Silenzio).
MARIA – (Arrivando con un vassoio, alla Signora) Ecco il suo caffè. Bello
forte. (glielo mette davanti. Poi, ad Andrea) E il tuo latte. Anzi, il tuo
doppio malto.
SIGNORA – (Riscuotendosi) Grazie. Per la verità, non dovrei. Il fatto è che ne
bevo un po’ troppo, di caffè, lo so, ma cosa ci posso fare… (beve).
MARIA – (Leggermente a disagio) Mi scusi, Signora, ma lei è stata ancora ospite
qui alla locanda? Sono quasi sicura di averla già vista, ma non riesco a
ricordare… Magari mi sbaglio, sa, in tanti anni ne sono passati di clienti…
SIGNORA – No, non si sbaglia. Anzi, ha davvero una buona memoria. In effetti ci
sono già stata qui. Diversi anni fa. In estate. (Si alza e si avvia verso il
proscenio) Un’estate davvero splendida. Davvero splendida. E’ strano come certi
ricordi col tempo sbiadiscano ed altri invece restino sempre così… vividi.
(Voltandosi verso la Locandiera) Come il pesce che ho potuto gustare qui da
lei… Non ci crederà, ma non sono mai riuscita a trovare un altro posto dove
sapessero fare il pesce altrettanto bene. (Torna ad allontanarsi) Si, dei
ricordi davvero belli…
MARIA – (Avvicinandosi a lei di qualche passo) Certo, adesso mi viene in mente.
Saranno… quanti, quasi dieci anni ormai. Per tre stagioni di seguito, con la
sua famiglia. Anche di suo marito mi ricordo, sa? Una persona davvero molto
gentile. E suo figlio… un bambino così educato. Con i delinquenti che allevano
oggi. Sanno solo urlare, pretendere, sporcare e spaccare tutto. Ormai sarà un
giovanotto…
SIGNORA – (Rimanendo immobile, senza girarsi) Mio figlio… è morto.
MARIA – (Incredula, dopo un lungo istante, sedendosi al tavolo con Andrea) Oh,
Signore! Morto? Io non… non potevo… ma…
Le luci si abbassano. Rimangono solo puntate sul proscenio.
SIGNORA – Morto. Sì. Sono tre mesi proprio oggi. Un incidente stradale. C’è
niente di più… stupido? (Si avvicina al tavolo di qualche passo)Doveva
iscriversi al secondo anno di medicina… era uscito con gli amici… come tante
altre volte… solo che non è tornato. Una telefonata dall’ospedale, alle quattro
di mattina, e la vita prima ordinata, nel suo scorrere quotidiano, prevedibile
nelle sue certezze, ti si disintegra in mano…(Ancora si allontana) E poi, a
poco a poco, non subito, ti accorgi che non ne rimane più niente, se non
qualche frammento senza senso…
MARIA – (Si alza e le si avvicina di un passo) Mi dispiace. Davvero. Anch’io ho
una figlia. (Poi, durante il racconto della Signora, tornerà a sedersi).
SIGNORA – E’ come un veleno, il dolore, che agisce lentamente. All’inizio credi
di non potercela fare, pensi di morire, perché sarebbe giusto. Che significato
può avere ancora la vita se hai perso l’unica cosa importante, l’unica cosa che
dava un valore ai minuti, ai mesi, agli anni? Però la morte non viene. Vengono
i ricordi, tantissimi ricordi, vengono tutti insieme, i momenti belli, i
momenti tristi, e vorresti che potessero tornare quei momenti, anche soltanto
per un istante, e sai benissimo che non sarà possibile, ma non importa, se solo
potessero tornare. E vengono i rimorsi, ancora più terribili. Quante cose non
dette, non fatte, che avresti voluto dire e fare, e quante cosa dette che
avresti voluto tacere, e situazioni nelle quali pensi chissà, potevo
comportarmi diversamente. Forse allora... forse allora... E’ un veleno che ti
svuota, poco a poco, e tutto ciò che prima aveva un significato lo perde… e non
sai più cosa fare… dove andare… perché è il centro che manca, il centro. Così
finisci per cercarlo, il centro. Nelle persone vicine, negli impegni
quotidiani. Lo cerchi con metodo, e poi con disperazione, ma tutto il tuo
universo, persone, impegni, ti accorgi ruotava con te, e con te adesso è alla
deriva. Allora, non rimane che partire. Inseguendo i mille pezzi di uno
specchio andato in frantumi. Senza nessuna speranza che l’immagine possa
ricomporsi.
Lentamente le luci tornano ad alzarsi.
MARIA – Per questo è venuta qui. Per i ricordi.
SIGNORA – (Avvicinandosi decisa al tavolo) Già. E qui, il mio viaggio è
terminato. Non ho più motivo di proseguire.
MARIA – (Alzandosi, preoccupata) Non deve dire così… Insomma, io credo che
comunque… accidenti, non sono molto brava con le parole, ma quello che voglio
dire è…
SIGNORA – (Sorridendole) No. Non ha capito. Il mio viaggio è terminato perché,
incredibilmente, inaspettatamente, ho trovato quello che cercavo. Non credevo
fosse possibile, e invece… Adesso posso tornare a casa. (Si avvicina ancor più
ad Andrea. Gli appoggia una mano sulla spalla) Poco fa, al molo, tu mi hai
salvata. Dico davvero. Stavo lì, seduta, e sentivo la disperazione salire come
una marea alla quale nessun argine può opporsi, e le onde invisibili nella
nebbia mi chiamavano, invitandomi ad arrendermi alla loro promessa di pace.
Sapessi quanto, in quel momento, ho desiderato lasciarmi andare. Poi la tua
voce ha rotto l’incantesimo. Perché, mi sono chiesta, perché ancora freddo e
dolore, e quella sirena implacabile… e tu mi hai chiesto se tutto andava bene.
(Pausa) E’ strano, sono venuta qui inseguendo dei ricordi, e mi accorgo adesso
che quello che cercavo non è tra le ombre del passato, ma ancora vive. (Gli fa
una carezza sui capelli) Su quel molo, poco fa, ho ritrovato mio figlio.
Il pannello si illumina.
MARIA – (Tra sé, portandosi verso il proscenio) Ad un gabbiano affida il tuo
dolore. Io sono là, dove tu non sai. (Poi, alla Signora) Se viene di là con me,
vorrei mostrarle una cosa, qualcosa che non ho mai fatto vedere a nessuno… la
prego.
Maria esce, accompagnando con sé la Signora, verso la cucina. In scena rimane
solamente Andrea. Si abbassano le luci. Andrea rimane pensieroso accanto al
bancone.
SCENA X
Rientra Perla. Si dirige verso Andrea. Le luci si alzano. Il pannello si
spegne.
PERLA – Ho appena saputo che sei diventato un eroe. Se non era per te, quella
povera signora… La mamma mi ha raccontato tutto. Adesso è di là con lei. Credo
stiano facendo fatto amicizia.
ANDREA – Quando l’ho vista, sul molo, seduta su quella panchina, non so come
spiegarlo ma vedi, ho sentito … bah, lasciamo perdere. (Si alza).
PERLA – No, Continua. (Si siede).
ANDREA – La sua solitudine. Una solitudine così grande, così… profonda.
All’inizio non si è nemmeno accorta che io fossi lì. Stavo quasi per andarmene,
quando si è girata a guardarmi. E’ stato in quel preciso momento che ho capito
di non essere lì per caso, e mi sono avvicinato…
PERLA – Già. A proposito. Cos’eri andato a fare al molo?
ANDREA – A gettare in mare una conchiglia.
PERLA – (Meravigliata) Una conchiglia?
ANDREA – Sì. Una conchiglia. Me l’aveva data quella ragazza che è qui alla
locanda, non so neanche come si chiama, chiedendomi di andare a gettarla in
mare questa sera stessa. Una cosa molto importante. Assurdo no? Ma ancora più
assurdo, pensandoci, è che io le ho dato ascolto, e ci sono andato davvero, al
molo, e l’ho pure buttata quella conchiglia… un attimo prima di accorgermi che
non ero solo. Credi sia solo un caso? Io ne dubito. Se non fossi andato, forse
a quest’ora… chi lo sa. (Torna a sedersi).
PERLA – (Pensierosa) E’ uno strano tipo, quella ragazza. Dice di essere in
viaggio, ma non ha detto né da dove viene né dove è diretta. Sinceramente,
quando le parlo mi sento un po’ a disagio. Ti da come l’impressione di sapere
qualcosa che tu non sai ma che dovresti sapere… Comunque, domani parte. E
l’importante in fondo è che tutto sia finito bene, non credi?
ANDREA – (Incerto, dopo un momento) Sicuro…
PERLA – Lo dici come se non ne fossi convinto.
ANDREA – Scusami. Ero altrove con la testa. Pensavo a questo pomeriggio.
PERLA – A quello che è successo?
ANDREA – Sì, anche. Ma non solo. (Si alza e si porta verso il proscenio) Prima
di venire qui, oggi, sono andato in spiaggia, a fare un giro. Camminavo sulla
sabbia, senza riuscire a vedere niente oltre pochi metri, fantasticando più o
meno come al solito. Pensavo in particolare al messaggio, e a quale significato
poteva avere, quando mi ha colpito un’idea.
PERLA – (Scherzando, gli si avvicina) E… ti ha fatto male?
ANDREA – Cosa?
PERLA – L’idea, no? Hai detto che ti ha colpito.
ANDREA – Molto spiritosa.
PERLA – Va bene, scusami. Dai, avanti con questa idea.
Si abbassano le luci. Si accende il pannello.
ANDREA – Beh, a dirla qui adesso può sembrare una sciocchezza, però… Comunque,
forse più che un’idea potrei definirla una sensazione. Sì, la sensazione che
ogni passo che facciamo, lo facciamo camminando nel mistero, che è sempre lì, e
sarà sempre lì, appena oltre un velo sottile che ci impedisce di vedere, come
la nebbia che confonde il paesaggio. E noi andiamo avanti come ciechi, guidati
da qualcosa che non conosciamo.
Durante una pausa di silenzio, le musica sfuma, il pannello si spegne e le luci
tornano ad alzarsi.
PERLA – Mi dispiace ma non ti seguo. Non capisco quello che vuoi dire… Questa
sera sei troppo filosofico. Mi sa che il Vecchio ti ha contagiato.
ANDREA – (Dopo un attimo) Non importa. (Si alza) Comunque, credimi, parlane
questa sera, a tua madre, dell’Università. E’ la sera giusta. E’ la giornata
giusta. E adesso (prendendo il suo giaccone) devo proprio andare. A domani. E…
mi raccomando. (Si avvia verso l’uscita).
PERLA – (Lo accompagna fino alla porta) Ciao, Andrea. A domani.
Entra la Locandiera. Si dirige verso il suo puzzle e si siede.
MARIA – (Quasi a se stessa) E’ una donna molto forte. Non credi?
PERLA – Sì. Molto forte.
MARIA – Non credo che al suo posto sarei riuscita ad affrontare una… una cosa
del genere. Non credo.
PERLA – (Avvicinandosi) Mamma…
MARIA – (Si riscuote e le sorride) Sì?
PERLA – (Imbarazzata) Mamma, ti devo dire una cosa. E’… da tanto che te l’avrei
dovuta dire, ma non ho mai trovato… l’occasione. Adesso però credo sia arrivato
il momento.
MARIA – (Preoccupata, si alza in piedi) L’occasione? L’occasione per dirmi
cosa? Oh Dio aspetta… non sarai mica…
PERLA – Mamma! Ma che vai a pensare?
MARIA – Sei cresciuta, Perla. Così in fretta. Sei diventata una bella ragazza
e… e comunque, se non è questo, allora cosa…
PERLA – (Si allontana di qualche passo in direzione del proscenio, poi si gira
e, a sua madre, diretta) Voglio iscrivermi all’Università.
MARIA – (Rimane un lungo momento in silenzio, poi) All’Università.
PERLA – (Avvicinandosi a lei di un passo) Sì, alla facoltà di biologia marina.
Mi sono già informata e…
MARIA – Ti sei informata? Senza dirmi niente? Allora… hai già deciso. (Si
siede).
PERLA – No, mamma. Non ho deciso niente. E non deciderò niente, senza di te.
Però lo vorrei davvero tanto…Lo sai, per me il mare è sempre stato importante,
vorrei poterlo conoscere di più… studiarlo, e poi lavorare per difenderlo…
MARIA – E’ molto bello. Certo. Però dovrai andare lontano, lontano da me… dalla
locanda… lontano. Forse sono un’egoista, però speravo che tutto questo per te
significasse qualcosa. Mi sbagliavo, naturalmente. Mi sono sempre sbagliata.
Con tutti.
PERLA – (Le si avvicina ancora) Non devi dire questo. Non voglio farti
soffrire…
MARIA – E’ quello che stai facendo.
PERLA – (Di nuovo si allontana) Non capisci. So bene quello che hai dovuto
passare, in questi anni, per tirare avanti, per tenere in piedi tutto quanto, e
se adesso io posso permettermi di sognare… lo devo a te. Per questo ti prego di
non chiedermi di rinunciare al mio sogno.
MARIA – (Si alza e le si avvicina a sua volta) I sogni, Perla, è la vita che ce
li porta via…
PERLA – (Risoluta) No. Io credo che se qualcuno ti aiuta, se qualcuno ha
fiducia in te, i sogni possono diventare realtà. Tu… eri sola, mamma.
MARIA – Ero sola, certo. E se te ne vai, tornerò ad esserlo. Sarà stato tutto
inutile.
PERLA – Io posso rimanere. Se vuoi, io rimango. Ma a cosa servirà? Lui non
tornerà mamma. Passeranno ancora anni, come già ne sono passati tanti, ma lui
non tornerà. E tu lo sai. Da molto tempo.
MARIA – (Torna verso il tavolo, sconfitta) Se tu vai via, cosa mi resta?
PERLA – (La segue) L’Università non è poi così lontana. Potrei essere a casa
tutti i fine settimana… E poi ci sono le vacanze…
MARIA – (Le si avvicina, protettiva) In questi anni, ho sempre cercato di…
proteggerti. Un errore, anche piccolo, la distrazione di un momento, un
incontro sbagliato, possono costare caro. Come potrei vivere con la paura
costante che possa accaderti qualcosa? Come al figlio di quella povera signora.
PERLA – (Si porta verso il proscenio) Devi darmi fiducia, devi credere che io
ce la posso fare. Non potrai proteggermi sempre. Neanche adesso. Neanche così.
Credi che questa locanda sia un castello incantato dove nulla di male può
accadere, ma nascondersi non serve, e i castelli possono diventare …
prigioni.
MARIA – (Dopo un lungo momento, le si avvicina) Sono una stupida vecchia. Sei
davvero cresciuta, Perla. In fondo, lo sapevo che questo momento sarebbe
arrivato. Non sapevo quando. Speravo il più tardi possibile. Era sciocco
illudersi che tu ti potessi accontentare di una vita… così. No, non saranno i
miei fantasmi ad impedirti di andare.
PERLA – Oh mamma… (l’abbraccia), non te ne pentirai.
MARIA – (Tornando verso il suo tavolo) A proposito di aiuto, perché non provi a
darmi una mano con… questo? (Indica il puzzle) Non credo proprio che riuscirò
mai a finirlo, da sola. (Entrambe si siedono al tavolo).
SCENA XI
Entra Luisa, la nipote del Vecchio, e si dirige subito verso Maria e Perla,
ancora sedute.
MARIA – (Vedendola entrare, stupita) Luisa, cosa fai ancora in giro a
quest’ora? Eri stufa di ascoltare le storie di tuo nonno?
LUISA – (Preoccupata, guardandosi attorno) Ma… non è qui?
MARIA – Chi? Tuo nonno? No, veramente no. L’ultima volta che l’ho visto è stato
quando sei venuta a prenderlo.
LUISA – Era alla televisione, l’abbiamo lasciato in soggiorno da solo per…
dieci minuti e quando sono andata a chiamarlo perché era pronto in tavola beh…
non c’era più. Sparito.
MARIA – (Alzandosi in piedi) Come… sparito?
LUISA – L’abbiamo cercato per tutta la casa, e in giardino…non c’era. Da
nessuna parte. Deve essere uscito, perché mancava il suo cappotto, ma non ci
siamo accorti di niente.
PERLA – E’ uscito così, senza dirvi niente?
MARIA – C’è stata qualche discussione? Magari qualcosa gli ha dato fastidio…
LUISA – No. Nessuna discussione. Assolutamente. Era perfettamente tranquillo e
poi, lo sapete, è difficile che mio nonno si arrabbi. E’ uscito così, senza
dire niente a nessuno. Ho pensato che magari si era dimenticato qualcosa qui
alla locanda, e ho detto ai miei genitori che venivo a vedere… Ma se non è
nemmeno qui… Non… non so proprio…
MARIA – Adesso ti siedi un momento, fai un bel respiro, e mi racconti con
calma. (La fa sedere) Hai detto che l’avete lasciato da solo in soggiorno. Con
chi era? Prima di rimanere da solo, voglio dire…
LUISA – Era con me. Mi stava raccontando una storia, glielo avevo chiesto io e
poi…
PERLA – E poi?
LUISA – Si è… perso, ecco. Come se la storia che mi stava raccontando gli
avesse fatto venire in mente qualcosa… Per un bel pezzo è rimasto in silenzio e
dopo, visto che insistevo, ha finito il suo racconto, ma si vedeva che stava
pensando ad altro.
PERLA – E non ha aggiunto niente? Non ha detto niente che potesse aiutarti a
capire a cosa stava pensando? Niente di… non so… particolare?
MARIA – Per la verità, tutto quello che dice di solito è abbastanza…
particolare.
LUISA – No. (Si alza e si avvia verso il proscenio) Terminato il racconto non
ha aggiunto niente, a parte qualcosa tipo “eppure sono sicuro…”. Poi è tornato
in silenzio, di nuovo assorto in qualche suo pensiero. Così ho deciso di
lasciarlo da solo per un po’… non avrei mai immaginato… (Girandosi) E adesso,
dove vado a cercarlo?
PERLA – (Le si avvicina) Dai Luisa, non ti preoccupare, vedrai che non gli è
successo niente. Lo sai, tuo nonno è… speciale.
MARIA – (Andando anche lei in proscenio) Chiamalo speciale! E’ un vecchio
irresponsabile. Far preoccupare così la sua nipotina, per non parlare dei suoi
genitori. Chissà cosa gli è passato per la testa! Comunque, Luisa, Perla ha
ragione. Sono sicura che non gli è successo niente e che presto farà ritorno a
casa. Anzi, magari, mentre tu venivi qui, lui è già tornato…
LUISA – Spero che sia vero. (Si avvia verso l’uscita).
MARIA – (Seguendola di un passo) Quando sei a casa telefona, per farci sapere,
d’accordo?
LUISA – (Si arresta un attimo e si volta) D’accordo. (Esce).
MARIA – (Tornando verso Perla, ferma al centro del proscenio) C’era da
aspettarselo, prima o poi, un tiro del genere, dal Vecchio. Povera bambina, è
così affezionata a suo nonno.
PERLA – Mamma, siamo tutti affezionati al Vecchio. Anche tu.
MARIA – Chi lo sa. Spero solo non gli sia partito quel po’ di cervello che gli
era rimasto.
Entra Stefania.
MARIA – (Vedendola avvicinarsi) Tutto in ordine? Nessun problema?
STEFANIA – No, no. Cioè, insomma. Quasi.
MARIA – Quasi?
STEFANIA – Veramente, stavo guardando un po’ di televisione su in camera, c’era
il mio programma preferito…
MARIA – No! Il televisore no!
STEFANIA – Non si preoccupi, non si è mica rotto. Ci mancherebbe.
MARIA – (Sollevata) Meno male! Ma allora… cosa è successo? Perché naturalmente
qualcosa DEVE essere successo.
STEFANIA – Per la verità, sì. Sono saltati i canali. Tutti. Non si vede più
niente. Però deve essere per colpa della nebbia… almeno, credo.
MARIA – (Rassegnata) La nebbia, sì. Certo. Non ci avevo pensato. La nebbia.
Speriamo.
Perla, ridendo, esce verso la cucina. Maria si porta dietro il bancone, seguita
da Stefania.
STEFANIA – Senta, pensavo una cosa. Lei è stata così gentile, con me, che io mi
sento davvero in obbligo. E allora mi chiedevo, in un albergo ci sono tante
cose da fare, tipo lavare i piatti eccetera, e se certo non potrò comunque mai
sdebitarmi, se crede sarei davvero felice di poter dare una mano, ecco.
MARIA – (Affrettandosi) Per carità… (Poi, imbarazzata) insomma, non ti
preoccupare. Nessun… debito. E poi, siamo così in pochi, che di lavoro non c’è
n’è davvero molto. Comunque, grazie dell’offerta.
STEFANIA – (Avvilita, si va a sedere al tavolo del Vecchio) Ho capito. Ha paura
che combini qualche altro disastro. Beh, ha ragione. Sono brava solo in quello.
E’ una mia specialità. Dovrei farmi vedere. Il guaio è che non so da chi.
MARIA – (Incoraggiante) Dai. Non dire così. Vedrai che è solo un periodo. Può
capitare a tutti…
STEFANIA – No. Per me è sempre stato così. Fin da piccola. Si figuri che una
volta, avrò avuto cinque o sei anni… (viene interrotta dall’entrata di Giulia).
MARIA – (Appena la vede, andandole incontro) Giulia! Allora, hai saputo
qualcosa? Dai, vieni, non stare lì in piedi
GIULIA – (Riscuotendosi, si avvicina soltanto di un passo) No. Non… non posso.
Devo andare. Li stanno portando in ospedale.
MARIA – (Preoccupata, restando ferma) O Signore! In ospedale? Chi?
GIULIA – (Si avvicina ancora, e crolla sulla prima sedia che trova)Un incendio.
Nella sala macchine. Sembra per colpa di un corto circuito, ma nessuno ancora
ha capito bene. E’ scoppiato così, all’improvviso. Neanche il tempo di accorgersene
che già le fiamme erano dappertutto. Hanno cercato di spegnerlo ma…
MARIA – Ma?
GIULIA – Ma senza riuscirci. Hanno lanciato l’allarme, e i mezzi di soccorso
sono arrivati in fretta, per fortuna. Però intanto Federico e altri due marinai
sono rimasti intossicati dal fumo. Li hanno sbarcati dieci minuti fa… e adesso
li stanno portando all’ospedale.
MARIA – Come stanno? Erano svenuti?
GIULIA – No… no. Non sembra sia niente di grave. E’ solo per qualche controllo.
Però se penso a quello che poteva succedere…
STEFANIA – (Interviene) Non devi. Non si deve mai pensare a quello che sarebbe
potuto accadere, o a quello che potrebbe accadere… no. Mai. Le cose succedono,
non puoi farci niente, però noi siamo… più forti, ecco. A questo bisogna
aggrapparsi, a questa convinzione, come naufraghi ad un salvagente.
GIULIA - (La guarda, per un lungo momento, poi) Adesso devo andare.
Stefania esce. Giulia si alza avviandosi alla porta.
GIULIA – (A Maria) Avevi ragione, sai… a proposito di Federico e di tutto il resto…
(esce).
MARIA – (Guardandola uscire) Al cuore non si mente… (Poi, riscuotendosi, tra
sè) Bene. Non fosse per quello stupido Vecchio che non si sa in quale guaio sia
andato a cacciarsi, direi quasi che sono contenta…
In quel momento entra il Vecchio.
VECCHIO – (Entrando) Si fa presto, a dire vecchio. Certo, non sono più giovane,
questo no, ma credo di averne ancora parecchi, di numeri, da giocare.
MARIA – (Esasperata e sollevata allo stesso tempo) Numeri da giocare? Santo
Cielo, tu i numeri li dai, Vecchio, altro che giocarli! Si può sapere dove ti
eri cacciato? A casa ti stanno cercando, e dieci minuti fa è venuta Luisa,
sperando tu fossi qui.
VECCHIO – (Si ferma al centro del proscenio. Portandosi una mano alla fronte)
Caspita! Sono andato via senza ricordarmi di avvertire! (Poi, a Maria) Lo so,
Maria, quello che stai pensando, e ti prego di non dirlo. Anzi, fammi un
favore, fai una telefonata a casa per avvertire che sono ancora vivo. Io mi
siedo un attimo. Ho bisogno di riprendere fiato.
Maria esce borbottando.
SCENA XII
.
Il Vecchio si siede e da una tasca del cappotto estrae la sua pipa. Si mette a
pulirla. Dopo pochi istanti entra la Ragazza. Si guarda intorno, poi si siede
al tavolo con il puzzle. Si abbassano le luci. Rimangono illuminati i due
tavoli ed il proscenio.
VECCHIO – (Vedendo la Ragazza entrare, depone sul tavolo la pipa e si mette ad
osservarla attentamente. Poi) Ti stavo aspettando.
RAGAZZA – (Lo osserva, sorpresa) Aspettava… me?
VECCHIO – Sì. Anche se non riesco davvero a capire come sia possibile…
RAGAZZA – Mi scusi, ma per la verità sono io che non capisco…
VECCHIO – Non capisci?
RAGAZZA – (Sorridendo) No.
VECCHIO – Eppure eri tu. Non mi sbaglio.
RAGAZZA – (Sempre più meravigliata) Ero io… cosa?
VECCHIO – (Si alza e le si avvicina) Eri tu, su quella nave. Sono passati ormai
più di cinquant’anni e mi sembra ieri. Ancora sento l’urlo della tempesta, di
quella tempesta, e poi… la tua voce.
RAGAZZA – (Divertita) Senta, se volesse spiegarsi…
VECCHIO – Questo è il punto. Non so proprio come spiegarmelo. (Si dirige verso
il proscenio) E’ la cosa più incredibile… (Voltandosi verso di lei) Ma davvero
tu non sai di cosa parlo?
RAGAZZA – No. Glielo assicuro. Se non sbaglio poi lei sta parlando di qualcosa
accaduto cinquant’anni fa… Come farei a…
VECCHIO – Cinquantatré, per l’esattezza. Cinquantatré anni fa. Sono andato a
controllare. Non capisco come ho fatto a dimenticarmene. Una cosa del genere!
Forse sto davvero invecchiando.
RAGAZZA – (Comprensiva, si alza e gli si avvicina di un passo) Sicuramente mi
sta confondendo con qualcun altro… Può succedere… i ricordi a volte si perdono
nei sogni.
VECCHIO – (Convinto) Appena sei entrata, oggi, appena ti ho vista, subito ho
avuto la sensazione, no, la certezza, di averti già incontrata. Ma non riuscivo
a farmi venire in mente dove, e soprattutto… quando. Poi, a casa, ho cominciato
a ricordare. E mi sono ricordato di alcuni diari, scritti da me tanti anni fa e
poi dimenticati, anche loro, sopra uno scaffale nel mio capanno degli attrezzi.
Sono andato subito a cercarli. E li ho trovati.
RAGAZZA – Dei diari? (Si avvicina ancora, interessata).
VECCHIO – Mi piaceva scrivere, quando ero giovane e andavo per mare. Note di
viaggio, appunti, racconti… Mi piaceva scrivere. Tanto tempo fa. Quanta
polvere. Ne ho preso in mano uno, sfogliandolo a caso, e poi un altro. Finché
non ho trovato…
RAGAZZA – Finché non ha trovato?
VECCHIO – (Ricordando) Ero in viaggio sull’Atlantico, a quell’epoca. Marinaio
semplice su di una nave che trasportava merci e qualche emigrante. Avanti e
indietro. Tempeste ne avevamo incontrate, anche brutte, ma niente a confronto
di quella volta… (Poi, diretto) Hai mai letto “Tifone” di Conrad?
RAGAZZA – No. Veramente no.
VACCHIO – La cosa buffa è che lo stavo proprio leggendo quando sei entrata tu…
Comunque è un racconto dove viene descritta una spaventosa tempesta, un tifone,
appunto. Lo scatenarsi devastante di una forza immensa e la disperata lotta di
un uomo e della sua nave.
RAGAZZA – Riescono a salvarsi? (Durante il successivo racconto, va a sedersi al
tavolo del Vecchio).
Si accende il pannello. Parte la musica (“Fields of Coral” di Vangelis).
VECCHIO – Sì. Riescono a salvarsi. Così come riuscimmo a salvarci noi, quella
volta. Fu una tempesta davvero terribile. Nonostante gli strumenti, ci eravamo
finiti dritti in mezzo. Venimmo spazzati per ore. Mentre cercavamo di governare
la nave, alcuni dei passeggeri vennero presi dal panico. In certe situazioni,
la paura è contagiosa. Col passare delle ore la furia del mare invece che
placarsi, aumentava. Onde immense, e vento, e dal cielo un diluvio. Anch’io,
come molti miei compagni, cominciai a disperare. Poi venne la calma. Eravamo
nell’occhio del ciclone. Presto tutto sarebbe ricominciato, e per noi poteva
significare la fine. Sentivo dei singhiozzi soffocati, e sforzi di vomito, e
preghiere sommesse. Erano i passeggeri che uscivano dalle loro cabine come si
esce da un campo di battaglia. Frastornati e increduli. Uscii sul ponte di
coperta. Volevo vedere con i miei occhi, magari per l’ultima volta, il mare e
il cielo. Mi avvicinai al parapetto. Fu lì che accadde.
RAGAZZA – (Interessata e affascinata dal racconto) Accade cosa?
VECCHIO – Che ti incontrai. Stavo lì, a guardare l’oceano in quell’istante di
tregua, ipnotizzato dalla danza delle onde, rapito da quei colori infiniti e
mutevoli, quando un movimento dell’aria attrasse la mia attenzione e vidi
stagliarsi, a pochi metri dalla nave, nitida contro il cielo scuro, la sagoma
di un albatross, di un candore abbagliante ed irreale, le grandi ali spiegate
ed immobili. Restai ad osservarlo, affascinato, per alcuni istanti, finché una
mano si posò delicatamente sulla mia spalla. Mi girai… e tu eri lì, davanti a
me. Come adesso. “E’ qui per noi – mi hai detto allora, indicando l’albatross –
Ci guiderà in salvo.” Poi mi hai sorriso e ti sei allontanata. Dopo pochi
minuti la nave è rientrata nell’uragano, e prima di tornare sotto coperta feci
appena in tempo a vedere quella grande sagoma bianca portarsi, con un leggero,
quasi impercettibile movimento delle ali, a prua, e puntare dritto verso
l’oscurità urlante che stava per inghiottirci. L’uragano durò ancora a lungo,
ma per tutto il tempo io non ebbi più paura. Sapevo che l’albatross era là, e
ci guidava. (Lunga pausa) Nei giorni successivi ho cercato quella ragazza, ma
sono riuscito a vederla solo la mattina dello sbarco. Credo fosse con una
famiglia di emigranti. Non l’ho mai più incontrata. Fino ad oggi.
La musica sfuma.
RAGAZZA – (Alzandosi) E quella ragazza sarei io?
VECCHIO – Ne sono sicuro.
RAGAZZA – (Si avvicina) Ma… come sarebbe possibile? Non sarei allora
invecchiata? In tutti questi anni? Non può essere più semplicemente che quella
ragazza mi assomigliasse soltanto, magari molto, perché no?
VECCHIO – (Testardo) No. No, eri tu. (Poi, più dubbioso) Non lo so… eppure…
(Sconfortata, si porta al suo tavolo e si siede, scuotendo la testa).
Riprende la musica (“Albatross” di Medwin Goodall).
RAGAZZA – (Comprensiva, portandosi al centro del proscenio) Non ha importanza.
Chi lo sa? Magari c’ero davvero su quella nave. In fondo, che differenza fa?
Io, o un’altra, oggi, ieri, o cinquant’anni fa, o mille anni fa, qui,
nell’oceano Atlantico o in qualunque altro posto. E’ sempre lo stesso. Ci sono
uomini, e donne, e bambini, che affrontano il dolore, che affrontano gli
infiniti uragani della vita, che devono lottare contro le onde e i venti delle
difficoltà, della paura, dello sconforto, della disperazione. Lottare per
sopravvivere, per non naufragare, per non venire inghiottiti e scomparire. E
quello di cui hanno bisogno, un assoluto bisogno, è di non sentirsi soli in
questa lotta, soli nell’ostinato tentativo di raggiungere, un passo dopo
l’altro, un possibile domani. Nonostante tutto. non sentirsi soli, poter
condividere il dolore e la speranza, affidandosi magari alle forti ali di un
albatross o di un gabbiano, messaggeri di un mare non più ostile ed ignoto, ma
capace di ascoltare le invocazioni taciute. L’immenso mare, che ci portiamo
dentro.
La musica di fondo sfuma e si arresta.
VECCHIO – (Si alza e si avvicina alla ragazza, ancora al centro del proscenio)
La mia è stata una vita lunga. Ne ho navigato, di mari. E molte volte al mare
ho affidato i miei pensieri, le mie speranze, a volte la mia rabbia, o il
dolore, convinto, sempre, che avesse orecchie per ascoltare,, mani per
accogliere e labbra, per sussurrare una risposta. Ora so che non mi sbagliavo.
E' stato bello poterti ritrovare, ragazza.
RAGAZZA – Chissà, magari ci incontreremo ancora.
VECCHIO – Quando dovrò imbarcarmi per l’ultimo viaggio.
Le luci si abbassano. Rimane acceso solo il pannello. Parte la musica finale
(“Howling Thunder” di Kitaro).
RAGAZZA – (Avanzando verso il pubblico) Segui l’onda / Incontra il vento. /
Segui il vento, / Incontra la tempesta. / E nella tempesta / L’Infinito. / Ad
un gabbiano / Affida il tuo dolore, / Le paure, la speranza. / Oltre
l’orizzonte, / Io sono là / Dove tu non sai.
Si spegne il pannello. Si riaccendono tutte le luci.