Come si rapina una banca

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COME SI RAPINA UNA BANCA

Commedia in tre atti

di SAMY FAYAD

                                   

PERSONAGGI

AGOSTINO CAPECE

REGINA

DON GASPARE

TONINO

GIULIANA

LA VEDOVA ALTAVILLA

IL DIRETTORE DELLA BANCA

UNA VOCE (Mastellone)

DUE IMPIEGATI(Non parlano)

A Napoli, oggi. Il I atto in una baracca non ancora raggiunta dal boom edilizio, nelle vicinanze del cimitero. Il II ed il III atto in un'agenzia bancaria.

Commedia formattata da

La commedia è ambientata a Napoli e napoletani ne sono i personaggi; essa, pertanto, è scritta in quella particolare lingua con cui da noi usa esprimersi il ceto medio: la lingua "nazionale"(= comprensibile) che si avvale tuttavia di un'articolazione sintattica vernacola e a volte fa ri­corso al dialetto per attingervi parole irreperibili nell'italiano; o, essendovene delle corrispondenti nella lingua nazionale, le preferisce a queste per il potere che hanno di conferire al discorso maggiore espressività e immediatezza.

ATTO PRIMO

Interno di una baracca, nelle vicinanze del cimi­tero. Sul fondo c'è una grande finestra senza vetri - dalla quale si scorge una campagna                                                  - e, accanto ad essa, la porta d'ingresso. L'arredamento consi­ste in un tavolo                                                                  - (sul quale si trovano un giornale e una bottiglia con una stearica infilata nel collo), una sedia, una poltrona priva di imbottitura e sostenuta da tre soli piedi, due reti metalliche con parvenze di materassi. Vicino alla finestra è collo­cata una di quelle fornacelle cadute in disuso per­fino nelle case più umili di Napoli. Le prime ore d'un pomeriggio d'ottobre. Agostino Capece, sui cinquant'anni, è intento ad affiggere un cartello sulla faccia esterna della porta. Vi è scritto a grossi caratteri SI CHIUDE DA SE'. Un secondo cartello, con la stessa scritta, appare anche sulla faccia interna. L'uomo riprova più volte il movimento con un festoso fischiet­to di soddisfazione. Quindi prende il giornale dal tavolo e si butta pesantemente a sedere sulla poltrona; la quale, priva com'è del quarto piede, catapulta a terra Agostino Capece. Questi si rialza imprecando tra i denti, infila la cassetta degli attrezzi al posto del piede mancante e, ottenuta in tal modo una soddisfacente stabilità, si siede predisponendosi a leggere. Ma l'avvicinarsi di qual­cuno che egli scorge dalla finestra lo mette in agi­tazione. Egli solleva il giornale dinanzi agli occhi e vi sbircia al di sopra in direzione della porta. Questa si apre, spinta da un piede. Entra Regina, una donna sui quarantacinque anni, sorreggendo un bottiglione pieno d'acqua e delle fascine. Una volta dentro, la donna chiude la porta spingen­dola con un piede. Agostino abbassa il giornale con un gesto di stizza e resta a osservare la mo­glie, che depone il carico sul tavolo.

Agostino                          - Chi lo sa se prima dì morire, di qua a cent'anni, avrò una soddisfazione dalla famiglia... (Regina lo guarda senza capire) Il cartello, l'hai letto?

Regina                             - Quale cartello?

Agostino                          - Sulla porta. E' scritto in stampatello.

Regina                             - (leggendo) « Si chiude da sé ». Mbe'?

Agostino                          - Se si chiude da sé, che spingi a fare col piede?

Regina                             - Agosti, prima di chiudere debbo aprire. E siccome le braccia le ho impedite, spingo con i piedi. Il cartello non dice « Si apre da sé »!

Agostino                          - (sarcastico) Regina, domani ti faccio trovare la cellula fotoelettrica. (Riaprendo furiosa­mente il giornale) Niente. Una soddisfazione. Una!

Regina                             - (con falsa pazienza) Che soddisfazione ti debbo dare, oggi?

Agostino                          - (stizzito) Io ho costruito un marchin­gegno per far chiudere la porta e tu mi devi fare il piacere di non spingere col piede. (Sillabando) Si chiude da sé. (Con un sospiro di rassegnazione, Regina apre la porta, esce, rientra e toglie osten­tatamente la mano dalla maniglia. La porta si chiude).

Regina                             - (caricaturale) Ah, che bella chiusura! (Pausa) Te l'ho data, la soddisfazione?

Agostino                          - No. « Ah, che bella chiusura! » lo devi dire senza sfottere.

Regina                             - (riempiendo la fornacella di fascine) Ago­stino, uomo felice! Abbiamo fatto questa fine e tu pensi ai marchingegni per chiudere le porte.

Agostino                          - Perché, non è una bella comodità?

Regina                             - (esasperata) Agosti, dal momento che lo devi a te stesso, pensa a fare il pezzente!

Agostino                          - E' scritto: i pezzenti, anche potendo, si debbono privare di qualche comodità. Agosti, vivi rassegnato. Amen. (Riprende la lettura del giornale. Regina, intanto, ha versato dell'acqua in una pentola ed ha acceso il fuoco, soffiandovi con una ventola) Che si mangia?

Regina                             - Perché, oggi si mangia?

Agostino                          - Hai messo la pentola sul fuoco...

Regina                             - E' un'abitudine meccanica, Agosti. A quest'ora; nelle case, si mette l'acqua a bollire.

Agostino                          - Ogni giorno?

Regina                             - Ogni giorno, sissignore. Una volta lo facevamo pure noi.

Agostino                          - (pensieroso) Alla stessa ora?

Regina                             - Alla stessa ora.

Agostino                          - (dopo una lunga pausa meditativa) Gesù, com'è puntuale il tempo! (Con altro tono) Quindi non è sicuro che si mangia...

Regina                             - Dipende da quello che ha trovato Tonino.

Agostino                          - Dipende da Tonino? (Con cupo pessi­mismo) Ho capito, va'! (Si alza, stringe di un buco la cinghia dei calzoni) Regina, in Tonino, ci deve stare qualche difetto di costruzione. Uno dice: Tonino, bello di papà, esci, va', guadagnati la giornata per sfamare la famiglia... Quello esce, va, e si ritira con un barattolo di farina lattea.

Regina                             - (alimentando il fuoco) Ieri il cantiere era al completo e non l'hanno preso. Così, se n'è andato alla Cassa Mutua, si è inventato un sin­tomo e ha rimediato un campione di farina lattea. Quello gli hanno dato e quello ha portato.

Agostino                          - Eh, già: oggi s'inventa un altro sin­tomo, gli mettono in mano un boccettino e noi pranziamo con l'intramuscolare di penicillina! Regina, dimmi la verità: di chi è figlio Tonino? (Prevenendola) Non ti pigliare collera, bella mia, ma tra un figlio come Tonino e un paio di corna di vent'anni fa, preferisco le corna. (Prevenendola ancora) La carne è debole. Che ti debbo dire... Fosse figlio solo tuo, lo capirei. Ma non puoi averlo fatto senza collaborazione. Quello, nelle vene, non porta sangue mio.

Regina                             - (acre) Hai ragione. Il sangue tuo lo porta Giuliana. Quella sì che è una Capece. (Agostino, toccato, riprende a leggere il giornale) Dov'è? Che fa tutta la giornata fuori casa? Sai che ti dico? Non contenta di quello che ha saputo combinare, quella sgrava in mezzo alla strada.

Agostino                          - (sempre coperto dal giornale) Non sgrava. C'è tempo.

Regina                             - Sgrava in mezzo alla strada. (Violenta) Dove va? Che spera?

Agostino                          - Regina, lo sai meglio di me. Giuliana sta in trattative con il seduttore.

Regina                             - In trattative. E tu te ne stai qua a fare i marchingegni per le porte!

Agostino                          - Che dovrei fare? Avanti, parla.

Regina                             - Il padre! Abboffarle la faccia di pacchere, farti dire il nome di quel disgraziato e andare a chiedere riparazioni!

Agostino                          - Regina, tu della vita hai un concetto da copertina della « Domenica del Corriere ». I tem­pi sono cambiati, bella mia. Il mondo non si divide più in padri e in figli, ma in maggiorenni e mino­renni. Giuliana è maggiorenne e sta in trattative con il seduttore. Regina, questa è la realtà. Noi aspettiamo l'esito. Li leggi i giornali? La vita è aspettativa: la guerra, la pace, la circonvallazione, il Napoli in serie A, il quinto figlio di Elisabetta, il razzo per la luna. Noi aspettiamo.

Regina                             - Lascia stare i figli di Elisabetta e il razzo per la luna. Qua ci sta una figlia incinta.

Agostino                          - Ho capito, va'. Debbo uscire col rasoio in mano, debbo andare porta a porta per le strade domandando: scusate, sapete chi è quel tale che ha messo incinta la figlia di Agostino Capece?

Regina                             - (sarcastica) No, no, per carità! Aspet­tiamo l'esito delle trattative. Lo stiamo aspettando da sette mesi, che fa se ne aspettiamo altri sette? E se non bastano, aspettiamo che nasce il creature ce lo cresciamo, lo mandiamo a fare il servizio militare e poi le trattative gliele facciamo fare a lui con la baionetta inastata. Agosti, io qua sto: in aspettativa. Tonino non si sistema?...

 

Agostino                          - Pure se è fesso si sistema: ci sta il boom edilizio.

Regina                             - Giuliana non conclude le trattative?...

Agostino                          - Le conclude. Quella sta facendo la guerra dei nervi: sette mesi seduta nell'antica­mera. Prima o poi la riceve.

Regina                             - E tu continua con i marchingegni. Per me va bene. Farina lattea? Farina lattea. Scarole? Scarole. Niente? Acqua calda.

Agostino                          - (soddisfatto) Oh, finalmente un discor­so realistico. (Riprende a leggere il giornale).

Regina                             - (burbera) Che dice il giornale?

Agostino                          - Che avremo un brutto inverno.

Regina                             - Ma come, da un mese dice sempre la stessa cosa?

Agostino                          - No, è il giornale che è sempre lo stes­so da un mese.

Regina                             - E tu da un mese ti leggi lo stesso gior­nale?

Agostino                          - Regina, io debbo verificare. Con la scusa che la vita di un giornale dura ventiquattro ore, qua ognuno si arroga il diritto di scrivere quello che gli pare: tanto, quello che è detto oggi non vale domani. Eh, no, io debbo verificare. I fatti certi, stringi, stringi, sono due: che i figli delle principesse e delle attrici nascono dopo nove mesi e che a Natale ci stanno i pacchi dono per i pezzenti. In quanto al resto, tutto da verificare. Inverno brutto? Io ve-ri-fi-co... (Dalla tenda costi­tuita dai manifesti pubblicitari esce Don Gaspare, di settantacinque anni, con le brache in mano).

Gaspare                           - Agosti, sento brividi di freddo.

Agostino                          - Effettivamente, papà, incomincia a rinfrescare.

Gaspare                           - E allora, figlio mio, non mi devi sfilare la panciera mentre recupero le forze con un po' di sonno.

Agostino                          - Papà, ci sta un patto: la sera è pan­ciera, di giorno è giornale e me lo leggo.

Gaspare                           - Bello mio, ai tempi del patto era il mese di agosto. Mo stiamo a ottobre e hai riconosciuto che incomincia a rinfrescare.

Agostino                          - E va bene; adottiamo l'orario autun­nale. (Gli dà il giornale).

Gaspare                           - (sistemandosi il giornale sul ventre) Un'altra cosa: non trovo le mie bretelle.

Agostino                          - Me ne sono servito io.

Gaspare                           - Ma sulle bretelle non c'è nessun patto. Quelle sono mie, ereditate dal commendatore Zacconi.

Agostino                          - Papà, dovete strabiliare. (Si alza, fa azionare la porta).

Gaspare                           - (ammirato) Quant'è bello! Bravo, bra­vo! (Lo bacia) Quando l'hai fatto?

Agostino                          - Mentre dormivate.

Gaspare                           - Bello, bravo. E' una bella comodità. (A Regina) E' vero che è una bella comodità?

Regina                             - Ah, che bella comodità!

Gaspare                           - Che stavo dicendo? Ah, sì: le bretelle?

Agostino                          - (per ingraziarselo, indicando la porta) Si chiude da sé... Papà, la bella comodità è tutta merito delle vostre bretelle. (Don Gaspare leva gli occhi sul congegno).

Gaspare                           - Ma come... le bretelle di Zacconi?...

Agostino                          - (c.s.) Si chiude da sé...

Gaspare                           - Figlio mio, quelle sono bretelle da mu­seo. Rinunciamo alla bella comodità, rinunciamo.

Agostino                          - Voi dite: smonta il marchingegno. E che ne ricavate? Tutt'al più due paia di giarret­tiere. Le bretelle ormai sono tagliate. (Don Gaspare siede affranto sulla sedia).

Gaspare                           - E come faccio?

Agostino                          - Rimediamo con uno spago.

Gaspare                           - Agosti, tu mi dovevi interpellare. La comodità è bella, sì, ma io già non mangio, già mi piglio freddo alla pancia... Se mi togli pure quel po' di soddisfazione morale delle bretelle celebri... Tu mi dovevi interpellare, figlio mio.

Agostino                          - Papà, parlo all'artista. Quando l'ispi­razione viene, urge. Da artista ad artista. Per quarant'anni voi ed io abbiamo montato i meglio marchingegni in mezz'Italia. Ne abbiamo fatti cadere di teatri!

Gaspare                           - (minimizzando) Cadere... cadere...

Agostino                          - Perché, il teatro di Palmi Calabro non se n'è caduto?

Regina                             - E noi appresso per pagare i debiti.

Gaspare                           - Agosti, il teatro di Palmi se n'è caduto perché quella è zona terremotata. Io però ti avevo avvertito: non è cosa mettere in scena « L'assedio di Gaeta »; quello, il teatro se ne cade alla prima cannonata...

Agostino                          - Però, papà, da artisti, diciamo la ve­rità. Che assedio! Dite, dite.

Gaspare                           - Io dico solamente che senza bretelle sono un infelice. (Si alza, scompare dietro la tenda. Si riaffaccia, piagnucolando) Ci stavano pure la dedica e la firma del commendatore Zacconi. (Con lo stesso tono) Quando si mangia?

Regina                             - Aspettiamo Tonino.

Gaspare                           - (c.s.) Deve provvedere Tonino? Ho ca­pito, va', mi vado a fare un altro po' di sonno. Se è farina lattea non mi svegliate. E vedi di far arrivare la famosa lettera, Agosti, vedi di farla arrivare.

Agostino                          - Domani la vedete arrivare.

Gaspare                           - (piagnucolando) Passa l'angelo e dice amen. (Via dietro la tenda).

Regina                             - Sono sei mesi che stiamo vedendo ar­rivare « domani » 'sta famosa lettera...

Agostino                          - Regina, un finanziamento non si con­cede da un giorno all'altro. Il consiglio d'ammini­strazione della banca starà aspettando il rapporto dei tecnici.

Regina                             - E tu spiegami i tecnici come fanno a presentare il rapporto se l'invenzione non esiste.

Agostino                          - Una cosa è l'invenzione e una cosa è il prototipo. Il prototipo, sissignore, non esiste; tu passami i soldi per comperare un clarinetto, un pedale, una bombola d'aria compressa, il tubo e il boccaglio e io ti costruisco il prototipo. Ma « l'in­venzione » che è quello che conta, è tutta qui. (Si batte sulla fronte) Regina, io rivoluziono il mondo musicale: l'asma bronchiale e l'enfisema polmo­nare non saranno più un impedimento... (La porta si apre ed entra Tonino, piccolo con occhiali, ba­sco in testa e sorriso inespressivo).

Tonino                             - (alludendo alla porta) Gesù, Gesù, si chiude da sé. (Esce, rientra, assiste incantato al prodigio) Gesù, Gesù. Chi l'ha fatto?

Agostino                          - Secondo te chi?

Tonino                             - Chi?

Agostino                          - Chi può essere stato?

Tonino                             - Chi può essere stato?

Agostino                          - Toni, quand'è domani mattina, sai che facciamo tu ed io? Ce ne andiamo al Municipio.

Tonino                             - Mi avete trovato l'impiego?

Agostino                          - No, ti faccio cambiare cognome. Di­sconoscimento di paternità!

Regina                             - (a Tonino) Allora, sei stato al cantiere?

Tonino                             - Sissignore.

Regina                             - Ti hanno preso?

Tonino                             - Subito. Appena mi sono presentato. An­zi, non mi sono neanche presentato; stavo per strada quando uno mi vede e mi chiama: giovane, volete lavorare?

Regina                             - Ringraziamo Dio.

Tonino                             - Ringraziamo Dio. (Pausa) Però non mi hanno fatto lavorare.

Agostino                          - Ma come, ti hanno preso e non ti han­no fatto lavorare?

Tonino                             - Eh.

Agostino                          - Fammi capire, Tonino; ti hanno pi­gliato come mascotte del cantiere?

Tonino                             - No. Veramente il fatto è lungo.

Agostino                          - E raccontalo.

Tonino                             - Io sono entrato, mi seguite?, ho caricato il primo carretto e non ho fatto in tempo a muo­vermi che arriva un tale con i baffi.

Agostino                          - Con i baffi... Una guardia.

Tonino                             - No, le guardie sono arrivate dopo.

Agostino                          - E allora?

Tonino                             - Allora arriva quello con i baffi, guarda e fa: fermi, fermi, tutti a casa. Mi seguite? Allora ho pigliato e me ne sono venuto a casa. (Pausa lunga).

Agostino                          - Appresso.

Tonino                             - E' finito.

Agostino                          - Questo è il fatto lungo?

Tonino                             - E' lungo perché quelli stanno ancora di­scutendo e se non passano a dir poco sei mesi e non mollano la busta di sottomano, niente da fare.

Agostino                          - Toni, non ho capito niente, non mi hai fatto capire niente. I baffi. Chi era quello con i baffi?

Tonino                             - Uno del Genio Civile. Mo vi faccio fare una risata. Quelli stavano costruendo senza la li­cenza. (Pausa) Ve la siete fatta la risata?

Agostino                          - Non ho più dubbi. (A Regina) Ti per­dono. (A Tonino) Tu sei il frutto di una relazione extra-coniugale di tua madre!

Regina                             - Agostino!

Agostino                          - (gridando) Ma come, con il boom edilizio; in questa città dove cani e porci costruiscono pure sulle sabbie mobili, questo animale dove va a cercare lavoro? Nell'unico cantiere dove si costruisce senza licenza. Non te ne potevi trova­re un altro?

Tonino                             - Negli altri non mi prendono. Papà, come ve lo debbo dire? Gli occhiali e il basco mi confe­riscono l'aria dell'intellettuale e quelli si mettono in soggezione. Tutt'al più mi possono assumere nell'ufficio stampa.

Agostino                          - E tu fatti assumere nell'ufficio stampa.

Tonino                             - Nei cantieri non ci stanno.

Agostino                          - E allora togliti gli occhiali.

Tonino                             - Ahé! Già quelli con la vista buona co­struiscono quelle schifezze di palazzi. Figuratevi se mi tolgo gli occhiali io. Napoli se ne cade di torri di Pisa.

Agostino                          - E che hai fatto fino a mo? (Traseco­lando) La Cassa Mutua!

Tonino                             - (a Regina, con un sorrisetto) Però, non ci pare, papà... Quello «pare» mezzo addormenta­to... E invece... Sissignore, sono andato a passare una visita. Ho rimediato...

Agostino                          - (terrorizzato) La farina lattea!

Tonino                             - No, oggi mi hanno dato le pastiglie Valda.

Gaspare                           - (fuori di scena) Madonna!

Regina                             - E io faccio bollire le pastiglie Valda?

Agostino                          - Le colpe delle madri ricadono sui fi­gli. Sissignore, le metti a bollire. Ci curiamo i bronchi.

Regina                             - Io li ho sani.

Agostino                          - (gridando) Profilassi! Profilassi! Il giornale dice che avremo un inverno rigido.

Regina                             - Mo il giornale ti fa comodo.

Agostino                          - Metti che ingarra la notizia, ci trovia­mo con i bronchi a posto.

Gaspare                           - Io voglio morire con i bronchi marci, ma le pastiglie no!, non me le mangio! (/ tre si mettono a sedere: Agostino affranto; Regina smet­tendo di sventolare e guardando mestamente la pentola; Tonino senza perdere la propria imper­turbabilità. Il giovanotto apre la scatoletta delle pastiglie e incomincia a masticarne, sotto lo sguar­do schifato del padre. Nel riquadro della finestra appare la vedova Altavilla, una donnetta in grama­glie, minuta e dalla voce stridula. Porta una gran­de borsa, anch'essa nera, per la spesa. La vedova procede guardando per terra e chiamando: « Mi­cio, micio... ». Guarda verso la finestra, si avvicina e fa l'atto di bussare. Non essendovi i vetri, perde l'equilibrio e rimane penzoloni sul davanzale, metà dentro e metà fuori.

Vedova                            - Aiuto!

Agostino                          - (precipitandosi a soccorrerla) Signora mia! Che, siete scivolata?

Vedova                            - Eh, mi credevo che ci stavano i vetri.

Agostino                          - E me li volevate scassare?

Vedova                            - No, volevo bussare.

Agostino                          - E voi per bussare pigliate questa rin­corsa? Meno male che i vetri non ci sono.

Vedova                            - Perché non ci sono?

 

Agostino                          - Li abbiamo mandati a riparare.

Vedova                            - I vetri?

Agostino                          - Eh, stiamo parlando dei vetri.

Vedova                            - Ma i vetri si rompono.

Agostino                          - Appunto. Quando una cosa si rompe, uno la manda a riparare.

Vedova                            - Pure i vetri?

Agostino                          - Pure i vetri.

Vedova                            - Veramente? (Sembra poco convinta) Se lo dite voi... (Commossa) Sapete, dopo la disgra­zia, mi sono, come dire, un po'...

Agostino                          - Rimbambita.

La

Vedova                            - Ecco, bravo, rimbambita. Non tro­vavo la parola e l'avete trovata voi. Grazie.

Agostino                          - Prego, signora, figuratevi.

La Vedova                      - (commossa) Che disgrazia! (Altro tono) Ma non completamente rimbambita.

Agostino                          - Un poco.

La

Vedova                            - Un poco. Insomma, la testa poco mi aiuta.

Agostino                          - Si vede, signora, si vede. Voi per fare una bussata avete pigliato quella rincorsa... Nean­che per sfondare un porta! A proposito, se per caso dovete entrare e vi viene da pigliare la rin­corsa, non la pigliate: la porta si chiude da sé. La

Vedova                            - E si apre pure da sé?

Regina                             - No, signora, ma se venite domani, mio marito vi fa trovare la cellula fotoelettrica. La

Vedova                            - Quant'è bravo! (Commossa) Pure il povero Altavilla era bravo (Mostra ad Agostino il medaglione con il ritratto del defunto).

Agostino                          - Bella fronte.

La Vedova                      - (fissando il medaglione, urla) Alta­villa! (Agostino fa un balzo all'indietro. La Vedova si affaccia e, con altro tono) Micio, micio...

Agostino                          - (con un fil di voce) Signora, chi cer­cate?

La Vedova                      - I gatti.

Agostino                          - I Gatti? No, qui è casa Capece.

La Vedova                      - Piacere, Altavilla.

Agostino                          - Piacere mio.

La Vedova                      - Ma che ne avete fatto dei gatti? Qua ce ne stava una colonia. Avete mandato a ripa­rare pure loro?

Agostino                          - (che ha la coscienza sporca) Ah, i gatti, i mici... (Con un sorrisetto forzato) Ma come, qua? Qua c'erano i gatti?

Tonino                             - Eh, non vi ricordate? Ce li siamo fatti a uno a uno. Signora, i gatti se ne sono saliti. (Fa un gesto con le dita. Agostino gli molla un calcio).

La Vedova                      - Dove se ne sono saliti?

Agostino                          - (prevenendo Tonino) Ai Camaldoli. Come sapete, appena rinfresca, i gatti se ne vanno in montagna.

La Vedova                      - No, non lo sapevo.

Agostino                          - E avete imparato un'altra cosa. La

Vedova                            - E che ci vanno a fare in montagna?

Agostino                          - Signora mia, sono gatto che ve lo posso spiegare? Che so... Sarà... Sarà il calore, forse.

La Vedova                      - Come il calore? Avete detto che se ne salgono quando rinfresca.

Agostino                          - Il calore delle gatte. Le femmine vanno in calore, se ne salgono ai Camaldoli per rinfrescarsi e i maschi appresso... La

Vedova                            - Ah, mo ho capito. (Commossa) Però, quante belle cose sapete, voi. E come le spiegate bene. (Pausa) Che peccato che se ne sono andati. Vedete, dal mese di luglio... (Si concentra, fa un conto sulle dita, urla) Il mese della disgrazia mia! (Si asciuga le lacrime. Con altro tono) Ma voi a luglio non stavate qua.

Agostino                          - No, ci stiamo da Ferragosto. La

Vedova                            - A luglio, ogni giorno che portavo i fiori alla buonanima, me ne venivo con un cartoc­cio di alici per i gatti. Poi sono andata da una mia parente a Vico Equense e sono ritornata ieri. Si vede che, aspetta oggi, aspetta domani, quelli si sono detti: la nostra benefattrice ci ha abban­donati. E hanno preso la via dei Camaldoli. Che peccato. (Mostrando la borsa) E mo che me ne faccio di questi tre chili di alici?

Agostino                          - Lì ci stanno tre chili di alici? Signora, perché non vi accomodate? (Apre la porta con un balzo e fa entrare la Vedova) Mo li vedete tornare. La

Vedova                            - Chi vedo tornare?

Agostino                          - I gatti.

La

Vedova                            - Ma non stanno ai Camaldoli?

Agostino                          - Di giorno. Ma la sera ritornano. La

Vedova                            - Questo non me l'avete detto.

Agostino                          - Come no! Ogni sera se ne viene uno in perlustrazione. Fate che più tardi trova le alici, pensa: è tornata la nostra benefattrice, corre ai Camaldoli e passa la voce. (Prende la borsa della Vedova e la depone sul tavolo, poi accompagna la donna alla poltrona) Accomodatevi, accomoda­tevi... (La Vedova si mette a sedere, sorride ai tre. Poi, d'improvviso, scoppia in un pianto dirotto).

Regina                             - (consolandola) Signora, mo li vedete tornare.

La

Vedova                            - No, Altavilla non ritorna più.

Tonino                             - Mo pretendete troppo. I gatti, va bene; ma quello se ne è salito definitivamente.

Regina                             - Vi dovete mettere l'anima in pace. La

Vedova                            - Non ritorna più. Non ritorna più.

Tonino                             - Però lo potete raggiungere. La

Vedova                            - Che disgrazia, signora mia.

Regina                             - E' la vita, che ci volete fare? La

Vedova                            - Voi dovete campare cent'anni in buo­na salute. Sciò, sciò, via la disgrazia da questa casa.

Agostino                          - (facendo corna con le dita) Sciò, sciò. La

Vedova                            - Qui vedo una famiglia felice... Men­tre io... sola... senza Altavilla. (Drammatica, fis­sando Agostino) La risata! Perché ti sei fatto quella risata?

Agostino                          - Io? Non mi permetterei mai. La

Vedova                            - No, la risata se l'è fatta Altavilla. Si è fatto la risata e, tali!, è morto.

Agostino                          - La meglio morte, signora mia: di su­bito e facendosi una bella risata: allegro allegro. Io ci metterei la firma, di qua a cent'anni.

 La

Vedova                            - Dopo tante cure, tante precauzioni-Altavilla, non ridere, gli dicevo io. Se ti viene da ridere pensa a me che vado sotto un tram.

Agostino                          - Scusate, signora, perché gli era proi­bito ridere?

La

Vedova                            - Gli era nocivo. Voi che ne sapete? Quello se ne ritornò dalla guerra con un proiet­tile tra cuore e polmone: né dentro né fuori. Ino­perabile! Voi capite? (Urlando) Inoperabile! I medici fecero un consulto e mi diedero la notizia: signora, Altavilla può campare pure novant'anni, ma dipende da voi: niente emozioni, niente mo­vimenti bruschi, sternuti, colpi di tosse. (Con un grido) Niente amore!

Agostino                          - Povero Altavilla! La

Vedova                            - E povera me, scusate. Per prima cosa, lo ingessai tutto.

Agostino                          - Chi?

La

Vedova                            - Come chi? Altavilla. Lo ingessai dal collo all'ombelico. (A Regina) Signora mia, l'ho tenuto per vent'anni nell'ovatta; per evitare cor­renti d'aria e spifferi, feci murare le finestre, e quelle due volte all'anno che davo aria alla casa - a Pasqua e a Natale - lo chiudevo nell'armadio. Mi sono levata la radio e non ho voluto la televi­sione per paura di qualche notizia che lo poteva turbare. Niente visite, niente giornale, niente cibi piccanti. Calma e gesso, Altavilla, - gli dicevo - cal­ma e gesso e tu campi cent'anni. L'unico diverti­mento, pover'uomo, era il parranco.

Regina                             - Il che?

La

Vedova                            - Il parranco che feci installare nella camera da letto. Avete presente il parranco?

Regina                             - No.

Agostino                          - Regi, è quel marchingegno che ci sta sulle navi per calare in mare o tirare su le scia­luppe.

La Vedova                      - (ad Agostino) Bravo. (A Regina) Feci sistemare le pulegge sopra il letto con le loro belle cordicelle. Al mattino, quando Altavilla si doveva alzare - siccome non poteva fare sforzi -gli passavo le corde sotto le ascelle e giravo, giravo... ooooh issa! E quello si alzava. La sera, poi, facevo l'operazione inversa: moooollate!, e quello si coricava. Ne ho girate manovelle, per vent'anni. E quella sera di luglio... (si schiaffeggia) Altavilla, perché ti sei fatto quella risata?

Agostino                          - Forse la corda gli ha fatto il solletico sotto le ascelle.

La Vedova                      - Ma come, improvvisamente, dopo vent'anni?

Agostino                          - Magari la buonanima si è trattenuto per vent'anni e quella sera non ne ha potuto più. La

Vedova                            - E voi mi fate portare questo scru­polo, adesso? (Piangendo) I morti sono la nostra croce. (Lamentosa) Tornano?

Regina                             - Signora mia, vi dovete rassegnare; non tornano più.

Tonino                             - Ci aspettano.

La Vedova                      - (a Regina) Va bene che dopo la disgrazia la testa poco mi aiuta, ma pochi momenti fa vostro marito mi ha detto che la sera ritornano.

Agostino                          - Signora, i fantasmi sono una leg­genda.

La

Vedova                            - Ma io sto parlando dei gatti.

Agostino                          - Ah, i gatti. E come no? Quelli tornano. La

Vedova                            - Ditelo subito, allora.

Agostino                          - E voi parlate chiaro. Da mezz'ora state a parlare di gesso, parranco e Altavilla e di colpo passate ai gatti. Sissignore, quelli ritornano. Lasciate le alici e ripassate domani: non ne tro­vate neanche le teste.

La

Vedova                            - Bravo, bravo, ve le lascio. Non mi posso trattenere. Debbo sbrigare alcune incom­benze in banca e poi mi vado a chiudere in casa tra i cimeli della buonanima. (Piagnucolando) Mi sono tenuta il busto di gesso e i mutandoni di lana. (Si alza, apre la borsa) Vi raccomando, i gatti hanno lo stomaco delicato; non ce le date crude.

Agostino                          - Facciamo una mezza cottura. La

Vedova                            - Sì, sì, bravo. (Estrae dalla borsa un grosso mazzo di garofani e lo depone sul tavolo. Fruga nella borsa. Si ritrae) Ma voi vedete la mia testa.

Agostino                          - (con un fil di voce) Le alici non ci stanno.

La

Vedova                            - Le alici non ci stanno. Gesù, Gesù, ho messo le alici sul loculo del povero Altavilla e ho portato i garofani ai gatti. Ma voi vedete...

Agostino                          - Ma voi vedete...

Tonino                             - Vi pare bello, signora? II povero Alta­villa trattato a pesci in faccia nel sonno eterno.

La Vedova                      - (urlando) La testa mia! E mo come si fa?

Agostino                          - Come si fa... Ritornate al cimitero, lasciate i garofani e recuperate le alici. La

Vedova                            - Bravo, bravo! Che bella mente avete voi. (Prende i garofani e la borsa e si avvicina alla porta) Io vado.

Agostino                          - Correte, tra poco chiudono. La

Vedova                            - Corro. (Esce precipitosamente e sbatte la porta).

Agostino                          - (dalla finestra, mentre la Vedova ne attra­versa la luce) Signora, si chiude da sé. La

Vedova                            - E voi me lo dovete ricordare. La testa poco mi aiuta. (Via da destra, di corsa).

Agostino                          - Regina, fuoco forte. Mangiamo alici!

Regina                             - A questo ci siamo ridotti: alle alici del povero Altavilla!

Gaspare                           - (affacciandosi) Ho sentito bene? Si mangia alici?

Agostino                          - Sissignore. Dio vede e provvede.

Gaspare                           - E dove sono?

Agostino                          - Mo arrivano. Andate a farvi un altro po' di sonno.

Tonino                             - (offrendo le pastiglie) Volete intanto un po' di antipasto?

Gaspare                           - Toni, tu vuoi la morte mia. (Rientra sdegnato. Agostino aggiunge altre fascine al fuoco. Tonino mastica le pastiglie. Entra Giuliana, una ragazza attraente, vistosamente incinta. Attraversa la strada e siede sul letto di fronte a Tonino, guar­dando per terra).

Regina                             - Allora, com'è andata a Ginevra? (Giu­liana le dà uno sguardo di sfuggita) Le trattative...

Giuliana                           - Non c'è male.

Agostino                          - Ti ha ricevuta?

Giuliana                           - Sì.

Agostino                          - Allora gli hai potuto finalmente par­lare.

Giuliana                           - Sì.

Agostino                          - (soddisfatto) Ah!

Regina                             - Dopo sette mesi di anticamera non c'è male.

Agostino                          - La guerra dei nervi è vinta. (A Giu­liana) E' vero, bella di papà?

Giuliana                           - (anodina) Insomma...

Regina                             - A quando i confetti? (Giuliana guarda per terra).

Agostino                          - Allora che avete stabilito?

Giuliana                           - Ha detto che non ha niente in con­trario a sposarmi.

Agostino                          - (a Regina) Hai visto?

Giuliana                           - (subito) In linea di massima.

Agostino                          - Che vuol dire in linea di massima?

Giuliana                           - Prima deve verificare certe cose. (Pau­sa) Ha posto delle condizioni.

Agostino                          - Sentiamo.

Giuliana                           - Ha detto che prima il creaturo deve nascere, per controllare la somiglianza. Stabilito che gli somiglia, gli deve essere simpatico e non deve piangere la notte. Se è così, ha detto che poi si vede. (Alla madre) Mammà, che ci posso fare? I bambini non gli piacciono: gli fanno impres­sione appena nati perché hanno tutti quanti la testa a dirigibile.

Tonino                             - (masticando pastiglie) Tu gli dovevi rispondere che tutti i bambini nascono brutti; poi, strada facendo, si aggiustano.

Agostino                          - Solo tu no.

Regina                             - (ad Agostino) Allora, come la mettiamo?

Agostino                          - Se la debbono vedere loro. Tu dici: ha posto delle condizioni... Scusa, la dote non è una condizione? E il corredo? Non è esplicita, non è che uno dice; se vostra figlia non porta la dote e il corredo io non me la sposo. Però è una con­dizione, un patto tacito. Pure il fatto dell'illiba­tezza: un'altra condizione. Giuliana non ha un soldo, si sa, e il servizio glielo ha combinato lui. Quello vuole che il creaturo gli somigli e lo faccia dormire la notte. Gli puoi dare torto? (Categorico) Uno che fatica tutta la giornata, signori miei, la notte ha il sacrosanto diritto di farsi le sue ore di sonno.

Regina                             - E quel signore fatica assai. Cinque ore di anticamera per sette mesi. Vorrei sapere come si fa a resistere.

Giuliana                           - Ho imparato a memoria un libro sul parto indolore e ho fatto pure la ginnastica.

Regina                             - Nell'anticamera...

Giuliana                           - Quando non c'era nessuno, però. Da­vanti alla gente mi vergogno. (Premendosi una mano sul ventre) Ahi! (Con tenerezza) Buono, buono, figlio mio bello. (Regina va a sedersi ac­canto alla figlia).

Regina                             - Giuliana, figlia mia, quel signore che ti seguiva sempre, lo hai visto più?

Giuliana                           - Sì, pure oggi.

Regina                             - Ed è sempre disposto?...

Giuliana                           - Sì. Dice che mi sposa così come sono.

Regina                             - Hai detto che è un vero signore.

Giuliana                           - Barone. Mi parla col lei.

Regina                             - Ed è vedovo.

Agostino                          - E tu, allora...

Giuliana                           - (una mano sul ventre) Ahi! (Con tene­rezza) Buono, buono, bello di mammà. (Ad Ago­stino) E' vecchio, papà. Ha almeno cinquant'anni.

Agostino                          - Non è vecchio. A cinquant'anni un uomo è maturo. E poi, Giuliana, scusa, meglio l'uovo oggi... Può essere la sistemazione per te... Il bambino nasce con un nome. Tu te lo sposi e io mi faccio finanziare il prototipo del clarinetto a pedale.

Giuliana                           - No, no. (Si porta una mano al ven­tre) Ahi! (Con tenerezza) Mettiti l'anima in pace, creatura mia, comunque figlio di puttana nasci. (Sul vano della finestra si staglia la vedova Alta­villa, che arriva di corsa. Fa per bussare alla fine­stra con la ben nota irruenza e cade urlando. Agostino si precipita a soccorrerla).

Agostino                          - Signora mia, un'altra bussata come questa e andate a raggiungere la buonanima. La

Vedova                            - Ma i vetri quando arrivano?

Agostino                          - Non li faccio venire proprio. Se ogni volta che venite fate di queste bussate, qua li stiamo a cambiare ogni giorno. La

Vedova                            - E allora metteteci un cartello: « I vetri non ci sono ». Così uno si premunisce. Siete in difetto, scusate.

Agostino                          - Va bene, domani provvedo. Avete re­cuperato le alici?

La Vedova                      - (mostrando la borsa) Eccole qua.

Agostino                          - Accomodatevi. (Si precipita verso la porta e l'apre).

La Vedova                      - (sulla soglia) Vedete? Qua ci sta il cartello: « Si chiude da sé ». Mi fate vedere come funziona?

Agostino                          - Vi servo subito. (Lascia la porta, che si chiude).

La

Vedova                            - Quant'è bello! Fatemi vedere un'altra volta. (Esce. Agostino lascia la porta, che non si muove. La scuote. Prende una scopa e muove il congegno. La porta scatta e si chiude di colpo. Agostino riapre. La Vedova è seduta a terra, le sottane in aria).

Agostino                          - Siete scivolata un'altra volta?

La Vedova                      - (rialzandosi) No, ho avuto la porta in faccia. Questa non la mandate a riparare?

Agostino                          - Basta un poco d'olio. Accomodatevi. Qua sta il posto per le alici. (La Vedova prende un involto dalla borsa e lo depone sul tavolo).

Agostino                          - (dando una sbirciatina all'involto) Posso controllare? Non per sfiducia... Ma voi stessa avete detto che dopo la disgrazia... la testa... (Dà uno sguardo. Annuncia con aria di trionfo) Alici!

La

Vedova                            - Vi raccomando, mezza cottura. (Com­mossa) E una prece per la buonanima. Me lo di­ceva sempre: preci e opere di bene.

Agostino                          - Vi ha lasciato assai? La

Vedova                            - Insomma...

Agostino                          - (subito, con veemenza) Signora, di professione io sono inventore. La porta è niente. Avete visto « L'assedio di Gaeta »? La

Vedova                            - No.

Agostino                          - A Palmi Calabro ho sistemato un mar­chingegno che alla prima cannonata piemontese se n'è caduto il teatro. Ma questo è ancora niente. Sapete che cos'è il clarinetto a pedale di Agostino Capece?

La Vedova                                 - No.

Agostino                          - L'invenzione del secolo. Vi faccio un esempio. Voi avete l'asma bronchiale.

La Vedova                      - Veramente, dopo la disgrazia soffro solo di stitichezza.

Agostino                          - E' un esempio. Avete l'asma bron­chiale.

La

Vedova                            - Vi ho detto di no.

Agostino                          - Signora, serve per fare un esempio. La

Vedova                            - L'esempio non lo potete fare con la stitichezza?

Agostino                          - No.

La

Vedova                            - E allora fate come volete voi.

Agostino                          - Oh! Avete l'asma bronchiale e la voca­zione per suonare il clarinetto. Mo rispondete a me: con l'asma bronchiale potete suonarlo? La

Vedova                            - E vi pare che dopo la disgrazia mi metto a suonare il clarinetto?

Agostino                          - Signora, per favore, fatemi fare questo straccio di esempio! (Pausa) Voi vi guadagnate la vita suonando il clarinetto e improvvisamente vi viene l'asma bronchiale. Che fate? La

Vedova                            - Niente. Sto sentendo l'esempio.

Agostino                          - Ahé. L'esempio è finito. Vi ho posto una domanda: se avete l'asma bronchiale e i me­dici vi proibiscono di suonare il clarinetto, che fate?

La

Vedova                            - Che faccio?

Agostino                          - Ricorrete al clarinetto a pedale di Agostino Capece. (Didattico) Una bombola d'aria compressa munita di regolatore di pressione, vie­ne collegata mediante un tubo di plastica al cla­rinetto...

La

Vedova                            - E dàlie! Dopo la disgrazia, io non voglio suonare il clarinetto. (Urlando) Non posso suonarlo!

Regina                             - (ad Agostino) Agosti, tu e 'sto clari­netto!

La

Vedova                            - Altavilla, ti giuro che non mi metto a suonare!

Agostino                          - Voi non dovete suonare niente. La

Vedova                            - Non mi piacciono gli esempi che fate. Opere di bene, quelle dovete fare. Opere di bene!

Agostino                          - (rassegnato, con una punta d'amarezza) Va bene, come non detto. (Apre il cartoccio del­le alici) Facciamo opere di bene. Facciamole insieme. Signora, voi domani portate i fiori alla buo­nanima?

La

Vedova                            - Tutti i giorni.

Agostino                          - E ricordatevi pure dei gatti. La

Vedova                            - Sarà mia cura-

Agostino                          - Però, vi raccomando: la varietà. Che so, un giorno alici, un giorno frattaglie, un giorno, che so, formaggio. E dato che vi trovate, un poco d'olio per condire...

La Vedova                      - (commossa) Come si vede che pure voi gli volete bene ai gatti. Meno male, va', che hanno trovato dei buoni signori come voi. Grazie, grazie.

Agostino                          - Ringraziamo la buonanima. (Bacia il medaglione. La Vedova lo imita, poi bacia Agosti­no, Regina, Giuliana e Tonino). La

Vedova                            - La Madonna vi renda il bene che fate a quelle povere creature. Ci vediamo domani.

Agostino                          - A Dio piacendo. (Bacia di nuovo il medaglione. Osserva il ritratto) Bella fronte! (Apre la porta alla Vedova, che esce incamminandosi ver­so destra). Signora, voi andate in città o dal pove­ro Altavilla?

La

Vedova                            - In città. Debbo sistemare certe cose in banca.

Agostino                          - E allora a sinistra. La

Vedova                            - Uh, avete ragione. Che ci volete fare, la testa mia, la testa mia. (Scompare scuotendola).

Gaspare                           - E' pronto a tavola?

Agostino                          - (versando le alici nella pentola) Pochi minuti. (Gaspare guarda nella pentola, si stropic­cia le mani, ma subito le adopera per tenere su i calzoni. Giuliana si corica, le mani sul ventre, To­nino mastica pastiglie, Regina soffia sul fuoco. Gaspare e Agostino si mettono a sedere sulla se­conda rete metallica) E per oggi abbiamo rime­diato. (Pausa) Le alici contengono fosforo. Quello che ci vuole per voi e per me, che lavoriamo di cervello.

Gaspare                           - Eh, sì, figlio mio.

Agostino                          - Questa vedova mi pare di buon augu­rio; vedete che domani arriva la lettera.

Gaspare                           - Speriamo bene.

Agostino                          - Tonino, anziché al cantiere, domani mattina vai a rimediare un paio di gatti.

Tonino                             - Dove li trovo?

Agostino                          - Dove ti pare; in mezzo alla strada, alla Protezione Animali. Almeno un paio glieli dob­biamo fare trovare in casa.

Regina                             - Hai deciso di metterti a pensione dalla vedova?

Agostino                          - Finché non arriva la lettera.

Regina                             - Ho capito: è un vitalizio.

Agostino                          - Papà, voi sentite... Uno fa lavorare il cervello per sfamare la famiglia, e la famiglia co­me ti ringrazia? Con l'ironia e il sarcasmo. Poi dice che uno si sente i vuoti...

Gaspare                           - (una mano sul ventre) A chi lo dici!

Agostino                          - (toccandosi la fronte) No, qui. Una volta i miei pensieri erano farfalle, rondini, razzi. Non gli potevo stare dietro. Adesso mi sembrano elefanti. Come la vedova Altavilla. Tale e quale. « Adesso ». Figuratevi il giorno che sarò vedovo! (Pausa) Elefanti. (Pausa) La vita è un metro sba­gliato, caro papà. Novanta centimetri invece di cento, caro papà. (Pronunciando l'ultima parola come per udirne il suono) « Papà! » (Con un sor-risetto) Ohe, quando dico elefanti! Ma vi faccio un esempio. A voi vi chiamo papà...

Gaspare                           - Perché, come mi dovresti chiamare?

Agostino                          - Papà, papà, si capisce: ormai stiamo insieme da tanti anni... Da sempre... E io: « papà » qua, « papà » là... Embe', qualche volta - vi volete fare una risata? - qualche volta mi domando: quello di chi è padre, mio o di Regina?

Gaspare                           - (ridacchiando) Eh, eh, eh...

Agostino                          - (ridendo apertamente) Lo vedete? Quello di chi è padre, mio o di Regina? (// sorriso si smorza lentamente. Pausa. Poi, serio e ansioso) Papà, di chi siete padre?

Gaspare                           - Come?

Agostino                          - Di chi siete padre?

Gaspare                           - (infastidito) Aaaah, Agosti!

Agostino                          - Siete padre mio o di Regina?

Gaspare                           - (alzandosi) Agosti, ti pare il modo?... (Va a osservare tristemente i resti delle bretelle. Agostino lo guarda a lungo, poi volge gli occhi su Regina).

Agostino                          - Regina.

Regina                             - Che è?

Agostino                          - Papà di chi è padre, mio o tuo?

Regina                             - Che è, uno spirito?

Agostino                          - E rispondi.

Regina                             - Uffa!

Agostino                          - (assorto, angosciato) Non me lo ricor­do. (Resta con il capo tra le mani. Regina versa le alici in un grande piatto).

Regina                             - E' pronto a tavola. (Tranne Gaspare, che si precipita con ingordigia sul cibo, gli altri si si­stemano intorno al tavolo e incominciano a man­giare con parsimonia, quasi con distacco) Ringra­ziamo la buonanima di Altavilla.

Gaspare                           - (gli occhi al cielo e la bocca piena) Ai­tavi, la Madonna ve lo renda e il Signore vi tenga alla sua destra.

Tonino                             - Sono scondite.

Regina                             - Mangia, Tonino. (Guardando Agostino) La Provvidenza non ci ha mandato il sale.

Tonino                             - Mo con la scusa dei gatti, ogni giorno mangiamo alici?

Regina                             - Mangeremo quello che Dio vorrà.

Gaspare                           - (gli occhi al cielo) Aitavi, se la situa­zione migliora, vi faccio dire messe di refrigerio. Mangia, Agosti, mangia...

Agostino                          - (assente) Sto mangiando.

Tonino                             - Speriamo che domani se ne viene con le frattaglie. Meno male, va', si è aperto un altro spiraglio.

Regina                             - Quali sarebbero gli altri?

Tonino                             - L'invenzione di papà e Giuliana che si sposa il barone.

Giuliana                           - Lo spiraglio mio è meglio che lo chiudi.

Regina                             - Chiudi pure quello di tuo padre.

Tonino                             - E va be', ci resta la vedova. Quella ha ereditato. Tiene i soldi in banca. (Pausa) Voi ci pensate? Al mondo ci stanno le banche e pure la gente che ci tiene i soldi.

Gaspare                           - Mangia, Agosti.

Regina                             - Mangia, Agosti.

Tonino                             - Papà, mi è venuta un'idea.

Agostino                          - A te?

Tonino                             - Eh. (Pausa) Rapiniamo una banca.

Regina                             - Toni, non dire sciocchezze.

Tonino                             - Voi ci pensate: un paio di centinaia di milioni e ci sistemiamo tutti quanti.

Regina                             - Dàlie! La vuoi finire?

Agostino                          - Neh, Regina, una volta tanto Tonino apre bocca per non dire una sciocchezza e tu lo vuoi far stare zitto.

Regina                             - Ma conte, quello ti propone di rapinare una banca...

Agostino                          - Eh, rapinare una banca! Avesse detto uccidere papà a martellate in testa. Sissignore, rapinare una banca. (Indicando Regina) Ohe, lo porti scritto in faccia: gli scrupoli morali, vero? Regi, la vita è guerra, e quando si fa la guerra gli scrupoli morali hai il dovere di spararli in faccia al nemico. E quando in guerra hai ucciso dieci uomini, hai ucciso dieci nomi e cognomi? No, hai ucciso « il nemico ». Così sono i soldi delle ban­che. Non hanno nome. Toni, parla, l'idea m'inte­ressa. Tu sai come si fa a rapinare una banca?

Tonino                             - Non ci vuole niente.

Agostino                          - Fammi sentire.

Tonino                             - Primo: bisogna entrare nella banca; se­condo: neutralizzare il sistema di allarme; terzo: forzare la camera blindata. Quarto e ultimo: uscire.

Agostino                          - Ed è fatto.

Tonino                             - Ed è fatto.

Giuliana                           - (una mano sul ventre) Ahi!

Agostino                          - (una mano sul ventre di Giuliana) Buo­no, buono, fa' parlare quest'arca di scienza di tuo zio. (A Tonino) Dimmi un'altra cosa. Non è che hai pensato pure come si fa a entrare, neutralizzare l'allarme, aprire la camera blindata e uscire.

Tonino                             - Sissignore.

Agostino                          - E fammi sentire.

Tonino                             - Venerdì.

Agostino                          - Perché venerdì? Fammelo sentire adesso.

Tonino                             - Il colpo bisogna farlo venerdì.

Agostino                          - Ah, il colpo. Lo vedi? Incominci male: né di Venere né di Marte...

Tonino                             - « Si deve » fare di venerdì.

Agostino                          - Perché?

Tonino                             - Perché c'è la settimana corta. Quindi voi entrate la sera del venerdì e avete tutta la notte e poi sabato e domenica per lavorare... Poi ci deve stare una tempesta.

Agostino                          - Dove?

Tonino                             - In cielo!

Agostino                          - Sempre il famoso venerdì.

Tonino                             - Sissignore, verso mezzanotte.

 

Agostino                          - Se invece la tempesta ci sta, per esem­pio, che so, il giovedì pomeriggio, non vale.

Tonino                             - No. E che ve ne fate?

Agostino                          - Mo spiegami perché ci deve essere una tempesta in cielo a mezzanotte.

Tonino                             - Per staccare il sistema di allarme. Ci avete fatto caso? A Napoli, appena piove, viene a mancare tutto: telefono, luce, acqua, gas. Io an­cora debbo capire se sono gli impiantì che si gua­stano per la pioggia oppure quelli fermano gli im­pianti per paura che si guastino. Non si è ancora capito. Dunque, è venerdì, mezzanotte; noi stiamo dentro la banca e aspettiamo che al secondo o terzo tuono viene a mancare la corrente. Appena viene a mancare, uno di noi che sta pronto con una tenaglia in mano, tac, taglia i fili. La corrente ritorna, se ritorna, ma l'allarme non funziona più.

Regina                             - Toni, invece di cercare un cantiere, non è che stai frequentando una scuola tecnica?

Tonino                             - Io penso, mammà. Penso.

Agostino                          - Toni, veniamo alla porta blindata.

Tonino                             - Scegliete: dinamite, fiamma ossidrica, acidi. Per il mio gusto, dato che ci sta la tempesta, io opterei per la dinamite; il boato può passare per tuono.

Agostino                          - Allora, per riassumere: deve essere di venerdì, ci deve stare una tempesta in cielo, quei li debbono togliere la corrente al tuono che noi stiamo già dentro, pronti con una tenaglia in ma­no e dobbiamo aspettare un altro tuono per far scoppiare la dinamite.

Tonino                             - Com'è la pensata?

Agostino                          - Toni, mi devi dire l'ultima cosa, una sciocchezza marginale, proprio: come fai a entrare nella banca?

Tonino                             - Papà, avete messo il dito sulla piaga. Quella è l'unica cosa che non mi viene in mente.

Agostino                          - Io il dito te lo metto in un occhio, ani­male! Ma tu che stai accocchiando?!

Tonino                             - Perché, voi sapreste fare meglio di me?

Agostino                          - Saprei. « So ». Cose da pazzi. E questo qui porta il cognome mìo. (Pausa) Volete rapinare una banca? (Nessuno gli bada. Batte un pugno sul tavolo) Ho domandato se volete rapinare una banca.

Gaspare                           - (abboffandosi) Mangia, Agosti, mangia.

Regina                             - Madonna, è la giornata.

Agostino                          - (batte un altro pugno sul tavolo) Vole­te rapinare una banca?

Tonino                             - Sì. Io rispondo sì.

Agostino                          - Quando?

Tonino                             - Venerdì.

Agostino                          - No. Oggi stesso.

Regina                             - (conciliante) Facciamo venerdì, Ago­stino.

Gaspare                           - (c. s.) Mangia, figlio mio, mangia.

Tonino                             - Io ci sto anche oggi, ma mi dovete spie­gare come si fa.

Agostino                          - Tempo occorrente: due ore.

Tonino                             - La carniera blindata come l'aprite?

Agostino                          - Col marchingegno de « L'assedio di Gaeta ».

Gaspare                           - (mangiando) Agosti, questa non è zona terremotata.

Tonino                             - E l'allarme come lo staccate senza la tempesta?

Agostino                          - Con una telefonata che mi farai tu.

Gaspare                           - Mangia, Agosti.

Regina                             - Agostino, le alici stanno finendo.

Tonino                             - Come entriamo?

Agostino                          - Secondo te come si può entrare in una banca?

Tonino                             - Scassinando la porta.

Agostino                          - No.

Tonino                             - Apriamo un buco nel soffitto.

Agostino                          - No.

Tonino                             - Col mitra in mano.

Agostino                          - No.

Tonino                             - Ci travestiamo da cassieri.

Agostino                          - No.

Tonino                             - E allora come entriamo?

Agostino                          - Attraverso l'acquedotto.

Tonino                             - (dopo lunga meditazione) Ci infiliamo nel rubinetto dell'acqua?

Agostino                          - Tonino, tu sei il chiodo più appuntito della mia croce: la famiglia! La fornisco di una comodità e, invece di apprezzare: « Agosti, pensa a fare il pezzente », « Agosti, le bretelle portano la dedica di Ermete Zacconi ». Vi sto pregando dì pazientare che arriva la lettera e qua tra poco dalle sbuffate si passerà alle pernacchie in faccia. (Guardando Tonino e Giuliana) I figli. Questo qua porta il basco in testa e gli occhiali sul naso e la sera si ritira con campioni medici di cui è vietata la vendita. Dice che ha l'aspetto dell'intellettuale e la brillante idea che viene a esporre mentre uno cerca di mangiarsi due alici è la tempesta alla mezzanotte del venerdì. Tonino, se quest'idea la mandi alle ' Cartoline del pubblico ' della « Dome­nica del Corriere», sai quelli che fanno?

Tonino                             - Mi mandano un vaglia di duemila lire.

Agostino                          - Ti querelano. (Pausa) La figlia. Un fes­so su quattro ruote la ferma e le offre un passag­gio e dopo due mesi se ne viene piangendo a confessare. Avesse detto: gli voglio bene, la carne è debole. Avesse detto: quello era Marcello Mastroianni... uno diceva: onore e piacere, si rassegnava. No. « Quello aveva una decapottabile rossa con la trazione anteriore, i freni a disco, fa i duecentoses­santa ». Uno più fesso del primo la segue per la strada: è un signore, un barone, le parla con il lei, le chiede di sposarlo... Nossignore: è vecchio. Amici miei, famiglia mia, il mondo non ve lo pote­te tagliare addosso su misura. Per gente come noi il mondo è fatto di una misura sola. E se tentiamo di farcelo come piace a noi è una fregatura perché in mano ci hanno messo un metro truccato: no­vanta centimetri invece di cento. Volete sistema­zione e benessere subito? Sia! Però dovete consen­tirmi di pigliare in mano un metro da cento centi­metri. Io vado in guerra, la banca ve la rapino, ma - quant'è vero Dio - la soddisfazione me la dovete dare per intero, dopo.

Gaspare                           - Soddisfazioni a te, figlio mio, te ne ho sempre date. Ti ho solamente detto che per le bretelle mi dovevi interpellare.

Agostino                          - La soddisfazione che mi dovete dare voi è di dirmi di chi siete padre, mio o di Regina.

Gaspare                           - (spazientito) Ah, ma questo fa sul serio.

Agostino                          - (gridando) Faccio sul serio, sissignore. Me lo sono dimenticato, va bene?, e ho il dirit­to di saperlo!

Gaspare                           - E io non te lo voglio dire, va bene? Non te lo dico! (Agostino si schiaffeggia, si morde un dito. Getta alla rinfusa dentro la cassetta attrezzi, corde, la candela. Mette la cassetta sotto il brac­cio).

Agostino                          - Andiamo a rapinare 'sta banca!

Regina                             - Agostino, aspettiamo venerdì; aspettia­mo la tempesta. (Agostino fa rovinare a terra il piatto con quel che è rimasto delle alici).

Agostino                          - Ha da essere subito! (Lo guardano al­larmati, si alzano tutti).

Regina                             - Agostino, non fare quegli occhi. Mamma mia, che impressione: tale e quale quando avesti il paratifo nel '39.

Giuliana                           - Debbo venire pure io?

Agostino                          - Tutta la famiglia. Mi debbo portare la croce appresso.

Gaspare                           - A me i calzoni se ne scendono.

Agostino                          - Le mani le tenete.

Gaspare                           - Ma come, uno va a rapinare una banca con le braghe in mano?

Giuliana                           - Papà, io mi sento troppo appesantita...

Agostino                          - Ho detto tutti quanti! (Apre la porta e vi si colloca di fianco, minaccioso).

Regina                             - (uscendo) Va bene, andiamo a fare quat­tro passi, va'... (Gli occhi al cielo) Madonna, aiu­taci tu. (Esce seguita da Gaspare che si tiene i calzoni con le mani, da Giuliana con una mano sul ventre e il passo stanco).

Tonino                             - (sulla soglia) Papà, se il colpo riesce, me lo fate togliere lo sfizio? Voglio la macchina con la trazione anteriore             - (Agostino gli sferra un calcio sul sedere).

Agostino                          - (gridando) Vi faccio vedere io quando in mano si tiene un metro da cento centimetri! (Esce. Varcata la soglia e accortosi che il congegno di chiusura non è scattato, tenta di farlo azionare. Non ci riesce. Allora afferra la maniglia e si tira dietro la porta, che si chiude fragorosamente).

ATTO SECONDO

Interno d'un'agenzia bancaria di recente costru­zione.

Sul fondo, a sinistra, ad angolo smussato, la porta d'ingresso. Le pareti di sinistra e di fondo sono costituite da ampie vetrate sulle quali è scritto: « Credito Meridionale - Agenzia n. 18 ». (Allo spet­tatore, naturalmente, la scritta apparirà alla rove­scia). Le saracinesche sono abbassate. Il bancone, a forma di elle, copre l'intera parete di fondo e quella di destra. A destra, in primo piano, la porta d'accesso alla camera blindata. A si­nistra, uno scrittoio per il pubblico e delle sedie. Orologio a muro, calendario, cartelli, ecc. All'alzarsi del sipario, l'orologio segna le 21. La scena è appena rischiarata dalla debole luce che emana dal calendario automatico. Al centro del pavimento, incomincia a sollevarsi un cerchio di linoleum che ha le esatte dimen­sioni di un tombino stradale. Dall'apertura emerge dapprima una mano che impugna una candela accesa e quindi la testa di Agostino Capece.

Regina                             - (fuori di scena) Agostino, sono due ore che camminiamo sotto Napoli sollevando tombini. Dicci che fine dobbiamo fare...

Agostino                          - Siamo arrivati. (Aiutandosi con i go­miti, viene su, va a piantare la candela sopra il bancone, si guarda in giro, trova l'interruttore del­la luce, accende. Intanto, Regina ha fatto capolino dall'apertura).

Regina                             - Gesù. (Mentre Agostino l'aiuta a salire) Ma questa è veramente una banca!

Agostino                          - Tu dove ti credevi di andare?

Regina                             - Cammina cammina, pensavo che usciva­mo a Cuma. (Guardandosi in giro) Gesù, Giuseppe e Maria!

Gaspare                           - (affacciandosi) Meno male, va'. Ho sba­gliato i calcoli.

Agostino                          - Quali calcoli, scusate?

Gaspare                           - Non siamo andati verso nord?

Agostino                          - No, verso sud.

Gaspare                           - E allora ho sbagliato. Tra me e me pen­savo: quello ci porta verso il serbatoio di Capodi-monte. E siccome, a parte la gastrite, io non so nuotare...

Agostino                          - Papà, datemi le mani.

Gaspare                           - Io le mani te le dò. Ma se poi i calzoni se ne scendono?

Agostino                          - Voi e 'sti calzoni. Allargate le gambe. Meglio ancora: ci pensa Tonino a mantenerveli. Toni...

Tonino                             - (fuori di scena) Dite.

Agostino                          - Mantieni i calzoni al nonno.

Tonino                             - Sarà fatto. (Gaspare porge le mani ad Agostino, il quale cerca di tirarlo su. C'è un lungo tira e molla, ma il vecchio è inamovibile).

Agostino                          - (asciugandosi il sudore) Papà, volete collaborare o debbo fare tutto da me?

Gaspare                           - E quello Tonino non è che mantiene; si è appeso.

Agostino                          - (tirando Gaspare) Toni, molla. (Im­provvisamente alleggerito, Gaspare viene su di colpo, mentre Agostino rovina a terra. Si alza im­precando. Gaspare si ricompone).

Tonino                             - (affacciandosi) E' successo qualcosa?

Agostino                          - (minaccioso) Passami la cassetta, ani­male! Ne ingannasse una! (Tonino gli porge la cas­setta. Poi sale aiutandosi con i gomiti. Gaspare, subito, sfila un pezzo di spago e se lo lega intorno alla vita).

Tonino                             - (guardandosi intorno) Gesù, Gesù. E bravo papà!

Agostino                          - (chinandosi sull'apertura) Giuliana. (Nessuna risposta) Giuliana! (Pausa) S'è perduta Giuliana.

Regina                             - (accorrendo) La figlia mia! (Affaccian­dosi) Giuliana!

Giuliana                           - (fuori di scena) Sto arrivando...

Regina                             - E non mi far pigliare di queste paure, figlia mia.

Giuliana                           - (affacciando il capo) Io non ce la fac­cio a camminare. Ci ho i piedi gonfi.

Agostino                          - Siamo arrivati.

Giuliana                           - (guardandosi in giro) Ma questa è ve­ramente una banca!

Gaspare                           - Ringraziamo Dio con la faccia per terra.

Agostino                          - Dammi le mani. (Giuliana gliele porge. Agostino la tira su. Lungo tira e molla. Agostino ha la voce soffocata) Toni, molla!

Tonino                             - (alle sue spalle) Che debbo mollare?

Agostino                          - Ah, tu già stai qua. (Tira con forza).

Giuliana                           - Ahi!

Agostino                          - Neh, Giuliana, ci sta qualcuno appeso?

Giuliana                           - No, sono io che non ce la faccio a passare: la pancia.

Agostino                          - (tirando) Ahé, qua ci vuole il parranco della buonanima di Altavilla!

Giuliana                           - Ahi!

Agostino                          - Trattieni il fiato, bella di papà.

Giuliana                           - (con voce soffocata) Non passa lo stesso.

Agostino                          - (tirando) Ma quanti ne tieni? (Agli al­tri) Mi venite a dare una mano? (Regina, Gaspare e Tonino si avvicinano).

Regina                             - Agosti, ho paura; non diamo retta.

Gaspare                           - Eh, no; eh, no.

Regina                             - La soddisfazione te la sei presa. Bravo! Quant'è bravo Agostino: ci ha saputo far entrare in una banca! (Cambiando tono) Agosti, ho paura. Il giornale ha ragione: avremo un brutto inverno: lo passiamo a Poggioreale. (Gli altri tre cercano di tirare su Giuliana). Lo vedete? Non passa. Non passa. Non diamo retta, va'. Torniamo a casa.

Agostino                          - (senza badare, a Giuliana) Stringi le gambe e trattieni il fiato. (A Gaspare) Io la tengo per un braccio e voi per l'altro e la avvitiamo.

Gaspare                           - La svitiamo, vuoi dire.

Agostino                          - Papà, la avvitiamo, la svitiamo, come pare a voi! (Girano a cerchio intorno all'apertura. Cercando di tirare su Giuliana). Giuliana, tira den­tro la pancia e non respirare. Non respirare! (Con un ultimo sforzo, riescono a tirarla su e la depon­gono, senza sensi, sul pavimento).

Tonino                             - Non respira più.

Regina                             - (inginocchiandosi, disperata, accanto alla figlia) La figlia mia! (Ad Agostino) Delinquente!

Agostino                          - Mo le facciamo la respirazione artifi­ciale. (Si inginocchia e gliela pratica. Giuliana ri­prende i sensi, lamentandosi. La sollevano e la de­pongono su una sedia. Regina le fa aria con un fascio di carte).

Regina                             - (ad Agostino) Delinquente! Io a Poggioreale ti debbo vedere!

Agostino                          - Regina, il Poggioreale mio si chiama appartamento di cinque stanze, doppi servizi. (Si stropiccia le mani) Dunque, prima soddisfazione. (A Tonino, indicando la scritta sulla vetrata) Che c'è scritto lì?

Tonino                             - (dopo aver guardato a lungo la scritta) E là noi direm.

Agostino                          - (fissandolo da vicino) Che hai detto?

Tonino                             - (stringendosi nelle spalle) E là noi direm.

Agostino                          - (dopo un attimo di esitazione) Che direm?

Tonino                             - Otiderc. (Agostino lo fissa a lungo).

Agostino                          - Toni; ti senti bene?

Tonino                             - Benissimo.

Agostino                          - Non è che le alici ti sono riuscite pe­santi...

Tonino                             - Eh, le alici! Le ho digerite da due ore.

Agostino                          - (ansioso) E allora perché vai recitan­do versi?

Tonino                             - Io? Io ho letto quello che mi avete detto voi. (Si avvicina alla vetrata. Aiutandosi con il di­to) E là noi direm otiderc!

Agostino                          - (una mano sulla fronte) Toni, tu devi leggere da destra a sinistra.

Tonino                             - E che sono turco?

Agostino                          - (aiutandosi con il dito) Credito Meri­dionale, numero 81.

Tonino                             - Uh, già! (Con un sorriso) Ma voi vedete papà... Quello papà mio pare che... e invece... (rab­buiandosi) Però avete commesso un errore.

Agostino                          - Io?

Tonino                             - Eh, sì, scusate. Non è numero 81, ma 18.

Agostino                          - (torcendo il collo) Ah, già.

Tonino                             - Mo la soddisfazione me la sono pigliata io. (Agostino gli molla un manrovescio).

Agostino                          - (gridando) Io ti mando a un istituto di rieducazione!

Regina                             - Agostino, non gridare. E che facciamo con questa luce accesa?

Agostino                          - Non vede e non sente nessuno. Siamo isolati. (Pausa) Volevate una banca? Eccola qua.

Regina                             - (alzandosi) L'abbiamo vista e ti diamo la soddisfazione. Quant'è bravo Agostino! Mo an­diamocene.

Agostino                          - Calma, calma. Ce ne andiamo tra un'oretta. (Indicando la porta di destra) Prima, dobbiamo combinare il servizio a quella porta.

Gaspare                           - Agostino, tu ci devi ancora spiegare co­me hai fatto.

Agostino                          - Io? Io non ho fatto niente.

Gaspare                           - Ma come... siamo entrati in una banca.

Agostino                          - Il merito è tutto del boom edilizio.

Gaspare                           - Che c'entra?

Agostino                          - C'entra. Papà, la città cresce, si co­struisce un palazzo al giorno, scompaiono giardini, campagne, masserie, boschi. La gente vuole case, la gente cresce e si moltiplica. C'è fretta, ce l'han­no tutti quanti, a incominciare dai costruttori. E voi conoscete il detto: per andare in fretta, la gatta fece i figli ciecati. Ohe, questo è un figlio ciecato: un tombino. In mezzo all'ammoina, si sono dimenticati un tombino. Che cos'è un tombino? In apparenza è un coperchio di metallo che im­mette in un condotto sotterraneo. In una città come Napoli, invece, è qualche cosa di più. A Napoli, un tombino è una porta aperta sopra un'al­tra città, sotterranea, fatta di gallerie, cunicoli, grotte, cattedrali. Basta avere un po' di pratica, e Napoli ve la girate tutta sotto terra.

Tonino                             - Questa è una fortuna.

Agostino                          - Non troppo, Toni. Dal momento che avevano fatto trenta, potevano fare trentuno; vo­glio dire che se il tombino lo lasciavano cinque metri più in là (indica verso destra), noi sbucava­mo direttamente nella camera blindata. Ma non si può pretendere troppo.

Gaspare                           - Ma tu come sapevi che qua ci stava un tombino dimenticato?

Agostino                          - Non lo sapevo. L'ho appurato il giorno che hanno inaugurato l'agenzia e sono venuto qua a dire un addio.

Regina                             - A chi l'hai detto l'addio?

Agostino                          - Regina, lo sai che posto è questo?

Regina                             - Gesù, l'agenzia del Credito Meridionale.

Agostino                          - Nossignore. Regine, qua stiamo nella cupa di San Gaetano, dietro il muro di don Giacin­to Coppola. (A queste parole, Regina si alza lenta­mente, come trasognata).

Regina                             - La cupa di San Gaetano...

Agostino                          - (avvicinandosi all'estremità destra del bancone) Ti ricordi che c'era qua?

Regina                             - (trasognata) La fontanella.

Agostino                          - La fontanella. (Con altro tono) « Regi­ne, alle sette, dopo che mi sono spicciato, vicino alla fontanella... ».

Regina                             - « ...dietro il muro di don Giacinto Cop­pola... ».

Agostino                          - Io me ne uscivo di corsa dall'officina, mi davo una rinfrescata, pigliavo una cappellata di albicocche e la mettevo sotto l'acqua... D'im­provviso comparivi tu, sedici anni, con quel ve­stito verde che ti facesti per Pasqua e un odore di origano per tutta la persona. Ci sedevamo qua, ti ricordi?, proprio qua... Dalla camera blindata scen­devano i rami di un platano mossi dal vento...

Regina                             - (trasognata) Ci hanno fatto una banca...

Agostino                          - Una banca, una calzoleria, una salu­meria; ci stanno garage, officine meccaniche e, al posto di quell'arco dove ci nascondevamo per fare l'amore, mo ci sta un distributore di benzina.

Regina                             - (c. s.) Agosti, le albicocche...

Agostino                          - Il tuo odore di origano me lo sognavo la notte.

Gaspare                           - Scusate, qua siamo venuti a rapinare una banca o a recitare «Romeo e Giulietta »?

Agostino                          - (senza smettere di guardare Regina) Papà, tra poco vi faccio assistere all'« Assedio di Gaeta ». (Scuotendosi, con altro tono) Dunque, un po' d'attenzione.

Giuliana                           - Papà, mi posso appisolare?

Agostino                          - Tu puoi fare quello che ti pare, bella di papà.

Giuliana                           - Debbo riprendere le forze. Se per farmi entrare è successo quel quarantotto, figu­ratevi mo che debbo uscire. Ci vorrà la mano di Dio.

Agostino                          - A scendere è più facile. Ti caliamo a testa in giù.

Giuliana                           - Non è lo stesso?

Agostino                          - Poi vedi che non è lo stesso. Fatti un sonnellino e lasciami spiegare alla famiglia il compito di ciascuno. Dunque, da questo momento, la parola d'ordine è: sincronismo. Ogni movimen­to deve essere calcolato al millimetro e al secondo. E' chiaro?

Tonino e

Gaspare                           - Chiarissimo. (Agostino leva lo sguardo e lo fa girare tutto intorno. Si sof­ferma su uno sportellino al dì sopra della porta blindata. Sale su una sedia e lo apre con la mas­sima cautela. Scende).

Agostino                          - Il colpo di tenaglia lo dobbiamo dare lì dentro..

Tonino                             - Papà, ci sta la corrente.

Agostino                          - Mo ti spiego quello che devi fare. Te ne scendi dal tombino, prendi a destra e dopo cinquanta metri ci sta una scaletta di pietra: dieci gradini. Ti trovi sotto un altro tombino; sollevi il coperchio e sbuchi davanti a una salu­meria. Ritorni di corsa verso il palazzo, vai di­ritto dal portiere e ti qualifichi per un operaio della società elettrica venuto per un controllo. Per fare questo hai esattamente dieci minuti di tempo. Il portiere ti accompagna nello scantinato, tu dai uno sguardo all'impianto, poi risali e mi fai una telefonata. (Si avvicina all'apparecchio telefonico, scrive il numero su un pezzo di carta, lo dà a Tonino) Fino a mo è chiaro?

Tonino                             - Fino a un certo punto.

Agostino                          - E cioè?

Tonino                             - Che vi debbo dire per telefono?

Agostino                          - Fammi finire il discorso. Uno di noi sta pronto su una sedia con una tenaglia in mano. Tu fai la telefonata, scendi di nuovo nello scanti­nato e hai esattamente tre minuti per staccare la leva centrale di tutto il palazzo. Appena stacchi, noi, ta!, tagliamo il filo. Sincronismo! Tieni la leva abbassata per trenta secondi e poi la rimetti a posto. Il tuo compito è finito; risali, rifai la strada e te ne torni qui. Hai capito?

Tonino                             - Sì. (Pausa) Ma perché vi debbo fare la telefonata?

Agostino                          - Per farmi capire se c'è qualche impe­dimento. Non possiamo passare l'intera nottata in piedi su una sedia e con una tenaglia in mano aspettando che tu stacchi. E siccome i portieri di questo quartiere, anche se sono in maggior parte avellinesi, non è detto che siano tutti fessi, può darsi che ci sia qualche impedimento.

Tonino                             - Mo è chiaro.

Agostino                          - Però, telefonando, mi dirai una parola d'ordine. Se c'è l'impedimento, dici: « I fusibili sono a posto ». In questo caso provvedo altri­menti.

Tonino                             - Se invece l'impedimento non c'è, dico: « mo cambio i fusibili ».

Agostino                          - Nossignore: i fusibili sono arrivati anche in provincia di Avellino e siccome tu in real­tà non li cambi, quello se ne accorge e si mette in sospetto. Se non c'è impedimento, la parola d'ordine deve dire e non dire. Facciamo in latino, va. Tu dici « per angusta » e io, per farti capire che puoi staccare, dico « ad augusta ».

Tonino                             - Come diciamo?

Agostino                          - Per angusta ad augusta.

Tonino                             - Che significa?

Agostino                          - Per angusta ad augusta. Gesù... Vuol dire che... puoi staccare. Toni, è latino, una parola d'ordine... (A Tonino, che continua a fissarlo) Non lo so, va bene? Non lo so che significa e non lo voglio sapere. L'ho sentito in un'opera, va bene?

Tonino                             - Dato che vi trovavate, ve lo potevate far spiegare da uno che lo sapeva...

Agostino                          - Toni; quando uno rapina una banca, la prima cosa deve stare a posto coi nervi. E tu sui nervi miei ti stai facendo una suonata di man­dolino. Tu di' quello che devi dire e domani ci compriamo un vocabolario latino. Vogliamo strin­gere? Se c'è un impedimento...

Tonino                             - I fusibili sono a posto.

Agostino                          - Se l'impedimento non ci sta?

Tonino                             - Pera... Pera... coso là. (Pausa) Papà, che sia « Per Augusto Imperatore, vita, vita, vita! »?

Agostino                          - Nossignore. Per angusta! Augusto Imperatore viene dopo.

Tonino                             - Papà, io mi sento più sicuro se debbo dire per Augusto.

Agostino                          - E fa che l'avellinese ti domanda chi è questo Augusto...

Tonino                             - Rispondo che l'impianto si è guastato per colpa di Augusto.

Agostino                          - E chi è Augusto?

Tonino                             - Facciamo che è il figlio di un inquilino del palazzo che si è messo a giocare a palla e ha guastato l'impianto.

Agostino                          - Nel palazzo non ci sta un Augusto!

Tonino                             - Come lo sapete?

Agostino                          - Io non so niente. E' l'avellinese che parla.

Tonino                             - E io rispondo che Augusto è l'amico del figlio di un inquilino del palazzo.

Agostino                          - Quello risponde che non è vero.

Tonino                             - E io chiamo una guardia.

Agostino                          - E la porti qua.

Tonino                             - E la porto qua. Nossignore: faccio met­tere a posto l'avellinese.

Agostino                          - Toni, tu sei la schifezza dei rapinatori!

Regina                             - Non diamo retta, Agosti, andiamocene! Noi finiamo a Poggioreale.

Agostino                          - Tonino, fa come ti pare, basta che fai. Basta che te ne vai. Una cosa ti devi ricor­dare: di staccare la corrente. (Si china sulla cas­setta, prende qualche attrezzo, lo dà al figlio) Te', piglia qua, così almeno sembri un operaio. Va, va.

Tonino                             - Io vado. Arrivederci.

Agostino                          - E ricordati. Telefona tra quindici mi­nuti. (Tonino scompare nel tombino).

Regina                             - Quanti anni di galera ci stanno?

Gaspare                           - (subito) A lui quindici, a noi cinque.

Agostino                          - Neh, scusate, perché a me quindici e a voi cinque?

Gaspare                           - A te come organizzatore. A noi per concorso in reato.

Agostino                          - Ve lo siete fatto, il conto!

Gaspare                           - Figlio mio, devi scusare, ma la pelle è pelle! (Trilla il telefono).

Agostino                          - Ma come, è già arrivato? (Accendendo la candela) Papà, pigliate la tenaglia e salite sulla sedia. (Gaspare esegue) Siete pronto?

Gaspare                           - Pronto.

Agostino                          - Un colpo netto, preciso.

Regina                             - (segnandosi) Madonna! (Fa aria a Giu­liana).

Agostino                          - (al telefono) Pronti.

Una voce                         - Pronti. Casa Grieco?

Agostino                          - No, avete sbagliato numero.

Una voce                         - Oh, scusate.

Agostino                          - Prego.

Una voce                         - Non è il sessantasei, quindici, zero zero?

Agostino                          - (consultando il numero sull'apparecchio) No, questo è il ventidue, ventinove, quaranta­cinque.

Una voce                         - Gesù, ma voi vedete! Non ne ho ingarrato neanche uno! Ma voi vedete!...

Agostino                          - Embe'...

Una voce                         - Per curiosità, con chi parlo?

Agostino                          - (paziente) Credito Meridionale, agen­zia 18.

Una voce                         - Ma voi vedete! Uno fa casa Grieco e risponde una banca! Ma come, le banche stanno ancora aperte?

Agostino                          - No, stanno chiuse.

Una voce                         - Volevo dire... E com'è che voi ci state?

Agostino                          - Stiamo facendo l'inventario, va bene?

Una voce                         - Ah, ecco! (Pausa) L'inventario? Il bi­lancio, volete dire.

Agostino                          - Eh, il bilancio.

Una voce                         - Non che voglia muovervi un appunto, ma uno si deve esprimere con proprietà dì lin­guaggio. Io sono insegnante, sapete...

Agostino                          - Ah, sì?

Una voce                         - Perciò, senza offesa, voi dovete ado­perare i termini corretti della vostra attività.

Agostino                          - Voi che mestiere fate?

Una voce                         - Ve l'ho detto, l'insegnante, e perciò, siccome avete sbagliato, mi sono permesso di correggervi.

Agostino                          - No, scusate; se qualcuno ha sbagliato quello siete voi.

Una voce                         - Ma niente affatto. Voi avete detto inventario e io ho corretto in bilancio.

Agostino                          - No, avete sbagliato numero.

Una voce                         - Questo è un altro discorso. Vi faccio le mie scuse.

Agostino                          - Prego.

Una voce                         - E il bilancio lo fate a quest'ora? Eh, già, non per intromettermi nei fatti vostri, ma qual­che sacrificio da parte vostra si spiega benissimo. Bancari! La categoria meglio pagata. Quanti sono, diciotto stipendi?

Agostino                          - All'incirca.

 

Una voce                         - Eh, sì. Dei privilegiati. Altro che i poveri professori. Non dico che siamo ridotti allafame, ma per poter adempiere ai compiti dì quella che è una vera e propria missione, noi sì che dobbiamo affrontare dei sacrifici... Ma! Che ci volete fare, caro direttore. Voi siete il direttore?

Agostino                          - Per servirvi.

Una voce                         - Che ci volete fare? Be', scusate tanto; buon bilancio e buona notte.

Agostino                          - Buon Natale. (Riattacca) E vedi se la gente si fa i fatti suoi...

Gaspare                           - (dall'alto della sedia) Neh, Agosti...

Agostino                          - Scendete, papà, scendete.

Regina                             - Giuliana ha bisogno di aria.

Agostino                          - (scattando) Mo la portiamo a via Caracciolo! Regi, noi siamo venuti qua a rapinare credevo che una banca!

Giuliana                           - Io mi sento un'oppressione...

Agostino                          - E mettiti vicino all'apertura. (Assieme a Regina, trascina Giuliana vicino al tombino) Respira, bella di papà, respira. (Giuliana respira e fa una smorfia).

Giuliana                           - Qua è peggio. Puzza! (Trilla il telefono). Regina)

Agostino                          - Papà, questo è Tonino. Rispondete voi. (Sale sulla sedia impugnando la tenaglia).

Gaspare                           - (al telefono) Pronti. Pronti? la centrale

Una voce                         - Casa Grieco?

Gaspare                           - Pronti, chi parla?

Una voce                         - Per piacere, mi passate don Carmine?

Gaspare                           - Pronti? Tonino, sei tu?

Una voce                         - Ci sta don Carmine?

Gaspare                           - Chi parla; Tonino?

Una voce                         - No, qui è Mastellone.

Gaspare                           - (ad Agostino) Ci sta un certo Mastellone che va trovando un certo don Carmine Grieco. (Agostino scende furibondo e strappa il cornetto a Gaspare).

Agostino                          - (al telefono) Chi parla?

Una voce                         - Don Carmine carissimo!

Agostino                          - Scusate, chi volete?

Una voce                         - Don Carmine Grieco.

Agostino                          - Sentite, amico mio: o io non mi sono spiegato   - (ma non mi pare, perché vi ho detto che questo è il Credito Meridionale), oppure: a) voi non avete capito; b) voi capite con ritardo; c) avete tempo da perdere. Nei quali casi a, b e c voi siete un poco fesso.

Una voce                         - Ho sentito bene? Mi avete dato del fesso?

Agostino                          - Eh.

Una voce                         - Non so se ve ne rendete conto, ma qua si configura il reato di ingiuria.

Agostino                          - Configurate quel che vi pare, basta che ingarrate il numero di casa Grieco e non ci venite a rompere le scatole mentre facciamo l'inventario.

Una voce                         - Il bilancio, perdio!

Agostino                          - Uuuuh! (Riattacca con forza). No, sentite, io levo mano!

Regina                             - Parole sante. Agosti, andiamocene.

Giuliana                           - Mammà, ho sete.

Regina                             - La senti? Giuliana ha sete.

Agostino                          - Se la tiene. Mo vi ci mettete pure voi? (Trilla il telefono. Agostino lo guarda a lungo. Poi, a Regina, pacato, mettendosi a sedere) Rispondi tu.

Regina                             - (timorosa) Chi può essere?

Agostino                          - (sul punto di piangere) Mastellone.

Regina                             - E che gli rispondo a Mastellone?

Agostino                          - Quello che vuoi tu, Regina.

Regina                             - Ma io non lo conosco.

Agostino                          - Non ti preoccupare; quello fa amicizia subito. Rispondi, va. Rispondi.

Regina                             - (al telefono, con cautela) Pro...pronti.

Tonino                             - (con un vocione) Mammà, siete voi?

Regina                             - Ohe, Tonino, sei tu?

Agostino                          - (balzando in piedi) E' Tonino?

Regina                             - (al telefono) Meno male, figlio mio. Mi credevo che era Mastellone.

Tonino                             - (c. s.) E chi è Mastellone?

Regina                             - Un amico di papà.

Agostino                          - (a Regina) Che sta dicendo?

Regina                             - Mi ha domandato chi è Mastellone.

Agostino                          - Ma come, in presenza del portiere si mette a parlare di Mastellone? Quello deve parlare con la centrale. (Strappa il telefono dalle mani di Regina) Animale, devi parlare con la centrale.

Tonino                             - Papà, siete voi?

Agostino                          - (addentandosi un dito) Toni, io sono la centrale e tu mi devi dire la parola d'ordine.

Tonino                             - Ah, già. (Pausa) Quale?

Agostino                          - Come quale? Lo devi sapere tu.

Tonino                             - Il fatto dei fusibili e di Augusto.

Agostino                          - Eh, parla più forte. Fatti sentire dal portiere e dall'intero palazzo.

Tonino                             - Ma il portiere non ci sta.

Agostino                          - E dove sta?

Tonino                             - E' sceso ad aprire lo scantinato.

Agostino                          - E dillo subito. Allora, puoi staccare?

Tonino                             - Sissignore.

Agostino                          - E spicciati. Noi siamo pronti con la tenaglia. (Riattacca. Avvicina una sedia a quella che già si trova sotto lo sportello del cavetto, af­ferra con una pinza il filo e lo tira lentamente fuo­ri) Papà, afferrate la tenaglia e chiamate a raccol­ta tutte le forze che vi trovate in corpo. Un colpo solo, mi raccomando. Il taglio deve essere netto.

Gaspare                           - Non ti preoccupare, non ti preoccupare, qua sto. (Prende posizione impugnando le tena­glie).

Regina                             - (inginocchiata, prega) Anime del Purga­torio, Sant'Anna e Gesù...

Giuliana                           - Mammà, ho sete.

Agostino                          - (a Regina) Quanto tempo è passato?

Regina                             - (interrompendo per un istante le preghiere) Che vuoi che sia passato? mezzo minuto... (Gli occhi al cielo e le mani giunte) Madonna di Pom­pei, allontana da noi ogni pericolo, per oggi e per sempre. Amen.

Agostino                          - Papà, tutto dipende da come tagliate. Siamo nelle vostre mani.

Gaspare                           - Sta' tranquillo. Questo è mestiere mio.

Regina                             - Agosti, se il taglio non è netto, che può succedere?

Agostino                          - Quindici anni a me e cinque a voi.

 

Regina                             - (con veemenza) Anime del Purgatorio, San Gioacchino, Madonna del Buon Consiglio...

Agostino                          - (eccitato) Voi ci pensate. Lì dentro ci sta una fortuna.

Gaspare                           - Secondo te quanto troviamo?

Agostino                          - A occhio e croce da due a trecento milioni. Però, comportiamoci da galantuomini. Ci facciamo un conto dello stretto necessario per sistemarci e non tocchiamo una lira di più.

Regina                             - (senza smettere di pregare) Prima cosa la casa.

Agostino                          - Non si discute. Facciamo venti milioni, va. E due milioni per il mobilio, fa ventidue. Altri cinque per biancheria, guardaroba: ventisette.

Gaspare                           - E' poco, è poco.

Agostino                          - Poi, la rendita. I soldi da mettere in banca. Diciamo cinquanta milioni.

Gaspare                           - E' poco, è poco. La vita rincara. Agosti, se vogliamo andare sicuri dobbiamo almeno rad­doppiare.

Agostino                          - E raddoppiamo. Stiamo a centoventi-sette. La dote per Giuliana, cinque milioni.

Giuliana                           - (con un fil di voce) La macchina, papà.

Agostino                          - Quella è la prima cosa.

Regina                             - (senza smettere di pregare) No, la prima cosa è la casa.

Agostino                          - Quella è già sistemata.

Giuliana                           - (con un fil di voce) La pigliamo con la trazione anteriore?

Agostino                          - A quanto siamo arrivati?

Gaspare                           - A centocinquanta. E' poco, è poco.

Agostino                          - Papà, arrotondiamo a duecento e non se ne parli più. (Gridando) Neh, ma Tonino che sta facendo? (La luce si spegne di colpo. La scena è illuminata solo dalla candela accesa. Regina lan­cia un grido di spavento) Papà, ci siamo: in que­sto colpo ci sta l'avvenire della famiglia Capece. Pronto?

Gaspare                           - Pronto.

Agostino                          - Uno... Due... Tre. (Gaspare vibra il colpo. Agostino lancia un urlo di dolore, lascia cadere la tenaglia è rovina a terra) Ah, Madonna! Madonna mia!

Gaspare                           - Che, non l'ho staccato, il filo?

Agostino                          - Sì; e pure un dito mio. Uh, Madonna, aiuto! (Si contorce, batte un piede per terra. Regina e Gaspare lo fanno sedere. Agostino tiene sollevata la mano destra e si lamenta. Regina gli fa aria. Gaspare gli fascia il dito con un fazzoletto. Si riac­cende la luce).

Gaspare                           - Figlio mio, perdonami; non l'ho fatto apposta.

Agostino                          - Uh, Madonna! Se n'è partito il dito! (A Gaspare) Voi non mi siete padre. (Pausa. Con ansia) O sì?

Gaspare                           - Aaah, un'altra volta?

Agostino                          - Fate conto che sono moribondo. Dite, parlate, fatemi morire soddisfatto.

Gaspare                           - Agosti, tu mo offendi.

Agostino                          - Ma come, offendo?

Gaspare                           - Sì, offendi. Finché scherzi...

Agostino                          - Ma io non scherzo.

Gaspare                           - (sdegnoso) Peggio!

Agostino                          - (con smorfie di dolore, appoggiando la mano sinistra sul bancone) Io vi levo il saluto; io vi disconosco...

Gaspare                           - (sommamente irato) Ne parleremo a tempo e luogo, sangue d'una braciola! (Cala un gran colpo di tenaglia credendo di colpire il ban­cone, ma colpisce la mano valida di Agostino. Questi lancia un nuovo urlo e cade riverso sulla sedia).

Regina                             - Agosti. (Gli fa aria con delle carte).

Gaspare                           - Ma tu quante mani tieni che le trovo dappertutto? (Regina porge un fazzoletto al vec­chio, che fascia l'altro dito. Agostino, distrutto, si alza lentamente, china il capo dinanzi a Gaspare e si porta una mano alla nuca).

Agostino                          - Qua, datemi un colpo qua. Finitemi.

Gaspare                           - Agosti, pare che lo vado facendo ap­posta.

Agostino                          - Sì che lo fate apposta. Voi vi state vendicando del fatto delle bretelle. (Mostrando le mani ferite) E vi pare che un poveruomo sì mette a rapinare una banca in queste condizioni? (Si mette a sedere, desolato).

Regina                             - Agosti, fa quello che devi fare e spiccia­moci. Io non ce la faccio più.

Giuliana                           - Mammà, ho sete.

Agostino                          - E che faccio in queste condizioni? (Gli occhi al cielo) La famiglia! (Con un sospiro) Mettiamoci al lavoro, va! (Con le mani in aria, si china sulla cassetta) Papà, pigliate il cavetto. (Ga­spare esegue e va dietro ad Agostino che si avvi­cina alla parete di sinistra) Attaccate lì. (Gaspare attacca il filo a una sporgenza metallica del ban­cone e segue Agostino fino alla parete opposta) L'altra estremità qui. (Gaspare attacca il cavetto alla manopola della porta blindata) Non tendete troppo. Tiriamo dopo. (Il filo, adesso, descrive un semicerchio).

Gaspare                           - (osservando Agostino con le mani in aria) Agosti, fammi un piacere, abbassa le mani. Qua pare che da un momento all'altro dici « dominus vobiscum ».

Agostino                          - Le mani le debbo abbassare per forza. Datemi il martello. (Gaspare glielo porge. Agostino lo impugna alla meglio e incomincia a battere dei piccoli colpi contro la porta, incollandovi l'orec­chio) Vediamo dove sta il punto di minor resi­stenza. Regina, siediti sul cavetto.

Regina                             - E che debbo fare, l'altalena?

Agostino                          - E vedi se fa quello che uno le dice!

Regina                             - (mettendosi a sedere sul cavetto) Anime del Purgatorio... San Gioacchino e Santa Elisa­betta...

Gaspare                           - Agosti, questa non è zona terremotata...

Agostino                          - Papà, terremotata o no, non c'è porta o parete che non abbia un punto debole. (Batte altri colpi, questa volta più forti, contro la porta).

La Vedova                      - (dall'interno della camera blindata) Chi è?

Agostino                          - Chi ha parlato? (Gaspare e Regina si stringono nelle spalle) Avete sentito niente? (Stesso gesto. Batte col martello).

La Vedova                      - (c. s.) Che, è ora dì chiusura?

Gaspare                           - (con aria di trionfo) Mo ho sentito. Là dentro ci sta qualcuno.

Agostino                          - (battendo col martello) Ci sta qual­cuno?

La Vedova                      - (c. s. più forte) Vengo, vengo. Un'ul­tima prece e vengo.

Agostino                          - Ma 'sta voce non mi è nuova... (Forte) Scusate, signora, che ci fate lì dentro a quest'ora? La

Vedova                            - Avete ragione. Ma dovete compatire... Il dolore è forte e il tempo passa. Se fosse per me, io qua ci metterei una branda.

Agostino                          - Neh, ma dove ho sentito questa voce?

Gaspare                           - Pure a me mi pare che la conosco.

La Vedova                      - (c. s.) Eccomi qua. Potete aprire.

Agostino                          - Aprire? E' una parola. (Folgorato da un'idea) Signora, scusate, dalla parte vostra ci sta una manopola con tre spioncini, uno verde, uno giallo e uno rosso?

La Vedova                      - (c. s.) Sì, ci sta. Mi pare un semaforo.

Agostino                          - E allora, signora, dovete aprire dall'in­terno. (A Gaspare e a Regina) Questa porta fun­ziona col sistema Smith. (Alla Vedova) Signora, dovete fare il salto della quaglia?

La Vedova                      - (dopo una lunga pausa) Scusate, co­me avete detto?

Agostino                          - Per aprire la porta dovete fare il salto della quaglia.

La Vedova                      - (c. s.) Io? Vi pare che dopo la disgra­zia mi metto a fare il salto della quaglia?

Agostino                          - La disgrazia? Papà, che sia...

Gaspare                           - La vedova Altavilla...

Agostino                          - E che ci fa lì dentro? (Alla Vedova) Signora, quando dico il salto della quaglia, non è che vi dovete mettere a saltare. La

Vedova                            - Ah, meno male. Altavilla non me lo perdonerebbe mai.

Agostino                          - E' la vedova Altavilla. (Alla Vedova) Parlo con la vedova Altavilla? La

Vedova                            - Sì, ed io?

Agostino                          - Capece. Quello dei gatti.

La Vedova                      - (c. s.) Ma guardate che combinazione!

Agostino                          - Com'è che vi trovate lì dentro? La

Vedova                            - Mi hanno dimenticata.

Agostino                          - (stropicciandosi le mani) La Provvi­denza. Dio vede e provvede. (Alla Vedova) Signora, state attenta al salto della quaglia. Pigliate la manopola e fatela girare tre volte a destra e tre volte a sinistra. A ogni giro saltate un colore: prima il rosso, poi il verde e poi il giallo. Avete capito?

La

Vedova                            - Sì.

Agostino                          - E fate. (Incolla l'orecchio alla porta) E uno... e due... e tre! (Gira la manopola dall'esterno e la porta si apre lentamente).

La Vedova                      - (viene fuori a braccia aperte) Caro Capece! (A tutti) Cari Capeci... Meno male che vi siete trovati a passare voi. (Indicando la candela) Avete anche voi qualche parente qui?

Agostino                          - Magari.

La

Vedova                            - Come magari. Ringraziate invece Dio.

Agostino                          - Non vedo perché. Un parente qua vuol dire la sistemazione.

La Vedova                      - (con un urlo) Non lo dite! Voi non sapete quel che dite! Ma fate che uno di voi... (Guardando Gaspare) Voi, quanti anni avete?

Gaspare                           - Settantacinque.

La

Vedova                            - Eh, voi tra poco, anno più anno meno, qua venite a finire.

Gaspare                           - Alla mia età?

La

Vedova                            - Ma perché? (Piangendo) Solo io deb­bo piangere i miei morti?

Gaspare                           - Signora, scusate, va bene che la testa poco vi aiuta; ma che c'entra la mia età col fatto che io tra poco vengo a finire in una banca? La

Vedova                            - In una banca? Alla vostra età vi volete impiegare in una banca?

Gaspare                           - E' quello che dico pure io. La

Vedova                            - Ma che ci azzecca la banca?

Gaspare                           - Voi l'avete messa in mezzo. La

Vedova                            - Io? (Agli astanti) Io ho messo in mezzo la banca?

Agostino                          - Eh, sì. Scusate, ma com'è che vi tro­viamo lì dentro a quest'ora? La

Vedova                            - Ve l'ho detto. Sono stata dimenticata. Mi sono assorta in preghiera davanti al loculo del povero Altavilla e si vede che il guardiano ha chiuso la cappella senza accorgersi di me.

Agostino                          - (affacciandosi alla camera blindata) Il povero Altavilla lo avete messo in una cassetta di sicurezza?

La

Vedova                            - Cassetta di sicurezza? (Si osserva in giro, si porta una mano alla fronte) Gesù, Gesù, Gesù. (Urlando) La mia testa! Questa è la banca. Voi capite? Questa è la banca!

Gaspare                           - Eh, ve lo stiamo dicendo da mezz'ora. La

Vedova                            - Ma voi vedete. (Urlando) La disgra­zia! La mia testa. Dopo che vi ho lasciati, me ne sono venuta qua. Vedendo tutte quelle belle cas­sette allineate ho creduto di trovarmi nella cap­pella della confraternita. Ma come debbo fare?

Agostino                          - Vi dovete far curare, signora.

La Vedova                      - (guardando per terra) Gesù, Gesù. (Pausa) E facciamoci una bella risata, va. (Silen­zio. Urlando) Facciamoci una risata! (Ridono tutti, forzatamente). E mo che ci siamo fatti la risata, me ne vado. (Si alza) Voi siete il guardiano notturno?

Agostino                          - Insomma...

La

Vedova                            - Meno male, meno male. Se era un altro si poteva credere che avevo qualche cattiva intenzione. Voi, invece, sapendo che la testa poco mi aiuta, avete capito tutto. Beh, andiamo dai cimeli. (Si incammina verso la porta).

Agostino                          - Signora, è tardi, e il regolamento proi­bisce di aprire la porta principale. (Indicando la botola) Dovete servirvi dell'uscita di sicurezza.

La Vedova                      - Di là?

Agostino                          - Sì. Duecento metri a destra. Trovate quattro scalini, li salite, li spingete e vi trovate davanti a una salumeria. (Le dà la candela) Attenta dove mettete i piedi.

 La Vedova                     - Grazie assai. Buonanotte a tutti. Ci vediamo domani con le alici.

Agostino                          - Andate, andate.

La

Vedova                            - I gatti sono ritornati?

Agostino                          - Tutti quanti. Anzi, si sono portati appresso qualche compagno trovato ai Camaldoli.

La

Vedova                            - Quanto siete buono. (Fa per scen­dere. Si affaccia Tonino).

Agostino                          - Toni, dai una mano alla signora.

Tonino                             - Accomodatevi, signora. (La Vedova scende. Tonino sale).

Agostino                          - (affacciandosi) Signora, ricordatevi: duecento metri a destra. Con la testa vostra, non è che ve ne andate diritto...

La Vedova                      - (fuori di scena) Se vado che succede?

Agostino                          - Che sfociate a Licola.

Tonino                             - (alla vista della porta aperta) Gesù, è aperta! (Ad Agostino) Come avete fatto? (Entra nella camera blindata. Esce) Ci stanno una ventina di candele accese sotto una cassetta.

Agostino                          - (entrando nella camera blindata seguito da Gaspare) Sono le candele per Altavilla.

Gaspare                           - (gli occhi al cielo) Aitavi, grazie. (Entra con Agostino. Giuliana ha l'aria sofferente).

Giuliana                           - Mammà, ho sete.

Regina                             - Figlia mia, da un'ora tieni sete.

Giuliana                           - E' sempre quella. Cercate di trovarmi un po' d'acqua.

Regina                             - Ma qua stiamo in una banca.

Giuliana                           - E nelle banche non ci sta un gabi­netto?

Regina                             - (gridando) Agosti, nelle banche ci stanno i gabinetti?

Agostino                          - (gridando, fuori di scena) Sta qua, in fondo.

Regina                             - (incamminandosi) Ma come, nella ca­mera blindata?

Agostino                          - (c. s.) E va a capire. Purché mettono sotto chiave, pure i gabinetti... (Regina entra nella camera blindata. Trilla il telefono).

Giuliana                           - Papà, il telefono.

Agostino                          - (entrando in scena) Vuoi scommet­tere che è Mastellone che va trovando ancora casa Grieco? (Al telefono) Pronti?

Una voce                         - Pronto. Bar Giliberti?

Agostino                          - (a Giuliana) Ho perduto la scommes­sa. (Al telefono) No, avete sbagliato numero.

Una voce                         - Scusate tanto. Ma con chi parlo?

Agostino                          - Credito Meridionale.

Una voce                         - Ah, siete voi?

Agostino                          - Siete voi? Mastello, mi dovete spie­gare una cosa; com'è che fate casa Grieco e bar Giliberti sempre qua venite a finire.

Una voce                         - E se voi siete uomo, mi dovete ripe­tere quel che mi avete detto prima.

Agostino                          - Che siete fesso?

Una voce                         - Eh.

Agostino                          - Siete fesso.

Una voce                         - Consideratevi querelato. Mi dovete soddisfazione. E ringraziate la mia asma bronchiale se non esco subito a farvi una faccia di pacchere.

Agostino                          - (vivamente interessato) Avete l'asma bronchiale?

Una voce                         - Perché, avete qualcosa da ridire anche su quella?

Agostino                          - No, per carità. Mastello, per mia scienza: voi suonate per caso il clarinetto?

Una voce                         - Come sarebbe?

Agostino                          - Vi piacerebbe suonare il clarinetto?

Una voce                         - Mo volete pure sfottere? Ci vediamo in tribunale! (Riattacca).

Agostino                          - Un momento... Mastellone... Mastello. (Riaggancia. Rientra nella camera blindata incro­ciandosi con Regina che procede come una son­nambula, sorreggendo un bicchiere vuoto).

Giuliana                           - Mammà, che è stato?

Regina                             - (estasiata) Figlia mia, ho camminato su un tappeto di biglietti da diecimila... titoli... buoni di tesoro... braccialetti... collane...

Giuliana                           - E l'acqua?

Regina                             - (guarda il bicchiere e realizza) Me la sono bevuta io, per l'emozione.

Giuliana                           - (piagnucolando) Mammà, ho sete.

Regina                             - (precipitandosi) Mo te la vado a pigliare.

Giuliana                           - (lamentosa) E non guardate. Chiu­dete gli occhi. (Di colpo strabuzza gli occhi e si porta una mano al ventre) Buono figlio mio bello. Nasci ricco, nasci ricco... (Rientra Regina di corsa con l'acqua. Giuliana beve avidamente. Entrano Agostino, Gaspare e Tonino, curvi sotto il peso dei sacchi).

Gaspare                           - Agosti, è poco. Di là ci sta ancora tanta grazia di Dio.

Agostino                          - Papà, non fate storie. Abbiamo supe­rato quanto stabilito. (Preceduta da invocazioni di aiuto, spunta dalla botola la vedova Altavilla, terrorizzata. Porge le mani). La

Vedova                            - Aiutatemi. Madonna mia, datemi una mano. (L'aiutano a salire. Si mette a sedere. Si dà aria con un buono del tesoro che spunta da un sacco).

Agostino                          - Che è stato?

La Vedova                      - (ad Agostino) Ho fatto come avete detto voi. Duecento metri, a destra... E chi ci è potuta arrivare? Io stavo per raggiungere gli sca­lini quando un gatto nero, zac!, mi ha tagliato la strada. (Una mano sul cuore) Madonna!

Agostino                          - Un gatto nero?

La Vedova                      - Eh! (Si dà aria col buono del tesoro).

Agostino                          - Ma siete sicura che era nero? La

Vedova                            - Pece... Nero come la pece. (Agostino depone il sacco per terra, imitato da Gaspare e Tonino).

Agostino                          - E va bene... Un gatto nero... Non capi­sco... (Pausa) Voi siete superstiziosa?

La Vedova                      - (con un gesto significativo) Eeeeh! (Si dà aria col buono del tesoro) Ma che è? Un buono del tesoro?

Agostino                          - Eh.

La

Vedova                            - Avete fatto un prelievo?

Agostino                          - Sissignora.

 

La Vedova                      - (gettando uno sguardo nell'interno dei tre sacchi) Alla faccia del prelievo.

Agostino                          - Ci dobbiamo cautelare, signora mia. Ci sta la congiuntura e i soldi non bastano mai. Ma, scusate, non usciamo dal seminato. Mo col fatto del gatto nero, che intenzioni avete? La

Vedova                            - Io non ci passo, se prima non ci passa qualcuno.

Agostino                          - Signora bella, consentitemi: a parte il fatto che è un poco difficile che qualcuno si trova a passare a quest'ora sotto Napoli, la super­stizione è... è... Papà, dite voi, che è la supersti­zione?

Gaspare                           - Hai ragione, Agosti... La superstizione è... è la superstizione.

Agostino                          - (alla Vedova) E poi, scusate, vogliamo ragionare? Voi dite: un gatto nero, porta male. Ma voi il guaio l'avete già passato, il povero Alta­villa la risata se l'è fatta e pace all'anima sua. Che altro vi può succedere?

La

Vedova                            - Voi scherzate! Posso andare sotto un tram; mi posso fratturare un femore. Per carità. (Pausa) Voi non siete superstizioso?

Agostino                          - (subito, naturale) Io? Sì. La

Vedova                            - Lo vedete?

Agostino                          - Ma che c'entra. Io non ho fretta. Siete voi che dovete andare a chiudervi tra ij cimeli.

La

Vedova                            - Se è per me, aspetto l'apertura, do­mani mattina.

Agostino                          - Sì, buonanotte. La

Vedova                            - Buonanotte.

Agostino                          - No, dico, noi dobbiamo ragionare. Voi vi eravate avviata? E voi dovete passare per prima.

La

Vedova                            - Noo! (Pausa lunga).

Agostino                          - Era nero? La

Vedova                            - Pece.

Agostino                          - Grosso?

La Vedova                      - (allargando le braccia) Così.

Agostino                          - Una pantera. (Pausa lunga. Agostino guarda Gaspare). Papà.

Gaspare                           - Di', Agosti, di'...

Agostino                          - A gennaio fate settantasei anni.

Gaspare                           - Con buona salute. La

Vedova                            - Auguri anticipati.

Gaspare                           - Grazie, signora.

Agostino                          - (a Gaspare) La gastrite. Avete la gastrite cronica.

Gaspare                           - (sospirando) Eeeh.

Agostino                          - Il fegato si è ingrossato e qualche volta vi piglia pure un poco di aritmia.

Gaspare                           - (sospirando) Eh, figlio mio. Sto ingua­iato.

Agostino                          - Diciamo pure che state più di là che di qua.

Gaspare                           - (facendo corna con le dita) Agosti, dove vuoi arrivare?

Agostino                          - (giungendo le mani) Papà, vi chiedo un sacrificio in nome della famiglia. (Indica lai botola).

Gaspare                           - (ritraendosi) Io? Per carità! |

Agostino                          - Che avete da perdere?

Gaspare                           - Ma come, mi vuoi far andare sotto un tram? Mi debbo scassare un femore?

Agostino                          - Vi faccio curare. Mo abbiamo i mezzi.

Gaspare                           - Agosti, vedi dove devi andare! (Pausa lunga).

Agostino                          - (alla Vedova) Pece...

La

Vedova                            - Pece!

Agostino                          - Non è che teneva qualche macchia bianca sul petto...

La

Vedova                            - Niente. Tutto nero.

Agostino                          - (con tono sciolto) Toni, sai che devi fare? Devi tornare dall'avellinese.

Tonino                             - Io? E perché?

Agostino                          - Ma come, non te l'ho spiegato prima? Dobbiamo riattaccare i fili.

Tonino                             - A me non mi avete detto proprio niente.

Agostino                          - Embe', te lo dico adesso.

Tonino                             - Adesso non vale più.

Agostino                          - Perché?

Tonino                             - Perché no.

Agostino                          - Ma scusa, tu che hai l'aspetto dell'in­tellettuale sei pure superstizioso?

Tonino                             - Eh.

Agostino                          - No, figlio mio, fai schifo. Uno che porta il basco in testa e gli occhiali non si può permettere di essere superstizioso. (Alla Vedova) Dico bene o dico male?

La

Vedova                            - Perché, i superstiziosi debbono por­tare una divisa particolare?

Agostino                          - Signora, vi volete fare i fatti vostri? La

Vedova                            - E voi mi avete posta una domanda.

Agostino                          - Ve l'ho posta per sentirmi dare ra­gione. Voi invece la date a lui. La

Vedova                            - Perché ce l'ha lui, scusate.

Agostino                          - Voi che ne sapete? La

Vedova                            - Perché è superstizioso. (A Tonino) Giovane, siete superstizioso?

Tonino                             - Assai.

La

Vedova                            - E allora ha ragione lui.

Agostino                          - Signora, anche se ce l'ha, voi dove­vate dare ragione a me. Il ragazzo è un poco fesso, io lo stavo convincendo, vi ho chiesto di darmi una mano e voi ve ne venite con la divisa. (Minac­cioso) Noi la notte la passiamo qua dentro. La

Vedova                            - La compagnia è bella. (Agostino pas­seggia nervosamente).

Agostino                          - (a Giuliana) Bella di papà, tu sei super­stiziosa?

Giuliana                           - No. Ho sete.

Agostino                          - A parte la sete, sei superstiziosa?

Giuliana                           - No. (Tonino, Gaspare e Agostino le si fanno intorno. Regina la protegge col proprio corpo).

Regina                             - Che le volete fare alla figlia mia?

Agostino                          - (con intenzione) Regina, noi ce ne dobbiamo andare, hai capito? Il prelievo è fatto e ce ne dobbiamo andare.

Regina                             - E vuoi far passare la figlia mia per dove è passato un gatto nero?

Agostino                          - Ma la figlia tua non è superstiziosa.

Giuliana                           - (alzandosi) Ci passo io... Voglio andare alla Maternità... Scendo io... (Incomincia a scendere. Il ventre la blocca).

Agostino                          - (premendo sulle sue spalle) Non respi­rare, figlia mia... Trattieni il fiato...

Regina                             - (cercando di distarglielo) Tu ammazzi il creaturo...

Gaspare                           - (dandosi da fare) Agosti, bisogna avvi­tarla...

Regina                             - Giuliana, figlia mia! (Confusione gene­rale, Agostino e Tonino cercano di far scendere Giuliana, che si lamenta; Regina fa del suo me­glio per allontanare gli uomini.

Giuliana                           - (piangendo a dirotto) Non ce la fac­cio... Non ce la faccio. (Con un ultimo sforzo, Regina caccia via gli uomini e aiuta la figlia a risalire. La fa sedere).

Regina                             - (agli uomini) Delinquenti!

Giuliana                           - (col solito tono) Mammà, ho sete... (Agostino si guarda in giro, si stringe la cinghia dei calzoni, ha l'aria di chi abbia preso una grave decisione).

Agostino                          - E va bene. (Pausa) Vado io. (Pausa) Vado io. (Pausa lunga) Scusate, ci fosse uno che dicesse grazie!...

Tonino                             - Papà, a vostro rischio e pericolo... (Ago­stino mette le mani a tenaglia, come a volerlo strozzare, ma si trattiene in tempo. Dà un ultimo sguardo in giro e scende. Non fa in tempo a scom­parire, che lancia un grido. Tutti si precipitano intorno all'apertura e lo tirano su).

Gaspare                           - Agosti, che è stato?

Tonino                             - Papà, vi siete fratturato il femore?

Agostino                          - (saltellando in giro su un piede solo) La caviglia... La caviglia... Madonna mia! Man­naggia i gatti!

La

Vedova                            - I neri, però, i neri.

Agostino                          - (alla Vedova) Mannaggia i gatti, man­naggia la razza vostra, mannaggia la buonanima di Altavilla!

La Vedova                      - (insorgendo) Altavilla, Altavilla avete detto? (Con un urlo acutissimo) Aaaah!

Agostino                          - (stringendosi la caviglia) Aaaah!

Giuliana                           - (premendosi il ventre) Aaaah! Mam­mà, ci siamo! Aàaah!

Regina                             - Sei sicura, bella di mammà?

Giuliana                           - Il figlio mio sta per nascere!

Regina                             - Gesù, Giuseppe, Sant'Anna, San Gioac­chino...

Giuliana                           - Aaaah!

Agostino                          - Qua? Lo vuoi fare qua dentro?

Regina                             - (alla Vedova) Signora, datemi una mano; portiamola di là.

La

Vedova                            - Prima vostro marito deve ritirare l'offesa al povero Altavilla...

Regina                             - Agosti, ritira.

Agostino                          - Ritiro, ritiro. Quant'è bella la buona­nima dì Altavilla. (A Giuliana) Ma sei sicura? (Si alza, grida di dolore poggiando il piede ferito) Non è un falso allarme?

Giuliana                           - Il figlio mio! Il figlio mio! (Si muove, inciampa in un sacco che lascia uscire buoni del tesoro, titoli e banconote) Il figlio mio nasce tra la ricchezza. (Tutti la sollevano e la portano di peso nella camera blindata. La scena resta vuota qualche istante. Dalla camera blindata perviene un vocio confuso, grida, esortazioni alla calma, ecc. Rientra Agostino, zoppicante, le mani in aria. Consulta febbrilmente l'elenco telefonico).

Agostino                          - (sfogliando il librone) Matacena... Matarazzo... Maternità! (Forma un numero. Qualche attimo di attesa).

Una voce                         - Pronto?

Agostino                          - Pronto. Dottore, professore?

Una voce                         - Professore. Dite.

Agostino                          - Mia figlia sta per sgravare.

Una voce                         - Auguri, caro amico. Ma io che ci posso fare?

Agostino                          - Dovete correre subito.

Una voce                         - Ma io non posso...

Agostino                          - E' urgente. Piazza Europa, imboccate via Cilea e vi fermate alla prima traversa dopo la farmacia. Ci sta una salumeria. Sollevate il tom­bino, scendete e vi fate duecento metri a sinistra. Io lascio una candela vicino alla botola, così non vi potete sbagliare.

Una voce                         - Ma scusate, voi chi siete?

Agostino                          - Il padre, professore, il padre.

Una voce                         - Scusate, a parte il fatto che io non sono medico, 'sta figlia vostra la portate a sgra­vare nelle catacombe?

Agostino                          - Nossignore, sto al Credito Meridio­nale. (Realizzando) Non siete medico?

Una voce                         - (realizzando) Al Credito Meridionale? (Pausa) Ah!

Agostino                          - (realizzando) Mastellone!

Una voce                         - Eh, Mastellone!

Agostino                          - Neh, Mastello, e voi che ci fate alla Maternità?

Una voce                         - Io sto a casa mia, perdìo. Come vedete, non sono il solo a sbagliare numero.

Agostino                          - Che c'entra? Maternità e Mastellone stanno vicini... Voi, invece... casa Grieco, bar Giliberti... Insomma, gira e rigira, voi state sempre dentro il telefono. (In un impeto di rabbia. Pian­gendo) Mastello, siete la schifezza degli utenti! (Riaggancia con rabbia e, zoppicando, dolorante, rientra nella camera blindata).

ATTO TERZO

La stessa scena del secondo atto, l'indomani mat­tina. Sulla corda sono stesi ad asciugare fazzoletti, buoni del tesoro, titoli azionari, ecc. La saracinesca della porta d'ingresso viene sollevata dall'esterno. La porta a vetri si apre; entra il direttore, un uomo sulla cinquantina, occhialuto, con pastrano e cap­pello. Egli ripone in tasca le chiavi e dà un'oc­chiata ai titoli del giornale. Muove qualche passo nell'interno, urta nel cavetto, solleva lo sguardo dal giornale e resta come inebetito alla vista di quello spettacolo. Si toglie gli occhiali, si stropic­cia gli occhi, si rimette gli occhiali, si guarda in giro. Tonino affaccia il capo dalla camera blindata.

Tonino                             - (verso l'interno) Hanno aperto.

 

Regina                             - (fuori di scena) E spicciati. Corri.

Tonino                             - (al Direttore) Scusate, ragioniere, ci sta una farmacia qua vicino?

Il Direttore                      - (come un automa) Sì... all'angolo.

Tonino                             - (precipitandosi verso l'uscita) Grazie. (Si arresta) Vi trovate mille lire spicciole?

Il Direttore                      - (c. s.) Mo vediamo. (Mette una  mano in tasca).

Tonino                             - Perdonate la libertà, ma col quarantotto di stanotte non sappiamo dove mettere le mani. Secondo voi mille lire bastano per comperare un biberon e un barattolo di latte in polvere?

Il Direttore                      - (come in trance) Un biberon...

Tonino                             - E latte in polvere.

Il Direttore                      - Dovrebbero bastare.

Tonino                             - Meno male. Allora, ve le trovate?

Il Direttore                      - Me ne trovo cinquemila.

Tonino                             - Vi porto il resto. Vi fidate? (// Direttore annuisce. Tonino afferra la banconota ed esce di corsa. Il Direttore, sempre inebetito, si avvicina alla porta della camera blindata e la fa girare sui cardini. Ne escono Regina e la vedova Altavilla, che vanno a tastare quel che è appeso sul cavetto).

La Vedova                      - (en passant, al Direttore) Buon­giorno.

Il Direttore                      - Buongiorno. La

Vedova                            - Siete un impiegato?

Il Direttore                      - No, sono il direttore. La

Vedova                            - Ah, giusto voi! Diretto', il creaturo patisce. Il riscaldamento qua dentro fa difetto. (Regina rientra di corsa nella camera blindata con qualche fazzoletto).

Il Direttore                      - Provvederemo, signora. La

Vedova                            - E' nato un maschietto, sapete?

Il Direttore                      - Auguri.

La Vedova                      - (radunando dei titoli azionari) Vi volete fare una risata?

Il Direttore                      - (inebetito) Sì. La

Vedova                            - Sono venuta in banca a dire delle preci davanti al loculo del povero Altavilla.

Il Direttore                      - (portandosi una mano alla fronte) Ah.

La

Vedova                            - Vi siete fatta la risata?

Il Direttore                      - No. La

Vedova                            - Ma come, il loculo...

Il Direttore                      - A me i loculi non mi fanno ridere, La

Vedova                            - Diretto, dove stanno i loculi?

Il Direttore                      - Al cimitero. La

Vedova                            - E invece no. (Indicando a destra) Di là.

Il Direttore                      - (mettendosi a sedere) Là ci sta' un loculo?

La

Vedova                            - In testa a me, diretto! E se voi non afferrate subito, la risata come ve la fate? Diretto: il loculo in banca... invece della cassetta di sicu­rezza. (Pausa lunga. Lo osserva. Urlando) A me la testa poco mi aiuta!

Il Direttore                      - (comprimendosi la fronte) E pure a me, signora, pure a me.

La Vedova                      - (gridando) Io ho scambiato per lo­culo la cassetta del povero Altavilla.

Il Direttore                      - (spento) Chi è il povero Alta­villa?

La

Vedova                            - Il mio defunto marito.

Il Direttore                      - Signora, qua non ci stanno cas­sette intestate Altavilla. La

Vedova                            - Volete scherzare?

Il Direttore                      - E chi meglio di me lo può sapere?

La Vedova                      - (cavando un tesserino dal seno) E questo tesserino, allora?

Il Direttore                      - (dando uno sguardo al tesserino) Signora, il loculo... la cassetta la tenete alla Banca di Roma.

La

Vedova                            - E questa non è la Banca di Roma?

Il Direttore                      - No, questo è il Credito Meridio­nale.

La

Vedova                            - Uh, Gesù, ma voi vedete... (Andando verso la camera blindata) La testa mia... Don Agosti, mo vi faccio fare una risata.

Regina                             - (uscendo dalla camera blindata) Vi dispiace favorirmi il pastrano?

Il Direttore                      - (alzandosi) Che ne dovete fare?

Regina                             - Il povero creaturo si muore di freddo.

Il Direttore                      - (sfilandosi il pastrano) Per carità, non lo facciamo morire. (Dà il soprabito a Regina, la quale rientra nella camera blindata, poi, come un automa, esce in strada e guarda la facciata, leggendo a voce alta) Credito Meridionale. (Rien­tra, malfermo sulle gambe, una mano sulla fron­te) Madonna! (Dalla camera blindata esce Ago­stino e gli grida a bruciapelo alle spalle).

Agostino                          - E' un maschio! (Il Direttore lancia un grido, si porta una mano al cuore e crolla su una sedia) Mia figlia s'è sgravata! Ce l'avete una bilancia?

Il Direttore                      - (sul punto di piangere) No, non la tengo la bilancia.

Agostino                          - (una mano sulla spalla, confortandolo) Non fa niente, non è il caso di mortificarsi. A occhio e croce pesa quattro chili.

Il Direttore                      - (c. s.) Cent'anni di salute. Ma dove ha sgravato vostra figlia?

Agostino                          - Di là.

Il Direttore                      - Nel loculo...

Agostino                          - Pure voi con questo loculo?

Il Direttore                      - Scusate un'informazione: questa è sempre l'agenzia del Credito Meridionale?

Agostino                          - Sissignore. Voi siete un cliente?

Il Direttore                      - No, sono il direttore.

Agostino                          - Che combinazione. (Presentandosi) Agostino Capece, piacere.

Il Direttore                      - Ditemi una cosa, Capece, com'è che vostra figlia l'avete portata a sgravare al Credito Meridionale?

Agostino                          - Non l'ho portata, diretto. Ci siamo trovati.

Il Direttore                      - Ah, trovati. Vi siete trovati a passare davanti all'agenzia e avete pensato: mo porto mia figlia a sgravare nel Credito Meridionale.

Agostino                          - No, no. (Indicando) Il tombino...

Il Direttore                      - Siete passato dal tombino per farla sgravare qua.

Agostino                          - Be', lo scopo preciso non era quello. E' capitato, mi seguite? Quella è uscita di conto e dove le va a capitare di uscire di conto?

Il Direttore                      - Al Credito Meridionale.

Agostino                          - Oh, mo state realizzando! Sbrigata l'incombenza, stavamo per andarcene quando è capitato il gatto nero.

Il Direttore                      - (slacciandosi il colletto) Eh già, il gatto nero.

Agostino                          - Voi ci sareste passato? In coscienza.

Il Direttore                      - In coscienza, no.

Agostino                          - Oh! Ed ecco perché ci trovate ancora qua.

Il Direttore                      - (una mano sul cuore e l'altra sulla fronte) Vi trovate un'aspirina? (Entra Tonino, con dei pacchi).

Tonino                             - (dando i pacchi ad Agostino) Il bibe­ron, il latte in polvere e, dato che il ragioniere è stato così gentile, ho preso pure un po' di me­renda. (Al Direttore) Ragioniere, qua ci stanno cento lire di resto.

Il Direttore                      - (a Tonino) Giovane, me lo fate un piacere?

Tonino                             - Agli ordini vostri.

Il Direttore                      - Non mi chiamate ragioniere.

Tonino                             - Non siete ragioniere?

Il Direttore                      - No, sono dottore in legge.

Tonino                             - Che peccato.

Agostino                          - Toni, il fornello l'hai preso?

Tonino                             - Quale fornello?

Agostino                          - Il latte come lo facciamo bollire? Ani­male!

Il Direttore                      - (a Tonino) Eh!

Tonino                             - Quanto può costare un fornello?

Agostino                          - Che può costare? Mille, duemila lire.

Tonino                             - (al Direttore) Scusate, vi trovate...

Il Direttore                      - (subito) Me ne trovo altre cin­quemila.

Tonino                             - Troppe.

Il Direttore                      - Il resto me lo portate in aspirina.

Tonino                             - Sarete servito. (Via di corsa dalla porta di fondo. Agostino, carico di pacchi, si avvia verso la camera blindata).

Agostino                          - Favorite con noi?

Il Direttore                      - Grazie, al mattino piglio solo il caffè.

Agostino                          - Senza complimenti.

Il Direttore                      - Ma vi pare. (Agostino entra nella camera blindata. Il Direttore si alza, avanza guar­dingo verso destra, si arresta sulla soglia. Si ode il pianto di un neonato; il Direttore arretra. Dalla strada, intanto, è entrato un individuo corpulento e sanguigno).

Mastellone                       - Ah, eccovi qua! (Il Direttore sus­sulta, si volta, osserva lo sconosciuto). Io sono il fesso di stanotte. (Il Direttore lo fissa con occhi vitrei) Il fes-so di stanotte. (Il Direttore allarga le braccia) Mo me lo dovete ripetere in faccia.

Il Direttore                      - Che vi debbo ripetere?

Mastellone                       - Che io sono fesso.

Il Direttore                      - Debbo ripeterlo per forza?

Mastellone                       - Se siete uomo, sì!

Il Direttore                      - (rassegnato) Voi siete fesso.

Mastellone                       - (soddisfatto) Questo volevo sen­tire!

Il Direttore                      - Contento voi...

Mastellone                       - Adesso mi darete soddisfazione... in tribunale.

Il Direttore                      - Io? E perché?

Mastellone                       - Perché mi avete chiamato fesso.

Il Direttore                      - Me l'avete chiesto voi... (Una mano sulla fronte) Ve la trovate un'aspirina?

Mastellone                       - Aspirina? Qui tra poco mi vedete ricomparire con la carta da bollo. Ingiuria e dif­famazione. Non solo, ma stanotte ho fatto bloc­care il telefono... In tribunale! (Uscendo) In tri­bunale! (Esce incrociandosi con Tonino).

Tonino                             - (dando un pacco al Direttore) Qua stan­no tremila lire di aspirina.

Il Direttore                      - La Madonna ve lo renda.

Tonino                             - Resto a darvi diecimila lire.

Il Direttore                      - Con vostro comodo.

Tonino                             - Grazie. Vado a fare un po' di merenda. Favorite con noi?

Il Direttore                      - Buon appetito. (Tonino entra nella camera blindata. Il Direttore disfa l'involto, apre con mani tremanti un tubetto di aspirina e ne mastica due. Sì riaffaccia Mastellone).

Mastellone                       - (con voce tonante) Dov'è il ta­baccaio?

Il Direttore                      - (strozzato) Appena girato l'angolo a sinistra. (Mastellone va via. Il Direttore prende ancora un'aspirina e si dà aria col giornale. Da destra entra Gaspare, osserva il Direttore da vi­cino, poi fa cadere lo sguardo sul giornale. Il Di­rettore, allibito, smette di masticare).

Gaspare                           - (indicando il giornale) Permettete? (// Direttore glielo porge con un movimento da automa. Gaspare se lo sistema sul ventre e rientra nella camera blindata. Il Direttore resta a lungo a osservare il vuoto dinanzi a sé, si scuote, si dà buffi sulle guance, si alza, si avvicina al tele­fono, solleva il cornetto e resta in muta contem­plazione del dischetto numerato. Da destra entra Agostino).

Agostino                          - Che è, direttore, vi vedo indeciso...

Il Direttore                      - L'avete detto. Da chi comincio: manicomio, medico, polizia?

Agostino                          - E voi volete scomodare tutta questa gente? Parlate; che volete sapere?

Il Direttore                      - Voglio appurare se questo è il reparto Maternità o il Credito Meridionale; vo­glio sapere voi chi siete, come siete entrato e che ci fate.

Agostino                          - Oh, rispondo io. Il mio nome ho avuto il piacere di dirvelo: Agostino Capece. Il resto della famiglia sta tutta di là. Come siamo entrati? Pure questo lo sapete: dal tombino. Che ci fac­ciamo? (Con un sorriso, scuotendo le mani giun­te). Diretto, vi pare il caso che uno mo si mette a fare giochi di parole o a trovare scuse bizan­tine... Uno perché entra di notte in una banca?

Il Direttore                      - Per rapinarla...

Agostino                          - (logico) Eh!

Il Direttore                      - Dunque, confessate...

 

Agostino                          - A voi sì.

Il Direttore                      - (apprestandosi a formare il numero) A me e alla polizia.

Agostino                          - Eh, no, alla polizia no, scusate. Di­retto, posate quel telefono. (Il Direttore resta unì attimo indeciso, poi riattacca) Voi non potete denunciarmi per rapina.

Il Direttore                      - Non posso?

Agostino                          - Eh, no. Scusate, che vi manca?

Il Direttore                      - Che mi manca?... Si... si vedrà.

Agostino                          - Ecco, prima dovete vedere - verifìcare - e poi denunciate, se è il caso. Diretto, ragioniamo. Avete detto di essere dottore in legge. Quali sono i reati che potete configurare?

Il Direttore                      - Vi basta la rapina?

Agostino                          - Rapina? Non ci è stata. Se vi degnate di fare un bell'inventario - magari vi dò una mano io - vi accorgerete che da questa banca non è uscito niente. Quindi niente rapina, e meno che meno a mano armata perché tutto quello che mi sono portato sta qua: un martello, un cacciavite e una tenaglia...

Il Direttore                      - Innanzitutto c'è l'effrazione.

Agostino                          - Niente affatto. La porta della camera blindata è stata aperta dall'interno, senza il con­corso di piedi di porco, fiamma ossidrica o esplo­sivi. Semmai, dovreste licenziare l'impiegato che ha chiuso dentro una cliente e pregare Dio che la vedova Altavilla non denunci la banca per sequestro di persona.

Il Direttore                      - Allora ci sta l'invasione di domi­cilio.

Agostino                          - Siete fuori strada. Io non ho invaso: mi sono servito del boom edilizio.

Il Direttore                      - Mo la colpa è del boom edilizio?

Agostino                          - Sissignore. Il tombino...

Il Direttore                      - Il tombino doveva essere chiuso il mese prossimo.

Agostino                          - Io invece l'ho trovato aperto. Me ne andavo facendo quattro passi sotto Napoli coni la famiglia...

Il Direttore                      - Ma come, sotto Napoli?

Agostino                          - Nessuna legge lo proibisce. Passeggiando passeggiando, vedo un tombino, lo sollevo e mi trovo in un locale. Siccome sono in possesso del certificato di senzatetto, mi appello al decreto  luogotenenziale numero 265 del maggio 1946 ratificato dal Parlamento in data 12 aprile 1949 e mi accampo in un locale disabitato.

Il Direttore                      - Questo non è un locale disabitato. E' una banca.

Agostino                          - Una banca vista dalla strada; ma spuntando dal sottosuolo è un locale disabitato, Ho il certificato e tengo una figlia prossima al partorire. Diretto, io sto in una botte di ferro,

Il Direttore                      - Insomma, vi debbo fare le miei scuse.

Agostino                          - No, dovete ringraziare il gatto.

Il Direttore                      - Perché senza il gatto che sarebbe successo?

Agostino                          - Che questa mattina vi trovavate coni duecento milioni in meno.

Il Direttore                      - Allora lo ammettete?

Agostino                          - Davanti a voi, sì.

Il Direttore                      - Davanti a me o a un altro, non ha importanza. Eppure voi non avete la faccia del delinquente.

Agostino                          - Infatti, faccio l'inventore.

Il Direttore                      - Non vi vergognate, allora?

Agostino                          - Di che?

Il Direttore                      - Di rapinare una banca!

Agostino                          - E che è una banca, diretto? La banca non ha una faccia, non ha un nome. Banca è una astrazione; come dire: disoccupazione, patriotti­smo, boom edilizio... Rapinare una banca non è come mettere le mani in tasca a un uomo in autobus.

Il Direttore                      - Amico bello, il comandamento e la legge non dicono: « Non rubare al passeggero dell'autobus, ma alla banca sì ». Dicono: « Non rubare » e basta.

Agostino                          - Lo vedete? Un'altra astrazione. Quan­do il comandamento è stato fatto, quelli erano quattro pezzenti che vivevano sotto le tende, si conoscevano tutti quanti, sapevano vita e miracoli l'uno dell'altro. Il comandamento è anteriore alle banche, tanto è vero che nessuno le chiude in nome del comandamento.

Il Direttore                      - Vorreste dire che le banche sono fatte per rubare?

Agostino                          - Io? Per carità! Però un fatto è certo, che da quando ci stanno le banche, la gente ha trovato un posto sicuro per metterci i soldi che ruba. (Con un sorriso, a mani giunte) Ma come, diretto, invece di essere contento che vi è andata bene... Voi ci pensate? Questa mattina, potevate trovarvi con duecento milioni mancanti e invece no, come se niente fosse successo. E grazie a chi? A un gatto nero. Vedete, la vita, le cose importanti della vita, le dobbiamo qualche volta a piccoli parti­colari che pare non abbiano nessuna importanza. Che è un gatto nero? Una povera bestia affamata che se ne va a caccia di topi nelle fognature. Eppure a quel gatto voi siete debitore di duecento milioni e io il piacere di avervi conosciuto.

Il Direttore                      - Il piacere è solo vostro.

Agostino                          - Eh, no, è reciproco, perché tra poco vi farò strabiliare. Come ho avuto il piacere di dirvi, io faccio l'inventore. Direttore, concentra­tevi: quanti uomini di genio, inventori, scrittori, scienziati, sono morti senza donare all'umanità il frutto della loro mente? Migliaia. E perché? Perché gli è mancata l'occasione. Mi spiego: io, Agostino Capece, isolato, sono un illustre scono­sciuto; voi, isolato, siete un direttore di banca. Ma grazie a un tombino dimenticato e a un gatto nero - l'occasione - eccoci uniti tutti e tre.

Il Direttore                      - (guardandosi intorno) Chi è il terzo?

Agostino                          - Il clarinetto a pedale. (Pausa lunga. Il Direttore lo fissa in silenzio).

Il Direttore                      - (con un fil di voce) Il clarinetto a pedale... (Agostino annuisce. Il Direttore si getta in gola un'aspirina).

 

Agostino                          - Diretto, al fatto. Mettiamo che voi siete nato figlio di suonatore di strumento a fiato, ereditando la vocazione paterna. Papà vostro suo­nava il clarinetto...

Il Direttore                      - Papà mio buonanima faceva il notaio.

Agostino                          - Stiamo facendo un esempio. Dunque, papà vostro buonanima suonava il clarinetto.

Il Direttore                      - Papà mio buonanima faceva il notaio.

Agostino                          - E dàlie! Me lo prestate un momento per fare un esempio?

Il Direttore                      - (gridando) No!

Agostino                          - (incrociando le braccia) E io senza papà vostro l'esempio non lo posso fare.

Il Direttore                      - (esplodendo) E va bene, piglia­tevi pure a papà mio. (Si fruga in tasca) Pigliatevi il portafoglio! L'orologio! (Se lo sfila) Anzi, mo mi metto mani in alto e vi pigliate quello che vi pare!

Agostino                          - Eh, no, diretto, non dovete mortifi­carmi. Io solo un esempio vi debbo fare...

Il Direttore                      - E per fare un esempio vi dovete pigliare per forza a papà mio? Il padre di un altro non vi sta bene?

Agostino                          - Di chi?

Il Direttore                      - Di uno qualunque, che ne so! Uno deve fare un esempio? Fa e dice: « Pigliamo un padre... ».

Agostino                          - Eh, no, scusate, io l'esempio lo devo fare concreto.

Il Direttore                      - (rassegnato, mettendosi a sedere) E va bene, pigliatevi papà mio.

Agostino                          - (soddisfatto) Oh. (Pausa) Io poi ve rido. Dunque, da papà vostro avete ereditato la vocazione per il clarinetto. Ma può essere pure per l'oboe, il flicorno, il flauto... Uno strumento a fiato, insomma.

Direttore                          - Ho capito. Ma fatemi il piacere di dirmi dove mi volete portare assieme a papà mio.

Agostino                          - All'asma bronchiale.

Il Direttore                      - (una mano sulla fronte) Madon­na! (Manda giù un'altra aspirina).

Agostino                          - Diretto, con l'asma bronchiale potete suonare il clarinetto?

Il Direttore                      - No.

Agostino                          - E allora che fate?

Il Direttore                      - Mi metto a suonare la chitarra.

Agostino                          - No, la vocazione per il clarinetto è irresistibile.

Il Direttore                      - E allora mi sparo. (Gridando) Quant'è vero Iddio mi sparo!

Agostino                          - No. Ricorrete al clarinetto a pedale di Agostino Capece. Diretto, seguitemi. Io dietro le spalle vi sistemo una bombola d'aria compressa e ve la collego mediante un boccaglio allo stru­mento.

Il Direttore                      - Ma io debbo fare il suonatore di clarinetto o il cacciatore subacqueo?

Agostino                          - Il suonatore. I. polmoni affaticati sono messi fuori causa. Un pedale, collegato all'erogatore d'aria compressa, vi fornirà il fiato artificiale. In tal modo, alla faccia dell'asma bron­chiale, potrete soddisfare le vostre aspirazioni artistiche. L'idea è chiara?

Il Direttore                      - Chiarissima. Ma io che ci ho a che vedere?

Agostino                          - Vi propongo di finanziarmi. Ci met­tiamo in società. Io l'idea, voi i denari. Diretto,leggo nei vostri occhi: da questo momento siete un uomo ricco.

Direttore                          - (alzandosi) Scusate, Cafiero...

Agostino                          - (correggendo) Capece.

Il Direttore                      - Scusate, Capece, prima di farvi venire in mente questa bella idea, avete consul­tato le statistiche? Avete fatto il conto degli asmatici che tengono la vocazione per il clari­netto?

Agostino                          - Qualsiasi strumento a fiato.

Il Direttore                      - Va bene, qualsiasi strumento?...

Agostino                          - E che me lo facevo a fare il conto?

Il Direttore                      - Ma voi campate nelle nuvole, al­lora! Uno si mette a finanziare un'invenzione senza una preventiva indagine di mercato?!

Agostino                          - Scusate, a che serve quest'indagine di mercato?

Il Direttore                      - A stabilire l'utilità del prodotto che volete lanciare.

Agostino                          - Quello non solo è utile, ma è anche bello. Diretto, voi siete laureato, quindi in grado di apprezzare le cose belle.

Il Direttore                      - Capece, la bellezza, negli affari, non interessa. Pigliate questa matita. (Ne prende una dal bancone) E' bella? No, pare ed è uno stecco. Ma è utile. Ci scrivete, ci fate i conti, componete poesia e musica, disegnate palazzi e ponti.

Agostino                          - Scusate, e quel bel solitario che te­nete al dito, a che serve?

Il Direttore                      - Che c'entra?

Agostino                          - Eh, no, scusate, se voi il ragiona­mento me lo portate su questo piano, mi dovete rispondere a che serve, quali utilità tiene il bril­lante. Una cosa sola ci potete fare: tagliare un vetro. Punto e basta. Se voi lo portate al dito è per bellezza.

Il Direttore                      - Ma io non mi metto a produrre brillanti.

Agostino                          - Però potete produrre clarinetti a pe­dale, che sono belli come il brillante vostro e come le matite.

li. Direttore                      - Capece, avete sentito parlare qual­che volta della legge della domanda e dell'offerta?

Agostino                          - E voi avete mai pensato alla sofferenza degli asmatici che non possono suonare uno stru­mento a fiato?

Il Direttore                      - (mandando giù un'altra aspirina) Uh, Madonna! Madonna mia! Capece, portatemi qua - nero su bianco - la statistica dei suona­tori di clarinetto affetti da asma bronchiale e io prendo in considerazione la vostra proposta.

Agostino                          - (scuotendo le mani) Statistiche... sta­tistiche... Voi sapete meglio di me che ci stanno tre tipi di bugie: le piccole, le grandi e le stati­stiche. Il fatto è che stiamo parlando lingue diverse. Gli asmatici non vi muovono a compassio­ne? E va bene, mettiamoli in disparte. Il clari­netto a pedale lo offriamo pure a chi tiene i bronchi sani. Scusate, sempre un risparmio di fiato è.

Il Direttore                      - E voi vi volete mettere a rischio di rivoluzionare il mondo musicale? Il clarinetto, dacché esiste, lo si suona con la bocca.

Agostino                          - Insomma, con voi non c'è verso di far carte. Avete la testa di un mulo.

Il Direttore                      - Come vi permettete?

Agostino                          - Eh, sì, scusate. Ve la metto sul piano dell'arte e ve ne uscite con l'argomento dell'utilità dell'invenzione. Vi giro la frittata e ve la pre­sento sotto l'aspetto del progresso tecnico, e obiet­tate che non si può rivoluzionare il mondo mu­sicale. Il clarinetto, dacché esiste, si suona con la bocca, d'accordo, ma cent'anni fa si viaggiava pure in diligenza e mo ci stanno le automobili e gli aeroplani. E questo che diavolo è. O non capite o non volete capire.

Il Direttore                      - Ma voi lo sentite? Capece, io il clarinetto a pedale non lo voglio finanziare, va bene? Anzi, sapete che vi dico? Che mi fa schifo.

Agostino                          - Ah, no, non vi dovete permettere.

Il Direttore                      - Mi permetto, sissignore. E con­cludiamo subito quest'incontro nell'unico modo che va concluso. (Si avvicina al telefono e inco­mincia a formare un numero. Da destra entra la vedova Altavilla con il neonato infagottato nel pastrano del Direttore).

La

Vedova                            - Diretto, guardate, guardate quant'è bello 'sto creaturo! E che vitalità! Ha già bagnato tutto il pastrano.

Il Direttore                      - (deponendo il cornetto) Signora, il soprabito è di cashemir.

La

Vedova                            - Non fa niente, non fa niente. (Gli si avvicina) Guardate; pare il bambinello del presepe di San Martino. Io ho avuto un'idea: siccome è nato in banca, il diritto di fargli da compare spetta a voi.

Il Direttore                      - Ohe, ohe, che compare! Prima di stringere questa parentela, qua dobbiamo stabi­lire dei fatti ben precisi.

La Vedova                      - (commossa) Diretto, fate un'opera di bene. (Di colpo, urlando) Questo creaturo è nato senza padre.

Il Direttore                      - Come senza padre?... (La Vedova annuisce) Signora, un bambino non nasce unilate­ralmente. Ci vuole un concorso.

Agostino                          - Questo non lo sapevo.

Il Direttore                      - Che cosa non sapete?

Agostino                          - Che per trovare marito si deve ban­dire un concorso.

Il Direttore                      - Volete dire che vostra figlia non è sposata? E spiegatevi meglio, sangue d'una bra­ciola. (Masticando un'aspirina) Abbiamo avviato bene la settimana! Apro la banca e mi trovo una famiglia accampata, un loculo, un neonato, un bucato steso. E questo che è? La

Vedova                            - Non vi lamentate, diretto. Meglio questo che essere vedovi!

Il Direttore                      - Io pure sono vedovo, e con ciò? La

Vedova                            - Pure voi? (Urlando) Che disgrazia, diretto! Che disgrazia!

Il Direttore                      - (allontanandola) Sono vedovo da quindici anni... (Si mette a sedere, affranto. Da destra entrano Tonino, Regina, Gaspare e Giu­liana, quest'ultima reggendosi a malapena in piedi e sorretta dal fratello e dalla madre. Alla vista della ragazza, il Direttore ha un trasecolamento, si toglie gli occhiali, si stropiccia gli occhi, si rimette gli occhiali e si alza di scatto avvicinan­dosi premuroso a lei) Signorina Giuliana... (Le prende una mano, gliela bacia).

Giuliana                           - (con molta cortesia) Barone...

Agostino                          - (realizzando) Il barone è lui!

Il Direttore                      - (a Giuliana) Che cosa fa lei in questa compagnia di pazzi?

Giuliana                           - Questa è la mia famiglia...

Il Direttore                      - Ma come... lei... La sua fam... (Si guarda in giro) Questi? (Giuliana annuisce) E il bambino...

Giuliana                           - Sì. E' nato qui.

Il Direttore                      - (caramelloso) Che pensiero gen­tile. Nella mia banca... Questo mi autorizza a sperare che la mia proposta è stata almeno presa benevolmente in considerazione? (Giuliana guarda per terra. Il Direttore la osserva, poi si volta verso Agostino con tono brusco) Capece! (Cambia tono, diventa gentile) Capece, non so se la signorina Giuliana le ha parlato qualche volta di me...

Regina                             - Ogni giorno, barone.

Il Direttore                      - lo non sapevo... Non potevo sup­porre... Stando così le cose, cambia tutto.

Agostino                          - Come volete voi...

Il Direttore                      - Basta che la signorina Giuliana faccia un cenno, un solo breve cenno, io sarò felice di mettermi ai suoi piedi.

Regina                             - Giuliana, bella di mammà.

Tonino                             - Giuliana, non far chiudere lo spiraglio.

Gaspare                           - Fa' il cenno, Giulia, fa' il cenno.

Il Direttore                      - (a Regina) Ho cinquant'anni, si­gnora, non sono da buttare via ed ho una buona posizione. Ma quel che più conta è che il mio cuore - come una spugna asciutta - altro non aspetta che un getto d'acqua... La

Vedova                            - A proposito, bisogna cambiare il creature.

Il Direttore                      - ...per dilatarsi e trasformare quell'acqua in fiumi di affetto. Quell'acqua si chiama Giuliana. (Appassionato) Giuliana! (Le bacia una mano. Giuliana ha un mancamento. La sorreggono) Povera creatura, non si regge in piedi. Qui fuori ho la mia macchina con l'autista. Consentitemi di offrirvi la mia casa, la mia assistenza... (Con un tremito nella voce) il mio nome... (con veemenza, al bambino) Anche a te, il mio nome! (Resta a fis­sare Giuliana).

Giuliana                           - (dopo averlo guardato fisso, gli prende una mano, gliela bacia) Grazie!

Il Direttore                      - (che non sta più nei panni) Gra­zie a lei, cara! Grazie!

 

Gaspare                           - (baciando la mano al Direttore) La Madonna ve lo renda.

La Vedova                      - (urlando) Nobile cuore! (Al meda­glione) Altavilla, al mondo ci sta un altro come te. (Regina si asciuga le lacrime. Il Direttore li spinge tutti verso l'uscita, sostituendosi a Tonino. Escono tutti, eccetto Tonino, Gaspare e Agostino).

Tonino                             - Papà, non venite?

Agostino                          - No, mi trattengo un po' col barone.

Tonino                             - Ci fate uscire il posto per me in banca?

Agostino                          - Sissignore, ormai è fatta.

Gaspare                           - (mostrando le tasche zeppe di banconote e di titoli) Agosti, come mi debbo regolare?

Agostino                          - Lasciate tutto qua, papà. (Tonino esce).

Gaspare                           - Ma come, tutta questa grazia di Dio?

Agostino                          - Ci sta la sistemazione pure per voi.

Gaspare                           - Hai ragione... (Vuotando le tasche) Ma tu vedi la combinazione... Che è la vita, Agosti! Uno viene a rapinare una banca e chi ti trova? Il barone di Giuliana. (Sul punto di uscire) Tu poi ci raggiungi?

Agostino                          - Sì, papà.

Gaspare                           - Di'. (Pausa).

Agostino                          - Quel fatto... lì...

Gaspare                           - Quel fatto lì quale?

Agostino                          - Quello mio e di... coso là... Regina...

Gaspare                           - (stringendosi nelle spalle) Il fatto di Regina...

Agostino                          - Andiamo, mo non fate vedere che non vi ricordate...

Gaspare                           - Io effettivamente non me lo ricordo. Qual è 'sto fatto?

Agostino                          - (gridando, aggressivo) Voi di chi siete padre?

Gaspare                           - (minaccioso) Io ti scasso la testa, di­sgraziato! (Gli scaglia contro l'elenco telefonico ed esce sdegnato. Rimasto solo, Agostino si guarda in giro, si avvicina al bancone, prende la matita tra le dita e resta a lungo a osservarla. Entra con irruenza Mastellone).

Mastellone                       - Dove sta?

Agostino                          - (distratto, osservando la matita) Chi?

Mastellone                       - Il Direttore.

Agostino                          - Tra poco Io vedete tornare. Chi siete?

Mastellone                       - Mastellone!

Agostino                          - (sempre osservando la matita) Il fesso di stanotte?

Mastellone                       - Ah, già si è sparsa la voce? Bene, bene, ingiuria aggravata! (Va a sedersi a sinistra, ad uno dei tavolini riservati ai clienti e incomin­cia a scrivere sulla carta bollata. Entra il Diret­tore, raggiante).

Il Direttore                      - Caro Capece, mio caro Capece. Ho dato disposizioni perché Giuliana abbia la migliore assistenza di Napoli. So tutto di voi, la cara giovane, nei nostri fugaci incontri, mi ha raccontato la storia della sua famiglia... i vostri rovesci di fortuna... So chi siete e quanto valete. Da oggi, sono felice di potervelo dire, i vostri guai sono finiti.

Agostino                          - (osservando la matita) Mi finanziate il clarinetto a pedale?

Il Direttore                      - Ecco l'unico tasto che non dovete toccare, caro Capece. Vi troverò una sistemazione.

Agostino                          - (c. 5.) Lo sapevo. Quel signore ha chiesto di voi. (Il Direttore e Mastellone si girano contemporaneamente l'uno verso l'altro. Mastel­lone batte la penna sul piano della scrivania).

Mastellone                       - Nome e cognome.

Il Direttore                      - (sbuffando) Gerundo Pimentel...

Mastellone                       - (scrivendo) Gerundio...

Il Direttore                      - Gerundo.

Mastellone                       - Scusate, volete insegnare a un in­segnante come si dice? Gerundio!

Il Direttore                      - No, Gerundo!

Mastellone                       - E perché?

Il Direttore                      - Perché sì. Mi chiamo Gerundo.

Mastellone                       - E' un errore; dovreste chiamarvi Gerundio.

Il Direttore                      - E invece no.

Mastellone                       - E va be', teniamoci pure questa! Gerundo... Gerundo che?

Il Direttore                      - Pimentel...

Mastellone                       - (scrivendo) Pimen... (Realizzando) Pimentel!? Siete il barone Pimentel? (Il Direttore annuisce. Mastellone si alza). Ma allora, scusate, Consuelo Pimentel è vostra sorella?

Il Direttore                      - Sissignore.

Mastellone                       - Ma allora... (Imbarazzato) Gesù, Gesù... Io sono Federico. (Il Direttore si stringe nelle spalle) Federico, il fratello di Uberto.

Il Direttore                      - Uberto chi?

Mastellone                       - Ma come Uberto chi? Uberto de Janni, vostro cognato, il marito di Consuelo. Io faccio Mastellone essendo figlio di primo letto.

Il Direttore                      - Io... veramente... non mi ricordo...

Mastellone                       - Non potete ricordarvi di me. Quan­do Consuelo e Uberto sposarono io insegnavo al Liceo italiano di Buenos Aires e rimpatriai sette anni dopo. Però dovreste ricordare il regalo di nozze che mandai: quel gaucho a cavallo in bronzo.

Il Direttore                      - Ah, il gaucho... è nello scantinato.

Mastellone                       - Ma voi vedete... (Pausa) Diretto... anzi, caro barone... Anzi, se permettete, poiché siamo fratelli di cognati, cioè cognati di fratelli, sì, insomma... Barone, è inutile dirvi che sono imbarazzato quanto mai lo sono stato in vita mia.

Il Direttore                      - E io non meno di voi. Perché, a dirvi la verità, fino a pochi istanti fa ho dubitato della vostra sanità mentale.

Mastellone                       - Capisco che mentre uno è intento a fare il bilancio (ridacchiando)... o l'inventario, come amate scherzosamente dire... sente suonare più volte il telefono... Sì, insomma...

Barone                             - (straccia la carta bollata) come non detto. Voi non mi avete dato del fesso...

Il Direttore                      - Ma io non ve l'ho dato.

Agostino                          - Ve l'ho dato io.

Mastellone                       - (minaccioso) Voi? E chi siete voi?

Il Direttore                      - (intervenendo, conciliante) Il mio prossimo suocero.

Mastellone                       - Oh, scusate... (Con un sorriso, ad Agostino) Be', anche per voi vale lo stesso di­scorso... Tra parenti...

Agostino                          - (osservando sempre la matita) Eh, sì, caro Mastellone, lo vedete: partiamo dall'aristo­crazia, passiamo per il ceto medio, arriviamo al proletariato e, qui a Napoli, gira e rigira, ci tro­viamo sempre tra parenti.

Mastellone                       - (enfatico) Il che è bello!

Agostino                          - Eh, sì.

Mastellone                       - Il che ci distingue dagli altri, anche.

Agostino                          - Anche.

Mastellone                       - Be', caro barone. L'occasione è stata buona per fare finalmente la vostra cono­scenza. Sarò felice se, potendo disporre di una serata libera, vorrete onorarmi di una vostra visita.

Il Direttore                      - Non mancherò.

Mastellone                       - A presto, allora.

Il Direttore                      - Ossequi.

Mastellone                       - (ad Agostino) Caro amico... (Gli porge la mano, che Agostino stringe. Mastellone esce).

Il Direttore                      - Che scocciatore.

Agostino                          - (osservando la matita) A me lo dite! Stanotte! Casa Grieco, bar Giliberti... don Car­mine... (Pausa) Dunque, avete sistemato tutto.

Il Direttore                      - Intanto faremo riprendere le forze alla cara Giuliana. Voi e la vostra famiglia vi trasferirete da me e, quando sarà il momento, annunceremo ufficialmente le nozze. Quando dico il momento, dico quindici giorni, un mese.

Agostino                          - Naturalmente, penserete anche a Re­gina, a papà e a mio figlio.

Il Direttore                      - Non chiedo di meglio, caro Capece, non chiedo di meglio. La mia vita, vedete, è vuota. Voglio riempirla. Vostra moglie, vostro figlio e vostro padre non debbono pensare più a niente. (Cordialone) E neanche voi, naturalmente.

Agostino                          - Ah, no. A me mi dovete lasciare fuori.

Il Direttore                      - Niente affatto. Stabiliremo...

Agostino                          - Venticinquemila...

Il Direttore                      - Prego?

Agostino                          - Venticinquemila lire. Siete disposto a darmele?

Il Direttore                      - Venticinquemila lire di stipendio? Ma voi scherzate? Molto, molto di più.

Agostino                          - Non sto parlando di stipendio. Vi sto chiedendo un prestito. Se me le date, sparisco e ve le restituisco appena possibile.

Il Direttore                      - Io vi offro una sistemazione.

Agostino                          - Scusate, io non voglio la vostra siste­mazione, voglio la mia. Con una matita come que­sta ho fatto il conto al centesimo. Venticinquemila lire e faccio il prototipo.

Il Direttore                      - Aaah, voi e il clarinetto!

Agostino                          - Lo vedete? Tra noi due non c'è pos­sibilità d'intesa.

Il Direttore                      - Ma perché, se non fate il clari­netto a pedale se ne cade il mondo?

Agostino                          - No, barone, me ne cado io; il che - se consentite - è più grave.

 

II. Direttore                     - Ma io non vi capisco. Siete un in­ventore," siete un artista, e va bene... La sistemazio­ne che vi offro io sarà consona alle vostre attitu­dini. Teatri, a Napoli, non ne mancano...

Agostino                          - Eh, il teatro! Sono finiti i tempi de « L'assedio di Gaeta », caro barone. Li vedete i lavori che si rappresentano? Scena fissa e, quan­do sono assai, otto personaggi. Io, purtroppo, se non mi chiamano a fare terremoti, crolli, tem­peste e battaglie, a teatro non ho che fare. La­sciamo stare. Come non detto     - (Si avvia).

Il Direttore                      - Dove andate?

Agostino                          - Via. Vi ho fatto perdere abbastanza tempo.

Il Direttore                      - Va bene; raggiungete la fami­glia a casa mia...

Agostino                          - A casa vostra? Barone, continuiamo a non capirci. Io a casa vostra non ci metto piede.

Il Direttore                      - (una mano sulla fronte) Capece, voi avete giurato la mia distruzione.

Agostino                          - (con un sorriso) Ma che dite. Se vi spiegassi le cose come stanno, non mi capireste.

Il Direttore                      - Perché, sono fesso?

Agostino                          - Per carità, non mi fraintendete. Voi siete una degnissima persona. Generoso, leale, buono. Sono sicuro che Giuliana troverà in voi un padre, oltre che un marito. Ma il fatto, ba­rone, è che il vostro metro è giusto: misura cento centimetri, mentre il mio è truccato: ne ha solo novanta. (Con un sorriso) Lo vedete? Non potete capire. (Un tempo) Vedete, io sto qua dentro per caso... Sapete bene che non sono un professio­nista della rapina... Embe', io ho voluto agire ado­perando un metro come il vostro e... non ha fun­zionato. Mi seguite? La conclusione logica quale poteva essere? O la riuscita del colpo o la ga­lera. E invece no, si è data la « combinazione ». Il gatto nero, la vedova Altavilla e infine voi. Ve­dete, io ho tentato il colpo per sistemare la fami­glia, ma il caso ha voluto che la mia famiglia si sia sistemata senza il colpo. E dicendo la mia famiglia, mi escludo. Io non ho mai desiderato una sistemazione di questo tipo. (Quasi gridato) Diretto, io mi debbo realizzare. E senza il clari­netto a pedale mi sento un pover'uomo! (Preve­nendolo) Non voglio le venticinquemila lire.

Il Direttore                      - Sono disposto a darvele.

Agostino                          - Stando così le cose, io non sono più disposto ad accettarle.

Il Direttore                      - (raccogliendo delle banconote da ter­ra e ficcandogliele in tasca) Ed io, perdio, vi obbligo a prenderle!

Agostino                          - (urlando) Ma solo perché insistete! (Più forte) E ricordatevi che si tratta di un prestito!

Il Direttore                      - (urlando) Nient'affatto. Non è me­stiere mio.

Agostino                          - (c. s.) Allora è una sovvenzione.

Il Direttore                      - (c. s.) - Meno che meno! Non posso sovvenzionare un'invenzione alla quale non credo.

Agostino                          - (c. 5.) Io, invece, ci debbo credere!

Il Direttore                      - Affari vostri! (Manda giù un'altra aspirina. Agostino, intanto, è sceso rapidamente nel tombino. Il Direttore si guarda intorno) Capece! Capece, dove siete andato?

Agostino                          - (affacciando il capo) Dite a me?

Il Direttore                      - (pacato) Neh, che fate lì sotto?

Agostino                          - Me ne sto andando.

Il Direttore                      - Di lì?

Agostino                          - lo di qua sono venuto e di qua me ne vado.

Il Direttore                      - Ma perché, non ci sta una porta aperta?

Agostino                          - Io, in verità, preferisco andarmene di sotto.

Il Direttore                      - E quanto tempo pensate di restare sotto?

Agostino                          - Chi lo sa... Poi si vede...

Il Direttore                      - Capece, date retta a me... Non fate l'originale.

Agostino                          - Barone, io voglio fare l'uomo libero. Non voglio uscire da quella porta, va bene? Mi voglio scegliere un tombino, uno qualunque - va bene? - lo sollevo e dove sbuco sbuco. (Scom­pare).

Il Direttore                      - Capece!

Agostino                          - (riemergendo) Ah, scusate, dimenti­cavo. (Gli mostra una matita) Me la stavo por­tando senza il vostro permesso... Posso?

Il Direttore                      - Che volete che me n'importi di una matita?

Agostino                          - Serve, direttore. E' utile. Può sempre servire. (Scompare definitivamente. Il Direttore si inginocchia vicino all'apertura).

Il Direttore                      - Capece, tornate indietro! (Entrano due impiegati. Osservano la scena, si guardano costernati) Capece, in nome di vostra figlia, tor­nate indietro. Papà! Papà! (/ due impiegati si avvicinano. Il Direttore ne avverte la presenza, alza gli occhi su di loro, risponde al saluto) Met­tete in ordine... Presto. Tra poco arrivano i clienti... (/ due impiegati si guardano intorno, si affacciano alla camera blindata, incominciano a raccogliere banconote e titoli. Il Direttore, sempre inginocchiato, grida nell'apertura) Capece! Ca-peeeeeceeee! (Resta in ascolto) S'è perduto Capece! (Trilla il telefono. Il Direttore si alza, solleva il ricevitore) Credito Meridionale. Buongiorno, av­vocato. (Resta in ascolto) Sì, glielo dico subito. (Consulta una cartella) Dunque, ieri a Milano han­no chiuso a seimilacentoventisei. (Resta in ascol­to) Per conto mio, aspetterei ancora una setti­mana. Si avverte un certo movimento. (Resta in ascolto) Sì, certamente, salgono ancora.... (Dal tombino sbuca come sparato Agostino).

Agostino                          - (con l'aria di chi annunci l'Apocalisse) Mi e-ro di-men-ti-ca-to del gat-to ne-ro! (Esce di corsa dalla porta, mentre il Direttore, con il cor­netto del telefono staccato dall'orecchio, resta a fissare il vuoto come inebetito).

FINE