Come un ladro di notte

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Commedia in due tempi e cinque quadri

di Enrico Bassano

da IL DRAMMA  n. 194 del 1° dicembre 1953

Copyright 1953 by Enrico Bassano.

LE PERSONE

L'UOMO

ANGELO

MICHELE MADAME

SILVIA

IL MARITO LA MOGLIE

IL SOPRAVVISSUTO


A LUCIO RIDENTI, FRATERNAMENTE

Una postazione di artiglieria contraerea, del tempo di guerra - di una guerra - sulla cima di una montagna. Una città non è lontana. Invisibile però. Adesso della postazione esistono solo gli avanzi: i muri perimetrali, qualche parte del tetto, una casupola chiusa da una porta di legno. Tutto si staglia contro un cielo molto azzurro. Qualche cespuglio di rovi abbarbicato ai muri. Nella postazione vive un uomo della apparente età di trentacinque-quarant'anni, di cui non verrà mai pronunciato il nome; per indicarlo, genericamente:   «Uomo».

PRIMOTEMPO

QUADRO PRIMO

(Due giovani appena ventenni, Angelo e Michele, due vagabondi rimasti senza casa e senza famiglia, sono arrivati da poco sul monte. All'aprirsi del sipario i tre sono distesi al sole, un bel sole festoso di fine aprile. I due giovani se ne stanno vicini, l'Uomo è più lontano, con il capo appoggiato a un guanciale di mattoni sui quali ha disteso, ri­piegata, la giacca).

L'Uomo   Chi vi ha indicato la strada per venire quassù?

Angelo    Nessuno.

L'Uomo   Sapevate che qualcuno era venuto ad abitare qui?

Michele   Abbiamo visto il fumo, ieri.

L'Uomo   Lo temevo. Avevo resistito per sette giorni alla tentazione di farmi una broda calda di acqua e pane...

Angelo    Vi diamo tanta noia?

L'Uomo   Volevo restar solo. Voglio restar solo.

Michele   Questo monte non è vostro.

L'Uomo   Non importa. Sono arrivato prima di voi. E ci resterò.

Angelo    Anche noi ci resteremo.

L'Uomo   Non credo.

Angelo    Non esiste una legge che permetta a voi di rimanere e che obblighi noi ad andarcene.

Michele   Siamo liberi di andare o di restare. E noi rimaniamo.

L'Uomo   Perché?

Angelo    Perché così ci piace.

L'Uomo   E se a me non piace?

Michele   Pazienza. (Pausa).

L'Uomo   Io sono salito fin qui per rimanere solo. Voglio rimanere qui e solo.

Angelo    Vediamo un po'. Che fastidio vi diamo?

L'Uomo   Non voglio vedere nessuno.

Michele   Allora ci si mette una corda al collo e...

L'Uomo   È quello che volevo fare.

Angelo    ...ma non lo avete fatto.

Michele   Paura?

L'Uomo   Affari miei.

Michele   Non è facile levarsi dal mondo. Anche noi ci abbiamo pensato.

L'Uomo   Voi due?

Michele   Noi due, sì. Ma non è facile. Ci vuole qualche cosa...

L'Uomo   Qualcuno che aiuti.

Michele   Ecco. Infatti io avevo detto:   prima sparerò a te e poi sparerò a me. Subito sembrava una cosa facile. Poi...

Angelo    Ci abbiamo pensato per tre giorni e tre notti. Sempre soli con quel pensiero lì in testa, nel sangue, nel cuore... Abbiamo ucciso tanta gente in guerra. Ma adesso è diventata una cosa meno facile.

L'Uomo   E allora siete saliti su questo monte.

Angelo    Così.

L'Uomo   (alzandosi pigramente)  Vuol dire che adesso saremo in tre, qui, a voler morire.

Michele   (balzando in piedi seguito da Angelo)  No. Io non voglio più morire.

Angelo    E neppure io.

L'Uomo   E perché? Prima o adesso, non è la stessa cosa? Nulla è mutato.

Angelo    Lo dite voi. (Pausa) Qui, adesso, stiamo bene.

L'Uomo   Straordinario. E che cosa è che vi ha fatto cambiare opinione? (Pausa: i due si scrutano).

Michele   Davvero, non sappiamo.

L'Uomo   E come pensate sia possibile vivere in tre quassù? C'è una sola parte abitabile, e quella è mia. E per il mangiare? Io ho soltanto qualche pagnotta indurita, potrà durarmi per poco tempo. Ma voi?

Angelo    A questo non avevamo pensato.

L'Uomo   Non avevate pensato a mangiare?

Michele   (sinceramente)  No.

Angelo    Ci arrangeremo. Ci siamo arrangiati per tanto tempo.

L'Uomo   Capisco. Ma adesso non è più la stessa cosa.

Michele   Allora lavoreremo.

L'Uomo   Dove? Non c'è una casa intorno, non ci sono contadini, non ci sono fabbriche. Come po­tete pensare di lavorare?

Angelo    Qualche cosa troveremo.

L'Uomo   Ma prima di aver trovato sarete morti di fame. Chi vi darà almeno il necessario?

Michele   (semplice)  Voi.

L'Uomo   Io? Siete matti.

Michele   Un prestito. Poi vi renderemo.

L'Uomo   Siete venuti  per questo? Avete forse delle cattive intenzioni? Badate. Non sono uomo da spaventarmi.

(Michele e Angelo sono in piedi, uno accanto all'altro, di fronte all'Uomo. Si studiano).

Angelo    Nessuno vuol farvi del male.

L'Uomo   Fuori i vostri progetti. Ma fate presto, prima che io...  (Fa l'atto di prendere qualche arma in tasca).

Michele   State buono. Non siamo saliti per derubarvi, perché non sapevamo neppure chi potevate essere.

L'Uomo   E allora perché siete saliti?

Angelo    Forse per lo stesso vostro motivo. (Pausa) Stanchezza di stare laggiù. (Indica  lontano, giù in basso).

Michele   Forse l'unica persona al mondo che possa capirci siete voi.

L'Uomo   Io non so niente. So soltanto che voglio stare qui e solo.

Angelo    (sottovoce)  Si sta bene qui.

Michele   (sottovoce)  Sembra di essere già in un'altra vita.

Angelo    La vita che cercavamo.

Michele   Che volevamo raggiungere ad ogni costo.

Angelo    Abbiamo tanto sofferto.

Michele   Non si ha più la forza di soffrire an­cora.

L'Uomo   Io ho sofferto più di voi, perché sono più vecchio di voi. Non ricordo più quanti anni ho, ma so soltanto che tutti gli anni della vita li ho passati soffrendo. E forse mi sembrava bello, soffrire. Forse credevo di essere nato soltanto per soffrire. Mi hanno fatto patire la fame e la sete, mi hanno calunniato, mi hanno battuto, mi hanno trascinato di qua e di là in catene, mi hanno seppellito vivo... Quante volte sono stato in punto di morte? Quante volte il ferro e il fuoco mi sono entrati nelle carni e me le hanno dilaniate e bruciate? E mi hanno strappato la mia gente, e poi me l'hanno uccisa sotto gli occhi. E hanno distrutta la mia casa, e si sono portati via tutti i miei averi. Ho resistito più che ho potuto. Ma adesso non posso più resistere. Ecco perché sono venuto quassù. Perché essi non s'accorgano che non posso più resistere, che non so più patire. Per questo voglio morire qui, lontano dagli occhi di tutti. (Pausa).

Angelo    Lasciateci riposare solo per qualche ora, poi ce ne andremo.

L'Uomo   Dite davvero?

Angelo    Parola.

Michele   Ma io...

Angelo    Tu stai zitto. Farai ciò che dirò io.

L'Uomo   Se è così, vado a cercare qualche cosa per togliervi la più grossa... Aspettate.

(Entra nell’interno della casupola. Lungo silenzio. Angelo e Michele si scambiano un'occhiata d'intesa. Un tre­mendo pensiero è balenato nei loro cervelli. Michele raccatta un sasso, lo impugna. Angelo lo imita, sop­pesando tra le mani un altro sasso. Michele mor­mora qualche parola all'orecchio di Angelo. Poi, cau­tamente, si avvicinano entrambi alla porta. Mentre stanno per avventarsi nell'interno, l'Uomo riappare sulla soglia con un grosso pane in una mano e un coltello nell'altra. I due giovani si fermano impie­triti, non hanno più il coraggio né la forza di com­piere il loro gesto delittuoso. Si accasciano sul ter­reno, lasciando scivolare i sassi di cui si erano armati. L'Uomo siede, comincia a tagliare il pane e ad of­frirne, con gesto semplice eppure solenne, una fetta ad Angelo e una a Michele. Buio).

QUADRO  SECONDO

Madame (siede su di un sasso, togliendosi le scarpe)  Con vostra licenza, mi tolgo le scarpe. Ho i piedi in fiamme.

Angelo    Avete camminato molto?

Madame           Non so. Mi pare di avere camminato da sempre. (Alla ragazza)  Silvia, le sigarette. (Silvia porge un pacchetto. Madame, offrendo ai due)  Vo­lete?

Angelo e

Michele   (avidamente)  Grazie.

Madame           Questo è il mio grande vizio. Quando non avrò più da fumare creperò. (Pausa).

Angelo    (come continuando un discorso)  E così?

Madame           Ho venduto tutto. Ma che dico, ven­duto? Regalato, buttato via, disperso a tutti i venti. Una fortuna. Casa, villa in campagna, mobili, libri... Una fortuna, vi dico. Ho conservato soltanto qualche ricordo. E lei. (Accenna a Silvia).

Michele   Vostra figlia?

Madame (incerta)    ...Sì.

Angelo    E voi credete davvero di poter vivere qui?

Madame           Credo.

Angelo    Ma dove e come? Questo non è un albergo, questo non è una casa.

Madame (indicando il piccolo ricovero nel quale abita l'Uomo, e che adesso ha la porta chiusa)   E quella?

Angelo    È la sua casa.

Madame           Sua di chi?

Angelo    Sua dell'Uomo che abbiamo trovato qui... Iersera ci ha dato del suo pane, poi si è chiuso là dentro e non l'abbiamo più visto.

Madame (si rimette le scarpe, avviandosi decisa)   Parlerò con lui.

Angelo    Non lo fate. Non picchiate alla sua porta. Non vuole essere disturbato.

Madame           Aspetteremo i suoi comodi. Intanto noi due ci aggiusteremo in qualche modo.

Michele   Ma non vi rendete conto che questa è una vecchia postazione di artiglieria, tutta scassata, senza possibilità di dare alloggio ad esseri civili?

Madame           Darò del denaro a quell'Uomo... Ne darò anche a voi due. Mi costruirete una piccola baracca accanto alla vostra. E qui intorno coltiverò un giardinetto.

Angelo    Ma infine, chi vi ha suggerito di venire fin quassù?

Silvia       (precedendo Madame nella risposta)    La paura. Abbiamo peregrinato per mesi e mesi da una città all'altra. Abbiamo consultato medici illustri, fattucchiere, imbroglioni di ogni razza. I medici parlavano di turbe nervosa, le chiromanti leggevano nelle linee della mano cose orrende...

Madame           ...una vita spezzata, signori! Qualche cosa di imprevedibile e di improrogabile... Debbo sfuggire a questo destino. Per lei, per mia figlia... (Singhiozza oscenamente).

Silvia       (fredda, a voce bassa)    Non è vero. Non e per me. Io non c'entro. È per lei. Teme per la sua vita, non per la mia. Io sono soltanto il paravento del suo egoismo. (Con voce tornata naturale)  Eravamo alloggiate all'Hôtel de Ville, un appartamentino di lusso. Dalla finestra del salotto vedevamo, ogni giorno, la sommità di questa montagna. Divenne l'ossessione di Maman. Volle conoscerne il nome, ma nessuno seppe dirglielo. Sembrava che questo lembo estremo di terra, conficcato nel cielo, lo vedessimo solo noi due. Imparai a guardarlo anch'io, attraverso i vetri, come da bordo - sapete? - durante la navigazione, inquadrata nell'occhio dell'oblò, si guarda la terra lontana. Ogni giorno si passavano ore sempre più fitte ad osservare questa cima, a parlarne, a costruirvi sopra i nostri sogni, a gettarvi le fondamenta delle nostre speranze. Un giorno, finalmente, Maman si decise. Fece un muc­chio di sciocchezze finanziarie, si consigliò con due o tre tipi che le carpirono molto denaro. Poi, una mattina, partimmo... (Trasognata)   Non ricordo più nulla. Né il cammino percorso, né il tempo che im­piegammo, né se lo compimmo da sole o accompagnate da qualcuno... Ci siamo ritrovate qui, e questo è tutto... (Ritornando al freddo tono di voce iniziale)   Maman non teme soltanto per la sua vita. Teme per il suo denaro. (Piano, per non essere udita da Madame, in tono acre)   Nella sua borsa ci sono molte pietre preziose... La tiene sempre così, sul cuore. E di notte la mette sotto il capo, perché le faccia da cuscino: il guanciale di Maman... Oro e brillanti, sotto il capo. Per questo i suoi sonni sono sempre così agitati, e la si sente urlare di spavento. L'oro e i brillanti le sono troppo vicini, e le sussur­rano i loro tremendi segreti, e le comunicano il loro spasimo indicibile... La sentirete urlare, stanotte. Sogna di essere derubata. Invoca aiuto. Si dibatte.

Madame (piantando torbidamente gli occhi in faccia a Silvia)    Di che vai discorrendo, tu, adesso? È di me che parlavi, non è vero? E che cosa raccontavi, tu, di me?

Silvia       Nulla. Certo si è che a questi due signori dobbiamo pure presentarci.

Angelo    Non importa. Qui sembra già di essere in un altro mondo. Voi non saprete mai chi siamo noi, e noi non abbiamo nessuna curiosità di conoscere il vostro nome, né il vostro passato.

Madame           Un passato di tormenti, signori. Credetemi. Abbiamo sofferto immensamente.

Michele   Tutti abbiamo sofferto. Giovani e vecchi, ricchi e poveri.

Madame           Certo. Tutti. E adesso vorremmo trovare un po' di pace. Ma dove? Sapete dirmi dove sia possibile trovare un riparo alla bufera che ci sovrasta? Ecco il grande problema, signori. Sarei disposta a dare molto denaro a chi mi trovasse un piccolo ma sicuro riparo.

Michele   Il denaro non serve. Non vi siete ancora accorta che non è il denaro che vi potrà salvare? Vale più un boccone di pane sicuro e un buco dove nascondere la testa, che tutto l'oro del mondo.

Madame           Ma ci vuole il denaro per il pane, e per la casa...

Michele   Chi ha trovato tutto questo non lo cederà a voi, perché il vostro oro non servirà più a nulla. Mangiatevi l'oro, se vi riesce. E riparatevi sotto quello, se vi sembra sicuro.

Madame (piagnucolando smarrita) E allora, signori, come potrò salvarmi? Ditemelo voi. Aiutatemi. Ve lo chiedo per carità...

Silvia       (istericamente)    Smettila. Non posso più sentire la tua voce, vedere le tue lacrime. Basta. Signori, fatela smettere.

Madame (sibilando)    Maledetta. Non potrò mai liberarmi di te. Sei la mia maledizione.

Silvia       Sono il tuo passato. Ecco perché non potrò lasciarti mai più. Il passato. Com'è pesante - vero? - il passato. Sembra un macigno posato sul cuore. Non ti lascia respirare, non ti permette di muovere un passo. Non ce ne accorgiamo nemmeno, quando lo fabbrichiamo con le nostre mani, coi nostri pen­sieri, con le nostre azioni... Sembra nulla, vivere. Un giuoco. Una favola di tutti i giorni. Poi ti accorgi che i minuti sono diventati anni, e non te ne puoi più liberare. Sono rutti là, schierati, come gli uomini di un plotone di esecuzione. Maman, arriva il momento in cui non si può più scappare.

Madame           Taci. Ti ordino di tacere. Signori, abbiate pietà di me. Portatela via. Fatela tacere. Io vorrei farvi giudici del mio passato. Dirvi tutto della mia vita.

(Silvia ride senza ritegno. Madame, disperata)

Tu ridi. Tu ridi sempre così. Tu mi ucciderai, ridendo.

Silvia       Bisogna confessarsi, Maman. Confessarsi qui, di fronte a questo cielo, davanti a questo mondo. Su, Maman, Coraggio. Confessiamoci. Buttiamo fuori tutto quello che sta appiattato nella nostra carne. Senza tenere neppure una briciola nascosta. Senza coprirci il viso con un lembo di pietà. Non abbiamo fatto tanto cammino per questo? Non era forse per questo che siamo salite quassù? Perché non rispondi? Perché non hai il coraggio di levarti dal cuore tutto il peso che lo opprime, che lo schiac­cia? Su. Io sono pronta. Io posso anche cominciare, se lo vuoi.

Madame (slanciandosi contro di lei, tenta di tapparle la bocca)  Taci. Taci. Taci.  (Si abbatte a terra prorompendo in pianto).

Silvia       (fredda, impietosa)    Piange. Adesso non sa più che piangere. (Le va accanto, la urta con la punta del piede)   È tardi, ormai, per piangere. Non serve più. Non c'è più via di scampo. Bisogna parlare con qualcuno, adesso, gridare, gridare con la voce più forte di tutti.

Madame (alzandosi e camminando a tentoni, smarrita, come improvvisamente accecata)  A chi, a chi? A chi possiamo parlare? A chi possiamo chiedere di essere ascoltate? Non ne posso più di aspettare. Ho un peso troppo grande in me... Mi soffoca, mi uccide.. A chi?... A chi?... (Cerca intorno, dispe­ratamente; poi, d'improvviso, alza le braccia al cielo e piomba in ginocchio al centro della scena)   A chi?... A chi?...

(Buio).

QUADRO TERZO

Il Marito         Questo figlio nascerà fra poco tempo. (Pausa)   Dovrà nascere qui.

Madame           Ma non avete laggiù la vostra casa?

Il Marito         Certo ho laggiù la mia casa. Ma noi due l'abbiamo lasciata. Abbiamo lasciato la casa e tutta la gente di nostra conoscenza. Adesso, finalmente, siamo soli.

Madame           E volete aspettare qui la nascita del vostro bimbo?

Il Marito         Certo. (Alla moglie)   Tu sei sempre d'accordo, vero?

La Moglie          Se tu lo vuoi.

Il Marito         Devi volerlo anche tu, come lo volevi laggiù... (Chinandosi su di lei seduta a terra)  Adesso hai paura? Di', hai paura?

La Moglie  Non ho paura.

Madame  Ma non vi pare troppo pericoloso avere un bimbo qui, in questa solitudine? Sapete, non ci sono medici, né medicamenti...

Il Marito         E i contadini, e tutta la gente della montagna, hanno forse bisogno di medici e di medicamenti?

Madame           Di qualcuno che li aiuti, certo. E qui...

Il Marito         Ci siete voi, saprete 'bene darci aiuto.

Madame           Francamente...

Il Marito         (deciso)   Qualcuno ci aiuterà. E semmai faremo da soli.

Silvia       Oh! Se vorrete, io vi sarò vicina.

Madame (sogghignando) Tu! Potrai proprio fare molto, in quel momento! (Al marito)   Sentite, non per mandarvi via, ma io credo che nel vostro caso sarebbe molto meglio che ve ne tornaste in città... Voi vi isolate proprio nel momento in cui tutti cercano aiuto, conforto, cure...

Il Marito         Perché gli altri non si saranno trovati nelle mie condizioni.

Madame           Oh! Il mondo è pieno di genitori che hanno avuto dei figli.

Il Marito         Ma io voglio - mi capite? - voglio che mio figlio nasca lontano da loro. (Indica giù in basso, dove si immagina sia la città)   Hanno cominciato a fargli del male prima del suo arrivo sulla terra. Temevano di non fare in tempo a fargli del male. Così hanno cominciato prima. (La moglie singhiozza) E tu non piangere. Hai già pianto abbastanza. Tu non c'entri. Te l'ho detto che non centri. La colpa è loro. (Pausa)   L'ho sposata cinque anni fa. Ci conoscevamo da ragazzi.  Poi  sono venute le guerre. Una dopo l'altra, e io l'ho fatte tutte. Durante una pausa, l'ho sposata. Poi sono ripartito. Poi sono tornato. Poi sono partito ancora. Un giorno, mentre ero lontano, lei mi scrive che avremo un figlio. Una bella lettera, una lettera buona e semplice, di poche parole, ma che a me, che vivevo di continuo con la morte a fianco, mi fece un gran bene. Ero su di un monte come questo, sepolto in una gran buca lunga, nera, colma di fango gelato. Di notte contavo le stelle, mi ero fissato che mio figlio fosse sul Carro - sapete quel gruppo di stelle che formano un carretto col timone? - e lo guardavo, e stavo attento che il Carro non ribaltasse nel cammino, e se fosse ribaltato sarei corso a raccogliere il mio figliolo con queste braccia, stringendomelo subito al petto e dimenticando che la morte stava sempre in agguato. Poi, dopo tre mesi, feci ritorno alla mia casa. E lì... Mi bucarono le orecchie, capite?

Madame           In verità...

Il Marito         Cominciai a raccogliere delle voci maledette, delle parole di sangue, dei colpi di spillo alla nuca, al collo, al cuore...

La Moglie  Tutta una bugia, tutta una malvagità... Erano stati in casa nostra i soldati. Che ci potevo fare? Cacciarli voleva dire andare al muro. E i soldati rimasero due mesi. Erano venuti nella mia casa perché eravamo due donne sole, mia madre ed io...

Il Marito         Stai zitta. (A Madame)   Ho cercato di non ascoltare. Ma laggiù ci sono le vespe, le vespe con i pungiglioni d'acciaio. Cominciò ad entrarmi dentro il sospetto, la paura, il terrore...

La Moglie (spasimando)    Voleva uccidermi...

Il Marito         Zitta! Volevo liberarmi. Liberare te e me insieme. Ma c'era il figlio. Io lo voglio questo figlio. Io l'ho atteso, questo figlio, mentre ero immerso nel fango della trincea. Mi ha salvato. La morte non mi ha preso perché lui (indica il grembo della moglie)   non ha voluto. Mentre i miei compagni cadevano intorno a me, io pensavo a lui, lo chiamavo, gli dicevo salvami, tu che puoi. Debbo vederti, debbo accarezzarti, debbo volerti tanto bene...

La Moglie (con un grido)    Ma nessuno te lo toglie, è tuo, soltanto tuo.

Il Marito         Essi mi hanno gettato il sospetto nel cuore... non posso più credere. Non posso più attenderlo con la gioia di prima.

Silvia       (appressandosi alla moglie, prendendole una mano fra le sue)    State quieta, non vi agitate. Potreste fargli del male...

Madame           Sentite. Tutto quello che ci avete raccontato è molto triste, ma io non credo che qui possiate trovare quello che cercate. Lei ha bisogno di assistenza. Qui nessuno potrà e saprà darvene. Che cosa vi ha fatto pensare che quassù vostro figlio potrà essere più felice di là?

La Moglie  Una notte mi sono svegliata di soprassalto perché lui (indica il marito) dalla camera accanto non faceva che singhiozzare disperato. Gli sono andata innanzi e gli ho detto: «Non posso più vivere così. Uccidimi se vuoi. Uccidimi subito». E mentre attendevo che lui mi liberasse finalmente di tanto peso, ho visto, lontano, come attraverso una finestra improvvisamente spalancata davanti ai miei occhi bruciati dalle lacrime, questo monte. Sulla vetta di questo monte era come una luce. L'ha vista anche la mia creatura, perché in quell'istante io l'ho sentita muovere in me, con un grande sobbalzo che mi ha fatto correre un brivido per tutto il corpo... Allora ho ritrovato tutte le mie forze. Sono riuscita a convincere mio marito che qui era la nostra salvezza. Siamo fuggiti di casa come forsennati, senza portare nulla con noi. Abbiamo camminato. Non sappiamo come siamo arrivati.

Il Marito         Né quale strada abbiamo percorso...

La Moglie  Forse non abbiamo neppure camminato: come in sogno. (A Madame, sgomenta)   Allora, non ci manderete via?

Silvia       (risoluta)    Ma nessuno di noi ha il potere di dirvi «restate» o «andate via»! (A bassa voce)  C'è qualcuno, là dentro. Qualcuno che forse può dirvi «restate» o «andate via». Ma noi non l'abbiamo ancora veduto. I due giovani, sì, l'hanno veduto... Ma da quando siamo qui noi, ancora non è uscito dalla sua casa.

Il Marito         Chi è?

Madame Non sappiamo. Forse è quello che è arrivato per primo quassù. E vorrebbe farla da padrone. Ma noi non gli permetteremo di comandare. Abbiamo tutti il diritto di rimanere.

Il Marito         (deciso, avviandosi verso la porta)   Va bene. Però io voglio parlargli. Vedremo un po' che faccia ha.

Silvia       (con un grido, fermandolo)  No. Aspettate. Non è ancora il momento. Bisogna aspettare.

(Buio).

QUADRO QUARTO

Il Sopravvissuto  Adesso non vorrete ch'io vi dica tutto di me.

Angelo    Siete voi che avete cominciato a parlare. Per me potete benissimo starvene zitto come una di queste pietre.

Il Sopravvissuto  Ma qualche cosa debbo pure dirvi.

Angelo    E allora parlate, ma fate svelto. Qui non siamo troppo curiosi.

Madame           Tuttavia è meglio sapere con chi si ha da fare...

Michele   Certo, Madame! Ci si potrebbe trovare gomito a gomito con un ladro, mettiamo, o respirare addirittura lo stesso alito di un assassino...

Madame           Dobbiamo vivere insieme?

Michele   Così sembra.

Madame           E allora conosciamoci meglio.

Angelo    Certo. Diverremo fratelli.

Madame           Vi dispiacerebbe?

Angelo    Non siamo tutti eguali, qui. Noi due siamo dei disperati, per esempio, e voi avete invece una borsa colma di ricchezze. Non si può essere fratelli quando qualcuno ha la borsa troppo piena e qualche altro troppo vuota.

Madame (aggressiva)    Perché poi vi preoccupate tanto della mia borsa? Che fastidio vi dà?

Angelo    Parecchio.

Madame           Vediamo un po'.

Angelo    Siete l'unica, qui, ad avere preoccupazioni tanto meschine. Michele ed io non chiediamo certo di possedere tesori: vorremmo avere soltanto il minimo indispensabile per vivere, e soprattutto vorremmo dimenticare tutto il sangue nel quale abbiamo diguazzato per tanti anni... Quei due genitori vorrebbero far nascere in un mondo di pace la loro creatura. E Silvia...

Silvia       Tacete. Non occupatevi di me.

Angelo    Scusate. Però non credo abbiate pensieri per i gioielli di quella borsa.

Silvia       Certo è roba che non mi riguarda.

Madame           Davvero? Eppure c'è qualche cosa di tuo qui dentro.

Silvia       (con un grido)  Il mio sangue. Il mio male. Tutto il mio male. E tu lo sai. E non dovresti ricordarmelo.

Madame           Già. Io sola dovrei soffrirne. E perché?

Silvia       (veemente)    Perché è tua la colpa. Tua. Soltanto tua.

Michele   Basta, adesso. Abbiamo un ospite nuovo. L'ultimo, speriamo.

Il Sopravvissuto  Oh! Non disturbatevi per me. Soltanto vorrei dirvi che trovo inutile arrabbiarvi per cose da nulla... L'essere qui, in questo isolamento, dovrebbe farvi bene al cuore. Invece mi accorgo che la vostra ira continua, come per tutti, laggiù...

Il Marito         Vedete. Tutti siamo arrivati qui per liberarci di un peso, di un male, di un passato. Tutti avevamo nel cuore una speranza, una piccola luce da ravvivare, qualche cosa da difendere. Ma poi, dopo pochi giorni, ce ne siamo completamente dimenticati. E ognuno di noi ha ricominciato a vivere come laggiù, con le stesse ire, gli stessi inganni, le stesse amarezze, le stesse paure.

Il Sopravvissuto  Ma allora voi non sapete?...

Michele   Che cosa non sappiamo?

Angelo    Insegnatecelo, e ve ne saremo molto grati, professore.

Il Sopravvissuto (assorto)    Forse è troppo tardi.

Michele   Il mio eccellente maestro delle elementari diceva sempre che non è mai troppo tardi per imparare. Forza, siamo qui tutt'orecchi.

Il Sopravvissuto  È difficile. (Pausa)   Bisogna aver dato un'occhiata a quello che c'è di là...

Madame (ironica)    E voi l'avete data?

Il Sopravvissuto  Certo.

Michele   Sareste per caso un uomo che ha conosciuto la Morte?

Il Sopravvissuto  Preciso. (Pausa)   Gli uomini mi hanno ucciso. Non avevo fatto nulla di male. Vivevo con la mia famigliola, mia moglie e mia figlia, e portavo avanti con tanta fatica una piccola bottega di cartolaio. Un buco accanto alla scuola media. Lavoravo un po' all'inizio dell'anno scolastico, con i libri nuovi, i quaderni, le copie, i pennini, le matite, le gomme, i fogli della carta da disegno...  Poi vivacchiavo proprio a stento, una miseria, qualche cartolina illustrata con gli auguri per le feste, le letterine natalizie, le decalcomanie... Un giorno venne a trovarmi un viaggiatore di commercio, un piazzista. Era un uomo alto e grosso, di pelle rossa e con una gran selva di capelli fulvi spettinati. Sembrava un orco. Posò sul banco una gran borsa gonfia di mercé, e cominciò a tirarne fuori scatolette tutte eguali. Ne allineò una diecina sul banco. Poi le aperse. Erano piene di soldatini di piombo. Ogni scatola una piccola caserma. Soldati in divisa di guerra, tutti armati, con i fucili le mitragliatrici i cannoni le bombe a mano i lanciafiamme... Un capolavoro. Rimasi senza fiato. Non avevo mai avuto giocattoli nella mia bottega, e tutta quella roba mi offuscò la vista. Cercai di convincere il viaggiatore che quella non era merce adatta al mio negozio, ma lui, senz'ascoltarmi, continuava ad ammucchiare scatole su scatole, caserme su caserme. Venne fuori l'artiglieria, poi la cavalleria, poi i carri armati, la marina, l'aviazione... Non volle un soldo di anticipo. Non mi fece nemmeno firmare una ricevuta. Mi lasciò tra un monte di scatole dicendo « faccia la vetrina, presto, prima che i ragazzi escano da scuola. Vedrà ».  E se ne andò com'era venuto. (Pausa)   Rimasto solo mi guardai intorno, tutta la mia bottega era piena di armati. Sulle prime ne ebbi un terrore immenso, mi sarei nascosto sotto il banco, avrei voluto fuggire per sempre da quell'incubo. Ma il ricordo della mia famiglia mi trattenne. A poco a poco entrò in me il pensiero di un buon guadagno da raggiungere con la vendita dei soldatini, e, all'improvviso, afferrato da una specie di forza demoniaca, mi gettai sulla vetrina, la sbarazzai delle cartelle, dei portapenne, dei quaderni, dei libri, delle letterine, e vi ammassai i soldati. Ne feci tutto un campo di battaglia, irto di fucili e di mitragliatrici, di spade sguainate e di gole di cannoni. Poi attesi. A mezzogiorno le prime frotte di ragazzi uscirono dalla scuola. Qualcuno si arrestò davanti alla mia vetrina, e a gran voce chiamò gli altri. Si formò addirittura una piccola folla incuriosita, eccitata. Entrarono i primi avventori, comprarono i primi soldati. Fu un successo enorme. In pochi giorni avevo esaurito la provvista, e il viaggiatore, come evocato per magia, ritornò alla mia bottega, a rifornirmi. Sogghignava, com'uno che s'attendesse senza fallo quel risultato. E mi rifornì anche più abbondantemente. Vendetti ancora tutto. I ragazzi entravano urtandosi, vociavano, si colluttavano. Vennero anche quelli delle scuole più lontane, tutti dicevano che negli altri negozi della città non si trovavano soldatini come i miei, così simili ai veri...

(Pausa)

Ma un giorno i ragazzi non vennero più a comprare i miei soldati. Un giorno la scuola si trasformò in caserma e i ragazzi passarono davanti alla mia bottega vestiti da soldati. Non guardavano più la mia vetrina. Passavano marciando in colonne fitte, sempre più fitte. Avevano i fucili, e le mitragliatrici, e i cannoni. I loro occhi sfavillavano. Sulle loro labbra passava un canto. Poi partirono dalla città. Rimase deserta la piazza, passava soltanto qualche vecchio, qualche bambino che non s'accorgeva della mia vetrina. Trascorsero i giorni. E anche nella tana della mia bottega giunsero le notizie della guerra, i bollettini, le voci, gli ululati, gli schianti, le lacrime della guerra. E cominciai a non poter più dormire. Di notte, intorno al mio letto, s'alzavano schiere di soldati di piombo, alti come i ragazzi, fermi nel gesto di sorreggere il fucile, di puntare il cannone, di lanciare la bomba. Ogni soldato aveva il volto di un ragazzo della scuola, e i volti erano tutti impietriti, fissi, gelati come maschere di assiderati. Salivano anche sul mio letto, e marciavano sul mio corpo, a passo cadenzato, zampandomi tante orme di fuoco sulle carni, dentro la carne, fin nelle ossa...

Poi, un giorno, arrivarono quelli che il destino aveva risparmiato solo in parte. Privi di braccia o di gambe, si trascinavano carponi o con le stampelle, qualcuno era cieco e portava incastrate nel viso grosse lenti nere luccicanti. Si fermarono al di là della vetrina. Li vidi prima riflessi nei cristalli; poi addensati sulla soglia della porta: puntavano contro di me moncherini sanguinanti, e le estremità delle stampelle e dei bastoni... Non una voce, non un grido: un grande silenzio gelato, tremendo che mi svuotò di colpo tutto il sangue dalle vene. Poi, divenuti folla, entrarono, mi strapparono dal banco dietro al quale mi ero rifugiato, e mi portarono sulla piazza. Mi trovai mischiato a un gruppo di altri uomini, grossi uomini dalle ghigne livide di spavento, dalle mani grasse ornate di anelli, dai ventri carichi di catene d'oro... Ci spinsero contro il muro della scuola, e tutti, anche i monchi, anche quelli che strisciavano carponi in terra come povere bestie, ci puntarono contro i fucilini dei soldati di piombo, e i fucili spararono, spararono senza sosta, riempiendo la piazza di fumo acre e di rombi assordanti... Noi cadevamo l'uno sull'altro, senza un grido, con tonfi sordi come stracci bagnati... Rimasi sotto quel carname non so quanto tempo. E mi accorsi che non ero morto. Mi sciolsi a stento dall'ammasso di carne già imputridita, mi alzai, mi trovai sulla piazza immersa nel buio, ebbi la certezza di essere ancora vivo. E allora fuggii, fuggii come un dannato, corsi tutta la notte fino all'alba, e all'alba mi trovai alle pendici di questo monte, e adesso sono qui... Sono qui... Vorrei dire a tutti che adesso ho visto, che adesso so, e che per il tempo che ho passato là sotto, tra quei morti, morto anch'io, ho capito, ho visto chiaro... Le nostre mani debbono essere senza macchie, se non vogliamo che qualcosa di tremendo cada su tutti... E invece siamo pieni di macchie, abbiamo le mani lorde, e gli abiti, e il viso, e dentro, dentro, dentro, tutti lordi... (Con grido)   Io so, io ho visto: un giorno tremendo ci aspetta! Tutti ne saremo colpiti, perché tutti ci siamo macchiati. Tutto il mondo è macchiato. E quel giorno tremendo sta per arrivare.

Michele   (veemente, per nascondere la paura che l'ha assalito)    Qualcuno vi ha mandato qui per raccontare le vostre stupide favole, e metterci addosso la paura, e farci sgombrare da questo luogo. Siete un buffone!

Madame           Lo credo anch'io. A chi la volete dare a bere la vostra stupida storia dei soldatini di piombo?  Tutti i ragazzi hanno giocato coi soldatini di piombo.

Angelo    Io so che cosa vuol dire fucilare qualcuno. Ci vogliono dei buoni fucili e la mira giusta. Eppoi non si scappa, al plotone di esecuzione. Passa il sergente, con la pistola in pugno, e dà il colpo definitivo, qui, alla nuca... L'ho visto tante volte.

Il Sopravvissuto  Credetemi. Tutto quello che ho detto è vero. Io non sono un buffone. Io ho visto.

Michele   Avete visto un monte di sciocchezze. Siete il più stupido di tutti, qui. Andatevene.

Madame Non avevamo certo bisogno di un tipo come voi. Siamo già in troppi, non si respira più anche se viviamo all'aria aperta.

Il Sopravvissuto (amaro)    Va bene. Potrò anche andarmene. Ma non tornerò certo laggiù, tra quella gente... (Ripreso dotta paura)   Non voglio più incontrarmi con quei ragazzi dalle mani stroncate, dalle gambe di legno, dalle pupille spente...

Il Marito         (iroso)    Sono gli stessi che mi hanno distrutto la casa. Io non ho più pietà. Sono tutti colpevoli.  Uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri, tutti hanno il veleno nel sangue, e lo iniettano senza misericordia. Hanno avvelenato mio figlio prima che nascesse... Maledetti!

Il Sopravvissuto (urlando)    Nessuno di voi vuole credermi, ma io vi dico la verità. Laggiù avverrà qualcosa di terribile. Un grande fuoco uscirà dalla terra, e si propagherà a tutta la terra. Alle case, alle città...  Nessuno ne sarà risparmiato. Oppure sarà un'onda immensa, che si gonfierà dal mare, e si avventerà sulla terra, e sommergerà tutto e tutti, senza scampo, senza misericordia... O una pioggia di fango viscido, che ammorberà l'aria ed entrerà nelle case dal tetto, e ridurrà ogni creatura umana simile a una statua nera incrostata di fanghiglia...

Il Marito (con un balzo gli è accanto, lo afferra alla gola stringendolo selvaggiamente)    Taci! Tu sei venuto quassù per rovinarci tutti, ma io non te ne  lascio il tempo. Niente avverrà di quanto tu profetizzi. Io voglio che mio figlio nasca, e che nessun pericolo lo minacci. Tu sei un falso profeta, un cane schifoso.

(Michele e Angelo cercano di togliere il Sopravvissuto dalle mani artigliate del marito. Lottano a lungo, tra gli urli isterici delle donne e il pianto disperato della moglie).

Angelo    Lascialo. Lascialo, perdio. Non lo vedi che è mezzo morto? Vuoi ammazzarlo così, solo perché lui trema dallo spavento? Lascialo tremare. E bada soltanto a non tremare anche tu.

(Il marito allenta finalmente la stretta lasciando il collo del Sopravvissuto, e va a sedersi in disparte, col capo chiuso fra le mani).

Il Sopravvissuto (riprendendo faticosamente fiato, si guarda attorno; poi, lentamente)    Potevate pure lasciarmi uccidere. Io non ho più paura di morire. Io  ho soltanto paura di veder morire gli altri. (Come parlando a se stesso, con lo sguardo perduto lontano)... Ilgiorno del Signore verrà come un ladro di notte.  (Con un grido)  Come un ladro di notte, capite? Col piede scalzo, senza fare il minimo rumore, senza un respiro. Quando nessuno lo aspetterà...

L'Uomo   (appare sulla soglia della casupola di cui si è improvvisamente spalancata la porta: tutti restano immobili)    

Che cosa accade? Vi scannate, adesso? Non vi bastava di aver turbato la pace che regnava quassù?

Il Sopravvissuto  Signore, sono io il colpevole di tutto. Io, l'ultimo arrivato.

Il Marito         (scattando in piedi)    Finalmente! Vi aspettavo.

Madame (c. s.)    Anch'io vi aspettavo.

(Tutti si sono appressati all'Uomo, circondandolo e lo fissano intensamente, come suggestionati).

L'Uomo   (con voce ferma, semplicissima)    Che cosa volete da me?

Madame           Voi dovete aiutarci.

L'Uomo   Aiutarvi in che?

Madame  Non so... Non so... Ma ognuno di noi, qui, ha bisogno di una vostra parola, di un vostro cenno...

Silvia       (accennando a Madame)    Lei vuole che l'aiutiate a mettere in salvo la sua borsa piena d'oro...

Madame           Non è vero!

Silvia       E allora gettala via! Rovescia tutto su questa terra. Coraggio!

Madame           Non toccarla. Guai a te se ti avvicini a questa borsa.

Silvia       Ti scotta le dita, eppure la stringi forte come fosse una reliquia... (All'Uomo)   Volete sapere perché siamo qui? Soltanto per difendere dalla cupidigia degli uomini quella borsa là. Solo per questo lei è salita fin quassù.

Madame           Non è vero. Sei una bugiarda sfrontata. (Piagnucolando)   Signore, signori, vi prego di credermi... Io sono una povera donna... Nella mia vita ho fatto del bene... a tutti, signore. Come ho potuto. Certo non si può sempre far del bene nel modo migliore... Bisogna essere nati molto fortunati per fare del bene senza fare del male, non vi pare? Sono certa che voi mi capite. (Pausa; poi, assorta)  Venivano da me solo per chiedere aiuto. Nessuno saliva le scale della mia casa per portare qualche cosa: solo venivano per chiedere. E io davo. Davo non del mio, si capisce. Io non avevo nulla da di­stribuire... (Silvia ride. Madame andandole incontro coi pugni serrati tesi al viso)   Tu ridi. Tu ridi sempre così. Ma di' se non è vero tutto questo. Anche tu sei venuta a chiedere aiuto.                           

Silvia       E l'ho avuto. Ne ho avuto più di quanto ho chiesto. Ne ho avuto tanto da morire.                 

Madame (con un grido)    Tu sei la mia maledizione.

Silvia       Sono il tuo passato. Ecco perché non potrò lasciarti mai più. (A tutti)   Sono diventata  « sua  figlia ». E lo sono rimasta. Non ho più potuto tornare alla mia casa, alla mia gente. Come potevo? Oggi sono sua figlia. Mi bruciano le labbra a pronunciare  questa parola.

Madame           Sei la peggiore di tutte.

Silvia       Sono « tua figlia », Madame!

Madame           La sentite? Così mi ricompensa. E io vi giuro che ho fatto tutto quello che potevo, per lei. È venuta a battere alla mia porta che sembrava una mendicante...

Silvia       ... Lo ero!

Madame           E io l'ho ripulita, vestita, sfamata... Ho avuto per lei tutte le cure... Le ho cercato buone conoscenze.

Silvia       Oh! Per questo, sì. Ottime conoscenze. Molti ufficiali. Ufficiali di ogni paese, ufficiali di tutti gli eserciti, che venivano a turno a battere direttamente alla porta di Madame. Ufficiali bianchi e rossi, neri e gialli, verdi e azzurri. Quando partivano i bianchi arrivavano i rossi, quando fuggivano i rossi comparivano i neri, i gialli, e tutti gli altri. A turno. E noi sempre lì, le buone figliole, a ricevere tutti.  Per fare contenta  Madame, e  per mangiare, e per portare qualche moneta a casa... Ma i quattrini grossi, signori, li faceva lei. Chiedetele, chiedetele di lasciare la sua sporca borsa tra le vostre mani. È colma del nostro sangue, signori. L'abbiamo riempita coi nostri infami peccati, con le nostre brutture, con la nostra carne infetta... Tutto si è tramutato in oro e pietre preziose... Bisogna salvarla, Madame, la borsa delle nostre infamie. Bisogna  tenerla serrata al petto, come fosse il cuore...

Il Sopravvissuto  (con un grido,  stendendo un braccio verso un invisibile punto lontano)   Guardate là!

(Tutti guardano, immobili, impietriti da una improvvisa e tremenda paura).

Il Marito         (mettendosi accanto alla moglie, in atto di protezione)    Smettetela, perdio!

Madame (urlando istericamente)    Che cosa accade laggiù? Che cosa accade?

Angelo    Forse un incendio...

Il Sopravvissuto (sempre gridando)    È quello che attendevo. Il fuoco che divora il mondo. Guar­date come si espande. Tra poco sarà qui, intorno a noi!

(Tutti si stringono istintivamente intorno all'Uomo).

Silvia       (staccandosene d'impeto, offrendosi come per un sacrificio, con tutto il corpo proteso, le braccia distese lungo i fianchi, i pugni chiusi, il capo eretto) Io non ho paura. Ho molto peccato. Io voglio espiare. Eccomi, sono qui.

Michele   (andandole accanto e prendendo la sua stessa posizione)    Nemmeno io ho paura. Sono pronto.

Madame (una folle paura si impossessa di lei; si trascina carponi fino ai piedi dell'Uomo, stringendo sempre fra le braccia la sua borsa).  Salvateci, voi che lo potete. Io sono una misera peccatrice. Ho fat­to tanto male. Abbiate pietà di me. Salvatemi!

La Moglie (fissando le pupille dilatate nel volto del marito)   Devi sapere, adesso. Guardami. (Gri­dando)   Non è tuo! Non è tuo.

(Il marito si stringe disperatamente il capo fra le braccia, come a volersi nascondere)  

I soldati mi hanno presa, là, in mezzo alla camera, sul nudo terreno, sotto gli occhi di mia madre. Uccidimi, adesso. Uccidi me e lui ora che sai!

Angelo    (guardando fissamente l'Uomo)    Poco prima che voi divideste con noi il vostro pane, sta­vamo per uccidervi. Avevamo deciso di portar via le vostre provviste, e di impossessarci della vostra ca­sa. In guerra, io e lui (indica Michele)   abbiamo uc­ciso tanta gente, e non ce ne siamo mai pentiti. Adesso, soltanto il pensiero di avere attentato alla vostra vita ci ha tormentato fino a questo istante. Adesso sapete.

(La luce si affievolisce, mentre si dif­fondono bagliori rossastri).

Il Sopravvissuto (sempre urlando)    Ecco. Il no­stro destino si compie. È la fine.

(Tutti sono dispo­sti di fronte al pubblico, con i segni del terrore e di una suprema attesa stampati in volto. Solo l'Uomo è calmo, sulle sue labbra si illumina un indefinibile sorriso).

Madame (con un urlo bestiale)    Via! Via da me quest'oro maledetto. Via! (Sparge a terra il conte­nuto della sua borsa; poi, calmandosi, con voce nuo­va)   Fai di me ciò che vuoi! (Volge come gli altri lo sguardo in alto).

SECONDO TEMPO

(La stessa scena dell'atto precedente. È mattino chiaro).

Silvia       (a bassa voce, con tono caldo, intenso, rac­colto)    Tutto quel silenzio, stanotte... Era il si­lenzio di un mondo nuovo. Tutto taceva ancora, co­me nelle ore che precedono l'alba. La nuova vita non era ancora cominciata. E tutto era trasparente, intorno a noi, perché tutto era nuovo e diverso. Sen­tivo soltanto vicinissimo il battere del mio cuore, e l'ascoltavo avidamente: l'unico segno di vita. Poi, come un rombo, è giunto il battito di un altro cuo­re: il tuo. Tu mi dormivi accanto. Ho sentito il tuo calore venirmi incontro, fasciarmi tutta, come fosse stato il fiato della terra, il segno che la terra era an­cora viva, e noi vivi su lei. Il primo segno della vita mi è venuto da te. (Pausa)   Ecco perché mi sono stret­ta  più vicina al tuo corpo. Ecco perché ti ho cercato. Ma ti giuro che ti sono venuta più vicino sospinta soltanto da un sentimento puro, nuovo, come il desiderio immenso di un grande sorso d'aria limpida... (Pausa)   Come il bisogno di annullarmi in un gesto di purezza. (Amara)   Ma tu hai capito soltanto una cosa. Tu hai ascoltato soltanto un richiamo.

Michele  Sono una brutta bestia. Adesso so che cosa avresti voluto da me. Ma come avrei potuto capire prima? Stanotte tu eri la vita che tornava. La vita, m'intendi?

Silvia       Un'altra vita.

Michele   (come un ritornello)    Non ho capito. Non ho capito.

Silvia       Ho tanto sperato. Ho creduto di poter tornare indietro nel tempo, di rifare il cammino, di rivivere gli anni perduti. Io sono diventata donna in mezzo alla guerra. Lo sono diventata con uno sconosciuto, un uomo ricco che aveva dato a Madame una grossa somma per avere una bimba tra le mani. Un giocattolo. Quella bimba sono stata io. Tutto il mio male comincia di lì. E ho creduto, dopo quello che i nostri occhi hanno visto stanotte, di poter tornare indietro, e cancellare tutto. Rifare la strada. E ripulire la mia vita. Ma non si può essere soli, nel cammino. Ci vuole la mano di qualcuno, che aiuti e sorregga. Io ho trovato la tua.

Michele   E ti ho tradito. Sono una brutta bestia. (Disperato)   Non ho avuto il tempo di capire. Ho sempre vissuto da bestia, con la morte vicina, la fame compagna, la paura ai fianchi... Non si fa a tempo a capire, vivendo così. Come gli affamati si gettano sul pane trovato negli angoli, tra i rifiuti, così noi abbiamo imparato a gettarci sulla vita, sui brandelli della vita. Senza scegliere, senza ragionare, senza gustare. Ciechi e dissennati. Abbiamo imparato a divorare, non a nutrirci. Ci hanno insegnato a rubare, non a guadagnare. E stanotte ho ancora rubato. Ho rubato a te, a te che volevi cominciare una vita nuova. Ho rovinato tutto.

Silvia       (con sincerità)    Forse non saremo i soli colpevoli, qui. Tieni la mia mano nella tua, e lasciami camminare al tuo fianco.

Michele   Sono qui. Ho la tua mano nella mia. Sento che tu sei la mia forza. Sento che tu puoi darmi davvero la volontà di continuare il cammino. Non provo più il tremendo affanno di essere solo, isolato nel mondo, come se di tutte le creature umane fossi rimasto in vita io solo, a vivere e a scontare per tutti. Cammineremo insieme. Guardando con occhi nuovi il nostro cammino. (Sono stretti luna all'altro).

Madame (apparendo da destra si appressa ai due e mormora all'orecchio di Silvia)    Cagna! Vi ho sentiti, stanotte. Tu credevi di farmela, ma io ho l'orecchio fino... E poi vi ho visto, qui fuori, sulla terra nuda...

Michele   (prevenendo la risposta di Silvia)   Tacete. Guai a voi se dite a qualcuno una sola parola. Vi torcerò il collo.

Madame           Ciò non toglie che abbiate peccato, orribilmente peccato...

Silvia       Dalla tua bocca, queste parole!

Madame (isterica)   Io voglio avere una vita nuova. Se è vero che intorno a noi non vi è più nulla di vecchio, se è vero che noi siamo rimasti gli unici esseri viventi sulla terra, io voglio essere diversa da quella che fui. E voi pure avreste dovuto volere questo. Ma voi... (A Silvia)   Tu hai peccato, stanotte.

Silvia       Zitta.

Madame (sottovoce, rabbiosa)    Col tuo peccato hai rovinato tutto.

Michele   Siete un essere schifoso. Parlate di peccato... E voi?

Madame           Io? Io voglio essere diversa. Io voglio...

Michele   Stupida. Aspettate. (Chiama)  Angelo!

Angelo    (apparendo)    Sono qui.

Michele   Vieni. Vedi quel sasso?

Angelo    Vedo. (Con intenzione)   Un bel sasso.

Madame (trasalendo)    Che c'è? Che dite?

Michele   Nulla, cose che a voi non interessano. Sappiamo solo noi. Però potete anche ascoltare. Può darsi che... Insomma, Angelo, dobbiamo compiere un lavoro, con quel bel sasso.

Angelo    Certo. Ne faremo un monumento. Il monumento alla Umanità Scomparsa. Il piedestallo è bello, e forte. Sopra ci metteremo... Beh, provvederò io. Basterà poco. Vedrai. Sarà una cosa molto significativa, e in tutto degna del soggetto. Tu detterai l'epigrafe: « Qui giace... ».

Michele   Dovremo sollevare quel sasso, e scavare sotto soltanto un poco...

Angelo    Che ci vuole? Pesa quanto una piuma...

Michele   Già. Anche una donna lo può sollevare. (A Madame)   Anche voi, Madame, potreste sollevarlo. Un piccolo sforzo...

Madame (furibonda)    Guai a voi...

Michele   (sghignazzando)    Ah! Ah! Madame non vuole che si sollevi il sasso... Forse Madame lo ha comperato?

Angelo    Ricominciamo con la proprietà privata? Brutt'affare, Madame, ricominciare la vita con la contabilità del mio e del tuo, del dare e dell'avere... Sono state la rovina del mondo, queste faccende.

Madame (sibilando)    Guai a voi se avete in animo di giocarmi un brutto scherzo. Io non vi ho dato alcuna confidenza, signori. State al vostro posto.

Michele   Anche il vostro oro e i vostri gioielli staranno al loro posto. (Calmo, freddo)   Là sotto.

Silvia       Che dite?

Michele   Stanotte, ritenendo che ognuno di noi fosse immerso nel sonno più giusto e più duro, Madame è uscita a passeggio carponi, ha raccolto tutti i suoi gioielli sparsi iersera durante un momento... di debolezza, li ha chiusi di nuovo nella sua borsa, ed ha sepolto la borsa sotto quel sasso, scavando una fossetta con le sue povere mani... Forse le unghie si saranno un poco rovinate, Madame, in un lavoro più adatto ai contadini, ai giardinieri o addirittura ai becchini...

Silvia       Hai fatto questo. Che male.

Madame           Dovevo forse lasciare il mio capitale nelle mani di questa gente?

Silvia       Ma che vuoi fame dell'oro, dei braccialetti, delle collane, degli anelli, se intorno a noi non è rimasto più nulla? A che servono le ricchezze, se non potrai più spenderle?

Madame           E tu, allora, perché hai ricominciato a fare la cagna? Perché stanotte ti sei data a lui? È dopo che ho veduto il tuo gesto, sai, che ho pensato di raccogliere il mio oro. Quando vi siete addormentati, stanchi, una nelle braccia dell'altro, io ho veduto, là, tra l'erba, luccicare i miei gioielli... Non li avevo veduti prima. Non mi ricordavo neppure di averne posseduto... Soltanto dopo il tuo gesto mi sono ricordata di tutta quella roba ch'era mia e che sentivo ancora mia, e l'ho raccolta, e...

Angelo    ... E l'avete chiusa in cassaforte. Sotto quel sasso. Avete avuto di nuovo paura. Avete di nuovo sospettato di noi. (A Michele) Su, tiriamo fuori il tesoro.

Madame (urlando)  Guai a voi se osate toccare la mia roba.

Angelo    Chiamate la polizia, Madame!

Madame           So difendermi da sola.

Michele   Le unghie. Ho letto non so più dove che anche la bestia più mite diventa una belva quan­do deve difendere le sue creature... Madame, avete nascosto i vostri figli, là sotto?

Madame           Non occupatevi di me. Pensate ad altro. Pensate a lei. (Accenna a Silvia).

Angelo    Ma anche a voi qualcuno dovrebbe pensare...

Madame           Lo so. Sareste voi e lui. Pensare alle cose mie, non è vero? Amministrarle. Per questo non aspettate altro che io mi allontani di qui. Ma io non mi muoverò. Io mi metto seduta qui... (Siede sul sasso).

Angelo    (scoppiando in una risata)  Eccolo, Michele, il monumento che volevamo erigere all'Umanità Scomparsa. Eccolo pronto, s'è costruito da solo, senza pietra, senza scultore... Guarda, Michele, che bel ricordo dedicato a tutti gli esseri umani che sono scomparsi dalla faccia della terra! Guarda che maschera, Michele. Guarda questo ammasso di carne quasi putrefatta, guarda queste mani, Michele, queste mani che hanno arraffato quanto più oro hanno potuto, l'hanno custodito gelosamente, poi, nella marcia paura che ci ha preso tutti iersera, lo hanno ripudiato, e infine nella certezza della pellaccia salva l'hanno ancora raccolto e ancora nascosto, lì sotto la pietra, dove stanno i vermi della terra... Ah! Michele, che bel monumento abbiamo creato! Su, non manca che la cerimonia d’inaugurazione. Forza, Michele. E voi, Madame, non muovetevi. Guai a voi, se vi spostate di un solo millimetro: gli uccelli da preda calerebbero in picchiata sui vostri tesori, e ve li strapperebbero per sempre dalla terra e dalle carni. Su, coraggio Michele!

Michele   (entrando veemente nel gioco, e trascinando Silvia, prima riluttante e poi partecipe)  Eccomi, Angelo. (Declamando e gestendo enfatico) È un bel mattino di primavera. Il mondo è tutto sco­perto, come una grassa donna nuda stesa sotto il sole. Invisibili fanfare suonano inni di gioia e di baldanza. È il mattino della nuova vita. S'inaugura la vita nuova, uomini che siete rimasti ritti sulla crosta della terra. Avanti. Squillino le trombe, cantino gli ottoni! (Ad Angelo) Signor... Signor... (Con voce naturale) Scusa, come dovrei chiamarti?

Angelo    Chiamami Uomo Nuovo. Io sono il primo Uomo Nuovo di tutti gli uomini nuovi.

Michele   Bene. (Con un goffo inchino) Signor Uomo Nuovo, vi consegno il monumento eretto dagli Uomini Nuovi in ricordo degli Uomini Vecchi. Eccolo. È veramente una sconcezza, con vostra li­cenza, ma non avrebbe potuto essere più somigliante. Osservatelo bene, signor Uomo Nuovo. È il ritratto della Disonestà, dell'Egoismo, della Cupidigia, della Grettezza, della Viltà... Guardate quante facce, si­gnor Uomo Nuovo. Ogni faccia un vizio, un peccato, una vergogna. Ma ormai non è più che un ricordo della vita passata, signor primo Cittadino del Mondo Nuovo! Lasciatela lì, seduta su quel forziere nel quale ha sepolto il suo oro per sottrarlo a noi tutti. E guardate noi, invece... (La sua voce ritorna nor­male, si fa calda e sincera) Noi, signor Uomo Nuovo, vorremmo essere diversi da quello che fummo... Noi... noi ci vogliamo bene. Non sappiamo se è il bene vecchio o il nuovo. Sappiamo soltanto che è un gran bene. Ce lo siamo detto stanotte, quando non sapevamo ancora se avremmo visto l'alba, que­st'alba così bella e così pura...

Madame (urlando con voce rauca)  Avete peccato, stanotte, come sempre!

Angelo    Taci, statua. Guai a te se parli : tu non puoi più parlare. Tu devi stare ferma e zitta sul tuo piedestallo. Siamo vivi solo noi, qui. Noi siamo gli Uomini Nuovi. E questa è la prima coppia degli Uomini Nuovi. Chiamiamo gli altri cittadini. Ehi! Amici, venite fuori dalle vostre tane. Facciamo festa alla coppia nuova! Michele. Silvia, andate a raccogliere quei fiori di ginestra!

(I due escono, ridenti, tenendosi per mano).

Il Marito         (apparendo)    Che cosa volete?

Angelo    Volevamo che veniste anche voi, con la vostra donna...

Il Marito         Non può. È là, sulla terra, come una bestia. Si dibatte senza pronunciare una parola.

Angelo    (semplice, sincero)    Ecco colui che sarà davvero il primo uomo nuovo!

Il Marito         (urlando)    Un bastardo! Un bastardo di soldato! Un bastardo di chissà quale razza!

Angelo    Tacete. Non dovreste più parlare così.

Il Marito         E perché? Forse qualche cosa è mutato, per me? Anzi. Ho la certezza, adesso. Ha confessato.  Perché non l'ho uccisa? Perché non l'uccido adesso, prima che getti fuori dal ventre questo bastardo? Perché?...

Angelo    (afferrandogli le braccia)  Bada a quello che fai. Non ti permetteremo di toccare quella creatura.

Il Marito         (cercando di sfuggirgli)    Non mi permetterai? E chi sei tu?

Angelo    Io sono...

Madame (beffarda)   Non lo sapete? È il primo Uomo Nuovo! Il primo Uomo Nuovo che vorrebbe impadronirsi del mio oro, di tutti i miei averi...

Il Marito  Credete davvero che io lascerò venire al mondo questo mostro?

Angelo    (urlando)    Michele! Silvia!

(Rientrano Michele e Silvia, con le braccia cariche di ginestre fiorite).

Silvia       (sorridendo)    Noi siamo pronti.

Angelo    Aspettate un poco. (Indicando il marito)   Vuole uccidere sua moglie perché sta per nascere il bimbo.

Silvia       (con un grido, gettando le ginestre imitata da Michele)    No!

Il Marito         Che cosa importa a voi se io uccido o non uccido mia moglie? Chi può comandarmi, qui? Chi siete voi, per comandarmi?

Silvia       Ma è innocente!

Il Marito         Non so nulla, io. So soltanto che la creatura che nascerà tra poco non è mia. Ne ho la certezza. Lo ha confessato, mentre la paura la faceva tremare...

Michele   Ascoltate. È vero che non abbiamo alcuna veste per imporgli la nostra volontà. Ma dovete ragionare. (Pausa)   Io so come accadevano certe cose.

Il Marito         E io sono stato un soldato anch'io, ma ho sempre rispettato le donne. Io sapevo soltanto che si doveva morire. Questo sapevo.

Michele   Ma si era tutti eguali.

Il Marito         Ma la vita, sì, doveva essere rispettata egualmente da tutti.

Michele   E anche questo non è vero.

Angelo    Non è più il caso di discutere su queste cose, adesso. (Pausa)   Adesso tutto dovrebbe essere diverso.

Silvia       Come nuovo. Ascoltateci.

Il Marito         Io non mi accorgo che qualche cosa sia mutato in me. Io sento lo stesso dolore di prima, più fondo adesso che prima, perché adesso posso dire di sapere con certezza. Lo ha detto lei stessa, stanotte.  Come se lo avesse giurato in chiesa, in ginocchio, davanti a...

Madame  Davanti a chi? Davanti alla paura. Ecco perché ha confessato. Per la paura che l'aveva afferrata, come ha preso me, come ha preso tutti voi! Siamo stati tutti presi dalla stessa paura, come il branco di pecore che s'ammucchiano a testa bassa, per colpa della saetta o del rombo del tuono... Per questo io ho gettato via i miei gioielli. Per questo tua moglie ha confessato. Per questo tu, tu, tu

(accenna successivamente a Silvia, Michele, Angelo)

avete chinato il capo... Paura, soltanto schifosa paura. Ma poi, stamane, al risveglio, che cosa è accaduto di nuovo? Che cosa abbiamo trovato di mutato? Tu (a Silvia)  ti eri data a lui, tu (al Marito)  vuoi uccidere tua moglie e la sua creatura, e io... (sghignazzando)  e io, sì, io voglio difendere da questi due ladri il mio avere, lo voglio difendere con tutte le forze, e lo difenderò!

Silvia       (disperata)    Ma allora, dite, che cosa c'è di mutato in noi? Perché abbiamo tanto atteso questo trapasso, se poi tutto è tornato come prima? Perché? Dite. Rispondete.

Il Marito         (con un grido)    Perché nessuno ci guida. Perché siamo qui soli, e non sappiamo se intorno a noi vi è ancora il mondo di prima, se laggiù vi sono ancora gli uomini, se questa è la stessa terra sulla quale abbiamo camminato con tanta fatica fino a ieri. Siamo soli!

(Tutti sono soggiogati da questo grido; si stringono uno all'altro, formando un gruppo statuario che rimarrà compatto. In quell'istante si apre la porta del ricovero dell'Uomo, ed egli appare sulla soglia).

L'Uomo   Chi ha detto che siete soli? (Silenzio di tutti)   Qualcuno ha gridato:  « siamo soli». (Pausa)   E se così fosse, perché avete tanta paura di essere soli?

Silvia       (dopo un istante di raccoglimento)  Perché ci avete lasciato? Perché, iersera, dopo quel terribile momento, ci avete abbandonato? Perché stanotte non ci avete tenuto raccolti intorno a voi?

L'Uomo   Io ero in mezzo a voi, stanotte. Ma nessuno di voi s'è accorto di me. Avevate soltanto una grande paura. E io sono rimasto ad osservarvi, come uno spettatore. Ho voluto vedere come nasceva il nuovo mondo...

Silvia       (chiudendosi il volto tra le mani)  Allora voi sapete già...

L'Uomo   So.

Madame  Saprete anche di me?

L'Uomo   So.

Madame           E di loro due, che avrebbero voluto portare via il mio oro...

L'Uomo   So anche questo.

Silvia       Allora voi sarete pronto per giudicarci...

L'Uomo   E perché dovrei giudicarvi? Io sono una povera creatura come voi, con i vostri stessi peccati, con le vostre paure, con le vostre speranze...

Madame           Perciò non siete voi che ci giudicherete?

L'Uomo   Vorrei sapere chi è che vi ha messo in testa l'idea che io debba essere il vostro giudice.

Madame           Tutti noi lo abbiamo creduto.

Silvia       Senza dircelo. Come se questo pensiero fosse nato dentro il cuore di ognuno nello stesso istante.

L'Uomo   Ma io non ho fatto proprio nulla per darvi questa certezza.

Michele   (semplice)  Avete diviso con noi il vostro pane.

Angelo    (c. s.)  Avevate soltanto un piccolo involto di pane, bastevole per voi e non per molto tempo. E lo avete diviso con noi, e poi anche con loro, senza più pensare alla possibilità di rimanere quassù, affamati, senza farina, senza la speranza di poterne trovare... Come ha potuto accadere tutto ciò? E come ha potuto, quel pane, bastare per tutti?

L'Uomo   Davvero, non saprei dirvelo. Io ho continuato a ficcare la mano nel tascapane militare appeso sopra la mia cuccetta, e in fondo c'era sempre una pagnotta. Davvero non saprei. (Allargando le braccia) Ogni volta credevo fosse l'ultima. E non siamo mai rimasti senza. Certe cose non si spiegano.

Silvia       E di noi, dite? Voi sapete tutto, di noi.

L'Uomo   Vi siete amati. Pochi istanti sono bastati per dare alla nuova vita un segno che non si cancella, che si tramanderà nei tempi dei tempi. Io non tremo per voi. So che il vostro peccato è già purificato dalla luce dei vostri occhi, so che i battiti del vostro cuore sono già tornati puri. Non tremo per voi.

Madame (irosa, veemente)  Solo a me voi non volete guardare con un po' di pietà. Si può sapere perché non volete avere pietà per me? Io ho bisogno più degli altri di qualcuno che mi aiuti, di qualcuno che mi tenda la mano. Io voglio che voi mi guardiate fino in fondo al cuore...

L'Uomo   Non avete il coraggio di compiere da voi stessa quest'atto? E' facile, sapete, quando tutto intorno è fermo come un mondo di pietra e di ombre.

Madame (dibattendosi)  Queste ombre sono scese anche nel mio cuore, nella mia mente. Tutto il passato mi si rivela adesso attraverso la nebbia. (Come afferrata da una forma ossessiva, gradatamente aumentata fino a diventare spasmodica) Se voi riuscirete a fare sgombro il mio cuore da tutte le ombre del passato, io sarò una creatura nuova, pronta ad iniziare un nuovo cammino, un cammino diverso, senza ombre, senza paure, senza viltà... Dev'essere così bello vivere con il cuore leggero, senza la paura del domani. Dev'essere come quando da bambini ci si sveglia nel sonno, al mattino, e si sorride al giorno che nasce, e si accarezza con le piccole mani il volto della madre, e si agitano festose le gambine come se la strada da percorrere fosse tutta lastricata di fiori... (Con un grido)  Non ho avuto figli, io, ed ho soltanto rovinato quelli degli altri! Il mio cuore è guasto da tutte le lacrime delle mie vittime, e stanotte io non mi sono pentita abbastanza... Aiutatemi voi, voi che lo potete!

L'Uomo   (le si appressa, e le posa una mano sul cuore)  Le vostre ombre si placheranno da sole, e voi uscirete dall'ossessione del vostro passato.

Il Marito         Io soffro più d'ogni altro. Tra poco la mia donna getterà fuori dalla sua carne un bastardo di soldato. Come posso accettare di raccogliere io l'eredità di uno sconosciuto che ha posseduto la mia donna come una preda di guerra? Che farò di quella creatura che è stata concepita tra i rombi del cannone, sulla terra sconvolta, con la forza, con la viltà, con la bava alla bocca, tra i brividi del terrore?

L'Uomo   (con tono fermo, umano)  Tu sei chiuso in un cerchio di fuoco. Devi uscirne. Devi saperne uscire da solo. Troverai la forza. Guarda la vita con occhi nuovi. Non ti accorgi, tu, di avere occhi nuovi? Di poter guardare lontano, molto lontano, e di vedere più chiaro di prima, come se non esistessero più le lontananze?  (Gli passa  lievemente una mano sulla fronte e sugli occhi)  Non avverti tutto questo, tu?

Il  Marito (dopo una lunga pausa, come svegliandosi da un profondo sonno)  Dove sono, adesso? Chi mi ha parlato? Chi ha cambiato le mie pupille? (Con un grido) Il mio cuore non sanguina più. Una grande pace è scesa nel mio animo. So soltanto che avrò un figlio, e che a questo figlio dovrò dedicare tutta la mia vita. Creatura, creatura mia! Tu sei nato dal mio dolore, tu sei figlio del mio sangue. Nessuno ti strapperà da me. Io ti darò il mio fiato, se l'aria mancherà ai tuoi polmoni. Io ti darò tutto il mio sangue fino all'ultima goccia, se il tuo cuore me lo chiederà. (Cadendo in ginocchio) Ti ringrazio, Signore!

(Tutti, lentamente, con movimento di automi, si stringono vieppiù intorno all'Uomo,facendo quadro. Poi, recitando in caden­za, pronunciano, a gruppi, le seguenti battute).

Silvia       Signore, se intorno a noi non vi è più segno di vita, noi saremo la vita nuova.

Michele   Abbiamo tanto sofferto, abbiamo versato tutte le nostre lacrime. Ma noi abbiamo ancora la forza e il cuore per essere vivi domani.

Silvia       Signore, ti ringraziarlo per le sofferenze che ci hai dato, perché da esse noi usciamo con l'animo puro e il cuore intatto. Grazie, Signore, per averci fatto tanto soffrire.

Michele   Grazie, Signore, per averci lasciato la vita fino al domani.

Angelo    Signore, noi usciamo da un bagno di sangue. Noi siamo diventati ciechi, muti, sordi dal gran patire, e le forze ci seno venute a mancare.

Il Marito         Abbiamo soltanto potuto raggiungere Te, per chiederti di aiutarci a non morire da cani. E Tu ci hai salvati.

Angelo    Tu ci hai riaperto gli occhi e rimesso la parola sulle labbra. Tu ci hai trasformato nel cuore e nelle carni.

Il Marito         Grazie, Signore, per averci lasciato la vita fino al domani.

(Esce da un riparo la Moglie,e si trascina dolente fino accanto a Madame).

Madame           Signore, noi abbiamo sofferto per tutti. Noi abbiamo combattuto senz'armi, con la nostra carne, con la carne dei nostri figli.

La Moglie  Noi siamo state calpestate, prese, lasciate. Le nostre carni sono state strappate coi denti, i nostri cuori tritati dal dolore.

Madame           Abbiamo compiuto ogni azione, per salvarci e per salvare. Ci siamo abbassate ad ogni servigio, anche al più vile, anche al più immondo.

La Moglie  E Tu ci hai guarite. Tu hai passato il dito sulle nostre piaghe, ed esse si sono sanate.

Madame           Tu hai passato la mano sui nostri cuori, ed essi hanno smesso di sanguinare. Grazie, Signore, per averci lasciato la vita fino al domani.

Tutti       Fino al domani che sarà nuovo. Fino al domani che sarà  Tuo. 

(Lungo silenzio.  Poi, improvvisa, scoppia, non lontano una grande, bestiale risata. Si ode l'ansimare di qualcuno che giunge inerpicandosi per l'erta del monte. Arriva in scena il Sopravvissuto: sembra un demonio, ha le pupille rosse e accese, i capelli scomposti, un ghigno orrendo).

Il Sopravvissuto (si ferma a pochi passi dal gruppo. Poi scroscia in una nuova altissima risata)    Eccoli lì!  Un mucchio di pecore! Sono venuto a portarvi una notizia. Una grande notizia.

Michele   (balza accanto al Sopravvissuto, lo afferra selvaggiamente per il petto, lo scuote)    Per la seconda volta tu giungi con notizie. Sei tu che hai gettato lo spavento nei nostri cuori. Che cosa ci vuoi dire, adesso?

Il Sopravvissuto  La verità. Quello che ho veduto io, con questi occhi. Lasciami.

(Michele allenta la stretta, lo abbandona)

Ti dirò meglio. Stanotte, mentre dormivate, io vegliavo. E ad un tratto sono balzato in piedi, ho scrollato di dosso la paura che ci aveva sepolti iersera, e sono corso giù, come attratto da una forza immensa. Ho corso a lungo, a perdifiato. Senza mai guardarmi intorno, senza osare di volgere lo sguardo in alto. Ho incontrato, così le prime case della periferia. Con intorno la gente di tutti i giorni, i bambini intenti a giocare nei giardini, gli uomini che rincasavano dal lavoro, l'odore di fumo che scendeva dai camini, i richiami delle madri, i saluti da un davanzale all'altro, le prime luci accese nelle vetrine dei negozi... Niente di mutato. Niente di finito. Capite? Di colpo, ho avuto la certezza che non era accaduto nulla, e che io avevo avuto soltanto una stupida, infame paura. Sono arrivato fino alla mia casa, sono entrato nella mia bottega... Sulla soglia, ad attendermi, c'era l'uomo dai capelli rossi, quello dei soldatini: me ne aveva portato un autocarro pieno, e le scatole si ammassavano sul marciapiede, in attesa del mio arrivo. Ho rifatto la vetrina, ho aspettato l'uscita da scuola dei ragazzi, li ho veduti accorrere al mio negozio, entrare, comprare... Ho chiuso tardi, sono salito alla mia casa, ho ingozzato un boccone, poi mi sono gettato sul letto, vestito. Non ho potuto dormire. Pensavo a voi, a voi, qui, in attesa... (ride)   e allora mi sono rimesso in cammino, ho rifatto la strada già percorsa, e sono qui, sono qui per dirvi che nulla è cambiato, che nulla è avvenuto, che la vita continua. Come prima. Tutto come prima.

(Un lungo silenzio. Poi, improvvisamente, il marito si distacca dal gruppo, compie alcuni passi, e punta un dito contro l'Uomo).

Il Marito         (a voce altissima, come un grido)    Tu ci hai tradito. Tu hai ingannato tutti noi.

(L'Uomo resta impassibile, china soltanto il capo da un lato, dolcemente; e il suo volto non ha alcun segno di reazione).

Madame           È vero. Tu sei un traditore. Noi abbiamo creduto alle tue parole. Noi abbiamo avuto fiducia in te. Sei entrato nei. nostri cuori e ci hai ingannato.

Angelo    Perché hai diviso con noi il tuo pane? Perché hai lasciato che stanotte noi credessimo che una immane catastrofe piombasse sugli uomini per distruggerli?

Michele   Chi ti ha chiesto di farci vedere il mondo con occhi nuovi?

Silvia       Come hai potuto passare le tue mani sulla nostra fronte?

Madame  Nulla è mutato, in noi. Siamo quelli di ieri, di sempre. Io vedo di nuovo il mio passato. (Urlando)   Lo avevo cancellato dai miei occhi, dal mio cuore. Tutto è tornato come prima.

Il Marito         E la mia donna farà un bastardo, un bastardo di soldato, un bastardo di nemico! Tutto il mondo si riempirà di bastardi, perché io non debbo soffrire da solo. Tutti i figli saranno bastardi, perché nati nel sangue, nei tradimenti, nello schifo delle guerre!

Michele   E ci rimetteranno un fucile tra le mani, e dovremo ancora sparare, ancora uccidere, ancora distruggere.

Silvia       E io dovrò ancora tornare da lei, da Madame, a stendermi sui suoi letti infami, per aspettare gli uomini con le divise, e calmare la loro febbre di carne, e tendere la mano alle loro monete che scottano tra le dita...

Angelo    Abbiamo creduto in te come nel Cristo.Parla. Perché ci hai ingannato?

L'Uomo   (lentamente,  con estrema semplicità)  Io non vi ho ingannato, perché nulla vi ho detto. Siete voi che avete ingannato voi stessi. Voi, che non avete trovato nel vostro cuore la certezza del domani.  Ci siamo addormentati.  E poi risvegliati con  gli stessi mali di prima. Ci siamo portati appresso gli stessi delitti. Non si può rinascere portando nellecarni lo stesso male che ci ha fatto marcire. Il nostro male è nato con noi, e con noi deve morire. Non vi ho ingannato. Ho soltanto sperato le vostre stesse speranze. Ho vissuto la vostra attesa. Adesso siamo tutti eguali nello stesso dolore. Siamo tutti eguali davanti alla notte che scenderà in noi.

Il Marito         È tutto questo che tu ci sai dire, adesso?

L'Uomo   Ho detto quanto sapevo.

Madame           Che tu sia maledetto. Meglio lasciarci nell'inganno, che tradirci dopo averci fatto tanto sperare.

Angelo    (serrando da vicino l'Uomo, spalleggiato da Michele)    Ci hai dato il tuo pane soltanto per allungare la nostra agonia.

Michele   (ossessionato)  Ci rimetteranno un fucile fra le mani. Dovremo ancora e sempre sparare.

Angelo    Dovremo ancora marcire nel fango e ne1 sangue.

Il Sopravvissuto (appressandosi alle spalle di Michele e di Angelo, soffia alle loro orecchie)  Uccidetelo! Uccidetelo! Sono gli uomini come lui che ci conducono alla rovina. Sono i falsi profeti, i bugiardi, gli ingannatori. Uccidetelo!

Madame           Schiacciategli il capo con una pietra: è una bestia immonda.

Il Sopravvissuto  (chinandosi a raccogliere un sasso, e porgendolo ad Angelo)    Su, levatelo di mezzo.

(Angelo afferra la pietra, come un automa e la solleva. Michele raccoglie anch'egli un sasso).

Angelo    Non ci offrirai mai più il tuo pane.

Michele   Non dividerai più nulla con noi.

(Tutti si serrano minacciosi intorno all'Uomo. Solo il Sopravvissuto resta in disparte, mentre la Moglie, con le mani artigliate al ventre, sparisce dietro un rudere di muro. Angelo col sasso impugnato, si scaglia sull'Uomo e lo colpisce selvaggiamente al capo. Tutti, imbestialiti, si avventano sull'Uomo, e lo colpiscono con sassi raccolti).

Il Sopravvissuto  Inchiodatelo là, alla porta della sua casa.

(Michele, Angelo, Madame, Silvia, il marito eseguiscono: trascinano il corpo dell'Uomo, ancora in vita, fino alla porta del suo tugurio, e ve lo sospendono con le braccia spalancate. Un attimo di sosta: davanti all'Uomo, crocifisso, tutti sono impietriti, muti, spaventosamente assorti).

Madame (si precipita sul sasso sotto il quale è sepolta la sua borsa)    La mia borsa, dov'è la mia borsa? Lasciatemela prendere, mi appartiene! (Si getta carponi a terra, rimuove il sasso, scava con le unghie, la dissotterra, se la stringe al petto)   È mia! È mia!

Angelo    (a Michele)    Su, dividiamo questo denaro.

Michele   (balza su Madame)    Finiscila, bestia!

Il Sopravvissuto  Via, via, scendiamo. Qui non si può rimanere. Scopriranno il vostro delitto... Via, via!

Madame (urlando, dibattendosi, cercando di mordere Angelo e Michele che le hanno afferrata la borsa)    Ladri, assassini! Vi denuncerò alla polizia.

Angelo    Non farai a tempo!

Madame (si svincola, fugge con la borsa sempre stretta al petto)    Vi denuncerò tutti! Ladri, assassini!

(Esce correndo di scena, seguita da tutti gli altri).

(Lunga pausa. L'Uomo, col capo reclinato sul petto, è immobile. Giunge un grido, dal muretto dietro il quale si è riparata la Moglie).

La Moglie (esce carponi, con un involto fra le braccia; si trascina fino ai piedi dell'Uomo, e, con uno sforzo sovrumano, gli offre a braccia tese la sua creatura)  È nato mio figlio. Eccolo. Lo porgo a te. Guardalo. È la mia carne. L'ho strappato dalla mia carne. Io voglio che viva. Ti chiedo una grazia suprema: fai che viva...

L'Uomo   (semplice, chiaro) Vivrà. (S'abbandona mentre la Moglie china il capo sulla sua creatura).

F I N E

Alla prima rappresentazione di questa commedia da parte della Compagnia del Teatro Sant'Erasmo di Milano, nel teatro omonimo, il 24 novembre 1953. le parti furono così distribuite: L'Uomo (Lucio Rama); Angelo (Romano Ber­nardi); Michele (Filippo Degara); Madame (Renata Seripa); Silvia (Lida Ferro); Il marito (Gastone Bartolucci); La mo­glie (Edda Valente); Il Sopravvissuto (Augusto Mastrantoni).  Regia di  Corrado Pavolini.