Commedia al tavolino

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COMMEDIA AL TAVOLINO

COMMEDIA AL TAVOLINO

di

Stefano Iatosti


PERSONAGGI

Constance Lenoir
Jean Pierre Roches
Alphonse
Raymond
Michelle
Georgette
Prima signora
Seconda signora
Ragazzo
Ragazza
Agente
Sabine


I ruoli di Michelle, Sabine e della ragazza possono essere svolti dalla stessa attrice; quelli del ragazzo e dell’agente dallo stesso attore. Se necessario, è possibile, con minime variazioni del testo, eliminare il personaggio della seconda signora; il ruolo della prima signora potrebbe così essere interpretato dall’attrice che interpreta Georgette.



ATTO PRIMO


Parigi, anni Novanta. Un pomeriggio estivo, di fine giugno. Fuori fa caldo e c’è il sole. Seduta a un tavolo del “Café des arts”, in proscenio, sulla destra, Constance, una giovane scrittrice, è in cerca idee e osserva gli avventori del locale prestando orecchio ai loro discorsi. Mentre, in preda a una crisi d’ispirazione, sta fissando la pagina bianca del suo taccuino, la sua attenzione è attratta da un uomo vestito in modo elegante, sui quarantacinque, a cui Alphonse, il gestore del locale si rivolge con deferenza. L’interno del locale non dev’essere ricostruito minuziosamente; basteranno alcuni tavoli caratteristici e un bancone sullo sfondo. Il caffè ha due entrate: una sulla sinistra e l’altra sulla destra della scena.

ALPHONSE Certo signor architetto. (Si allontana. Constance, incuriosita, lo chiama al tavolo con un cenno della mano).
CONSTANCE (ad Alphonse, che si è avvicinato, con discrezione) Scusi, come si chiama il signore con cui stava parlando, l’architetto?
ALPHONSE Non lo ha riconosciuto? E’ il signor Roches. Appare sempre in televisione. E’ quello che ha costruito una città e gli ha dato il nome di sua moglie. Constance strappa un foglio dal suo taccuino e ci scrive sopra qualcosa, poi lo porge al Alphonse.
CONSTANCE Può consegnarlo all’architetto Roches?
ALPHONSE Ma certo.
Alphonse consegna il biglietto a Jean Pierre, che si volta verso Constance e la squadra con l’aria dubbiosa, di chi non vorrebbe essere distolto dai suoi pensieri, ma poi le fa segno di accomodarsi al suo tavolo. Constance prende il taccuino e lo raggiunge, sedendosi davanti a lui.
CONSTANCE Salve. Scusi il disturbo. Mi chiamo Constance Lenoir e sono una scrittrice.
JEAN PIERRE Jean Pierre Roches, molto lieto. In cosa posso esserle utile?
CONSTANCE Vorrei farle qualche domanda. Ma non si tratta di un’intervista, non scrivo per un giornale. Pensavo a un soggetto, per il cinema...
JEAN PIERRE Lei scrive per il cinema? Così giovane?
CONSTANCE Non sono tanto giovane. Ho quasi ventitré anni. Finora ho scritto solo una commedia. La metteranno in scena alla “Coulisse”.
JEAN PIERRE E come si chiama, la commedia?
CONSTANCE “Un passo oltre la quinta”
JEAN PIERRE Complimenti. Ma vede, io sono un architetto, non so granché di teatro...
CONSTANCE (sorridendo) Non è per quello, che ho bisogno del suo aiuto. (Pausa) Il signor Alphonse mi ha detto che lei ha progettato una città.
JEAN PIERRE Non esageriamo.
CONSTANCE Vuol dire che non è così?
JEAN PIERRE E’ solo un borgo medievale.
CONSTANCE Capisco...
JEAN PIERRE Ma non è questo che l’ha interessata, vero?
CONSTANCE Mi ha detto pure che la città, cioè il borgo, porta il nome di sua moglie.
JEAN PIERRE Della donna che è stata mia moglie, Georgette. E non soltanto il nome. La pianta dell’abitato ha la forma del suo corpo. Dall’alto, è come una donna addormentata sul crinale.
CONSTANCE (dopo una breve pausa) Che si potesse arrivare a tanto, per una donna, non lo credevo.
JEAN PIERRE Vuole saperne di più?
CONSTANCE La prego, mi racconti di lei, di Georgette...
JEAN PIERRE La informo che Georgette è alquanto suscettibile. Però l’idea, che tutti possano conoscere la nostra storia non mi dispiace, sempre che lei la riporti fedelmente, voglio dire, in modo obiettivo.
CONSTANCE Dipende anche da lei, non crede?
JEAN PIERRE Non vorrei che inventasse di sana pianta per le esigenze del pubblico.
CONSTANCE La realtà della scena non è quella della vita.
JEAN PIERRE Sono d’accordo, purché non sia un pretesto per fare scandalo.
CONSTANCE Lo scandalo è nelle cose. In ogni storia c’è tanto sublime che ridicolo.
JEAN PIERRE Non parli per frasi fatte.
CONSTANCE Volevo dire che consegue al punto di vista. Se lei me lo permette, racconterò la storia dal suo.
JEAN PIERRE Quand’è così...
CONSTANCE Bene. Vediamo... com’è cominciato, tutto? Dove l’ha incontrata?
In quel mentre arriva Alphonse con il caffè e lo porge a Jean Pierre.
JEAN PIERRE (ad Alphonse) Grazie. (A Constance) Ma lei, mi perdoni, ha lasciato la sua, cos’è, Coca? Lì sul tavolo... (rivolto ad Alphonse, accennando al tavolo di Constance) La può portare qui?
CONSTANCE (interrompendolo) Non c’è n’è bisogno. (ad Alphonse) Avevo finito.
JEAN PIERRE E cosa prende, allora? Un’altra Coca? O preferisce un caffè?
CONSTANCE La prego, non si disturbi...
JEAN PIERRE Gradisce una fetta di torta? La torta di mele è deliziosa. Una ricetta normanna. (Ad Alphonse) Ne porti due fette... (zittisce Constance che accenna a una protesta) Vedrà, mi darà ragione...
Alphonse si congeda dai due allontanandosi verso il fondo della scena.
JEAN PIERRE Allora, dove eravamo rimasti?
CONSTANCE A Georgette.
JEAN PIERRE Ah sì, Georgette. (Con affettazione) Sono passati tanti anni e Georgette è ancora una bambina. Una bambina viziata.
CONSTANCE Come l’ha conosciuta?
JEAN PIERRE Nel modo più banale. A una festa. C’era quel pittore, come si chiamava, Auguste... be’, il cognome non lo ricordo... un amico comune. Georgette ha sempre avuto velleità artistiche.
CONSTANCE E’ una pittrice anche lei?
JEAN PIERRE Dilettante, ma nel senso migliore del termine. Il suo eclettismo mi ha sempre dato ai nervi. Le sue poesie, il violoncello...
CONSTANCE Anche musicista...
JEAN PIERRE E niente male, tra l’altro. Aggiunga a questo un viso delizioso, una sensibilità unica, senza parlare del resto...
CONSTANCE Credo di capire.
JEAN PIERRE Non so se può capire, da donna...
CONSTANCE Mi racconti cosa vi siete detti, la prima volta.
JEAN PIERRE A dire il vero non me lo ricordo bene. Come nelle migliori tradizioni, ci siamo trovati reciprocamente insopportabili. Però gli amici comuni, le occasioni mondane...
CONSTANCE Non potevate fare a meno d’incontrarvi.
JEAN PIERRE Appunto. E a forza di evitarci...
CONSTANCE Sì, ma com’è successo che...
JEAN PIERRE Vuol dire, la prima volta? Una pura coincidenza. Era tardi e non si trovava più un taxi. Eravamo cinque o sei, a piedi. Un amico si è offerto di accompagnare tutti. Ci siamo ritrovati fianco a fianco. Eravamo così vicini, così stretti l’uno contro l’altro...
CONSTANCE E questo non vi ha messo a disagio?
JEAN PIERRE Appunto. L’unico modo per vincere il disagio è stato andare a letto insieme.
CONSTANCE No, aspetti un momento, questo non riesco a capirlo.
JEAN PIERRE Ma certo, è così che succede. Da una coincidenza.
CONSTANCE E il disagio, che c’entra?
JEAN PIERRE Il disagio è come la paura. Prepara il terreno.
Silenzio
CONSTANCE E la famiglia di Georgette? Vi ha ostacolato, in qualche modo?
JEAN PIERRE Non sulle prime. Quando hanno intuito i possibili sviluppi...
CONSTANCE Lei non era ancora affermato.
JEAN PIERRE Ero un giovane architetto di belle speranze.
CONSTANCE Crede di essere stato agevolato dal matrimonio con una donna che presumo...
JEAN PIERRE (completando la frase) Ricca? Non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo.
ALPHONSE (avvicinandosi con discrezione e porgendo il vassoio) Scusate signori. La torta.
CONSTANCE Ha un bell’aspetto. (Comincia a mangiarla) Deliziosa.
JEAN PIERRE Cosa le avevo detto? Ma ci vuole qualcosa da bere. Le andrebbe un vino da dessert?
CONSTANCE Perché no?
Jean Pierre fa cenno ad Alphonse, che annuisce e si congeda. Silenzio. I due sbocconcellano la torta.
CONSTANCE Com’è nato il progetto del borgo?
JEAN PIERRE Davvero, le interessa?
CONSTANCE (con la bocca piena) Ma certo.
JEAN PIERRE (prendendo un lungo respiro) Edificare un borgo medievale nel XX secolo non è una scelta facile. Non puoi riproporre integralmente il pensiero urbanistico del tempo, l’insieme delle regole edificatorie... voglio dire tutte quelle consuetudini, che l’esperienza ha trasformato in regole... non puoi farlo senza presupporre un tessuto sociale che non esiste più, cioè la rete dei legami, dei vincoli professionali. E lo spirito di collaborazione che c’era. Eppure, mi deve credere, io il borgo, l’ho progettato come se quelle condizioni potessero ricrearsi. Certo, al giorno d’oggi non è dagli obblighi feudali che si evade, ma da tutta quella ragnatela di abitudini, doveri... e poi il vuoto della metropoli, l’anonimato...
CONSTANCE (colpita) E’ proprio vero.
JEAN PIERRE (nostalgico) Lo sa, ricordo quando avevo davanti a me il plastico e mi figuravo queste case arroccate sul poggio con le loro file tortuose, asimmetriche, che salivano fin su alla piazza...
CONSTANCE La piazza del mercato.
JEAN PIERRE Il luogo dei commerci, delle discussioni, degli incontri...
CONSTANCE Lei fa venire voglia di trasferirsi là.
JEAN PIERRE Le costerebbe molto, temo. E’ già un posto alla moda.
CONSTANCE Mi parli della “forma”, della città.
JEAN PIERRE Georgette se n’era andata e io pensavo solo a lei. Sa cosa intendo... quando una donna qualunque o anche solo un modo di camminare, un’inflessione di voce... quando ti fai prendere dall’ansia del riconoscimento...
CONSTANCE Continui, la prego.
JEAN PIERRE Era la mia ossessione. Pensavo al borgo come a un’immensa statua di lei, sforacchiata, formicolante... non potevo separarmi dalla sua immagine, se non riproducendola. Pensavo alla gente che la percorreva senza saperlo, la calpestava, solleticava il suo corpo addormentato...
Mentre Jean Pierre sta parlando, due signore sulla cinquantina si avvicinano con discrezione al suo tavolo, per ascoltarne le parole. Approfittando della pausa, una delle due, la più intraprendente, si fa avanti.
PRIMA SIGNORA Mi scusi tanto, scusi l’intromissione, ma lei non è l’architetto Roches?
JEAN PIERRE Sono io.
PRIMA SIGNORA La prego di perdonarci (rivolgendosi a Constance) e anche lei, signorina... (osservandola compiaciuta, ma con una punta d’invidia) ci scusi ancora. E’ che (a Jean Pierre) l’abbiamo veduta in televisione, ier sera...
JEAN PIERRE Non sapevo che quel programma fosse tanto seguito.
SECONDA SIGNORA Sa, girando da un canale all’altro... ma poi siamo rimaste così colpite...
JEAN PIERRE Non l’avete trovato noioso? “Orientamenti dell’urbanistica”: già il titolo mette sonno.
PRIMA SIGNORA (con affettuosa complicità) Lei lo sa, non è per l’urbanistica. Io sono una profana, ma a sentirla parlare mi è sembrato di capire tutto.
SECONDA SIGNORA Anch’io, glielo assicuro.
PRIMA SIGNORA La vita di una città...
SECONDA SIGNORA Il senso dell’arte!
JEAN PIERRE Niente meno!
PRIMA SIGNORA Non sta a me dirlo, però le assicuro che qualunque donna... (si ferma, a disagio sotto lo sguardo attento di Constance)
CONSTANCE Continui signora, non abbia timore.
SECONDA SIGNORA Forse è meglio andare. (Cerca conferma nello sguardo della Prima signora) Abbiamo arrecato fin troppo disturbo.
CONSTANCE Ma no, nessun disturbo...
PRIMA SIGNORA Signorina, lei è una donna fortunata.
SECONDA SIGNORA Andiamo, Juliette. Arrivederci.
PRIMA SIGNORA E grazie ancora.
JEAN PIERRE I miei rispetti.
Constance accenna un saluto con la mano. Le due signore si allontanano verso l’uscita, non senza voltarsi di tanto in tanto.
SECONDA SIGNORA (uscendo) Io credevo che fosse Morand, lo scrittore di gialli...
Silenzio
CONSTANCE (sorridendo) A quanto pare, sono l’unica a non conoscerla.
JEAN PIERRE Forse dovremmo continuare in altro luogo.
CONSTANCE Si sente gli occhi addosso?
JEAN PIERRE Non teme che ci sia qualche collega a soffiarle lo scoop?
CONSTANCE Se è per questo, ha già raccontato la sua vita a milioni di telespettatori...
JEAN PIERRE Guardi che si sbaglia. Non ho raccontato la mia vita. Ho solo parlato di urbanistica.
Silenzio
CONSTANCE Se la sente di riprendere?
JEAN PIERRE Sì... (assorto) Lo vede, ciò che rende un uomo perdente nei confronti della donna di cui è innamorato, è proprio il desiderio della sua immagine. Perché, prima o poi, l’immagine interferisce con la persona reale.
CONSTANCE Ma questa scissione fra realtà e immagine, come si è creata?
JEAN PIERRE Se lo sapessi...
CONSTANCE Prima ha detto che il desiderio di Georgette l’ha portato a ricreare la sua immagine, a fare il suo ritratto, insomma, anche se in modo un po’ originale.
JEAN PIERRE Lo è meno di quanto creda. Le città sono organismi a tutti gli effetti. Vede, Constance, ci sono tribù africane che concepiscono il villaggio in cui sono nate come un corpo umano. E anche noi, se ci pensa, non parliamo di arterie e di circolazione?
Un uomo corpulento, con la barba, coetaneo di Jean Pierre si avvicina al tavolo dell’architetto. Lo segue, un po’ discosta, una ragazza poco più che adolescente, assai graziosa.
RAYMOND Jean Pierre!
JEAN PIERRE Raymond! Che ci fai qui? Non eri a Ginevra?
RAYMOND L’hanno rimandato a domani, il convegno.
JEAN PIERRE (sorpreso) Non ne sapevo niente.
RAYMOND Mah... E allora, come ti va? (Lancia un’occhiata da intenditore a Constance) Direi piuttosto bene...
JEAN PIERRE (cogliendo l’allusione) Constance, lui è Raymond ...
RAYMOND Incantato. (Constance accenna un sorriso)
JEAN PIERRE Non ci presenti la tua amica?
RAYMOND Ma sì, certo. Michelle: Constance e Jean Pierre.
MICHELLE Salve. (a Jean Pierre) Ma lei è...
RAYMOND Proprio lui, Roches, il divo. Non si parla che di te, in facoltà. La tua Georgette... sai che c’è una lista d’attesa lunga un chilometro? (a Michelle) Un giorno ci andiamo.
JEAN PIERRE Magari partiamo insieme, tutti e quattro...
RAYMOND E’ un’ottima idea. Be’, voi stavate parlando... non vorremmo disturbare.
JEAN PIERRE Nessun disturbo. (A Constance) Vedi, Constance, Raymond sarebbe un ottimo testimone.
RAYMOND (sorpreso, fraintendendo) Testimone? Avete intenzione di sposarvi?
CONSTANCE Guardi che c’è un equivoco. ( a Jean Pierre) Glielo spieghi lei.
JEAN PIERRE Constance è la mia biografa.
CONSTANCE Ma no, non gli creda...
MICHELLE Sei una scrittrice? Anch’io scrivo. Al liceo ho vinto il premio di poesia.
JEAN PIERRE (ironico) Però...
CONSTANCE (A Raymond) Ci siamo conosciuti oggi, qui al bar.
RAYMOND E lui le ha già affidato la sua biografia?
JEAN PIERRE Era un modo di dire.
MICHELLE (a Constance) E cos’è che scrivi?
CONSTANCE (con lieve disagio) Ho scritto solo una commedia.
JEAN PIERRE Constance vuole scrivere un soggetto per il cinema, ispirato alla mia storia con Georgette.
RAYMOND Veramente?
CONSTANCE Questa è la mia idea.
RAYMOND E Georgette, che ne pensa?
JEAN PIERRE Non ne sa ancora niente, com’è ovvio. E non ho intenzione di dirglielo. Sarà... il mio regalo di divorzio.
RAYMOND Sarà il tuo funerale...

Dissolvenza fino al buio.



ATTO SECONDO


Parigi, cinque mesi dopo. Una notte fredda e piovosa. Siamo ancora all’interno del “Café des arts”, dove unici avventori risultano Constance e una giovane coppia di amanti, che parlano piano e si guardano negli occhi. Naturalmente i personaggi vestono in base al clima. E’ l’ora di chiusura. Da fuori arriva il fruscio costante della pioggia. Musica in sottofondo, un brano del Modern jazz quartet. Constance è seduta allo stesso tavolo del primo atto, sempre col suo taccuino per gli appunti. Appare pallida e stanca, come invecchiata in quel breve lasso di tempo. Ha lo sguardo fisso nel vuoto; forse sta ascoltando la musica, forse non la sente. Improvvisamente chiude il taccuino, sta per riporlo nella borsa, poi ci ripensa e lo riapre sul tavolo. Si mette a farfugliare qualcosa. Alphonse la osserva e scuote la testa.

CONSTANCE (declamando, leggermente brilla) La solitudine... ma quale solitudine. Tanto siamo tutti, soli. Nessuno è più solo di un altro.
Jean Pierre entra nel locale, con aria preoccupata, ma con un fondo di rassegnazione e di noia. Non dev’essere la prima volta che la scena si ripete.
JEAN PIERRE Constance.
CONSTANCE Cosa vuoi? Lasciami stare.
JEAN PIERRE Constance, ti prego. Vieni a casa.
CONSTANCE Lasciami. Vai da Georgette, piuttosto.
JEAN PIERRE Che c’entra Georgette? (Si guarda attorno. Il solito Alphonse sta passando lo straccio sui tavoli e riordinando le sedie. La coppietta continua a confabulare, incomprensibile) Lo vedi che Alphonse deve chiudere?
CONSTANCE Se Alphonse vuole, resto a dormire qui.
JEAN PIERRE Ma che dici? (Ad Alphonse) Quanti ne ha bevuti, oggi? Dica la verità.
ALPHONSE Solo un paio, signor architetto.
JEAN PIERRE ( a Constance, che ha preso a scrivere sul taccuino) E adesso che fai? Ti metti a scrivere? Alphonse, glielo dica anche lei...
ALPHONSE Signorina, la prego... (Si rivolge alla coppietta) I signori stanno andando via, non è vero? (I giovani amanti rispondono con un cenno distratto e riprendono il loro parlottio) Beata gioventù!
JEAN PIERRE Cos’è che stai scrivendo? Fammi vedere. (Costance copre il foglio con la mano e Jean Pierre tenta di strapparle inutilmente il taccuino) Oh insomma! Ora ti alzi e vieni via con me!
CONSTANCE Non sono Georgette. Non puoi darmi degli ordini.
JEAN PIERRE Ho detto che ti alzi! (La afferra per un braccio, ma la ragazza si divincola).
CONSTANCE Fottiti!
JEAN PIERRE Ti rendi conto di quanto sei ridicola? Questi sono capricci belli e buoni.
CONSTANCE E’ finita, non l’hai ancora capito?
Alphonse interrompe la musica. La coppietta, sempre parlottando, esce dal locale senza salutare. Nel silenzio via via più pesante si distingue il picchiettio ostinato della pioggia.
ALPHONSE Con tutto il rispetto, io devo chiudere. Se passa la vigilanza e trova ancora aperto sono guai.
JEAN PIERRE Sì, certo, ora andiamo. Constance, vieni, su.
CONSTANCE ( improvvisamente rassegnata, ma senza muoversi Sì.
JEAN PIERRE Ci scusi per... (Non riesce a finire la frase, perché in quel momento Georgette entra nella sala).
GEORGETTE Eccoti, finalmente.
JEAN PIERRE Georgette!
CONSTANCE (riprendendo tono, con ironia) Fantastico.
ALPHONSE Signora, mi scusi, stiamo chiudendo.
GEORGETTE (ignorandolo e lanciando un’occhiata sdegnosa a Constance) Così, questa è la famosa scrittrice. Piuttosto giovane, direi...
JEAN PIERRE Constance, ti presento Georgette, Georgette...
GEORGETTE Risparmia i convenevoli. C’è Raymond che aspetta fuori: cosa fai?
CONSTANCE Raymond?
JEAN PIERRE Cosa c’entra Raymond?
ALPHONSE Signori. Devo pregarvi di uscire.
JEAN PIERRE Ha ragione. Usciamo subito.
CONSTANCE (incuriosita) No, aspetta. Prima voglio sapere.
GEORGETTE (tirando fuori dalla borsetta un biglietto da cento euro) Bastano questi, per tenere chiusa la serranda?
ALPHONSE (prendendo il biglietto) Non per pagare la multa.
GEORGETTE Lei chiuda. Se le fanno la multa, la pagherò io.
ALPHONSE Come vuole. Ma non più di un quarto d’ora.
JEAN PIERRE Non hai detto che Raymond...
GEORGETTE Oh, aspetterà. Non è mica la prima volta.
Alphonse va a tirar giù la serranda: si sente il rumore da fuori.
JEAN PIERRE (scuotendo il capo) Raymond... dovevo immaginarmelo.
GEORGETTE Cos’è, ti dispiace? E’ pur sempre un amico.
JEAN PIERRE Bell’amico, davvero.
CONSTANCE Mio caro Pierre, qui finisce che resti da solo.
GEORGETTE (allusiva, ma con noncuranza) Jean Pierre trova sempre compagnia...
Silenzio imbarazzato. I tre si studiano.
CONSTANCE Quasi quasi ci vado io, da Raymond. In fondo, non è poi tanto male.
Si sentono dei colpi, fuori e un vociare, uno scambio di battute fra Raymond e Alphonse.
VOCE DI ALPHONSE Signore, le ho già detto che non posso aprire.
VOCE DI RAYMOND Mi faccia entrare, è questione di un attimo. Devo accompagnare la signora.
Rumore della serranda che viene aperta e richiusa subito dopo. Entra in scena Raymond, tutto bagnato.
RAYMOND Che tempo di merda. E allora? Che succede qui?
CONSTANCE Salve Raymond.
RAYMOND Ciao Constance. Pierre?
Pierre lo ignora a bella posta.
CONSTANCE Hai programmi, per stanotte?
GEORGETTE La puttanella ha voglia d’avventura.
JEAN PIERRE (insorgendo) Non ti permetto di chiamarla così.
CONSTANCE Ma no, lascia stare.
RAYMOND (a Jean Pierre) Senti, noi due dobbiamo parlare.
JEAN PIERRE (freddo) A che serve? So già tutto.
RAYMOND Perché, cosa ti ha detto?
GEORGETTE Io non ho detto nulla.
CONSTANCE Ma l’hai lasciato intendere.
GEORGETTE (con sussiego) Jean Pierre, perché perdi il tuo tempo con una ragazzina?
CONSTANCE Quando hai a disposizione una passata di cottura?
JEAN PIERRE La volete finire, voi due? Raymond, ti ascolto.
RAYMOND Alla buon’ora. Georgette e io...
CONSTANCE (facendogli il verso) Georgette e io...
RAYMOND (per tagliar corto) Be’ è stata una di quelle cose che succedono, sai... una notte in cui ci si sente soli...
CONSTANCE Un atto di cristiana pietà.
RAYMOND Tu non puoi capirle, certe cose. Aspetta di aver passato i quaranta.
Silenzio
JEAN PIERRE E adesso?
GEORGETTE Proprio tu, vieni a chiederlo?
JEAN PIERRE Sei tu, che hai fatto irruzione qui dentro.
GEORGETTE Io l’ho fatto... (preparando la sorpresa) perché ti amo ancora.
JEAN PIERRE Tu cosa?
CONSTANCE Qualcuno ha un violino?
RAYMOND (a parte) Lo sapevo, lo sapevo...
JEAN PIERRE Come sarebbe: mi ami ancora?
GEORGETTE Non è abbastanza chiaro? Ti amo. E non ho paura a dirlo. E anche tu, se non fossi un vigliacco, un mascalzone...
CONSTANCE Avanti Jean Pierre, diglielo e facciamola finita.
JEAN PIERRE Ma io, veramente, non so che dire...
CONSTANCE E’ così semplice... Non è vero, Raymond? Quante volte l’hai detto, alle tue allieve?
RAYMOND Cosa ne sai tu, dell’amore?
CONSTANCE Solo perché non sono venuta a letto con te? Raccontalo un po’, “Raymond”, di quella volta a studio...
JEAN PIERRE Cos’è questa storia?
GEORGETTE Perché, ti sorprende? Eppure lo conosci, il vecchio porco...
RAYMOND Georgette...
JEAN PIERRE ( a Constance) Com’è che non me ne hai mai parlato?
CONSTANCE E perché? Siete amici, no?
JEAN PIERRE Non ne sono più tanto sicuro.
GEORGETTE Jean Pierre. Sono ancora tua moglie, lo ricordi?
CONSTANCE Il richiamo del focolare. Trasferitevi nel borgo medievale.
GEORGETTE Lo odio, quel posto. Così freddo. C’è sempre vento. E poi quanto puoi resistere, lontano da tutto?
JEAN PIERRE Georgette, io non ti capisco. Avevamo deciso di non vederci più e ora mi vieni a dire che sei innamorata... e a Constance, non ci pensi?
GEORGETTE Constance ha vent’anni. Ha tutta la vita, davanti a sé.
JEAN PIERRE Georgette, io ti voglio bene, ma...
RAYMOND Ma c’è Constance.
GEORGETTE Ti permetterò di vederla, se ci tieni tanto. Lo so che non sei diverso da Raymond.
CONSTANCE Sto per mettermi a piangere.
RAYMOND ( ironico) Constance, il nodo sei tu. Sposami e tutto andrà a posto.
CONSTANCE (c.s.) Ci stavo pensando.
JEAN PIERRE (confuso) Perché dev’essere tutto così complicato? (A Georgette) Perché non mi amavi quando io vedevo solo te, pensavo solo a te, notte e giorno?
CONSTANCE Ricordi? Ti ha dedicato la sua Disneyland.
JEAN PIERRE (ignorandola) Non puoi chiedermi di scordare tutto. Sono arrivato da solo, a questo punto; ho ricostruito la mia dignità di uomo da solo, senza nessun aiuto. E ora ci tengo a mantenerla. Se non ti conoscessi, potrei fare l’ipocrita, rifiutarti in pubblico per averti in privato, ma tu sei Georgette...
CONSTANCE Su, è il destino, che vi chiama.
RAYMOND (rassegnato) Sei ancora innamorato.
JEAN PIERRE Non lo so, non lo so più, non so più niente.
Pausa
ALPHONSE Signori, non è per mettervi fretta...
RAYMOND (a Georgette) Torniamo a casa?
Georgette resta in silenzio, tutta presa nei suoi pensieri. Constance si avvia verso l’uscita.
CONSTANCE Io vado. Le dispiace aprirmi, Alphonse?
ALPHONSE Allora, uscite tutti?
JEAN PIERRE Georgette...
GEORGETTE ( fra sé) Sono una stupida.
JEAN PIERRE Non dire così. Abbiamo sbagliato tutti e due.
RAYMOND Vuoi un passaggio, Constance?
CONSTANCE Grazie, Raymond. Ma niente di più.
RAYMOND Non temere. Non sono proprio in vena.
GEORGETTE Portami a casa, Pierre. E’ l’ultima cosa che ti chiedo.
JEAN PIERRE Sì, certo.
Alphonse, sollevato, va ad aprire la serranda trovandosi davanti un gendarme.
VOCE AGENTE Mi faccia entrare.
VOCE ALPHONSE Le giuro, avevo appena chiuso.
AGENTE (entrando, con fare sospettoso) Che sta succedendo, qui?
ALPHONSE (seguendolo) Niente, agente. Sono amici, che si sono fermati per fare due chiacchiere.
AGENTE E perché teneva la serranda abbassata?
ALPHONSE Stavo appunto chiudendo.
AGENTE Veramente stava aprendo. (Ai presenti) I signori abbiano la cortesia di sedersi.
GEORGETTE La prego di scusarci, è colpa mia. Sono stata io a convincere Alphonse, il proprietario...
AGENTE (ad Alphonse, con fare burocratico) Lei è il proprietario?
ALPHONSE No, a dire il vero io ho solo la gestione, del locale.
GEORGETTE (contando sul suo charme) Comunque è lei, che chiude il locale. Vede agente, il signore “voleva” chiudere, ma io ho insistito tanto, che lui non se l’è sentita di dirmi di no...
AGENTE (dopo una lieve esitazione) A ogni modo, c’è una multa di settecento franchi.
GEORGETTE Se mi consente, la pago io.
AGENTE Preparo il verbale. (Si siede, mentre Alphonse lo guarda, sconsolato, tira fuori un blocco mezzo bagnato dalla tasca del giubbotto e comincia a scrivere).
RAYMOND Sta ancora piovendo...
GEORGETTE E’ appunto per questo che ci eravamo attardati.
AGENTE Nome: Alphonse. Cognome: Desnaux. Indirizzo...
Il gendarme completa il verbale e lo porge ad Alphonse. Georgette si avvicina, ma Alphonse con un gesto della mano rifiuta di accettare i suoi soldi e li estrae dal suo portafoglio consegnandoli all’agente, che li conta meticolosamente.
AGENTE Per oggi, signori, potete andare. Ma fate in modo che non ci sia una seconda volta.
Constance sorride, col solito fare ironico. Il gendarme esce sotto la pioggia battente. Silenzio. Senso di disagio.
GEORGETTE Perché non ha accettato il denaro, Alphonse?
ALPHONSE Era colpa mia, non sua.
GEORGETTE Lei è un uomo d’altri tempi.
ALPHONSE E’ un complimento?
JEAN PIERRE Su, andiamo. Abbiamo già creato abbastanza guai, ad Alphonse.
CONSTANCE Dio, come piove.
RAYMOND La macchina è vicina, ma se vuoi posso darti l’impermeabile.
CONSTANCE Accetto volentieri. (Esce coprendosi con l’impermeabile, seguita da Raymond).
GEORGETTE E’ lontana, la tua auto?
JEAN PIERRE Non troppo.
GEORGETTE Ci scusi di tutto, Alphonse. Buonanotte.
JEAN PIERRE E grazie ancora.
ALPHONSE Buona fortuna.
Alphonse, rimasto da solo, rimette a posto la sedia su cui era seduto l’agente, poi nota il taccuino che Constance ha dimenticato su un tavolo, lo afferra e fa un passo verso l’uscita, come se volesse riportarglielo, ma poi cambia idea, si siede e comincia a leggerlo.

Dissolvenza fino al buio.



ATTO TERZO


La stessa scena, tre mesi dopo, in una fredda mattinata di febbraio. Fuori c’è vento e il cielo è limpido. E’ presto e il locale è ancora vuoto. C’è il solito Alphonse al bancone e una giovane e graziosa cameriera, Sabine, intenta ad apparecchiare i tavoli. Entra Constance, stretta nel suo cappotto, infreddolita e assonnata allo stesso tempo. Va a sedersi al solito tavolo, si guarda attorno, vede Sabine.

CONSTANCE Ciao Sabine.
SABINE (voltandosi, ma continuando ad approntare i tavoli) Ciao, Constance. Prendi un caffè?
CONSTANCE Un cappuccino. (Ad Alphonse, che si sta facendo incontro) Buongiorno.
ALPHONSE Buongiorno. Oggi di buon’ora...
CONSTANCE Non so perché, alle sette ero già in piedi, con tutto che è sabato.
ALPHONSE Ho una torta ai lamponi che è una delizia.
CONSTANCE Lamponi e cappuccino?
ALPHONSE Perché no?
CONSTANCE Proviamo... (Alphonse torna al bancone, mentre Sabine prosegue nel suo lavoro) Come va il tuo corso di recitazione?
SABINE (alzando le spalle) Vado forte nel ruolo della cameriera.
CONSTANCE In America le attrici non si vergognano di servire ai tavoli.
SABINE E chi si vergogna? (Ironica) E’ una scuola anche questa, no?
CONSTANCE (dopo aver estratto il solito taccuino) Vuol dire che ti troverò una parte. (Sfoglia il taccuino, meditando).
SABINE (incuriosita) Stai scrivendo una commedia?
CONSTANCE (vaga) Lo sai che non si parla, delle cose a metà.
In quel momento entra Jean Pierre. Appare stanco, pallido, come chi soffra d’insonnia. Scorgendo Constance ha un attimo d’esitazione, quasi temesse la sua reazione, ma la ragazza gli sorride. Allora l’architetto prende coraggio e le si avvicina. Sabine lo guarda con curiosità, tenendosi in disparte, poi va verso il bancone.
JEAN PIERRE (ancora incerto) Posso sedermi?
CONSTANCE (serena) Accomodati.
JEAN PIERRE (dopo essersi seduto, rinfrancato) Ti trovo bene.
CONSTANCE Grazie. Devo avere una faccia...
JEAN PIERRE Mai come la mia.
CONSTANCE Già.
Silenzio
JEAN PIERRE E così, eccoci di nuovo a questo tavolo.
CONSTANCE Com’è piccolo, il mondo...
Silenzio
JEAN PIERRE Ti chiederai che fine abbia fatto, in questi, quanti sono? Due mesi? Tre?
CONSTANCE Hai l’aria stanca, Pierre. C’è qualcosa che non va? E’ Georgette?
JEAN PIERRE Preferirei non parlarne. Comunque, non dipende da lei. Non soltanto. E’ che lavoro quattordici ore al giorno.
CONSTANCE A parte il sabato.
JEAN PIERRE Il sabato attacco un’ora dopo.
CONSTANCE Capisco. E cos’è, che ti fa penare tanto?
JEAN PIERRE (col tono di chi dice una cosa ovvia) Un progetto.
CONSTANCE Credevo che con Georgette avessi risolto tutti i tuoi problemi.
JEAN PIERRE Un architetto risolve solo problemi di forma. (Quasi fra sé) Tanto sono gli unici che puoi risolvere.
CONSTANCE Ma che bisogno hai, di lavorare tanto? Sei un architetto famoso, puoi limitarti all’idea. Lascia il lavoro sporco ai manovali.
JEAN PIERRE E’ appunto l’idea, che mi porta via tempo.
Silenzio
CONSTANCE Cosa stai progettando?
JEAN PIERRE Un grattacielo. Alto mezzo chilometro.
CONSTANCE Però... A Parigi?
JEAN PIERRE A Montreal.
CONSTANCE Come puoi passare da Georgette a un grattacielo?
JEAN PIERRE Perché sono un architetto.
CONSTANCE (poco convinta) E cos’ha di particolare, il tuo grattacielo? Quando ne hai visto uno...
JEAN PIERRE Lo hanno detto pure per le cattedrali gotiche.
CONSTANCE Non mi sembra un paragone adatto.
JEAN PIERRE Perché no? Se fosse soltanto la funzione, a creare la forma, avremmo cattedrali tutte uguali. I grattacieli sono le nostre torri, i nostri campanili, gli obelischi, i minareti, ma sono anche le nostre cattedrali. Cattedrali laiche, d’accordo, ma...
CONSTANCE Il dio denaro...
Sabine torna portando sul vassoio un cappuccino e una fetta di torta. La cameriera e l’architetto si scambiano un sorriso di saluto.
CONSTANCE Sabine, per cortesia, un’altra fetta di torta e un caffè molto forte... (a Jean Pierre) Non hai cambiato gusti, no...
JEAN PIERRE (sorridendo) No, no. Grazie.
SABINE Bene. (Si allontana, non senza aver lanciato uno sguardo carico d’interesse prima a Jean Pierre e poi a Constance)
CONSTANCE (accennando al cappuccino) Ti spiace se intanto...
JEAN PIERRE Prego.
CONSTANCE (dopo un primo sorso) Altrimenti si fredda...
Silenzio. Jean Pierre osserva Constance che sorseggia il cappuccino.
JEAN PIERRE Che mi racconti del teatro?
CONSTANCE C’è poco, da dire. Se non riesco a vendere la commedia finirò a fare compagnia a Sabine.
JEAN PIERRE Chi è Sabine?
CONSTANCE (con un cenno del capo) La cameriera. E’ un’aspirante attrice...
JEAN PIERRE (cercando Sabine con lo sguardo) Ma guarda... non è male, in effetti. Ha un modo di muoversi...
CONSTANCE Sicuro, che sia il modo di muoversi?
JEAN PIERRE (affettato) Lo sai, che non sopporto le attrici.
Silenzio
CONSTANCE Ti vedi ancora, con Georgette?
JEAN PIERRE Te l’ho detto, che non mi va di... comunque no, non ci vediamo più.
CONSTANCE Cioè ti ha lasciato.
JEAN PIERRE Credo di sì.
CONSTANCE Credi?
JEAN PIERRE Lei non l’ha mai detto.
CONSTANCE O tu non hai sentito.
Silenzio
JEAN PIERRE Sei sola?
CONSTANCE Mi vedi.
JEAN PIERRE Volevo dire...
CONSTANCE Come quando mi hai incontrata.
JEAN PIERRE Delusa?
CONSTANCE E di che?
JEAN PIERRE Non so. Di me, della vita.
CONSTANCE Sono in cerca del grande amore... ma lui ancora non lo sa.
JEAN PIERRE Il mio, invece, lo sa benissimo. E’ questo il problema.
CONSTANCE Hai tutto il tempo per rifarti. (Piano) Sta tornando Sabine.
Sabine arriva con il caffè e la torta sul vassoio e serve Jean Pierre.
SABINE (con un pizzico di civetteria) Ecco, signore. Spero che sia di suo gradimento.
JEAN PIERRE (ritrovando il suo fare abituale) Chiamami Pierre. E dammi del tu, ti prego. Siedi con noi?
SABINE (con finto disagio) Ma io... non potrei...
CONSTANCE (allusiva) Non c’è nessun altro, da servire...
SABINE (dopo un’occhiata attorno) E va bene. A proposito... CONSTANCE (in tono scherzosamente formale) Pierre, lei è Sabine, attrice. Sabine, lui è Jean Pierre, architetto. Un architetto famoso...
SABINE Molto lieta.
JEAN PIERRE (allusivo) Il piacere è mio... (indicando la torta, a Sabine)
Vuoi favorire?
SABINE No, grazie, ho già assaggiato.
CONSTANCE E’ il minore dei suoi vizi...
SABINE (che non capisce) Quale?
CONSTANCE La gola...
JEAN PIERRE Con permesso. (Comincia a mangiare di gusto).
CONSTANCE Stavo pensando a un ruolo, per te...
SABINE (un po’ a disagio nella situazione) Davvero?
CONSTANCE Diciamo che saresti il mio alter ego.
JEAN PIERRE (con la bocca piena, tenendo sempre d’occhio Sabine) Interessante...
SABINE Non puoi anticiparmi nulla?
CONSTANCE Ah, ti ho già detto troppo. E ora scusatemi, ma dovrei andare alla toilette. (Si alza e attraversa la scena, uscendo a destra. Sabine la osserva con lieve apprensione)
Silenzio
SABINE Così lei... volevo dire tu sei un architetto famoso?
JEAN PIERRE (con noncuranza) Solo fra gli addetti ai lavori... ma parliamo di te, piuttosto. A quando, il debutto?
SABINE Chissà? Per ora, mi limito a studiare.
JEAN PIERRE E cosa preferisci, il teatro o il cinema?
SABINE Il mio cuore è tutto per il teatro... voglio dire che il teatro è vita, è contatto con la gente, una cosa che nasce e si realizza proprio mentre tu la fai. Mentre il cinema... fare e rifare la stessa scena, senza un filo conduttore...
JEAN PIERRE E non t’interessa diventare famosa?
SABINE Non è nelle mie aspirazioni.
JEAN PIERRE Ne sei sicura?
SABINE Sicurissima.
JEAN PIERRE Comunque, l’hai detto in modo delizioso. E’ questo che conta.
SABINE Non ho detto niente di speciale.
JEAN PIERRE Una vera attrice sa sedurre anche leggendo i titoli di Borsa.
SABINE Come puoi sapere se io... sono una vera attrice?
JEAN PIERRE (convinto) L’ho capito subito, da come ti muovi, dal gesto esatto con cui porgi le cose, da come misuri lo spazio dei tuoi passi...
SABINE (stupita) Ma io sono solo una cameriera...
JEAN PIERRE (scherzoso, ma non troppo) E io farò di te una stella. (A parte) Ho qualche amico, in teatro...
SABINE Non mi hai mai vista sulla scena...
JEAN PIERRE Ti ho visto nella vita.
Silenzio. I due si guardano intensamente. Torna Constance.
CONSTANCE Vedo che avete fatto amicizia...
Arriva anche Alphonse, che ha notato Jean Pierre. Si avvicina al tavolo lanciando un’occhiata di sbieco a Sabine.
ALPHONSE ( cordiale) Signor architetto... che piacere riaverla qui.
JEAN PIERRE Il vecchio Alphonse... è una vita che non ci si vede.
ALPHONSE Chi mi ha detto che lei era in Canada?
JEAN PIERRE Le voci corrono.
ALPHONSE Ha assaggiato la mia torta di lamponi?
JEAN PIERRE Lo farò quanto prima.
ALPHONSE Bene. Io torno al lavoro. Spero di rivederla presto.
JEAN PIERRE Non dubiti.
Alphonse prende commiato, ma prima ripete il suo sguardo di rimprovero a Sabine, che capisce l’antifona.
SABINE (facendo l’atto di alzarsi) Be’ io devo proprio andare. Alphonse non mi paga per...
CONSTANCE (allusiva) Intrattenere i clienti?
JEAN PIERRE Avremo altre occasioni.
Sabine sorride e torna a sistemare i tavoli. Poi Alphonse la chiama dal fondo e Sabine, sospirando, lo raggiunge.
CONSTANCE Adorabile, non trovi?
JEAN PIERRE (distratto) Come? Ah, sì, Sabine...
Silenzio. Constance e Jean Pierre appaiono entrambi assorti nei loro pensieri.
CONSTANCE Ti ricordi di quando volevi trasferirti a Tahiti?
JEAN PIERRE (in tono di affettuoso rimprovero) Ah, se non l’ho fatto, è stato solo per causa tua.
CONSTANCE Vorrai dire per “merito” mio. Tempo dieci giorni e...
JEAN PIERRE A quarant’anni un uomo ha bisogno di nuovi orizzonti.
CONSTANCE Meglio se con due poppe...
JEAN PIERRE Non è quello...
CONSTANCE E’ cos’è, allora?
JEAN PIERRE (pensieroso) Non lo so. M’innamoro sempre delle donne sbagliate.
CONSTANCE Tu t’innamori dei tuoi sbagli.
JEAN PIERRE Anche tu, rientri nella categoria.
CONSTANCE Tu hai in mente Georgette, non me.
Silenzio
JEAN PIERRE Parlami di Sabine.
CONSTANCE E’ il tuo tipo. Vent’anni di meno, carina, ambiziosa...
JEAN PIERRE Ma io credo davvero, che abbia talento. Lo intuisco, subito. Il talento femminile mi attrae. E’ più forte di me. Un’attrice mediocre non potrà mai attirarmi. Può avere un bel corpo, ma se non si sa muovere... Lo so che per la maggior parte degli uomini il talento è d’impiccio...
CONSTANCE (alzando le spalle) Il talento... Georgette è stata capace di riprenderti e lasciarti un’altra volta. Sabine è la tua prossima fiamma... si vede benissimo...(Silenzio. In tono più dimesso) La verità è che mi sento ferita. Non ci riesco, a far finta di niente.
Silenzio. Gli sguardi dell’uomo e della donna si sfuggono reciprocamente.
JEAN PIERRE Constance, lo sai che ti voglio bene...
CONSTANCE (triste) Sta’ zitto...
Silenzio
JEAN PIERRE E’ tardi. Devo tornare al lavoro.
CONSTANCE Sì.
JEAN PIERRE Domani... ti trovo qui?
CONSTANCE No. E’ meglio evitare d’incontrarci.
JEAN PIERRE Ma perché?
CONSTANCE Lo sai il perché. Ieri era Georgette, oggi è Sabine e domani chi lo sa.
JEAN PIERRE Constance, io non credevo...
CONSTANCE Cambierò locale, non preoccuparti.
JEAN PIERRE (dopo una breve esitazione, alzandosi) Buona fortuna...
Jean Pierre, scuro in volto, si avvia verso l’uscita di destra, che raggiunge rapidamente. Constance non risponde al saluto, né lo guarda andare via; resta invece con lo sguardo fisso nel vuoto. Così la trova Sabine, che rientra in scena dopo qualche secondo e si avvicina a lei, non senza aver cercato con lo sguardo Jean Pierre.
SABINE (con falsa noncuranza) E’ andato via, il tuo amico?
CONSTANCE (scrollandosi) Tornerà, sta’ sicura. Dai, siediti, non c’è nessuno. Il sabato mattina dorme tutta la rive gauche...
SABINE Magari fosse così... (dopo essersi seduta, in tono ancora dubbioso) E’ vero, che conosce gente nel teatro?
CONSTANCE (ironica) Il senso pratico non ti manca...
SABINE Se devo fare l’attrice...
CONSTANCE Parti col letto giusto...
SABINE Non sono quella che credi.
CONSTANCE A ogni modo Jean Pierre saprà aiutarti. E’ un sognatore, ma...
SABINE (cambiando tono) Sei ancora innamorata di lui?
CONSTANCE E’ così evidente?
SABINE Mi dispiace.
CONSTANCE Ma no... è acqua passata. (Si volta a guardare fuori, attraverso l’immaginaria vetrata che dà sulla strada, verso la platea) Guarda, guarda...
SABINE Cosa?
CONSTANCE Arriva qualcuno...
SABINE Chi è?
Entra in scena Raymond, stravolto, spettinato, con la camicia stropicciata.
CONSTANCE Un’altra vittima di Georgette. (Allo sguardo interrogativo di Sabine) La moglie di Pierre. Anche lui è architetto. Si chiama Raymond. Un bel tipo, vedrai. Va’ a sentire cosa vuole... (Sabine accenna ad alzarsi, ma è ancora incerta) Non badare a me. Ho da fare. Chissà se riuscirò a finirla, la “Commedia al tavolino”...
Sabine si alza e va incontro a Raymond, che nel frattempo si è seduto, senza accorgersi della presenza di Constance, che ha aperto il suo quaderno con la copertina nera e ha iniziato a scrivere. La luce si concentra su di lei, sfumando tutto il resto, poi sfuma anche su Constance che scrive, lentamente.

Buio

Sipario