Concerto di sera

Stampa questo copione

CONCERTO DI SERA

Titolo dell’opera: Music at Night

Commedia in tre atti

di JOHN BOYNTON PRIESTLEY

Versione italiana di Mario Beltramo

PERSONAGGI

DAVID SHIEL

NICOLA LENGEL

SIGNORA AMESBURY

CATERINA SHIEL

PIETRO HORLETT

ANNA WINTER

FILIPPO CHILHAM

LADY SIBILLA LINCHESTER

SIR GIACOMO DIRNIE

CARLO BENDREX

PARKS

RO­BERTO AMESBURY

SIGNORA CHILHAM

TOM

DEBORAH

DOTTOR EBENTHAL


ATTO PRIMO

Vasto salone da concerti.

(Siamo nella casa della signora Amesbury, in Londra, una sera del 1939, poco prima dell'inizio della guerra. Entra Shiel con la partitura e Len­gel con il violino. Sono ingolfati in una conversazione tecnica).

Shiel                              - Attaccheremo tutta la parte centrale del primo tempo più forte e più mosso di oggi pome­riggio.

Lengel                           - D'accordo, David. Ma sei tu che dai l'attacco.

Shiel                              - Lo so. Ma se lo prendo troppo piano e troppo lento, vedi di rianimarlo.

Lengel                           - Ci penso io. (Guardandosi attorno) Dove suoniamo?

Shiel                              - (indicando un ridotto, mentre entra la signora Amesbury) Lì dentro.

La signora Amesbury    - (con una certa precipi­tazione) Dimenticavo che non avete mai suo­nato qui da me, signor Lengel. Vi ho sentito suo­nare tante volte e... sì... tanta gente ha suonato per me qui, che proprio avevo dimenticato.

Lengel                           - (con una punta d'ironia) E oggi final­mente, ho io questo onore, signora Amesbury.

La signora Amesbury    - Grazie, sebbene non creda affatto che vi sentiate onorato. Perché do­vreste? Probabilmente pensate: «Beh, finalmente ce l'ha fatta, questa vecchia faccendona... ».

Lengel                           - Oh; no, vi prego. So quanto avete fatto per la musica, e specialmente per David.

 La signora Amesbury   - Non ho fatto molto, ma almeno ho tentato. E, come vi dicevo, sono setti­mane che penso con ansia a questo concerto.

Lengel                           - E' ottimo. Una delle sue cose migliori.

La signora Amesbury    - E' magnifico! (Si avvia con lui verso il ridotto) Debbo scusarmi se vi metto in questo ridotto, ma ho sempre tenuto qui il mio piano... e credo che la pedana sia di grande aiuto.

Shiel                              - (in tono rassicurante) Mi è sempre pia­ciuto.

Lengel                           - Debbono sentirci, non vederci.

La signora Amesbury    - Vado a chiamare gli altri. Vi ho avvertito che saremmo stati in pochis­simi e, come al solito, naturalmente, molti hanno disertato all'ultimo momento, telefonando che non facevano in tempo a rientrare dalla campagna... Bugiardi, pigri, che non sono altro! Perciò siamo al completo, tranne Charles Bendrex. Ma so che verrà,

Shiel                              - Bendrex?

Lengel                           - Il ministro?

La signora Amesbury    - Sì. E' ira mio vecchio amico. Dice sempre di adorare la musica.

Lengel                           - (ironicamente) Pensate che dica sul serio, un uomo politico inglese?

La signora Amesbury    - Lo dice. E brontola sem­pre perché non ha più tempo da dedicarle. Così ho insistito perché venisse stasera. Sapete, David, do­vrebbe essere in grado di fare qualcosa per voi.

Shiel                              - Lo so. Se stasera gli piace il concerto, e se poi la settimana prossima io muoio, forse riu­scirebbe a fare avere a Caterina una pensione di cinquanta sterline all'anno.

Lengel                           - (dirigendosi al ridotto) Che dici! Cin­quanta sterline di buon danaro dello Stato! Quando ci si potrebbe comprare una bella bomba!

La signora Amesbury    - (rapidamente, abbassando la voce) David... spero non vi sia dispiaciuto il mio invito a Sibilla Linchester per questa sera.

Shiel                              - (con una certa rigidezza) Mio Dio... no! E perché?

La signora Amesbury    - Vedete, io non ce la volevo... Non si sa mai come le gira e se è in vena di malignità, è capace di guastar tutto. Ma lei ha voluto venire e condurre con sé Sir Giacomo Dirnie. Sapete di loro due, naturalmente... Tutti lo sanno.

Shiel                              - Sì. Ho sentito che Dirnie la mantiene.

La signora Amesbury    - David! Che brutta espressione!

Shiel                              - E' la meno offensiva che mi sia venuta in mente.

La signora Amesbury    - Bene, come sapete, Dirnie è terribilmente ricco... e Sibilla lo sta spingendo a farsi mecenate di artisti. Ha dato questi giorni qualche migliaio di sterline per quel progetto d'o­pera... e ho pensato che sarebbe stato bene che sentisse il concerto.

Shiel                              - Odio ammetterlo, ma penso di sì.

La signora Amesbury    - Ecco, dunque, perché Sibilla è qui, a bere il mio miglior brandy, con quanta velocità glielo permette la sua capacità di deglutizione. Sono contenta che non vi dispiaccia.

Shiel                              - Perché dovrebbe, ripeto?

La signora Amesbury    - (dopo averlo fissato atten­tamente) Mi sembra d'aver sentito dire qual­cosa... una volta pochi anni fa...

Shiel                              - Storia antica. Probabilmente non vera.

La signora Amesbury    - E' colpa della mia età. Comincio a dimenticare che pochi anni bastano a cambiare ogni cosa, quando si è giovani. Allora... vado a prenderli. (Entra Caterina Shiel).

Caterina                        - Signora Amesbury, è arrivato il si­gnor Bendrex. Fareste bene a stargli vicina. Sem­bra tremendamente stanco.

La signora Amesbury    - (avviandosi) Povero Carlo... Temo che lo sia davvero, in questi giorni. (Esce).

Caterina                        - Non credevo che Bendrex fosse così vecchio. Sembra... sfinito. (Guarda i due uomini) Dunque, ragazzi, pronti?

Lengel                           - Cara Caterina, voi siete nervosa.

Caterina                        - Come fate a saperlo?

Lengel                           - Conosco quel vostro aspetto. E quel « ragazzi » non è nel vostro stile. Dopo tutto, chi sono queste persone?

Caterina                        - Gente importante, alcune, Nick.

Lengel                           - Volete dire che i loro nomi appaiono sui giornali. Come quelli dei dentifrici e delle pil­lole per il fegato.

Caterina                        - (scherzosamente a Shiel) Si sente cinico, stasera.

Lengel                           - Perché è domenica. Sono sempre così, la sera della domenica.

Shiel                              - Cosa credi di essere dal lunedì al sa­bato?... Un piccolo raggio di sole?

Caterina                        - (frettolosamente) Senti, David, que­sto è importante. C'è Filippo Chilham.

Shiel                              - Quello che scrive quegli orribili articoli sulla « Daily Gazette »?  Che ne capisce di musica?

Caterina                        - Niente, probabilmente. Ma sembra che tutti lo leggano. E m'ha detto poco fa che Filderberg sta per arrivare da New York. Potrebbe portarsi con sé il concerto, quando riparte.

Shiel                              - Forse, se riuscissi ad avvicinarlo.

Lengel                           - Io non lo farei. Tu sei un romantico...

 Shiel                             - (indignato) Non è vero.

Caterina                        - Certo che lo sei, David. Proseguite, Nick.

Lengel                           - E Filderberg è così asciutto e duro. Una gran tecnica, non lo nego... ma t'accorgi che prende in giro la musica che suona...

Caterina                        - Ma perché?

Lengel                           - S'è inasprito. Sapete quello che è ac­caduto alla sua famiglia a Vienna... Terribile! E così adesso sembra quasi che usi la sua grande tec­nica per prendersi giuoco della musica. Almeno, di tutta la musica tenera, romantica.

Caterina                        - Ma è orribile!

Lengel                           - Forse non ve ne siete accorta, Cate­rina, ma molte cose sono orribili, oggi.

Shiel                              - Compresa la nostra esecuzione di questo ultimo tempo, Nick. Avrei voluto passarlo un'altra volta. Guarda. (Mentre guardano insieme la parti­tura entra Pietro).

Caterina                        - (divertita) Sembrate alquanto tetro.

Pietro                            -  Mi sento tetro.

Caterina                        - Dovrei avvertirvi che il concerto che sta per esservi inflitto è di mio marito.

Pietro                            - Oh, voi siete la signora Shiel? Io sono Pietro Horlett.

Caterina                        - Lo so. Ho letto delle vostre poesie, l'altro giorno... (S'interrompe).

Pietro                            - Ebbene?

Caterina                        - (ridendo) E' meglio che aspetti di conoscere la vostra opinione sul concerto di David.

Pietro                            - Questo non è leale.

Caterina                        - Bene, allora. Alcune mi sono piaciu­te, molto. Ma se è poesia per il popolo, come voi dite, non sarebbe bene che la scriveste in modo che il popolo possa capirla?

Pietro                            - (con orgoglio) La comprenderà un giorno, quando le masse usciranno dal loro letargo. (Anna Winter, una cosina giovane e graziosa, entra in fretta).

Anna                             - (eccitata) Pietro, Pietro!

Pietro                            - (con affabile brutalità) Chiudi il becco, Anna. Sto parlando.

Anna                             - (allegramente a Caterina) Che maniere gentili, vero? (Rivolgendosi a tutti e due, molto confidenzialmente) Dico... non mi sembra che Lady Sibilla Linchester sia poi così affascinante.

Pietro                            - (coti grande disprezzo) Affascinante? E' velenosa. E anche quel famoso Dirnie. E Chilham. E quel vecchio pupazzo imbottito di Bendrex. Tutti velenosi.

Anna                             - (sempre confidenzialmente) Il signor Bendrex è un amore. Ma davvero non vedo come la famosa Lady Sibilla...

Pietro                            - (troncando) Sibilla Ficcanaso! Dio, che bell'insieme!

Anna                             - Davvero non vedo cos'abbia di meravi­glioso. Tanto per cominciare, sta diventando vec­chiotta...

Caterina                        - Ehi là, un momento. Io mi ribellerei se mi definissero vecchiotta.

Anna                             - Voi siete diversa, signora Shiel. Ma non credete che spesso donne di quel genere, con qual­che trucco e un colpo di fortuna, riescano a per­suadere di essere meravigliose? Non credi anche tu, Pietro?

Pietro                            - Che cosa?

Anna                             - Oh, sei il colmo! (Sulla porta compare Filippo Chilham. Magro, pallido, sulla trentina, dall'aspetto stanco. Si ferma ad accendere una siga­retta).

Pietro                            - (a bassa voce) Oh, Dio, ecco la « Daily Gazette ». (Sì sposta e siede su una sedia a sinistra. Chilham si dirige verso le due donne, nella parte centro-sinistra del palcoscenico. I due musicisti so­no ancora intenti alla partitura).

Chilham                        - (parla velocemente e un po' a scatti) Se volete la mia opinione, avremo presto un altro rimpasto nel gabinetto.

Caterina                        - Perché?

Chilham                        - (abbassando la voce) Bendrex non ha l'aspetto di uno che possa durare ancora per molto. E' vecchio, d'accordo, ma è chiaro che è anche ma­lato. Cuore, direi. (Pausa) Illuminatemi sulla signo­ra Amesbury. La conosco appena.

Anna                             - (impulsivamente) E' simpatica.

Chilham                        - (seccamente) Grazie tante.

Caterina                        - (piuttosto rapidamente) E' vedova da molto tempo e poi, circa sei anni fa, ha perduto il suo unico figlio, Roberto. Era in aviazione, col­laudatore, e morì. Lei è una grande appassionata di musica e cerca dì aiutare tipi come mio marito in diverse maniere, come... ecco, stasera per esempio.

Chtlham                        - (è chiaro che prende mentalmente nota di queste indicazioni) Capisco.

Anna                             - Ed io sono Anna Winter, signor Chilham. E' un nome facile da ricordarsi. Sono venuta qui perché mia madre è una vecchia amica della signora Amesbury. E vediamo, che cosa so fare?

Pietro                            - (lamentosamente, dalla sedia) Sai far sentire male me.

Anna                             - Sta zitto, Pietro.

Chilham                        - (mellifluo) Suppongo che odiereste di leggere il vostro nome sul nostro straccio capi­talista, Horlett.

Pietro                            - Come vi garba.

Chilham                        - Sapete che il vostro amico Fordley scriverà per noi, adesso?

Pietro                            - Non mi sorprende. Ho sempre saputo che non ci voleva molto per comprare Fordley... specialmente da quando ha sposato quella ragazza.

Chilham                        - (freddamente) Possiamo pubblicare questa dichiarazione?

Pietro                            - Non osereste.

Chilham                        - La troverete nel mio articolo di doma­ni mattina.

Pietro                            - (allarmato) No, è meglio di no. Lasciate andare, Chilham, vi prego.

 Chilham                       - Bene. Ma un'altra volta non ci pro­vocate. Abbiamo accettato molte sfide sul nostro giornale. Non ci muoviamo su rotaie fisse, noi, co­me i vostri miseri giornaletti rossi.

Pietro                            - (con calore) No, ve ne andate trabal­lando per tutta la città, come un maledetto carro di carnevale... con le ruote sporche di sangue. (En­tra Sibilla Linchester, seguita da Sir Giacomo Dirnie. Sibilla gli sta parlando a voce alta, in tono abbastanza insolente).

Lady Sibilla                  - E' una di quelle case che sembra­no studi cinematografici. Sai, non fanno altro che fotografarti per tutto il tempo che ci stai. Non hai il tempo di far niente... solo di fingere di fare qual­cosa... per i fotografi. Audrey dice che tutte le volte che si trattiene a dormire lì, guarda sempre sotto il letto, in cerca di un fotografo. (Sono entrati. Ve­dendola Chilham si è staccato da Pietro e le va incontro. Anna parla con Pietro. Sir Giacomo sì dirige verso Caterina Shiel).

Sir Giacomo                  - (piacevolmente) Vediamo... voi siete la signora Shiel, non è vero?

Caterina                        - Appunto, e... voi siete Sir Giacomo Dirnie.

Lady Sibilla                  - (ad alta voce, a Chilham) K vero che Verity Astley è ancora in giro per la Germania, in mutandine, gridando « Heil Hitler » ed esibendo le sue nordicissime gambe alle truppe d'assalto?

Caterina                        - E spero che amiate la musica.

Sir Giacomo                  - Certa musica.

Chilham                        - (con l'aria di chi è bene informato) La situazione è anche peggiore, dice il nostro cor­rispondente da Berlino. Vedete...

Sir Giacomo                  - Non ne capisco molto; ma faccio del mio meglio. Non potrei essere più onesto di così, non vi pare?

Lady Sibilla                  - Chi pensa alla pubblicità di Mercy Beaufort, adesso, lo sapete? v;

Chtlham                        - Un ragazzo alle prime armi. Buono a nulla.

Lady Sibilla                  - Fa semplicemente pietà.

Chilham                        - Cerca di averla a buon mercato.

Lady Sibilla                  - Mercy ha sempre cercato di ot­tenere tutto a buon mercato. Pensa che la vita non sia altro che un grosso affare.

Caterina                        - No, una volta che ha preso per bene l'aire, David prosegue sicuro ed è un angelo. Il pe­riodo difficile è quello immediatamente precedente all'inizio... Allora è noioso davvero. Ma ormai ci sono abituata, naturalmente, e anche i bambini capi­scono che in quei momenti non lo debbono distur­bare.

Sir Giacomo                  - E' un uomo fortunato.

Caterina                        - Cosa? Lo dite voi! Ha dovuto com­battere una dura lotta, sapete.

Sir Giacomo                  - Che male c'è nella lotta, se avete uno scopo per cui combattere? Ripeto, è un uomo fortunato.

Lady Sibilla                  - (voltandosi) Questa frase non sta bene in bocca tua, Jimmy. Chi è un uomo fortu­nato?

Sik Giacomo                 - Shiel.

Lady Sibilla                  - (muovendo insolentemente lo sguar­do da Shiel a Caterina) Davvero? (Ha una breve risata ironica) Molto carino e modesto da parte tua! (Si volge di nuovo a Chilham).

Pietro                            - (alzando improvvisamente la voce, ad Anna, ed attirando l'attenzione di tutti) E perché no, stupida? Non ho nulla in contrario a di­struggere tutto e ricominciare da capo.

Sin Giacomo                 -  Cosa, cosa?

Pietro                            - Dico che non avrei nulla in contrario a spazzar via Omero e Shakespeare e Dante e Mi­chelangelo e Leonardo e Bach e Mozart e la Cap­pella Reale e Chartres e la Biblioteca Bodleiana e il Museo Britannico e la Galleria Nazionale, e tutto il nostro bagaglio di convenzionalità. Perché no? Avremmo il gusto di ricostruire tutto da noi. Co­minciando proprio dal principio. Un'umanità con la scheda penale pulita.

Lady Sibilla                  - (coti intenzione) Sono lieta che abbiate detto «scheda penale». ;

Pietro                            - (sospettosamente) Perché?

Lady Sibilla                  - E' la parola adatta. (La signora Amesbury è entrata alla destra di Bendrex che ha in mano un bicchierino. La signora Amesbury è allegra, ma ansiosa).

La signora Amesbury    - Via, Sibilla, non essere cattiva, e voi, Pietro, non fate tanto chiasso. Non inizierete nessuna distruzione, stasera. Carlo, voi non conoscete ancora tutti...

Bendrex                        - No, ma non c'è bisogno di interrom­perli, cara May.

La signora Amesbury    - Farò presto. Lady Si­billa e Sir Giacomo Dimie li conoscete già. Questa è la signora Shiel. Anna Winter. E questo è Pietro Horlett, che crede di essere un poeta comunista. (/ dtie musicisti escono per un istante dal ridotto) David Shiel, il compositore, e il signor Lengel, che .si presta gentilmente per la parte del violino.

Bendrex                        - (graziosamente) E' un gran piacere-sentire una novità così importante.

Shtel                              - Vi ringrazio di esser venuto, signore. (Alla signora Amesbury) Siamo pronti, se lo sie­te voi.

La signora Amesbury    - Accomodatevi tutti a vostro agio. Sedete qui, Carlo. (Si siedono. La si­gnora Amesbury aiuta Bendrex).

Bendrex                        - (con una certa difficoltà) Un mo­mento solo, cara May.

La signora Amesbury    - Certamente, Carlo. Ma non vi sentite mica male, vero?

Bendrex                        - (lentamente, debolmente) Non pro­prio male. Ma... debbo usare certe precauzioni. (La signora Amesbury regge il bicchiere mentre Ben­drex tira fuori una scatoletta di compresse e ne prende una o due con l'acqua, prendendo il bicchie­re dalla signora Amesbury e poi riporgendoglielo e chiudendo gli occhi per un momento, mentre lei la posa. Sembra rimesso). E adesso, un po' di musica. Di questi tempi preferisco la musica, perché è la sola arte che sia veramente distaccata. Non richia­ma alla mente ì giornali, non trascina in mezzo al mondo. Ci si può perdere in essa.

La signora Amesbury    - E' questo che a volte la rende tanto più pericolosa, Carlo. Può abbattere le barriere che con tanta cura costruiamo nella nostra mente.

Bendrex                        - Sì, ma lo sappiamo soltanto noi.

Lady Sibilla                  - Ringraziamone Iddio. Sarebbe poco simpatico se gli altri sapessero quello che certe volte accade dentro alla nostra testa, sotto l'in­fluenza della musica.

Caterina                        - Chi vi dice che gli altri non riescano a saperlo?

Lady Sibilla                  - Cara... è assurdo!

Caterina                        -  Può essere che non accada dentro alla nostra testa.

Sir Giacomo                  - Non potrebbe accadere altrove.

Lengel                           - (uscendo dal ridotto) Perché no?

Sir Giacomo                  - Domandatelo a voi stesso, amico mio. Le impressioni, i pensieri, le fantasie... se non stanno nella nostra testa, dove sono?

Lengel                           - Non lo so, e non lo sapete neanche voi. Non sappiamo nulla d'importante di noi stessi.

Caterina                        - Ma forse quello che crediamo accada dentro, accade realmente al di fuori. Può darsi che il nostro concetto della vita sia del tutto sbagliato.

Pietro                            - Un momento, signora Shiel. Sappiamo che quello che noi chiamiamo pensiero è semplice­mente un mutamento nella struttura cellulare del cervello...

Shiel                              - (a destra del divano) Dite di essere un poeta, Horlett, e credete a questi detriti di scienza a buon mercato.

Bendrex                        - (metà scherzando e metà stancamente) Signori!... Musica, per favore, e non metafìsica! Fortunatamente la signora Amesbury non ci costrin­gerà alla fine a descrivere quanto è accaduto in quelli che, con tutta la deferenza dovutavi, signora Shiel, insisterò a chiamare i nostri piccoli mondi segreti.

La signora Amesbury    - Se lo facessi, questa sa­rebbe probabilmente la nostra ultima riunione mu­sicale. Avanti, David.

Shiel                              - (a tutti) Voi capite, naturalmente, che questo è un concerto per violino e orchestra e che io posso offrirvi soltanto una rozza trascrizione per piano delle parti orchestrali. E' in tre tempi. E non è una di quelle composizioni a programma, col de­stino che bussa alla porta e così via. Ognuno può trovarvi il suo significato, se proprio non potete farne a meno. Ed ecco il primo tempo. Allegro capriccioso.

La signora Amesbury    - (mentre David si ritira nel ridotto) Grazie, David. (Comincia il concerto; gli ascoltatori stanno in atteggiamenti rilassati. Dopo l'attacco, la signora Amesbury sì alza e mentre parla la musica svanisce lentamente) L'inizio è buono. Ma già, le composizioni di David Shiel comin­ciano sempre bene. Se riesce a mantenersi all'altezza... questo è il punto. Spero che abbia fatto una cosa veramente buona, questa volta, e che piacerà. (Guarda Bendrex) Sono sicura che potreste fare qualcosa per lui, Carlo, se davvero lo voleste. Sem­brate terribilmente vecchio e stanco, stasera, Cario. Mi dispiace, caro, mi dispiace davvero, benché deb­bo dirvi che anch'io mi sento stanca. E' una tale seccatura dover essere rumorosa e brillante per tutta la sera; eppure, se non lo fai, sembra che la gente non ti stia più a sentire. Tutti urlano, e ba­sta. Non c'è più conversazione, non è vero, Carlo? Sarebbe stato meglio se avessimo potuto fare quat­tro chiacchiere sui tempi andati, io e voi, in intimi­tà, perché non ce ne restano molte di chiacchierate. Ma volevo aiutare David Shiel. Forse la musica ci farà star meglio. (Guarda Filippo Chilham) Anche voi potreste fare qualcosa per lui, Filippo Chilham. Non mi siete eccessivamente simpatico, e odio il vo­stro orribile e maligno giomalucolo, ma... non c'è altro da fare. (Guarda Dimie) E voi? Non mi an­date molto a genio, Sir Giacoma Dirnie Dai-Molti- Quattrini, per quanto non vi conosca bene, ma ho l'idea che ci sia del bruto in voi. Che amiate la musica lo so soltanto dalle parole di Sibilla Linchester. E non mi sembra che sia vero. Dio sa che potrebbe benissimo averlo detto per costringervi a venire qui con lei e ad annoiarvi per tutta la sera. E' capacissima di un'azione simile. (A Sibilla) Sì, lo sei. E sai dì esserlo. Da un momento all'altro po­tresti cominciare a sbadigliare o a bisbigliare con un fil di voce che il concerto non ti piace, solo per il gusto di rovinare tutto. Bada, Sibilla, se mi giuo­chi uno dei tuoi soliti tiri, stasera, andrò in bestia e te la farò pagare in un modo o nell'altro. Dunque, per stasera vedi di tenere a freno quel tuo diavo­letto privato, ti prego. (Guarda, Caterina) Povera Caterina! Fai di tutto per non sembrare preoccu­pata! Fingi d'interessarti soltanto della musica. Coraggio! -,

Caterina                        - (come se parlasse in trance) Signora Amesbury, qualunque cosa accada, noi vi siamo dav­vero tanto grati per quello che avete fatto.

La signora Amesbury    - E' una gioia per me, cara. Mi piacete, voi e David, ed amo la musica.

Caterina                        - Lo so.

La signora Amesbury    - Se non facessi qualcosa del genere, diventerei presto un vecchio essere inu­tile, se già non lo sono.

Caterina                        - Sapete di no.

La signora Amesbury    - Credo che molta gente dica che io sono solo una vecchia faccendona, che fa di tutto per rendersi importante.

Caterina                        - Non hanno il diritto di dirlo.

La signora Amesbury    - Certamente, io sono una vecchia faccendona ed amo poter dire: «Oh, sì, la prima volta la suonò nel mio studio».

Caterina                        - Perché non dovreste?

 La signora Amesbury   - Ed ho colto qualche volta questi vostri geni musicali a darsi occhiate e ad ammiccare l'uno con l'altro. So cosa pensano. « E' meglio tenersi buona la vecchia... Potrebbe essere utile ».

Caterina                        - David non parla così di voi.

La signora Amesbury , Ma dietro a tutto questo affaccendarsi e vantarsi e alla posa e a tutto il resto, c'è qualcosa di autentico. La musica in sé m'interessa davvero. Questa è una cosa autentica. A volte penso che sia più autentica di noi. Che sia­mo noi? Non lo sappiamo.

Caterina                        - No, non lo sappiamo.

La signora Amesbury    - Siete ansiosa, è vero, Caterina? Sì, tremendamente ansiosa. Ed io v'invi­dio. Poter aver qualcosa o qualcuno per cui essere ansiosi, ancora una volta. (Siede ed ora Caterina si anima e parla in tono di insistente preghiera).

Caterina                        - Tutti voi... vi prego, ve ne prego... state a sentire bene... e apprezzate il concerto, ap­prezzatelo davvero, così ne parlerete a tutti. (A Chilham) Voi, Filippo Chilham, apprezzatelo... e parlatene a tutti.

Chilham                        - (senza espressione) Proprio quello che m'aspettavo. Roba di vecchio stile, finora. Non ha il ritmo moderno. Non ha la moderna durezza. Acciaio. Nichel. Cromatura. Bachelite. Aerodinamica. Mitragliatrici. Aeroplani da bombardamento...

Caterina                        - (interrompendolo, con impazienza) Oh, finitela! (Volgendosi agli altri) Vuol dire tanto per noi. Non per il danaro... sebbene anche quello sia importante.

Sir Giacomo                  - (con asprezza) Mi sorprendete!

Caterina                        - Ma David ha messo se stesso... la parte migliore di sé... in questo suo lavoro. So che avete già sentito queste frasi, ma questa volta hanno davvero un loro significato. Vedete, lui non suona semplicemente così per divertimento e nella spe­ranza di divertirvi. Non è affatto così.

Anna                             - (ad alta voce, allegramente) Non mi sembra che rassomigli per niente a Beethoven. Pensa un po': essere amata da Beethoven! Emozio­nante! Ma aveva il vizio di stuzzicarsi i denti con ima forchetta.

Caterina                        - David dà tutto se stesso, ogni suo piccolo segreto, in questa sua musica. A volte ne ero gelosa. Mi sembrava che per me non rimanesse niente. Niente che fosse soltanto per me. Tutto va a finire in quella musica. Per tutti, per gente che poi dice: «Sì, discreto. Non c'è male». Ma adesso non sono più gelosa a quel modo. Voglio che David sia felice. Se lui è felice, sarò felice anch'io, e natu­ralmente anche i bambini lo saranno... Saremo tut­ti felici, tutti noi Shiel. E' tanto tempo che questo non accade. David è così spesso preoccupato e ab­battuto. Tante delusioni...

Lady Sibilla                  - Di chi è la colpa? (Lentamente, chiaramente).

Caterina                        - (aspramente) E se voi cominciate ad annoiare... a rovinarci tutto... io... io vi ucciderò!

Chilham                        - (drizzandosi, con voce chiara) Che sguardo! Credo che odi Lady Sibilla. Sarebbe capa­ce di ucciderla. Ottimo soggetto per un racconto.

Caterina                        - (supplichevolmente) Ammirate il con­certo, vi prego, ve ne prego! (Si siede. L'attenzione si concentra ora su Chilham).

Chilham                        - Un bel racconto. Lady Sibilla Linchester assassinata! Buon soggetto per un racconto giallo. C'è tutto il necessario qui. Non mi costereb­be nessuna fatica. Un racconto giallo... o un dra­mma. Meglio farne un dramma. Rende di più. Diritti cinematografici e tutto il resto. Potrei prepararne una parte adesso, con questi personaggi e questa messa in scena. Vediamo. Sibilla Linchester è stata assassinata. Chi è stato? Vedo la scena finale. (Fa un gesto versò gli altri. Tutti tranne lady Sibilla che si suppone morta ed Anna che non prende parte a questa scena, si raddrizzeranno bruscamen­te sulle sedie, in una forte luce biancastra. Chilham fa la parte del superdetective, e gli altri quella dei personaggi di un normale dramma giallo. Recitano tutti in uno stile teatrale, convenzionale e piuttosto pesante, sebbene non alla vecchia maniera del me­lodramma).

Chilham                        - (imitando Morton Ferrett) Vi ho riu­niti tutti qui per fare una chiacchierata conclusiva sull'assassinio di Lady Sibilla Linchester.

Sir Giacomo                 - (in pesante tono teatrale) Ah... dunque il mistero è stato troppo oscuro per il fa­moso Morton Ferrett.

Chilham                        - Al contrario, sir Giacomo...

Sir Giacomo                  - Intendete dire?...

Chilham                        - Intendo dire che l'ho risolto. (Grida generali di meraviglia: « Che! », « Mio Dio! », ecc.).

Sir Giacomo                  - E allora, dov'è l'assassino?

Chilham                        - L'assassino... mio caro sir Giacomo... è qui. (Ancora « Che! » « Oh!» « Davvero! », ecc. e un grido di Caterina che vien meno).

Pietro                            - E' svenuta.

Caterina                        - (con voce fioca) No. Sto.... bene.

Chilham                        - (in tono soddisfatto di sé) Il caso era curioso e complicato quant'altri mai. Scopersi pre­sto che tutti voi, con una sola eccezione, avevate un forte motivo per uccidere Lady Sibilla. L'eccezione era la signora Amesbury. Ma sempre con un'unica eccezione, voi tutti avevate degli alibi. L'eccezione era ancora la signora Amesbury, la quale ammise di aver potuto commettere l'assassinio. Ma natu­ralmente essa non aveva alcun motivo. Non mi ci volle molto per stabilire che i vostri diversi alibi erano falsi, sebbene molto ingegnosi. Voi, signor Bendrex, avreste potuto scendere ed effettivamente scendeste dal treno a Surbiton. L'uomo che il vostro maggiordomo vide nella biblioteca, Sir Giacomo, era una controfigura. Horlett, voi siete stato al ballo, come hanno testimoniato i vostri amici, ma non per tutta la serata. L'unico alibi che non potevo distruggere era          (volgendosi a Caterina) il vostro. Sì; l'alibi della signora Shiel era apparèntemente perfetto. Tuttavia io so che la signora Shiel venne qui... (Sospiro di stupore. Caterina dà un piccolo gridio) Dunque?

Caterina                        - . Bene. Avete vinto. Confesserò. Venni qui e la vidi... dormiva... Pensai a tutto il male che aveva fatto... Qualcosa mi scattò nel cervello e... l'uccisi.

Chilham                        - Grazie, signora Shiel. Solo, vedete, voi non l'uccideste.

Sir Giacomo                  - Che?

Caterina                        - Ma... è impossibile. So di averla ucci­sa io.

Chtlham                        - Non avreste potuto. Quando voi veni­ste qui, Lady Sibilla era già morta. Morta da alme­no due ore. (Molto dolcemente) Signora Amesbury, voi dovete avere avuto un motivo molto forte. Qual era?

La sisnora Amesbury    - Aveva spezzato delibe­ratamente la vita di mìo figlio. Erano anni che at­tendevo un'occasione per vendicarlo. E finalmente si presentò. Non ho rimpianti. (Finge di prender veleno da una bottiglietta e cade all'indietro, morta).

Bendrex                        - Oh, è...

Chilham                        - (soddisfatto di se) Sì, pensavo che sarebbe finita così. Bene, ciò completa il Caso dei Quattro Alibi.

Sir Giacomo                  - (in tono teatrale) Dio! Ferrett, avevano ragione... Siete un mago!

Chilham                        - (soddisfatto di sé) Caro Sir Giacomo, semplice come due più due. E adesso tornerò ai miei fiori, tanto più interessanti degli esseri umani. Buonanotte. (La luce cambia di colpo e tutti gli altri ritornano al loro atteggiamento di ascolto. Chilham è di nuovo se stesso).

Chilham                        - Sì, potrei scriverlo su due piedi. Ma in fin dei conti, perché dovrei prendermi questa pena? Faccio già un mucchio di quattrini. :

Bendrex                        - (solennemente) Il mio stipendio po­tete trovarlo nell'Almanacco Whitaker.

Chilham                        - Prendo più di voi, Bendrex. E me li guadagno, io.

Sir Giacomo                  - (con disprezzo) Roba da ragazzi! Il vero danaro voi non l'avete mai visto, Chilham.

Chilham                        - (volgendosi a lui aggressivamente) Non pretendo di guadagnare quanto voi, Dirnie. Ma non dimenticate che io vado gratis in tanti posti in cui a voi tocca pagare fior di quattrini. E che mi vien dietro più gente che non a voi,

Sir Giacomo                  - Dovreste vedere che tipi di per­sone vengono dietro a me.

Chilham                        - (con forza, cercando di convincere se stesso) Io sono qualcuno in questa città, non scor­datelo. E dieci anni fa nessuno sapeva che esistessi.

Pietro                            - (con disprezzo) Fra altri dieci anni nes­suno lo saprà.

Chilham                        - (nello stesso tono) Non è vero. A meno che per allora io non sia morto e sotterrato. E se lo sarò, poco male. Avrò avuto il mio buon tempo.

Caterina                        - (con calma) Ho i miei dubbi.

Chilham                        - Non avete bisogno di dubitarne. Ve io dico io. Se qualcuno di voi facesse per un mese la vita che faccio io, dovrebbe andarsene in una casa di salute.

Caterina                        - Per il troppo buon tempo?

Chilham                        - (seccato) Sì, sì, sì. Ma la mia vita ha ritmo movimentato, autentico. Non esisto sem­plicemente, io, vivo.

Caterina                        - Ho i miei dubbi.

Chilham                        - (irritato) So quello che dico. Se vo­stro marito facesse quello che faccio io ed avesse l'influenza che ho io in questa città, voi non vi rico­noscereste.

La signora Amesbury    - (con colina) Ma a lei piace riconoscersi.

Chilham                        - (irritato) Vi siete data ben da fare per avermi qui, nella speranza d'ottenere un po' dì pubblicità, sì o no? Voialtri non siete onesti, questo è il vostro difetto. Mi invidiate, ma non volete am­metterlo. Oh, all'inferno! (Torna altezzosamente alla sua sedia e riassume l'atteggiamento d'ascolto. Anna Winter si fa avanti, vestita solo di un costume dei mari del Sud e di una ghirlanda di fiori bian­chi. La luce della ribalta sarà molto chiara durante questo episodio).

Anna                             - (vivacemente su e giù per il palcoscenico) Bene, eccomi di nuovo sulla mia isola, nei Mari del Sud. (Agli altri) E voi là seduti, con quelle facce intontite, che non vi divertite per niente... stupidi, stupidì, stupidì. Sì, anche tu, Pietro. (Volta loro le spalle) E' una deliziosa piccola isola nei Mari del Sud. Laggiù c'è la laguna... azzurra, di un bell'az­zurro vivo... e piena di pesciolini iridati. Qui la sab­bia, meravigliosamente pulita. Il sole splendente... o una bella luna, come preferite. Nessuno che mi dia noia. Nessuno che mi dica: « Anna cara, non dovre­sti far così, davvero, sai? ». No, niente sciocchezze del genere. La bella regina bianca dell'isola. (Si volta bruscamente, chiamando) Signor Chilham!

Chilham                        - (come in trance) Sì?

Anna                             - (adagiandosi a terra) Dovete scrivere un articolo su me e la mia isola. La signorina Anna Winter nella sua bella isoletta dei Mari del Sud.

Chilham                        - Va bene. E' vostra l'isola, signorina Winter?

Anna                             - (con orgoglio) Da principio non lo era, ma adesso ne sono la regina.

Chilham                        - E una regina molto popolare, imma­gino.

Anna                             - Avete perfettamente ragione, signor Chilham. Sono una regina popolare, la più popolare che l'isola abbia mai avuto. Appena arrivo... perché non sto sempre qui, sapete: qualche mese lo passo con mia madre a Knighitsbridge... Ma appena arrivo, gli indigeni fanno festa per una settimana con pro­cessioni e discorsi e canti e balli e... tante altre cose. e gridano tutti: «Evviva la nostra bella regina bianca ».

 Chilham                       - Lo sanno questo a Hollywood, signo­rina Winter?

Anna                             - Oh, sì, a Hollywood ne sono entusiasti e mi hanno fatto una magnifica offerta per inter­pretare un film.

Chilham                        - Qual è il soggetto?

Anna                             - (orgogliosa, ma in tono confidenziale) Ecco. Vedete, nel film Ronald Coiman, Clark Gable e Robert Taylor sono innamorati pazzi di me, e io debbo sceglierne uno.

Chilham                        - E quale scegliete?

Anna                             - (trionfante) - Questo è il punto. Non scel­go nessuno dei tre. No, alla fine dico loro improvvi­samente che preferisco un giovanotto inglese, non ancora famoso, ma che naturalmente potrebbe dive­nirlo da un momento all'altro...

Chilham                        - Chi è questo giovane inglese?

Anna                             - Credo di non potervelo dire, signor Chil­ham. Ma vi ringrazio molto e, vi prego, metteteci qualche bella fotografia, ma non fatevi dare da mia madre qualcuna di quelle istantanee prese da lei... Sono orribili!  (Si alza e fa qualche piroetta, cantan­do a bocca chiusa, poi si ferma vicino a Pietro, sol­levando un tallone ma tenendo a terra la punta del piede) Pietro, Pietro, guarda, non ho delle belle gambe?

Sir Giacomo                  - (freddamente) Sì.

Anna                             - (indignata) Non l'ho chiesto a voi. Voi pensate alla vostra preziosa Lady Sibilla. Che non è poi tanto meravigliosa a guardarla bene. E' pas­satella anzi che no... sebbene non per voi, suppon­go, perché anche voi lo siete. Pietro, Pietro... guar­dami, ti prego. (Ma Pietro non la guarda ed Anna è avvilita) Oh... bene... Sei cattivo. (Dirnie sbadi­glia rumorosamente. Anna torna in fretta alla sua sedia dove deve rindossare il suo abito. Dirnie si alza e si fa avanti, guardandosi pigramente intorno).

Sir Giacomo                  - (sbadigliando) Bene, sarà una bel­la cosa, ma finora il vostro concerto per violino non mi ha detto niente. Non succede niente, dentro di me. Non s'è aperta ancora nessuna finestrella. Colpa mia o dell'autore? Probabilmente sua. Non ha ge­nio. Ma... non so... forse mi sto rimbecillendo. Male­dizione, Jim Dirnie, stai rimbecillendo. (Guarda gli altri) Non ho un gran concetto di questa compagnia. La bambina è graziosa... ma insipida, come la mag­gior parte.

Anna                             - (senza muoversi né comparire) Ma le mie gambe vi sono piaciute!

Sir Giacomo                  - Non dovete annettere molta im­portanza a questo fatto. La nostra mente non fun­ziona sempre come si crede. Il giovane Horlett... poeta comunista laureato ad Oxford. Se ne trovano a tre un soldo, al giorno d'oggi. Bolscevichi da sa­lotto.

Pietro                            - Aspettate e vedrete.

Sir Giacomo                  - Dovrò aspettare un pezzo. Tutti per il popolo, ma non riuscite a scrivere cose che il popolo voglia leggere. E' imbarazzante, Bendrex. Beh, voi siete quasi finito... anche se vivrete ancora per molto. Ve la siete cavata, in questi ultimi vent'anni, con belle maniere parlamentari e andan­do a pranzo con le persone importanti.

Bendrex                        - (coti calma) C'è di peggio che le buo­ne maniere e i pranzi, Dirnie.

Sir Giacomo                  - Che volete dire? (Dopo una pau­sa, molto più forte) Che diavolo volete dire?

Bendrex                        - (coti molta calma) Voi lo sapete.

Sir Giacomo                  - Non so di che cosa stiate parlan­do. Il grande uomo di stato inglese! Salvatore dell'impero! Non sareste capace di salvare una rostic­ceria, voi, Bendrex. Non sapreste salvare un cana­rino da un gatto. E non provate a trattarmi con condiscendente protezione anche stasera, mio molto onorevole amico, o ve ne darò tante da farvi male.

Bendrex                        - (con molta calma) Temo che... arri­viate tardi... Non mi si può far male ancora per molto.

Sir Giacomo                  - (guardandolo, cambia tono) Pove­ro vecchio! E' quasi finito. Ecco quello che aspetta anche me. E già fin d'ora tutto sta diventando ma­ledettamente tetro... (Sbadiglia e guarda Lady Si­billa) Sì... maledettamente tetro... senza una luce che si accenda dentro di me... senza una finestra che si apra... E non dimentico te, Sibilla... Ficcanaso.

Lady Sibilla                  - Lascia stare il Ficcanaso. Non l'ho messo nel contratto. Non è in vendita.

Sir Giacomo                  - Sono lieto dì sapere che qualcosa almeno non lo sia. Bene, mi dispiace di comunicarvi, Lady Sibilla, che quando vi guardo non succede più nulla dentro di me.

Lady Sibilla                  - Mio Dio! Sono mesi e mesi che piango dalla noia di averti vicino. (Egli finge dì ignorare queste parole di lei e guarda Caterina).

Sir Giacomo                  - (lentamente) La signora Shiel. Una donna di buon senso. Una brava donna. Ama il marito, costruisce la sua casa, gli dà dei figli. Sciocca, magari, ma... Mi domando come sarebbe andata se... Mi domando... (Scende verso la ribalta, ripetendo lentamente le ultime parole e le luci con­vergono su dì lui. Caterina gli si fa incontro).

Caterina                        - Ciao, Jim! (Lo bacia leggermente poi gli toglie qualcosa dal risvolto della giacca) Hai fatto buon viaggio?

Sir Giacomo                  - (piuttosto imbarazzato) Sì... sì... abbastanza buono.

Caterina                        - (parlando come una moglie) Questi ultimi tre giorni i bambini si preoccupavano per sapere quando saresti tornato. « Quando arriva papà?», continuavano a chiedermi, quegli scioc-chini. Riccardo ha fatto una brutta caduta, ieri... s'è sbucciato il ginocchio. Ma Nanny ed io abbiamo pulito per bene la ferita e l'abbiamo fasciata a do­vere. E lui è tremendamente orgoglioso della sua benda. Margherita ne voleva una anche lei. Jim, dovremo proprio far visitare gli occhi di Marghe­rita. Ne parlavo con Nanny, oggi pomeriggio e lei è sicurissima che qualcosa non va...

Sir Giacomo                  - Niente di serio?

 Caterina                       - No, no, naturalmente; ma forse dovrà portare gli occhiali per un anno o due.

Sir Giacomo                  - Non le piaceranno.

Caterina                        - Tu non la conosci. Ne sarà felice. Fanno sempre così, se si dice loro che non è da tutti avere gli occhiali. Vedrai.

Sir Giacomo                  - Che succede... stasera... niente di nuovo?

Caterina                        - No, tesoro. Hanno telefonato i Forbes; ma ho detto che sapevo che avresti voluto passare la serata tranquillamente a casa, stasera. Ho fatto bene, no?

Sir Giacomo                  - (leggermente dubbioso) Sì, certo.

Lady Sibilla                  - Ce ne sarebbero tante di queste serate tranquille... Con i discorsi sui marmocchi e un soprano che canta alla radio.

Caterina                        - (vivacemente) Corro nella stanza dei giochi ad avvertirli che vieni a vederli. (Torna in fretta alla sua sedia. Lady Sibilla scende verso la ribalta).

Lady Sibilla                  - (in tono di trance) Allora anche questa possibilità non era tanto meravigliosa, vero?

Sir Giacomo                  - (lentamente) - Non so.

Lady Sibilla                  - Avanti, Giacomo, sii sincero. Ci riesci, quando vuoi. Di solito non ami ingannare te stesso.

Sir Giacomo                  - (lentamente) E' stato troppo im­provviso, capisci? Non abbiamo avuto il tempo di conoscerci. Dev'essere molto diverso.

Lady Sibilla                  - Oh, finiscila con questi discorsi insulsi! Con quel genere di donna e con quel genere di vita, attaccheresti a bere da morirne in sei mesi. Credi che non ti conosca?

Sir Giacomo                  - Ne sono sicuro. E non ho nem­meno mai preteso che mi conoscessi.

Lady Sibilla                  - Non sosterrai adesso di non aver fatto a volte il sentimentale con me, Giacomo?

Sir Giacomo                  - No, lo avrò fatto. Ma credo che in quelle occasioni parlassi a me stesso, non a te. Mi sentivo tenero. Avevo avuto quello che volevo.

Lady Sibilla                  - Me.

Sir Giacomo                  - (lentamente) No, non te. Meno di te, e tuttavia nello stesso tempo molto più di te. Avevo conquistato la tua famosa e antica famiglia e quel vostro famoso vecchio castello e le miglia e miglia di parco con l'alto muro di cinta e i came­rieri e i giardinieri. Avevo conquistato tutta la classe di persone che se la spassano in carrozza e nelle grosse automobili e nelle poltrone dei teatri, quando tu, povero diavolo, te ne stai in galleria... e Mayfair e la Camera dei Lords ed Ascot e Cowes. Era come se andando a letto con te, fossi andato a letto con tutto il tuo mondo.

Lady Sibilla                  - Insomma, la vecchia storia del complesso di inferiorità che trionfa.

Sir Giacomo                  - Non ti puoi lamentare. Hai avuto i tuoi buoni vantaggi. Mi sei costata cinquantamila sterline, a dir poco.

Lady Sibilla                  - E se avessi potuto fare a modo mio, quelle cinquantamila sarebbero state cinquecentomila. E ti avrei messo alla porta cinque mi­nuti dopo che tu avessi firmato il tuo ultimo asse­gno. E... mio caro sir Giacomo... se avessi pensato che, per guadagnare qualche soldo, avresti dovuto andare a vendere carbone o banane per la strada.... in altre parole, se tu fossi stato costretto a tornare al punto dal quale eri partito... ne sarei stata feli­ce. Che ne dici?

Sir Giacomo                  - Non mi sorprende affatto, Sibilla. Porse le liti che abbiamo fatto sul libretto degli as­segni sono state per me motivo di gioia più di tutto il resto.

Lady Sibilla                  - (tornando al tono normale) E' una fortuna, perché hanno durato di più. E adesso voglio mostrarti qualcosa... a te e alla tua buona e sciocca amica, la signora Shiel. (Dirnie indietreg­gia verso la propria sedia) Cinque anni fa. No, sei. Ma soltanto sei. C'era stato un concerto di benefi­cenza alla Sala Albert; ma questo avveniva qualche ora dopo la fine. Nel programma era stata inclusa una breve novità per orchestra, ed era stata diretta dall'autore... il signor David Shiel... (Dice le ultime parole come se annunciasse l'autore, ed ecco David che entra rapidamente dalla destra. Sembra più giovane, è in abito da sera, ma alquanto in disor­dine, ed è eccitato e piuttosto brillo) David? Crede­vo che non volessi più vedermi.

Shiel                              - Non volevo.

Lady Sibilla                  - (ironicamente) E invece?...

Shiel                              - Sì, sono qui. Non ho saputo resistere.

Lady Sibilla                  - Non ti aspetta in qualche posto tua moglie?

Shiel                              - (con eccitazione, amaramente) Si, sì. E' una sera importante per noi, questa: la prima ese­cuzione di una mia novità. Siamo stati a cena fuori, ma li ho lasciati lì. Ho detto che avevo un appuntamento con Duplet, quello di Ginevra.

Lady Sibilla                  - E io sarei Duplet, quello di Gi­nevra?

Shiel                              - (con amarezza) Sì, sono andato a par­largli per una esecuzione della mia sinfonia in Svizzera. E quindi questo deve avere la precedenza su ogni altra cosa. Più che ragionevole, non ti pare?

Lady Sibilla                  - Caro David, hai un'aria di auto-rimprovero... Non sarai mica brillo, per caso?

Shiel                              - Sì.

Lady Sibilla                  - (leggermente) Mi sembrava. Ma questo autorimprovero non è lusinghiero nei miei riguardi, sai. Se la pensi così, sarebbe meglio che tornassi di corsa a fare il tuo dovere.

Shiel                              - (coti ardore) Non potevo resistere. Tutta la sera non ho fatto che pensare a te, Sibilla. Cer­cavo di scacciare il pensiero, ma era inutile. Ti è piaciuta la mia composizione?

Lady Sibilla                  - Sì, David... deliziosa.

Shiel                              - Dici davvero o solo per gentilezza?

Lady Sibilla                  - Caro, sono la donna più scortese di Londra.

Shiel                              - (con ardore) Quando eri lì ad ascoltare, pensavi a me, ricordavi quello che ti avevo detto, quello che era accaduto fra noi?

 Lady Sibilla                 - Per tutto il tempo.

Shiel                              - (quasi selvaggiamente) Perdio... non so mai se pensi davvero quello che dici, Sibilla. Non riesco a definirti, lo ammetto. E non sto cercando di farti un complimento. Non credo che sia un complimento. E' una cosa che odio. A volte ti odio. Ma non posso star lontano, Sibilla... (Cerca di pren­derla fra le braccia, ma lei lo respinge).

Lady Sibilla                  - (freddamente) Posso essere noio­sa, bugiarda, traditrice, ma poi... « Ti prego, dammi un po' d'amore ». (David, triste, non risponde) Nonessere triste, David. E" così, non è vero?

Shiel                              - E anche se fosse? Quando sei nelle mie braccia e ti bacio, allora ti sento veramente lì e posso dimenticare lo strazio e il tormento per qualche istante.

Lady Sibilla                  - Strazi e tormenti? Non starai mica drammatizzando, vero?

Shiel                              - (dopo una pausa, lentamente, con tristez­za) Sibilla, ho desiderato e desiderato tanto di non aver mai scambiato uno sguardo e una parola con te, di essere fuggito miglia e miglia lontano quella notte, invece di entrare nella tua camera, di aver...

Lady Sibilla                  - (interrompendolo bruscamente) Sì, non c'è bisogno che ci ricami sopra. Vorrei sentirmi lusingata di esser considerata una donna fatale, ma la verità è che trovo piuttosto ridicolo che tu venga qui, non molto in sentimenti, in piena notte, ad assicurarmi che vorresti essere dappertut­to tranne che qui.

Shiel                              - (con impeto) No, no, no, tu sai quello che voglio dire.

Lady Sibilla                  - Penso che faresti meglio ad an­dartene.

Shiel                              - (disperato) No, per amor di Dio, Sibilla, lasciami rimanere, ti prego... te ne prego. Non sai in che stato d'animo mi trovo. Dimentica tutto quello che ho detto. Non so quello che mi dico. Sono stregato, Sibilla. Guardami... guardami... (E' caduto in ginocchio ai suoi piedi, le ha preso le mani e le bacia, sconvolto e disperato. Chilham si fa avanti).

Lady Sibilla                  - Ed era lì, capite, Filippo, come un pazzo. Ero irritata, ma mi faceva pena. Mi fa pena chiunque sia spinto a comportarsi così. L'amo­re non lo merita.

Chilham                        - (in tono irreale) Sono d'accordo. E poi che accadde?

Lady Sibilla                  - (a Shiel) Mi dispiace, David, ma credo davvero che tu stia diventando noioso. (Gli dà una mano per alzarsi. Egli si solleva lentamente e la fissa) Adesso non cominciare con le tragedie... e ti prego di ricordarti, in ogni caso, che sei brillo. (Egli continua a fissarla) Se ti affrettassi, faresti ancora in tempo a non lasciarti sfuggire quel di­rettore di Ginevra, monsieur Duplet. Potresti par­largli sensatamente di musica, invece di star qui a fare una scenata assurda.

Shiel                              - (con grande amarezza) Va all'inferno! (Esce di furia dalla destra. Lady Sibilla si volge a Chilham).

Lady Sibilla                  - (come rispondendo alle domande di un'intervista) E questo è quanto. Potete non cre­dermi, se volete, ma ero stata veramente buona con lui. Naturalmente non è mai stato il mio tipo.

Chilham                        - Giusto. A voi piacciono più energici.

Lady Sibilla                  - (con fermezza) Più energici e molto, molto più ricchi. (Siede).

Chilham                        - Naturalmente. (Assumendo il tono d'un intervistatore) Dunque, vediamo, Lady Sibilla, voi siete senza discussione alla testa delle vostre .colleghe...

Lady Sibilla                  - (graziosamente) Sedete, prego, signor Chilham. Sì, credo di poter dire di essere una delle più fortunate mantenute di Londra.

Chilham                        - (gentilmente) Il che significa, oggi, del mondo.

Lady Sibilla                  - Può darsi, non so. Ho viaggiato molto, naturalmente, ed ho molti amici all'estero, ma... per me, datemi un buon riccone inglese.

Chilham                        - (prende nota)  Magnifico! Ora so che le nostre lettrici gradirebbero conoscere il vostro punto di vista su quali siano oggigiorno le possibilità per una ragazza che inizi la vostra professione. Può la moderna impiegata riuscire come mante­nuta ò la concorrenza dell'alta società e del palco­scenico è troppo forte? C'è ancora posto in alto? E' la vostra vita facile come si crede?

Lady, Sibilla                 - (prontamente) Certamente no. Una ragazza che cerchi semplicemente una vita facile dovrebbe rinunciare. Per riuscire dovrà avere decisione, coraggio, perseveranza, previdenza e ima grazia personale a prova di bomba.

Chilham                        - Grazie. E adesso... (Ma vengono in­terrotti. Pietro si è alzato, con in testa un berretto da generale dell'armata rossa e avanza con passo deciso. E' seguito da Anna, in qualità di aiutante).

Pietro                            - (rudemente) Silenzio!

Lady Sibilla                  - (sorpresa) Cosa?

Pietro                            - (molto rudemente) Ho detto, silenzio!

Anna                             - Che dobbiamo fare di questi due, ge­nerale?

Pietro                            - (considerandoli) La donna potrà lavare le stoviglie allo spaccio degli autisti.

Lady Sibilla                  - (in collera) Io non ci vado.

Pietro                            - (tuonando) Allora sarete mandata al Campo di Correzione. Cosa preferite? (A Chilham) Vediamo. Voi eravate un giornalista, vero?

Chilham                        - (premurosamente) Sì, generale, ri­corderete i miei articoli sulla « Daily Gazette »...

Pietro                            - (interrompendolo bruscamente) Presen­tatevi al deposito della Nettezza Urbana. (Ad Anna) Fateli uscire. (Anna li conduce fuori della scena e i due siedono. Anna torna da Pietro).

Anna                             - La Lega dei Mescolatori di Cemento del­la Gioventù Marxista, attende di udire la vostra poesia, generale.

Pietro ------------------ - Sarò pronto fra un minuto. (Le fa cenno  di allontanarsi ed ella torna al suo posto. Egli pas­seggia su e giù dopo essersi tolto il cappello, preoc­cupato per la poesia) Accidenti! Non va ancora, sebbene sia anche troppo per i Mescolatori di Ce­mento. (Comincia a recitare) «Voi, miei compagni, gradini di ferro sulle montagne, torrette d'acciaio, -E piloni per la corrente, cavi attraverso il ghiac­cio, - Fili percorsi da elettricità attorno al campo di concentramento, - Dello sfacelo e della morte...». « Fili percorsi da elettricità attorno al campo di concentramento » non è tanto buono. Credo che lo tagliere. E' la fine che deve riuscire bene. Quan­do la fine è buona, la parte centrale non ha impor­tanza... almeno per questa gente. Vediamo... (Re­cita con calore) « Anche costoro vi salutano: - H postale notturno in volo cieco tra i monti; - H bombardiere che scende in picchiata sui vascelli; -L'iceberg che sfida la corrente del Golfo; il gab­biano - Nel parco; e tutti - Gli uomini che lavo­rano ai ponti, tutti i bravi ragazzi - In tuta az­zurra, cinquecento piedi più in basso - Della grande Diga; - L'Amazzoni vi saluta e l'Everest, e le Stelle del Nord - E le costellazioni di brillanti che mai deserto di spazi - Potrà inghiottire e nascondere: anch'essi - Vi salutano. - S'inchinano le bandiere, le salve - Scuotono l'aria. - E voi il Pugno Chiuso, o compagni, - Levate, rispondendo al saluto ». (Urla l'ultima frase, alzando il pugno chiuso).

Anna                             - (senza muoversi, chiama) Pronti, ge­nerale!

Pietro                            - (urlando, come preparandosi all'ingresso immaginario in un grande comizio) Pronti! (Avanza energicamente come per entrare al comi­zio, ma in effetti torna al suo posto. Tutti gli altri personaggi, eccettuato Bendrex, applaudono calo­rosamente e l'applauso potrà essere accresciuto dietro le quinte. Bendrex viene illuminato. Si alza Con l'atteggiamento di un oratore politico alla fine di un banchetto. Gli applausi cessano).

Bendrex                        - (in tono oratorio) Signor Presidente, Altezza Reale, Eccellenze, signore e signori: vi rin­grazio per aver voluto così gentilmente proporre ed accettare questo brindisi. Io sono qui a rappre­sentare il Governo di Sua Maestà, un rappresen­tante indegno, senza dubbio, ma pieno di gratitu­dine, in questo momento. E, mi sia lecito aggiun­gere, un rappresentante sincero. Io ritengo che il governo, cui da lungo tempo ho l'onore di apparte­nere, rispecchi fedelmente l'animo e la volontà del popolo inglese. E', in verità, il vostro governo. Voi non sapete, non riuscite a comprendere quel che accade nel mondo. Il governo non sa e non riesce a capire quel che accade nel mondo. Personalmente, e dopo tutto, salvo qualche breve interruzione, sono in carica da più di venti anni, non ho più la mi­nima idea di cosa significhino gli avvenimenti in qualsiasi parte del globo. L'ultima volta che riuscii a farmi una vaga idea del mondo, fu nel luglio 1914. Da allora non sono stato in grado di capire un'acca di quanto è accaduto al di là dì tre miglia  da Westminster. Potrei esser paragonato al condu­cente di un grande e veloce veicolo, il quale, senza che i passeggeri, immersi nella lettura delle notizie sportive, se ne siano accorti, è stato colpito da pa­ralisi ed ha perso quasi completamente la vista. Per una strana ironia... e nessuno può dire che io non abbia sempre apprezzato l'ironia, è più che probabile che io sarò morto prima che avvenga l'inevitabile crollo. Ma, signore e signori, se sarete così gentili da ricordarvi che anche voi siete fra quei passeggeri, e se rifletterete sulla vostra poco invidiabile situazione, potrete adesso godervi gli altri discorsi, i quali, non ne dubito, saranno anche più noiosi del mio, sebbene anche i peggiori an­dranno bene per un'accolta di cretini, ubriachi e compiacenti, come quella che ho davanti stasera. (Dopo la parola « cretini », grida di « Vergogna!  », « All'ordine! » e «A sedere! » degli altri personaggi. Bendrex cerca di urlare la conclusione sopra Questo fracasso, ma deve sedere. La luce su di lui svanisce. Giunge adesso la musica, le ultime battute del primo tempo. Tutti ascoltano silenziosamente. Quando la musica cessa tutti, tranne Bendrex che appare assai stanco, si muovono un po' sulle sedie, come sempre avviene, mormorando l'un l'altro « Ottimo!  », « Non c'è male », « Bel primo tempo », « Eccellente!  » e così via),

La signora Amesbury    - (andando all'interruttore ed accendendo la luce, ad alta voce) Le sigarette sono lì sopra, per chi le vuole. Caterina, un ottimo primo tempo. (Forte, verso il ridotto) Delizioso, Da­vid, proprio delizioso. (Appena termina la battuta, sempre in piedi vicino all'interruttore, cala il sipario).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena del primo atto

(La signora Amesbury sta ripetendo l'ultima bat­tuta del primo atto, come se l'azione non fosse stata interrotta).

La signora Amesbury    - (ad alta voce) Delizioso, David, proprio delizioso.

Shiel                              - (dal ridotto) Grazie, signora Amesbury.

La signora Amesbury    - (a Dirnie) Non è parso anche a voi, Sir Giacomo? Un primo tempo deli­zioso.

Sir Giacomo                  - Oh... sì. Interessantissimo... inte­ressantissimo. Ha tenuta avvinta la mia attenzione dalla prima all'ultima nota.

Lady Sibilla                  - (sfacciatamente, a Caterina) Sa­pete, signora Shiel, adesso ricordo... Ho già sentito un pezzo per orchestra di vostro marito... diversi anni fa.

Caterina                        - (con fermezza, afferrando l'allusione) Sì, sono sicura che dovete averlo sentito. (Shiel e Lengel appaiono all'imboccatura del ridotto).

Lady Sibilla                  - (o Shiel) Stavo appunto dicendo a vostra moglie che ricordo perfettamente, adesso, di aver sentito una vostra composizione per orche­stra, diversi anni fa...

Shiel                              - (freddamente) Sì? Le eseguono, di tanto in tanto.

Chilham                        - Ditemi, Shiel, voi vi considerate un moderno?

Shiel                              - Che debbo rispondere, Nick?

Lengel                           - (con una punta di sarcasmo) Oh... penso che sia moderno su per giù come la « Daily Gazette», signor Chilham. E' vivo e vegeto, ecco.

Chilham                        - Come noi, come noi.

Pietro                            - (che ha parlato fino adesso con Anna) Sì... molta gente è nel partito perché hanno grandi idee romantiche che esso riuscirà a mutare la loro vita.

Lady Sibilla                  - (come continuando una conversa­zione) E quali sono allora i vostri bisogni, signor Lengel?

Lengel                           -  Nessuno. No, questo non è vero. Il vio­lino, qualche volta. Una bottiglia di Montrachet di una buona annata. E un sonnellino dopo mangiato. Ecco tutto.

Sir Giacomo                  - (pesantemente) Non farebbe per me. Mi sono sempre aperto la strada da solo e vo­glio continuare così.

La signora Amesbury    - (continuando un discorso già cominciato con Bendrex) Siete sicuro di sen­tirvi bene, Carlo?

Bendrex                        - (che non là è affatto) Sì, cara May, non vi preoccupate... Un po' stanco... nient'altro.

La signora Amesbury    -  Faremmo bene a non tardare troppo, allora. Dunque, David?

Shiel                              - (a tutti) Dunque, questo è il secondo tempo. Adagio. Anche questo è senza un soggetto particolare. Ognuno potrà trovarvi il suo significa­to. Ma... (con leggerezza) trattandosi di un adagio, naturalmente il tempo è tutto piuttosto malinco­nico. (La signora Amesbury durante la sua ultima battuta è andata all'interruttore ed ora spegne la luce, mentre Shiel e Lengel rientrano nel ridotto. Ritorna al suo posto e siede con gli altri. La mu­sica comincia e tutti ascoltano in silenzio per pa­recchie battute. Quando la signora Amesbury co­mincia a parlare, la musica svanisce, ma ritorna verso la fine della sua battuta, per svanire di nuo­vo al principio della prossima, e così via. La mu­sica deve svanire e tornare frequentemente du­rante questo atto).

La signora Amesbury    - (senza muoversi, molto tranquilla) Anni fa, quando Roberto era sui cinque anni, andavamo a passare la primavera in un paesetto, ad Hereford, non lontano dal confine del Galles. E lì tutto era bianco di meli fioriti, e quando il vento soffiava nei frutteti, scendeva una nevicata di fiori. E il mio piccolo Roberto, un bel bimbo felice, correva fra gli alberi e si nascondeva e poi usciva fuori saltando, e rideva ai petali bian­chi che si staccavano dai rami... Un bimbo... in un giardino... tanti anni fa... Ci sono tornata, in seguito, ma non è più lo stesso... sembra che non ci siano più tanti meli in fiore... è cambiato... è cambiato...

Sia Giacomo                 - (anch'egli senza muoversi, Quieta­mente) Quando ero piccolo, il mio papà qualche volta mi portava con sé a pescare, il sabato po­meriggio e la domenica mattina, in uno di quei torrenti dove si diceva che c'erano le trote. Papà non se ne intendeva molto, ma era sempre pieno di speranza ed io altrettanto, naturalmente, come tutti ì bambini. Andavo a guado giù lungo la cor­rente, abbassandomi sotto ai rami e fermandomi sulle pietre nell'acqua, a sentire le alghe viscide sotto i piedi. Coglievo le campanule della digitale e me le infilavo sulle dita. E mi stendevo sulla sponda a guardare la corrente che ammiccava e poi mi addormentavo fin quando papà mi scuoteva e ce ne tornavamo a piedi fino al tram. Mi sembra­va come se fossi stato lontano per anni e anni dalle strade e dalle case e dalle fabbriche. M'ero liberato. Adesso non riesco più a liberarmene... Ho provato mille posti diversi... gettato via quattrini a palate... ma è impossibile. E' strano, ma è impossi­bile... Si è legati... legati...

Lady Sibilla                  - (stesso fono) Quando andai in California con gli Shirley-Wilson, quattro anni fa, facemmo una gita nel Deserto Dipinto e alla Riser­va degli Indiani Navajo nel Nord Arizona. Il cielo era di puro turchese e le enormi creste sabbiose erano come rame brunito, e tutto era lontano, lon­tano e tanto tranquillo. Gli indiani Navajo han­no degli stregoni che invocavano i Quattro Venti, il Vento Nero, il Vento Azzurro, il Vento Gial­lo e il Vento Iridato, e gridavano « Che dietro di me sia la pace, che avanti a me sia la pace. Tutto è pace, tutto è pace ». Nessuno mi capiva o mi credeva quando dicevo che avrei voluto nascere Navajo... andar vagando col gregge in quei canyons sperduti, sotto un cielo vuoto ed ardente... gridando al Vento Azzurro e al Vento Giallo... Non mi crede­vano... ma era vero... era vero... (Pausa).

Pietro                            - E' tutto sbagliato. Noi siamo qui seduti ad ascoltare una musica dolce e lenta, a pensare pensieri dolci e malinconici, semplicemente perché abbiamo la pancia piena, stiamo comodamente al caldo e tra un'ora o due possiamo filarcela verso un morbido letto. All'inferno la musica lenta! All'in­ferno i pensierini gentili! All'inferno la sentimen­tale indulgenza borghese! Dovremmo esser duri... duri come l'acciaio... fino a quando l'ultimo torto sarà raddrizzato.

Caterina                        - (con stupore) Vuole un mondo senza tenerezza?

Pietro                            - Nel mondo presente, cose come la tene­rezza sono come l'esca sull'amo, il verme morbido e succulento che nasconde la crudele spina d'ac­ciaio.

Caterina                        - Troppo poca ce n'è di tenerezza, non troppa.

 Pietro                           - Continuate pure ad esser teneri mentre le classi capitaliste continuano ad esser dune, ed avrete ancora miseria nel mondo. Ecco perché vi incoraggiano ad esser teneri. Siate duri, e sarete pericolosi.

Caterina                        - Ma se la gente si limita a diventar dura e a prendere nelle mani il potere e a vendi­carsi per quello che ha sofferto, ecco che ci sa­ranno ancora ingiustizia e sofferenze e miseria nel mondo, e nulla sarà stato veramente cambiato. Il mondo sarà ancora lo stesso.

Pietro                            - (in tono di derisione) Lo so. Proviamo un po' a scambiarci il cuore uno con l'altro. (Siede).

Caterina                        - Più tenerezza. Più gente che ascolti gli adagi e si commuova profondamente alla musica.

Pietro                            - Non è questo che fermerà le mitraglia­trici.

Caterina                        - Farebbe di più: le renderebbe inutili. (Torna di nuovo la musica e mentre tutti l'ascol­tano immobili, entra Lengel, senza violino, e la luce lo segue mentre gira nervosamente per la sce­na con aria inquieta).

Lengel                           - (lentamente, amaramente) Voglio dirvi qualcosa, amici miei. E' solo l'incanto che rende la vita meritevole d'essere vissuta, e quando non si sente più che l'incanto è lì a regalarci miracoli, allora si è veramente morti. Tranne forse in dieci o dodici battute di grande musica e per un mi­nuto quando sono mezzo ubriaco e non me ne rendo conto, non c'è più incanto per me, e quindi io sono morto, e morto da anni. (A Lady Sibilla, da vicino, confidenzialmente) Sì, signora, morto e voi non po­tete riportarmi alla vita, sebbene lo sguardo che ho visto nei vostri occhi, quando mi avete chiesto quali erano i miei desideri, mi abbia detto che non vi dispiacerebbe tentare. Mi dispiace. Siete in ritardo di dieci anni. (Si avvicina ad Anna; attraversando la ' scena) Voi siete una cara bambina, e suonerò tanto bene adesso, che dovrete aprire il cuore a voi stessa e ascoltare la vostra confessione. Questo sarà forse incanto per voi. Ma non per me, non per me. (Volgendosi a Bendrex, in un sussurro) Credo che abbiate ragione, signore. Perfino le rose non sono più rosse come un tempo. (A Caterina) Ah, Cate­rina, tu fosti l'incanto per me una volta, ricordi? Poi io mi resi talmente insopportabile che dovetti andarmene a strimpellare dall'altra parte del globo. E tu amavi sempre David, tanto teneramente. Un tempo pensavo che questo famoso amore non fosse che una cosa crudele e priva di senso, ma non sa­pevo allora quale fosse il volto del mondo senza amore, che immenso volto stanco... (Volgendosi ra­pidamente a Dirnie) Un volto molto simile al vo­stro, ottuso e ricco idiota, molto simile al vostro. Ed ora l'immagine riflessa di quel mondo riempie il mio cielo, e nemmeno quattro volte in un anno mi è dato di vedere il sole, la luna e le stelle. (Con collera, a tutti) Voi sedete lì come blocchi di ar­gilla. Per Dio, suonerò in modo da far uscire i morti dalle tombe... gli uomini e le donne morti, i grandi momenti che sono morti ma furono vivi una volta... e pieni d'incanto. Badate, voi idioti, la terra si scuote... (Rientra nel ridotto. Si sente ora la voce di Shiel giovane e gaia, che chiama, come prove­niente dal fondo di una scala).

Shiel                              - (fuori, ma avvicinandosi) Caterina! Ca­terina! (Caterina si anima bruscamente drizzando-. si sulla sedia, in attesa).

Caterina                        - (non rispondendo a David, fra se) David.

Shiel                              - (fuori, ma più vicino) Cateriii...naaa!

Caterina                        - (alzandosi e rispondendogli) David, sono qui. Che è successo? Sbrigati! (Caterina è tutta attesa. Shiel, cantando allegramente, sì pre­cipita in scena. Veste una giacca di diagonale e calzoni di flanella, piuttosto in disordine, e appare assai più giovane e felice di come lo abbiamo visto prima).

Shiel                              - (eccitato) Katie... è tutto a posto! (La bacia poi la fa girare su se stessa, cantilenando) Tutto a posto! Tutto a posto! Tutto a posto!

Caterina                        - (felice, senza, respiro) Finiscila, stu­pido! Che è successo?

Shiel                              - (lasciandola) Tu ed io ce ne andiamo a vivere in cima a una collina nello Shropshire... un garzone e una donzella dello Shropshire... e lì io comporrò « ein Meisterstuck, ein Meisterwerk... », un vero capolavoro, piccola...

Caterina                        - (eccitata) T'hanno dato la commis­sione?

Shiel                              - Sì, e prendo centocinquanta sterline si­cure... Mac ci dà il suo villino nello Shropshire per tre mesi, e dovremo pagargli in tutto una sterlina alla settimana!

Caterina                        - (ansando) Ma David... è magnifico!

Shiel                              - (canta infantilmente) « Wundersam und Wunderschon und Wundervoil! ». Ti giuro Caterina, mentre tornavo non ho fatto altro che toccar le­gno, incrociare le dita e girare al largo dalle scale a pioli.

Caterina                        - Lo credo bene. Quando partiamo?

Shiel                              - (con voce tonante) Domani, ragazza.. domani!

Caterina                        - Ma David, è impossibile!

Shiel                              - Domani, senz'altro. -

Caterina                        - Caro, è semplicemente impossibile.

Shiel                              - Debbo portare con me un'altra donna?

Caterina                        - L'ucciderei prima.

Shiel                              - E allora sarà per domani.

Caterina                        - Dovrò star su metà della notte. C'è tanto da fare.

Shiel                              - Ti ho visto star sveglia metà della notte quando...

Caterina                        - Non ho tempo per sentire le tue battute piccanti.

Shiel                              - Non c'era niente dì piccante.

Caterina                        - Ho mille cose da fare.

Shiel                              - (con comica solennità) E tu sai qual è la prima.

 Caterina                       - (cadendo nel tranello) Qual'è? (Egli spalanca le braccia) Stupido! (Ma vi si getta e lo bacia, poi solennemente, rimanendo nell''abbrac­cio) Siamo tremendamente fortunati, sai, David. Mi domando se ti rendi conto di quanto siamo fortunati.

Shiel                              - Certo che me ne rendo conto. (La luce comincia a diminuire. Egli la scioglie dolcemente dall'abbraccio, fa un passo indietro e la fissa) Ma perché piangi?

Caterina                        - (in tono di preghiera) Oh, David... David!

Shiel                              - (ha ancora indietreggiato nella luce in­certa ed è appena visibile. Con voce lontana) Perché piangi? (Sempre più lontano) Perché piangi?

Caterina                        - (con ansia terribile) David, David, toma indietro. Perché non torna tutto? (Si abbatte, singhiozzando quietamente. Torna la musica, leg­gera. I discorsi che seguono saranno detti sullo sfondo della musica. Caterina smette di singhioz­zare ma rimane seduta davanti agli altri, nello stesso atteggiamento).

Sir Giacomo                  - (seduto, ma con lo sguardo rivolto verso la platea, quietamente) Non capisco perché la musica debba essere così triste. Non capi­sco questa tristezza studiata. Credo che sia una forma di affettazione, come le vaschette per la­varsi le dita dopo mangiato o come andare a bal­lare in guanti di capretto bianco e altre scioc­chezze del genere. Quel che veramente abbatte un uomo è l'irrancidimento, quando ci si sente stanchi, mezzo morti. Suppongo che non possa esser tra­sfusa con la musica, ma quella è la vera causa. Irrancidire. Accorgersi che nulla vale il terribile sforzo che ci tocca fare. Io mi sento quasi sem­pre irrancidire, di questi tempi. Ma non triste.

Lady Sibilla                  - Quando l'amore è finito sai triste.

Sir Giacomo                  - No. Ma capisco quel che vuoi dire. E ti dirò adesso che cos'è. E' la sensazione che ci sia un tranello in questa faccenda dell'a­more. C'è qualcosa in una bella donna che ti fa sentire, se ti tratterà bene, che almeno potrai li­berarti di te stesso, come una porta che s'apra all'improvviso su un'altra vita. Ma... dopo... ti ac­corgi che non ha funzionato... non è che un'altra delusione. Quasi tutto è una delusione.

Pietro                            - (calmo, ma energico) E' la vostra co­scienza, vecchio furfante!

Bendrex                        - Lessi una volta attentamente le ope­re di Marx e di Engels, ma non riuscii a trovarvi alcuna indicazione che l'uomo abbia una coscienza, Come fa a sviluppare una coscienza la materia in movimento? (La luce è ora centrata su Ben­drex, egli si alza lentamente, tenendo dietro la schiena un cappello di paglia. La musica suona ancora, molto in sordina) Ricordo che Ernest Newman diceva che un bell'adagio di Bruckner e... credo anche il concerto per violoncello di Elgar erano realmente gli ultimi lamenti dolce-amari per un'epoca morente, il canto del cigno della civiltà. Tutta la musica triste e lenta mi sembra così. Da molti anni. Il mondo che io conoscevo, il mondo in cui valeva la pena di vivere, svanì nel 1914 e da allora tutti noi ci siamo limitati ad esistere, in una serie di immensi manicomi, urlando il nostro odio e la nostra violenza ed esalando un fetore di morte. (Ascolta per un istante, poi, solenne­mente) Questa musica è un'elegia per la pagliet­ta... (Tira fuori il cappello e lo osserva con affetto) La cara vecchia paglietta. (La mette in testa e accende una sigaretta. Deve trovarsi ora vicino alla ribatta. La luce deve essere quella di una mattina assolata) Dalla paglietta all'elmetto d'acciaio... ov­vero il ritorno del Medio Evo. Avremmo dovuto ca­pire che il mondo capace di abolire un così fragile, grazioso ed mutile indumento, era un mondo finito. Era questa la paglia che avrebbe dovuto indicarci da che parte tirava il vento. (Sospira) Sì, eravamo civili e felici, un tempo...

Pietro                            - Pochi di voi... i fortunati.

Bendrex                        - (senza voltarsi) Meglio pochi che nessuno. (Entra da sinistra Parks, tipica figura di cameriere anziano di una casa di campagna dell'epoca edwardiana) Ah! Buongiorno, Parks.

Parks                             - Buongiorno, signore. Una magnifica mattinata, signore.

Bendrex                        - Splendida! Dove sono tutti?

Parks                             - (lentamente) Sua Grazia e la maggior parte delle signore sono andate in chiesa con il co­lonnello, signore. Sua Signoria e il capitano Giorgio con gli altri signori son giù nelle scuderie. Il signor Balfour e quel giovane signore di Cambridge, il signor Wilding, sono al tennis. Il signor Barrie è in biblioteca che scrive...

Bendrex                        - Bene! Avete un'idea di che cosa stia scrivendo il signor Barrie, Parks?

Parks                             - (coti un risolino) Un pezzo su un depu­tato al parlamento, ha detto, signor Bendrex. Qual­cosa che le donne sanno molto bene, mi ha detto. Il signor Barrie è un signore molto affabile, signore.

Bendrex                        - Molto. Se esce dalla biblioteca, dite­gli che mi troverà in giardino.

Parks                             - Sì, signore. Desiderate i giornali, si­gnore?

Bendrex                        - (togliendosi il cappello, lentamente) No, Parks, stamattina no. (Si interrompe) Vediamo, Parks, fu nel 1915, piuttosto all'improvviso, mi pare... che voi moriste?

Parks                             - Sì, signore. Presi una brutta indige­stione, due giorni dopo il derby... Penso sempre che sia stato uno di quei pasticci di carne.

Bendrex                        - Credo che vi sia andata bene, Parks. Moriste rapidamente e nel vostro mondo. Io sto morendo da venticinque anni... in un mondo che non so più comprendere. Sono sbalordito. Sono triste. Ho paura... (Dà a Parks la paglietta) No, non mi servirà.

Parks                             - Posso fare qualche altra cosa per voi, signore?

 Bendrex                       - No, per adesso. Grazie, Parks. (Parks esce da sinistra) May!

La signora Amesbury    - State bene, Carlo?

Bendrex                        - No, cara. Non sto bene. Ma non vi preoccupate. (La guarda affettuosamente) Penso ancora a voi come a una cosa giovane, May.

La signora Amesbury    - Non lo sono. Sono, vec­chia e stanca, Carlo. E adesso mi sento colpevole per avere insistito nel farvi venire, stasera. Non vi preoccupate della musica...

Bendrex                        - (dolcemente) La musica mi piace.

La signora Amesbury    - (toccandogli il braccio) State tranquillo e riposate. (Bendrex torna alla sua sedia. La signora Amesbury lo osserva un momento, poi siede davanti agli altri. Chiama quietamente) Roberto! Roberto! (Roberto Amesbury, un bel gio­vane in uniforme di pilota dell'Air Force di parecchi anni fa, compare all'ingresso di sinistra. E' sema cappello, piuttosto in disordine e molto pallido).

Roberto                         - (quietamente) Sì, mamma? (La si­gnora Amesbury sorride ed apre le braccia. Egli avanza lentamente con passo leggermente rigido, e si ferma vicino alla madre in atteggiamento af­fettuoso cingendole la vita col braccio) Perché ti prendi la briga di questi ricevimenti, mamma? Non sono che una preoccupazione e una responsabilità, e tu sei stanca morta metà del tempo. Perché non li mandi al diavolo?

La signora Amesbury    - E' per fare qualcosa. Mi aiuta a tirare avanti.

Roberto                         - Ne vale la pena? Sai quello che dice qualcuno di questi signori?

La signora Amesbury    - Sì, caro. Dicono che sono una vecchia faccendona/ stupida che vuol stare a contatto con l'ambiente musicale e si dà arie di importanza quando sa benissimo di non potere. E' questo?

Roberto                         - Sì, all'incirca, e non riesco a capire perché tu spenda tempo, energia e danaro per loro. ,

La signora Amesbury    - Se tu fossi ancora con me, probabilmente non lo farei.

Roberto                         - (disgustato) Ficcanaso Linchester... Che roba!

La signora Amesbury    - Lo so, Roberto... ma non credo che sia così cattiva come molti la dipingono. Ha sempre attirato l'attenzione... gli uomini l'han­no sempre trovata attraente... e così le altre sono gelose, capisci.

Roberto                         - E' il fratello di Tippy Horlett, quello?

La signora Amesbury    - Sì... Pietro. E' un ra­gazzo intelligente, sebbene non posso dire di capire le sue poesie e a volte se ne esca con una quantità di pazzesche sciocchezze. Ma in fondo è un bravo giovane, Roberto.

Roberto                         - Non lo meritano, mamma. Lascia andare tutto. Prendila con calma.

La signora Amesbury    - Dovrò farlo presto, che lo voglia o meno. Ma fino a quando posso, debbo farmi forza e andare avanti... andare avanti...

Roberto                         - (con crescente agitazione) Andare avanti... andare avanti... avanti... avanti... (Si sente ora il rumore di un motore di aeroplano. Egli grida per coprirlo) Avanti! Avanti! cretino! Quel tirante è partito! Cabra, cabra!

La signora Amesbury    - (o voce alta, terrorizzata) Roberto! Roberto! (Egli non la vede più. La sce­na si oscura rapidamente. Il rumore del motore si fa più forte unito adesso ad un ruggito di vento).

Roberto                         - (urlando a squarciagola) Cristo, tie­nilo su, adesso! Tienilo su! Tienilo su! No, no, non riprende. (Con un urlo finale) Bada! (Il rumore del vento e dell'aeroplano cresce ancora. Tutti i personaggi gridano. Poi un terribile fragore, e la scena s'oscura completamente. Nel silenzio che se­gue si ode la signora Amesbury singhiozzare, ma nel frattempo essa deve tornare al suo posto, talché quando le luci tornano su la vediamo seduta con gli altri, in ascolto. A questo punto entra peri qualche minuto la musica. Anna si alza e viene avanti).

Anna                             - (imperiosamente) Pietro! (Pietro viene avanti. Anna gli è di fronte in atteggiamento di offerta) Pietro... guardami!

Pietro                            - (esegue) Sei una giovane attraente, Anna.

Anna                             - Non so quanto attraente... benché credo che abbiate ragione, signor Horlett. Ma « giovane » è vero. E... (Con brusco cambiamento di tono) Ti ricordi quando sei venuto la prima volta da noi e avevamo ancora la casa nel Dorset? Avevo quin­dici anni, allora. Goffredo era il mio eroe, forse perché era mio fratello ed aveva cinque anni più di me. E tu eri l'eroe di Goffredo. Non ne ero ge­losa. Questo ti faceva apparire una specie di eroe fuori serie.,

Pietro                            - Un corno!

Anna                             - Poi in seguito, quando andai in Francia, il tuo splendore si oscurò un tantino... ma un anno fa tornò. Diverso, naturalmente. Ero più grande e non mi sembravi più così fuori serie... ma, vedi, ormai sapevo che ero innamorata di te, Pietro e... no, stammi a sentire... che non avrei mai amato nessun altro.

Pietro                            - Scusami, ma queste sono sciocchezze, Anna. T'innamorerai di molti altri uomini prima della fine.

Anna                             - (gravemente) No.

Pietro                            - Come fai a saperlo?

Anna                             - Lo so.

Pietro                            - E' stupido.

Anna                             - Potrà sembrare a te, ma non parrebbe così a una ragazza. Capirebbe. Si sa, veramente. E' qualcosa che si sente... nel profondo dell'animo. E, Pietro, se tu non volessi sposare... se non credi nel matrimonio... (nervosa, ma coraggiosamente) non m'importerebbe... Voglio dire... verrei a te, senza essere sposata... o farei tutto quello che tu volessi.

 Pietro                           - (piuttosto rudemente) No... no... no., (Le volta le spalle e passeggia nervosamente).

Anna                             - Pietro ascoltami... ti prego!

Pietro                            - (nello stesso tono) Ti sto sentendo»(Resta fermo).

Anna                             - (continua coraggiosamente) Ho letto tutte le tue poesie, ma non le capisco troppo bene. Forse col tempo ci riuscirò. Mi proverò. E non ho troppa simpatia per il comunismo, le rivoluzioni,. il proletariato e tutta questa roba. Non mi sem­bra mai reale e in genere non mi piacciono le per­sone che se ne occupano... Le ragazze, specialmente» sono spaventose. Ma cercherei di interessarmene e se tu volessi andrei ai comizi, marcerei nei cortei e tutto il resto, se tu davvero volessi. Non m'impor­terebbe niente di non avere molto denaro. Sono brava a far fruttare le cose, domandalo alla mamma. Con te, credo, sarebbe divertente. Perché scuoti la testa? Non credi a quello che ti dico?

Pietro                            - Sì, non è questo. Solo... (Esita).

Anna                             - Solo... non c'è niente da fare? E' così? (Egli non risponde e guarda da un'altra parte », Sei innamorato di qualcun'altra, Pietro?

Pietro                            - (con impazienza) No, sai benissimo di no.

Anna                             - Non c'è bisogno che tu dica « sai be­nissimo di no », quasi che innamorarsi fosse una cosa enormemente ridicola e fantastica! La gente; lo fa da migliaia e migliaia di anni.

Pietro                            - E ci hanno intessuto sopra una quan­tità di chiacchiere inutili. Vedi, Anna, questa fac­cenda dell'amore romantico non ci interessa. Gran parte di essa ci pare solo sciocca affettazione e,. in ogni caso, c'è il pericolo che possa costituire un ostacolo nel nostro cammino verso mète più importanti.

Anna                             - Mi par molto strano che un poeta parli così.

Pietro                            - (con impazienza) Anche qui, è solo perché hai un concetto antiquato e borghese di cosa sia un poeta. Il poeta non è un signorino raffinato che scrive elaborate sciocchezze per il sopracciglia sinistro di qualche inutile ragazza. (Con voce so­nante) Voglio scrivere poesie sugli uomini in mar­cia verso la libertà, sulle strade che sono come grandi frecce di pietra, sulle torri d'acciaio che vibrano e scricchiolano sotto la corrente ad alta tensione, sui trattori che arano e mietono la terra per il popolo, sugli aeroplani notturni che solcano come razzi veloci gli spazi.

Anna                             - (dopo una pausa, con tristezza) E l'amore non trova posto fra tutto questo.

Pietro                            - L'amore romantico ha fatto più che il suo tempo. D'altronde, per nove decimi, non è che illusione. E' l'istinto sessuale che ti giuoca i suoi tiri.

Anna                             - Non sono altro che parole, queste, Pietro. E anche molto stupide, se vuoi il mio parere.

Pietro                            - Noi crediamo che uomini e donne pos­sano stare insieme da buoni compagni...

Anna                             - Davvero? Io, no. Compagni un corno!

Pietro                            - (con una certa asprezza) Va bene, non voglio tenerti una conferenza. E non voglio liti­gare, Anna. Ma questa discussione è cominciata perché, vedendo che non ero innamorato di te, ti sei sentita sicura che dovessi esserlo di qualche altro campione del tuo sesso affascinante.

Anna                             - Non darti delle arie. Cos'è che vi fa es­sere retorici, ogni qual volta che andate un po' in collera?

Pietro                            - (ostentando una grande pazienza) Quello che sto cercando di farti capire, ed è per il tuo bene...

Anna                             - (aspramente) Al diavolo il mio bene! (Pausa) Scusami, Pietro. Continua.

Pietro                            - (lentamente, con affettazione) Il com­pito di un poeta del nostro tempo, non è di pia­gnucolare sulle sue idiote fantasie di malato. Farebbe meglio a scordarsele del tutto. Il suo compito è di servire da megafono... da tromba squillante... per le masse spogliate e calpestate. Quando esse saranno libere, forse ci sarà tempo per i raffinati sentimenti e per scrivere il genere dì poesia che piace a te. Ma dubito che di qui ad allora ci sarà qualcuno che ne abbia voglia. In una società dove siano abolite le classi...

Anna                             - (interrompendolo con vivace scortesia) Lo so, marcerete tutti in tondo, in calzoncini corti, agitando bandiere. Tutti compagni.

Pietro                            - (seccato) Vuoi stare a sentire...

Anna                             - (fermandolo, ad alta voce) E ognuno andrà a letto con chi gli pare, e nessuno se ne preoccuperà, e non avrà importanza... proprio co­me sull'aia di una grande fattoria. (Si interrompe. Egli si volta, seccato. Anna lo fissa per un istante, voi dolcemente) Non sto cercando di irritarti, Pietro. Non ti sto ripagando perché... tu non senti per me quello che io sento per te. Mi accorgo adesso di essere davvero più vecchia di te. E quel che sento In fondo all'animo mio, mi rende anche più sag­gia. Tu sei solo un ragazzo, che ancora non ca­pisce la vita e fa discorsi grossi. Presto o tardi im­parerai. Non ti parlerò più così... ma non cambierò. E se mai tu mi volessi... fammelo sapere, Pietro... (Lo fissa un istante con un sorriso un po' incerto, poi torna direttamente al suo posto e riassume l'atteggiamento d'ascolto. Pietro, ancora sul pro­scenio, passeggia irrequietamente).

Pietro------------------ - (tra se) Tutto quello che le ho detto è vero. Non è solo il punto di vista del partito su questo problema e l'opinione del mio gruppo di neorealisti marxisti, ma è anche una mia sincera convinzione personale... (Come colto da dubbio im­provviso) Suppongo... (Quasi cercando di convin­cersi) Certo che lo è. Per una nuova èra ci vuole un nuovo genere di poesia e di poeti. Fortunata­ mente io sono proprio questo nuovo tipo di poeta. Non mi costa alcuno sforzo. Mi viene naturale. H sesso? Siamo d'accordo. Niente di male nel sesso e nelle questioni sessuali in genere. Ma trattiamolo tua per quell'affare d'ordinaria amministrazione che è. (A questo punto la signora Amesbury, Caterina. lady Sibilla ed Anna escono contemporaneamente in una risatina sarcastica. Pietro s'interrompe e le guarda sospettosamente) Tutte queste fantasie d'amore, che cos'erano? E passatempo di femmine parassite delle classi abbienti. Un mezzo per fug­gire la realtà. (Come porgendo una conferenza a un uditorio di cui le quattro donne sono le sole persone visibili) Gli esponenti più molli della classe dirigente hanno sempre cercato di evitare la realtà. Perché? Perché non è stato mai piacevole contem­plarla, la realtà. Non volevano pensare al mondo che essi andavano sfruttando. Così cercarono rifu­gio nel mondo irreale e da serra della Fantasia, confondendo deliberatamente il problema elemen­tare e necessario dell'istinto sessuale con ogni sorta di appiccicose stupidaggini idealistiche.

Lady Sibilla                  - (con voce  calma e distinta) Mio Dio, come siete noioso!

Caterina                        - Sa che non è vero.

La signora Amesbury    - Certo che lo sa. C'è di mezzo qualcuna.

Anna                             - Qualcuna... da qualche parte. Perché non potevo essere io?

Pietro                            - (cambiando completamente maniera) Eppure... ancora una volta... vuoto e desolazione, -Come se qui dentro  - (si tocca il petto) cominciasse il deserto - Che si estende all'infinito, sabbia e vec­chie ossa - Sotto un cielo di bronzo, e il teschio che ghigna all'avvoltoio... (con ritmo più rapido) Alt, via; alt, via; Tenere la Destra, - Attraversate qui, Biglietti per favore, Vietato fumare, Si Cambia,- Provate il nostro Prodotto, Non Dimenticate, Ri­sparmiate il Vostro Denaro! - Una poltiglia dì facce e una poltiglia di menti, - Una gelatina d'occhi morti. Tutto l'incanto è svanito, - Da questo mer­cato che chiamiamo mondo. (Con grande impeto e passione) Dov'è il giardino dove passeggia l'a­ more mio perduto? (A questo punto l'illuminazione cambia, come se la stanza fosse svanita. Si ac­cende il panorama e una delle finestre viene vi­vamente illuminata dal basso. Pietro corre a questa finestra e siede sul davanzale, guardando in giù, come da grande altezza. Non si dovrà vedere niente e nessuno all'infuori di lui) Siamo uomini e non ci comprendiamo. - I nostri occhi non sono i nostri occhi; c'è un cuore, - Che nutre la nostra immaginazione di sangue estraneo. - Ma non è il cuore che le nostre madri sentivano nella notte,- Quando si domandavano che nome ci avrebbero dato. - Nascite e Morti le celebriamo in modi di­versi. - Perché una regina passeggiò un giorno in un parco, - Un volto senza nome che questi occhi non hanno mai visto - Muta in pietra tutti i visi del mondo... - Forse è Nefertiti, la regina del Sole. - Avanti al tempio ove l'arpa eptacorde - Mai potè vincere la musica del suo sguardo; - O Elena Argiva che appiccò fuoco a Troia - E ne alimentò l'incendio iper tutto il lungo sogno a occhi aperti, - Di ottanta generazioni. O Semiramide, - La colomba dorata, che stregò Babilonia - Con la sua chioma sciolta. Forse è Deirdre -Dalle spalle bianche e la bocca di miele, - O Gi­nevra, dalla pelle dorata e dagli occhi d'aprile, -O Maria di Scozia, delicata maga d'amore, - Dol­cezza versata come vino nel grigio settentrione, -Che fa germogliare poeti dall'arido suolo. O cuore, - Che non batti da questa parte della luna, e pure sottrai - Fin il rosso alla rosa, lasciami, lasciami in pace! (Si fa avanti di nuovo, e le luci tornano come prima. Parla con più calma, adesso ma sempre come un poeta che reciti) Forse fingo an­cora. Sono un bimbo, - Che vaga sperduto in un grande castello di sogni... (Entra da sinistra una donna di mezza età, vestita alla moda di circa venti anni fa, piuttosto dimessa. Appartiene alla bassa borghesia dì provincia. E' la signora Chil­ham. Avanza timidamente, con esitazione).

La signora Chilham       - Scusate, signore... Potrei parlare col signor Filippo Chilham?...

Pietro                            - (che evidentemente non sì accorge della sua presenza) ... in un grande castello di sogni, Dov'è una stanza che chiamo « realtà », e quando vi entro, - Penso che in essa - Sia tutto quanto al mondo c'è da conoscere.

La signora Chilham       - Chiedo scusa, signore, ma desidererei dire due parole al signor Filippo Chilham...

Pietro                            - (la guarda senza vederla) E mi chiedo perché mi sembra che il cuore - Sia lì sempre in­seguito...

La signora Chilham       - (fissandolo, con sconforto) Oh, Signore!

Pietro                            - Vedo la carta bruna su quella parete, E penso che i fregi scoloriti siano la nostra vita...

La signora Chilham       - (con insistenza) Vedete, signore, io sono sua madre, la signora Chilham...

Pietro                            - Musica e riso risuonano dalla grande sala - A perseguitarci in quella stanza. Noi chiu­diamo gli orecchi... (Si interrompe per guardare la signora Chilham come attraverso una nebbia) Sì?

La signora Chilham       - (confidenzialmente) Sì, signore. Sono la signora Chilham. Vorrei solo dire due parole al mio ragazzo, Filippo, se si potesse senza disturbare nessuno.

Pietro                            - Glielo dirò. (Fa un leggero movimento, poi la fissa curiosamente) Ma voi... non siete?...

La signora Chilham       - (interrompendolo, con cal­ma, in tono dì scusa) Sì, signore. Nel 1920. E' passato tanto tempo, vero?

Pietro                            - (con meraviglia) Sì. Glielo dirò. (Tor­na al suo posto e prima di sedere tocca Chilham. Questi viene avanti lentamente, mentre Pietro rias­sume l'atteggiamento d'ascolto).

Chilham                        - Mamma.

La signora Chilham       - (guardandolo con ansia) Sì, Filippo. Sono la tua mamma. Stai bene, ragaz­zo? (Lo tocca e lo guarda attentamente. Siedono).

 Chilham                       - Direi di sì! Sto magnificamente, mamma!

La signora Chtlham      - Ne sei proprio sicuro? Non me lo dici soltanto, vero?

Chilham                        - No, e perché?

La signora Chilham       - Sai, era uno dei tuoi so­liti sotterfugi, quando ti trovavi in quelle condi­zioni di spirito. Venire a casa da scuola e dal la­voro e dirci che tutto andava a meraviglia, men­tre invece eri nei guai fino ai capelli.

Chilham                        - (con l'aria di un ragazzo che si vanta) Stammi a sentire, mamma. Incasso cinquemila, cinquemila sterline l'anno. Più di quanto abbia mai guadagnato papà.

La signora Chilham       - Perché ti pagano tanto?

Chilham                        - (nello stesso tono, con una punta di sfida) Perché i miei pezzi sulla « Daily Gazette » sono tra le cose più note del giornalismo inglese. Tutti li leggono e tutti vi vogliono essere citati. Mi corrono dietro a greggi, mamma, persone impor­tanti, che vogliono che io parli bene di loro.

La signora Chilham       - Io non l'ho fatto mai!

Chilham                        - (affrettando il ritmo) Vado dove mi pare... teatri, locali notturni, ristoranti... tutto gra­tis. Mi offrono vacanze gratuite nei grandi alber­ghi. Sigari e sigarette e casse di whisky e vestiti. Ho sei bellissime vesti da camera di seta, tutte nuove di zecca.

La signora Chtlham      - Non hai ancora moglie, Filippo?

Chilham                        - No. Mi fidanzai una volta... ma poi ci piantammo. Ma non me ne preoccupo. Ho troppo da fare. Me la passo troppo bene. Tutte cercano di accalappiarmi.

La signora Chilham       - (fissandolo con fermezza) Non me lo dici soltanto, vero?

Chilham                        - (nello stesso tono) Certo che no. E' la pura verità. Ho uno dei più begli appartamenti di Londra, proprio a Park Lane. Tutti i più moderni accessori elettrici... e dovresti vedere la stanza da bagno! Chi l'avrebbe immaginato quando eravamo nella vecchia e sporca Dunley!

La signora Chilham       - (sempre nello stesso tono fermo e scettico) E' un lavoro onesto questo che fai, Filippo?

Chilham                        - (con irritazione crescente) Natural­mente. Perché non dovrebbe esserlo? Ci sono mi­gliaia di persone che ci salterebbero sopra se solo se ne offrisse loro la minima occasione e sapessero svolgerlo come si deve. E' molto più difficile di quanto sembra essere sempre in movimento, sco­prire le cose a fiuto, tenersi sempre al corrente, con astuzia, e al tempo stesso tener sveglio il normale interesse del pubblico. Ti dirò. Diventerò ricco, perché con tutto quello che mi danno supero di molto le cinquemila sterline l'anno; ma me le gua­dagno.

La signora Chilham       - E' un buon lavoro onesto?

Chilham                        - (più in fretta e nervoso) Ti dico di sì. Non ti ho detto che tutti mi corrono dietro? Mi invitano a pranzo, ai cocktails, a cena, in cam­pagna, sì, anche i pezzi grossi. E non sono soltanto le attrici o le signore dell'alta società e l'ambiente del cinema che vogliono essere citati da me; anche alcuni di questi uomini politici e di questi finan­zieri fanno lo stesso. Ho passato una settimana in panfilo, lo scorso autunno. A primavera sono stato nella Francia meridionale. Cannes, Montecarlo. Posseggo il più grande apparecchio radio che si sia mai visto.

La signora Chilham       - (con ostinazione) Non mi hai ancora risposto.

Chilham                        - (quasi in collera) Te l'ho detto! Ho armadi pieni di vestiti, dozzine di camicie di seta, sei vesti da camera nuove. Ho un cameriere... non faccio mai niente da me. Una grande automobile e uno chauffeur. Non mi riconosceresti, se mi ve­dessi scarrozzare su e giù. Un po' di differenza con la stradetta di Dunley, no? Ma bada, non è solo questione di fortuna. Sono abile e lavoro sodo... Credimi, mamma, bisogna essere in gamba per man­tenere un contratto del genere con la « Gazette », mentre tutti i colleghi non sperano che di vederti inciampare... ma io ci riesco benissimo. So quel che voglio. Sono arrivato in cima e ci rimango. Ho tutto quello che desidero.

La signora Chilham       - (con voce triste) Che hai, figlio?

Chilham                        - (quasi urlando, istericamente) Per amor di Dio... non continuare a parlarmi così... Ti dico che sono arrivato alla vetta... Ho tutto, tutto... tutto... (La voce si è alzata fin quasi a un urlo stridente. Ha un collasso improvviso: non pian­ge forte, ma si copre il volto con le mani, scosso da un tremito convulso. La madre ora lo guarda con pietà).

La signora Chilham       - (in tono compassionevole) Vedi, ragazzo mio, m'ero accorta che qualcosa non andava e che stavi ricorrendo al tuo vecchio sotterfugio. Ma non può essere un caso tanto di­sperato. Se è così, lascia andare tutto, e cerca di trovare qualcosa che ti faccia sembrare più uomo e non un rottame nevrastenico. Torna là, di dove sei venuto... a Dunley.

Chilham                        - (alzando lo sguardo, con calma, tragi­camente) Non potrei. Tu non capisci, mamma.

La signora Chilham       - Non è la prima volta che me lo dici. Perché non potresti?

Chilham                        - (nello stesso tono) Sono come un uomo che gira e rigira intorno a una pista, al vo­lante di una macchina da corsa. Non oso fermarmi o sterzare, mi ammazzerei. Non posso che girare sempre più presto... più presto... più presto... E non ne posso più. Ho paura. (La signora Chilham gli dà un paio di colpetti rassicuranti, mentre egli la guarda disperato. Entra lentamente da sinistra un giovane robusto, in tuta da meccanico. Si chiama Tom e nel suo modo di parlare ricorrono molto accentuate le inflessioni dialettali di Sir Giacomo Dirnie).

Tom                               - (fermo sulla soglia) Cerco Jim Dirnie.

La signora Chilham       - (a bassa voce) E' meglio che vada, Filippo. Tu ora cerca di migliorare e non essere solo un ragazzo sciocco. (Esce a sinistra, salutando con un cenno del capo e un sorriso Tom che ricambia. Tom si avvicina).

Tom                               - Cerco Jim Dirnie.

Chilham                        - (come recitando uno dei propri stel­loncini) La presenza di Sir Giacomo Dirnie è notata dappertutto in questi giorni e più ancora... in queste notti. Di solito con Lady Sibilla... Ficca­naso... Linchester. Sir Giacomo, mi si dice, emerse all'improvviso come uomo di grandi possibilità circa dieci anni or sono, nell'aspro mondo indu­striale del Settentrione. Fu nominato direttore ge­nerale della Matson Jenes quando non aveva ancora quarant'anni. Una carriera eccezionale. Da allora è salito come una freccia, nomina due o tre amministratori generali in una mattinata, gioca con mezza dozzina di grandi industrie meccaniche e viene spesso consultato dal Ministero della Di­fesa. Ha uno dei più bei panfili che si siano mai visti, ma ci va solo un paio di volte l'anno. (Torna al suo posto).

Tom                               - Ehi, Jim.

Sir Giacomo                  - (viene avanti lentamente, esitando) Oh... sei tu, Tom.

Tom                               - Sì.

Sir Giacomo                  - Dunque?

Tom                               - (guardandolo fissamente) Possiamo fidarci di te, Jim Dirnie?

Sir Giacomo                  - (con un'ombra di imbarazzo) Dovresti saperlo.

Tom                               - (esitante) Sì... ma è una questione im­portante. E se gli altri pensassero appena che te l'ho detto, sarebbe finita per me.

Sir Giacomo                  - (parla con più accentuata inflessione dialettale, come fosse più giovane) Ma no... accidenti, Tom... parli come se io non fossi uno dei vostri. E' solo un anno che ho lasciato il sindacato... e proprio perché non potevo farne a meno... Non potete rimproverarmi di avere avuto una piccola promozione. Bisogna pure che qualcuno badi alla baracca, e meglio io che un estraneo.

Tom                               - (a disagio) Lo so, Jim, lo so.

Sir Giacomo                  - Siamo amici, no?

Tom                               - Sì. Ma sai come la pensano alcuni com­pagni. Se sapessero che io ti ho messo al corrente...

Sir Giacomo                  - T'ho già detto perché voglio saperlo, Tom. Non è per la ditta. Al diavolo la ditta! Ma, come ti ho detto, ho bisogno di qual­che giorno di permesso... debbo assolutamente ri­vedere quella ragazza. E se sapessi in anticipo quello che succederà, mi faciliterebbe molto. Via, Tom...

Tom                               - Va bene, Jim, non ho mica detto che non avrei parlato. Soltanto, per amor del cielo, sta attento...

Sir Giacomo                  - Certo, certo! Dunque, Tom?

Tom                               - (gli si avvicina molto, abbassando la voce) E' tutto stabilito. Lunedì inizieremo uno sciopero di una settimana, tutti quanti siamo.

Sir Giacomo                  - (con interesse) E' sicuro?

Tom                               - Sì.

Sir Giacomo                  - (lentamente, ma con una punta di eccitazione) Tutti in sciopero per una settimana, lunedì! Grazie, Tom. (C'è qualcosa in lui, l'into­nazione, lo sguardo che dispiacciono improvvisa­mente a Tom. Egli pone una mano sulla spalla di Dirnie e lo guarda da vicino).

Tom                               - Hai una faccia strana. Jim. Non ci tra­dirai mica, vero?

Sir Giacomo                  - (a disagio) Non dire sciocchezze. Tom! Adesso debbo andarmene.

Tom                               - (senza lasciarlo) Non mi piace quella faccia. C'è qualcosa che non va. E' la faccia di uno sul punto di tradire i suoi antichi compagni.

Sir Giacomo                  - (più a disagio) Oh... finiscila!...

Tom                               - (con forza crescente) Se tu informassi i principali di quello che ti ho detto, Jim Dirnie, po­tresti avvantaggiartene e distruggere il sindacato e... rovinare me. Potresti farlo. (Lo guarda strana­mente tenendolo adesso con ambo le mani. Poi con un urlo terribile) Tu... tu, maledetto Giuda Isca­riota!... E' questo che hai fatto! (Lo lascia andare, fissandolo con orrore. Colpa e terrore sono sul volto di Dirnie. Lunga pausa).

Sir Giacomo                  - (con molta calma, quasi divertito)Sei morto da quindici anni, Tom. Ti avrei tro­vato qualche posto, dopo che ti buttarono fuori dal sindacato, ma tu volesti farne una tragedia, ti ubbriacasti fradicio e andasti a finire nel bacino della cartiera di Foley. Quindici anni fa. Ti avevo quasi dimenticato.

Tom                               - (con molta calma) Questa è una delle più misere bugie che tu abbia detto mai.

Sir Giacomo                  - (lentamente) Tu non capisci, povero ignorante chiacchierone annegato... Hai sempre parlato troppo, Tom, e fu la tua rovina. Ma vedi, durante tutti questi quindici anni, io sono stato vivo, molto vivo, baciato dal sole, sono salito nella società, ho fatto quattrini, ho conosciuto gli uomini più importanti, a volte sono andato a letto con le loro donne, ho goduto la vita. E' naturale che ti avessi quasi dimenticato.

Tom                               - Non è vero. C'è una parte di te... e una parte maledettamente importante... che non è stata viva in questi quindici anni e non ha sentito il calore del sole e non è andata a letto con le belle donne e non ha goduto la vita... Ti dirò anche perché. Que­sta parte di te non è qui.

Sir Giacomo                  - Dove allora?

Tom                               - (con aria di selvaggio trionfo) In fondo a! fetido bacino della cartiera di Poley. (Gli si av­vicina, con volto accigliato) Ed ora, Jim Dirnie, godi, continua a goderti la vita, se puoi. (Si gira e sputa con disprezzo, poi esce senza voltarsi. Dir­nie rimane rigido, come sotto il peso di una terribile condanna. Poi, dopo una lunga pausa, mormora fra sé).

Sir Giacomo                  - E' questo il perché? E' questo il perché?

Lady Sibilla                  - Perché che cosa, caro?

Sir Giacomo                  - (lentamente) Perché non me ne importa?

Lady Sibilla                  - Di che non t'importa?

Sir Giacomo                  - (bruscamente) Di niente. Te com­presa.

Lady Sibilla                  - (coti asprezza) Non essere così villano. Ho mai anche lontanamente finto d'essere sentimentale con te? Sono stata sincera. Quanto te, ho sempre immaginato che, nascosta in un cantuccio del tuo passato, dovesse esserci una qualche avventura con una cameriera o una bari­sta o qualcosa di simile, che ti ha lasciato a doman­darti da allora in poi perché non riuscivi mai a divertirti in proporzione a quello che pagavi. (Pri­ma che Dirnie possa rispondere si sente, da fuori, - a sinistra, la voce di una ragazza che chiama « Ficcanasoo! Ficcanasoooo! ». Lady Sibilla la sente e trasale).

Sir Giacomo                  - Vedi, ti sbagli di grosso... Non c'è stato...

Lady Sibilla                  - (aspramente) Taci!

Sir Giacomo                  - (seccato) Che diavolo...

Lady Sibilla                  - (violentemente) Oh... sta zitto! (Resta in ascolto. Si sente più vicina la voce « Ficcanasooo! Ficcanasooo! ») Svelto, vattene! (Nella sua impazienza, lo spinge verso le sedie. Dopo averle dato un'occhiata stupita, egli alza le spalle e torna al proprio posto, riprendendo immediata­mente l'atteggiamento d'ascolto. Entra da sinistra Deborah, la sorella di Lady Sibilla. E' una ragazza di circa diciassette anni, vestita come una studen­tessa in vacanza di venti anni fa, pettinatura bassa, ecc. E' una ragazza slanciata e sottile, cui chia­ramente piace la vita all'aperto).

Deborah                        - (eccitata) Ficcanaso, ti ho cercato dappertutto. Lo straordinario è che quando nes­suno ti vuole non c'è verso di farti andar via e quando invece ti cercano, ci vogliono ore per tro­varti. Questo, naturalmente, perché sei una gio­vane scimunita.

Lady Sibilla                  - (tornata fanciulla) Mi piaci, Deb! Hai solo due anni più di me... e parli proprio come se ne avessi novanta. Che è successo? (Si ingolfano in una conversazione da scolare).

Deborah                        - Non è affatto grave come dicono.

Lady Sibilla                  - Quanti ne resteranno?

Deborah                        - Che brutta maniera di domandare, Ficcanaso! Quasi che i cavalli si contassero, come le pecore. Vuoi dire, quali resteranno?

Lady Sibilla                  - Va bene, chi... quale, come ti pare... ma dimmelo, svelta!

Deborah                        - Biancopiede non lo venderanno.

Lady Sibilla ----------- - (subito) A noi non serve.

Deborah                        - Non essere così stupidamente egoista, Ficcanaso. Il fatto è che non lo vendono, e io l'adoro. Poi... terremo Brunello e Mack...

Lady Sibilla                  - (prontamente) Brunello me lo prendo io!

Deborah                        - (ride) Mi piacerebbe di veder qual­cuno prendere Brunello... Peserà una tonnellata.

Lady Sibilla                  - Lo so. E' bestialmente grasso, ma cominceremo presto a lavorarlo.

Deborah                        - (scherzosamente altezzosa) Comin­ceremo? A dir la verità, Ficcanaso, andremo molto di rado a cavallo insieme nei prossimi due anni. Ormai è sicuro che andrò all'istituto di Madame Mercier.

Lady Sibilla                  - (prontamente) Tienti pure Ma­dame Mercier. La sorella di June Franklin c'è stata e June ha detto che non ci sì poteva vedere... Nien­te svaghi, sempre chiusa... delle orribili ragazze francesi... e dappertutto una terribile atmosfera di muffa...

Deborah                        - (lietamente, con un certo orgoglio) Lo so. Ne ho sentite molte in proposito. Ma quando sarà finito, io sarò grande, andrò ai balli e a tutti i divertimenti, mentre tu sarai ancora nella stanza da studio a roderti il fegato e a non farti vedere da nessuno. Ti permetteranno di stare alzata quan­to basta perché tu possa ammirarmi nel mio nuovo abito da sera.

Lady Sibilla                  - (infastidita) Oh, finiscila! Se hai sempre più sonno di me.

Deborah                        - Allora non ne avrò. Un altro genere di vita, capisci. Adesso, quando la giornata è finita, non ci resta altro che addormentarci. Ma quando avrò debuttato, sarà tutta un'altra cosa. Potrò go­dermi la vita! Guarda, Ficcanaso, sebbene tu sia una sciocca, vorrei che anche tu facessi il tuo in­gresso in società lo stesso giorno. Potremmo andar­cene alle feste insieme e divertirci un mondo fra noi. In fondo, dovrò aspettarti solo per due anni, e poi cominceremo davvero... (Si interrompe guar­dando curiosamente il viso di Lady Sibilla, che gli spettatori non possono vedere) Cos'hai? (Lady Si­billa scuote la testa e Deborah la fissa curiosamente, come se si rendesse lentamente conto che qualcosa ha operato un cambiamento nella sorella minore) Ficcanaso, c'è qualche cosa che non va, è vero? (Sempre fissandola) Tu sei... Ficcanaso, "non è vero, cara? (Lady Sibilla accenna di sì) Non pensavo davvero che lo fossi... Voglio dire devi essere tu, come io sono io, d'accordo... ma sei tanto cam­biata... e non siamo... (Stupefatta, lentamente) Vedi, stavamo in giardino, a Brankleford, nel no­stro angoletto... Era quando papà cominciava a vendere tante cose... ed io non ero stata ancora da Madame Mercier... Aspettavo con ansia il giorno del mio ingresso in società... quando saremmo di­ventate grandi... come ci saremmo divertite... ma non si è avverato mai, vero? Almeno per me... tu sembri...

 Lady Sibilla                 - (aspramente, dolorosamente) No. No. No, Deborah, non è andata come tu pensavi che sarebbe andata, quando fossimo diventate grandi. Qualcosa ha mandato tutto a rovescio. For­se, in fondo, perché non c'eri tu, Deborah. Dile­guasti così. Te ne tornasti al nostro angoletto nel giardino di Brankleford... per sempre. Ed io mi sono allontanata ogni giorno di più. E ogni giorno di meno le cose della vita hanno avuto importanza per me. Quell'età, quel luogo... erano saldi e reali, e mi potevano far sentire felice. Tutto da allora non ha fatto che barcollare e sfuggirmi. Ho bru­ciato ogni mia giornata nella speranza che il do­mani fosse migliore. Non lo è stato mai. Sembra che abbia preso una via sbagliata. Avrei dovuto correre indietro... tornare da te, a Brankleford. Oggi lo so. Internamente non sono mai cresciuta, non ho mai guardato alla vita come avrei dovuto. E' tutto sbagliato, suppongo, ma è così... e... Debo­rah... che debbo fare? (In lacrime, afferra Deborah per un braccio, fissandola disperata) Dimmi, dim­mi... che debbo fare? (Deborah la guarda con com­passione, ma senza saper darle aiuto. Mentre le due sorelle tacciono, entra lentamente da sinistra Roberto Amesbury. Lady Sibilla non lo vede, ma Deborah sì).

Deborah                        - (sottovoce) Roberto, non so cos'ab­bia Ficcanaso.

Roberto                         - (sottovoce) Se fossi te, non me ne preoccuperei.

Deborah                        - Dev'esserci qualche cosa che non va. Si è innamorata di qualcuno ed è andato tutto all'aria?

Roberto                         - No. Dubitò che si sia mai veramente innamorata di qualcuno.

Deborah                        - Dice che essere grandi non è come noi sognavamo.

Roberto                         - (dolcemente) No, penso che non Io sia, infatti.

Deborah                        - Vorrebbe essere di nuovo a Brankle­ford con me, adesso, ma quando eravamo lì, il suo pensiero fisso era di diventar grande, per poter­sene andare. (In piedi, uno accanto all'altra, guar­dano insieme Lady Sibilla che ora si alza lenta­mente, senza speranza, dimentica anche della pre­senza di Deborah. Come ella sì volta per tornare al suo posto, Deborah stende una mano per fer­marla, ma è prontamente richiamata da Roberto. I due osservano quindi Lady Sibilla tornare al suo posto e riprendere l'atteggiamento d'ascolto).

Roberto                         - Non preoccuparti di lei, Deborah.

Deborah                        - Ma debbo, capisci. E' la mia Ficca­naso, malgrado tutto.

Roberto                         - Sì, ma non puoi far niente per aiu­tarla... ancora. (Si sentono ora, molto in sordina, le battute conclusive dell'«adagio ». Fuori, a destra, la voce di Shiel chiama non forte ma chiara).

Shiel                              - (fuori a destra) Dottor Ebenthal. Dottor Ebenthal. (Shiel compare sulla piattaforma e può anche scenderne, ma rimarrà sulla destra. Ha l'a­spetto che aveva all'inizio del primo atto. A sini­stra esce dall'ombra il dottor Ebenthal, un vecchio musicista ebreo austriaco, vestito secondo la moda straniera di venti o trent'anni fa. Parla con pro­nunciato accento straniero).

Il dottor Ebenthal         - (sorridendo) Sì, David, sono qui. Ho ascoltato.

Shiel                              - (tornato allievo, nervosamente) Andrà?

Il dottor Ebenthal         - Sì, David... andrà. Non è perfetto. Non sei Mozart. Ma ora... sei un buon musicista. Hai qualcosa da dire nella tua musica e cominci a capire come puoi esprimerla. Sì, sono soddisfatto.

Shiel                              - Evviva! Ma il primo tempo non va an­cora bene, è vero?

Il dottor Ebenthal         - No. Penso che il secondo tema sia enunciato troppo presto, quando il primo non è ancora convenientemente svolto. E credo che quel secondo tema sia troppo esile per soppor­tare il peso dello sviluppo che gli dai... E' troppo tenue.

Shiel                              - (docilmente) Lo so. Dovrei riscrivere il primo tempo. Il secondo è migliore, non vi pare?

Il dottor Ebenthal         - Molto, molto migliore. Non è facile afferrarne il vero colore, eseguito solo col piano. Spero che tu l'abbia orchestrato leggermente, specialmente la parte centrale... quasi tutti legni, eh? Mi è parso di sentire qualche buon passaggio per oboi e clarinetti, vero?

Shiel                              - (compiaciuto) Sì, maestro. Ma l'ultimo tempo è il migliore. Spero che sarete d'accordo. (Fa l'atto di tornare nel ridotto, ma viene fermato dalle parole del dottor Ebenthal).

Il dottor Ebenthal         - (ansiosamente) Ah, David, dovremmo essere di nuovo a Vienna... e quando tu avessi finito, ce ne andremmo allo Schwiegler, nel mio angolo, con la partitura.

Shiel                              - (seccamente) No, professore.

Il dottor Ebenthal         - (sorpreso) Ma, David! Un tempo eri felice di andare alla Schwiegler, e... ado­ravi Vienna. Sei cambiato?

Shiel                              - (dolcemente) Non io. Vienna è cam­biata.

Il dottor Ebenthal         - (in tono di concessione) Beh, un po', suppongo... Tutto cambia.

Shiel                              - (con calma, ma amaramente) No, tanto. Vienna è tutta diversa. Se foste lì adesso, vi farebbero... (Si controlla) No, non potre­ ste capire quanto è cambiata. O quello che fan­ no a Vienna, adesso. Non vi posso dire quello che sento. Forse la musica saprà spiegarcelo. (Ha detto queste ultime parole girandosi, prima di rientrare nel ridotto. Il dottor Ebenthal, con i segni dello stupore sul volto, esce indietreggiando a sinistra. La musica è più forte, ora, e terribilmente triste. Immediatamente prima delle note finali, la sala ha riassunto l'aspetto che aveva all'inizio del tempo. La musica finisce. C'è fra gli ascoltatori lo stesso movimento del primo atto, ma molto più limitato).

 La signora Amesbury   - (a bassa voce, con fermezza) Sì, mi è piaciuto... molto, davvero. (Accende le luci).

Lady Sibilla                  - (freddamente) Un po' lungo, non è vero?

Pietro                            - (ad Anna più che agli altri) Troppo te­nero e romantico.

Anna                             - (sussurrando) Credo mi piaccia essere tenera e romantica.

Lengel                           - (comparendo dal ridotto, ironicamente) Tutti svegli, ancora?

Sir Giacomo                  - (con una certa difficoltà) Oh... sì... non c'è niente che potesse farmi dormire, in questa musica. Ottima esecuzione, anche.

Caterina                        - Grazie, Nick.

La signora Amesbury    - (a Bendrex, mentre com­pare Shiel) Carlo... vi sentite bene?

Bendrex                        - (aprendo lentamente gli occhi) Sì, cara, pensavo. Ricordavo. (Richiude gli occhi ve­dendo che la signora Amesbury lo guarda di nuovo, Caterina mette un dito sulla bocca e scuote la testa).

La signora Amesbury    - Siete tutti a vostro agio?

Sir Giacomo                  - (recisamente) No, io no.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena degli altri atti

 (L'azione continua dall'ultima battuta del se­condo atto).

Lady Sibilla                  - Via, Jimmy, non essere noioso.

La signora Amesbury    - Mi dispiace, Sir Giacomo. Posso?...

Sir Giacomo                  - Non parlavo della poltrona... o della temperatura. Vanno benissimo. Ma non sono a mio agio. (A Lady Sibilla) E nemmeno tu lo sei. (Indicando Chilham) E nemmeno lui.

Lady Sibilla                  - Io sto bene... tranne che, se debbo proprio confessarlo, ho un pochino di sonno.

Shiel                              - (senza prendersela) Colpa mia. Quando un adagio è così lungo riesce un tantino noioso.

Chilham                        - In questo sono d'accordo, Shiel.

Shiel                              - Lo temevo. Bene, dobbiamo cercare di svegliarvi. H prossimo tempo è molto più brillante.

Lengel                           - (con sarcasmo) L'inizio fa quasi credere di essere- al Savoy.

Lady Sibilla                  - Non mi sembra che vi andiamo molto a genio, signor Lengel.

Sir Giacomo                  - Perché dovremmo?

Lengel                           - Oh... sto diventando un vecchio strim-pellatore maligno... non ci fate caso.

Caterina                        - Non siate sciocco, Nick.

La signora Amesbury    - David, siamo pronti.

Shiel                              - (allegramente) Benissimo. Dunque, ec­coci al terzo ed ultimo tempo. Non molto lungo, ma un po' complicato. Allegro; agitato; maestoso nobile. Il che significa che comincia in una bella maniera vivace e allegra, per svegliarvi, poi diventa molto agitato... le preoccupazioni della vita, capite, e quindi si fa tutto maestoso e nobile, per finire.

Anna                             - (d'impulso, sinceramente) Bene!

Sheel                             - Ah, dunque approvate che tutto divenga maestoso e nobile alla fine?

Anna                             - Sì, naturalmente.

Shiel                              - Anch'io. (Shiel e Lengél rientrano nel ridotto. Tutti si sistemano come prima. Bendrex rimane immobile durante tutte le scene seguenti, con gli occhi chiusi. Non appena gli spettatori avranno avuto il tempo di afferrare il carattere della musica, questa comincia ad affievolirsi e si inizia il dialogo).

Shiel                              - (da fuori ma vicino, ad alta voce) Sve­gliatevi!

Lengel                           - (da fuori ma vicino, ad alta voce) Su, svegliatevi!

Shiel                              - (entra animatamente, con grande viva­cità) Su, su, sveglia, sveglia!

Lengel                           - (entra, alla stessa maniera) E' la sve­glia. In piedi e in ordine, soldatini miei, in piedi e in ordine! Sveglia! Sveglia! (Anna, Pietro, Lady Sibilla e Chilham si alzano immediatamente. La si­gnora Amesbury, Caterina e Dirnie si drizzano di scatto sul busto, e poi si alzeranno).

Gli ascoltatori               - (indignati) Non stavamo dor­mendo. Non stavamo dormendo.

Shiel                              - (in tono squillante) Sono anni e anni che dormite. (Avvicina una grossa rivoltella alla testa di Chilham, che trasale ridicolmente).

Lengel                           - (baciando in modo stravagante la mano della signora Amesbury) Mia cara, cara signora, posso persuadervi, come un favore personale, a sve­gliarvi?

La signora Amesbury    - (con sorpresa non scevra di piacere) Sì, certo, potete.

Shiel                              - (a Caterina, gridando) Amor mio, amor mio, svegliati! (La bacia rapidamente ma con pas­sione).

Caterina                        - (con pronto abbandono) Oh, David!

Lengel                           - (duramente, a Dirnie) Ora voi... vedete questo? (Estrae dalla giacca un voluminoso docu­mento arrotolato e legato con un nastrino rosso e lo tiene a braccio teso) Questo vi fa presidente della British Thomson-Houston e della Compagnia Generale dell'Elettricità...

Sir Giacomo                  - (stupefatto ed esultante) Buon Dio!

Lengel                           - (allegramente) Così va meglio. Sve­glia! (Lo percuote prontamente sulla testa con il ro­tolo. Poi si volge a Lady Sibilla) A voi, venite qui.

Lady Sibilla                  - (godendosela) Certamente, caro. (Si abbracciano e baciano con entusiasmo. Shiel sta corteggiando Anna, sorridendo).

Shiel                              - Dormite ancora?

Anna                             - No, no, davvero. (Corre a lui e gli si stringe contro con entusiasmo. Poi lo guarda te­neramente) Penso che sei un tesoro.

Pietro                            - (va a mettersi davanti a Shiel. Con una certa asprezza) Aspettate un momento, Shiel. Non dimenticate che sono un poeta. Non c'è biso­gno che mi diciate di svegliarmi. Io non dormo mai.

Shiel >                          - E non potreste essere più sveglio di così?

Pietro                            - No.

Shiel                              - Voglio vedere. (Estrae la rivoltella e gli spara, freddamente).

Pietro                            - (spaventato, con collera)  Ehi, pazzo che non...

Shiel                              - (interrompendolo imperiosamente) Cal­ma, calma. Siete ancora vivo e sveglio. (A tutti) Siete tutti vivi e svegli. Così va meglio.

Lengel                           - Molto meglio. (Mentre i due rientrano rapidamente nel ridotto le quattro donne formano un gruppetto isolato ed eccitato, sul davanti del palcoscenico, mentre gli uomini formano un gruppo simile più indietro e parlano tra loro in contro­scena).

Anna                             - (con lieta familiarità) Pensavo che mi sarebbe piaciuto essere un giovanotto, ma adesso non vorrei essere che una ragazza. E' meraviglioso essere ragazze.

La signora Amesbury    - Certo, cara.

Caterina                        - Meraviglioso, meraviglioso.

Lady Sibilla                  - Essere ragazze.

Anna                             - Non posso descrivere quello che provo certe mattine... Non sono mattine speciali... eppure tutto è meraviglioso... Come se attraversassi un bosco dopo un lunghissimo inverno e tutti gli al­beri germogliassero e ci fossero margheritine e vio­lette e gli uccelli ricominciassero a cantare... Tutto vivo e vero dentro di me. (Mentre la sua voce si affievolisce, subentra quella di Lady Sibilla).

Lady Sibilla                  - Ma questo è solo il principio. Dopo la primavera viene l'estate e dopo i germogli e i primi pallidi fiori, l'ombra verde e silenziosa dei boschi e nei giardini le grandi rose cremisi. E nelle notti d'estate, trasformate per incanto dal desiderio degli uomini, noi stesse siamo delle grandi rose rosse, e il nostro sangue ha dolcezza e pro­fumo...

Caterina                        - Ma la gioia può penetrare anche più in fondo, giù giù fino alle radici, le strane radici dolci e intricate. Sentire il bimbo che dovrà na­scere muoversi dentro di noi, la pace che segue il dolore, la boccuccia che si schiude alla vita, la gioia improvvisa del peso di un bimbo che s'addor­menta nelle nostre braccia... ;

La signora Amesbury    - Ho conosciuto la prima­vera, l'estate e l'autunno della donna. Ed ora, nel mio inverno, rivivo nei ricordi e sono tranquilla, poiché quello che fu certezza e felicità non può più essere guastato, ma resta certezza e felicità. E se una sera sono stanca di amici, di musica e di li­bri, posso incamminarmi per uno dei corridoi incantati della memoria, e tutto il passato è lì, che aspetta e chiede di rivivere...

Chtlham                        - (molto allegro ed eccitato) Signore, signore! (Si uniscono tutti in un solo gruppo, con grande intimità) Voglio che il mio invito sia rivolto a tutti. Quando ho cenato fuori, niente mi piace quanto tornare nel mio appartamento, infilare una veste da camera, offrirmi un ultimo whisky e soda e poi, riandando con la mente alle esperienze della giornata, alle persone che ho "conosciuto, alle cose piacevoli, ai discorsi fatti, scrivere a mio agio qual­che periodo, quasi sempre nella mia vena migliore. In realtà, quelli sono i miei momenti più felici. E allora, venite tutti con me a vedermi nei miei mo­menti felici.

Sir Giacomo                  - Per me, a qualunque ora. Ma quello che vorrei, e, perdio, lo farò, è... riunirvi tutti sul mio panfilo...

Anna                             - (immediatamente) Mari del Sud!

Lady Sibilla                  - Perché no, Jimmy? Andiamo!... Giamaica, Martinica e Trinidad.

Chilham                        - Bali... Bali non dobbiamo davvero lasciarcela sfuggire.

Pietro                            - Le Cocos e le Galapagos...

Caterina                        - Le Hawai e Samoa e Tahiti...

Anna                             - Dio, che bellezza!

La signora Amesbury    - E la Grande Scogliera di Queensland. Tutta la vita ho desiderato vedere la Grande Scogliera.

Sir Giacomo                  - (con entusiasmo) Benissimo. Non preoccupatevi del costo. La gente non capisce quello che un tipo come me può trarre dalla vita. Non è solo far quattrini. Nella finanza c'è tutto un mondo d'avventura che voi non comprendete. Piani, cam­pagne, strateghi, salvataggi sospesi a un capello, battaglie, ferite, vittorie. Dal lavoro ho tratto dieci volte più piacere che da qualsiasi altra cosa. Una volta preso lo slancio... e devo ammettere che non fu tanto facile né piacevole... Ma una volta cominciato, ne ho goduto ogni minimo istante.

Pietro                            - (con entusiasmo) Non avete mai sca­lato una bella montagna, è vero? Quella è la vita. Partire in tre o quattro amici fidati, nell'incerto grigiore dell'alba... I picchi che si ergono come una schiera di giganti amici e nemici... L'incertezza del sistema d'attacco, il brivido di gioia per ogni pic­cola nuova conquista, le soste in parete, l'aria pura e pungente delle altitudini, l'ultima disperata spinta alla vetta... (S'interrompe per gridare con voce alta) Non so che cosa sia la vita, ma, perdio, è bella!

In parecchi                    - E' bella!

Pietro                            - (con aria di trionfo) Sì, e presto sarà molto meglio. Guardate quanto ha fatto l'uomo nella sua breve esistenza.

Chilham                        - Ha quasi conquistato il mondo.

Sir Giacomo                  - Scienza, meccanica, industria...

Pietro                            - L'uomo ha scoperto il modo di viaggiare come una freccia, sulla terra, sotto la super­ficie del mare, nell'aria.

 Chilham                       - Ha esplorato tutti i continenti, se­gnato sulle carte le profondità dì tutti ì mari, co­struito i suoi laghi e i suoi fiumi.

Sir Giacomo                  - Produce sostanze che mai esistet­tero prima. Crea nuovi tipi nella vita vegetale ed animale.

Pietro                            - Osserva e calcola i movimenti di vaste vie lattee e le minime variazioni di elettricità nell'interno dell'atomo. Presto sarà lui il Dio che co­manderà la natura.

Anna                             - (con entusiasmo) Evviva! E la vita sarà sempre più divertente.

Lady Sibilla                  - Non c'è bisogno di aspettare fino ad allora. Possiamo divertirci adesso.

Sir Giacomo                  - (con. grande entusiasmo) Sapete, mi piacete tutti, davvero. (Ride di cuore).

Caterina                        - E voi piacete a noi.

Chilham                        - Certo. (Ride anche lui. Si avrà ora la sensazione di un gruppo molto intimo di amici in allegria. L'atmosfera è più importante dei di­scorsi. Tutti si lasciano andare).

Pietro                            - Sono uno stupido, ma non faccio sul serio.

Sir Giacomo                  - Non lo credo. (Ride e Pietro ride con lui. Le donne ridono).

La signora Amesbury    - (ridendo) A pensarci bene, è proprio buffo, non è vero?

Lady Sibilla                  - E' tutto divinamente idiota! (Ride).

Chilham                        - Bisogna proprio riderne! (Ride).

Sir Giacomo                  - Un momento siamo tutti qui a rattristarci per niente e poi... (Ride).

Anna                             - (ridendo) Oh... guardate Pietro! (Ride più forte).

La signora Amesbury    - (ridendo) Anna, sei veramente assurda... davvero.

Anna                             - (ridendo) E' che mi vengono in mente tutte le peggiori sciocchezze...

Sir Giacomo                  - (esplodendo) Anche a me. (Sono presi tutti da un convulso di riso in crescendo che li scuote e li fa ansimare in un gruppo compatto. Nell'istante in cui la risata accenna a calmarsi, in ondate di sospiri e singhiozzi, lagrime agli occhi ecc., s'ode un grido terribile da Bendrex che esprime una angoscia di terrore e di spasimo. Il gruppo si scio­glie d'un tratto e tutti guardano Bendrex che si alza lentamente e vacillando, con aspetto spa­ventevole).

Bendrex--------------- - (parlando piuttosto a se stesso che agli altri) Pensavo sempre, dentro di me... che non ci fosse niente di molto vero o importante. Sba­gliavo. Ora capisco. Il dolore è molto vero. La pau­ra è molto importante. Dolore e paura... (Ha un lamento come scosso da una nuova stretta cardia­ca) Paura e dolore. A volte lo sospettavo. Mi sve­gliavo nel mezzo della notte e mi chiedevo se, giunti alla fine, avremmo trovato la paura e il do­lore ad aspettarci. E' così. Ci afferrano quando siamo soli, al buio. E' un buio vuoto, perché nulla è più con noi, non una delle cose per cui ci siamo tanto preoccupati. Le case e le strade, i clubs e i  teatri, i giardini degli amici, le città e le intere regioni se ne vanno via con la corrente; e si ri­mane soli, abbandonati nell'oscurità vuota. E all'improvviso troviamo la paura e il dolore. Hanno bisogno di molto spazio... forse tutto l'universo... (Con voce fioca e lontana) Tutto dilegua... cascate di oscurità... non solo le strade e le case... e la gen­te... ma i volti e le voci degli amici svaniscono... svaniscono... via... (Cade sulla sedia e resta immo­bile fino alla sua prossima battuta. Gli altri, che lo hanno osservato con meraviglia e timore, sono ora terribilmente a disagio e cominciano anche ad essere molto spaventati).

Chilham                        - (nervosamente) Ho paura. L'ho sempre avuta. Capite, quel che può fare un ger­me... la cosa più minuscola che si possa immagi­nare...? Ve lo dirò io. Quel minuscolo germe può distruggere tutto quanto fa la vita meritevole di esser vissuta. Può divorare i vostri abiti e i quadri e i libri e le case, e la vostra professione e i vostri amici. Continua a corrodere, finché non resta più niente. Il più piccolo germe può fare questo.

Pietro                            - (con tono inquieto) In campagna, abi­tavamo presso a una clinica di pazzi. I pazzi usci­vano, trascinandosi in una specie di sgraziata pro­cessione, brontolando e ridacchiando e ciarlando. Pensavo, e lo penso ancora, cosa sarebbe stato se a un tratto fossi piombato nell'oscurità e riacqui­stando i sensi mi fossi trovato a trascinarmi in quel­la processione, ridacchiando e ciarlando come gli altri.

Sir Giacomo                  - La gente ride all'idea del delirium tremens. Non c'è niente da ridere, lasciate che ve lo dica. Avevo un fratello che finì col delirium tremens, e non lo dimenticherò mai! Diceva delle cose... par­lava di grossi granchi che uscivano dal muro per afferrarlo. Facevano uno strano rumore secco e ra­pido, diceva, e perdio, cominciai anch'io a sentirlo. Davvero. C'è qualcosa dentro di noi, forse qualche speciale cellula del cervello... che racchiude degli enormi quantitativi di paura. Fate che una di que­ste cellule... o qualunque cosa siano, entri in funzio­ne e, per Giove, non avete solo paura, siete perduti in una maledetta giungla d'incubo e di terrore.

Anna                             - I gatti. Mi terrorizzano. Non posso vin­cermi. Mi terrorizzano. Una volta andai ad un tè e ce n'erano quattro o cinque... Fui lì lì per svenire e dovetti scappare. Ho sempre temuto di trovarmi un giorno in una stanza piena di gatti senza poterne uscire, e di vedermeli saltare addosso... Oh, è terri­bile!

Caterina                        - Circa due mesi prima che nascesse il mio primo bimbo, vidi una donna nel parco, con un bambino. Povera creatura, aveva un velo sul vol­to. Ma proprio mentre passavo io, il vento sollevò il velo e vidi che aveva... un viso... un viso... Non riu­scivo a dimenticarlo, e passavo una notte dietro l'altra senza poter dormire e pregavo, pregavo che il mio bimbo non fosse così. Ancora adesso, solo a parlarne, ho paura.

 Lady Sibilla                 - E i sogni! Li aborro. Non ho paura delle cose normali. Ho corso i rischi più paz­zeschi senza batter ciglio. Ma i sogni mi annientano. Quei luoghi e quelle stanze strane in cui ci si trova, che cambiano sotto lo sguardo, e quelle figure orri­bili che assomigliano a persone conosciute eppure sono diverse... diavoli... che si avvicinano e ci fissa­no mormorando... E' orribile...

Sir Giacomo                  - (aspramente) Se si continua a sognare dopo morti...

Lady Sibilla                  - (quasi urlando) Finiscila, cretino! Credi che non ci abbia mai pensato?

La signora Amesbury    - (cominciando quietamente) Una volta abitavo in una vecchia casa di campa­gna. Dicevano che fosse stregata, e sebbene nessuno vi avesse mai visto gli spiriti, aveva certamente una atmosfera sgradevole. Come se qualcuno che l'aves­se abitata a lungo, vi fosse stato terribilmente infe­lice. Bene, una notte mi svegliai in un'agonia di terrore. Era come se in uno strano sogno avessi raggiunto un luogo, forse un mondo, dove non esi­stesse altro che terrore... e mi fossi sforzata di usci­re dal sogno, svegliata deliberatamente, solo per scoprire che era vero. Terrore... puro terrore, quasi un'enorme oscurità, un orribile peso, mi oppri­messe...

Bendrex                        - (interrompendo con un grido terribile) Ahi! Ahi! (Lo guardano. Egli si solleva lentamente sulla sedia, come in una grottesca parodia del pre­sidente dì un'assemblea e le sue parole suonano mol­to distinte con un accento di orribile ironia) Il gi­gante che dirige il nostro circo è il Dolore. Vi sarete domandati perché le cose sono in continuo flusso, perché tutti gli esseri viventi non riposano mai, ma si affrettano e corrono e cambiano continuamente forma. Il Dolore schiocca la frusta nella pista. Die­tro la scena è il dolore. E in attesa, a tutte le porte d'uscita, è il dolore. Non c'è via di scampo; non c'è altro; e tutte le strade conducono alla stessa meta. (Conclude ironicamente, salutando col capo) Signore e signori, vi auguro buon viaggio. (Si rilascia sulla sedia, chiude gli occhi e resta immobile).

Sir Giacomo                  - (dopo una pausa) Credo di averlo saputo da sempre. Sì, da sempre. Ecco perché dice­vo: «Su, passiamo una notte in allegria! Coraggio! Sedete al mio tavolo. Portate dello champagne. Dite all'orchestra di metterci vita. Allegria! ». (Con scherno tagliente) Allegria un corno! Credete che avrei speso i miei soldi per una masnada d'idioti, se non avessi voluto annegare qualcosa dentro dì me... (Si controlla, ricordando) Annegare! E' questo. (Li guarda, come il condannato guarda il confessore. In tono basso, disperato) Sentite, io sono colpevole, ca­pite? Colpevole, ecco quello che sono. Anni fa ottenni un posto tradendo un compagno. Così ebbi la prima spinta, ma lui fu rovinato. Si annegò. Sì, si annegò... ma... (con terribile intensità) Cristo!... Io non riesco ad annegare il suo ricordo. Sono colpevole, vedete? Colpevole.

Chilham                        - (in tono spaventato) Non siete il solo. Mia madre lavorava per vivere... ma mise da parte del danaro ed io le dissi che gliel'avrei investito... Dovevo raggiungere Londra... non osavo chiederglie­lo e me lo presi. Naturalmente gliel'avrei restituito, ma morì... morì all'improvviso... prima che potessi renderglielo. Ed ora la sento sempre lì ad osservarmi. E non crede una parola di quello che le dico.

Lady Sibilla                  - (nello stesso tono) Dopo la morte di mia sorella, non m'importava di niente o credevo che non m'importasse... Ma fui quasi sorpresa con un uomo in camera da letto, a casa... e la mia came­riera mi cavò d'impaccio, prendendosi lei la colpa. Fu scacciata, ed io le promisi di aiutarla. Ma non Io feci. Mi scrisse e cercò di vedermi. La sfuggii. Ho sempre sfuggito tutto, ma questo fu il mio peccato più grave. So di essere una sgualdrina.

Anna                             - (con tono interrogativo) Cos'è che cade come un gran peso di piombo e infrange tutta la nostra felicità?

Pietro                            - Perché provo ora la sensazione di avere anch'io tradito il mio amico e che lui si sia anne­gato?

Caterina                        - Perché la cameriera scacciata e mai aiutata, comincia a perseguitare anche me?

Sir Giacomo                  - Io non presi quel danaro a mia madre, gliene detti sempre tanto... eppure mi sento colpevole anche di questo. Colpevole, colpevole, col­pevole.

La signora Amesbury    - Siamo tutti creature col­pevoli, ma possiamo invocare perdono.

Anna                             - Sì, possiamo invocare perdono.

Caterina                        - Possiamo invocare perdono.

Lady Sibilla                  - (disperata) Oh, no, non possiamo. Non c'è nessuno a perdonare. (Singhiozza quetamente).

Sir Giacomo                  - (aspramente) Non possiamo im­plorare il perdono da un trono vuoto. Il paradiso è da affittare, ma sembra che abbiamo un contratto d'affitto, con l'inferno, a scadenza assai più lon­tana.

Chilham                        - (con disperazione) E' vero. C'è un in­ferno e noi ci siamo dentro. (Mentre sembrano spro­fondare nella disperazione, la musica suona un paio di accordi trionfali quindi compare Shiel con un aspetto impersonale, strano, maestoso).

Sir Giacomo                  - (con asprezza) Io sono Giacomo Dirnie, Shiel, e vi dico che noi siamo tutti colpevoli e siamo all'inferno.

Shiel                              - (con voce calma e distaccata) Può darsi che Giacomo Dirnie sia all'inferno, ma che cos'è Giacomo Dirnie? Niente. E che cosa è David Shiel? Niente. Porse qualcosa, in questo mondo di apparen­ze, ma solo un sistema nervoso difettoso fra miliar­di, un nome, una o due date, pochi indirizzi, qualche nota su un registro, un fascio di abitudini male assortite, un pacco di ipocrisie in decomposizione. Nel vero e più alto mondo, David Shiel è una mera apparenza, una parte, una maschera, un'ombra. Perciò vi dico: andate in fondo, sempre più in fondo. Dimenticate per poi ricordare. Sprofondate per sco­prire quello che siete. (Leva una mano e mentre tutti si riuniscono in un gruppo serrato, la musica annuncia un maestoso tema finale. Le luci cambia­no, talché la sala sembra svanire. Al suo posto si vede un ampio cielo. Sul davanti due colonne che potrebbero appartenere a un tempio di data imme­morabile. L'effetto complessivo dovrà far pensare ad una proiezione dell'umanità fuori del tempo. Da un lato sono raggruppati i morti, in modo da far pensare che ve ne siano cifre innumerevoli e che si vedano soltanto le prime persone di un immensa folla).

Parks                             - Noi siamo quelli che voi chiamate ì morti. (Cominciano ad allontanarsi).

La signora Amesbury    - (con ansia) Roberto, figlio mio... viscere mie...

Roberto                         - (lontano) Tuo figlio, ancora... ma qual­cosa dì più.

Chilham                        - (in tono di appello) Tu m'apparisti e mi parlasti, madre...

La signora Chilham       - (lontana) Sì, figlio, ma già un'altra da quella che vedesti.

Sir Giacomo                  - (coti agitazione) Ebbi un amico-poi morì annegato.

Tom                               - (freddo, lontano) L'anima mia si perse come in sogno.

Shiel                              - (ad alta voce) Maestro, come giunge fino a noi. Questa musica che ci sembra di creare?

Il dottor Ebenthal         - (ultimo dei morti) Lo spi­rito agita il lago nel profondo: - noi siamo come fon­tane sonore. (I morti sono svaniti. E i vivi formano un gruppo compatto, quasi fossero una sola crea­tura).

Anna                             - (in tono di meraviglia) Sono scesa giù, bene in fondo, e sono viva e sveglia, ma non so chi sono. Pure, sembra che non abbia importanza, perché sono viva e sveglia e non ho sofferenze.

Pietro                            - Sto ricordando... Rannicchiarsi nella caverna e vedere il gran cervo fra le rientranze e le sporgenze della roccia e poi dipingere sulle pareti della caverna...

Caterina                        - Fu arduo in principio scendere dalle colline brulle nelle folte foreste, con i bimbi paurosi delle ombre... ma poi andò meglio...

Lady Sibilla                  - Quando gli uomini dal volto bru­no, venuti in cerca del metallo, tornarono alle loro navi, noi li seguimmo. Più tardi, quando la calma scese sul mare azzurro, noi sedemmo e pettinammo i nostri capelli biondi che gli uomini bruni ama­vano...

La signora Amesbury    - Attraverso il deserto vennero i soldati, coi loro grandi elmi risplendenti e sugli scudi i volti degli dèi, ed arsero le nostre città...

Pietro                            - (in tono estatico) Ricordo dal tempo che il mondo si raggelò e venne il ghiaccio...

Caterina                        - (in tono estatico) Ricordo dal tempo del grande diluvio...

La signora Amesbury    - (c. s.) Ricordo dal tempo che si cuocevano i mattoni e modellavano le terra­glie.

Chilham                        - (c. s.) Ricordo dal tempo dei primi «anali...

Sir Giacomo                  - (c. s.) Ricordo dal tempo della prima fucina...

Anna                             - (c. s.) Ricordare e ricordare, non di un tempo o un luogo...

Lady Sibilla                  - (c. s.) Ma di tutti i tempi e tutti iluoghi, da quando vi furono uomini e donne...

Caterina                        - (c. s.) Andare sempre avanti, avanti, diventar da giovani vecchi, trovare e perdere l'a­more...

Sir Giacomo                  - E la colpa di uno è la colpa di tutti, né uno può soffrire senza che tutti gli altri soffrano...

La signora Amesbury    - Dolore ed espiazione e perdono, sono essi stessi un ricordare profondo...

Pietro                            - (con grande gioia) Ed ora non può più esserci un io e un voi, o alcuna entità separata, non -siamo più murati dentro di noi, siamo liberi, liberi! (La musica suona qualche accordo maestoso e dal ridotto entra uno splendore di luce).

Shiel                              - (sulla soglia del ridotto, molto espressiva­mente) Salve, o gran cuore e mente!

Le quattro donne          - (insieme o alternativamente) Ora possiamo salutare - Il cuore che batte attra­verso i nostri cuori - Il gran cuore della terra - Che altro non è che amore.

Tre uomini                     - (insieme o alternativamente) Ora possiamo salutare quella mente una, che è nostra, eppure della nostra infinitamente più alta, che non troverà riposo fin quando il mondo intero non co­noscerà se stesso.

Tutti                              - (con un gran grido) Salve!

Una voce                       - (quietamente e lentamente) Molto dimenticando, ricordando ancor più, noi troviamo -Il grande cuore, la mente sempre perseverante -Tutto amore, tutta saggezza. Che nulla dunque spezzi - Questo vincolo, questa visione che ci lega. Uniti sempre!

Tutti                              - (fortemente ritmato) Uniti sempre. Uni­ti sempre. Sempre e sempre. Sempre e sempre.

(Queste parole vengono pronunciate sugli ultimi accordi della musica. Ora tutti sono di nuovo al loro posto, mentre le voci si affievoliscono e la musica cresce di intensità. La stanza ha ripreso il suo aspet­to normale e i personaggi il loro atteggiamento dì ascolto. Bendrex, di cui gli spettatori non possono vedere il volto, si mantiene perfettamente immobile. Al termine della musica tutti si muovono con il so­lito vago mormorio d'approvazione).

La signora Amesbury    - (dopo aver dato un'occhiata a Bendrex a bassa voce) Un momento solo, vi prego. So che tutti desideriamo parlare di quest'ope­ra veramente alta, ma vedo che il povero Bendrex si è addormentato e penso che sia meglio non sve­gliarlo. Ha bisogno di riposarsi quanto più può. Perciò vi prego di far piano, fino a quando saremo nell'altra stanza dove troveremo sandwiches e qualcosa da bere. (Mormorio d'approvazione. La signora Amesbury chiama a bassa voce nel ridotto) Grazie, David. E anche a voi, signor Lengel. Vi diremo tutti le nostre impressioni nell'altra stanza. Non vogliamo svegliare il signor Bendrex. (Si gira e vede Chilham che sta osservando curiosamente il punto della sce­na da cui entravano i morti) No, signor Chilham, lì non c'è niente. Da questa parte. (Chilham si volta e la signora Amesbury gli indica l'uscita).

Chilham                        - (stranamente confuso) Sì... certo... dimenticavo. (Dà un'altra occhiata meravigliata alla parete).

La signora Amesbury    - (fissandolo gravemente) Che c'è signor Chilham?

Chilham                        - (ricambiandola con uno sguardo confu­so) Oh... niente... davvero. Scusatemi... dev'essere stata la musica.

La signora Amesbury    - Spero vi sia piaciuta.

Chilham                        - (imbarazzato) Oh... sì... magnifica! Ma temo di aver preso la cattiva abitudine... di pen­sare a tante cose diverse... invece di ascoltare bene... capite.

La signora Amesbury    - Sì, capita anche a me.

Chilham                        - (in un improvviso slancio di confidenza) Io vengo da un paese che si chiama Dunley, sa­pete, signora Amesbury. Semplici lavoratori. Mia madre... (Sì controlla d'un tratto uscendo in una breve risaia) Ma non so perché dovrei annoiarvi con queste storie.

La signora Amesbury    - Non mi annoiate affatto, signor Chilham. Dicevate, vostra madre...?

Chilham                        - (piuttosto a disagio) Mia madre? Oh... ho dimenticato... qualche sciocchezza... (Sì volge a Caterina che si è avviata verso la porta con loro) M'è parso un lavoro molto interessante, signora Shiel.

Caterina                        - Non l'avete trovato insipido? Era questo che temevo.

Chilham                        - No, affatto. L'adagio è un tantino lungo, forse... ma il resto è musica di prim'ordine.

La signora Amesbury    - Sono sicura che è pia­ciuto enormemente a tutti, Caterina cara. Dovreste esserne molto orgogliosa. Venite. (Apre la strada, uscendo seguita da Caterina. Si sente ora il dialogo di Pietro e di Anna, mentre si avviano lentamente).

Anna                             - Ti dispiace se non ci tratteniamo ancora a lungo, Pietro?

Pietro                            - No. Un bicchierino e due parole a Shiel e ho finito, se ti fa piacere.

Anna                             - (esitante, con grazia sincera) Sì. E... Pie­tro... ti seccherebbe proprio tanto... se invece di la­sciarmi al portone, entrassi a parlare un po' con me?

Pietro                            - No, Anna, volentieri. Ma di che cosa vuoi che parli?

Anna                             - Di quello che vuoi, purché sia veramente serio.

Pietro                            - Oh, se sei in questa vena, è probabile che ti farò scoppiare la testa a furia di chiacchiere.

Anna                             - La mia testa vuole scoppiare di chiac­chiere. Ma vorrei dire due o tre cose anch'io.

Pietro                            - (divertito) Quali?

Anna                             - Non so... ancora... Ma quando ascolto la musica così, mi vengono a volte le idee più strane... (Escono. Dirnìe e Lady Sibilla che fino adesso hanno parlato sottovoce, si avviano. Lady Sibilla ha osservato Pietro ed Anna, osservata a sua volta da Dirnie).

Sir Giacomo                  - Non dovresti guardare quei due ragazzi con tanta amarezza. Non possono fare a meno di essere giovani.

Lary Sibilla                   - Non pensavo a loro. Stavo chie­dendomi perché hai deciso all'improvviso di partire per il settentrione, domani.

Sir Giacomo                  - (con un certo imbarazzo) Non so... Ho pensato improvvisamente che mi piacerebbe dare un'occhiata in giro. E' parecchio che non vado da quelle parti. C'era un tale che conoscevo, anni fa... (Si controlla immediatamente).

Lady Sibilla                  - (guardandolo curiosamente) Bene?

Sir Giacomo                  - Niente. Avevo finito. E' meglio che andiamo di là, non credi?

Lady Sibilla                  - Un minuto solo. Di là non possia­mo parlare.

Sir Giacomo                  - Possiamo parlare quanto voglia­mo, dopo.

Lady Sibilla                  - No, vedi, stavo per dire proprio questo. Non ci sarà nessun « dopo ». Me la filerò molto presto, e voglio andare a casa... sola.

Sir Giacomo                  - (con calma) Capisco.

Lady Sibilla                  - Non sono in collera o niente di simile, caro.

Sir Giacomo                  - Non pensavo che lo fossi.

Lady Sibilla                  - Sono soltanto... sì, mi sento così.

Sir Giacomo                  - Ed ecco perché sarebbe meglio che non andassi a casa... sola.

Lady Sibilla                  - Che vuoi dire?

Sir Giacomo                  - Perché non sei in collera. Sei in­felice. E' vero? Lo so.

Lady Sibilla                  - Va bene, Jimmy, lo ammetto. Mi ha preso così all'improvviso, subito dopo la fine della musica... Non c'entra niente con la musica. In fin dei conti non m'ha interessato molto..: ma a un tratto mi sono sentita maledettamente infelice. (Shiel e Lengel escono dal ridotto).

Sir Giacomo                  - (in tono convinto) Quello che ci vuole per tutti e due è qualcosa da bere. (Vede Shiel e Lengel) Grazie. Ho goduto la vostra musica.

Lady Sibilla                  - (sorridendo ai musicisti mentre si avvia) Divina. (Escono. Shiel e Lengel con aria piuttosto stanca fanno qualche passo verso la ri­balta).

Lengel                           - Lo proveremo ancora, un pomeriggio della prossima settimana. Ho bisogno di impratichir­mene molto di più, David.

Shiel                              - Vorrei che segnassi quei passaggi che dici così difficili da eseguire.

 Lengel                          - Lo farò. E ti mostrerò dov'è che devi far riposare di più il solista, nel terzo tempo. Ma quello che voglio adesso, è un whisky e soda molto abbondante.

Shiel                              - Anch'io. (Dà un'occhiata all'immobile Bendrex e lo indica) Non è molto gentile con noi, anche se è vecchio, ti pare?

Lengel                           - (avvicinandosi a Bendrex) No, capirei che si fosse appisolato per pochi minuti, ma... (Dopo averlo guardato) Ehi! (Shiel comprende il signifi­cato della brusca occhiata dì Lengel e gli si avvi­cina osservando Bendrex).

Shiel                              - Non è addormentato, Nick. (Uno dei due potrà ora girare la sedia di Bendrex in modo che questi sia pienamente visibile agli spettatori).

Lengel                           - E' morto.

Shiel                              - (portando Lengel verso la ribalta, con pre­mura) Un medico è inutile, ormai, ma bisognerà che uno ne venga. Vai direttamente nell'ingresso e chiamalo per telefono. Io prenderò da parte la si­gnora Amesbury e le dirò quello che è successo. E' inutile spaventare tutti.

Lengel                           - (mentre si avviano) Va bene. Povero vecchio Bendrex. (Quando sono usciti, c'è un lieve mutamento di luci. Da lontano, come uria parvenza di suono, si sente la musica del secondo atto. Dopo qualche istante, entra Parks, dall'ingresso dei morti, portando in mano la paglietta. Sì guarda un po' in­torno. poi si avvicina a Bendrex):

Parks                             - Signor Bendrex! Signore! Signor Ben­drex! (La luce ricorda vagamente quella luminosa e solare dell'altra scena fra i due. Poiché Bendrex non si sveglia, Parks lo tocca leggermente sulla spalla. Bendrex apre lentamente gli occhi. Parks in­dietreggia rispettosamente di qualche passo. Ben­drex corruga un momento la fronte, poi riconosce Parks).

Bendrex                        - (lentamente, ancora vecchio) Che c'è? Ah... Parks... Debbo essermi appisolato.

Parks                             - Sì, signore. Mi sono preso la libertà di svegliarvi, signore, perché è quasi ora di pranzo.

Bendrex                        - (alzandosi lentamente) Grazie, Parks. (Si porta una mano alla fronte) Ho un po' di mal di testa.

Parks                             - E' il sole, signore. Ho pensato che avreb­be potuto farvi comodo. (Gli porge la paglietta).

Bendrex                        - (in tono di meraviglia) Grazie, Parks.

Parks                             - Questa è la via più breve, signore. (Gli indica la porta da cui è entrato e si avvia verso di essa. Bendrex si mette in testa la paglietta e si tra­sforma di colpo in un sorridente uomo di mezza età. Esce a passo rapido, mentre cala il sipario).

FINE