Conflitti

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CONFLITTI

CONFLITTI

Il Savio non ha parlato

Dramma in tre atti e due quadri

di PAUL VINCENT CARROLL

Versione italiana di Enrico Raggio

“Poiché i saggi non han parlato,

parlo io che son solo un folle;

un folle che è vissuto nella sua follia,

e mai seppe essere prudente….”

Da: Il folle di Padraie Pearce

PERSONAGGI

PIETRO MAC ELROY, agricoltore, sui trent’anni

FRANCESCO, suo fratello, più giovane

UNA, la più giovane sua sorella

CATERINA, l'altra sua sorella, di circa trent’anni

ANDY REDFERN, un vicino, oste e mercante

SILVESTRO TIFFNEY, prete di media età, sospeso

PADDY ARDEE, con­tadino

SEAMUS MULLIGAN, venditore all'in­canto, di oltre quarant’anni

Il dottor RAFFERTY, medico locale

MARTINO LANGLEY, giovane maestro di scuola

L'azione si svolge nella cucina della casa colonica dei Mac FIroy nei sob­borghi di Onndalk, presso il confine delle Sei Province. Tempo presente

ATTO PRIMO

Una grande, vecchia cucina di casa colonica nella parte settentrionale del Louth.

La maggiore attrattiva dell'ambiente è la veduta dalla grande finestra, quasi al centro della parete di fondo, delle montagne di Carlingford, dai riflessi blu e viola. In parte sono ricoperte di fitti abeti rossi e pini, mentre grandi distese sono nude e desolate. Una fila di vecchi cari « salley » vien diritta verso la finestra; le loro foglie, simili a quelle del tiglio, danno ombra alla stanza. Una panca ricoperta di cuscini occupa lo spazio al di sotto della finestra, i cui vetri son divisi in piccoli riquadri. La porta prin­cipale si apre alla sinistra della finestra; a sinistra, in fondo, è una scala che mette in comunicazione con le camere superiori, ma di essa si vedono solo gli ultimi scalini essendo nascosta da un muro divi­sorio sporgente. In centro, a sinistra, una credenza, con utensili. Nella parete di destra un camino e, al di là di esso, una porta comunicante con la stanza da pranzo e salottino. Presso il camino una vecchia sedia a braccioli, consumata dall'uso; al centro un tavolo ed altre sedie. Sulle pareti si vedono in­grandimenti fotografici di un vecchio, di una vec­chia donna e di un giovane. E' la casa dei Mac Elroy.

 (Una, sta preparando la colazione per Francesco. Si compone di tè, un uovo da bere e pane tostato. E' un'esile, gentile ragazza di poco più di vent'anni, ma un'ombra di amarezza si nota sul suo volto. Sono quasi le undici di un mattino d'autunno).

Francesco                      - (fuori di scena, al piano superiore, co­mincia a chiamare, mentre si leva la tela) Una. Sei là, Una?

Una                               - (con un gesto d'irritazione) Ehi, cosa c'è, Francesco?

Francesco                      - Mi fa male la gamba. Ti sei dimen­ticata di me? Non debbo far colazione affatto?

Una                               - Oh, sei una gran noia! E' quasi pronta. Debbo solo andare a prendere un po' di latte nella stalla. E sono le undici e tu sei ancora a letto. (Prende la brocca e corre fuori).

Francesco                      - E' come essere in una tomba... (Lo si sente saltare dal. letto e, poco dopo, appare in pantaloni e camicia e a piedi nudi. Egli scende le scale zoppicando avendo un'anca fratturata) Pren­derò io stesso la colazione e così non darò fastidio a nessuno. Sarebbe stato molto meglio per me se i nazionalisti mi avessero spacciato là, a Madrid, mentre li inchiodavamo sulle barricate. Avrei saputo morire, e sarebbe stato preferibile a questa mise­rabile vita. (Prende il vassoio) Uova e tè. Uova e tè... Avrei certo una sincope se una bella mattina mi capitasse di trovare della pancetta e del caffè. Ma nulla cambia qui, neanche i discorsi, neanche le prediche... (Una rientra).

Una                               - (vedendolo) Oh, sei disceso? Ero andata a prendere il latte per il tuo tè.

Francesco                      - Già, sono disceso. Volevo disturbarti il meno possibile.

Una                               - Se non ti fossi atteggiato a martire, te l'avrei portata su io.

Francesco                      - E' giusto; disprezzami, sorelli­na mia!

Una                               - Non si direbbe proprio che tu sia mio fra­tello.

Francesco ------------- - Ha mandato Ryan la mia « Ban­diera Rossa » ?

Una                               - E' là sulla panca presso la finestra.

Francesco                      - Dammela.

Una                               - Non la tocco, io!

Francesco                      - La prenderò da me. (Zoppica verso la panca portando il vassoio, su cui pone il giornale; indi va verso la scala).

Una                               - Si fa peccato a leggere quel foglio. L'ha detto il canonico.

Francesco                      - (mentre sale le scale) Al diavolo il canonico. (Un colpo alla porta. Una attraversa e ritorna con due lettere che mette sul tavolo. Entra Pietro portando un collare da cavallo. Egli è un uomo affaticato sulla trentina, combattente di una battaglia senza speranza contro un marcio sistema economico).

Pietro                            - Dammi un po' di filo incerato e un pun­teruolo, Una; debbo dare un punto a questo col­lare. (Siede deponendo il collare sulle ginocchia).

Una                               - Eccoli, Pietro. (Prende gli oggetti dal piano della cappa e glieli porge) C'è una lettera per te; ha l'intestazione della Banca. L'altra lettera è per il signor Tiffney. Viene dall'America ed è di suo fratello.

Pietro                            - (aprendo la lettera) Altri guai. (Legge la lettera e la mette sul tavolo).

Una                               - Cattive notizie, Pietro?

Pietro                            - Abbastanza. E' la Eastern Bank che ci minaccia di far intervenire lo sceriffo per prender possesso del podere.

Una                               - Di quanto siamo in debito, Pietro?

Pietro                            - Di oltre trecento sterline. E' un ma­ledetto debito fatto fin da quando era in vita il babbo.

Una                               - Puoi fare qualche cosa?

Pietro                            - Cosa potrei fare? La terra non rende più; non abbiamo sementi, né macchine per pian­tarle, e neppure uomini. Gli uomini, uno dopo l'altro abbandonano il paese e se ne vanno in Inghilterra...

Una                               - E' questa, allora, la ragione per cui se ne sono andati i due uomini la settimana scorsa?

Pietro                            - Naturalmente. Ora è rimasto soltanto Paddy Ardee, ma anche lui se ne andrà la setti­mana prossima.

Una                               - Alle volte si direbbe che una maledizione pesi su tutti noi. E che dire di Caterina? Tu la vedi: un minuto prima normalissima, uno dopo è come matta.

Pietro                            - Abbi pazienza con lei, Una.

Una                               - Sempre ne ho, anche quando la farebbe perdere a un santo. Alle volte, quando guardo il ri­tratto della mamma, là sulla parete, e quello di Giacomo al fianco... Pietro, ma di che male morì la mamma in quel posto lassù tra le colline?

Pietro                            - Morì calma e serena. Non ti basta?

Una                               - Fu nello stesso posto dove... morì Giacomo?

Pietro                            - (assorto) Sì... Tu eri una bimba, allora... Non potevi capire. Che riposino in pace. Giacomo fece come la mamma; aveva un carattere chiuso ed era di poche parole. Un giorno gli prese male all'improvviso e lo portarono via... Desidererei che tu non parlassi più di questo, Una.

Una                               - Era lo stesso male di Caterina?

 Pietro                           - Caterina è stata sana e piena dì vita fino al giorno in cui Eddie Divine se la svignò in Inghilterra. Fu allora che si ridusse così. Il bimbo morto le nacque laggiù tra i campi e la sua povera mente non resse. Sii buona con lei, Una.

Una                               - Sì, Pietro.

Pietro                            - E non pensare più a quelle cose. La­sciale andare.

Una                               - Non ne parlerò più.

Pietro                            - E, se hai un po' di giudizio, cerca di andar via da qui, di allontanarti da questa tana maledetta prima che sia troppo tardi, prima che essa veda spezzata anche te.

Una                               - Come sei amaro, Pietro!

Pietro                            - Anche tu diventerai amara se passerai qui ì tuoi anni migliori.

Una                               - Ma che farai tu, Pietro?

Pietro                            - Farò ciò che tutti noi siamo costretti a fare: prendere la vecchia cieca via dell'Inghilterra e andare all'inferno. Una volta, qui, da ogni caso­lare si levava il suono dei violini. Ora che abbiamo la nostra libertà, il distretto di polizia proibisce que­sto, il prete proibisce quello, il governo quell'altro ancora e così, fra tutti, danno l'opportunità a teste esaltate come Francesco, di fare i diavoli e mandare a rotoli ogni cosa. (Attraversando) Bisogna che la semina dell'orzo sia ultimata prima di sera. Padre Tiffney mi sta dando una mano con Paddy Ardee. Quando verrà qui per prendere una tazza di tè, dagli quella lettera.

Una                               - Egli dice che non dobbiamo chiamarlo padre.

Pietro                            - Ah, giusto, e perché? Non è sempre un prete?

Una                               - Sai bene, Pietro, che egli è stato sospeso.

Pietro                            - Sicuro. Egli aveva grandi progetti per il bene del popolo, perché gli uomini potessero sollevarsi dallo squallore della loro vita. Egli ci fece mettere insieme tutti i nostri scellini per com­prare una grande tenuta, che si vendeva all'asta e che avremmo dovuto lavorare in cooperativa. Ma ai vescovi ciò non garbò e l'idea fu da essi definita «comunista». Ed egli li sfidò, pover'uomo. Allora la proprietà fu venduta ad un Ordine di monaci profughi dalla Spagna.

Una                               - E così la battaglia fu perduta?

Pietro                            - Già... Egli sedeva nella sala con la testa bassa. D'un tratto si alzò e fece un violento discorso. Seguirono lettere al giornale, e allora...

Una                               - Essi... essi... non dire.

Pietro                            - Ma sì... fu sospeso. E fu più di quanto egli potesse sopportare.

XJNA                              - Un colpo tremendo come quello... gli si legge ancora nel volto... Andrò fuori a portargli qualcosa da mangiare.

Pietro                            - Bene, e portagli la sua lettera. Ci sa­ranno un po' di dollari mandatigli dal fratello che sta in America. (Una esce. Pietro termina di ripa­rare il collare e lo mette sulla spalla. Sta per usci-re quando entra Andy Redfern. Egli è un massic­cio uomo, evidentemente soddisfatto di sé, oste, agricoltore e guani'altro mai).

Redfern                         - Buongiorno, Pietro.

Pietro                            - Buongiorno, signor Redfern.

Redfern                         - Sono venuto a dire due parole a Francesco. C'è?

Pietro                            - Non sì è ancora alzato.

Redfern                         - Digli, quando si alza, che desidero vederlo. Ho un lavoretto per lui. Da farci un paio di sterline. Guadagno facile.

Pietro                            - Comincio a pensarla a mio modo circa questi lavoretti, signor Redfern.

Redfern                         - Via, Pietro, non preoccuparti tanto. Egli non fa niente che sia proibito da Dio o dalla Chiesa.

Pietro                            - Se Francesco fa del contrabbando...

Redfern                         - Pietro, il contrabbando non ha nien­te a che fare con la morale corrente. L'ho sentito dire dallo stesso canonico.

Pietro                            - Come la pensano al riguardo il ser­gente e le due guardie?

Redfern                         - Il sergente e le due guardie deside­rano quadruplicata la loro paga alla fine della set­timana. Essi sono uomini, Pietro, come noi. (Red­fern attraversa per uscire, ma presso la porta si volta) Non chiedermi come l'ho saputo, ma ho sentito dire che hai delle noie con la Eastern Bank.

Pietro                            - E' stato Mulligan, il venditore all'in­canto, che ve l'ha detto?

Redfern                         - Ti prego di non fare delle insinua­zioni su Mulligan. Quell'uomo è mio amico e si è limitato a dire che vicino a me potrebbe presto esser venduto all'incanto un fondo.

Pietro                            - E poi vi strizzò l'occhio, immagino.

Redfern                         - Non potevo vederlo, Pietro. Non a-vevo gli occhiali.

Pietro                            - Siete in vena di scherzare, Andy?

Redfern                         - Se tu, Pietro, fossi un grande com­merciante come me, sapresti che le piccole face­zie sono i cuscinetti a sfere degli affari.

Pietro                            - Comunque, dove volete arrivare?

Redfern                         - Tu non puoi volere una vendita all'asta, Pietro, con ufficiali giudiziari e sentenze e banditori e funzionari della banca e simili disgra­zie che offenderebbero la memoria dei tuoi genitori. La tua fu sempre una famiglia a posto. (Pausa) Io sono un uomo di cuore, Pietro. Il mio consiglio è una pacifica vendita privata.

Pietro                            - A chi?

Redfern                         - Chi meglio di me potrebbe? La mia terra confina con la vostra. Io vorrei diventare proprietario di tutta la zona fino alla ferrovia da un lato e fino al fiume dall'altro. Non voglio ap­profittare. Sono disposto a pagare quattrocento e cinquanta sterline, a pronti cantanti. La somma ti permetterà di pagare il debito e di distribuire circa quaranta sterline a testa, a te, a Francesco ed alle due ragazze.

Pietro                            - Ma il mio terreno vale molto di più.

Redfern                         - Non nelle condizioni in cui si trova, Pietro. Occorrono molti fossi di scolo e riparazioni e scorte. Quattrocento e cinquanta sterline è una buona offerta. All'asta un tale prezzo non sarà mai raggiunto; il venditore si fermerà appena avrà superato la cifra di trecento sterline dovuta alla banca.

Pietro                            - Come siete venuto a sapere quanto noi si deve alla banca?

Redfern                         - Eh, mio caro, sapere queste cose fa parte del lavoro giornaliero dell'uomo d'affari. Ca­pito?

Pietro                            - Così, se accettassi dovrei affrontare il mondo con quaranta sterline.

Redfern                         - Io l'affrontai con molto meno, ma avevo iniziativa, astuzia ed ero pronto nelle deci­sioni. A dirla con gli americani, conoscevo le mie cipolle.

Pietro                            - Molto meglio del vostro catechismo, signor Redfern.

Redfern                         - (ridendo) Chi scherza ora, Pietro? (Battendogli una mano sulla spalla) Voglio dirti cosa farò per te dopo la vendita. Ti darò lavoro nei fondi riuniti e tu potrai occupare quella caset­ta per ì contadini prossima alla mia abitazione sulla strada di sopra.

Pietro                            - E la paga?

Redfern                         - Ti darò di più che agli altri quattro. Ti darò trenta scellini alla settimana ed inoltre da mangiare, nella nostra cucina, insieme all'altro personale.

Pietro                            - Può in tali condizioni un uomo spo­sarsi e vivere decentemente?

Redfern                         - Per Dio, Pietro, da noi, un uomo deve farsi strada prima di avere il diritto di spo­sarsi. (Una pausa).

Pietro                            - (lentamente) Probabilmente sarete a conoscenza, Redfern, che a questo mondo c'è una sola ragazza che vorrei sposare.

Redfern                         - Non lo so, Pietro; né m'interessa.

Pietro                            - Scusate. Credevo che ve ne foste ac­corto.

Redfern                         - Io mi accorgo soltanto dì quelle cose che m'interessano. Io, come suol dirsi, ho l'occhio alla palla e non alla luna. E la luna è troppo lon­tana, se tu sai quel che voglio dire.

Pietro                            - Mio padre, Dio gli dia pace, e voi ci scherzavate sopra a queste cose nei giorni lontani quando noi eravamo bambini.

Redfern                         - Noi chi?

Pietro                            - Io e... Nora.

Redfern                         - Te e Nora. Non ricordo. Tante cose si dicono dopo un bicchiere di Jameson che solo uno stolto potrebbe prendere sul serio. Ella è... promessa, Pietro. (Si volge verso la porta).

Pietro                            - Un minuto, signor Redfern. A chi è fidanzata?

Redfern                         - Si tratta di uno che non conosci. Un uomo del paese di Ardee.

Pietro                            - Non è vero, signor Redfern.

Redfern                         - Può essere come tu dici... non si sa mai. Ma tu ed io conosciamo delle cose, delle cose che nessuno di noi due può mandar giù facil­mente.

Pietro                            - (guardandolo aspramente) Alludete a... mia madre?

Redfern                         - Tua madre, Pietro, Dio le dia pace, morì... come morì. Lasciamo andare. E in quanto a tuo fratello Giacomo... fui io stesso con l'aiuto di Paddy Ardee, ad immobilizzarlo con delle funi là nei campi, quando...

Pietro                            - (coprendosi il viso con le mani) No­no...

Redfern                         - Non volevo, Pietro. Ma sappi che non intendo correr rischi con i figli di Nora.

Pietro                            - Sarebbero bimbi sanissimi. (Eretto, possente) Ma guardatemi. Non sono forte, energi­co, sano, pieno di vita?

Redfern                         - Giacomo era anche più alto e dritto di te... una bella figura d'uomo... (Pausa) Manten­go l'offerta per il fondo ed anche l'altra per il lavoro. Pensaci. Ma di Nora non si deve più par­lare. Ella non sa niente. Io sono un uomo di cuo­re, Pietro. (Entra Una; tutti si guardano l’un l'altro; Redfern esce lentamente).

Una                               - Avete parlato di Nora? (Pietro accenna di sì) Non ti preoccupare, tutto finirà bene.

Pietro                            - E' come una porta chiusa, Una, di cui si è perduta la chiave.

Una                               - Ti verso una tazza di tè.

Pietro                            - No, non ora. Sono già in ritardo per l'orzo.

Una                               - H signor Tiffney sta per venire. Prenderà un po' di latte e mangerà un pezzo di pane.

Pietro                            - Dì all'amico ancora a letto che Red­fern vuole vederlo. (Pietro esce. Una va ai piedi della scala e chiama Francesco).

Una                               - Francesco, non ti decidi ad alzarti?

Francesco                      - Che ora è?

Una                               - Mezzogiorno passato. Andy Redfern ha mandato a dire che desidera parlarti.

Francesco                      - Dì a quello sporco ladrone che andrò da lui se mi farà piacere.

Una                               - Cosa vuole da te?

Francesco                      - Andiamo a fare una novena per la fine del mondo.

Una                               - Verrà il giorno in cui ti pentirai di aver parlato così. (Si sente una risata amara di Fran­cesco. Una attraversa la stanza. Si picchia alla porta. Entra Martino Langley. E' un giovane inse­gnante, con un libro sotto il braccio, la pipa in bocca, pedagogico, esatto, un po' untuoso ed un po' presuntuoso).

Langley                         - Oh, Una. Go mbeannaigh Do ar an tobair. (Irlandese. Pronuncia: Go mannì dei er an tofoir. Traduzione: Dio benedica il mondo).

Una                               - Ancora, signor Langley? Ma non le ho sempre detto che io non conosco neppure una pa­rola d'irlandese?

Langley                         - Bene, bisogna che ti decida a co­minciare altrimenti non sarai in grado di farti ca­pire dai tuoi bambini.

Una                               - I miei bambini? Che matte idee le sal­tano per la testa?

Langley                         - Non sono affatto idee matte se tu pensi a sposarti.

Una                               - Ma non non ci penso affatto.

Langley                         - Sarà, ma ci penso io.

 Una                              - Ma allora la cosa non riguarda me.

Langley                         - Moltissimo, invece. (Pausa) Posso sedere?

Una                               - Sono a metà del mio lavoro, signor Lan­gley. (Egli siede e carica la pipa).

Langley                         - Anch'io. E ti ho già detto che il mio nome è Martino.

Una                               - Mi è impossibile chiamarla Martino, co­noscendola appena da un, paio di settimane.

Langley                         - Penso a come mi chiamerai fra un paio di anni.

Una                               - Fra un paio di anni ci saremo perduti di vista.

Langley                         - Non lo credo. Allora, saprai ogni cosa che mi riguarda: il numero dei miei colletti, quello delle mie calze, che il mio uovo deve essere non troppo cotto, che un cucchiaino di zucchero mi basta, e che bevo una bottiglia di Guinness a mezzodì e preferisco un dessert scozzese dopo il pranzo.

Una                               - C'è qualcosa che non va oggi, signor Langley?

Langley                         - No; tutto in ordine.

Una                               - Ha fatto una capatina nella birreria di Andy Redfern?

Langley                         - Neanche per sogno.

Una                               - Beh, allora non capisco di che cosa parla.

Langley                         - Ma sì, è facile. Ho deciso dì sposarti.

Una                               - (pausa) Lei è stato da Andy Redfern.

Langley                         - Non ci sono stato. Bevo soltanto una bottiglia di Guinness a mezzogiorno. Prendine nota.

Una                               - Lei è formidabilmente sicuro di se stes­so, signor Langley.

Langley                         - Lo sono. (Pausa) E ripeto che per te io sono Martino.

Una                               - Quando un uomo vuole sposare una ra­gazza, non chiede il suo assenso?

Langley                         - I timidi lo fanno. Io no. Io glielo dico semplicemente, così come te lo sto dicendo.

Una                               - Vuol farmi il favore dì andare a casa, signor Langley, e di lasciarmi lavorare in pace?

Langley                         - Che razza di creatura ostinata sei per non deciderti a chiamarmi Martino?

Una                               - A proposito, dimenticavo che tra un mi­nuto o due sarà qui il signor Tiffney.

Langley                         - Venga chi vuole; anche il diavolo in persona, ma chiamami Martino.

Una                               - Bene, se le fa piacere lo farò. Martino. Va bene?

Langley                         - Andiamo meglio.

Una                               - Vuol farmi ora il favore di andarsene,. Martino?

Langley                         - Andrò se mi dirai che mi ami.

Una                               - Proprio no.

Langley                         - Dillo almeno sottovoce. (Trattenen­dola) Via. Come sussurrando.

Una                               - Direi qualsiasi cosa pur di liberarmi di lei.

Langley                         - E non ci riusciresti egualmente. Suvvia...

Una                               - Sono in ritardo col mio lavoro. Il signor Tiffney sta per arrivare. (Ella si libera da lui).

Langley                         - Hai letto il libro che ti ho portato martedì sera?

Una                               - Niente da fare. Non ha né capo né coda, per me.

Langley                         - Devi sforzarti a capire, Una. Voglio che tu sia una ragazza acuta e sagace. E' uno splendido libro, che eleva lo spirito e dopo averlo letto ti sentirai orgogliosa di essere una ragazza irlandese. L'autore è un famoso Corkiano e quello che un uomo di Cork pensa oggi, l'intera Irlanda penserà domani.

Una                               - Ma io non ci capisco una parola. E, in ogni modo, ho troppo da fare.

Langley                         - Storie. Sei mentalmente pigra. Per questo stesso difetto il paese è diventato, e in che modo, soggetto alla influenza straniera. Ma sarò io a dirigerti, Una, dopo...

Una                               - Dopo cosa?

Langley                         - Te l'ho già detto. Smettila di far fin­ta di non capire.

Una                               - Santo cielo, ricomincia da capo?

Langley                         - Non tentare di eludermi. (Entra Paddy Ardee asciugandosi il sudore della fronte. E' un inagrissimo spaventapasseri sui quaranta­cinque anni).

Paddy                           - Per essere in primavera fa un caldo eccezionale. Anche le stagioni, come ogni altra cosa, vanno a rovescio. (Langley e Una si separa­no) Siete proprio voi, Martino Langley?

Langley                         - Certo, e chi vuoi ch'io sia?

Paddy                           - Solo un sapiente potrebbe rispondervi. Non sembrate di buon umore, oggi. Ne avete be­vuto uno troppo piccolo o uno troppo grande, da Andy?

Langley                         - (irritato) Ne piccolo né grande; non ho bevuto nessun bicchiere.

Paddy                           - Troppo poco. State bene a sentire: il primo bicchiere è per la salute, il secondo per la ricchezza, il terzo per il cambiamento del tempo, il quarto per un letto caldo, il quinto per un ma­trimonio e il sesto per andare a casa insieme. Didli-oh. Didli-oh.

Langley                         - (irritato ad Una) Come permetti a un uomo simile di frequentare la tua casa? Ecco quello che non va in questo paese. Niente disci­plina, niente ordine, niente devozione al dovere.

Una                               - Hai sentito, Paddy? Hai sentito quello che il signor Langley ti ha detto?

Paddy                           - Sì, non c'è dubbio che il paese è an­dato all'inferno. E se non fosse per il modo con cui gli insegnanti cacciano nella testa dei ragazzi l'irlandese, l'avremmo perduto del tutto.

Langley                         - Proprio così. Avremo un paese come si deve solo quando con la prossima generazione, saranno scomparsi tutti i fannulloni come te.

Paddy                           - (ironico) Avete ragione: il nostro pae­se avrà raggiunto la perfezione quando ognuno sarà così preso dal lavoro che, per non perdere il tempo per tornare a casa, si porterà il letto sulle spalle come una lumaca. Una, non è per caso ri­masta nella teiera una tazza di tè?

Langley                         - Tè, tè, tè. Non dargli del tè a quest'ora. Dagli piuttosto il manico di quella scopa.

Paddy                           - A sentire il modo orribile col quale vi esprimete, padron Langley, si direbbe che veniate dalla Carolina del Sud anziché da Cork. (Ad Una) Fa niente se non è molto forte, Una.

Una                               - Ce n'è una tazza; quella che doveva bere Pietro. Hai fatto male a lasciarlo solo nei campì.

Paddy                           - E' vero, ma viene un momento in cui una creatura umana non ha più la forza di sop­portare l'orribile condizione di avere la schiena piegata ed in contrasto con la sua naturale posi­zione.

Una                               - Ma cosa va dicendo?

Paddy                           - Ah, ho detto una di quelle grandi frasi che i maestri m'inculcavano a forza a scuola.

Langley                         - (mentre Una solleva la teiera) Se tu avessi la minima idea della disciplina e del do­vere lo butteresti dalla finestra piuttosto di darlo a lui. Tornerò questa sera alle sette. E conto di trovarti a leggere questo libro. (Pone il libro sul tavolo) La lettura impedirà alla tua mente di andare in secca come quella di quest'uomo. (Men­tre passa vicino a Paddy per uscire) Pensare che grandi uomini sono morti per gente come te! (Langley esce. Paddy Ardee lo segue con lo sguardo).

Paddy                           - Per Dio, uno di Cork è sempre un poco di buono, ma quando è insieme astemio e maestro non si può neppure avvicinarlo. Una, versamene una tazza o, meglio, un boccaletto; ne contiene di più.

Una                               - Ti prego di lasciare in pace il signor Langley. Sarà mio marito.

Paddy                           - Se lo sposi, egli ti obbligherà a parlare sempre in irlandese, ammesso che ti lasci parla­re. Che razza d'uomo! Già, tra la lingua e il con­fine e il prezzo del tè e della birra questo paese va a rotoli.

Una                               - Su, prendi questo e torna a lavorare con Pietro.

Paddy                           - Subito. (Alzando il boccaletto) Sai cosa ti dico, Una? Sono spaventato. In verità di Dio, sono spaventato.

Una                               - Spaventato? E perché?

Paddy                           - Te lo dirò. Temo di avere inghiottito un topo.

Una                               - Ma, farnetichi?

Paddy                           - Non farnetico affatto. Qualche volta lo sento agitarsi nel mio stomaco e ciò mi dà l'in­cubo. E' un'orribile sensazione.

Una                               - Questa è solo una scusa per avere dell'altro tè.

Paddy                           - Ti giuro di no. Quando dormo nudo nel fienile essi corrono a dozzine sul mio corpo, fiutando. Sembrano quei piccoli uomini che tanto tempo fa correvano sul corpo dell'amico Gulliver nelle... nelle isole Blasket, è così? (Bevendo il tè) Voglio berlo ben caldo; può darsi che bruci le in­teriora di quel maledetto topo prima che esso pren­da la via dei miei polmoni o del mio cervello. E' un pensiero orribile! (Egli beve a lungo e di gusto» si preme lo stomaco ed ascolta) Senti niente?

Una                               - Cosa dovrei sentire?

Paddy                           - Potrei giurare sul sacro libro di averlo sentito rantolare. (Pausa) E' squisito questo tè. Deve esser di quello che vendono in pacchetti gial­li con su un elefante; è il migliore. (Pausa) Chissà se ce n'è ancora una goccia nella teiera? Tanto, finirai per gettarla via. Io invece potrei berla.

Una                               - (riempiendogli ancora il boccaletto) Ma lo sai, Paddy, che sei l'uomo più pigro e inutile che io abbia mai conosciuto?

Paddy                           - Già. Ma il catechismo insegna che è male negare il tè all'assetato e spargerlo poi sul letamaio. Orribile... (Beve).

Una                               - Su, fila ora, Paddy, e aiuta Pietro a se­minare l'orzo prima che piova. Egli brontolerà se ti troverà ancora qui.

Paddy                           - Ehi... Hai sentito che vado via?

Una                               - Sì. E non è bello lasciar Pietro senza aiuto.

Paddy                           - Come si fa? Bisogna che ognuno pensi ai casi suoi nell'orribile stato in cui è il paese. Io sono un buon ciabattino e mi si offre una buona occasione nel calzaturificio di Dundalk. E sai che ti dico? Avere per le mani un'azienda agricola è cosa orribile. Oggidì è preferibile far la strada a piedi con un carico sulle spalle che badare a un fondo. (Pietro rientra e squadra Paddy).

Pietro                            - Di nuovo qui?

Paddy                           - Beh, davo un po' di riposo alla cavalla.

Pietro                            - Oh, ora è la volta della cavalla. E tu ne approfitti per sorbirti il tè.

Paddy                           - Quella povera bestia si trascina ap­pena con quel cavallino che ha in pancia. Non la si dovrebbe sellare affatto.

Pietro                            - Anche lei deve sforzarsi, come tutti noi, e tirare avanti.

Paddy                           - (attraversa per uscire. Presso la porta) A proposito... Farai in modo di avere il danaro che mi spetta per la fine della settimana?

Pietro                            - Temi che non te lo dia?

Paddy                           - Macché, mi limitavo a fare una do­manda. E' una cosa orribile essere fraintesi, una cosa orribile! (Paddy Ardee esce).

Una                               - Volevi qualcosa, Pietro?

Pietro                            - La ruota del carro stride. Cercavo la latta del grasso. (La prende sul piano della cappa). Il toreador spagnolo non si è ancora alzato?

Una                               - Gli ho detto che era mezzogiorno pas­sato. (Pausa) Fai male a chiamarlo così. Tanto non giova a niente.

Pietro                            - (con ira) E come dovrei chiamarlo? Quella cornacchia zoppa che ci ha fatto arrossire di vergogna davanti all'intero paese andando a combattere in Spagna contro la Chiesa! (France­sco appare al sommo della scala; zoppica e porta il vassoio con i resti della sua colazione. Ha sentito le ultime parole di Pietro ed è irato. I fratelli si scambiano un'occhiataccia).

Francesco                      - La vecchia solfa, eh? Sono la ver­gogna di una famiglia rispettata dagli uomini a modo e dai sacri chiacchieroni. Tu non hai prin­cipi.

Una                               - (mettendosi tra di loro) Non risponder­gli, Pietro, non una parola.

Pietro                            - Principi? E sei tu a rimproverarmelo? Tu, che per due anni non hai fatto altro che esi­bire la tua ferita alternando l'ozio con una losca attività di contrabbandiere.

Francesco                      - Non parlare della mia ferita. Che ne sai tu di principi, tu che vivi sempre nei campi a coltivare grano per le banche e orzo per i bir­rai? Che pretesa è la tua di discutere sul diritto di legittima difesa delle masse lavoratrici? Ecco per cosa io lotto.

Pietro                            - Lotti un cavolo. Ti troverebbero morto blaterando sui tuoi principi se non ci fosse sempre qualche sciocco come me a darti un piatto di pa­tate col burro.

Una                               - Per carità non litigate. Altrimenti sarò lo a scontarla poi.

Francesco                      - (a Una) Levati di mezzo, allora. Già, tu sei sempre dalla sua parte.

Una                               - Come potrei essere dalla tua? Sei contro tutti, anche contro i preti.

Francesco                      - Io giudico i preti da quello che fanno. Se essi combattono con il popolo, sono con loro. Li avverso invece, se parteggiano per i nemici del popolo, banchieri, birrai, politici e succhiatori di sangue con i dividendi.

Pietro                            - Perché non la smetti di schiumare e non vieni ai fatti? La Eastern Bank è quasi pa­drona di questa casa e del podere.

Francesco                      - E con questo? Non è loro ogni podere dì questo sanguinante paese?

Pietro                            - Cosa pensi di fare in proposito? La proprietà è mia come tua.

Francesco                      - Se è così, la difenderò.

Pietro                            - Dillo a Mulligan il venditore all'in­canto della banca, quando viene.

Francesco                      - Oh, Mulligan? Un grand'uomo. Una scaramuccia con i nero-bruni nel 1920 sulla strada di Castelblancy, una pallottola nel brac­cio, una pensione, una medaglia commemorativa attaccata alla catena dell'orologio; si è rispettati, allora, e si può accettare questo dannato stato di cose. Sì, per Dio, sarò contento di avere a che fare con Mulligan. (Prende la lettera della banca sul tavolo e comincia a leggere).

Pietro                            - Se ne parla come di un uomo a modo, che pensa alla moglie e ai figli. (Vedendo France­sco leggere la lettera) Credo che troverai interes­sante la lettura di quella lettera.

Francesco                      - (gettando la lettera a terra) Sicu­ro; mi piace veder l'artiglio di un banchiere. Pezzi di carta come quello misero sottosopra la Spagna. Può darsi che verrà il gran giorno in cui faranno lo stesso in Irlanda.

Pietro                            - (esce brontolando. Francesco ed Una si guardano con aria di sfida).

Francesco                      - Su, brontolona, l'hai sulla lingua la predica da farmi? Sputala fuori.

Una                               - Vorrei soltanto guardarti e riconoscere in te mio fratello, anziché uno strano uomo venuto fuori da qualche terribile libro.

Francesco                      - Io sono quel che sono. Sono quel che mi hanno fatto diventare.

Una                               - Sono quel che sono anch'io, Francesco, anche se non ti piaccio. Come ci intendiamo poco, noi due! Vuoi fare una piccola cosa per me? (Egli la guarda di traverso) Vuoi essere gentile col maestro quando viene a trovarmi?

Francesco                      - Come puoi chiedermelo?

Una                               - Egli dice che... mi ama.

Francesco                      - Preferirei che ti odiasse. Ma farò come tu vuoi; lo sopporterò. Ti basta?

Una                               - Sì. Mi attendo sempre poco da te, Fran­cesco. (Si guardano) Noi non siamo come fratello e sorella.

Francesco                      - E' vero. Fa parte dell'inferno... Qualche volta vorrei... ma non importa. Mi fai il favore di legarmi le scarpe? Se vi fosse un po' dì giustizia in questo matto mondo io sarei capace di piegare la mia gamba e non ti darei questo fa­stidio.

Una                               - (chinandosi e legandogli le scarpe) Non parleresti di fastidio se noi non fossimo come estranei. (Si alzai e tocca il braccio di luì) Fran­cesco, almeno vorrai... credere in Dio? Se tu amassi Dio, cominceresti ad amare anche le sue creature. Lo farai, Francesco?

Francesco                      - Non c'è Dio da amare. Se ci fosse l'odierei.

Una                               - Ma allora, in nome del Cielo, perché vi­viamo?

Francesco                      - Noi non viviamo. La vita è una festa di libertà piena, gloriosa, e noi non siamo fra gli invitati. Noi siamo vivi come è vivo un animale. (Una l'osserva con pena mentre egli si accosta al vetro divisorio che nasconde la scala. Indi, indovinando il suo pensiero, corre a sbarrargli la strada per impedirgli di raggiungere la porta della piccola apertura in esso ricavata).

Una                               - (contro il muro) No, no, per favore, no, Francesco; non prenderle oggi.

Francesco                      - Via di qui.

Una                               - No, no. Non prenderle. Le odio. Mi ter­rorizzano. Le hai tirate fuori ieri. Lasciale stare oggi.

Francesco                      - Debbo prenderle per pulirle.

Una                               - Le hai pulite ieri.

Francesco                      - Debbo prenderle. Per godermele, per carezzarle. Sono l'unica cosa che abbia un senso per me in questo dannato cimitero.

Una                               - T'impedirò di prenderle. Le odio.

Francesco                      - (prendendola per le braccia) Ti disprezzo quando piagnucoli. Le sole ragazze che io ho sempre ammirato furono quelle che vidi lan­ciare bombe a mano sulle barricate, con noi, in Spagna. Una di esse avrebbe potuto essere la mia donna. Potrei averla amata, aver voluto da lei dei figli, ma essi le strapparono le mammelle... Via, via, tu, paurosa gattina del maestro! (Si libera da lei e prende dal sottoscala una mitragliatrice Thompson ed alcuni fucili avvolti in stracci).

Una                               - (con le mani sulla faccia) Le odio! Le odio! Portale via.

Francesco                      - Non c'è ragione di odiare le armi. Esse sono dritte e pulite e fatte per un determi­nato lavoro. Così eravamo noi, ma guarda, con­sidera la derisione delle nostre vite!

Una                               - Tu fosti creato per conoscere ed amare Dio.

Francesco                      - Sarebbe bellissimo, ma occorrerebbe che fossero d'accordo i banchieri, i birrai e tutti gli altri topi. Io sarò pronto ad uniformarmi ap­pena essi lo saranno.

Una                               - Quale orrore ed amarezza si legge nei tuoi occhi! Oh, perché odii tutti, Francesco?

Francesco                      - (togliendo gli stracci intorno alle armi) Perché nessuno è libero. Se un uccello in gabbia rifiuta il cibo che gli dò e muore, mi addoloro e piango per esso come per una creatura umana, ma se mangia e canta nella sua prigionia e vive lietamente, allora lo schiaccio contro un muro, senza pietà. Non è degno di vivere.

Una                               - (si copre il viso con le mani) Orribile... orribile... Per favore, metti via quelle armi. Mi spaventano.

Francesco                      - No. Debbo pulirle e dar loro l'olio. Ciò mi fa felice. Spinge di nuovo la mia vita tra le fiamme.

Una                               - Non potresti portarle in qualche altro posto, dove non mi riuscisse vederle?

Francesco                      - Va bene. La delicatezza della gat­tina del maestro merita riguardo. (Egli solleva le armi con amore e se le porta via. Appare sulla porta Silvestro Tiffney ed entra senza far rumore. Egli cammina con aria preoccupata e con la testa un po' bassa. I capelli più o meno grigi, la faccia non rivela le interne emozioni, Oli occhi sono grandi e dicono delle passate sofferenze. Egli è dimessa-mente vestito con abito ecclesiastico vecchio e logoro. Guarda come se non vedesse).

Francesco                      - Io amo le mie armi. Sono le mie donne. Mi fanno sognare.

Una                               - E' terribile! E' inumano!

Francesco                      - Ah, se fossero più umane avrei meno fede in loro. (Sì guardano l'un l'altra mentre vedono Tiffney).

Tiffney                          - Mi è stato detto che hai del latte per me, Una.

Una                               - Certamente. E' qui pronto, padre, cioè signor Tiffney. (Va a prendere U latte ed U pane).

Tiffney                          - La semina è un lavoro pesante... Ah, divento vecchio... Come va, Francesco?

Francesco                      - Bene...

Tiffney                          - (guardando le armi) Dicevi, Fran­cesco, che esse sono le tue donne?

Francesco                      - Ho detto proprio così.

Tiffney                          - Per un motivo e per l'altro tu hai sempre destato il mio interesse, Francesco.

Francesco                      - Lo stesso potrei dire io.

Tiffney                          - Penso che è semplicemente naturale che gli invalidi si interessino l'un dell'altro. (Guar­dando Una) Mi fa piacere guardare Una così. C'è in lei una limpida grazia e una profonda calma... Ah, Francesco, tu ed io che amiamo ed odiamo con troppa veemenza, che ci accoriamo ed ama­reggiamo per gli uomini malvagi...

Una                               - (dando a Tiffney latte e pan di grano) Su, signor Tiffney, non continui a parlare in quella maniera triste.

Tiffney                          - (prendendoli) Mi vuoi bene, Una?

Una                               - Lo sa che è così.

Tiffney                          - Me ne vorrai sempre?

Una                               - Fino al giorno in cui morirò.

Tiffney                          - (con tristezza) E' straordinario! Una bimba mi ama... (siede pesantemente) Oh, la più grande delle fortune!

Francesco                      - (a Tiffney con un po' di disprezzo) Io ho del rispetto per voi perché avete combat­tuto, sia pure con avversa fortuna. Non lo potrò dimenticare. Ma quel dannato cancro metafisico che è in voi vi ha distrutto. (Francesco, sprezzante, zoppica per la stanza portando le armi. Tiffney, con tristezza, lo segue con lo sguardo).

Una                               - Signor Tiffney, non si lasci molestare da lui.

Tiffney                          - Francesco non mi ha mai molestato. (Come parlando a se stesso) Una piccola flessione della mente, venti anni fa, in un'aula scolastica, avrebbe fatto di Francesco un grande Gesuita. Ma la sua guida spirituale era uno zotico e la scuola una stalla... Oh, spreco, spreco delle nostre pas­sioni!...

Una                               - C'è una lettera per lei, signor Tiffney, con un francobollo americano di posta aerea. E' di suo fratello Bernardo.

Tiffney                          - Il buon vecchio Ben, sempre sulla breccia. Una, bambina mia, guarda quanto c'è dentro.

Una                               - (apre la lettera) Cinquanta dollari, si­gnor Tiffney.

Tiffney                          - E cosa dice Ben?

Una                               - Appena poche righe. Dice così: (ella legge) «Caro vecchio Sii»... E' lei Sii?

Tiffney                          - Sono io, Una.

Una                               - (leggendo) « Troverai un'altra penna « strappata dalla coda dello zio Sam. Non ho tempo per scriverti a lungo. Sono in trattative per « una grande fornitura di pollo in scatola a Cincinnati. Ricordami al piedistallo di Nelson e alle « pozze d'acqua sullo stradone di Dundalk ed ac­cendi una candela per me nella cappella. Il tuo « affezionato fratello, Bernardo Luigi ». (Tiffney ride svogliatamente) E’ una curiosa lettera, signor Tiffney.

Tiffney                          - Povero vecchio Ben! Conosce una sola cosa nella vita. Il modo di guadagnar danaro, il privilegio delle menti incolte.

Una                               - Le piacerebbe fare un sonnellino sulla sedia a dondolo?

Tiffney                          - Sì, Una, mi piacerebbe tanto.

 Una                              - Su, allora; il dondolio l'aiuterà a dor­mire. Dopo potrà magari mangiar qualcosa con noi.

Tiffney                          - (abbandonandosi) Sì, Una... divento proprio vecchio... (Come in sogno) I giorni pas­sano, uno simile all'altro, senza che ce ne accor­giamo. Potrei non essere vissuto... (Tiffney si ap­pisola).

Una                               - (senza che egli se ne accorga, gli toglie le scarpe e le calze. Esamina le calze, dice « Se, se» e le mette in una secchia piena d'acqua. Indi ne prende un paio pulite e gliele infila).

Tiffney                          - (aprendo gli occhi) Una, bambina mia, ti ho daccapo sorpresa.

Una                               - Cosa c'è? Sto solo cambiando le sue calze. Su, via; si riaddormenti immediatamente. (Ella prende le scarpe e comincia a pulirle. Tiffney si addormenta di nuovo ed Una continua ad allac­ciargli gli stivali. Entra Caterina Mac Elroy. In­dossa un giacchetto e porta un cappello assurdo; al collo ha delle collane ed in mano il libro delle preghiere. Si libera di tutti questi oggetti. E' una donna di circa trent’anni, aggressivamente pia e perseguitata da terrori religiosi).

Una                               - Caterina, te ne sei andata senza dire una parola e senza far colazione. Dove sei stata?

Caterina                        - Dove sono stata? Nessuno di voi si è ricordato che oggi è l'anniversario della morte della mamma e che alle dieci sarebbe stata cele­brata la messa in suffragio?

Una                               - Ma sai bene quante e quante cose c'erano da fare questa mattina in casa e come nessuno ci fosse a darmi una mano... (Francesco va verso de­stra portando le sue armi ora tutte avvolte negli stracci). .

Caterina                        - Avrebbero potuto aspettare. (A Francesco) E tu stavi male da non poter venire alla messa della mamma?

Francesco                      - (con un gesto) Ah, ma non potresti lasciarla in pace la povera mamma, invece di disturbarla tutti i mesi, spargendo su di lei preghiere come se spargessi il sale sulla minestra?

Caterina                        - (maligna) Mi sorprende che Dio, conoscendo lo stato della tua anima, non ti abbia ancora annientato. E dov'è Pietro che non ha potuto venire neanche lui?

Una                               - Pietro si sta ammazzando di fatica nei campi, senza nessuno che lo aiuti.

Caterina                        - Il lavoro dei campi deve, forse, avere la precedenza su Dio e nostra madre? Ma noni importa. Dio vede tutto. Quando il grande momento verrà Egli saprà ben colpire.

Francesco                      - Non è terribile quello che Dio e la religione possono fare di una inoffensiva, buona donna di casa? (Egli ripone le armi nel sottoscala) E io che ho sacrificato la mia gamba per liberare noi tutti da questi incubi! E' un vero oltraggio. (Siede presso la finestra e legge il suo periodico comunista).

Caterina                        - Non fu Dio, od altri in Suo nome, a salvare la tua vita? (A Una) Hai preparato il mio pane tostato?

Una                               - Certamente, Caterina. E’ da un pezzo nel forno che ti aspetta. (Una prende nel forno un piatto con il pane tostato e lo mette dinanzi a Ca­terina insieme ad un bicchiere di latte. Caterina siede su uno sgabello e mangia avidamente).

Caterina                        - E' Padre Tiffney quell'uomo sulla sedia?

Una                               - Sì. Egli ha detto che non dobbiamo chia­marlo padre. Gli ho dato qualcosa da mangiare ed è cascato giù per il gran sonno.

Caterina                        - Dio l'aiuti. Egli è come me. Noi che fummo bianchi ora siamo neri. (Guardando Una muoversi per la stanza) Una, t'ho vista iersera presso gli alberi insieme al maestro.

Una                               - E' vero, Caterina; ma non credo che ci sia niente di male.

Caterina                        - In ogni cosa c'è il male ed il dia­volo è dovunque. Anche tra gli alberi. Il fosforo che brilla sulle foglie non ti suggerisce l'idea che l'inferno non è lontano?

Francesco                      - Non le dar retta, Una. La sua men­te ritorna a quanto le capitò con Eddie Devine laggiù, tra i campi.

Una                               - E' così; Dio, aiutala tu.

Caterina                        - Colui che inganna uno dei miei pic­coli... Una Mac Elroy, sei tu una vergine? Dì la  verità, innanzi a Dio.

Una                               - Via, Caterina, non sono cose da dirsi.

Caterina                        - Hai guardato il maestro negli occhi, pazzamente ardenti, senza dir parola? E intorno a voi non c'era il profumo del fieno?...

Una                               - Ah, sicuro, Caterina, i suoi occhi ridono sempre e burlano e mi prendono in giro. Sicuro, Dio li fece così.

Caterina                        - (come parlando a sé stessa) Odori disgustosi ed ossa di uomini morti... Voglio rac­contarti una storia.

Una                               - Non ora, Caterina. Ho molte cose da fare. Potresti lavare per me i recipienti per il latte, nella stalla?

Caterina                        - Se Dio lo vuole, lo farò. E se ne romperò qualcuno, sarà sempre perché Dio l'avrà voluto. Dio vuole ogni cosa.

Una                               - Ma fai attenzione, Caterina, altrimenti Pietro mi sgriderà.

Caterina                        - (alzandosi e parlando come in sogno) Fu in questa stagione che accadde, nel tempo in cui mio padre seminava, il tempo in cui si sente il grido degli uccelli selvatici... il tempo della fio­ritura di primavera... il tempo in cui il sangue sel­vaggio urla contro Dio e la Sua parola e la Sua legge santa... (Mentre si avvia verso la porta, in­dietro) Acqua che sgorghi dal fianco di Cristo pu­rificami... Nelle Tue ferite nascondimi... (Esce).

Francesco                      - Ho sentito dire spesso che l'oca grida dopo aver fatto l'uovo. Ma quella donna ha gridato un bel po' da quando depose il suo uovo.

Una                               - Lasciala in pace. Non spetta a te giudi­care lei o me, dai momento che la mano di Dio è stata così implacabile verso di lei.

Francesco                      - (ridendo amaro) Dio, sempre Dio, il divino capro espiatorio! Se questo paese fosse una ottima repubblica di lavoratori, invece di una tetra terra di bigotti, quel bimbo che ella soffocò nel campo d'orzo sarebbe oggi un ragazzo in pieno sviluppo ed ella sarebbe una madre felice invece che una pazza, capace soltanto d'imprecare con­tro il fuoco dell'inferno.

Una                               - Parla piano. Altrimenti sveglierai il si­gnor Tiffney.

Tiffney                          - Sono soltanto parole, Una, bambina mia. H vento le porta via.

Una                               - Andrò di là a riporre il tè. Non posso udirvi litigare. (Esce).

Francesco                      - (avvicinandosi a lui e indicando la sua gamba) Anche questa gamba in malora è una semplice parola, Silvestro Tiffney?

Tiffney                          - Non volermene, Francesco, se cerco di difendere una povera bambina dalla tua ir­ruenza. (Tiffney si alza lentamente; egli e Fran­cesco sono ora di fronte; uno calmo, filosofo, im­perturbabile. L'altro aggressivo, impaziente, arruf­fato).

Francesco                      - (guardandolo) Mi spiace di essere scortese con voi. Ricordo sempre un vostro vibrante discorso nella sala delle riunioni, tempo fa. Fu per noi la spinta ad andare in Spagna.

Tiffney                          - Se fu così, Francesco, ne dovrò ben rispondere alla fine. Ah; Francesco, perché, perché parliamo agli uomini invece di parlare solo e sempre a Dio, che tutto intende? E perché, quando ci si parla, parliamo di tutto meno che di Dio? Il nostro dire è un ammasso di alghe e di rottami, raccolto da ruvide mani e portato entro stalle di presuntuosi animali per farne lettiera.

Francesco                      - A tanto siete arrivato?

Tiffney                          - (sottilmente) Sono caduto veramente in basso Francesco.

Francesco                      - Davvero? Sento che potrei pian­gere sulla vostra sorte.

Tiffney                          - Non sulla mia, Francesco, non sulla mia.

Francesco                      - Se avessi un solo amico... una mano nella mia. Ma sono solo, terribilmente solo...

Tiffney                          - Sono io il tuo amico, Francesco.

Francesco                      - Voi?

Tiffney                          - Sì. La tua anima è una lepre tra i ciottoli, come lo fu la mia.

Francesco                      - (stringendosi i risvolti del suo abito) Voi... voi... mi comprendete, Tiffney, vero?

Tiffney                          - Per quanto mi è concesso, Francesco.

Francesco                      - Il marcio è là, fuori, ed il popolo soffre. Marcio sociale, marcio economico, marcio ecclesiastico... Usciamo, Tiffney, voi ed io, con lin­gue di fuoco. Raccogliamoli in un'unica violenta folla.

Tiffney                          - E poi, Francesco?

Francesco                      - Poi? Formiamo un nuovo governo, un governo del popolo. (Guarda Tiffney eccitato. Tiffney conserva la sua calma).

Tiffney                          - Francesco, lasciami prima dire quanto il mio cuore sia con te.

Francesco                      - Ne ero certo. H popolo si inginoc­chiò davanti a voi, nella strada. Il popolo non di­mentica.

Tiffney                          - Un momento, Francesco. H popolo, al contrario, sempre dimentica.

Francesco                      - Non dite questo.

Tiffney                          - Devo, Francesco. Tu dici: un governo del popolo. Tu, Francesco, non hai ancora l'età o l'amarezza dell'animo sufficienti per renderti conto che un governo è la cosa meno importante di una nazione. I governi sono sempre stati e sempre sa­ranno separati dal popolo. Sono qualcosa di ottuso e distante, che impiega i propri giorni in vecchie fanfaluche e transitorie prove. Sei marinai delle Indie Orientali, di quelli con solo un panno alla cintola, seduti intorno a un tavolo zoppo in Du­blino, potrebbero contribuire di più alla felicità delle persone di questo paese che non il migliore dei governi, anche se eletto dal vero popolo che tu compiangi.

Francesco                      - (in collera) Questa è la dottrina di un uomo sconfitto. Non avete più un solo prin­cipio, allora?

Tiffney                          - I tuoi principi, Francesco, sono il moderno surrogato della fede. Essi non saranno mai capaci di cambiare l'acqua in vino.

Francesco                      - Allora siamo, malgrado tutto, ne­mici?

Tiffney                          - Solo se sei tu a volerlo.

Francesco                      - Allora rinunziate ai vostri dan­nati giochi di prestigio e uscite fuori con me a sollevare il popolo. Parliamo chiaro e forte. Al dia­volo lo Stato, il Governo e la Chiesa ubbriaca di potere. Noi possiamo farlo.

Tiffney                          - (con aria di burla) «Perché abban­donai la Chiesa di Roma » di Silvestro Tiffney... (Egli ride stanco) Un piccolo giro di vite, France­sco, e tu saresti stato un gesuita militante invece di un rivoluzionario di due canne. Fu tutto un puro caso, Francesco, ma tu non potrai mai capire, (Tiffney si allontana).

Francesco                      - (seguendolo con lo sguardo) Dio... siete una larva d'uomo! Ve ne andate?

Tiffney                          - E di soppiatto, devi dire, Francesco. I governi possono cadere e le rivoluzioni divampare nella loro pazza ricerca della perfezione che non é di questo mondo, ma l'orzo deve essere seminato perché noi si possa vivere. Pietro ce l'avrà con me... (Tiffney esce. Francesco sta a guardarlo men­tre cala la tela).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena alcuni giorni dopo.

E' il  mattino.

(Pietro è solo ed esamina un libro di conti, Fran­cesco entra. Porta una grande scatola di cartone, che va a riporre nel sottoscala. Pietro lo osserva in silenzio per alcuni istanti).

Francesco                      - Vuoi qualche libbra di tè?

Pietro                            - No.

Francesco                      - C'è anche del riso e della lentic­chia. Te ne posso dare un po'?

Pietro                            - Ti ho già detto che non voglio sapere di contrabbando.

Francesco                      - L'unico uomo onesto. Per questo il Signore non può dare Dundalk alle fiamme.

Pietro                            - Sei una vera disgrazia. Cos'hai fatto l'intera notte fuori?

Francesco                      - Non è affar tuo; ho trasportato merci attraverso il confine per conto di Andy Redfern e del futuro sposo della figliola.

Pietro                            - Cosa? Di sua figlia?

Francesco                      - Ho detto il futuro marito di Nora, il vecchio Cornelio Murdock di Ardee. Lo conosci quel disastro con ì capelli crespi e le orecchie come cavoli di Bruxelles?

Pietro                            - (alzandosi) Non è vero.

Francesco                      - Il vecchio tasso mi ha offerto un whisky doppio e me l'ha detto.

Pietro                            - (dominando la sua emozione) Cerchi di colpirmi, vero?

Francesco                      - (osservandolo) Non credevo di far tanto male.

Pietro                            - Credi di essere il solo ad avere dei sen­timenti. (Pietro si allontana) Ma non importa.

Francesco                      - Importa moltissimo invece se tu tieni a lei.

Pietro                            - Cosa può interessare quello che voglio? Più presto me ne vado, più presto ognuno respire­rà liberamente.

Francesco                      - Questo non è vero per me. Io desi­dero che tu stia qui e difenda quello che è tuo.

Pietro                            - Tu vuoi che io resti perché la mìa mi­seria ti serva di scusa per attaccare uomini politici e preti.

Francesco                      - Se cercassi pretesti per quello, ne troverei a migliaia. Conosco il mio libro spagnuolo dalla prima all'ultima pagina.

Pietro                            - Spagna, Spagna, Spagna. Vuoi metterti in mente che questa non è la Spagna?

Francesco                      - Potrebbe ben esserlo, al modo come vanno le cose. Vedrai, alla fine.

Pietro                            - Io non sarò qui, grazie a Dio.

Francesco                      - Te ne andrai a Glasgow, immagino, come hanno fatto gli altri, tenterai di farti strada a gomitate per aver del lavoro ed un salario.

Pietro                            - Si deve ben vivere ed i poveri non pos­sono scegliere.

Francesco                      - Ecco quel che mi fa bollire il san­gue: la rovina ed il marcio che sono dappertutto qui. Se solo spuntasse l'alba del nuovo giorno di lot­ta, questa volta, non per nazionalismo e fìsime cel­tiche e legami esterni, ma per il pane, per l'onore, la dignità, per avere il diritto di sorridere qualche volta, per quello di sposarsi, di avere dei bambini, per la vita!

Pietro                            - Parla piano, per amor di Dio. Di là c'è il dottor Rafferty che visita Caterina.

Francesco                      - Di nuovo?

Pietro                            - Egli deve ogni mese riferire sul suo stato.

Francesco                      - Ritieni che finiranno per portarla via?

Pietro                            - Qualche volta lo desidero. Una avrebbe solamente allora la possibilità di andarsene via di qui. (Pausa) Martino Langley l'ama veramente.

Francesco                      - Son lassù nel bosco, ora. (Pausa) A me quel giovane non va affatto.

Pietro                            - E' una persona per bene e sarebbe un buon marito per Una-

Francesco                      - Ma a me non piace.

Pietro                            - Egli ritornerà presto alla scuola di Du­blino. Una sarebbe felice là vedendo frotte di gente viva, invece di errare per queste colline da sola. (Pausa) Abbiamo avuto abbastanza disgrazie in fa­miglia...

Francesco                      - Non crederai che Una...

Pietro                            - Qualche volta mi passa per la mente... Una fuggirebbe... (Pausa) Lo sai che Andy Redfern vuol comprare il nostro fondo?

Francesco                      - Redfern vuole tante cose.

Pietro                            - Cosa pensi di fare al riguardo?

Francesco                      - (freddo) H fondo non è in vendita, Pietro.

Pietro                            - Ma noi dobbiamo trecento sterline alla banca.

Francesco                      - E quanto debbono loro a noi? A noi che viviamo su un pezzo di terra, dal Donegal al Kerry? Non portarlo in conto in danaro. Ma in sangue. (Un colpo alla porta. Entra Sean Mulltgan. E' un uomo di circa Quarantacinque anni, un uomo a modo che ha sistemato la sua vita dopo una vam­pata rivoluzionaria. Ha un braccio inutilizzato).

Mulligan                        - Bene tutti?

Pietro                            - Oh, siete voi, Mulligan? E' la banca che vi manda?

Mulligan                        - Sì e no, Pietro; mi capite? Non son qui in qualità di funzionario. Sono capitato per caso. Lo sapete che hanno presentato demanda per otte­nere un'ordinanza?

Pietro                            - Siamo a questo? Cosa posso farci?

Mulligan                        - Non occorre che vi dica, Pietro, che questa faccenda dell'asta non è proprio di mio gu­sto. Non potreste trovare qualche modo per accor­darvi con quella gente?

Pietro                            - (indicando Francesco) Domandatelo a lui. (Stanco e sfiduciato se ne va).

Mulligan                        - (egli e Francesco si pesano scambie­volmente con uno sguardo) Come va, Francesco? Stai bene?

 Francesco                     - Meravigliosamente. Vi sorprende? (Pausa) Siete venuto in bicicletta da Dundalk?

Mulligan                        - Sì.

Francesco                      - Siete passato sulla strada di Carrick, presso le due collinette dove partecipaste alla scaramuccia con i Bruni nel 1920?

Mulligan                        - Cosa vai a ripescare, Francesco?

Francesco                      - Cerco soltanto di ricordarvelo, Mul­ligan... Eravate un uomo allora, non l'umile servi­tore di un banchiere sanguisuga.

Mulligan                        - Ancora con quella solfa?

Francesco                      - Quella solfa... non sapete trovare un'altra parola?

Mulligan                        - Maledetto il diavolo, ho perduto un braccio per la patria o no?

Francesco                      - Cosa conta il braccio, Mulligan? Avete perduto il vostro spirito e lo sapete bene.

Mulligan                        - Ah, va all'inferno. Ho fatto il mio dovere. Ecco la mia medaglia. (La mostra).

Francesco                      - (ridendo amaramente) E' tutto quello che vi hanno dato?

Mulligan                        - Lo so che non è molto, ma io ho bene il diritto di lavorare nel mio paese.

Francesco                      - Il diritto di vendere all'asta i beni dei vostri concittadini per ordine dei vostri pa­droni.

Mulligan                        - Comunque, io posso dire di aver lottato per il mio paese. Non presi parte, in paese straniero, ad una lotta in favore della plebaglia rossa.

Francesco                      - Le onnipotenti cinque sterline che guadagnate ogni settimana vi hanno ottenebrato il cervello a tal punto da non vedere che c'è un solo paese per schiavi come noi ed una sola lotta?

Mulligan                        - Non è musica per i miei orecchi questa. Qui c'è il mio braccio inutilizzato e lascio che esso parli per me.

Francesco                      - E qui c'è la mia anca inutile. Ma non basta, Mulligan.

Mulligan                        - Ah, meglio piantarla, Francesco. Noi siamo appena due vasi di argilla. Vieni da Red­fern a bere qualcosa con me?

Francesco                      - (guardandolo) Povero diavolo... Co­me vi hanno ingannato, come vi hanno corrotto!... Io preferirei essere diventato cieco.

Mulligan                        - (scrollando le spalle) Ah; al dia­volo... (Pietro rientra).

Pietro                            - Ancora? Ora, Sean, sapete bene come stanno le cose. Chi è quell'uomo col cappello a cen­cio e l'impermeabile che siede sul muricciolo di cinta?

Mulligan                        - E' proprio quello che volevo dirvi. Egli è un incaricato della banca che ha il com­pito di assicurarsi che nessun animale od altro venga allontanato dal fondo. E' un uomo assoluta­mente innocuo e non darà alcun fastidio.

Pietro                            - Capisco; bisogna soltanto sopportarlo.

Francesco                      - Deve andarsene con voi, Mulligan.

Mulligan                        - Non è possibile, Francesco. Egli non dipende da me, ma dalla banca. (Francesco zop­pica verso il sottoscala, apre la porticina e prende una pistola; indi va fuori arcigno. Pietro e MuUi­gan si guardano, preoccupati).

Mulligan                        - Fa sul serio?

Pietro                            - Lo conoscete quanto me.

Mulligan                        - E' meglio che io lo segua. E' il po­vero vecchio Mac Ginty; se egli vede soltanto un'ar­ma gli viene un accidente.

Pietro                            - Allontanatelo, Sean; garantisco io che nulla sarà toccato.

Mulligan                        - Sarà meglio far così. Dirò io in banca che ci si può fidare. (Mulligan corre fuori. Entrano dal salottino il dottor Rafferty e Cateri­na. Il primo è un uomo di mezza età, un po' invec­chiato, ha un umorismo facile e bonario).

Rafferty                        - (a Caterina, conversando) Bene, Caterina. Abbiamo fatto una bella chiacchierata. E' proprio un piacere discorrere con voi.

Caterina                        - Sono tutte bugie. Non credere una parola, Pietro, di ciò che dirà contro di me.

Pietro                            - Ma no, Caterina, il dottore ha tanta simpatia per te. Non devi temere.

Caterina                        - Come si può dimenticare quando le stelle ti fissano dall'ampio, vellutato arco del cie­lo? (Al dottore) Mi interroghi sul catechismo e vedrà come lo conosco.

Rafferty                        - Da quando ho lasciato la scuola non ricordo più una parola del catechismo.

Caterina                        - Mi chieda cosa dirà Dio al pecca­tore.

Pietro                            - Caterina, non infastidire il dottore. Dici sempre la stessa cosa. Va fuori e prepara il mangime per le galline.

Caterina                        - Non posso ora. Ho qualcosa da fare. Dov'è quella corda che avevo? (Ella guarda intorno e prende su una sedia una cordicella).

Pietro                            - Cosa devi fare con quella?

Caterina                        - Debbo impiccare il cane.

Pietro                            - Cosa?

Caterina                        - La mamma ha detto che è diven­tato cieco. Me l'ha detto iersera, mentre ero inten­ta a mungere la mucca rossa con la stella bianca. « Caterina, ha detto, il vecchio Tim è diventato cieco». «E' cieco, ha detto, ed i suoi occhi sono coperti dalle mosche. Impiccalo, ha continuato, sul grosso chiodo che è nella stalla, quello di cui ci servivamo per ammazzare i maiali quando c'erano gli inglesi ».

Rafferty                        - Non sarebbe meglio, Caterina, farlo uccidere da Francesco?

Caterina                        - No. I fucili di Francesco sono spor­chi di sangue, sangue maledetto. La mamma ha detto di impiccarlo e sarà impiccato.

Pietro                            - (fingendo di seguirla) Hai ragione, Ca­terina. Ma le tue braccia non sono abbastanza forti. (Prendendo la cordicella) Lo farò io per te e sta certa che saprò impiccarlo.

Caterina                        - Sul grosso chiodo, Pietro, quello dei maiali?

Pietro                            - Su quello, Caterina. Lascia fare a me, Va intanto a preparare il mangime per i polli; io ti seguirò.

 Caterina                       - (guardando fuori) Piove. Ringrazia­mo Dio. Il canonico mi ha detto che la pioggia è formata dalle lacrime di Dio che piange sulle col­pe dell'uomo da lui creato. (Mentre va fuori) La­vami, pioggia, lavami, lavami, lavami... (Pietro ed il dottore si guardano).

Pietro                            - Il male si è aggravato, dottore?

Rafferty                        - La sua mente se ne va a poco a poco. Il terrore l'uccide. Ella non può dimenticare.

Pietro                            - Potreste dichiarare, senza andar con­tro alla vostra coscienza, che le sue condizioni men­tali non destano preoccupazioni?

Rafferty                        - (assentendo) Lo potrei... Ma non voglio nuocere ad alcuno, né offendere la memoria di nessuno. Se lo desiderate, Pietro, non dirò niente finché...

Pietro                            - E' di Una che mi preoccupo.

Rafferty                        - Alludete al suo fidanzamento con il maestro?

Pietro                            - Mi riferisco alla sua... mente. Penso al pericolo che...

Rafferty                        - Via, via, Pietro, pensate ancora a quello? Ma non vi ho già assicurato che Una è un essere perfettamente normale?

Pietro                            - Mi date proprio una grande gioia di­cendo così... (Entrano, dandosi il braccio, Martino Langley ed Una, che porta un fascio di fiori. Sono molto eccitati).

Langley                         - Pietro, Una ha qualcosa da dirti.

Pietro                            - Qualcosa di buono, spero.

Una                               - (confusa) . E’... nulla, Pietro. Martino scherza... Oh, c'è il dottore! Scommetto che non gli avete offerto neppure una tazza di té.

Rafferty                        - C'è qualcosa di nuovo. Mostrami la lingua, Una. (Egli esamina la lingua di Una con finta serietà) Lo sapevo. E' fatta, Pietro!

Pietro                            - Cosa?

Rafferty                        - Si è fidanzata.

Una                               - Martino me ne ha dette tante, Pietro, che ho dovuto promettergli di sposarlo. (Ridono tutti).

Rafferty                        - Cosa avevo detto? Pietro, le darete tre compresse di aspirina al giorno e la terrete a letto per dieci giorni con una bottiglia di acqua fredda. (Tutti ridono).

Una                               - Lo sapevo bene che tutti avrebbero riso. (A Langley) Te l'avevo detto. E' veramente sciocco. (Nasconde il viso contro il petto di Pietro) Fa ac­comodare tutti, Pietro, mentre io vado a prepa­rare un po' di tè alla vecchia maniera. (Pietro la accarezza).

Rafferty                        - Per Dio, la fidanzata ha ragione. Siamo tutti diventati persone così serie e ciniche in questo paese che appena due si fidanzano co­minciamo a ragliare come asini.

Langley                         - Insomma, amici, ci fate le congra­tulazioni o no?

Pietro                            - Ma, naturalmente, Martino. Qua la mano. (Si stringono la mano) Possiate entrambi vivere a lungo ed avere il meglio dalla vita.

Rafferty                        - Io dico: amen, Langley, ed aggiun­go che se, passato il periodo di bisogno dell'opera di un medico, quel medico sarò io. E ora debbo andare, Pietro. Ci rivedremo.

Pietro                            - Grazie di... di tutto, dottore. (Rafferty esce) E' stata una grande notizia, Martino. Vorrei potervi dire quanto mi ha commosso.

Langley                         - Ne sono lieto, Pietro. Ho desiderato Una dal primo momento. Noi faremo qualcosa di grande per il paese. Noi gli daremo qualche cosa, lo faremo migliore, più felice. Sono contento che Una sia quella adorabile ragazza che è.

Una                               - Francesco è in casa, Pietro?

Pietro                            - Era qui poco fa. Vuoi parlargli?

Una                               - Desidero dargli io stessa la notizia. Vo­glio che anche lui sia lieto.

Langley                         - (ammonendola) Una, sai bene che abbiamo già provato. Queste cose non lo interes­sano.

Pietro                            - Meglio lasciarlo in pace, Francesco. Martino ha ragione.

Una                               - Se egli volesse soltanto guardarmi con occhi buoni... Se mi dicesse soltanto che è conten­to... (Entra Francesco. Ride di un riso forzato).

Francesco                      - Dio, che ridere! Avresti dovuto vederlo il vecchio Mac Ginty quando gli ho spia­nato contro la pistola. E' caduto al di là della siepe dicendo una serie di « Ave Maria » e di sante giaculatorie. (Ridiventa serio appena vede Lang­ley) Oh, ci siete anche voi!

Pietro                            - Ci sono novità, Francesco!

Francesco                      - Cioè?

Pietro                            - Riguardano Una. Ella sposa Martino. (Francesco ed Una si guardano).

Francesco                      - (dopo una lunga pausa, commosso) E'... è vero, Una?

Una                               - E' vero, Francesco. (Un'altra pausa, indi Francesco si allontana zoppicando verso il salot-tino. Una gli corre dietro. Pateticamente) Per pia­cere, Francesco, dimmi che sei contento, un po' contento, appena un poco.

Francesco                      - (guardandola fisso) N...no... Come potrei...

Una                               - Sarebbe tanto per me, Francesco. Io... voglio bene anche a te... Ti chiedo scusa per tutte le cose spiacevoli... Francesco, guardami.

Francesco                      - (guardandola, in collera) Cosa sei per me? Va per la tua strada ed io andrò per la mia.

Una_                             - E' tutto quanto hai da dire?

Francesco                      - Tutto. (Una lunga pausa).

Una                               - (voltandosi a lui di scatto ed in collera) Oh, tu... tu... tu... quale parole posso avere per te? Quale parola?

Francesco                      - La peggiore di tutte sarà la più gradita per me.

Una                               - Come vorrei torturarti, scuoterti, percuo­terti fino a quando tu sentissi qualche cosa, finché un barlume di umanità spuntasse nei tuoi occhi! Io... io ti odio. Sarei capace di calpestarti!

Francesco                      - Ora sei viva! Solo quando bolle il sangue sì vive e la verità viene alle nostre lab­bra. Voltati e guarda a chi vuoi legare la tua vita! Guardalo, guardalo bene. E tu sei mia sorella, hai lo stesso mio sangue, io che ho scagliato una gamba contro l'impossibile. Tu... vergogna! (Francesco esce. Una distoglie lo sguardo da lui).

Langley                         - Visto? Non hai voluto seguire il mio consiglio.

Una                               - Avrei tanto desiderato che egli dicesse...

Pietro                            - Non pensare più a Francesco. Non fosse altro per un riguardo a Martino.

Una                               - C'è qualcosa in Francesco che... Non so... Non pensarci... E se non potessi?...

Langley                         - (con durezza) Devi. Ho i miei doveri verso di te come tu hai i tuoi verso di me. Questo è uno dei tuoi.

Una                               - Se dici così, allora... (Caterina rientra guardando perplessa e alquanto smarrita).

Caterina                        - Cosa m'avevi detto di fare, Pietro?

Pietro                            - Di preparare il mangime per i polli, Caterina. Hai fatto, invece, qualche altra cosa?

Caterina                        - Ho lasciato uscire le mucche. Non ricordavo. Ma il signor Tiffney le sta facendo rien­trare. Egli ha riso di me ed io ho riso di lui... Era­vamo due grandi ombre che oscuravano la luce del giorno... eravamo due punti neri nell'occhio del Signore...

Una                               - (gentile) Caterina, ho colto per te un po' di fiori sulle colline di Urney. (Le mostra i fiori).

Caterina                        - (guardandoli) No. Non fiori. Non posso prenderli. Essi sono tutto colore e profumo e furtivamente entrerebbero in me facendomi di­menticare ogni cosa.

Una                               - Ah! ma sono così belli, Caterina, e sono per te.

Caterina                        - No. Se fosse ortica, allora la pren­derei ed accosterei ad essa il mio viso ed il petto. Le punture mi farebbero ricordare ciò che potrei dimenticare.

Una                               - Bene. Allora vuoi esprimermi la tua gioia nel sentire che Martino vuole sposarmi?

Caterina                        - (guardando fisso Martino) Davvero? Ha detto che vuole sposarti?

Una                               - Sì.

Caterina                        - E' quello che dicono tutti. Non cre­dergli. (Ella afferra Una) Anche lui ha detto le stesse cose a me. Egli promise, proprio allo stesso modo.

Una                               - Ah, ma Martino non è come lui, Cate­rina. Egli è buono e caro.

Caterina                        - Anche lui lo era…  I suoi occhi avevano lunghe ciglia... e le sue mani erano dolci quando carezzavano i miei capelli... Ed era anche questa la stagione... quando il sole diventa caldo ed il Signore sonnecchia nel Suo smagliante trono. (Caterina sale la scala lentamente gli occhi ed il viso torturati. Una guardia Pietro e Langley e quindi la segue mettendole teneramente una mano sulla spalla. Entrambe scompaiono).

Pietro                            - (con franchezza) E' bene che sappia­te, Martino; di Caterina, intendo.

Langley                         - Mi dispiace per Caterina, Pietro. De­ve essere stata una donna piena di vita.

Pietro                            - Sì, lo era. .Fino a due anni or sono. Vi ha detto Una, della sua... disgrazia?

Langley                         - Mi ha detto abbastanza per capire il resto. C'è altro da sapere al riguardo?

                                     

 Pietro                           - Niente che possa interessare da vicino voi ed Una.

Langley                         - Mi assicurate che fu solo a causa dì quella... disgrazia che la sua mente divenne... così?

Pietro                            - Ve l'assicuro.

Langley                         - Sarei molto preoccupato se ci fosse qualcosa di ereditario. Devo pensare al futuro, ai figli...

Pietro                            - Potete domandarlo al dottor Rafferty.

Langley                         - Mi basta quello che mi dite. Tornerò presto alla scuola di Dublino. Avrei piacere che Una venisse via con me.

Pietro                            - La vita intensa di Dublino farà certa­mente del bene a Una. Qui è troppo tranquilla e chiusa in se stessa.

Langley                         - Presto tutto ciò cambierà. Una ha soprattutto bisogno della compagnia di giovani sa­ni, ansiosi di fare qualcosa di buono. (Pausa) Pos­so prendere accordo con il canonico per la cele­brazione del matrimonio in Dublino?

Pietro                            - Andremo insieme a parlargli domani. (Pausa) Io posso darvi ben poco, Martino: appena le vesti e qualche sterlina.

Langley                         - Ciò non ha importanza, Pietro. Quel­le che contano sono le qualità morali della donna. Quante cose sbagliate si dicono in questo paese.

Pietro                            - Temo che siano ancora più sbagliate quelle che si fanno.

Langley                         - E’ a Francesco che penso, Pietro, e alla nociva influenza del suo esempio. Sento di essere personalmente impegnato a salvare qualcosa che appartiene all'anima di questo paese.

Pietro                            - Non vi preoccupate dì Francesco. O-gnuno di voi due vada per la propria strada e di­mentichi l'altro. Appena vi sarete sposati me ne andrò a Glasgow.

Langley                         - La vostra è una vera fuga e non pos­so approvarla. (Pausa) Le condizioni di questo pae­se sono così difficili da costringervi a partire?

Pietro                            - Tutto è marcio intorno a noi. La terra se ne va e, con essa, gli uomini.

Langley                         - Se marcio c'è è il marcio delle in­fluenze straniere e delle dottrine pagane. Un po' dì tolleranza e di semplicità farebbero miracoli in questo paese. Se i cialtroni, che si fanno largo cor­rompendo la Chiesa ed, il Governo, fossero tenuti in carcere fino a quando non si dichiarassero pron­ti ad uniformarsi alla regola, come si respirerebbe meglio! Di rado parlo così, Pietro, ma ora un'ani­ma da modellare è affidata alle mie mani.

Pietro                            - Dio vi sia di guida. In quanto a me, debbo andare. Debbo farmi una mia vita.

Langley                         - La vita che vi attende in Inghilter­ra non sarà migliore, Pietro. E poi, ricordatevelo, esiliarsi dal proprio paese è sempre una colpa. E' come allontanarsi dal capezzale della propria ma­dre nel momento in cui ella soffre di più. Qualsiasi giustificazione non toglie a quel nostro atto una ombra di viltà. (Pausa. Con altro tono) Vado a scrivere a mia madre. Dite ad Una che tornerò stasera e che si sbrighi a preparare il suo abito da sposa.

Pietro                            - Glielo dirò, (Langley esce. Pietro guar­da dalla finestra, perduto nei suoi pensieri. Poi il suo sguardo cade sulla corda presa a Caterina. Egli la prende pensieroso e la esamina, come in sogno. Va a nasconderla sotto la panca presso la finestra. Francesco entra dal salottino, turbato. 1 fratelli si scambiano un'occhiata).

Francesco                      - Se n'è andato?

Pietro                            - Tornerà.

Francesco                      - C'è in quell'uomo qualcosa che lo fa assomigliare a un pidocchio. Che sarà?

Pietro                            - Sei maligno e pieno di preconcetti.

Francesco                      - Non è vero. In Spagna ho nutrito un odio inestinguibile per certi uomini, eppure vi era in essi qualche cosa degna di rispetto... Ma quell'uomo... quel... quel... Sentiremo la mancanza di Una.

Pietro                            - Meglio sempre che averla qui come un'ombra perduta. (Pausa) Vado a chiamare il signor Tiffney per discutere con luì la situazione. Vuoi partecipare anche tu?

Francesco                      - Se può essere utile. (Una discende la scala lentamente).

Pietro                            - Dobbiamo discorrere un pò Una. Pre­para le sedie intorno al tavolo, mentre vado a chiamare il signor Tiffney. (Pietro esce. Francesco si volta e guarda Una che è ferma ai piedi della scala).

Francesco                      - r Hai riposato?

Una                               - Ho messo a letto Caterina. (Pausa).

Francesco                      - Ci sentiremo molto soli dopo che tu... Io... io sentirò la tua mancanza, Una...

Una                               - (accosta lentamente le sedie una alla volta, senza parlare).

Francesco                      - Posso dirlo... ora che stai per an­dartene... per non tornare mai più... C'è sempre stata tanta gentilezza in te... tanta dolcezza... forse era la donna che parlava in te... la donna che cammina a piedi nudi sopra le pietre... piangendo sulla sorte delle bestie ch'ella stessa ha aiutato a venire al mondo... volevo lo sapessi... io... io non volevo che tu andassi via senza saperlo...

Una                               - (scoppia in pianto, le mani sul viso) Oh; Francesco, non dire... no... vorrei poter vedere in te mio fratello, il mio caro fratello col quale gio­cavo quando la mamma era viva...

Francesco                      - Lascia andare... Io... io volevo sol­tanto che sapessi... prima che ti avessero allon­tanata da me... (Entra Pietro seguito da Silvestro Tiffney e Paddy Ardee, Francesco ridiventa duro e li guarda con diffidenza. Una indica le sedie).

Pietro                            - Sedete, padre Tiffney. E sedete anche voi, Paddy.

Paddy                           - Grazie. (Pausa) E’ un orribile tempo tutto sommato. Anche le stagioni sono andate all'inferno in questo paese. (Tiffney e Paddy Ardee siedono).

Tiffney                          - Ho già detto, Pietro, che non mi sì deve chiamare « Padre ».

Pietro                            - Voi per me siete sempre il mio padre spirituale. Desidererei avere un vostro consiglio. Vuoi sedere anche tu, Francesco? (Francesco sie­de. Una siede vicina a Tiffney. Improvvisamente appare Caterina alla sommità della scala).

Caterina                        - (scendendo, aggressiva) No, non venderete la terra di mio padre. Credete che non sappia quello che avete in animo di fare?

Pietro                            - Vieni qui e siediti, Caterina, e stai a sentire.

Caterina                        - Non voglio sentire niente. Mio padre e mia madre hanno vissuto qui, e qui morirono. Non ne venderete neanche un metro.

Francesco                      - Ah, stai tranquilla e siedi. Nessuno venderà la terra, nessuno, finché sarò qui io.

Paddy                           - Un'azienda agricola è certamente una orribile cosa. Meglio un sacco da zingaro sulle spalle e la grazia di Dio.

Caterina                        - Tacete, Paddy Ardee, altrimenti le vostre frottole ci soffocheranno tutti.

Pietro                            - Ora statemi a sentire una volta per tutte. (Pausa) Io mi trovo con le spalle al muro. Noi siamo in debito con la banca di trecento ster­line ed essa reclama la vendita del fondo. Io non ho scorte, non ho macchine, non ho danaro, e nessuno mi farebbe credito. Paddy Ardee è l'ultimo uomo rimastomi ed anch'egli se ne andrà a fine settimana perché ha trovato lavoro in città. Gli altri due se ne sono andati in Inghilterra la setti­mana scorsa, avendo ottenuto salari possibili. Cosa debbo fare? Desidero vivere mantenendo fede a tutto quello che mi fu insegnato da bambino. Vo­glio continuare a vivere credendo in Dio, nei fatti naturali, nel matrimonio, nei bimbi, nel ridere qualche volta. Ma so bene che se vado avanti così, diventerò un'erbaccia e finirò per non credere più a nessuna di queste cose. Ecco quel che temo, ecco perché me ne voglio andar via. Ho detto quello che dovevo dire. (Siede) Avete qualcosa da suggerire?

Paddy                           - E' orribile, ecco quello che è, orribile...

Francesco                      - Debbo aggiungere questo. (Dà un pugno sul tavolo) La nostra terra non andrà mai ' a finire in mano ai banchieri e agli imbroglioni.

Caterina                        - Difendici, Francesco, noi siamo or­fane. Difendi la terra del babbo.

Francesco                      - Sta zitta, Caterina, e lasciami par­lare. (A Pietro) Dico questo perché tu conosca chiaramente il mio punto di vista.

Pietro                            - E con questo? Qual è la via d'uscita?

Tiffney                          - Si potrebbe persuadere Paddy a ri­manere?

Paddy                           - No, per Dio, non è possibile. H lavoro dei campi è orribile, tira fuori dal corpo il sudore e la fame è sempre alle spalle mentre si traccia il solco.

Tiffney                          - Cosa c'è poi di così orribile?

Paddy                           - Non è mica la terra in se stessa, è la canaglia che domina il paese. Io sono un buon cia­battino e posso guadagnare tre sterline alla set­timana a Dundalk ed avere un lètto su cui disten­dermi di notte, invece dei quindici scellini che mi danno qui e del giaciglio nel fienile, mentre frotte di graziosi animaletti si divertono a far le corse sul mio povero corpo.

Caterina                        - Non hai il diritto di parlare, tu che hai per nome solo quello di una città che qualcuno ti ha dato per misericordia di Dio.

Francesco                      - Zitta, tu.

Paddy                           - Ah, no, Francesco, ha ragione lei. Un piccolo uomo dagli occhi di furetto mi raccolse, nella città di Ardee, sulla soglia della sua casa. dove mi avevano abbandonato dopo avermi attac­cata al bavagliolo una busta con su scritto Paddy. E per Dio, disse allora l'uomo dagli occhi di fu­retto alla moglie, per Dio, disse, lo chiameremo Paddy Ardee.

Caterina                        - Lo sapevo bene che è la spazzatura di una strada.

Paddy                           - E chi ti dice che io non sia il figlio del novantanovesimo barone di Mullahmant con ocea­ni di sangue blu nelle mie vene? Potrebbe anche essere.

Francesco                      - C'è una sola specie di sangue in questo mondo: sangue rosso ed un po' ne verrà sparso per difendere questa casa.

'Caterina                        - Bravo, Francesco. Impedisci che vendano la terra di mio padre.

Una                               - Via, Caterina, non puoi tacere e lasciare che parlino gli uomini?

Caterina                        - Ah, tu sei per gli uomini, vero? Perché hai avuto una promessa di matrimonio. Anch'io ne ebbi una. Ma aspetta. Aspetta finché la luna tramonti. Aspetta che la marea salga. A-spetta finché il miele si muti in fiele.

Pietro                            - (ad Una) Non badarci, Una.

Una                               - Ora son pentita, Pietro, di aver detto di sì a Martino; resterò qui, invece, ad occuparmi di voi tutti.

Pietro                            - Niente affatto. Tu andrai dove devi andare. Devi tirarti fuori da questa palude. Al­meno uno di noi deve liberarsi.

Paddy -                         - E' orribile quello che Caterina ha detto alla ragazza. Sposarsi è un fatto naturale. , Anch'io, se avessi una piccola casa e qualche ster­lina alla settimana, mi sposerei.

Francesco                      - Che vorresti farne di una don­na, tu?

Paddy                           - Quello che ne fa ogni uomo. E' possi­bile che un contadino, in Irlanda, debba sentirsi sempre dire in chiesa di pregare e mantenersi puro perché Dio gli manderà una donna quando avrà finito di mettere in ordine il mondo e i pia­neti?

Pietro                            - Basta col divagare. Voglio sapere cosa dobbiamo fare.

Caterina                        - (alzandosi, livida) So cos'hai nella tua dannata mente. Ma tu non venderai la terra di mio padre e la casa. Mai.

Pietro                            - (calmandola) Va bene, Caterina, va bene.

Caterina                        - Io so. E' stata nostra madre a dir­melo. Me l'ha assicurato. Io non tradirò la mamma. (Si volta e sale la scala molto agitata).

Una                               - Andrò di sopra, Pietro, per calmarla.

Tiffney                          - (interponendosi) No. Sarà, invece, meglio che tu, Paddy, vada a dire al dottor Rafferty di venire qui.

Paddy                           - Subito, signor Tiffney. Debbo dirgli che Caterina sta male?

Tiffney                          - Digli soltanto di venire.

Paddy                           - Bene. (Esce),

Tiffney                          - Pietro, qualcosa non va con Cate­rina.

Pietro                            - Ma Rafferty l'ha visitata oggi.

Tiffney                          - Fa niente., Quei disturbi possono peggiorare improvvisamente. Meglio assicurarsi.

Francesco                      - Ah, tutti questi sentimentalismi e questa compassione... Perché non le fanno un certificato e non la portano via dove può essere ben curata?

Una                               - Come sei crudele!

Tiffney                          - Sei mai stato in un ospedale per in­fermi di mente, Francesco?

Francesco                      - Non ancora, ma il vostro cuore ecclesiastico può sempre sperare.

Tiffney                          - Sono posti desolanti. Lo sono come gli asili per bimbi abbandonati nella Russia co­munista,

Francesco                      - Sono desolanti come quei tuguri nei quali i nostri bambini vivono nella città di Dublino?

Una                               - . Non capisco quello che dite. I vostri discorsi sono sempre incomprensibili per me. Andrò a preparare il tè nel salottino. (.Una si alza e va nel salottino portando un vassoio con le tazze. Francesco e Tiffney si guardano con aria di sfida, Francesco sconvolto, Tiffney filosofica­mente).

Tiffney                          - Una ha ragione. Noi siamo a galla e coloro che si mantengono a galla parlano sem­pre bene. La nostra libertà ci è stata donata, ma nessuno- di noi ha mai accettato le responsabilità che quella libertà comporta. Essa avrebbe do­vuto insegnarci a render prolifici i nostri sterili villaggi, a bandire per sempre la vergognosa scar­sità di bimbi rendendo possibile il matrimonio ai nostri giovani, dando loro la possibilità di vi­vere, di amare, di pregare con dignità. Ma nulla di ciò è stato fatto.

Francesco                      - Ora, ammettete la realtà dei fatti. Proseguite, anche se ciò dovesse farvi male.

Tiffney                          - Ammetto tutto quello che tu am­metti, ma con una differenza. Tu, Francesco, vuoi rifare il mondo col ferro e col sangue, con le leggi e gli editti, bandendo Iddio; io non sono d'accordo.

Francesco                      - Via, non divagate nell'infinito. At­tenetevi ai fatti.

Tiffney                          - Dovremmo vivere di realtà? O di verità? I fatti sono il residuo dell'incendio dei secoli e diventano le fonti delle nostre cieche con­cezioni. Ma la verità è eterna e ci vien rivelata. Un bambino a piedi nudi nelle strade di Dublino è un fatto, un vergognoso fatto. Questa casa dì cuori infranti è ancora un fatto. Cosa provano essi? Semplicemente che lo Stato è corrotto.

Francesco                      - E non basta? Non giustificano il mio ideale comunista?

Tiffney                          - Ogni ideale, Francesco, il tuo inclu­so, dopo un po' degenera nella tirannia di ieri. Ecco perché nessun sistema di riforme, di nessun governo, potrà di per se stesso annullare l'intrinseca iniquità sociale ed economica di questo o di qual­siasi altro paese. Impostori di ogni genere han sempre nascosto la verità, ma ci fu promesso che essi non prevarranno.

Francesco                      - Essi hanno sempre prevalso. Lo potete negare?

- Tiffney                        - Solo apparentemente, solo per i nostri deboli occhi... Proprio come il fanciullo a piedi nudi di Dublino o colui che va a caccia di un seggio in un consiglio, o il sacerdote che impiuma il suo nido nel nome della Chiesa eterna. Provano ben poco ed, alla fine, non sono pericolosi.

Francesco                      - Cosi. Ora ci conosciamo bene. (Ride amaro).

Pietro                            - (saltando su) Guardate! Dio supremo, guardate il fumo. (Nuvole di fumo vengono dalle scale. Si ode la stridula risata di Caterina).

Francesco                      - Quella pazza ha dato fuoco alla casa. Se le fiamme raggiungono il tetto è finita... I Corriamo, corriamo. (Pietro corre di sopra e batte Y alla porta. Francesco lo segue portando due secchi d'acqua. Una accorre e Tiffney la cinge con un  braccio) ,

Pietro                            - (gridando) Apri, Caterina; apri la F porta.

Francesco                      - Sfasciala, quella maledetta porta!

Una                               - Povera Caterina... povera Caterina...

Tiffney                          - Non temere, Una, tutto si aggiusterà. (Si ode il rumore della porta violentemente sfondata).

Caterina                        - (piangendo) La mamma me l'ha detto, la mamma mi ha detto di farlo. « Bruciala, Caterina » - mi ha detto - « bruciala, prima che  vengano gli agenti». Così ha detto. Così ha detto. (Pietro, appena il fumo si dissipa, appare portando sulle braccia Caterina. Entra di lato il dottor Rafferty).

Rafferty ;                      - Paddy mi ha detto che... (Vedendo Caterina) In nome del Cielo, cosa accade? (Pietro adagia Caterina su una sedia. Ella è completamente alterata. Una le dà da bere).

Tiffney                          - La sua povera mente, Rafferty, le ha suggerito di salvare la casa bruciandola. C'è i qualche novità, qualche brutta novità, temo...

Rafferty                        - Comincio a pensare che non vi sia altro da fare. (Si avvicina a Pietro e Caterina) Come vi sentite, Caterina?

Caterina                        - E' stata la mamma a dirmi di farlo.

Rafferty                        - Lo so, Caterina. Nessuno vuol farvene colpa.

Una                               - (in lacrime) Un altro sorso, Caterina? (Una avvicina il bicchiere alle sue labbra).

Caterina                        - Vuoi che ti racconti una storia, Una, quella dell'uomo nero, con un cappellaccio nero e zoccoli come quelli di una mucca?

Una                               - Non ora, Caterina; me la racconterai stasera quando andremo a letto.

Caterina                        - (come in sogno) «Chi inganna uno» dei miei piccoli...». (Francesco discende riportando i secchi vuoti).

Francesco                      - Tutto è a posto ora. E' spento. Bruciavano le tende ed un pacco di vecchie carte.

Pietro                            - Fate quel che dovete fare, dottore. E se è necessario, non badate ai mezzi... (A Tiff­ney) Avete capito quel che voglio dire?

Tiffney                          - Sì, Pietro. Dio ci aiuti tutti...

Rafferty                        - Si deve, si deve farlo, Pietro.

Pietro                            - (con emozione) Non... non fate ve­nire di nuovo il carro nero, dottore. Io, io non potrei sopportarlo...

Rafferty                        - C'è la mia macchina alla porta, (il Caterina con gentilezza) Caterina, avete bi­sogno di andare un po' all'aria aperta. Pietro ed io ed il signor Tiffney vi accompagneremo a fare un bel giro; passeremo per Urney ed Arrendell.

Caterina                        - (scostandosi da Pietro) No. La mamma mi ha avvertita. Una casa invasa dalle fiamme, ha detto, è migliore di una casa piena d'ombre.

Rafferty                        - Ma andiamo solo a vedere il tuo amico, il Padre Reenan, quello che ti diede le medaglie e le sante immagini.

Caterina                        - Verrò se Una mi dirà che non sono menzogne. Una ha ancora la grazia di Dio.

Pietro                            - Diglielo, Una.

Una                               - Io... non posso... io non posso.

Francesco                      - Devi. Devi renderti conto. E' ne­cessario.

Una                               - Caterina, Pietro non... non ti menti­rebbe.

Caterina                        - Allora andrò. Una non direbbe co­sì se... (Una scoppia in pianto).

Rafferty                        - (prendendo l'altro braccio di lei) Appoggiatevi, Caterina. Andremo proprio a fare un bel giretto. (Caterina attraversa la stanza so­stenuta da Pietro e da Rafferty. Il gruppo si trova faccia a faccia con Tiffney. Questi e Caterina si guardano),

Caterina                        - Interrogatemi sul catechismo, sì-gnor Tiffney.

Tiffney                          - Quando tornerai, Caterina.

Caterina                        - (in collera) Inteirrogaitemi, altri­menti vi strapperò il vestito. Domandatemi: «Cosa dirà Cristo al peccatore?».

Rafferty                        - (sottovoce) Meglio assecondarla.

Tiffney                          - Va bene, Caterina. « Che dirà il Si­gnore al peccatore? ».

Caterina                        - (alta la testa, gli occhi spalancati e torturati lentamente, con patetica declamazione) Cristo dirà al peccatore: « Allontanati da me, tu colpevole, e sii dannato al fuoco eterno ». (Ella abbassa la testa e dice lentamente) Era proprio questo periodo dell'anno e mio padre gettava il seme e il sangue selvaggio si scagliava contro Dio... (Pietro e Rafferty la spingono fuori. Francesco la segue con lo sguardo come se fosse divenuto di sasso. Tiffney segue lentamente il gruppo. Una si copre il viso con le mani. Improvvisamente al­larga le braccia e grida piangendo).

Una                               - No, no... (A testa bassa) No, no, no, no, no... (Francesco lentamente si ridesta e la guarda).

Francesco                      - (con irritazione ed amarezza) Quel­le sono le pastoie infernali con le quali serrano le nostre vite. Schiavitù e penitenza e fuoco dell'in­ferno se non si obbedisce. Questo hanno fatto con Caterina. Lo stesso stanno facendo a tutti noi...

Una                               - Oh, Francesco, Francesco. Io... io non pos­so sopportarlo... io non posso sopportarlo... (Un'om­bra di pietà scende sul volto di Francesco. Ella sol­leva verso di lui il viso piangente ed egli è per la prima volta vinto dall'emozione).

Francesco                      - (quasi in sussurro) Una... (In un at­timo ella è tra le sue braccia, la faccia contro il suo petto. Egli la cinge teneramente con le braccia e si guarda intorno, come se temesse di essere derubato di questa unica piccola tenerezza. Con le labbra tra i suoi capelli) Su, su. Piangi pure se vuoi. Cos'è per me? Ho visto centinaia di donne impazzite a Madrid che portavano sulle braccia i figlioli morti, mentre noi si tenevano indietro i bastardi. Non giova pian­gere, Una... Ci vuole del sangue, del sangue... (Fran­cesco guarda, turbato, i capelli di Una, mentre cala la tela).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

                                     

La stessa,scena, alcuni giorni dopo

QUADRO PRIMO

(Sul tavolo si vede una grande valigia, aperta e quasi piena; vicino siede Pietro che ha davanti a sé un libro di conti mentre conta biglietti di banca e danaro spicciolo che trae da una vecchia casset-tina. Sul tavolo ci sono due lettere aperte. Pietro è vestito per viaggio, con colletto e cravatta. Paddy Ardee entra con in mano le redini della cavalla, che pone in un angolo).

Paddy                           - La cavalla è a posto e le ho dato da mangiare. E le mucche sono sistemate per la notte. Avete visto Una per caso?

Pietro                            - E' andata in città per acquistare il suo abito. Cosa volevi da lei?

Paddy                           - Niente. Era solo per vedere se fosse per caso avanzata una goccia di tè.

Pietro                            - Sempre a chiedere del tè, vero?

Paddy                           - La colpa è del mio stomaco orribilmente secco. (Vedendo la valigia) State per andarvene?

Pietro                            - Sì, vado via.

Paddy                           - Perché tanta fretta? Non vi sarete mica dimenticato del mio danaro, no? Anch'io vado via stasera.

Pietro                            - Come potrei dimenticare se non fai che ricordarmelo? Ecco il tuo danaro.

Paddy                           - (prendendo i biglietti e le monete con pre­cauzione) Che cosa orribile il danaro! Ha ridot­to in polvere il mondo intero. Ci vorrà ancora del tempo prima che arrivi l'autobus per Dundallc (Prende la teiera dal focolare e la scuote) Sì... ce n'è ancora una goccia. Sarebbe buttata via in ogni modo... (Egli si versa il tè, lo inzucchera e quindi vi mette il latte. Indi siede su uno sgabello mentre Pietro continua a fare i conti. Frattanto è entrato Francesco portando una grande scatola di cartone che pone sulla panca).

Pietro                            - (rassegnandosi) Ancora di quella roba...

Francesco                      - E con questo?... Mi piace intimorire i bastardi... E’ come se mi liberassi da questa pri­gione. Vivo un poco di nuovo... (Tira fuori dalla tasca la rivoltella e va zoppicando a deporla nel sottoscala).

Paddy                           - (impaurito alla vista dell'arnia) Dio ci salvi e ci protegga... è una... una cosa orribile, una pistola. (Francesco si accosta a Paddy che si accin­ge a bere U tè).

Francesco                      - Cos'hai da borbottare?

Paddy                           - (ha paura) Io... io non ho neppure re­spirato.

Francesco                      - Dai qui. (Prende dalle mani di Pad­dy la tazza e getta via il tè) Tè, tè, tè. Che diavolo farai quando tutto il tè del mondo sarà stato con­sumato?

Paddy                           - Via, Francesco, non farmi paura.

Pietro                            - Francesco, desidero parlarti. Lascia andare quel fannullone ed ascoltami.

Francesco                      - (voltandosi) Che c'è? (Paddy Ardee si abbandona su una sedia e si addormenta, a bocca aperta).

Pietro                            - Ho ricevuto una lettera da Cornelio Flanagan. Dice che se stasera parto per Glasgow, egli sarà in grado di trovarmi subito lavoro in un cantiere navale di quella città.

Francesco                      - (dopo una pausa) Tutto va a rotoli ormai. Cosa può importarmi?

Pietro                            - Io ho fatto del mio meglio. Non posso fare di più. Questa è arrivata con la posta del po­meriggio. (Dà a Francesco un foglio azzurro).

Francesco                      - Cos'è?

Pietro                            - Non puoi leggere? La banca ha otte­nuto una sentenza con cui si ordina la vendita all'asta della casa e del terreno.

Francesco                      - Una volta c'erano gli Yeomen, poi vennero i Bruni; ora è la volta delle Banche. Il male ha molti nomi. Accendi la tua pipa con questo.

Pietro                            - Se avanzerà qualcosa dal ricavato della vendita dopo aver pagato la banca, desidero venga diviso tra te ed Una. Io non voglio niente.

Francesco                      - Non ci sarà nessuna vendita.

Pietro                            - Sai bene che la banca farà intervenire la polizia e, se occorresse, anche la truppa, per tu­telare i suoi interessi.

Francesco                      - (arcigno) Lo so. (Si guardano).

Pietro                            - (semplicemente) Sei proprio sicuro che sia la casa a preoccuparti? Tu sei in attesa che scor­ra del sangue fin da quando sei tornato da quella dannata Brigata di Spagna. Spasimi dal desiderio di risentire quelle tue diaboliche armi. Non è que­sto che ti spinge?

Francesco                      - Può darsi. Uscire da questa tomba... vivere di nuovo, respirare, gridare, assaporare il sangue... bruciare come una torcia... Ebbene? Vuoi le mie scuse, tu che prepari le fosse?

Pietro                            - Ma non vedi che ti uccideranno? Sei cieco? La vita può essere dura, ma è preziosa.

Francesco                      - La vita non è mai preziosa, eccetto per gli uomini da poco che temono di perderla. Quando la vita diventa preziosa per un popolo, esso imputridisce e perisce.

Pietro                            - Non bisticciamo. Noi andiamo per vie diverse. Non è probabile che ci incontreremo an­cora... Mi vuoi fare una promessa prima che io vada? Vuoi interessarti perché il matrimonio di Una con Martino Langley avvenga in ordine a Du­blino? '

Francesco                      - Se Una è sempre della stessa idea, prometto.

Pietro                            - Ella lo ama ed egli sarà per lei un ot­timo compagno.

Francesco                      - Ecco quello che pensi perché a scuola ti è stato inculcato il rispetto per le cose di poco valore. Povera Una!... Ella dovrà sopportare da un lato il piccolo tiranno e dall'altro il servile parassita, e sarà condannata a non più vivere ec­cetto quando il bigotto lustrascarpe russerà al suo fianco. Avrei augurato ben diversa fortuna ad Una... ben diversa... (Con subitanea veemenza) Ma cosa può importarmene? Nulla... (Guardando Paddy) Po­veruomo, addormentato nelle braccia del Signore con la bocca aperta, mentre il mondo sta per esplo­dere... (Egli appoggia la testa contro la cappa del camino. Pietro aggiusta la sua valigia e va riem­piendola. Una entra di corsa portando una grande scatola. E' rossa ed eccitata. Corre verso Pietro, mentre Francesco non si volta neppure).

Una                               - Pietro, mi ucciderai e farai bene... Ho speso tutto il danaro.

Pietro                            - (con calore) All'inferno il danaro, Una. Tu sei felice. Come è andata?

Una                               - L'ho comprato da Tobin. M'ero già decisa per uno di minor prezzo, ma quando mi hanno mo­strato questo abito, non ho saputo resistere. Mi perdoni?

Pietro                            - Stupida. Non ho niente da perdonarti. E’ solo una piccola parte dì quanto avresti dovuto avere se le cose fossero andate diversamente. La­sciami vedere piuttosto.

Una                               - E' magnifico, è... è straordinario. Oh, ma che vergogna e quale leggerezza la mia di impazzire per fronzoli ed abiti mentre tu stai per allontanarti per sempre.

Pietro                            - Non vado mica via per sempre. Solo po­chi anni starò lontano. Ed ora, fuori l'abito. (Ella apre la scatola e ne vien fuori un abito da sposa di satin bianco con velo, che mostra al fratello estatico. Pietro lo osserva).

Una                               - Dimmi qualcosa, Pietro. Dimmela per favore.

Pietro                            - E' meraviglioso, Una. E’ il più bello che abbia visto in vita mia.

Una                               - (corre verso di lui e lo abbraccia) Grazie, Pietro; grazie per tutto, ora e sempre. (Ancora stretta a Pietro, ella guarda furtivamente France­sco, che non mostra di. interessarsi. Pietro va in aiuto).

Pietro                            - Non ammiri l'abito da sposa di Una, j Francesco? (Francesco sì volta lentamente. Una la­scia Pietro e mostra con timidezza l'abito a Francesco).

Una                               - Ti piace, Francesco? E' il mio... mio abito da sposa.

Francesco                      - (accostandosi lentamente a lei) E' graziosissimo, Una... (Lo tocca con tenerezza) Qual­cuno ha ideato quest'abito in un momento di feli­cità, Una, e l'ha realizzato come un sogno. Ecco come nascono le cose belle.

Una                               - Ed allora io, Francesco, avrò su me il sogno di qualcuno. (Pietro, lieto, esce verso il sa-lottino).

Francesco                      - Sì. E chiunque egli sia stato, egli vide te nel suo sogno e tu non avevi nome, né raz­za... Ma non importa.

Una                               - Grazie, Francesco, per quel che m'hai detto. Sei davvero il mio fratello, ora... (D'impulso gli butta le braccia al collo) Oh, se anche tu po­tessi stringerti alla ragazza del tuo cuore e dirle «Ti amo, ti amo, ti amo». (Egli la tiene alla cin­tola e la guarda teneramente).

Francesco                      - Già... Essere un altro Mulligan, di­sciplinato e sottomesso...

Una                               - Ah, no, Francesco, non quello... ma essere innamorato così come io lo sono...

Francesco                      - Io amo.

Una                               - Ah, ma tu ami le leggi sociali ed altre cose terribili. Io invece amo quelle poco sagge...

Francesco                      - (lascia Una lentamente, mentre Pietro rientra portando alcune camicie che mette nella valigia).

Una                               - Pietro, vado a preparare qualche panino per il viaggio.

Pietro                            - Ottima idea, Una, anche perché ho pochi soldi da spendere.

Una                               - Farò tutto in pochi minuti. Dopo, verrò ad accompagnarti alla stazione.

Pietro                            - Benissimo. Ma devi promettermi di non piangere.

Una                               - Te lo prometto. (Una va in camera da pranzo con un coltello ed altre cose. Pietro si ri­volge a Francesco con animo grato).

Pietro                            - Sei stato buono, Francesco.

Francesco                      - (lentamente) Ho i miei momenti, Pietro...

Paddy                           - (svegliandosi) Chi mi dice che ora è?

Pietro                            - Sono quasi le cinque.

Paddy                           - L'autobus non passerà prima delle sei. E' una orribile attesa a stomaco vuoto... Se ci fosse almeno una goccia di tè, che altri non beve...

Francesco                      - Eccolo di nuovo con il tè... (Severo) Alzati e prepara da solo il maledetto veleno.

Paddy                           - Certo, lo farei e come, avutone il per­messo; solo che non è faccenda da uomo prepa­rare il tè. (Si alza con pigrizia e si accinge a pre­parare il tè. Entra Andy Redfern. Egli è eccitatis­simo, Una cerca di dominarsi, ha sua voce è aspra).

Redfern                         - Buongiorno a voi. (Mentre Pietro e Francesco lo guardano) Vai via, Pietro?

Pietro                            - Sì.

Redfern                         - A Glasgow, ho sentito.

Ptetro                            - Può darsi.

Redfern                         - (con uno scatto) Ti prego di rispon­dermi con un si o un no.

 Pietro                           - Che diavolo può importarvene? Non sono mica affari vostri.

Redfern                         - Può darsi che lo siano. Vai via solo?

Ptetro                            - Se vado via sodo?

Redfern                         - Già. (Pietro guarda stupefatto Fran­cesco e quindi ancora Redfern).

Pietro                            - Avete bevuto troppo, oggi, Redfern.

Redfern                         - Voglio una risposta.

Pietro                            - Siete in collera perché non ho voluto vendervi il fondo, né accettare di lavorare per voi con una paga da schiavo.

Redfern                         - (facendo schioccare le dita) Lascia andare il fondo. L'ho in tasca e dovresti saperlo. (Dà colpetti sulla tasca).

Francesco                      - (con fredda asprezza) Attento, Red­fern!

Redfern                         - Voglio una risposta,

Pietro                            - C'è una sola persona al mondo di cui avrei desiderato la compagnia, Redfern, ma voi avete messo a posto le cose per entrambi. Fa niente. Starò benissimo solo.

Redfern                         - Non ne sono così certo, no davvero.

Pietro                            - Ma, insomma, dove diavolo volete ar­rivare?

Redfern                         - (eccitata puntando un dito) Debbo ringraziare te per mia figlia. Ella è qui con te, na­scosta. So quello che avete in animo di fare. Di tutti i mascalzoni...

Francesco                      - Ho detto; attènto, Redfern!

Redfern                         - Attento, un corno. Dov'è Nora? (A Pietro) Tu lo sai. E lei ha preso trecento sterline del mio denaro. (Francesco ride).

Pietro                            - State a sentire, Redfern. Io non vedo Nora da oltre una settimana.

Redfern                         - Sei un bugiardo.

Pietro                            - Bisogna che mi trattenga, altrimenti ve ne darei tante. Ma voi siete sempre e prima di tutto suo padre. Ve ne volete andare ora? (Una rientra portando i panini).

Una                               - Che succede? Cosa vuole qui Andy Red­fern?

Pietro                            - Dice che Nora è scappata di casa con trecento sterline e che si trova qui.

Redfern                         - E lo ripeto. Cercherò in tutta la casa.

Pietro                            - Avanti, dunque. Cercate.

Francesco                      - Guardatevene bene, Redfern.

Redfern                         - E' il mio diritto; il mio diritto di padre.

Francesco                      - I vostri diritti non mi impediranno di piantarvi una pallottola tra i denti sporgenti se solo vi azzardate.

Redfern                         - Non immischiartene, Francesco. Non ce l'ho con te. Noi due siamo buoni amici e ci aiu­tiamo a vicenda.

Francesco                      - (arcigno) Noi ci serviamo l'uno dell'altro. Voi vi servite di me per i vostri scopi ed io di voi per i miei.

Redfern                         - Dovrei averlo capito che tu sei della stessa razza. Va bene, allora. Prendila come vuoi e va all'inferno anche tu.

Una                               - (correndo presso Francesco) Per carità, Francesco, non dire una parola. Tira fuori quella mano dalla tasca. (Afferra la mano di lui che strin­geva già la pistola nella tasca).

Francesco                      - Non preoccuparti, Una. Se non gli ho sparato contro fino ad ora, non lo farò più.

Una                               - Tornate a casa, Redfern. Nora non è qui. Sono stata a Dundalk questa mattina e l'ho vista in via Emmet.

Redfern                         - Dov'era? Cosa faceva?

Una                               - Faceva semplicemente delle compere e probabilmente ora sarà a casa. Comprava un abito nuovo da Tobin.

Redfern                         - Ma non aveva bisogno di un nuovo abito. Il mio danaro, le mie trecento sterline, frutto di tanto lavoro e raggranellate soldo a soldo. Ed una figlia disgraziata va a sciuparle in cianfru­saglie.

Francesco                      - Cosa farà ora per la sua donna il vecchio Cornelio Murdock?

Una                               - Francesco, per favore. Tornate a casa, Andy Redfern. Vostra figlia ha ventisette anni e sa guardarsi da sé.

Redfern                         - Già, la disgraziata. Capace di rubare il danaro a suo padre.

Pietro                            - E' quello che vi meritate. L'avete sem­pre trattata male, quella povera ragazza.

Francesco                      - Non ha fatto per oltre quattro anni la commessa nella vostra bottega, senza paga? Ha preso quel che le spettava.

Redfern                         - Vi ha mentito.

Francesco                      - Se ha mentito, la vostra vita e la vostra casa hanno fatto della ragazza una bugiarda. Dovunque ella sia ora, respira, si sente pura, si sente viva. Si è liberata, e per la prima volta in vita sua. Spero che non riuscirete a riprenderla.

Redfern                         - Che tu sia dannato. Io, per Iddio, io...

Francesco                      - Voi, cosa?

Redfern                         - (padroneggiandosi) Non ho niente da dirti. Il canonico mi ha detto chi sei.

Francesco                      - Ed io ho detto chi siete voi. Ma è ora che ve ne andiate, no? L'odore della vostra falsa morale mi mozza il respiro.

Redfern                         - Non ho ancora finito. C'è ancora la vendita... la bella vendita all'asta della proprietà Mac Elroy. (Eccitato e rosso in viso, Andy Redfern esce di corsa, mentre Francesco ride amaramente).

Pietro                            - E' enorme!... Nora fuggita. Aveva sem­pre tanta paura di lui.

Una                               - Vorrei che fosse venuta da te, Pietro.

Pietro                            - Chi può avere interesse a me? Nora non dovrà andare troppo lontano per trovare un uomo migliore di me. Non parliamo di ciò... la­sciamo andare...; dovrei essere già partito a quest'ora. Sei pronta, Una?

Una                               - Metti questi panini in saccoccia; vado a prendere il mio cappotto. (Una va nella sua stanza. Pietro e Francesco si guardano).

Pietro                            - Allora, debbo dirti addio, Francesco.

Francesco                      - Già...

Pietro                            - Non è troppo duro dirsi addio tra noi; non siamo stati mai molto uniti.

Francesco                      - Tu mi sei stato di grande aiuto, debbo dirlo. Ho desiderato di ricambiarti in qual­che modo, ma non ci sono riuscito.

 Pietro                           - Non mette conto parlarne ora...

Francesco                      - Per me è importante, invece. Tu., tu volevi Nora Redfern, vero?

Pietro                            - Più di ogni altra cosa... Ma lasciamo ì andare.

Francesco                      - Lei... ti ha preceduto, Pietro. La troverai a Belfast, nel ristorante Danny presso il porto; ti aspetta.

Pietro                            - (stupefatto) Tu... tu... dici una bugia.

Francesco                      - No... ho preso io gli accordi. (/ fra­telli si stringono forte la mano).

Pietro                            - Magnifico... io...

Francesco                      - Non dire nulla.

Pietro                            - No... (Una torna correndo).

Una                               - Sei pronto, Pietro?

Pietro                            - (lasciando Francesco e afferrando il brac­cio di Una) Andiamo... andiamo. Ora non posso permettermi di essere in ritardo. Io...

Una                               - (mentre egli la spinge verso la porta)  Cosa è successo, Pietro? Cosa?

Pietro                            - Te lo dirò per strada. (Dalla porta guarda ancora Francesco) Tu... tu sarai impiccato, Francesco.

Francesco                      - Ucciso da un colpo d'arma, Pietro. I Impiccato muore uno schiavo. (Pietro scompare di corsa con Una. Francesco cammina per la stanza \ senza scopo finché si ferma a guardare Paddy Ardee che dorme. Ironicamente) « Dopo Dio amo te, Ir­landa adorata, mia patria...».

Paddy                           - (svegliandosi) Dicevi a me, Francesco? Io... io ho un sonno orribile e lo stomaco è secco.

Francesco                      - A cosa stai pensando?

Paddy                           - A niente.

Francesco                      - (prendendolo per il colletto) Lo sai che Pietro ha lasciato questa casa per sempre ed è andato in una bocca d'inferno chiamata Glasgow? Lo sai che migliaia di altri Pietro stanno facendo la stessa cosa? Lo sai che banche ed interessi costituiti posseggono quasi tutta la terra di questo paese? Lo sai che un dottore afferma che ventimila persone in Dublino vivono con mezzo scellino al giorno? E che egli si è dichiarato stanco di somministrare medicine a bambini che sono destinati a  morire di fame? Lo sai tutto questo?

Paddy                           - (guardandolo atterrito) Ah, certo, è orribile, Francesco, orribile, orribile... II... il paese è tutto in un orribile stato... e guarda me, Francesco, guarda me e dimmi se non è insopportabile che io non debba sapere neanche chi sono.

Francesco                      - (lo lascia con un'ultima spinta) E I chi è ognuno di noi?... Noi andiamo su e giù, su e giù, su e giù... (Entra Martino Langley fumando pigramente una pipa. Francesco lo guarda con grande durezza).

Langley                         - Salve, Francesco.

Francesco                      - Salve...

Langley                         - Sempre in cerca del miglior modo per sistemare il nostro vecchio globo?

Francesco                      - Se debbo sopportare la vostra pre­senza, risparmiatemi almeno il vostro spirito.

Langley                         - Vi risparmierò volentieri anche la mia presenza se mi direte dove posso trovare Una.

Francesco                      - (indicando Paddy) Là c'è l'Ufficio Corkiano d'Informazioni. (Francesco siede).

Langley                         - (con uno scatto) Dov'è Una?

Paddy                           - E' andata alla stazione con Pietro.

Langley                         - L'aspetterò qui se me lo permettete.

Francesco                      - (legge un giornale e lo ignora comple­tamente. Langley siede e fuma, un occhio sempre fisso su Francesco).

Langley                         - (dopo una pausa) Non si potrebbe, Francesco, parlare un po' amichevolmente noi due, visto che presto saremo della stessa famiglia?

Francesco                      - Ci vuol molto più del vostro male­detto matrimonio, Langley, per unire con vincoli così importanti. due persone come noi.

Langley                         - Siete proprio deciso a non essermi amico? Non è stato Chersterton a dire che se gli uomini non possono andar d'accordo dovrebbero almeno creare una sopportabile atmosfera di com­promessi?

Francesco                      - Io posso sempre sopportare un uo­mo come Chersterton, purché non venga citato da uno come voi.

Langley                         - (alzandosi) Ciò è offensivo. Io vivo una vita di lavoro che, oltretutto, è utile al paese.

Francesco                      - (si alza e si avvicina a lui) Voi non avete una vostra vita. O, per lo meno, sono altri a guidarla. La guidano gli uomini che trafficano per imporvi di allevare schiavi per le loro esigenze. La guidano i politici sollecitando il vostro concorso per narcotizzare la generazione che sorge. La gui­dane i preti obbligandovi a inculcare col bastone la Fede nei ragazzi. E tutti vi danno poi tante e tante pedate che voi finite per gemere « peccavi » anche nel sonno... (Con freddo sarcasmo) « La sop­portabile atmosfera di compromessi » di Cherster­ton... Per amor- di decenza, lasciate in pace Cher­sterton. (Francesco va verso la porta ed esce. Pad­dy lo segue con lo sguardo, impaurito. Langley è in gran collera).

Langley                         - Qualche diavolo s'è impossessato di quel ragazzo...

Paddy                           - Le sue parole scottano come carboni ardenti. Ha la testa in fiamme, ecco quello che ha. Seguirà la sorte di Caterina.

Langley                         - Niente di tutto ciò. Egli è soltanto amaro.

Paddy                           - Amaro un cavolo! Non sono mica stato qui per sei anni con gli occhi nel taschino del pan­ciotto. Di certo, questa è la più stramba famiglia al cui servizio io sia stato. Guardate la madre.

Langley                         - Cosa c'è da dire sul suo conto? Non è morta?

Paddy                           - E' morta dopo che... l'ebbero portata via. Era inferma di mente. Non entrò un giorno in chiesa mentre si celebrava la messa e, avvicinatasi all'altare, non disse ad alta voce: «Buongiorno, Dio, ma è proprio un tempo del diavolo quello che ci stai mandando » ?

Langley                         - (turbato) Che state inventando, Paddy?

Paddy                           - Non vi arrabbiate.

Langley                         - Non mi arrabbio.

 Paddy                          - Bene. M'era parso di vedere in voi il pic­colo soffio del temperamento dell'uomo di Cork. Ma poi, perché vado io a interessarmi degli affari degli altri? Se non volete quella tazzina di tè che è avanzata nella teiera la prenderò io.

Langley                         - Io non bevo.

Paddy                           - (versando il tè) E' una orribile cosa aver lo stomaco secco come una fornace da calce. Ma certo sarebbe peggio se io avessi un pipistrello nella testa... Giacomo era il migliore di tutti quelli che se ne sono andati.

Langley                         - Chi era Giacomo?

Paddy                           - (indicando l'ingrandimento fotografico alla parete) E' quello lì. Era il maggiore.

Langley                         - (guarda la fotografia) Somiglia ad Una, gli stessi occhi e la sua gentilezza. E' morto?

Paddy                           - Sì.

Langley                         - Di cosa morì?

Paddy                           - Ah, non l'hanno mai detto.

Langley                         - L'avete visto morire?

Paddy                           - No. Ma ricordo sempre la faccia che aveva quel giorno quando là, oltre l'arato, la cosa gli capitò... Ascoltate. E' il rumore del mio auto­bus? Che ora è?

Langley                         - (preso dalla paura) Non è il vostro autobus. Cosa... cosa gli capitò?

Paddy                           - Oh, già!... Lo squilibrio mentale.

Langley                         - Paddy, vi torcerò il collo se non mi direte la verità.

Paddy                           - Non ho altro da dire. Fu Andy Refner a legarlo con le corde.

Langley                         - Corde? Quali corde?

Paddy                           - Le corde per la cavalla. Sono ancora lì, in quell'angolo.

Langley                         - (guardando le redini) Lo portarono via legato con queste redini?

Paddy                           - (guardando le redini) Sì, lo legarono quando arrivò il carro nero. Andy Redfern ed io gli stavamo sopra per legargli le corde attorno alle braccia e alle gambe. Quando il sangue gli andò via dagli occhi, essi erano dolci. Andy era commosso ed egli non è uomo debole.

Langley                         - E' per quello che Andy Redfern non ha voluto che la figlia sposasse Pietro?

Paddy                           - Può darsi. (Pausa) Che ora è?

Langley                         - Sono quasi le sei.

Paddy                           - Il mio autobus dev'essere vicino alla casa di Andy. (Finisce di bere il tè) Sono contento di andarmene. Non voglio più rivedere la campa­gna, né avere un fienile per camera da letto. (Si sente la sirena di un auto) Madre di Dio, arriva l'autobus. (Paddy si precipita fuori mentre Langley continua a guardare agitato le redini. Poi attra­versa la stanza come in sogno e va a guardare il ritratto di Giacomo. Entra silenziosamente Silve­stro Tiffney).

Tiffney                          - Mi sono addormentato sotto la tet­toia sentendo la cavalla che mangiava. Essa sem­brava così pacifica e contenta... E' andato via Pietro?

Langley                         - Sì. Sono rimasto solo, in attesa che Una torni dalla stazione.

Tiffney                          - (stanco) E' un giorno nero questo della partenza di Pietro, un giorno nero per tutti noi. (Egli si lascia andare sulla sedia a dondolo) Vedo una fila di uomini come Pietro che si allun­ga sempre più, come una visione diabolica. E’ un gran brutto giorno, Langley.

Langley                         - (alzando le spalle) Non è cosa che mi riguardi. Ho i miei guai.

Tiffney                          - E' una cosa che riguarda tutti noi.

Langley                         - Dovrebbe esistere una legge che ob­bligasse questa gente a non abbandonare il luogo dove è nata.

Tiffney                          - Avete mai pensato, Langley, che la persona più onesta può commettere gli atti più crudeli quando ha in mano una legge?

Langley                         - Quello che dite è cinico. Leggi ci vo­gliono e molte. Nessun, buon cittadino teme le leggi.

Tiffney                          - Leggi, leggi, leggi: la divinità mo­derna, il. tappa buchi degli uomini idioti. Cristo fece una legge sola: amarsi l'un l'altro. Non è di leggi che abbiamo bisogno, ma di amore, di digni­tà, di comprensione reciproca, di un ,punto fisso soprannaturale vecchio come il tempo, non di una torre di Babele in cui idioti, furfanti, matti, puri­tani e scellerati strillano l'un contro l'altro, scam­biandosi parole senza senso. (Guardando tutt'in-torno la cucina) Guardate, guardate questa specie di trappola che piega, si contorce, e uccide! Chi è costretto a viverci dentro è fatalmente destinato ad essere preda della pazzia.

Langley                         - (osservandolo attentamente) Pazzia; la parola è esatta. Solo ora comincio a renderme­ne conto.

Tiffney                          - (turbato) Che intendete dire, Lang­ley?

Langley                         - Dovreste saperlo. (Una pausa).

Tiffney                          - Se avete qualcosa in mente, avanti, parlate.

Langley                         - E' necessario? (Pausa) Come morì la madre di questa famiglia?

Tiffney                          - (senza scomporsi) E' passato tanto tempo!

Langley                         - Tutto qui?

Tiffney                          - Non è abbastanza?

Langley                         - (indicando con un dito il ritratto di Giacomo) E quello? Di cosa morì?

Tiffney                          - Meningite.

Langley                         - Avete scelto questa parola per evi­tarne un'altra? (Tiffney si alza ed affronta Lang­ley).

Tiffney                          - Tutto ciò è crudele...

Langley                         - (alterandosi sempre più) Può darsi. Ma è giustificato. L'imbroglio ha un solo nome. (Si alza di scatto, prende in mano le redini) Que­ste non destano in voi alcun ricordo?

Tiffney                          - (a faccia a faccia con lui) Lasciate quelle briglie. E non pensate più a queste cose.

Langley                         - Come potrei? E' in gioco la mia vita, la mia felicità, il mio avvenire. Finiamola, Tiffney. A voi non riuscirà di distruggere la mia vita come avete fatto con la vostra.

Tiffney                          - Non ho bisogno di giustificare la mia vita con voi. Dite chiaro quello che pensate.

Langley                         - Ma lo sapete bene quello che penso. Perché giocare con le parole? Si tratta di Una.

Tiffney                          - Una è perfetta mentalmente e moralmente. Ve lo giuro. Vale qualche cosa la mia E parola?

Langley                         - Che può valere? Voi siete l'avvocato di tutti.

Tiffney                          - Aggiungo questa alle mie colpe, Langley... (Una pausa) Rafferty, il medico, è pronto a I giurare anche lui.

Langley                         - (torvo) Il pericolo c'è e non intendo correre rischi.

Tiffney                          - (accennando all'ambiente, drammaticamente) Il pericolo è qui, soltanto qui. Non ve ne siete accorto? Qui, in questo letargo, in questa casa d'inferno, di speranze frustrate e di lotte, di sogni paurosi e di cuori spezzati. Portatela via con voi, Langley, allontanatela da questa notte cupa.

Langley                         - E perché dovrei? Io ho dei doveri verso me stesso. Cosa può interessarmi il resto?

Tiffney                          - Cosa può interessarvi? Ma non è questa la frase di Francesco? Voi due non sareste f per caso apparenze gemelle di un'unica dannazione?

Langley                         - Non pontificate, Tiffney. Non ne ave­te il diritto.

Tiffney                          - Potete dire quello che volete: mi è indifferente. Io intercedo per una vita, una vita, Langley, che Dio comandò fosse illuminata dal sole e rinvigorita dalla pioggia; che Egli vuole feconda, benedetta, piena. Non abbandonatela, Langley. Quella ragazza vi compenserà ad usura e sarà anche la ragione della vostra redenzione.

Langley                         - Redenzione?

Tiffney                          - Già, è la parola... l'ho detta... (Una intensa pausa).

Langley                         - Ho da chiedervi qualcosa di molto grave, Tiffney.

Tiffney                          - Non dite nulla, ve ne supplico, Langley.

Langley                         - Volete dire ad Una che io torno a Dublino e che non posso sposarla? (Langley va verso la porta. Tiffney continua a guardarlo, annientato, ma Langley non si volta nemmeno mentre esce. Tiffney rimane un momento immobile, poi si avvicina lentamente alle redini e le guarda. Un improvviso tremito agita il suo corpo. D'un tratto scoppia in pianto, la testa eretta, gli occhi pieni di disperazione).

Tiffney                          - (tra le lacrime) Oh Dio, perché? perche? perché?... I saggi non hanno parlato!

QUADRO SECONDO

(Francesco pulisce le sue armi. Esse consistono in alcune pistole, un fucile ed una mitragliatrice di tipo Thompson. Egli sta oliando le parti quando entra Una che viene dalla camera da letto. Ha un I fazzoletto intorno al capo. Appare esausta e preoccupata).

Una                               - Ah. sempre quelle terribili armi, Fran­cesco. Cosa fai, ora?

Francesco                      - Le sto preparando.

Una                               - Il modo come lo dici... e l'asta è alle due.

Francesco                      - Verrà per loro il momento di par­lare. Stai meglio oggi?

Una                               - Forse starei bene del tutto se l'incubo dell'asta fosse passato.

Francesco                      - Dovresti startene a letto.

Una                               - Non posso. Quando sono a letto i pensie­ri e le preoccupazioni mi pesano sopra come una montagna di carbone. Nessuna lettera è arrivata con la posta di oggi?

Francesco                      - Solo qualche giornale.

Una                               - Er un terribile fatto che Martino non abbia mai scritto, neppure per farmi sapere se è vivo. Forse mi farà una sorpresa quando meno me l'aspetto.

Francesco                      - Fra poco sincero quel giovane. L'ho sentito dal primo momento

Una                               - Cosa ti fa parlare così, Francesco?

Francesco                      - L'istinto del tiratore, Una. Quan­do, vedendo per la prima volta un uomo, mi viene il prurito di tirargli un colpo puoi senz'altro giu­rare che c'è qualcosa in lui che non va.

Una                               - Non parlare così, altrimenti non potrò più volerti bene.

Francesco                      - Che importa? Sono contento co­munque di non avergli sparato contro. Avrebbe fatto una brutta fine.

Una                               - Chi?

Francesco                      - Quel tuo uomo. Egli sì sarebbe contorto dal terrore e ciò mi avrebbe spezzato il cuore. Gli uomini che furono da me colpiti in Spagna morirono, quasi tutti, con grande nobil­tà. Non era un sacrificio per loro morire ed era una grande soddisfazione puntar l'arma contro di loro. Ma il tuo maestro sarebbe morto come un cane bastardo.

Una                               - E' tutto come un libro troppo difficile da leggere; come un libro scritto in una lingua sconosciuta. Credevo che gli uomini imparassero a conoscersi dopo avere, per una volta, pregato o pianto insieme. Forse non è così; forse non è mai stato così. Forse noi ci conosciamo solo per il male che ciascuno procura all'altro. (Pausa) Credevo di conoscere Martino... Ma, già, può darsi che egli abbia pensato che io non ero adatta per lui, per lui che è un maestro. (Entra Silvestro Tiffney) Ah, I qui c'è il signor Tiffney. Cominciavo a temere che anche voi ci aveste abbandonato, signor Tiffney.

Tiffney                          - Sono stato a vagare per le colline, Una. Non mi piacciono gli addii. Mi fanno pen­sare a catenacci tirati dietro a grandi porte. Sei stata poco bene?

Una                               - Solo un gran mal di capo. Francesco mi ha curata e mi ha dato bevande calde.

Tiffney                          - Chiamerò Kafferty perché ti dia una occhiatina.

Una                               - Presto sarà tutto passato. E' solo la preoccupazione per l'asta di oggi, e per il fatto che Martino non scrive.

 Francesco                     - (all'improvviso) Per quale motivo non la smettete con i vostri riguardi sacerdotali e non le dite la verità?

Tiffney                          - Se sai, perché non glielo hai detto tu stesso?

Francesco                      - Che c'entro io? Ho forse vissuto la gloria delle barricate di Spagna per essere im­mischiato nelle faccende amorose di un maestro di scuola dalla faccia a forma d'uovo?

Una                               - Cosa dici? Si tratta di Martino? Se è così, dimmi tutto. Non dirò una parola. Non cre­dere che io farei la... la sciocca...

Francesco                      - (brutalmente) Una, quel maledetto maestro è scappato. Non tornerà più.

Una                               - E' vero... è vero, signor Tiffney?

Tiffney                          - E' vero, Una.

Una                               - (le trema il labbro) Non ci farei caso neanche se fossero percosse sul mio viso...

Tiffney                          - (teneramente) Cosa posso dire, Una?... Cosa potrei dirti, bambina, che non sia inu­tile e vano?...

Francesco                      - Cosa potreste dire, Tiffney? Dal momento che Dio sarà qui alle due con il venditore all'incanto e gli ufficiali giudiziari...

Tiffney                          - Quello che dici non è degno dì te, Francesco. Tu sarai pronto a morire per la tua fede, io lo so. Non puoi lasciare una tale bestem­mia a coloro che sono pronti a parlare come te ma non a morire come te?

Una                               - (andando verso di lui) Dì che non volevi offendere, Francesco. Dillo... per me. (Francesco guarda la sorella. Un'onda di tenerezza passa sul suo viso).

Francesco                      - (dopo una pausa) Per te, Una, chiedo scusa. E' stata un'idiozia.  Dio vero, que­sto fuoco di vita che ci trascina... chi può insul­tarlo e continuare a vivere?

Una                               - (grata) Ah, ora sono felice, Francesco. Sei di nuovo mio fratello...

Francesco                      - (intensamente, stringendo il braccio di Una) Povera, piccola Una... Vorrei incontrar­ti ora, per la prima volta, senza nome né razza, te proveniente dall'oriente con il sole ed io dall'occidente con i venti... Vorrei, vorrei poterti met­tere sulle spalle uno scialle spagnolo ricco di co­lori, scarlatto e blu e oro, e rapirti in una danza matta. Vorrei poter sollevare la tua piccola vita fino alle stelle e chiamare quei sorci che si nascon­dono dietro i loro banchi di bottega perché ado­rino in te un miracolo vivente.

Una                               - (guardandolo) Ora capisco tutto, Fran­cesco... Ho sempre saputo che in te c'erano nobili sentimenti. Che importa ora che Martino sia ve­nuto e scomparso? Povero Martino! Era così si­curo di capire tutto...

Francesco                      - Non parliamo più di lui, Una. (A Tiffney) Cosa avete ora da dire, Tiffney?

Tiffney                          - Continuo a pensare che saresti stato un meraviglioso gesuita. Fu tutto un accidente...

Francesco                      - Lasciamo andare tutto ciò. Sarà bene che la portiate via, prima che arrivino...

Tiffney                          - Certo.

Una                               - Non me. Io resto con Francesco.

Francesco                      - Non ora, Una.

Tiffney                          - Vieni anche tu con noi, Francesco.

Francesco                      - Non posso. Debbo difendere la casa.

Tipfney                         - E' questa una casa, Francesco? Que­sta lugubre tana che ha spezzato tante vite?

Francesco                      - Tiffney, io sono nato per le bar­ricate. Questa è la mia barricata, il posto asse­gnatomi da un invisibile comandante. Ogni dispe­rato miserabile, da Mosca a Dundalk, trema nei suoi stracci per il timore che io diserti. Per voi questa è un'illusione, per me è realtà.

Una                               - No, no, Francesco. Io ti amo, io ti mo­strerò la via. Io sarò sempre al tuo fianco e non mi sposerò perché io possa badare a te. Fallo per me Francesco, per me.

Tiffney                          - Cos'è il tuo sacrificio di fronte al suo?

Francesco                      - Già... solo una piccola cosa...

Una                               - Vado a prendere il mio cappotto ed il tuo. Ce ne andremo via subito. Andremo sulle col­line, al di là di Urney, dove noi si giocava, e ri­fletteremo sul da farsi. (Una corre per la scala per prendere i cappotti).

Francesco                      - Non vengo, Tiffney!

Tiffney                          - Come potrebbe vivere senza di te, Francesco?

Francesco                      - Vivrà. Mentre se rimanesse con me, cosa potrei darle? Abbiate cura di lei, Tiffney.

Tiffney                          - Farò tutto quello che un uomo finito può fare, tu lo sai. (Entra Sean Mulligan, portan­do borsa e carte).

Mulligan                        - Buongiorno a voi. (Essi lo guar­dano senza rispondere) So quello che sentite, ma cosa posso farci? La vendita è fissata per le due ed io ho ricevuto degli ordini. Faccio appello a te, Francesco. Non rendere ancora più pesante un lavoro già così ingrato.

Francesco                      - Come siete caduto in basso, Mul­ligan!

Mulligan                        - Perdiana, Francesco, si ricomin­cia? Se non lo faccio io, questo lavoro, lo fa il mio vicino Mac Kinley. E’ sempre lo stesso. Cosa ne dite, signor Tiffney?

Tiffney                          - Ho già detto a Francesco che egli non considera le cose dal punto giusto.

Francesco                      - Non sono forse il solo a vedere le cose dal punto giusto? Non è la mia azione con-1-corde con la lotta umana e con la storia?

Tiffney                          - La storia, Francesco, ci ha insegna­to a morire per gli ideali. Ma chi mai ci ha inse­gnato a vivere secondo gli ideali per cui siamo pronti a morire? Credi di poterlo fare tu? Osser­va noialtri. Noi abbiamo in realtà ripudiato quel­lo che d'immortale è in noi e ci siamo ricoperti con i cenci di una libertà spuria e parolaia. Noi abbiamo perfino ospitato in Irlanda uno straniero dal punto di vista storico, il Puritano, con tutte le sue crudeltà e tutte le sue negazioni, e gli abbiamo fatto dono della libertà di Dublino. (Tiffney va su e giù).

 Francesco                     - Io intercedo per le loro vite spez­zate. Avete detto delle verità e questo è un mo­mento cruciale, Tiffney. Pensateci! Volete ancora negare che c'è un solo rimedio a tutti questi mali, e cioè una repubblica comunista?

Tiffney                          - Una sola repubblica, Francesco, e più grande della tua: è la repubblica che Cristo ci ha indicata. La fine della tua repubblica è ferro e pietre. La fine della mia è la Bellissima Visione. Ma esaminiamoci. Siamo tutti troppo meschini per aspirare alla tua, e troppo indegni della mia. (Ap­poggia la mano sulla spalla di Francesco) Ti offro il cieco interrogativo della nostra ignominia. Ed ora tira fuori la tua povera arma, che Dio ti aiuti, e sistema tutto. (Tiffney e Francesco sono l'uno di fronte all'altro e tentano di dominare le pro­prie emozioni).

Mulligan                        - (guardando l'orologio) Manca un quarto alle due.

Francesco                      - Profonda osservazione, Mulligan.

Mulligan                        - Ma, per il diavolo, io debbo leggere le condizioni della vendita dalla porta d'ingresso. Allora hai deciso di non interferire?

Francesco                      - La mia risposta, Mulligan, è su quel tavolo.

Mulligan                        - (vedendo le armi) Alludi alle armi? Comincio a credere che tu non ragioni.

Francesco                      - Non sono mai stato così a posto. (Con improvviso ardore) Guardatemi voialtri due che ve ne state là, contorcendo le parole, cercando scuse, suggerendo compromessi. Guardatemi. Son ben dritto. Sono stato in una tomba per due anni, da quando son tornato dalla Spagna, in una delle mille tombe che punteggiano questo paese. Ma oggi risorgo. Fra poco vivrò.

Mulligan                        - Ascoltami, Francesco. Metti via quegli arnesi e allontanati con tua sorella.

Francesco                      - Ve ne volete andare?

Mulligan                        - Va bene. Me ne andrò. Ancora una parola. La banca ha avuto sentore di questa tua pazza idea ed ha richiesto da Dundalk l'invio di un buon numero di agenti di polizia. Essi sono già nel villaggio. Questo non conta niente per te?

Francesco                      - No.

Mulligan                        - Allora il sangue ricada sulla tua testa. (Mulligan fa un piccolo inchino a Tiffney ed esce irato. Francesco e Tiffney si guardano. Francesco mette giù la pistola e si guarda intorno silenzioso).

Francesco                      - E’ tornato, Tiffney.

Tiffney                          - Cos'è tornato?

Francesco                      - Il silenzio!... La calma prima della musica matta... (Si accosta alla finestra e guarda il tramonto) E' di nuovo come a Madrid... Ricordo quel che dicevano.,. Fabio, Juan e Pedro... « Vo­gliamo tante cose per la vita e dimentichiamo che chi vuol molto è sempre povero ». « El que desea mucho, siempre es pobre... ». Morirono tutti... ma la lotta è eterna, di ogni luogo, di sempre... fino alla fine del tempo... «mientras dura la Vida...». (Una. scende di corsa la scala pronta ad uscire e portan­do il cappotto di Francesco).

Una                               - Non ho trovato il tuo cappotto grigio, Francesco ma Questo nero andrà bene lo stesso per questa sera. Sei pronto?

Francesco                      - Non posso venire, ora, Una.

Una                               - E quando? (Fratello e sorella si guar­dano emozionati),

Francesco                      - (alla fine) Mai.

Una                               - Io... io ti amo, Francesco. E’ nulla per te questo, dopo gli anni amari della nostra sepa­razione?

Francesco                      - E' molto... troppo... tu devi andar via sola... con Tiffney.

Una                               - (lo cinge col suo braccio) Credi che po­trei? Ora che ti ho ritrovato? Mi stimi così dap­poco? Ah, Francesco, per troppo tempo siamo stati estranei l'uno all'altra...

Francesco                      - (con sforzo) Perché mi tenti? Io ho un dovere, un ordine. Non posso allontanarmi.

Una                               - (con semplicità) Allora, resto anch'io. Il signor Tiffney se ne vada solo.

Tiffney                          - (con un gesto senza speranza) E dove, dove potrei andare? (Improvvisi colpi di fi­schietto dal di fuori. Francesco si precipita a barricare la porta con mobili ed altri ne mette da­vanti alla finestra. Rompe alcuni vetri per poter mettere in posizione la mitragliatrice ed avvicina le munizioni. Si sente un colpo perentorio alla porta).

Francesco                      - Chi è? Cosa volete?

Una Voce                      - La polizia. Aprite.

Francesco                      - Non a voi. (Ad Una e Tiffney) Ci siamo... così sia... Levatevi di mezzo. (Tiffney ed Una si accostano alla parete).

La Voce                        - Cosa diavolo volete fare, Mac Elroy? Suvvia, aprite e non fate pazzie altrimenti dovre­mo forzare la porta. (Una pesante scure colpisce due volte la porta. Francesco sorride beffardo, si leva la giacca, si china sulla mitragliatrice ed apre il fuoco. I colpi alla porta cessano. Si risponde con scariche di fucile. Si odono vetri rotti cadere).

Francesco                      - (selvaggiamente) Ci siamo... (Un rapido fuoco cui si risponde dal di fuori) E' di nuovo la vita per me... sì, la vita... Avanti, paras­siti, avanti, che io possa sentire il mio sangue bal­lare... (Fuoco rapido cui si risponde) Venite a pren­dermi... Venite a prendervi ciò che è mio per inca­merarlo con l'altro vostro danaro rubato. Ma siate pronti a pagarne il prezzo... e sia rosso e sangui­gno. (Ancora fuoco da entrambe le parti. Fran­cesco barcolla toccandosi il petto. La sua camicia sì arrossa di sangue. Tossisce violentemente e spu­ta. Tiffney accorre presso di lui).

Tiffney                          - Hai fatto abbastanza, Francesco. Sei stato bravo. Hai dato prova della tua sincerità, Francesco. Io ti dico che non c'è onta ora, se... (Dall'esterno vengono tirati colpi e Tiffney bar­colla e si appoggia al muro. Una addossata alla parete trema istericamente. Francesco, dando ogni tanto un'occhiata a Tiffney riprende a sparare rabbiosamente).

Francesco                      - Povero Tiffney!... Nel suo intimo sentiva l'orrore di tutto ciò... ed ora nessuno potrà più chiamare una menzogna il suo animo spezzato ed imporre il silenzio. In alto, sempre più in alto... Mi eravate amico, Tiffney...

Tiffney                          - (si è seduto contro la parete e si con­torce) Ero tuo amico, Francesco... Profondi erano i miei sentimenti per te... Ma ormai tutto brucia e nulla più importa... Ma è duro, Francesco, che... i saggi... non abbiano parlato... (Tiffney re­clina la testa subitamente e muore. Francesco ed i suoi nemici continuano a scambiarsi scariche).

Francesco                      - Ma io nacqui per l'eterna batta­glia... (Spara rabbiosamente) Avanti, siete capaci di morire da eroi? Ho visto uomini che sapevate morire... Avevano del sangue nelle vene, avevano carattere... Ma voi... voi bastardi nutriti con gli avanzi dei ruffiani... voi morite come cani... (Fuo­co rapido da entrambe le parti) Ma io sono in pie­di. Sono sorto dal sepolcro maledetto in cui vivo mi avevate rinchiuso... (Rapido fuoco. Francesco ferito di nuovo, si abbatte tossendo e sputando mentre le braccia ed il petto sanguinano. Cerca disperatamente di sostenersi al tavolo, si sforza di stringere ancora l'arma, indi cade pesante­mente).

Una                               - Francesco, parlami. Sono Una, la tua povera Una.

Francesco                      - (sollevando un braccio pieno di sangue) Per te. Una. Perché almeno una vita spez­zata... (La sua mano ricade ed egli muore. Poli­ziotti appaiono al di là della finestra).

Una                               - (curvandosi su di lui, con strana calma) . «Non giova piangere. Ci vuole del sangue...». Così diceva. Sangue come quello sul pavimento... puro e caldo e redentore... (La testa sollevata) Un gior­no avrò un figlio e anche lui avrà il suo posto sulle barricate... E' un terribile destino... E chi può dire se io sarò benedetta o dannata? Alcuni diranno che io ero magnifica ed altri decreteranno che il mio nome non debba nemmeno essere ricor­dato... Ma solo io saprò che fui soltanto un fuoco umano che si consumava per qualche nascosto di­segno di Dio Onnipotente... (La porta è aperta con violenza ed agenti armati in uniforme entrano. Con rapide occhiate si rendono conto di quanto è ac­caduto. Una si rialza e li guarda come se essi fossero delle cose, mentre gli occhi suoi vedono lontano. Come in un sogno) Sì... mio figlio sarà anche lui sulle barricate... lo vedo scritto nel gran­de libro senza fine... Lo vedo venirmi incontro... sangue del mio sangue... valoroso e terribile... co­sciente e splendido. (Alzando le braccia e col volto proteso in alto) Oh, Signore, perché gli uomini deb­bono crearsi delle loro leggi che portano distru­zione e morte? Perché non possono vivere con la innocenza dei bimbi, degli uccelli, dei fiori?... Oh, Signore misericordioso, illumina la vita dell'uomo, abbi pietà di lui.

FINE