Conversazione con Vladimiro

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CONVERSAZIONE

CONVERSAZIONE

CON VLADIMIRO

un atto

di Ezio d'Errico

PERSONE:

L'UOMO

LA RAGAZZA


Qualche cosa di mezzo tra l'officina del fabbro e lo studio del pittore. Su un bancone, barattoli di colori, vasi di terraglia con pennelli e spatole, rotoli di fil di ferro e stracci. In un angolo una bombola d'ossigeno con il cannello ossidrico. Sui cavalletti, quadri fatti con reti metalliche e bran-delli di stoffa macchiati in varie tinte. Qua e là sculture  composte  con  schegge   metalliche   e  lamiere saldate fra loro. Il tutto accatastato in fondo, su un piano al quale si accede per mezzo di due gradini.

Nell'avanscena una grossa stufa a carbone, due seggioloni impagliati, uno sgabello e, a destra di chi guarda, un giaciglio con una coperta sbrindel-lata sotto la quale si intravedono due forme umane. Sul pavimento, una tuta da meccanico, una vesta-glia polverosa sbaffata di colori, una brocca e delle bottiglie vuote.

A sinistra l'uscio d'ingresso a un solo battente con un gran chiavistello. È notte. Una scialba luce lunare piove dal lucernario incassato nel soffitto in pendenza.

(Si bussa all'uscio. Dopo una pausa si bussa più forte. Una delle due forme umane si alza dal gia­ciglio, e a piedi scalzi va a girare un interruttore accendendo una lampada che penzola sul bancone. È un tipo robusto, ossuto, sulla quarantina o poco più. Ha i capelli arruffati e il viso scarno. L'uomo, che indossa un logoro pigiama, si mette le scarpe senza allacciarle, va ciabattando a tirare il chia­vistello, e apre. Nella inquadratura dell'uscio appare una ragazza piuttosto gracile, imbacuccata in una pelliccia di falso astrakan. Sotto il braccio stringe una borsetta. Molto indietro sulla nuca porta un cappellino di forma indefinibile, ornato di una piuma che gronda acqua. La ragazza calza stivaloni inzaccherati di neve e fango. Nel viso fermo e nello sguardo quasi sempre fisso, c'e una espressione di sovrana indifferenza, una indifferenza ottusa che forse e anche una forza).

L'Uomo           (in tono brusco) — Cosa c'è?

La Ragazza (avanzando) — Mi manda Harden.

L'Uomo           (chiudendo l’uscio) — Quale Harden? (Sbadiglia rumorosamente e va a infilare la vestaglia brontolando) Cristo che freddo. (Mettendo un piede sullo sgabello e allacciandosi le scarpe) L'americano?

La Ragazza   (che si è accostata alla stufa e batte gli stivali per riscaldarsi) — Sì, credo... Quello lungo con pochi capelli.

L'Uomo           (andando a prendere sul bancone una caffettiera di smalto e mettendola sulla stufa) — Lo scultore?

La Ragazza   — Lo scultore, sì. Mi ha detto, va a vedere da Klaus, può darsi che abbia bisogno di una modella. (Frugando nella borsetta) Ho qui l'indirizzo che mi ha scritto lui.

L'Uomo           (aggiungendo carbone e attizzando la stufa) —  Ma c'è un piccolo inconveniente... Io non sono Klaus.

La Ragazza   (dopo una pausa) — Ah...

L'Uomo           (cavando di tasca la pipa e caricandola) —  Sono tre mesi che Klaus è partito, e lo studio l'ho preso io.

La Ragazza   (come un'eco) — Partito?

L'Uomo           — Partito, sì. Dove diavolo è andato non lo so. (Con un cenno verso il bancone) Là c'e la sua posta. Ogni  tanto arriva una fattura  da pagare. (Accende la pipa).

La Ragazza   (guardando nel vuoto) — Due tram per arrivare fin qua, e non sei Klaus.

L'Uomo           — No, non sono Klaus.

La Ragazza   (in tono pacato) — Una bella fregatura.

L'Uomo           — Bè, adesso prendi altri due tram e ritornia casa... o di dove sei venuta. (Dirigendosi verso la sveglia che è sul pavimento presso il giaciglio) Che ore sono? Le nove... Come mai questa trappola non ha suonato? (La scrolla, la porta all'orecchio e la rimette a posto. La sveglia esala un flebile trillo) Non l'avrò caricata... (A voce alta verso il giaciglio) Vladimiro!... Sono le nove. (Alla ragazza) Nevica ancora?

La Ragazza   — Un po' meno, ma è peggio...

L'Uomo           — Perché?

La Ragazza   — S'e alzato un vento che taglia la faccia.

L'Uomo           (cantilenando) — Vladimiro...

La Ragazza   — Stavate dormendo?

L'Uomo           — Chi?

La Ragazza   — Non so... (Con un cenno verso il giaciglio) Voi due...

L'Uomo           (andando a toccare la caffettiera) — Sì, stavamo dormendo. Il giorno è fatto per dormire e la notte per lavorare. Non lo sai ancora?

La Ragazza   — A me non fa niente. Posso anche posare di notte.

L'Uomo           (andando a prendere una ciotola) — Ma io non ho bisogno di modelle. Né di notte né di giorno.

La Ragazza   (con un'occhiata verso i cavalletti) — Ho capito. Non sei figurativo.

L'Uomo           — No. (Pausa) E tu con quelle quattro ossa fai la modella?

La Ragazza   — Oggi le modelle grasse non usano.

L'Uomo           (Si versa il caffè e lo beve a grandi sorsate, poi alla ragazza) — Ne vuoi? (Senza attendere risposta riempie la ciotola e la porge).

La Ragazza   (prende la ciotola senza mutare il suo viso di pietra) — Con un po' di pane, per piacere.

L'Uomo           (va a cercare fra i barattoli, trova un pezzo di pane, lo strofina sulla vestaglia per pulirlo dalla polvere e lo dà alla ragazza).

La Ragazza   (a mo' di spiegazione) — Senza pane il caffè si ferma qua. (Fa cenno allo stomaco).

L'Uomo (va al giaciglio, toglie la coperta e scopre un manichino disteso su un fianco, con le gambe ripiegate come i calchi in gesso di certe mummie pompeiane. Prende fra le braccia il fantoccio, lo trasporta su uno dei  seggioloni, e lo  mette  a sedere accomodandogli le gambe e le braccia snodabili in una posa quasi salottiera).

La Ragazza   (ha osservato  la scena seguitando  a ruminare placida il suo pane e caffè. Il pupazzo è alto quanto un uomo. Un tempo doveva essere verniciato di bianco, ma il colore si è ingrigito e consunto, prendendo il tono che hanno le ossa dei vecchi scheletri. Per il resto niente di particolare, se non quell'espressione pensierosa e vaga-mente metafisica che hanno appunto i manichini).

L'Uomo           (si avvia verso il fondo e va a piazzarsi davanti a un cavalletto orientato in modo che il pubblico veda solo il rovescio della tela).

La Ragazza (nel tono di chi fa una constatazione) —  Sei quello che dorme conVladimiro. (Lieve pausa) L'avevo sentito dire. (Posa la ciotola vuota in un angolo, si toglie il cappello, strizza la piuma facendone gocciolare l'acqua, poi se lo rimette).

L'Uomo           (con una spatola prende del colore da un barattolo e lo impasta su una lastra di vetro con l'aggiunta di qualche goccia d'olio).

La Ragazza   (andando a sedere vicino al manichino) —  Era un tuo amico, no?

L'Uomo           (distende con la spatola un po' di colore sulla tela, ma subito borbotta irato)  —  Bestia! Rosso mattone deve essere!   (Raschia  e  prepara un altro impasto).

La Ragazza   (sempre con la stessa flemma) — Ti ho chiesto se era un tuo amico.

L'Uomo           (concentrato nel suo lavoro) — Chi?

La Ragazza   — Quel Vladimiro.

L'Uomo           — Sì.

La Ragazza   (dopo una pausa) — Un russo mi pare...

L'Uomo           (distrattamente)   —   Polacco...   (Cercando fra i barattoli) Dove diavolo s'e ficcata la terra; verde...

La Ragazza   — Ah già, polacco. (Lieve pausa) E si è ammazzato...

L'Uomo           (seguitando a impastare il colore) — Oh, eccolo qua il rosso che ci vuole... e magari una punta di terra d'ombra.

La Ragazza (curvandosi sul manichino e osservandolo con attenzione) — Ma questo non ha niente.

L'Uomo           (senza togliere gli occhi dalla tela) — Chi?

La  Ragazza  —  Questo Vladimiro qua, non ha niente.

L'Uomo           (prendendo una spirale di fil di ferro e fissandola alla tela con del mastice) — Cosa dovrebbe avere?

La Ragazza   — Tra le gambe, dico...

L'Uomo           — Ah... (Lieve pausa) No, non ha niente. (Altra pausa) È un simbolo... Sai che cosa vuol dire un simbolo?

La Ragazza   (si limita a stringersi nelle spalle).

L'Uomo           (continuando a lavorare e a parlottare confusamente fra sé) — Qua un bel nero fuliggine... vellutato... che faccia peso.

La Ragazza   — Posso fermarmi un po'? Tanto per scaldarmi.

L'Uomo           (distrattamente) — Sì, ma tieni chiuso il becco.

La Ragazza   (con due colpi di pollice sulle labbra sussurra) — Croce... (Fruga nella borsa, pesca una sigaretta e l'accende. Un silenzio).

L'Uomo           (continua il suo montaggio alternando i colori agli oggetti più eterocliti che incolla sulla tela, e intanto borbotta delle frasi indistinte come chi è abituato a parlare da solo, oppure recita a voce bassa qualche verso di Whitman: « In una dissueta laguna, una baia priva di nome... »).

La Ragazza   (di quando in quando rivolge al mani-chino un'occhiata vaga mantenendo la sua espressione impassibile. Poi si soffia sulle dita e mormora) — Accidenti anche ai geloni... (Al manichino) Tu non sai cosa sono i geloni.

L'Uomo           (con un sospiro) — Non ci siamo, non ci siamo... (Stacca la spirale metallica e la butta in un canto. Prende di fra i barattoli una bottiglia, riempie un bicchiere, e sempre guardando la tela lo tracanna d'un fiato).

La Ragazza   (che in quel momento si è voltata) — Non ti fa male?

L'Uomo           (strappando stizzosamente qualche cosa dalla tela) — All'inferno! (Con voce brusca alla ragazza) Cosa hai detto?

La Ragazza   — Volevo dire che bere acqua con questo freddo...

L'Uomo           (sempre guardando corrucciato la tela) — Ne vuoi? (Versa un mezzo bicchiere e lo porta alla ragazza) Tieni...

La Ragazza   (annusando) — Ah, è grappa... (Beve avidamente e tosse battendosi dei colpi con la mano sul petto).

L'Uomo           (andando verso la stufa) — Non c'è peggio che lavorare con le mani intirizzite.

La Ragazza   (dopo un silenzio) — Era bello?

L'Uomo           — Chi?

La Ragazza   — Il polacco. (L'uomo accende la pipa senza rispondere) Ne ho conosciuto un altro. (Lieve pausa) Non un altro polacco. Voglio dire un altro come te.

L'Uomo           (distrattamente) — E allora?

La Ragazza   — Niente. Si fa per dire.

L'Uomo           (in tono brusco) — Non ti sei fermata per scaldarti?

La Ragazza   — Me ne vado, me ne vado... Alle dieci ho una posa. (Si alza).

L'Uomo           (togliendole di mano il bicchiere e ritornando verso il bancone) — Un altro goccio?

La Ragazza   — Se me lo dài... (Si rimette a sedere. L'uomo riempie il bicchiere, beve, poi ne versa un poco e lo porta alla ragazza. La ragazza beve un sorso) E perché s'e ammazzato?

L'Uomo           — Mah... Si vede che ne aveva abbastanza di vivere.

La Ragazza   (dopo riflessione) — Capita anche a me... (Lieve pausa) Poi penso che devo compiere ancora ventun anni e allora dico, proviamo ad andare avanti.

L'Uomo           (in tono annoiato) — Bevi... bevi. (La ra­gazza beve d'un colpo e dà uno scrollone come se avesse ricevuto una scarica elettrica. L'uomo ritornando al cavalletto) Scalda eh?

La Ragazza   — Accidenti... Mi sembra di scoppiare.

L'Uomo           (rimettendosi a impastare i colori) — Per­ché non ti levi la pelliccia?

La Ragazza   — La pelliccia?

L'Uomo           — Se hai caldo.

La Ragazza   — Ci avevo pensato, ma...

L'Uomo           — Cosa ma?

La Ragazza   — Siccome sotto non ho niente.

L'Uomo           — Vai in giro nuda?

La Ragazza   — Nuda no... Ho lo slip e il reggiseno... Faccio più presto a spogliarmi e vestirmi per le pose.

L'Uomo           (incominciando a spalmare del colore sulla tela, borbotta) — Questo grigio va bene... Una spe­cie di silenzio attorno alla macchia nera. (Allontanandosi un poco per giudicare dell'effetto) Un silenzio di cenere... Notte e cenere.

La Ragazza (asciugandosi la fronte con un fazzolettino) — Fa caldo qua... Figurati che sto sudando. (Pausa, poi volgendosi all'uomo) Quasi quasi me la levo davvero... Non ti dà mica noia? (L'uomo sempre più concentrato nel suo lavoro non risponde) Siccome le donne non ti piacciono, non vorrei urtarti...

L'Uomo           (distrattamente) — Metti la tuta. Deve essere in qualche parte.

(La ragazza si guarda intorno, adocchia la tuta sul pavimento, va a prenderla, e sedendo sullo sgabello, spalle alla platea, si cava gli stivaloni e la infila, dopo di che lascia cadere la pelliccia. L'uomo guardando la tela) Così va meglio...

La Ragazza   (equivocando) — Va meglio, sì. (S'infila gli stivali e stringe la cintura della tuta. Poi ri­mette a posto il cappellino andato un po' a sghimbescio).

L'Uomo           (parlando tra sé) — Ecco... Col grigio an­che il rosso canta più basso e il nero invade meno, pur mantenendo il suo peso. (Lieve pausa) Silen­zio grigio, notte... e una vecchia piaga rossa...

La Ragazza   (si rimette a sedere con la pelliccia suite ginocchia, poi al manichino) — Fa sempre così?

L'Uomo           (con gli occhi fissi alla tela) — Ora biso-gnerebbe mettere in valore gli stracci. Sottolineare il loro significato di materiale di disfacimento... E magari qualche scheggia aguzza qui... a violentare lo spazio... (Continua a parlottare fra i denti ma le parole non giungono. Poi si ferma e crolla il capo scontento) No, no... (Strappa qualche cosa, si immobilizza con la fronte corrugata, infine getta la spatola) Al diavolo! (Si versa un altro bicchiere di grappa, lo ingoia, poi asciugandosi lentamente le labbra con il rovescio della mano dà un ultimo sguardo al quadro e scende verso l'avanscena).

La Ragazza   (alzandosi) — Vuoi sederti?

L'Uomo           (distrattamente) — No. (Va verso la stufa borbottando piano) Sono i toni caldi che non fanno volume... Persino il nero buca... Se invece del grigio mettessi della sabbia... della sabbia arida. (Voltandosi verso la ragazza) Perché non parli?

La Ragazza   — M'hai detto di tenere il becco chiuso.

L'Uomo           — Bè, adesso aprilo.

La Ragazza   — Cosa devo dire?

L'Uomo           — Quello che ti viene in mente. (Guar-dando corrucciato verso il cavalletto borbotta) Magari trovare qualche preziosità barocca come variante polemica... L'impasto risulterebbe meno sordo... (Alla ragazza) Allora? (Come per offrirle un argomento) Da quanto tempo fai la modella?

La Ragazza   — Sarà quasi un anno.

L'Uomo           (caricando la pipa) — E prima cosa facevi?

La Ragazza   — Stavo con mia madre.

L'Uomo           (si dirige un'altra volta verso il cavalletto poi come se avesse cambiato idea, torna indispet-tito indietro) — Avanti, dài!

La Ragazza   (con lo sguardo nel vuoto) — Ho detto che stavo con mia madre.

L'Uomo           (lasciandosi cadere sullo sgabello) — Ho capito. E poi? Sei scappata di casa?

La Ragazza   — No. Mia madre è morta e allora sono venuta in città.

L'Uomo           — Ah...

La Ragazza   — L'avevano già operata una volta. La seconda c'è rimasta.

L'Uomo           (che evidentemente pensa ad altro) — E ti sei messa a fare la modella,

La Ragazza   — Prima ho servito in una trattoria, ma non ce la facevo. Non ho molta forza. Gli odori mi davano fastidio.

L'Uomo           — Gli odori della trattoria?

La Ragazza   — Eh già...

L'Uomo           — E allora?

La Ragazza   — Sono andata con uno...

L'Uomo           — Un giovanotto?

La Ragazza   — Bè, tanto giovane non era.

L'Uomo           — Ma tu eri innamorata...

La Ragazza   — Io no. (Pausa) Nemmeno lui credo. Ma tanto, una volta o l'altra doveva succedere. Anche l'Emilia me lo ha. detto. Fatti sverginare subito così non ci pensi più.

L'Uomo           — L'Emilia?

La Ragazza   — Sì, una bella donna. Ha un amico carico di soldi.

L'Uomo           — E cosa ha detto?

La Ragazza   — Ha detto... È come una promozione. Dopo puoi fare quello che vuoi.

L'Uomo           (ritornando al cavalletto e rimettendosi a fantasticare) — E se invece dessi più valore agli strappi? Una dinamica delle lacerazioni... Una spe­cie di allegoria a rovescio. (Comincia a lavorare con foga).

La Ragazza   (continuando a parlare come un automa) — Io sono di Borgosesia. Un paese dove tutti lavorano. Ci sono le filande. c'è anche un castello, un castello vero, di quelli antichi... (Si accorge che l'uomo non l'ascolta più e si volge al manichino) c'è anche una bella chiesa col suo campanile e tutto. Io abitavo proprio di fianco, e quando suonavano le campane  sembrava che sfondassero i muri...

L'Uomo           (cantilenando) — Vladimiro... Comincia ad andare.

La Ragazza   (al manichino) — Comincia ad andare. (Lieve pausa poi all'uomo) Ci parli sempre con Vladimiro?

L'Uomo           (euforico)   —   Sempre! Quando lavoro, quando dormo...

La Ragazza   (con un breve riso) — Parli in sogno?!

L'Uomo           — No, quando mi sveglio.

La Ragazza   — Ah... E lui ti risponde?

L'Uomo           (gaiamente) — Certo.

La Ragazza   — In polacco?

L'Uomo           — No, in una lingua segreta che conosciamo solo noi due.  (Cambiando tono e riprendendo a confabulare con se stesso) Qua una spatolata di biacca... No, meglio di stucco... più cremoso, più morbido... E allora vedrai che tutto lievita, respira, si alza come una mongolfiera... (Indietreggiando come per giudicare l'effetto) Vladimiro, ci siamo! (Brancica alla ricerca della bottiglia e la porta alle labbra bevendo al collo. Poi con un gran sospiro di liberazione) Ah... Fermo! Un momento di sosta prima della volata finale... (Accende la pipa e scende verso la ragazza) Eh? Cosa ne dici? (Continuando per conto suo) Però ho fatto bene a partire dalla ferita rosso mattone... Ho fatto bene. (Va a sedersi sullo sgabello) Era difficile organizzare i grigi... Invece con la sabbia... (Cambiando improvvisamente tono) Non parli?

La Ragazza   — Bè...

L'Uomo           — Cosa significa bè... (Lieve pausa) Hai le vocali larghe. Di dove sei?

La Ragazza   — Di Borgosesia.

L'Uomo           — Dov'e Borgosesia?

La Ragazza   — Provincia di Vercelli, Mia madre era di Vercelli.

L'Uomo           (alzandosi e passeggiando) — Vercelli...    

La Ragazza   — Ci sei stato?

L'Uomo           — Molti anni fa. (Lieve pausa) Anzi ci sono stato due volte.

La Ragazza   — Bei posti! Con tutta quell'acqua delle risaie... le strade diritte... (Una pausa) Cosa facevi a Vercelli?

L'Uomo           — Niente... Ero in Seminario.

La Ragazza   — Volevi farti prete?

L'Uomo           — Ma, non so... Non avevo idee precise. Ero tanto giovane... (Sorride) E quando ho infilato la sottana...

La Ragazza   — T'ha fatto impressione?

L'Uomo           — No... (Fa un gesto come per scacciare un ricordo inutile) Un'altra cosa... più complicata.

La Ragazza   — E ci sei rimasta molto in Seminario?

L'Uomo           — Sei o sette mesi. Poi mi hanno buttato fuori... E neanche a farlo apposta, dopo qualche anno il destino mi ha rimandato a Vercelli, a fare il soldato...

La Ragazza   (come fra sé) — Prima in Seminario e poi soldato... (Una pausa) E hai conosciuto una donna?

L'Uomo           — Dove?

La Ragazza   — A Vercelli... da soldato.

L'Uomo           — Sì, ora che mi ci fai pensare ho anche conosciuto una donna.

La Ragazza   — Una che lavorava in filanda?

L'Uomo           — Non ricordo... Può anche darsi.

La Ragazza   (dopo una pausa) — Anche mia madre lavorava in filanda.

L'Uomo           (ritornando al cavalletto) — Allora Vladimiro... Attacchiamo il finale?

La Ragazza   (a bassa voce al manichino) — Rispondi. (A voce alta) Ha detto di sì.

L'Uomo           (immobile davanti alla tela) — Delle orme... Ci vorrebbero delle orme su questa sabbia... Naturalmente delle allusioni di orme. I passi dell'ultimo uomo che va verso l'ultima caverna...

(Come scoraggiato dalla impossibilita di esprimere quello che sente lascia cadere il pennello, e lentamente ritorna verso l'avanscena con una espressione di infinita tristezza nel viso marcato dalla tensione nervosa. Meccanicamente borbotta alla ragazza)

Si può sapere perché stai zitta?

La Ragazza   — Come si chiamava quella donna?

L'Uomo           — Quale donna?

La Ragazza   — Quella di Vercelli.

L'Uomo           (stancamente) — Non lo so. Non ricordo... Sono passati vent'anni...

La Ragazza   — Non si chiamava per caso Luisa?

L'Uomo           — Luisa? No, non mi pare... (Una pausa) Adesso che ci penso credo che si chiamasse Lisa... Sì, Lisa.

La Ragazza   (in tono assente ma tuttavia implacabile) — Mia madre in famiglia la chiamavano Lisa... (L'uomo che seguita a guardare verso il cavalletto non risponde) Quando l'hai lasciata era incinta?

L'Uomo           — Chi?

La Ragazza   — Stiamo parlando della Lisa di Ver­celli.

L'Uomo           — Ma neanche per sogno.

La Ragazza   (dopo riflessione) — Va bene... non te lo avrà detto... Oppure se ne sarà accorta dopo. Dopo che tu sei partito.

L'Uomo           (d'improvviso) — Sssst... Silenzio! (Come colto da un'ispirazione corre verso il quadro e si rimette al lavoro forsennatamente).

La Ragazza   (parlando come un automa) — Mia ma­dre ha avuto altri due figli da un camionista, ma sono nati morti... Io sono la prima... l'unica. (Lieve pausa) Ma c'è un'altra prova più importante... (Si volta verso l'uomo) Hai sentito?

L'Uomo           (farneticando febbrilmente) — E qui... proprio qui dove c'è questa venatura verdastra... questa traccia di vita vegetale, questa specie di alga che muore sulla spiaggia... Qui il punto fermo di un viola catramoso, un viola fondo, da naufragio, da fondale marino... (S'interrompe ancora, arretra e come se desse un ordine ad un altro, alza una mano) Fermati! (Ansima un poco, poi grida) Vladimiro! Ci siamo! (Afferra la bottiglia, beve avidamente una lunga sorsata, poi scende barcollando un poco verso l'avanscena) Ce l'abbiamo fatta, Vladimiro! Adesso un momento di tregua... poi ti porto a vedere...

(Alla ragazza con uno scatto di nervi) E parla corpo di tutti i diavoli. (Si lascia cadere esausto sullo sgabello).

La Ragazza   (immobile guardando nel vuoto) — Sai come diceva mia madre quando glie ne combinavo qualcuna? Gridava... Sei proprio figlia di un prete!

(L'uomo non risponde. È evidente che non ha nemmeno udito. Proteso verso il fondo, con lo sguardo un po' annebbiato, forse dialoga silenziosamente coi suoi fantasmi. La ragazza alzando per la prima volta la voce quasi con rabbia)

Mia madre lo sapeva che eri un ex-seminarista, no?

L'Uomo           (sempre fissando allucinato il fondo della scena) — Come? (Senza attendere risposta) Senti, non mi seccare...

(Si alza. prende in braccio il manichino e di corsa lo porta al bancone mettendolo a sedere fronte alla tela. Durante il trasporto le braccia del fantoccio si sono alzate, e così restano, talché il manichino sembra esprimere sorpresa e paura)

Guarda Vladimiro! Guarda! È una cosa drammatica... Lo capisci, che è una cosa mirabile?

(L'uomo resta immobile, a gambe larghe, felice a osservare il quadro. La sua respirazione ansante, un po' rauca, sottolinea il silenzio che grava sulla scena. La ragazza si alza, stancamente, si sfila la tuta restando in slip, reggiseno e cappellino. Si massaggia lo stomaco con una smorfia di sofferenza, raccatta la pelliccia caduta sul pavimento, la indossa, mette gli stivali, e si dirige verso l'uscio. Al rumore del chiavistello l'uomo si volta) Dove vai? Vieni a vedere...

La Ragazza (senza voltarsi) — Sono quasi le dieci Può darsi che riesca a fare una posa dal Silvestri. Quello che fa i Santi e le Madonne. Devo prendere due tram e un filobus...

L'Uomo           (frugandosi in tasca) — Aspetta... Pagati qualche cosa. (Va verso la ragazza che lo respinge con un gesto blando. Si ferma un po' imbarazzato) Non ti sarai mica offesa?

La Ragazza   (dopo un formidabile rutto) — Ma no... (Apre l'uscio e scompare. Un silenzio).

L'Uomo           (ritorna velocemente verso il cavalletto e incomincia a parlare col manichino) — Guarda... Guarda il tono che ha preso quella sbavatura di bianco in alto... Una specie di respiro che allarga tutta la composizione... che la trasporta su, verso il cielo... (s'interrompe soffocato dall'emozione).

Il velario lentamente si chiude.

* Copyright 1964 by Ezio d'Errico.