Copecchia e Marianorma

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COPECCHIA E MARIANORMA

Commedia in un atto

di ROSSO SAN SECONDO

                                                          

PERSONAGGI

COPECCHIA

MARIANORMA

COLORNO

IL COMMESSO D'ALBERGO

IL VETTURINO

UN ALTRO VETTURINO

IL PRIMO FERROVIERE

IL SECONDO FERROVIERE

(Spiazzale alberato della stazione centrale in una grande città. La scena ne rappresenta un

particolare: quello, cioè, in cui si erge un chiosco per bibite, che allinea sul da­vanti e intorno tavolini e sedie. Si scorge, di sbieco, il jronte della stazione con l'orologio. Bella giornata di mag­gio; gli alberi di rubinia e d'ippocastano sono fioriti. Di tanto in tanto, si vede passare un tram, un autobus, qual­che automobile, qualche carrozzella: gente affarata s'in­calza in fondo. Ma qui, al chiosco delle bibite, sotto le rubinie e gl'ippocastani, vi regna bella serenità. Alle ta­vole, non c'è nessuno: però, di quando in quando, due tranvieri, un ferroviere, qualche passante vengono a fer­marsi per consumare in piedi una bibita, che Colorno, un omaccione sessantenne, è pronto a servire).

Il primo Ferroviere (fermandosi davanti al chiosco, ad un altro ferroviere che l'accompagna) Bella giornata. Che prendi, Maurizio?

Il secondo Ferroviere - Che vuoi che prenda? Ancora non ho mangiato.

Il primo Ferroviere      - A me, un marsala, sor Colorno. Dopo una notte di treno!... Bevi un'orzata. Fa bene a digiuno.

Il secondo Ferroviere - Vaida per un'orzata.

Colorno                       - (di dentro il chiosco) Benissimo, un mar­sala ed un'orzata.

Il secondo Ferroviere (al primo) Entro in servizio adesso.

Il primo Ferroviere      - Io, mio caro, fino a domattina alle cinque, me la voglio godere. Subito a casa, ora, e mi butto a dormire. Quattr'ore di sonno mi bastano. AI tocco mi levo. Mia moglie un buon piattino di taglia­te-Ile me lo fa trovare. Mangio, e quando ho mangiato, ci ridormo. Stasera, all'Osteria del Grillo, con mia mo­glie e parenti ce la spassiamo un po'.

Il secondo Ferroviere - Beato te, che vai d'accordo con tua moglie.

Il primo Ferroviere      - Chiarastella? Caro mio, me la 6ono scelta a dovere. E mia suocera, i miei cognati, le mie cognate, una meglio dell'altra! Telefono: ci vediamo al Grillo, stasera? Sai come corrono? E tutti portano roba. E' un'allegria. (Beve il suo marsala, mentre il col­lega beve l'orzata).

Un Commesso d'albergo - (sopraggiungendo e rivolgen­dosi dentro il chiosco) Colorno, dori Gesualdo Copecchia?

 Colorno                      - (affacciandosi) Mi pare di averlo visto pas­sare che non erano le sette. Aprivo allora. A passo di bersagliere, ehi lo crederebbe, quel vecchio! Il suo cap­pello calcato in capo, il noidoso bastone in mano!... Ma ancora qui non s'è seduto.

Il Commesso d'albergo - Maledizione! Lo cerca un viaggiatore ch'è al mio albergo. Persona facoltosa. Mance a diritta e a manca come niente!

Colorno                       - E perchè ti dai pensiero?

Il Commesso d'albergo - Glie Fho presentato io don Gesualdo Copecchia; e don Gesualdo ha preso impegno davanti a me di sbrigargli una certa pratica...

Colorno                       - Ha preso impegno Copecchia? E, caro mio, se quello ha preso impegno, ci puoi contare tu e il tuo viaggiatore! Non ne sbaglia mai una. Non mi avevano aumentate le tasse per il chiosco? Viene don Gesualdo, gli dico il fatto, gli dimostro che in coscienza è troppo. Sai che fa? Non dice nulla: si mette l'intimazione in tasca e prende il tram. All'indomani, l'aumento dimez­zato! Gli dico : « Cavaliere, me l'accettate almeno un ape­ritivo? ». Niente! Ha voluto pagarmi. Quello lì, vecchio com'è, potrebbe fare da podestà, da ministro, da tutto! S'intende di tutto! Eccolo! Eccolo! (Si vede Copecchia che s'avvicina speditamente. E' piuttosto basso di statura, ma diritto e tarchiato. Camminando, manovra con il passo il suo grosso bastone. Occhiali sul naso, che allon­tanano, ancor più di quanto non lo siano in realtà, i suoi due occhietti piuttosto strabici, ma vivacissimi. Due baffetti smilzi che gli arrivan tuttavia fin sulle gote, e sem­pre un resto di sigaro con bocchino in bocca. Le tasche gonfie di carte. Appena giunge, si mette a sedere a un tavolino, dopo avervi deposto sopra il nodoso bastone).

Il Commesso d'albergo - Meno male, don Gesualdo, v'aspettavo.

Copecchia                   - M'aspettavi? Perchè m'aspettavi?

Il Commesso d'albergo - Come, don Gesualdo? E quel gran signore aspetta anche lui.

Copecchia                   - Giovinotto, che ore abbiamo?

Il Commesso d'albergo - Preciso, non Io so.

Copecchia                   - L'orologio della stazione. Preciso l'orolo­gio della stazione, non ti pare? Dunque, le nove e mezzo. A che ora s'era detto? Se ne ricorda il comm. Basetti? S'era detto alle dieci. E mezz'ora prima è tutto £atto.

Colorno                       - (che s'era appressato al commesso) Hai visto?

Il Commesso d'albergo - Che forse non lo so? D cavaliere Copecchia, meglio d'un avvocato!

Copecchia                   - Ma cavaliere niente! Non sono cavaliere!

Colorno                       - E tutti v'intendono per cavaliere! Che ci volete fare?

Copecchia                   - Ah, io non ci faccio nulla! Ecco una bu­sta; dentro l'incartamento e ci scriviamo sopra (esegue) Illustrissimo Comm. Basilio Basetti. S.P.M. {Consegnando la busta al commesso) Puoi correre e consegnarla. Vedrai che una buona mancia per te ci scappa.

Il Commesso d'albergo - Ah, io, per questo, come del resto tutti i miei colleghi qui intorno alla stazione, ap­pena sentiamo che i viaggiatori sono arrivati per faccende di banca, d'uffici, di tribunale, subito nominiamo il cavalier Copecchia. Persino i vetturini e gli autisti lo sanno.

Copecchia                   - Bè, bè, buona fortuna! Non ti perdere in chiacchiere.

Il Commesso d'albergo (salutando) Buon giorno, cavaliere, buon giorno Colorno. (Fa alcuni passi: ma torna indietro) Ma cavaliere, e... e... per il vostro onora­rio?... Perchè non venite con me all'albergo?

Copecchia                   - Ma ohe c'entra? All'albergo, «i vengo quando si tratta di prendere accordi, prendere dati, an­notarmi circostanze: ma quand'è tutto fatto... Eh, no! Il cliente ci pensa da se. E poi quel comm. Basetti, figu­rarsi! persona decorosa. Sa il mio indirizzo.

Il Commesso d'albergo - Come volete, cavaliere. (S'av­via e scompare).

Copecchia                   - (a Colorno) Ragazzacci. Non sanno il viver del mondo!

Colorno                       - E vogliono insegnarlo a voi! Che vi diamo, cavaliere?

Copecchia                   - Ci crederesti, caro Colorno? Stamane, uscito di casa, nemmeno il tempo di fermarmi alla solita latteria per il caffè e il latte. Difilato al centro, per que­gli incartamenti.

Colorno                       - Vi ho visto, ed ho pensato. Di buon'ora davvero, stamane, il cavaliere Copecchia! Un panino im­bottito, cavaliere, e un bicchierino di vin santo?

Copecchia                   - Vada per il panino e per il bicchierino! (Colorno si allontana ed entra nel chiosco. Si è avvici­nata una carrozzella, ne scende il vetturino e s'avvicina alla tavola di Copecchia).

Il Vetturino                 - Cavaliere, me la dite una parolina?

Copecchia                   - Io paroline non ne dico.

Il Vetturino                 - Come sarebbe, cavaliere? E se vi scor­date voi di me, sono bell'e rovinato. Ve l'assicuro, cava­liere, quella rimessa è la mia rovina. Se voi non mi fate passare nell'altra rimessa, non posso veder luce, quel che guadagno mi se ne va via! Un disastro! M'avete promesso d'interessarvene?

Colorno                       - (torna e serve Copecchia).

Copecchia                   - Te l'ho promesso o non te l'ho pro­messo? Devi dirlo tu.

Colorno                       - (al vetturino) Sicuro, devi saperlo tu.

Il Vetturino                 - (a Colorno) E non c'eravate presente anche voi, otto giorni fa?

Colorno                       - Sicuro ch'ero presente. Il cavaliere, ogni giorno, mi fa l'onore d'una sua visita!

Il Vetturino                 - E l'avete sentito che me l'ha promesso?

Colorno                       - E, dunque, devi star tranquillo.

Il Vetturino                 - (felice) Davvero? Oh, cavaliere, posso alar tranquillo? Dio vi benedica, s'è così. Dio...

Copecchia                   - (dandogli sulla voce) E lascia star Dio, che non si può occupare anche delle rimesse! Quanto ti dissi? Ti dissi otto giorni?

 Il Vetturino                - Sicuro, vi occorrevano otto giorni.

Copecchia                   - E oggi, sono otto giorni? Da quando man­chi dalla rimessa?

Il Vetturino                 - Ci vado ora. Ho passato tutta la notte al posto. Qualche corsa stamattina!

Copecchia                   - E, dunque, torna alla rimessa ch'è tutto fatto.

Il Vetturino                 - (saltando dalla gioia) Tutto fatto! Oh, cavaliere! Oh, che benefattore! E come posso ripagare! Un anno che picchiavo e non ci riuscivo! E voi, in otto giorni!... (Al cavallo) Fermo Maurino! Scusate se mi siedo, cavaliere! Troppo contento, stamani!

Copecchia                   - (a Colorno) Dagli un bicchierino di vin santo!

Il Vetturino                 - Come? Dovrei offrirlo io!

Colorno                       - Bevi tranquillo; e poi te ne vai, che il ca­valiere ha da leggere il giornale. Io lo so che lui qui se la gode quando può leggersi in santa pace il giornale... Oggi poi, giornata splendida.

Il Vetturino                 - Ci conosciamo noi: da gran tempo ci conosciamo. (Bevendo il suo bicchiere) Quando porta­vate a spasso la figliuola in carrozzella, eh? Facevamo il giro dei giardini, ch'era convalescente, la poverina. E ora? E' bell'e sposata.

Colorno                       - Coinè sta la signora Agatina, cavaliere?

Copecchia                   - Benone. Lei, il marito, due bimbi, be­none! Non passano tre giorni che ricevo lettera.

Colorno                       - Oh, bella donna, e buona! E qui, proprio qui, non si fi'danzò qui al mio chiosco? Venivano a bere un sorbetto, le sere d'estate, lei e il papà. Io, d'estate, metto sempre l'orchestrina. E qui la signorina conobbe il Farsetti, già impiegato alla ferrovia: occhiatine, paro­line, e, all'ultimo, è vero cavaliere? amore dichiarato, e si sposarono.

Copecchia                   - Bravo giovane. Non posso lamentarmi. Ora già capostazione. Non di una stazione grande come questa, naturalmente. Ma'alla sua età, già capostazione!...

Il Vetturino                 - Diamine, un po' d'anni e magari lo vedremo capostazione qui.

Copecchia                   - Lo vedrete voi, che siete più giovani di me.

Colorno                       - Voi, cavaliere, avete salute da venderne!

Copecchia                   - Ah, per salute! Ma gli anni sono gli anni! A momenti settanta.

Il Vetturino                 - Settanta! Che meraviglia! Io ne ho cinquantanove e, a petto vostro, sono decrepito!

Copecchia                   - E l'ho faticata la mia vita eh! Messo esattoriale, prima, appena giunto dal mio paesello, ch'è in montagna. Poi, passai al Tribunale, dal Tribunale fi­nalmente custode di Banca!

Il Vetturino                 - E che non lo sappiamo? Ne avete fatta carriera.

Colorno                       - Da quando siete in riposo? Da cinque anni? E avete più da fare di prima.

Il Vetturino                 - Qui lo conoscono tutti!

Copecchia                   - Che volete, mortami la moglie, la mia cara Genoveffa, presi un quartierino di quattro stanze  qui in via Volturno,

Il Vetturino                 - Sicuro, lo so, in via Volturno, al 54.

Copecchia                   - Per me e per la mia Agatina, la sola ri­mastami in casa. Gli altri due figliuoli, già sposati e via, tutte e due in alta Italia. Avevo ancora la Banca; poi, in riposo. Ci potevo stare io, Copecchia, con le mani in mano? Comincia ora uno d'un albergo, ora un altro d'al­tro albergo : « Sor Gesualdo, un viaggiatore cerca una persona pratica che lo sbrighi di certi affari al Registro» ; «Sor Copecchia, c'è il tal dei tali che vorrebbe schiari­menti per certe operazioni di Banca» ; «Sor Copecchia, il Tribunale...» ; «Sor Copecchia, l'Agenzia delle Impo­ste...». Insomma, le mie giornate, di qua e di là in città, passano che non le vedo.

Il Vetturino                 - E son danari a palate!

Copecchia                   - E sì, il danaro arriva. Ma, caro mio, lo faccio poi proprio per il danaro? Certo, lasciare qual­cosa ai figliuoli; ma infine gran bisogno non hanno. Anzi stanno tutti benone. Lo faccio per ingannare il tempo e anche un po' per soddisfazione. Quanti che ho serviti, una volta tornati ai loro paesi, mi scrivono ringrazian­domi: e poi mi scrivono ancora per altri incarichi.,. Po­sta la mattina, posta a mezzogiorno, posta la sera. E in casa mia, mi metto a tavolino e ammucchio incartamenti, metto in busta, spedisco... Casa vuota, cari amici, è que­sta la parte triste della faccenda! Dopo tanto lavoro, tanta famiglia, tanto chiasso, di nuovo silenzio, solitudine. Ecco qui: il chiosco dell'amico Colorno, il giornale, un po' di sole quando c'è. Ma poi... poi... mangiare in trat­toria,... far due passi... salirsene a casa... andare a letto! Una ragazza del palazzo, un'oretta al giorno, viene per un po' di pulizia alle quattro stanze, mi rifa il letto, tanti saluti e se ne va. Ma vi dico la verità, le quattro stan­zette non le ho volute lasciare...

Colorno                       - Avete ragione, cavaliere, perchè lasciarle? E poi, qui intorno siamo tutti vostri amici.

Il Vetturino                 - E quando volete, mi fate proprio un regalo, sor Gesualdo, una passeggiatala in carrozzella al 6ole, come quando c'era la vostra figliuola Agatina. (Si alza per andarsene) E non vi dico più nulla di quanto avete fatto per me. Non me ne scorderò mai! L'altra ri­messa! Che felicità oggi! Corro, corro subito. (Sale in vettura e riparte).

Copecchia                   - (a Colorno) La vita! Ansie, dolori, an­gosce, piccole gioie, e passa... passa...

Golorno                      - Proprio così.

Copecchia                   - Sai perchè mi piace anche abitare da queste parti?

Colorno                       - Perchè?

Copecchia                   - Per sentire i treni, che fischiano, arri­vano, partono. E' movimento, capisci? Vita...

Colorno                       - E' giusto. Io, con il mio chiosco, ventitré anni ormai! Quanti treni! E ci sto bene!

Il Commesso d'albergo  - (giunge correndo, con una bu­sta in mano).

Copecchia,                  - Perbacco, come corri! Non vedi che sudi!

Il Commesso d'albergo - E sì che sudo. Fa caldo oggi. Sudano tutti.

Colorno                       - (indicando una grossa donna che, in piedi, sotto l'orologio della stazione, ha deposto due grosse va-lige legate con lo spago e due o tre pacchetti) E quella lì... quella lì...; sotto l'orologio... proprio da ridere! sbuffa come una locomotiva... tutta rossa, congestionata... le mani arrovesciate sui fianchi, e guarda con occhi di collera d'un lato all'altro... Se ne vedono di tipi!

Copecchia                   - Dev'essere una giunta ora dal paese e non s'orienta... Sbuffa sì... sente caldo! Che caldo!... (Ride).

Il Commesso d'alberco - Prendetevi la busta, sor Ge­sualdo, ch'io devo tornar subito all'albergo. Bisogna che firmiate, me l'ha detto, che firmiate la ricevuta.

Copecchia                   - Eh, quanta fretta! (Traendo dalla busta alcuni biglietti di banca e la ricevuta che firma) Diglielo al commendatore che non c'era fretta.

Il Commesso d'albergo - La questione è che parte subito. M'ha detto di salutarvi tanto tanto, ringraziarvi e dirvi che vi scriverà.

Copecchia                   - Ricambia da parte mia i saluti, e buon viaggio. Una degna persona.

Il Commesso d'albergo - (scappa via).

Colorno                       - Ha pagato bene?

Copecchia                   - Convenientemente. Era un imbroglio, a dir "vero; l'ho sbrogliato.

Colorno                       - Ora, cavaliere, mettete da parte gli affari, e riposatevi. Anche la mente ha bisogno di riposo. Nem­meno io voglio darvi più fastidio con le mie chiacchiere. Leggetevi il giornale e poi, a vostro comodo, mi dite se nella cronaca c'è qualcosa d'importante. (Volgendosi verso un tavolino all'altra estremità, a cui si sono sedute due persone) Eccomi, pronto. (Accorre).

Copecchia                   - (trae di tasca il giornale, lo spiega accura­tamente, comincia a leggere e, poco dopo, ingolfato nella lettura, non ode più nulla).

Marianorma                - (il donnone trasudato, che poco prima Colorno e Copecchia hanno veduto sotto l'orologio della stazione, con le due valige legate con lo spago, con gli altri involti, si fa avanti e, lamentandosi, viene a sedere a una tavola vicina a quella dove siede Copecchia. Tra se) Ah! Ah! Anche questo caldo ci voleva!... Meno male, qui ci sono alberi... Toh, si respira un po'!... (S'asciuga il sudore, si fa vento con il fazzoletto) Non ci avrei creduto!... Farmi venire in città!... Io che non ci sono mai stata!... E non farsi trovare alla stazione!... Chiarina! Chiarina!... Quale strada hai presa io non lo so!... Forse non era la zia che volevi vedere!... Volevi vedere danari!... No, Chiarina, con i danari ora basta!... Non ho la miniera dei danari io al paese...

Colorno                       - (che ha servito i due avventori alla tavola, viene presso Marianorma) Si suda eh? Valige, pac­chetti... si sa... pesano...

Marianorma                - Portavo qualcosa di buono... dal paese... capite... a chi non lo merita!

Colorno                       - E se non lo merita, allora?

Marianorma                - Aspetto qui mezz'oretta, la dovessi vedere... Poi faccio il biglietto, mi rimetto in treno...

Colorno                       - E di nuovo al paese!...

Marianorma                - E che devo fare? Ditelo voi!

Colorno                       - Che ne posso sapere io!

Marianorma                - Mia nipote Geltrude, per caso l'aveste a conoscere?

Colorno                       - Geltrude? Una parola, ci son tante Gel-trudi!

Marianorma                - (alzando sempre più la voce come se Co­lorno fosse sordo) Geltrude Spartaci, bella ragazza, ma con la testa un po' in aria, venuta al servizio in città, Geltrude Spartaci!...

Copecchia                   - (che leggeva il giornale, richiamato dalla voce e dal nome, ha una mossa involontaria, del capo).

Colorno                       - E non gridate! Credete che aia sordo? Di­sturbate anche il cavaliere che legge!

Marianorma                - Per farvi intendere bene il nome, ecco! Non volevo disturbare, scusate. Beato lui, quel cavaliere che se la legge tranquillamente. Segno che non ha nipoti discoli...

Colorno                       - Intanto potete bere qualcosa. Non costa molto.

Marianorma                - Bè, se non costa molto!... E che cosa potrei bere?

Colorno                       - Dovete dirlo voi. Io, sudato come siete voi, berrei un vin santo, per esempio. Mai una bibita fresca quando si è in sudore.

Marianorma                - Esatto. Datemi quel che avete detto. E' vin dolce, vero?

Colorno                       - Dolcissimo. (Sta per andare).

Marianorma                - E sentite...

Colorno                       - Che altro ancora?

Marianorma                - Viale dei Mille è lontano da qui?

Colorno                       - Altro che! Dall'altra parte della città, quar­tieri nuovi. (Sta di nuovo per avviarsi).

Copecchia                   - (ch'è rimasto ad ascoltare e poi, piano piano, s'è volto a osservare sottecchi la donna) Colorno, poe­tale anche qualche panino imbottito!

Colorno                       - (torna indietro, a Marianorma) Ci sta con il vin santo. Se ve lo dice il cavaliere...

Marianorma                - (stupita) Lo dice per me il cavaliere? Siete gentili in città! Soltanto la mia nipote Geltrude!...

Copecchia                   - (sottolineando) Spartaci, non è vero? Spartaci...

Marianorma                - Spartaci, sicuro...Forse la conoscete, voi?

Copecchia                   - No, io non conosco lei... Conosco, invece, te, Spartaci, no? Spartaci Marianorma.

Marianorma                - Gesù e Maria! Voi li conoscete tutti quelli che arrivano alla stazione?

Colorno                       - Guarda un po' che bella circostanza. Cava­liere, la conoscevate?

Copecchia                   - E come no? E già, alla parlata del paese, da quest'orecchio l'avevo sentita, mentre leggevo il gior­nale; poi ha detto Spartaci!...

Marianorma                - Ci siete stato voi al paese?

Copecchia                   - Oh, Marianorma! Marianorma di Zibib­bo! Tanto m'ha reso irriconoscibile la vecchiaia?

Marianorma                - (scattando in piedi e mettendosi le mani ai capelli) Gesù e Maria! Gesù e Maria! Gesualdo!...

Copecchia                   - Sicuro, Gesualdo!...

 Marianorma               - Gesualdo Copecchia!...

Copecchia                   - Hai veduto, Marianorma, prima di morire ci si ritrova.

Marianorma                - (segnandosi) Nome del Padre... del Figliuolo...

Copecchia                   - (a Colorno) Colorno, quaranta... quaran­tadue... già, quarantacinque anni fa... E' del mio stesso paese... Eravamo fidanzati...

Marianorma                - Proprio, fidanzati. E lui... con l'idea di farsi una posizione... in città; lo stesso che mia nepote Geltrude!... Scrivi una volta, scrivi due volte, alla fine, non ci scrivemmo più... Lui per la sua strada...

Copecchia                   - E tu per l'altra! Quale strada, Marianorma, non ne seppi più nulla.

Marianorma                - La strada di Marianorma? Quella di una che alleva nipoti, figli di mie sorelle, figli di miei fratelli...

Copecchia                   - E non sposasti mai?

Marianorma                - Sposarmi? N'ero stufa! M'era bastato Copecchia!

Copecchia                   - Hai capito, Colorno? Ho un peccato sul­la coscienza!

Marianorma                - Tempo passato! Chi se ne ricorda più!

Copecchia                   - Meno male! Hai capito, Colorno, che brava gente in paese! Marianorma, casta e pura, come quarantacinque anni fa.

Marianorma                - E vecchia!...

Colorno                       - Ma in gamba, perbacco! E solida!

Copecchia                   - Vedi, Marianorma, te lo dice uno ch'è ben piantato anche lui!

Colorno                       - Chi poteva immaginare, cavaliere? Pro­prio una bella giornata, oggi, lasciamo andare! Porto subito panini e vin santo. (Si allontana a passo svelto).

Copecchia                   - Dunque la nipote non è venuta alla sta­zione?

Marianorma                - Sempre a scrivermi che vuole danari. Lo rispondo che vengo apposta in città: una, due, tre lettere, non si fa viva. Un telegramma che arrivo. Non la trovo. Ho il suo indirizzo: Viale dei Mille, 190. Ma ci starà ancora? Cambia sempre indirizzo. Prima diceva di essere al servizio, poi s'è messa a fare la sarta...

Copecchia                   - E ora, cara mia, non vuole essere im­portunata... Hai ancora nipoti da allevare?

Marianorma                - Ah, non più! Ora basta! L'ultima, Gel­trude!

Colorno                       - (torna con i panini e il vin santo).

Copecchia                   - Dunque, senti, senti, Colorno. (Volto a Marianorma) Sei sola, libera e verginella come quaran­tacinque anni fa.

Marianorma                - (bevendo avidamente il vino) Né più né meno!

Colorno                       - Che bellezza!

Marianorma                - E tu, Gesualdo?

Copecchia                   - Io?... Anch'io... Di nuovo solo e libero: non verginello naturalmente! Figli, tutti sposati; qui in città, solo, nelle mie quattro stanze.

Colorno                       - Ecco una bella idea! (A Marianorma) Ri­mettervi in treno, tornare al paese!... Cavaliere, avete trovato compagnia; la portate a casa vostra, e lei diventa padrona di casa: vi tiene in sesto la biancheria, i vestiti, prepara da mangiare...

Copecchia                   - E perchè no? Che ne dici Marianorma? Non mancherai di nulla, te lo posso promettere.

Marianorma                - (rìdendo) Fidanzati nn'altra volta?

Colorno                       - Ecco, benissimo. Fidanzati un'altra volta.

Copecchia                   - Fidanzamento, senza nozze: perchè or­mai, Marianorma carissima, che vuoi fare?

Marianorma                - Non ci mancherebbe altro, sporcaccione!

Colorno                       - (scoppiando a ridere) Ah! Ah! Ah! Spor­caccione! Ah! Ah! Ah!

Copecchia                   - (sganasciandosi anche lui dal ridere) Sporcaccione! Ah! Ah! Ah... Bene, benissimo... Chia­miamo una carrozzella... ci mettiamo sopra le valige...

Marianorma                - Ho due pollastre... un gallo d'india...

Copecchia                   - Ottimamente. Si riaccende il luoco a casa mia, e si mette la pentola!

Colorno                       - (ha chiamato un vetturino, aiuta Copecchia a portare valige ed involti, e li pone sopra la carroz­zella che s'è fermata; al vetturino) Lo conosci il ca­valiere?

Il Vetturino                 - Se lo conosco!

Colorno                       - A casa sua, via Volturno!

Marianorma                - (salendo in carrozza) Gesualdo, ma qui ti conoscono tutti!

Colorno                       - (aiutando Copecchia a salire e rispondendo a Marianorma) E ancora non avete visto nulla! Ve­drete, vedrete! Eccovi belli e contenti. Possiate tra­scorrere ancora lunghi anni beati, insieme!

Copecchia                   - Un bell'augurio, caro Colorno. Ma tfevo ancora pagare.

Colorno                       - Che state a pensare! Stasera, verso il tra­monto. Avete pranzato a casa, avete riposato, ve ne uscite con la signora, venite a sedervi al chiosco. In­dovinate un po' che cosa vi fa trovare il vostro Colorno. Un bel piatto di fragole ben ghiacciate e con lo zuc­chero. Le prime. Le ho viste al mercato.

Copecchia                   - Resta inteso. Un amico, Colorno! An­diamo, vetturino!

Colorno                       - Un momento! Un momento! (Scappa di corsa verso il chiosco, dove scompare per un minuto. Ritorna con un mazzo di garofani, che presenta a Ma­rianorma) Li avevo lì e non mi ricordavo! Un po' di fiori, perbacco! Non succede ogni giorno!

Marianorma                - Che gentilezze, in città! Chi me l'a­vrebbe detto al paese!

Copecchia                   - Appena alla stazione, fidanzata un'altra volta con il tuo vecchio Copecchia. E un amico come Colorno, subito un mazzo di garofani! Andiamo, vet­turino. (La carrozzella si mette in moto, tra grandi saluti di Colorno, di Copecchia, di Marianorma).

FINE