Copenaghen

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Copenaghen

Titolo originale: Copenhagen

Opera teatrale in due atti a cura di Martha Fabbri

di Michael Frayn

Traduzione di Maria Teresa Petruzzi e Filippo Ottoni

PERSONAGGI

MARGRETHE

BOHR

HEISENBERG

ATTO PRIMO

Margrethe                     - Ma perché?

Bohr                              - Ci pensi ancora?

Margrethe                     - Perché è venuto a Copenaghen?

Bohr                              - Che importanza ha, tesoro, adesso che siamo tutti e tre morti e sepolti?

Margrethe                     - Certe domande rimangono a lungo anche dopo che chi le ha fatte è morto. Si aggirano come fantasmi, cercando le risposte che non hanno mai trovato in vita.

Bohr                              - Certe domande non hanno risposta.

Margrethe                     - Perché è venuto? Che cosa stava cercando di dirti?

Bohr                              - L'ha spiegato dopo.

Margrethe                     - L'ha spiegato tantissime volte. E ogni volta che ha spiegato è diventato più oscuro.

Bohr                              - Probabilmente, a pensarci bene, era molto semplice: vo­leva solo parlare.

Margrethe                     - Parlare? Col nemico? Nel bel mezzo di una guerra?

Bohr                              - Margrethe, tesoro, non eravamo certo noi il nemico.

Margrethe                     - Era il l941!

Bohr                              - Heisenberg era uno dei nostri più vecchi amici.

Margrethe                     - Heisenberg era tedesco. Noi eravamo danesi. Sotto l'occupazione tedesca.

Bohr                              - Questo ci metteva certamente in una posizione difficile.

Margrethe                     - Non ti ho mai visto tanto arrabbiato con qualcu­no come lo eri con Heisenberg quella sera.

Bohr                              - Non per contraddirti, ma credo di essere rimasto piutto­sto calmo.

Margrethe                     - Io lo capisco quando sei arrabbiato.

Bohr                              - Per lui era difficile come lo era per noi.

Margrethe                     - Perché l'ha fatto, allora? Adesso nessuno può più essere ferito, nessuno può più essere tradito.

Bohr                              - Penso che non lo abbia mai saputo neanche lui.

Margrethe                     - Lui non era un amico. Non dopo quella visita. Che segnò la fine della famosa amicizia tra Niels Bohr e Wer­ner Heisenberg.

Heisenberg                    - Adesso siamo tutti morti e sepolti, certo, e il mondo di me ricorda soltanto due cose. Una è il principio di in­determinazione, e l'altra è la mia misteriosa visita a Niels Bohr a Copenaghen nel 1941. L'indeterminazione la capiscono tut­ti. O credono di capirla. Nessuno capisce il mio viaggio a Co­penaghen. Quante e quante volte l'ho spiegato. Allo stesso Bohr, e aMargrethe. A quelli che mi interrogavano e agli agen­ti dei servizi segreti, ai giornalisti e agli storici. E più spiegavo, più profonda si faceva l'indeterminazione. Bene, farò volentie­ri un altro tentativo. Adesso che siamo tutti morti e sepolti. Adesso nessuno può più essere ferito, nessuno può più essere tradito.

Margrethe                     - A me non è mai piaciuto del tutto, sai. Forse adesso posso dirtelo.

Bohr                              - Certo che ti piaceva. Quando venne qui la prima volta, negli anni Venti, ti piaceva eccome. Sulla spiaggia a Tisvilde con noi e i ragazzi. Era uno di famiglia.

Margrethe                     - C'era qualcosa di estraneo in lui, anche allora.

Bohr                              - Era così rapido e bramoso.

Margrethe                     - Troppo rapido. Troppo bramoso.

Bohr                              - Quel vivace sguardo osservatore.

Margrethe                     - Troppo vivace. Troppo osservatore.

Bohr                              - Be', era un grandissimo fisico. Su questo non ho mai cambiato opinione.

Margrethe                     - Erano tutti bravi quelli che venivano a Copena­ghen per lavorare con te. Hai avuto qui la maggior parte dei grandi pionieri della teoria atomica, in quegli anni.

Bohr                              - E più ci ripenso, più mi convinco che Heisenberg era il più grande di tutti.

Heisenberg                    - Allora, che cos'era Bohr? Era il primo di tutti noi, il padre di tutti noi. La moderna fisica atomica incominciò quando Bohr capì che la teoria dei quanti si poteva applicare alla materia così come all'energia. 1913. Tutto quello che fa­cemmo dopo era basato su quella sua grande intuizione.

Bohr                              - E pensare che venne qui, la prima volta, come mio assi­stente, nel 1924...

Heisenberg                    - Avevo appena finito il mio dottorato, e Bohr era il fisico atomico più famoso del mondo.

Bohr                              - ... e nel giro di appena un anno aveva inventato la mecca­nica quantistica.

Margrethe                     - Fu il risultato della vostra collaborazione.

Bohr                              - Più che altro, di quello che aveva fatto con Max Born e Pascual Jordan a Gottinga. Un altro anno e poco più e sarebbe arrivato all'indeterminazione.

Margrethe                     - E tu alla complementarità.

Bohr                              - Ne discutevamo ad alta voce insieme.

Heisenberg                    - Facemmo gran parte del nostro lavoro migliore, insieme.

Bohr                              - Heisenberg di solito indicava la strada.

Heisenberg                    - Bohr dava un senso a tutto.

Bohr                              - Operavamo come una ditta.

Heisenberg                    - Presidente e direttore generale.

Margrethe                     - Padre e figlio.

Heisenberg                    - Una ditta familiare.

Margrethe                     - Anche se avevamo dei figli nostri.

Bohr                              - E continuammo a lavorare insieme a lungo, anche dopo che smise di essere mio assistente.

Heisenberg                    - A lungo, dopo che avevo lasciato Copenaghen, nel 1927, per tornare in Germania. A lungo dopo che ottenni una cattedra e mi feci una famiglia.

Margrethe                     - Poi i nazisti presero il potere...

Bohr                              - E le cose si fecero sempre più difficili. Quando scoppiò la guerra, divennero impossibili. Fino a quel giorno, nel 1941.

Margrethe                     - Quando tutto finì per sempre.

Bohr                              - Già, perché l'ha fatto?

Heisenberg                    - Settembre, 1941. Per anni, nella mia memoria, era diventato ottobre.

Margrethe                     - Era settembre. Fine settembre.

Bohr                              - Curiosa specie di diario, la memoria.

Heisenberg                    - Apri le pagine, e tutte le intestazioni chiare e gli appunti ordinati si dissolvono intorno a te.

Bohr                              - Avanzi tra le pagine, tra i mesi e i giorni...

Margrethe                     - E dentro la tua testa il passato diventa presente.

Heisenberg                    - Settembre, 1941, Copenaghen... E, di colpo-ec­comi qua che scendo dal treno notturno proveniente da Berli­no con il mio collega Cari von Weizsàcker. Due normali abiti e impermeabili civili in mezzo alle uniformi grigioverdi della Wehrmacht che arrivano con noi, alle guarnizioni dorate della marina, al nero di ottimo taglio delle SS. Nella borsa ho il testo della lezione che devo tenere. Nella mente ho un'altra comuni­cazione che deve essere consegnata. La lezione è sull'astrofisi­ca. Il testo nella mia mente è più difficile.

Bohr                              - Naturalmente, noi non possiamo assistere alla lezione.

Margrethe                     - Se la fa all'Istituto Tedesco di Cultura, no - è un'organizzazione propagandistica nazista.

Bohr                              - Lui deve sapere come la pensiamo al riguardo.

Heisenberg                    - Weizsàcker è stato il mio Giovanni Battista, e ha scritto per avvertire Bohr del mio arrivo.

Margrethe                     - Vuole incontrarti?

Bohr                              - Presumo che sia venuto per questo.

Heisenberg                    - Ma come si può combinare un incontro con Bohr?

Margrethe                     - Avrà qualcosa di veramente importante da dire.

Heisenberg                    - Deve sembrare naturale. Deve essere privato.

Margrethe                     - Non penserai sul serio di invitarlo a casa?

Bohr                              - Evidentemente, è quello che lui spera.

Margrethe                     - Niels! Hanno occupato il nostro Paese!

Bohr                              - Lui non è loro.

Margrethe                     - Lui è uno di loro.

Heisenberg                    - Prima di tutto c'è una visita ufficiale al lavoro da Bohr, l'Istituto di Fisica Teorica, con un imbarazzante pranzo nella vecchia familiare mensa. Nessuna possibilità di parlare con Bohr, naturalmente. Sempre che sia presente. C'è Rozen-tal... Petersen, credo... Christian Moller, quasi certamente... Rivedo tutto come in un sogno. Non riesco a mettere bene a fuoco i contorni precisi della scena che mi circonda. A capo ta­vola - è Bohr, quello? Mi volto a guardare, ed è Bohr, è Rozen-tal, è Moller, chiunque decido essere qui... Un'occasione dif­ficile, comunque - questo me lo ricordo abbastanza chiaramente.

Bohr                              - Fu un disastro. Fece una pessima impressione. Occupa­zione della Danimarca, malaugurata. Occupazione della Polo­nia, tuttavia, perfettamente accettabile. La Germania a questo punto certa di vincere la guerra.

Heisenberg                    - I nostri carri armati sono alle porte di Mosca. Che cosa può fermarci? Be', una cosa, forse. Solo una cosa.

Bohr                              - Lui sa di essere tenuto d'occhio, naturalmente. Bisogna tenerne conto. Deve stare attento a quello che dice.

Margrethe                     - Altrimenti non gli permetteranno più di andare all'estero.

Bohr                              - Tesoro, la Gestapo aveva piazzato dei microfoni in casa sua. Lo disse lui a Goudsmit quando andò in America. Le SS lo avevano interrogato nei sotterranei della Prinz-Albrecht-Strasse.

Margrethe                     - Però, poi, lo avevano rilasciato.

Heisenberg                    - Chissà se hanno mai sospettato un solo momento quanto sia stato penoso ottenere il permesso per questo viag­gio. Gli umilianti appelli al Partito, gli sforzi avvilenti per far leva su qualche amicizia al Ministero degli Esteri.

Margrethe                     - Come ti è parso? È molto cambiato?

Bohr                              - Un po' invecchiato.

Margrethe                     - Io continuo a immaginarlo come un ragazzo.

Bohr                              - Ha quasi 40 anni. Un professore di mezza età, sta rag­giungendo in fretta tutti noi.

Margrethe                     - Vuoi ancora invitarlo qui?

Bohr                              - Esaminiamo il prò e il contro in modo ragionevolmente scientifico. Primo: Heisenberg è un amico...

Margrethe                     - Primo: Heisenberg è tedesco.

Bohr                              - Un ebreo bianco. Così lo chiamavano i nazisti. Ha inse­gnato la relatività, e dicevano che era "fisica ebrea". Non pote­va fare il nome di Einstein, ma ha insistito con la relatività, no­nostante i più terribili attacchi.

Margrethe                     - I veri ebrei hanno perduto il lavoro, mentre lui insegna ancora.

Bohr                              - Insegna ancora la relatività.

Margrethe                     - È ancora professore a Lipsia.

Bohr                              - A Lipsia, già. Non a Monaco. L'hanno tenuto lontano dalla cattedra di Monaco.

Margrethe                     - Sarebbe potuto essere alla Columbia.

Bohr                              - O a Chicago. Ha ricevuto offerte da entrambe.

Margrethe                     - Non ha voluto lasciare la Germania.

Bohr                              - Vuole restarci per ricostruire la scienza tedesca quando Hitler se ne sarà andato. L'ha detto a Goudsmit.

Margrethe                     - E se è sorvegliato sarà tutto riferito. Chi incon­tra. Quello che dice. Quello che gli dicono.

Heisenberg                    - Mi porto dietro la mia sorveglianza come una malattia infettiva. Però so che anche Bohr è sotto sorveglianza.

Margrethe                     - E sai bene che anche tu sei sotto sorveglianza.

Bohr                              - Della Gestapo?

Heisenberg                    - Se ne renderà conto?

Bohr                              - Io non ho nulla da nascondere.

Margrethe                     - Dei nostri compatrioti danesi. Sarebbe un terri­bile tradimento di tutta la fiducia che hanno riposto in te, se pensassero che stai collaborando.

Bohr                              - Invitare a cena un vecchio amico non significa collaborare.

Margrethe                     - Potrebbe sembrarlo.

Bohr                              - Già. Ci ha messo in una situazione difficile.

Margrethe                     - Non glielo perdonerò mai.

Bohr                              - Avrà una qualche buona ragione. Avrà un'ottima ragione.

Heisenberg                    - Ci troveremo in una situazione profondamente imbarazzante.

Margrethe                     - Non parlerete di politica?

Bohr                              - Ci limiteremo alla fisica. Presumo che sia di fisica che vuole parlarmi.

Margrethe                     - Devi anche presumere che tu e io non siamo le uniche persone a sentire quello che si dice in questa casa. Se vuoi parlare in privato con lui, fareste meglio a uscire all'aperto.

Bohr                              - Non ho intenzione di parlare privatamente.

Margrethe                     - Potreste fare un'altra delle vostre passeggiate.

Heisenberg                    - Potrò almeno proporre una passeggiata?

Bohr                              - Credo che non andremo a fare nessuna passeggiata. Qua­lunque cosa voglia dire può dirla dove chiunque può sentirla.

Margrethe                     - Forse si tratta di una qualche nuova idea che vuole verificare con te.

Bohr                              - Di che idea può trattarsi, però? Quali nuove strade si stanno aprendo?

Margrethe                     - Naturalmente ora, malgrado tutto, sei incuriosito.

Heisenberg                    - E così eccomi qua, in cammino, nel tramonto au­tunnale, verso la casa dei Bohr a Ny-Carlsberg. Seguito, presu­mibilmente, dalla mia ombra invisibile. Che cosa provo? Paura, certo - quel pizzico di paura che si prova sempre di fronte a un insegnante, a un datore di lavoro, a un genitore. Ma una paura peggiore per quello che ho da dire. Per come dirlo. Per come af­frontare l'argomento. E una paura ancora peggiore per quello che accadrà se fallisco.

Margrethe                     - Non sarà una cosa che ha a che fare con la guerra?

Bohr                              - Heisenberg è un fisico teorico. Non credo che qualcuno abbia ancora scoperto un modo di usare la fisica teorica per uc­cidere la gente.

Margrethe                     - Non sarà qualcosa che riguarda la fissione?

Bohr                              - La fissione? Perché mai dovrebbe parlarmi di fissione?

Margrethe                     - Perché tu ci stai lavorando.

Bohr                              - Ma Heisenberg no.

Margrethe                     - No? Sembra che lo stiano facendo tutti. E tu sei l'autorità in materia.

Bohr                              - Heisenberg non ha pubblicato nulla sulla fissione.

Margrethe                     - Ma è stato lui a fare tutto il lavoro iniziale sulla fisica del nucleo. E allora ti consultava, ti consultava a ogni passo.

Bohr                              - Questo avveniva nel 1932. Di fissione si è parlato solo negli ultimi tre anni.

Margrethe                     - Ma se i Tedeschi stessero sviluppando un'arma basata sulla fissione nucleare...

Bohr                              - Tesoro, nessuno svilupperà un'arma basata sulla fissione.

Margrethe                     - Ma se i Tedeschi ci stessero provando, Heisen­berg sarebbe coinvolto,

Bohr                              - Di certo non c'è penuria di bravi fisici tedeschi.

Margrethe                     - Non c'è penuria di bravi fisici tedeschi neppure in America o in Gran Bretagna.

Bohr                              - Gli ebrei se ne sono andati, ovviamente.

Heisenberg                    - Einstein, Wolfgang Pauli, Max Born... Otto Frisch, Lise Meitner... Eravamo primi al mondo nella fisica teorica! Una volta.

Margrethe                     - Chi è rimasto allora a lavorare in Germania?

Bohr                              - Sommerfield, naturalmente, Von Laue.

Margrethe                     - Vecchi.

Bohr                              - Wirtz. Harteck.

Margrethe                     - Heisenberg è nettamente superiore a tutti loro.

Bohr                              - Otto Hahn - lui è ancora là. Dopo tutto, ha scoperto la fissione.

Margrethe                     - Hahn è un chimico. Credevo che quello che ha scoperto Hahn...

Bohr                              - ... fu che Enrico Fermi lo aveva scoperto a Roma quattro anni prima. Già - solo che lui non si era reso conto che si trat­tasse di fissione. A nessuno era venuto in mente che l'atomo dell'uranio potesse essersi scisso e trasformato in un atomo di bario e un atomo di cripto. Non fino a quando Hahn e Stras-smann fecero l'analisi, e individuarono il bario.

Margrethe                     - Fermi è a Chicago.

Bohr                              - Sua moglie è ebrea.

Margrethe                     - Dunque Heisenberg sarebbe a capo dell'opera­zione?

Bohr                              - Margrethe, non esiste alcuna operazione! John Wheeler e io abbiamo indagato il problema a fondo nel 1939. Una delle implicazioni del nostro articolo è che nel prossimo futuro non esiste alcuna possibilità che la fissione possa essere usata per produrre una qualsivoglia arma.

Margrethe                     - Come mai, allora, ci stanno ancora lavorando tutti?

Bohr                              - Perché c'è un elemento di magia in tutto questo. Spari un neutrone contro il nucleo di un atomo di uranio e questo si scinde dando luogo ad altri due elementi. E quello che cercava­no di fare gli alchimisti - trasformare un elemento in un altro.

Margrethe                     - Ma allora che cosa viene a fare?

Bohr                              - Adesso si è destata anche la tua curiosità.

Margrethe                     - No, i miei presagi.

Heisenberg                    - Avanzo scalpicciando sulla ghiaia familiare, fino al portone dei Bohr, e tiro deciso la familiare catena del campa­nello. Ho paura, sì. E anche un'altra sensazione, che mi è di­ventata penosamente familiare nell'ultimo anno. Un senso di autocompiacimento, unito a una impressione di totale, inelut­tabile assurdità - che dei due miliardi di esseri umani al mon­do, sia proprio io quello caricato di questa impossibile respon­sabilità.. . Il pesante portone si apre.

Bohr                              - Carissimo Heisenberg!

Heisenberg                    - Carissimo Bohr!

Bohr                              - Prego, accomodati...

Margrethe                     - E naturalmente, appena i loro sguardi s'incon­trano, tutta la loro circospezione scompare. Le vecchie fiamme si levano dalle ceneri. Basta riuscire a superare indenni le insi­diose formalità iniziali...

Heisenberg                    - Sono commosso che tu abbia ritenuto di potermi invitare.

Bohr                              - Dobbiamo cercare di continuare a comportarci da esseri umani.

Heisenberg                    - Mi rendo conto di quanto sia imbarazzante.

Bohr                              - L'altro giorno, al pranzo, siamo a malapena riusciti a stringerci la mano.

Heisenberg                    - E Margrethe, non la vedo da...

Bohr                              - Da quando venisti qui, quattro anni fa.

Margrethe                     - Niels ha ragione. Sembri invecchiato.

Heisenberg                    - Speravo di vedervi entrambi nel 1938, al congres­so di Varsavia...

Bohr                              - Mi pare che tu abbia avuto dei problemi personali.

Heisenberg                    - Una seccatura a Berlino.

Margrethe                     - Nella Prinz-Albrecht-Strasse?

Heisenberg                    - Solo un piccolo malinteso.

Bohr                              - Già, abbiamo saputo. Mi dispiace.

Heisenberg                    - Cose che capitano. La questione ormai è risolta. Felicemente risolta. Avremmo dovuto incontrarci tutti a Zurigo...

Bohr                              - Nel settembre 1939.

Heisenberg                    - Solo che, ovviamente...

Margrethe                     - C'è stata una sfortunata sovrapposizione con lo scoppio della guerra.

Heisenberg                    - Tristemente.

Bohr                              - Tristemente per noi, certo.

Margrethe                     - E per molti altri ancora più tristemente.

Heisenberg                    - Sì. Davvero.

Bohr                              - Be', è andata così.

Heisenberg                    - Che cosa posso dire?

Margrethe                     - Che cosa si può dire, nelle attuali circostanze?

Heisenberg                    - Niente. E i vostri figli?

Margrethe                     - Stanno bene, grazie. Ed Elisabeth? I bambini?

Heisenberg                    - Benissimo. Vi salutano, naturalmente.

Margrethe                     - Ci tenevano tanto a incontrarsi, malgrado tutto! Ma è arrivato il momento in cui sono così impegnati a evitare l'uno lo sguardo dell'altro, che non riescono neppure a vedersi.

Heisenberg                   - Mi chiedo se ti rendi conto di quello che significa per me essere di nuovo qui a Copenaghen. In questa casa. Sono stato alquanto isolato in questi ultimi anni.

Bohr                              - Posso immaginarlo.

Margrethe                     - Quasi non mi vede. E io lo osservo con discrezio­ne da dietro la mia espressione di educato interesse, mentre lui procede con difficoltà.

Heisenberg                    - Sono state difficili le cose, qui?

Bohr                              - Difficili?

Margrethe                     - Certo. Deve chiederlo. Deve levarsi il pensiero.

Bohr                              - Difficili... Che posso dire? Finora non abbiamo subito i grossi abusi che hanno subito altrove. Qui non sono state ap­plicate le leggi razziali.

Margrethe                     - Non ancora.

Bohr                              - Qualche mese fa hanno cominciato a deportare comuni­sti e altri elementi anti-tedeschi.

Heisenberg                    - Ma voi personalmente...?

Bohr                              - Ci hanno lasciati stare.

Heisenberg                    - Sono stato in ansia per voi.

Bohr                              - Molto gentile da parte tua. Comunque nessuna convo­cazione per notti insonni a Lipsia, finora,

Margrethe                     - Un altro silenzio. Ha fatto il suo dovere. Adesso può cominciare a portare la conversazione su argomenti più piacevoli.

Heisenberg                    - Andate sempre in barca?

Bohr                              - In barca?

Margrethe                     - Pessimo inizio.

Bohr                              - No, niente barca.

Heisenberg                    - Lo stretto è...?

Bohr                              - Minato.

Heisenberg                    - Certo.

Margrethe                     - Suppongo che non chiederà a Niels se è andato a sciare.

Heisenberg                    - Sei riuscito ad andare un po' a sciare?

Bohr                              - A sciare? In Danimarca?

Heisenberg                    - In Norvegia. Una volta andavi in Norvegia.

Bohr                              - Infatti.

Heisenberg                    - Ma dato che anche la Norvegia è... insomma...

Bohr                              - Occupata? Certo, questo potrebbe semplificare le cose. In effetti immagino che adesso potremmo andare in vacanza quasi dappertutto in Europa.

Heisenberg                    - Scusa. Non era proprio in questi termini che sta­vo pensando.

Bohr                              - Forse sono un po' troppo suscettibile.

Heisenberg                    - No, niente affatto. Avrei dovuto rifletterci.

Margrethe                     - Magari sta quasi per cominciare a desiderare di trovarsi in Prinz-Albrecht-Strasse.

Heisenberg                    - Immagino che tu non te la senta di venire in Ger­mania...

Margrethe                     - Allora è proprio un idiota.

Bohr                              - Caro Heisenberg, sarebbe un facile errore pensare che i cittadini di un piccolo Stato, un piccolo Stato occupato, vergo­gnosamente e crudelmente occupato, dal suo più potente vicino, non abbiano gli stessi identici sentimenti di orgoglio nazionale dei loro conquistatori, lo stesso identico amore per la loro patria.

Margrethe                     - Niels, eravamo d'accordo.

Bohr                              - Di parlare di fisica, sì.

Margrethe                     - E non di politica.

Bohr                              - Chiedo scusa.

Heisenberg                    - No, no - volevo semplicemente dire che io ho sempre la mia vecchia baita a Bayrischzell. Così, se per caso... in qualsiasi momento... per una qualsiasi ragione...

Bohr                              - Magari Margrethe sarebbe così gentile da cucirmi una stella gialla sopra la giacca a vento.

Heisenberg                    - Sì. Sì. Sono stato uno stupido.

Margrethe                     - Di nuovo silenzio. Quelle prime brevi scintille sono scomparse, e le ceneri sono diventate davvero molto fred­de. E così adesso incomincio a provare pietà per lui. Seduto qui,- solo, in mezzo a gente che lo odia, solo, contro noi due. Sembra di nuovo più giovane, come il ragazzo che venne qui la prima volta nel 1924. Più giovane di quanto sarebbe ora Chri­stian. Timido, arrogante, desideroso di amore. Pieno di nostal­gia di casa e felice di esserne finalmente lontano. E, sì, è triste, perché Niels gli voleva bene, era come un padre per lui.

Heisenberg                    - Allora... a che cosa stai lavorando?

Margrethe                     - Tutto ciò che può fare è insistere.

Bohr                              - Per lo più, alla fissione.

Heisenberg                    - Ho letto un paio di tuoi scritti su Physical Review. Le distribuzioni di velocità dei frammenti di fissione...?

Bohr                              - E qualcosa sulle interazioni del nucleo con i deutoni. E tu?

Heisenberg                    - A varie cose.

Margrethe                     - Alla fissione?

Heisenberg                    - A volte provo una grande invidia per il tuo ciclo­trone.

Margrethe                     - Perché? Stai lavorando anche tu alla fissione?

Heisenberg                    - Ce ne sono più di trenta negli Stati Uniti. Mentre in tutta la Germania... Be'... Ci andate ancora in quella vostra casetta in campagna, comunque?

Bohr                              - Sì, ci andiamo ancora a Tisvilde.

Margrethe                     - Stavi dicendo - mentre in tutta la Germania...

Bohr                              - .. .non c'è neppure un ciclotrone.

Heisenberg                    - È così bello, là, in questa stagione... a Tisvilde.

Bohr                              - Non sei mica venuto a chiedermi in prestito il ciclotrone, vero? Non sarai venuto a Copenaghen per questo?

Heisenberg                    - Non sono venuto per questo.

Bohr                              - Scusa. Non dobbiamo trarre conclusioni avventate.

Heisenberg                    - No, nessuno di noi deve trarre alcuna conclusione.

Margrethe                     - Dobbiamo aspettare pazientemente che le cose ci vengano dette.

Heisenberg                    - Non è sempre facile far capire le cose alla gente.

Bohr                              - Mi rendo conto che dobbiamo sempre essere consapevo­li dell'uditorio più ampio che le nostre parole possono avere. Ma la mancanza di un ciclotrone in Germania non è certo un segreto militare.

Heisenberg                    - Non ho idea di quello che è un segreto e di quello che non lo è.

Bohr                              - Nessun segreto, neppure, sul perché non ce ne sono. Tu non puoi dirlo, ma io sì. E perché i nazisti hanno sistematica­mente osteggiato la fisica teorica. Perché? Perché la maggior parte di quelli che lavoravano in quel campo erano ebrei. E per­ché così tanti erano ebrei? Perché la fisica teorica, la fisica studia­ta da Einstein, da Schròdinger e Pauli, da Born e Sommerfeld, da te e da me, in Germania è stata sempre considerata inferiore alla fisica sperimentale, e le cattedre e i posti di assistenti di teorica erano gli unici ai quali gli ebrei potessero aspirare.

Margrethe                     - Di fisica, d'accordo? Solo di fisica.

Bohr                              - Questa è fisica.

Margrethe                     - È anche politica.

Heisenberg                    - A volte è penosamente difficile tenere separate le due cose.

Bohr                              - Dunque, hai visto quei due articoli. Io non ho letto nien­te di tuo recentemente.

Heisenberg                    - No.

Bohr                              - Non è da te. Troppo insegnamento?

Heisenberg                    - Non insegno. Non in questo momento.

Bohr                              - Caro Heisenberg - non ti avranno mica tolto la cattedra a Lipsia? Non sarà questo che sei venuto a dirci?

Heisenberg                    - No, sono ancora a Lipsia. Parte della settimana.

Bohr                              - E per il resto?

Heisenberg                    - Dove capita. Il problema è più lavoro, non meno.

Bohr                              - Capisco. Forse.

Heisenberg                    - Sei in contatto con qualcuno dei nostri amici in Inghilterra? Born? Chadwick?

Bohr                              - Heisenberg, noi siamo occupati dai Tedeschi. E la Ger­mania è in guerra con la Gran Bretagna.

Heisenberg                    - Pensavo che in qualche modo potessi avere anco­ra dei contatti. Magari con qualcuno in America. Con l'Ame­rica non siamo in guerra.

Bohr                              - Non ancora.

Heisenberg                    - Hai notizie di Pauli, a Princeton? Goudsmit? Fermi?

Bohr                              - Che cosa vuoi sapere?

Heisenberg                    - Era una semplice curiosità... l'altro giorno pen­savo a Robert Oppenheimer. Ebbi un'accesa discussione con lui a Chicago nel 1939.

Bohr                              - Sui mesoni.

Heisenberg                    - Lavora ancora sui mesoni?

Bohr                              - Non ne so più nulla.

Margrethe                     - L'unico visitatore straniero che abbiamo avuto era tedesco. Il tuo amico Weizsàcker è stato qui in marzo.

Heisenberg                    - Amico mioì Amico tuo, anche, voglio sperare. Sai che è tornato a Copenaghen con me? Vorrebbe tanto ri­vederti.

Margrethe                     - Quando venne qui, a marzo, si portò dietro il ca­po dell'Istituto Tedesco di Cultura.

Heisenberg                    - Mi dispiace. L'ha fatto con le migliori intenzioni. Forse non ti ha spiegato che l'Istituto dipende dalla Divisione Culturale del Ministero degli Esteri. Abbiamo degli amici nei servizi esteri. Specialmente all'ambasciata di qui.

Bohr                              - Naturalmente. Conobbi suo padre quando era amba­sciatore a Copenaghen negli anni '20.

Heisenberg                    - Sai, il servizio estero tedesco non è cambiato mol -toda allora.

Bohr                              - È un dipartimento del governo nazista.

Heisenberg                    - La Germania è più complessa di quanto possa sembrare dall'esterno. I vari organi dello Stato hanno tradizio­ni molto diverse, malgrado tutti i tentativi di riforma. In parti-colar modo il servizio estero. I dipendenti della nostra amba­sciata sono decisamente antiquati nel modo in cui esercitano la loro influenza. Sicuramente cercherebbero di fare in modo che certi cittadini possano lavorare indisturbati.

Bohr                              - Mi stai dicendo che io sono protetto dai tuoi amici dell' ambasciata?

Heisenberg                    - Quello che sto dicendo, nel caso che Weizsàcker non sia stato abbastanza chiaro, è che lì troveresti una compa­gnia congeniale. So che sarebbero molto onorati se tu accettassi qualche occasionale invito.

Bohr                              - Ai ricevimenti dell'ambasciata tedesca? Ai tè con il plenipotenziario nazista?

Heisenberg                    - A qualche lezione, magari. A qualche gruppo di la­voro. Contatti sociali di qualsiasi genere potrebbero essere utili.

Bohr                              - Non ne dubito.

Heisenberg                    - E in certe circostanze, anche essenziali.

Bohr                              - Quali circostanze?

Heisenberg                    - Credo che lo sappiamo entrambi.

Bohr                              - Perché sono per metà ebreo?

Heisenberg                    - Tutti, prima o poi, possiamo avere bisogno dell'aiuto degli amici.

Bohr                              - E per questo che sei venuto a Copenaghen? Per invitarmi ad assistere alla deportazione dei miei amici danesi comodamen­te seduto in poltrona dietro le finestre dell'ambasciata tedesca?

Heisenberg                    - Ti prego, Bohr! Ti prego! Che altro posso fare? In quale altro modo posso aiutarti? Mi rendo conto che la tua è una situazione terribilmente difficile. Lo è anche la mia.

Bohr                              - Sì. Scusa. Sono sicuro che anche tu sei animato dalle mi­gliori intenzioni.

Heisenberg                    - Dimentica quello che ho detto. A meno che...

Bohr                              - A meno che sia costretto a ricordarlo.

Heisenberg                    - Comunque, non sono venuto per questo.

Margrethe                     - Forse sarebbe meglio che dicessi semplicemente quello che hai da dire.

Heisenberg                    - Ai vecchi tempi tu e io avevamo l'abitudine di fa­re quattro passi la sera.

Bohr                              - Spesso. Sì. Ai vecchi tempi.

Heisenberg                    - Non ti andrebbe di fare una passeggiatina, stase­ra, in memoria dei vecchi tempi?

Bohr                              - Fa un po' fresco, stasera, per una passeggiata.

Heisenberg                    - È così difficile. Ricordi dove ci siamo conosciuti?

Bohr                              - Certo. A Gottinga, nel 1922.

Heisenberg                    - A una lezione celebrativa tenuta in tuo onore.

Bohr                              - Era un grande onore. Ne ero molto consapevole.

Heisenberg                    - Eri celebrato per due ragioni. Prima di tutto per­ché eri un grande fisico...

Bohr                              - Sì, sì.

Heisenberg                    - .. .e poi perché eri una delle pochissime persone in Europa disposte ad avere rapporti con la Germania. La guerra era finita da quattro anni, ed eravamo ancora come dei lebbrosi. Tu ci tendesti la mano. Hai sempre ispirato affetto, lo sai. Dovunque sei stato, dovunque hai lavorato. Qui in Dani­marca. In Inghilterra, in America. Ma in Germania ti abbiamo venerato. Perché ci avevi teso la mano.

Bohr                              - La Germania è cambiata.

Heisenberg                    - Già. Allora eravamo in disgrazia. E potevi essere generoso.

Margrethe                     - Adesso invece siete in auge.

Heisenberg                    - Ed essere generoso è più difficile. Ma allora ci tendesti la mano, e noi l'afferrammo.

Bohr                              - Già... No! Tu no. A pensarci bene. Tu la mordesti.

Heisenberg                    - Cosa?

Bohr                              - La mia mano! Davvero! Io te la tesi, nel modo più aristo­cratico e conciliatorio, e tu l'azzannasti.

Heisenberg                    - Io?

Bohr                              - Proprio la prima volta che ti vidi. A una di quelle lezioni che tenevo a Gottinga.

Heisenberg                    - Ma di che stai parlando?

Bohr                              - Ti alzasti e ti avventasti contro dì me.

Heisenberg                    - Oh... feci soltanto dei commenti.

Bohr                              - Una splendida giornata estiva. Dai giardini sale un pro­fumo di rose. Fisici e matematici eminenti schierati, a espri­mere approvazione per la mia benevolenza e la mia saggezza. Improvvisamente salta su un ragazzino impudente e mi dice che le mie formule sono sbagliate.

Heisenberg                    - Erano sbagliate.

Bohr                              - Quanti anni avevi?

Heisenberg                    - Venti.

Bohr                              - Due anni meno del secolo.

Heisenberg                    - Non esattamente.

Bohr                              - 5 dicembre, giusto?

Heisenberg                    - 1,93 anni più giovane del secolo.

Bohr                              - Per essere precisi.

Heisenberg                    - No - fino a due cifre decimali. Per essere precisi, 1.928...7...6...7...1...

Bohr                              - Riesco comunque a tenerti dietro. A te e al secolo.

Margrethe                     - E Niels ha improvvisamente deciso di volergli di nuovo bene, malgrado tutto. Perché? Che cos'è successo? Sarà stato il ricordo di quella giornata estiva a Gottinga? O tutto l'insieme? O niente di niente? Qualunque cosa sia stata, il tem­po di metterci a tavola e dalle fredde ceneri si sono di nuovo le­vate le fiamme,

Bohr                              - Sei sempre stato così combattivo! Era la stessa cosa quando giocavamo a ping-pong a Tisvilde. Sembrava quasi che volessi uccidermi.

Heisenberg                    - Volevo vincere. Volevo vincere, naturalmente. Anche tu volevi vincere.

Bohr                              - Io volevo una piacevole partita di ping-pong.

Heisenberg                    - Avresti dovuto vedere l'espressione del tuo volto.

Bohr                              - Vedevo l'espressione del tuo.

Heisenberg                    - E quelle partite di poker nella baita di Bayrisch-zell, allora? Una volta ci ripulisti tutti! Te lo ricordi? Con una scala inesistente! Siamo tutti matematici - tutti contiamo le carte - siamo tutti sicuri al 90% che non ha nulla in mano. Ma lui va avanti, rilancia, rilancia. Una sicurezza folle. Finché la nostra fede nella probabilità matematica inizia a vacillare, e uno alla volta ci ritiriamo.

Bohr                              - Ero convinto di averla la scala! Avevo preso una carta per un'altra! Ho bluffato con me stesso!

Margrethe                     - Povero Niels.

Heisenberg                    - Povero Niels? Ha vinto! Ci ha ripuliti! Eri com­petitivo in modo sfrenato! Una volta ci coinvolse tutti a giocare a poker con carte immaginarie!

Bohr                              - Tu hai giocato a scacchi con Weizsàcker su una scac­chiera immaginaria!

Margrethe                     - E chi ha vinto?

Bohr                              - E c'è bisogno di chiederlo? A Bayrischzell scendevamo con gli sci per fare la spesa, e lui trasformava anche quello in una gara! Ricordi? Quando stavamo là con Weizsàcker e qual­cun altro! Tirasti fuori perfino un cronometro.

Heisenberg                    - II povero Weizsàcker ci impiegò diciotto minuti.

Bohr                              - Tu scendesti in dieci minuti, naturalmente.

Heisenberg                    - Otto.

Bohr                              - Non ricordo quanto ci misi io.

Heisenberg                    - Quarantacinque minuti.

Bohr                              - Grazie.

Margrethe                     - Ho l'impressione che qui si stia continuando la corsa.

Heisenberg                    - La tua sciata era come la tua scienza. Che cosa aspettavi? Che Weizsàcker e io tornassimo indietro per sugge­rirti qualche piccolo cambiamento di percorso?

Bohr                              - Probabilmente.

Heisenberg                    - Facevi diciassette versioni di ogni slalom?

Margrethe                     - E senza me lì pronta a batterle a macchina.

Bohr                              - Almeno io sapevo dov'ero. Alla velocità a cui andavi, tu ti scontravi con la relazione d'indeterminazione. Se sapevi dov'eri una volta giù, non sapevi a quale velocità ci eri arrivato. Se sapevi a quale velocità eri sceso, non sapevi di essere arrivato.

Heisenberg                    - Io non mi fermavo certo a pensarci su.

Bohr                              - Non per criticare, ma forse è questo che si potrebbe cri­ticare in una parte della tua scienza.

Heisenberg                    - Io arrivavo sempre, comunque.

Bohr                              - Senza curarti di quello che distruggevi strada facendo, però. Finché la matematica funzionava, eri soddisfatto.

Heisenberg                    - Se qualcosa funziona, funziona.

Bohr                              - Ma rimane sempre il punto: con parole semplici, che cosa significa la matematica? Quali sono le implicazioni filosofiche?

Heisenberg                    - Ho sempre saputo che tu andavi avanti per la tua strada passo dopo passo, giù per la pista, dietro di me, scavan­do dalla neve tutti i significati capovolti e le implicazioni.

Margrethe                     - Più scii veloce, e prima ti ritrovi su burroni e crepacci.

Heisenberg                    - Più scii veloce e meglio pensi.

Bohr                              - Non per contraddirti, ma questo è molto... molto inte­ressante.

Heisenberg                    - Come dire che è una sciocchezza. Ma non lo è. Le decisioni escono da sole quando scendi a settanta chilometri l'ora. Improvvisamente c'è l'orlo del nulla davanti a te. Curvi a sinistra? Curvi a destra? O ci pensi su e muori? Nella tua testa tu curvi in entrambe le direzioni...

Margrethe                     - Come quella particella.

Heisenberg                    - Quale particella?

Margrethe                     - Quella che hai detto che passa contemporanea­mente attraverso due diverse fenditure.

Heisenberg                    - Oh, nel nostro vecchio esperimento di pensiero. Sì. Sì!

Margrethe                     - O il disgraziato gatto di Schròdinger.

Heisenberg                    - Che è vivo e morto allo stesso tempo.

Margrethe                     - Povera bestia.

Bohr                              - Tesoro, era un gatto immaginario.

Margrethe                     - Lo so.

Bohr                              - Rinchiuso insieme a una immaginaria fiala di cianuro.

Margrethe                     - Lo so, lo so.

Heisenberg                    - E così la particella è qui, la particella è là...

Bohr                              - II gatto è vivo, il gatto è morto...

Margrethe                     - Hai curvato a sinistra, hai curvato a destra...

Heisenberg                    - Finché l'esperimento non è finito, questo è il punto, finché la camera sigillata non è aperta, l'abisso aggirato; e si scopre che la particella ha incontrato di nuovo se stessa, il gatto è morto...

Margrethe                     - E tu sei vivo.

Bohr                              - Non correre, Heisenberg...

Heisenberg                    - La deviazione stessa era la decisione.

Bohr                              - Non correre, non correre!

Heisenberg                    - Non è così che sparasti a Hendrik Casimir, ucci­dendolo?

Bohr                              - Hendrik Casimir?

Heisenberg                    - Quando lavorava qui all'Istituto.

Bohr                              - Non ho mai sparato a Hendrik Casimir.

Heisenberg                   - Me lo raccontasti tu stesso.

Bohr                              - Era George Gamow. Sparai a George Gamow. Tu non lo sai - fu molto tempo dopo che andasti via.

Heisenberg                    - Bohr, tu sparasti a Hendrik Casimir.

Bohr                              - Gamow, Gamow. Perché insisteva nel dire che si fa sem­pre prima ad agire che a reagire. A decidere di fare una cosa piuttosto che a rispondere a qualcuno che la sta facendo.

Heisenberg                    - E per questo gli sparasti?

Bohr                              - Fu lui! Andò a comprare un paio di pistole! Lui se ne mette in tasca una, io l'altra, e andiamo avanti col la­voro del giorno. Passano alcune ore, e litighiamo feroce­mente per - non ricordo - per i nostri problemi con il nu­cleo di azoto, credo - quando improvvisamente Gamow si porta la mano alla tasca...

Heisenberg                    - Pistole caricate a salve.

Bohr                              - A salve, sì. Naturalmente.

Heisenberg                    - Margrethe aveva l'aria preoccupata.

Margrethe                     - No - piuttosto sorpresa. Per come si erano messe le cose.

Bohr                              - Tu certamente ricordi quanto fosse veloce.

Heisenberg                   - Casimir?

Bohr                              - Gamow.

Heisenberg                    - Mai quanto me.

Bohr                              - No, certo. Ma paragonato a me...

Heisenberg                    - Un neutrone veloce. Tuttavia, è questo che stai per dire...

Bohr                              - Tuttavia, sì, prima che la sua arma esca dalla tasca...

Heisenberg                    - Tu hai già buttato giù la tua risposta.

Margrethe                     - Io l'ho battuta a macchina.

Heisenberg                    - L'hai controllata con Klein.

Margrethe                     - Io l'ho ribattuta.

Heisenberg                    - L'hai mostrata a Pauli ad Amburgo.

Margrethe                     - L'ho battuta di nuovo.

Bohr                              - Prima che la sua arma sia fuori dalla tasca, io ho già in mano la mia.

Heisenberg                    - E il povero Casimir giace stecchito con un buco nel petto.

Bohr                              - Solo che si trattava di Gamow.

Heisenberg                    - Era Casimir! Me l'ha raccontato lui!

Bohr                              - Sì, insomma, uno dei due.

Heisenberg                    - Tutti e due al tempo stesso vivi e morti nel nostro ricordo.

Bohr                              - Come un paio di gatti di Schròdinger. Dove eravamo?

Heisenberg                    - A sciare. O a suonare. Questa è un'altra cosa che decide tutto per te. Io suono il piano e la strada sembra aprirsi davanti a me - non devo fare altro che seguirla. È così che ho riscosso il mio unico successo con le donne. A una serata mu­sicale dai Bùcking, a Lipsia - abbiamo messo su un trio di piano. 1937, proprio quando tutti i miei guai con... quando stanno incominciando i miei guai. Stiamo suonando la sonata in Sol maggiore di Beethoven. Finiamo lo scherzo, e io alzo gli occhi dal piano per vedere se gli altri sono pronti per attac­care il presto finale. In quel momento incontro lo sguardo di una giovane donna seduta di lato nella stanza. Solo una rapi­da occhiata, ma naturalmente io l'ho già portata a Bayrisch-zell, ci siamo fidanzati, ci siamo sposati ecc. - le solite fanta­sie romantiche senza speranza. Poi ci lanciamo nel presto, ed è terribilmente veloce — così veloce che non abbiamo neanche il tempo di avere paura. E all'improvviso tutto diventa facile. Arriviamo alla fine e io continuo a sciare. Mi faccio presenta­re alla giovane donna - vedo la sua casa - e, sì, una settimana dopo l'ho portata a Bayrischzell - quella dopo ancora ci siamo fidanzati - dopo neanche tre mesi ci siamo sposati. Il tutto nel magico impeto di quel presto!

Bohr                              - Dicevi che ti senti isolato. Ma hai una compagna, dopo tutto.

Heisenberg                    - La musica?

Bohr                              - Elisabeth!

Heisenberg                    - Oh. Sì. Eppure, anche con i figli e il resto... Ho sempre invidiato il modo in cui tu e Margrethe riuscite a par­lare di tutto. Del tuo lavoro. Dei tuoi problemi. Di me, indub­biamente.

Bohr                              - La natura ha fatto di me un'entità matematicamente cu­riosa: non uno, ma la metà di due.

Heisenberg                    - La matematica diventa una cosa molto strana se applicata alle persone. Uno più uno può dare così tanti risultati diversi...

Margrethe                     - Silenzio. A che cosa starà pensando, adesso? Alla sua vita? O alla nostra?

Bohr                              - Pensiamo a tante di quelle cose contemporaneamente. Alle nostre vite e alla nostra fisica.

Margrethe                     - A tutte le cose che ci saltano in mente da chissà dove.

Bohr                              - Alle nostre personali consolazioni. Alle nostre personali agonie.

Heisenberg                    - Silenzio. E naturalmente pensano di nuovo ai lo­ro figli.

Margrethe                     - Alle solite cose allegre. Alle solite cose tristi. Che tornano e tornano ancora.

Heisenberg                    - Ai loro quattro figli vivi, e ai due figli morti.

Margrethe                     - Harald. Solo e abbandonato in quell'ospedale.

Bohr                              - Sta pensando a Christian e a Harald.

Heisenberg                    - Ai due ragazzi perduti. Harald...

Bohr                              - Tutti quegli anni da solo in quell'orribile ospedale,

Heisenberg                    - E Christian. Il primogenito. Il figlio maggiore.

Bohr                              - E una volta ancora mi tornano in mente i soliti istanti che rivedo ogni giorno.

Heisenberg                    - Quei brevi istanti, sul battello, quando la barra del timone sbatacchia con violenza nel mare in tempesta e Christian cade.

Bohr                              - Se io non lo avessi lasciato prendere il timone...

Heisenberg                    - Quei lunghi istanti in acqua.

Bohr                              - Quegli eterni istanti in acqua.

Heisenberg                    - Quando lui lotta disperato per raggiungere il sal­vagente.

Bohr                              - Così vicino da sfiorarlo.

Margrethe                     - Io sono a Tisvilde. Alzo gli occhi dal mio lavoro. Sulla porta c'è Niels, che mi guarda in silenzio. Gira il capo e io capisco immediatamente che cosa è successo.

Bohr                              - Così vicino, così vicino! Manca un soffio!

Heisenberg                    - La barra del timone sbatacchia ancora e ancora. Ancora e ancora...

Margrethe                     - Niels gira il capo...

Bohr                              - Christian allunga la mano verso il salvagente...

Heisenberg                    - Ma di certe cose perfino loro non parlano mai.

Bohr                              - A certe cose perfino noi riusciamo solo a pensare.

Margrethe                     - Perché non c'è nulla da dire.

Bohr                              - Be'... forse dovremmo avere abbastanza caldo. Avevi proposto una passeggiata.

Heisenberg                    - In realtà fa abbastanza caldo.

Bohr                              - Non staremo via molto.

Heisenberg                    - Una settimana al massimo.

Bohr                              - Cosa - la nostra famosa escursione nelloZealand?

Heisenberg                    - Andammo a Elsinore. Ripenso spesso a quello che dicesti lì.

Bohr                              - Non ti dispiace, vero, tesoro? Mezz'ora?

Heisenberg                    - Un'ora, forse. No, tutto l'aspetto di Elsinore, di­cesti, era modificato dal sapere che ci aveva vissuto Amleto. Ogni angolo buio del luogo ci ricorda il buio che c'è nell'animo umano...

Margrethe                     - E così sono di nuovo fuori a passeggio. Ci è riuscito. E se passeggiano, parlano. Parlano in modo al­quanto diverso, naturalmente - ho battuto a macchina tante di quelle pagine su come le particelle si comportano diversamente quando non sono osservate... Sapevo che Niels non avrebbe resistito se il discorso avesse superato i primi minuti. Non fosse che per curiosità... Ora che sono fuori, un'ora diventerà due, magari tre... La prima cosa che fecero fu uscire per una passeggiata. A Gottinga, dopo quella lezione. Niels andò immediatamente a cercare quel presuntuoso giovanotto che aveva messo in discussione le sue formule, e lo trascinò a fare una camminata in campa­gna. Passeggiare - parlare - fare la sua conoscenza. E quando Heisenberg venne qui a lavorare per lui, rieccoli di nuovo che partono per il loro grande giro dello Zealand. Molta della fisica di questo secolo loro l'hanno fatta all'aperto. Passeggiando lungo i sentieri nei boschi di Ti-svilde. Scendendo alla spiaggia con i bambini. Con Hei­senberg che teneva Christian per mano. Già, e tutte le sere a Copenaghen, dopo cena, facevano la passeggiata intorno a Faelled Park, dietro l'Istituto, o fuori, lungo Langelinie, nella baia. Passeggiare, e parlare. Molto, molto prima che i muri avessero orecchi... Ma questa volta, nel 1941, la loro passeggiata prende una piega diversa. Dieci minuti dopo che sono usciti... rientrano! Non avevo ancora sparecchia­to la tavola che vedo Niels sulla porta. Capisco subito che è agitato - non riesce a guardarmi negli occhi.

Bohr                              - Heisenberg vuole salutarci. Se ne va.

Margrethe                     - Lui non mi guarda neppure.

Heisenberg                    - Grazie. Una serata deliziosa. Quasi come ai vec­chi tempi. Sei stata molto gentile.

Margrethe                     - Non vuoi un caffè? Un bicchierino...?

Heisenberg                    - Devo rientrare e prepararmi per la lezione.

Margrethe                     - Ma tornerai a salutarci prima di partire?

Bohr                              - Ha molti impegni.

Margrethe                     - È di nuovo come nei peggiori momenti del 1927, quando Niels ritornò dalla Norvegia e lesse per la prima volta l'articolo di Heisenberg sull'indeterminazione. Cosa che loro sembravano avere dimenticato all'inizio della serata, ma io no. Forse gli era tornato all'improvviso in mente di quella volta. Solo che, a giudicare dalla loro espressione, deve essere acca­duto qualcosa di peggio ancora.

Heisenberg                    - Scusami se ho fatto o detto qualcosa che...

Bohr                              - Sì, sì.

Heisenberg                    - Ha significato molto per me, stare di nuovo qui con voi due. Forse più di quanto possiate immaginare.

Margrethe                     - È stato un piacere per noi. Salutaci Elisabeth.

Bohr                              - Certo.

Margrethe                     - E anche i ragazzi.

Heisenberg                    - Forse, quando questa guerra sarà finita... Se ne usciremo sani e salvi... Arrivederci.

Margrethe                     - Politica?

Bohr                              - Fisica. Comunque, non ha ragione lui. Come può avere ragione? John Wheeler e io...

Margrethe                     - Una boccata d'aria mentre si parla, ti va?

Bohr                              - Una boccata d'aria?

Margrethe                     - Due passi in giardino. Più salutare che starcene chiusi in casa, forse.

Bohr                              - Oh, certo.

Margrethe                     - Per tutti gli interessati.

Bohr                              - Sì. Grazie... Come può avere ragione? Wheeler e io ab­biamo sviscerato tutto l'argomento nel 1939.

Margrethe                     - Che cosa ha detto?

Bohr                              - Niente. Non lo so. Ero troppo arrabbiato per stargli dietro.

Margrethe                     - Qualcosa che riguarda la fissione?

Bohr                              - Che cosa accade nella fissione? Spari un neutrone contro un nucleo di uranio, questo si scinde e sprigiona energia.

Margrethe                     - Una grande quantità di energia. Giusto?

Bohr                              - Quanto basta per spostare un granellino di polvere. Ma sprigiona anche altri due o tre neutroni, ognuno dei quali ha la possibilità di scindere un altro nucleo.

Margrethe                     - Così ciascuno di quei due o tre nuclei scissi spri­giona a sua volta energia?

Bohr                              - E altri due o tre neutroni.

Heisenberg                    - Sciando, fai rotolare un mucchietto di fiocchi di neve, che diventa subito una palla...

Bohr                              - Una catena sempre più ampia di nuclei scissi penetra l'uranio, raddoppiandosi e quadruplicandosi in milionesimi di secondo da una generazione all'altra. Prima abbiamo due scis­sioni, per semplificare. Poi due al quadrato, due al cubo, due alla quarta, due alla quinta, due alla sesta...

Heisenberg                    - II fragore della valanga che cresce riecheggia da tutte le montagne circostanti...

Bohr                              - Finché alla fine, dopo - diciamo - ottanta generazioni, sono stati spostati 280 granellini di polvere. 280 è un numero con 24 zeri. Tanti granelli di polvere sufficienti a formare una città, con tutto quello che contiene.

Heisenberg                    - Ma c'è un intoppo.

Bohr                              - C'è un intoppo, grazie a Dio. L'uranio naturale si com­pone di due differenti isotopi. Per lo più è 238U, che si può fis­sionare solo con neutroni veloci. Ma la maggior parte dei neu­troni fissionano l'altro isotopo, 23oU - e meno dell'uno per cento dell'uranio naturale è 235U.

Heisenberg                    - Questa è stata la grande scoperta di Bohr. Un'al­tra delle sue straordinarie intuizioni. Gli era venuta in mente quando era a Princeton nel 1939, passeggiando per l'università con Wheeler. Un momento caratteristico di Bohr - avrei volu­to essere presente per godermelo. Cinque minuti di profondo silenzio mentre passeggiavano, e poi: «Adesso senti qua - ho capito tutto».

Bohr                              - In realtà è un doppio intoppo, perché il 238 rallenta i neutroni e li assorbe. Perciò una reazione a catena esplosiva non avverrà mai nell'uranio naturale. Per ottenere un'esplo­sione occorre separare 235 puro. E per far sì che la catena duri abbastanza per un'esplosione su vasta scala...

Heisenberg                    - Ottanta generazioni, diciamo...

Bohr                              - ...ne occorrono molte tonnellate. Ed è estremamente difficile separare una simile quantità.

Heisenberg                    - Una difficoltà stuzzicante.

Bohr                              - Una difficoltà penosa. Le migliori stime, quando ero in America nel 1939, suggerivano che per produrre anche un solo grammo di uranio 235 ci vorrebbero 26,000 anni. E per allora, sicuramente, questa guerra sarà finita. Quindi lui si sbaglia, capisci, si sbaglia! O potrei sbagliare io! Potrei avere sbagliato i calcoli? Vediamo... Qual è il tasso di assorbimento di neutro­ni veloci da parte del 238? Qual è il cammino libero medio dei neutroni lenti nel 235...?

Margrethe                     - Ma che cosa aveva detto esattamente Heisen­berg? È quello che tutti avrebbero voluto sapere, allora e per sempre dopo di allora.

Bohr                              - E questo che gli Inglesi volevano sapere, appena Chadwick riuscì a mettersi in contatto con me. Che cosa aveva detto esattamente Heisenberg?

Heisenberg                    - E che cosa aveva risposto esattamente Bohr? Fu la prima cosa che i miei colleghi mi chiesero quando feci ritor­no in Germania.

Margrethe                     - Che cosa disse Heisenberg a Niels - e che cosa ri­spose Niels? Quello che ci teneva di più a saperlo era lo stesso Heisenberg.

Bohr                              - Alludi a quando ritornò a Copenaghen dopo la guerra, nel 1947?

Margrethe                     - Questa volta accompagnato non da invisibili agenti della Gestapo, ma da una cospicua scorta dello spionag­gio britannico.

Bohr                              - Credo che volesse diverse cose.

Margrethe                     - Due cose. Pacchi alimentari...

Bohr                              - Per la sua famiglia in Germania. Erano ridotti alla fame.

Margrethe                     - E convincerti a concordare quello che vi eravate detti nel 1941.

Bohr                              - La conversazione finì male, quasi tanto rapidamente quanto la volta precedente.

Margrethe                     - Non vi metteste d'accordo neppure sul posto do­ve avevate passeggiato quella sera.

Heisenberg                    - Dove? Faelled Park, naturalmente. Dove anda­vamo così spesso ai vecchi tempi.

Margrethe                     - Ma Faelled Park è dietro l'Istituto, a quattro chi­lometri da casa nostra!

Heisenberg                    - Vedo l'agitarsi di foglie secche sotto i lampioni stradali vicino al padiglione della musica.

Bohr                              - Già, perché secondo te era ottobre!

Margrethe                     - Mentre invece era settembre.

Bohr                              - Non c'erano foglie secche!

Margrethe                     - Ed era il 1941. Niente lampioni illuminati!

Bohr                              - Pensavo che non fossimo andati oltre il mio studio. Quello che vedo io è l'agitarsi dei fogli sotto la lampada sulla mia scrivania.

Heisenberg                    - Dobbiamo essere usciti! Quello che avevo da dire era passibile di tradimento. Se fossi stato spiato mi avrebbero condannato a morte.

Margrethe                     - Insomma, che cosa dicesti di così misterioso?

Heisenberg                    - Non c'è niente di misterioso. Non c'è mai stato alcun mistero. Lo ricordo molto bene, perché era in gioco la mia stessa vita, e scelsi le parole molto attentamente. Ti chiesi semplicemente se come fisico uno aveva il diritto morale di la­vorare allo sfruttamento pratico dell'energia atomica. Giusto?

Bohr                              - Non ricordo.

Heisenberg                    - Non puoi ricordarlo, perché ti mettesti immedia­tamente in allarme. Rimanesti come folgorato.

Bohr                              - Ero inorridito.

Heisenberg                    - Inorridito. Bene, questo lo ricordi. Stavi lì a guar­darmi, inorridito.

Bohr                              - Perché l'implicazione era ovvia: tu ci stavi lavorando.

Heisenberg                    - E tu traesti subito la conclusione che io stavo cer­cando di fornire a Hitler armi nucleari.

Bohr                              - Ed è questo che facevi!

Heisenberg                    - No! Un reattore! È questo che stavamo cercando di costruire! Una macchina per produrre energia! Per generare elettricità, per far andare le navi!

Bohr                              - Non parlasti affatto di reattore.

Heisenberg                    - Non dissi niente di niente! Non esplicitamente. Non potevo! Non avevo idea di quanto potesse essere ascolta­to. Di quanto tu avresti potuto riferire ad altri.

Bohr                              - Ma poi io ti chiesi se davvero pensavi che la fissione dell'uranio potesse essere sfruttata per la costruzione di armi.

Heisenberg                    - Ah! Ti sta tornando in mente!

Bohr                              - E ricordo chiaramente la tua risposta.

Heisenberg                    - Dissi che allora sapevo che ciò era possibile.

Bohr                              - Ed è questo che suscitò davvero il mio orrore.

Heisenberg                    - Perché eri sempre stato convinto che per le armi servisse il 235, e che non avremmo mai potuto separarne ab­bastanza.

Bohr                              - Un reattore - sì, può darsi, perché nell'uranio naturale si può sostenere una reazione a catena lenta.

Heisenberg                    - Quello che avevamo scoperto, comunque, era che se fossimo riusciti a far partire il reattore...

Bohr                              - II 238 nell'uranio naturale avrebbe assorbito i neutroni veloci...

Heisenberg                    - Esattamente come avevi previsto tu nel 1939 -tutto quello che stavamo facendo era basato su quella tua fon­damentale intuizione. Il 238 avrebbe assorbito i neutroni velo­ci. E questi lo avrebbero trasformato in un elemento completa­mente nuovo.

Bohr                              - II nettunio. Che a sua volta sarebbe decaduto in un altro nuovo elemento...

Heisenberg                    - Almeno altrettanto fissile quanto il 235 che non potevamo separare...

Margrethe                     - II plutonio.

Heisenberg                    - II plutonio.

Bohr                              - Avrei dovuto scoprirlo da solo.

Heisenberg                    - Se avessimo potuto costruire un reattore avrem­mo potuto costruire delle bombe. Per questo ero venuto a Co­penaghen. Ma di questo non potevo dire nulla. E a quel punto tu smettesti di ascoltarmi. La bomba era già esplosa nella tua testa. Mi accorsi che stavamo tornando verso casa. La passeg­giata era finita. La nostra unica occasione per parlare era sva­nita per sempre.

Bohr                              - Perché avevo già afferrato il punto centrale: che in un modo o nell'altro tu vedevi la possibilità di fornire a Hitler ar­mi nucleari.

Heisenberg                    - Tu afferrasti almeno quattro diversi punti cen­trali, tutti sbagliati. Dicesti a Rozental che io avevo tentato di scoprire le tue idee sulla fissione. Dicesti a Weisskopf che ti avevo chiesto cosa ne sapevi del programma nucleare alleato. Secondo Chadwick io speravo di convincerti che non esisteva nessun programma tedesco. Però pare che tu abbia detto a qualcuno che io avevo cercato di ingaggiarti per lavorarci!

Bohr                              - Benissimo. Ricominciamo tutto daccapo. Questa volta non c'è la Gestapo nascosta. Non ci sono spie inglesi. Nessuno ci sta osservando.

Margrethe                     - Solamente io.

Bohr                              - Solamente Margrethe. Ora spiegheremo tutto a Margrethe. Sai che sono fermamente convinto che noi non faccia­mo scienza per noi stessi, ma per poterla spiegare agli altri...

Heisenberg                    - Con parole semplici.

Bohr                              - Con parole semplici. Tu non la pensi così, lo so - a te pia­cerebbe descrivere il tuo lavoro con equazioni differenziali, se potessi - ma per amore di Margrethe...

Heisenberg                    - Parole semplici.

Bohr                              - Parole semplici. D'accordo, siamo qui, a passeggiare, ancora una volta. E questa volta sono assolutamente calmo, ascolto attentamente. Che cos'hai da dire?

Heisenberg                    - Non si tratta di quello che io ho da dire! Tutto il gruppo nucleare tedesco di Berlino! Non Diebner, natural­mente, non i nazisti - ma Weizsàcker, Hahn, Wirtz, Jensen, Houtermanns - tutti vogliono che io venga a discuterne con te, Ti consideriamo tutti una specie di padre spirituale.

Margrethe                     - II Papa. È così che chiamavate Niels alle sue spalle. E adesso volete che vi dia l'assoluzione.

Heisenberg                    - L'assoluzione? No!

Margrethe                     - Secondo il tuo collega Jensen, sì.

Heisenberg                    - L'assoluzione è l'ultima cosa che voglio!

Margrethe                     - Hai detto a uno storico che Jensen l'aveva espresso perfettamente.

Heisenberg                    - Chi, io? L'assoluzione... E per questo che sarei venuto? È come cercare di ricordare chi c'era a quel pranzo che mi offristi all'Istituto. Intorno al tavolo siedono tutte le diverse spiegazioni per tutto quello che ho fatto. Mi volto a guardare... Petersen, Rozental, e... sì... adesso la parola assoluzione pren­de posto fra loro...

Margrethe                    - Io ero convinta che l'assoluzione fosse concessa per i peccati commessi e di cui ci si è pentiti, non per quelli in­tenzionali e ancora da commettere.

Heisenberg                    - Appunto! Per questo ero tanto turbato!

Bohr                              - Tu eri turbato?

Heisenberg                    - Perché tu me l'hai concessa l'assoluzione! È pro­prio questo che hai fatto! Mentre rientravamo in fretta verso casa. Mormorasti qualcosa riguardo al fatto che in tempo di guerra ognuno è costretto a fare tutto quello che può per il pro­prio Paese. Vero?

Bohr                              - Lo sa il cielo che cosa ho detto. Ma adesso sono qui, profondamente calmo e cosciente, e peso le parole. Tu non vuoi l'assoluzione. Capisco. Vuoi che ti dica di non farlo? D'accordo. Ti poso la mano sul braccio. Ti guardo negli occhi nel mio modo più papale. Tornatene in Germania, Heisenberg. Raduna i tuoi colleghi nel laboratorio. Tutto il gruppo - Weizsàcker, Hahn, Witz, Jensen, Houtermanns, tutti gli assistenti e i tecnici- Salta su un tavolo e di' lo­ro: «Niels Bohr dice che secondo il suo autorevole giudizio mettere a disposizione di un maniaco un sofisticato stru­mento di assassinio di massa è..., come posso dire? "...un'idea interessante". No, neppure un'idea interessan­te. "...un'idea davvero molto seriamente priva d'interes­se."» Che succede? Gettate via tutti i vostri contatori Geiger?

Heisenberg                    - Ovviamente no.

Bohr                              - Perché vi arresterebbero.

Heisenberg                    - Che ci arrestino o no non farebbe nessuna diffe­renza. In realtà le cose peggiorerebbero. Io dirigo il mio pro­gramma per l'Istituto Kaiser Wilhelm. Ma c'è un programma rivale dell'esercito, diretto da Kurt Diebner, e lui è un membro del Partito. Se io me ne andassi, direbbero semplicemente a Diebner di portare avanti anche il mio programma. Dovrebbe farlo comunque lui. Wirtz e gli altri mi hanno ficcato dentro al solo scopo di tenere fuori Diebner e i nazisti. La mia unica spe­ranza è di mantenere il controllo.

Bohr                              - Insomma, non vuoi che ti dica di sì ma neppure che ti di­ca no.

Heisenberg                    - Voglio solo che ascolti attentamente quello che sto per dirti, invece di correre via per la strada come un matto.

Bohr                              - Benissimo. Eccomi qua, avanzo molto lentamente, iera­ticamente. E ascolto con molta attenzione mentre mi dici...

Heisenberg                    - Che le armi nucleari richiederanno uno sforzo tecnico enorme.

Bohr                              - È vero.

Heisenberg                    - Che divoreranno risorse colossali.

Bohr                              - Risorse colossali. Certo.

Heisenberg                    - Che prima o poi i governi dovranno rivolgersi agli scienziati per chiedere se valga la pena di impegnare quelle risorse - se vi sia una qualche speranza di produrre le armi in tempo per farne uso.

Bohr                              - Certo, però...

Heisenberg                    - Aspetta. Quindi dovranno rivolgersi a te e a me. Siamo noi che dovremo consigliarli se andare avanti o no. Alla fine, la decisione spetterà a noi, che ci piaccia o no.

Bohr                              - Ed è questo quello che vuoi dirmi?

Heisenberg                    - È questo che voglio dirti.

Bohr                              - E per dirmi questo hai fatto tutta questa strada, in mezzo a tutte queste difficoltà? Per questo hai gettato al vento quasi vent'anni di amicizia? Solo per dirmi questo?

Heisenberg                    - Solo per dirti questo.

Bohr                              - Ma, Heisenberg, questo è ancora più misterioso! Perché me lo vieni a dire? Che cosa dovrei fare io? Il governo di una Danimarca occupata non verrà certo a chiedere a me se do­vremmo produrre armi nucleari!

Heisenberg                    - No, ma prima o poi, se io riesco a mantenere il controllo del nostro programma, il governo tedesco verrà da mei Chiederanno a me se continuare o no! Io dovrò decidere che cosa dirgli!

Bohr                              - Allora hai un modo semplice per toglierti d'impaccio. Dire la semplice verità che hai appena detto a me. Dire loro quanto sarebbe difficile. E magari si scoraggerebbero. Forse perderebbero ogni interesse.

Heisenberg                    - Ma, Bohr, così dove andremo a finire? Quali sa­rebbero le conseguenze se fallissimo?

Bohr                              - Che cosa posso dirti che non possa dire tu stesso?

Heisenberg                    - C'era un articolo su un giornale di Stoccolma se­condo il quale gli Americani starebbero lavorando a una bom­ba atomica.

Bohr                              - Ah. Ci sono, adesso ci sono. Adesso capisco tutto. Tu credi che io abbia dei contatti con gli Americani?

Heisenberg                    - E possibile. Non è da escludere. Se qualcuno, nell'Europa occupata, ce li ha, quello sei tu.

Bohr                              - Allora è vero che vuoi informazioni sul programma nu­cleare alleato.

Heisenberg                    - Io voglio solo sapere se ne esiste uno. Un accenno. Un indizio. Ho appena tradito il mio Paese e rischiato la vi­ta per avvertirti del programma tedesco...

Bohr                              - E adesso dovrei renderti il favore?

Heisenberg                    - Bohr, io devo sapere! Sono io che deve decidere! Se gli Alleati stanno costruendo una bomba, che cosa scelgo per il mio Paese? Hai detto che sarebbe facile immaginare che si possa nutrire meno amore per il proprio Paese se questo è piccolo e indifeso. Già, e sarebbe un altro facile errore pensare che uno ami di meno il proprio Paese perché si dà il caso che sia in errore. Io sono nato in Germania. In Germania sono diven­tato quello che sono. La Germania rappresenta tutti i volti del­la mia fanciullezza, tutte le mani che mi hanno risollevato quando cadevo, tutte le voci che mi hanno incoraggiato e mi hanno indicato la strada, tutti i cuori che parlano al mio cuore. La Germania è mia madre vedova e il mio impossibile fratello. La Germania è mia moglie. La Germania è ì nostri figli. Io de­vo sapere che cosa decido per loro! E un'altra sconfitta? Un al­tro incubo come quello in cui sono cresciuto? Bohr, la mia fan­ciullezza a Monaco è finita nell'anarchia e nella guerra civile. Altri bambini dovranno morire di fame, come noi? Dovranno passare le notti d'inverno come facevo io da bambino, attraver­sando carponi le linee nemiche, strisciando per la campagna protetto dal buio, nella neve, per rimediare un po' di cibo per la mia famiglia? Dovranno stare in piedi tutta la notte, come ho fatto io a diciassette anni, a montare la guardia a qualche pri­gioniero terrorizzato, parlandogli e parlandogli fino alle ore piccole, perché doveva essere giustiziato la mattina?

Bohr                              - Ma, mio caro Heisenberg, non c'è nulla che io possa dir­ti. Non ho idea se esista o no un programma nucleare alleato.

Heisenberg                    - Sta per partire, proprio mentre noi due stiamo parlando. E forse sto scegliendo qualcosa ancora peggiore della sconfitta. Perché la bomba che stanno fabbricando deve essere usata su di noi. La sera di Hiroshima Oppenheimer disse che questo era il suo unico rimpianto. Che non avevano prodotto la bomba in tempo per usarla sulla Germania.

Bohr                              - Dopo non fece che tormentarsi.

Heisenberg                    - Dopo, sì. Se non altro noi ci tormentammo un po' prima. C'è stato uno solo tra loro che si sia soffermato a riflet­tere, non fosse che per un breve istante, su quello che stavano facendo? L'ha fatto Oppenheimer? L'hanno fatto Fermi, o Teller, o Szilard? L'ha forse fatto Einstein, quando scrisse a Roosevelt nel 1939 sollecitandolo a finanziare la ricerca sulla bomba? L'hai fatto tu quando fuggisti da Copenaghen due an­ni dopo, e andasti a Los Alamos?

Bohr                              - Caro il mio Heisenberg, noi non stavamo fornendo la bomba a Hitler!

Heisenberg                    - Ma neppure la sganciavate su Hitler. La sgancia­vate su chiunque vi capitasse a tiro: su vecchi e donne per le strade, sulle madri e i loro bambini. E se l'aveste prodotta in tempo sarebbe toccata ai miei compatrioti. A mia moglie. Ai miei figli. Era questa l'intenzione. Vero?

Bohr                              - Era questa.

Heisenberg                    - Non avete mai avuto la minima idea di quello che succede quando le bombe vengono sganciate sulle città. Anche quelle convenzionali. Nessuno di voi l'ha mai provato. Nessuno. Una sera stavo tornando dal centro di Berlino verso la pe­riferia, dopo un violento raid. Naturalmente non c'è un solo mezzo di trasporto. Tutta la città a fuoco. Anche il fango nelle strade brucia. Fanghiglia di fosforo fuso. Ti si attacca alle scar­pe come una specie di incandescente letame di cane - devo ra­schiarlo via di continuo - come se le strade fossero state invase dai mastini dell'inferno. Ti avrebbe fatto ridere - le mie scarpe continuano a incendiarsi. Tutto intorno, immagino, c'è gente intrappolata, gente che sta bruciando a morte. E tutto quello che mi viene in mente è: come farò a procurarmi un altro paio di scarpe, in tempi come questi?

Bohr                              - Tu sai perché gli scienziati alleati hanno lavorato alla bomba.

Heisenberg                    - Certo. Per paura.

Bohr                              - La stessa paura che stava consumando te. Perché aveva­no paura che tu ci stessi lavorando.

Heisenberg                    - Ma, Bohr, tu avresti potuto dirglielo!

Bohr                              - Che cosa?

Heisenberg                    - Quello che ti avevo detto io nel 1941! Che la scel­ta è nelle nostre mani! Nelle mie - in quelle di Oppenheimer! Che se io posso dire loro la verità quando me lo chiedono, la semplice scoraggiante verità, lui può fare altrettanto.

Bohr                              - E questo che vuoi da me? Non che ti dica quello che fan­no gli Americani, ma che li fermi?

Heisenberg                    - Che tu dica loro che possiamo fermare insieme tutto questo.

Bohr                              - Io non avevo contatti con gli Americani!

Heisenberg                    - Ma con gli Inglesi, sì.

Bohr                              - Solo in un secondo tempo.

Heisenberg                    - La Gestapo aveva intercettato il messaggio che tu avevi mandato agli Inglesi sul nostro incontro.

Margrethe                     - E lo passarono a te?

Heisenberg                    - Perché no? Incominciavano a fidarsi di me. Fu questo che mi dette la possibilità di mantenere il controllo del­la situazione.

Bohr                              - Non per criticare, Heisenberg, ma se è questo il piano che ti porta a Copenaghen, è... come dire? E davvero molto in­teressante.

Heisenberg                    - Non è un piano, è una speranza. O forse neppure una speranza. Un'ombra di possibilità microscopicamente re­mota. Una folle improbabilità. Vale comunque la pena di ten­tare, Bohr! Vale la pena, certamente! Ma tu sei già troppo ar­rabbiato per capire quello che sto dicendo.

Margrethe                     - No - è arrabbiato perché sta cominciando a capi­re! I Tedeschi cacciano via la maggior parte dei loro migliori fi­sici perché sono ebrei. L'America e la Gran Bretagna li accol­gono. E adesso viene fuori che questo potrebbe offrire agli Alleati un'ancora di salvataggio. E tu ti precipiti subito da Niels urlando e supplicandolo di convincerli a rinunciare.

Bohr                              - Margrethe, tesoro, forse dovremmo cercare di moderare il tono.

Margrethe                     - Però che faccia di bronzo! Ci vuole davvero una gran faccia di bronzo!

Bohr                              - Una sciata molto temeraria, devo dire.

Heisenberg                    - Ma, Bohr, non stiamo sciando adesso! Non stia­mo giocando a ping-pong! Non stiamo scherzando con pistole finte e carte inesistenti! Non volevo crederci, quando ho sapu­to di Hiroshima. Credevo che fosse soltanto uno degli strani sogni in cui vivevamo all'epoca. Sogni che - Dio solo lo sa - si facevano sempre più strani, mano a mano che la Germania ca­deva a pezzi in quegli ultimi mesi di guerra. Ma fu allora che ci capitò di vivere nel più strano di tutti. Le rovine erano improv­visamente svanite - proprio come avviene nei sogni - e all'im­provviso ci ritroviamo in una grande villa nel bel mezzo della campagna inglese. Siamo stati rastrellati dagli Inglesi - tutto il gruppo al completo, tutti quelli che avevano lavorato alla ricer­ca atomica - e siamo stati portati via. A Farm Hall, nell'Huntingdonshire, nelle marcite del fiume Ouse. Le nostre famiglie in Germania muoiono di fame, e noi ogni sera ci mettiamo a ta­vola per consumare un'eccellente cena formale con il nostro simpatico ospite, l'Ufficiale britannico che si occupa di noi. È come un ricevimento d'anteguerra, uno di quei ricevimenti da opera teatrale da cui il mondo esterno è tagliato fuori e dove sai che gli ospiti sono stati tutti invitati per qualche fine segreto e sinistro. Nessuno sa che siamo lì - né in Inghilterra, né in Ger­mania, neppure le nostre famiglie. Ma la guerra è finita. Che cosa sta succedendo? Forse, come in un'opera teatrale, saremo assassinati in silenzio, uno alla volta. Nel frattempo è tutto così deliziosamente civilizzato, lo animo la festa eseguendo al pia­no delle sonate Beethoven. Il Maggiore Rittner, il nostro ospi­tale carceriere, ci legge Dickens, per migliorare il nostro ingle­se... Sono successe davvero a me quelle cose...? Aspettiamo che ci venga rivelato il senso di tutto questo. Poi, una sera, ac­cade. Ed è ancora più grottesco di quello che temevamo. Ne parla la radio: voi avete dunque commesso l'atto che a noi era costato tanto tormento. È per questo che siamo lì, a tavola col nostro gentile ospite, ad ascoltare il nostro Dickens. Siamo sta­ti tenuti isolati per impedirci di discutere l'argomento con chiunque finché non fosse stato troppo tardi. Quando il Mag­giore Rittner ce lo dice io semplicemente rifiuto di crederci, finché non lo sento con le mie stesse orecchie al notiziario delle nove. Non avevamo idea di quanto foste andati avanti. Non posso descrivere l'effetto che ci fa. Uno balocca allegramente con la pistola-giocattolo. Poi ecco che qualcun altro la racco­glie e preme il grilletto... e all'improvviso dappertutto c'è san­gue, gente che urla, perché non era affatto un giocattolo... Restiamo in piedi quasi tutta la notte, a parlarne, sforzandoci di renderci conto. Siamo letteralmente sconvolti.

Margrethe                     - Perché era stato fatto? O perché non eravate stati voi a farlo?

Heisenberg                    - Tutte e due le cose. Tutte e due. Otto Hahn vuole uccidersi, perché è stato lui a scoprire la fissione, e si sente le mani sporche di sangue. Gerlach, il nostro vecchio coordinato­re nazista, anche lui vuole morire perché le sue mani sono così vergognosamente pulite. Comunque, l'avete fatto. Avete co­struito la bomba.

Bohr                              - Già.

Heisenberg                    - E l'avete sperimentata su un obiettivo vivente.

Bohr                              - Su un obiettivo vivente.

Margrethe                     - Non starai mica insinuando che Niels abbia fatto qualcosa di male, lavorando a Los Alamos?

Heisenberg                    - No di certo. Bohr non ha mai fatto niente di male.

Margrethe                     - La decisione era stata presa molto prima dell'ar­rivo di Niels. La bomba sarebbe stata costruita comunque, con o senza Niels.

Bohr                              - In ogni caso il mio ruolo fu molto limitato.

Heisenberg                    - Oppenheimer ti ha indicato come il padre con­fessore della squadra.

Bohr                              - Sembra che questo sia il mio ruolo nella vita,

Heisenberg                    - Ha detto che hai dato un contributo importante.

Bohr                              - Spirituale, forse. Non pratico.

Heisenberg                    - Fermi dice che sei stato tu a elaborare il sistema di attivazione della bomba di Nagasaki.

Bohr                              - Io ho solo avanzato un'idea.

Margrethe                     - Intendi dire che c'è qualcosa che Niels dovrebbe spiegare o giustificare?

Heisenberg                    - Nessuno si è mai aspettato da lui spiegazioni o giustificazioni. Lui è un uomo profondamente buono.

Bohr                              - Non si tratta di bontà. Mi fu risparmiata la decisione.

Heisenberg                    - Già, mentre a me no. E così ho trascorso gli ulti­mi trent'anni della mia vita spiegando e giustificandomi. Quando andai in America nel 1949 molti fisici si rifiutarono persino di stringermi la mano. Le mani che avevano material­mente costruito la bomba non vollero toccare le mie.

Margrethe                     - Lascia che ti dica che se pensi di chiarire meglio le cose, adesso, sbagli di grosso.

Bohr                              - Margrethe, io capisco i suoi sentimenti...

Margrethe                     - Io no. Io sono arrabbiata come lo eri prima tu! E così facile farti sentire la coscienza sporca. Perché ora deve sca­ricare il suo fardello su di te? Perché che cosa fa dopo il suo fa­moso colloquio con te? Se ne torna a Berlino e dice ai Nazisti che è in grado di produrre bombe atomiche!

Heisenberg                    - Ma ciò che sottolineo è la difficoltà di separare il 235.

Margrethe                     - Gli dici del plutonio.

Heisenberg                    - Ne accenno a qualche funzionario di secondo piano. Devo mantenere vive le speranze della gente.

Margrethe                     - Altrimenti mandano a chiamare l'altro.

Heisenberg                    - Diebner. Molto probabilmente.

Margrethe                     - C'è sempre un Diebner pronto a rilevare i nostri crimini.

Heisenberg                    - Diebner potrebbe riuscire ad andare un po' più avanti di me.

Bohr                              - Diebner?

Heisenberg                    - Potrebbe. Una semplice possibilità.

Bohr                              - Non possiede un quarto delle tue capacità!

Heisenberg                    - Neanche un decimo, se è per questo. Ma ha dieci volte più voglia di farlo. Potrebbe andare molto diversamente se, al mio posto, fosse Diebner a presentare il caso durante la nostra riunione con Albert Speer.

Margrethe                     - La famosa riunione con Speer.

Heisenberg                    - Ma è quello che conta. È il vero momento della decisione. È il giugno 1942. Nove mesi dopo il mio viaggio a Copenaghen. Tutta la ricerca sarà cancellata da Hitler se non produrrà risultati immediati - e Speer è l'unico arbitro di quel­lo che passerà. Ora, abbiamo appena avuto il primo segnale che il nostro reattore funzionerà. Il nostro primo aumento di neutroni. Non molto - il 13% - ma è pur sempre un inizio.

Bohr                              - Giugno 1942? Siete poco più avanti di Fermi a Chicago.

Heisenberg                    - Solo che non ce ne rendiamo conto. Ma la RAF ha dato il via ai bombardamenti a tappeto. Hanno raso al suolo mezza Lubecca, e tutto il centro di Rostock e Colonia. Siamo alla disperata ricerca di nuove armi per rispondere all'attacco. Se c'è un momento per perorare la nostra causa, è proprio questo.

Margrethe                     - Non gli chiedi il finanziamento per continuare?

Heisenberg                    - Per continuare con il reattore? Certo che lo fac­cio. Ma gli chiedo così poco che lui non prende sul serio il pro­gramma.

Margrethe                     - Gli dici che il reattore produrrà plutonio?

Heisenberg                    - Non gli dico che il reattore produrrà plutonio. Non a Speer, no. Non gli dico che il reattore produrrà plutonio.

Bohr                              - Un'omissione sorprendente, devo ammetterlo.

Heisenberg                    - E che cosa succede? Funziona! Ci dà il denaro ap­pena necessario per tenere in vita il programma del reattore. Ed è la fine della bomba atomica tedesca. La fine.

Margrethe                     - Comunque andate avanti col reattore.

Heisenberg                    - Andiamo avanti. Certo. Perché adesso non c'è pericolo di farlo entrare in funzione in tempo per produrre ab­bastanza plutonio per una bomba. Certo che andiamo avanti col reattore. Lavoriamo come matti sul reattore. Dobbiamo trascinarlo da una parte all'altra della Germania, da est a ovest, da Berlino alla Svevia, per sottrarlo ai bombardamenti, per te­nerlo lontano dalle mani dei Russi. Diebner tenta di rubarlo durante il trasferimento. Glielo impediamo e lo sistemiamo in un piccolo villaggio del Giura Svevo.

Bohr                              - Cioè a Haigerloch?

Heisenberg                    - C'è un rifugio naturale, là - la taverna del villag­gio ha una cantina scavata nella roccia. Scaviamo una buca nel pavimento per il reattore, e io continuo a portare avanti il pro­gramma, lo tengo sotto controllo, fino all'amara fine.

Bohr                              - Ma, Heisenberg, con tutto il rispetto, con il massimo ri­spetto, tu non potevi neppure tenere il reattore sotto controllo. Quel reattore vi avrebbe uccisi.

Heisenberg                    - Non era stato collaudato. Non è mai diventato critico.

Bohr                              - Meno male. Hambro e Perrin lo esaminarono dopo che le truppe alleate lo avevano preso in consegna. Dissero che non aveva barre di cadmio di controllo. Non c'era nulla che assor­bisse un eventuale eccesso di neutroni, per rallentare la reazio­ne in caso di surriscaldamento.

Heisenberg                    - No, niente barre.

Bohr                              - Credevi che la reazione si sarebbe smorzata da sola.

Heisenberg                    - All'inizio lo credevo.

Bohr                              - Heisenberg, la reazione non si sarebbe smorzata da sola.

Heisenberg                    - L'ho capito solo nel 1945.

Bohr                              - Perciò se tu lo avessi mai spinto al punto critico, si sareb­be fuso e sarebbe scomparso nel centro della terra!

Heisenberg                    - Niente affatto. Avevamo un pezzo di cadmio a portata di mano.

Bohr                              - Un pezzo di cadmio? Che cosa ti proponevi di farci con un pezzo di cadmio?

Heisenberg                    - L'avrei gettato nell'acqua.

Bohr                              - Quale acqua?

Heisenberg                    - L'acqua pesante. Il moderatore nel quale era im­merso l'uranio.

Bohr                              - Caro il mio Heisenberg, non per criticarti, ma eravate tutti impazziti!

Heisenberg                    - C'eravamo quasi arrivati! Avevamo questa stra­ordinaria crescita di neutroni! Avevamo una crescita del 670%!

Bohr                              - Avevate perduto ogni contatto con la realtà in quella buca!

Heisenberg                    - Un'altra settimana. Quindici giorni. Ci sarebbe­ro bastati!

Bohr                              - Fu solo l'arrivo degli Alleati a salvarvi!

Heisenberg                    - Avevamo quasi ottenuto la massa critica! Un'ine­zia più grande, e la catena si sarebbe auto-sostenuta all'infinito. Ci serve solo un po' più di uranio. Parto con Weizsàcker per cer­care di mettere le mani su quello di Diebner. Un altro viaggio terrificante per tornare dall'altra parte della Germania. Conti­nue incursioni aeree - niente treni - proviamo con le biciclette -non ci riusciamo! Restiamo bloccati in una piccola locanda nel bel mezzo del niente, ad ascoltare l'esplosione delle bombe che cadono intorno a noi. Mentre la radio trasmette la sonata in Sol minore per violoncello di Beethoven.

Bohr                              - Ed era ancora tutto sotto il tuo controllo?

Heisenberg                    - Sotto il mio controllo - sì! È questo il punto! Sotto il mio controllo!

Bohr                              - Nessuno aveva il controllo di niente, allora!

Heisenberg                    - Sì, perché alla fine eravamo liberi da ogni costri­zione! Più si avvicinava la fine, più velocemente potevamo la­vorare.

Bohr                              - Non eri più tu a dirigere quel programma, Heisenberg. Era il programma che dirigeva te.

Heisenberg                    - Ancora due settimane, ancora due pasticche di uranio, e sarebbero stati i fisici tedeschi a realizzare la prima reazione a catena autosostenibile del mondo.

Bohr                              - Solo che Fermi l'aveva già fatto due anni prima a Chicago.

Heisenberg                    - Non lo sapevamo.

Bohr                              - Non sapevate nulla, chiusi in quella caverna. Eravate ciechi come talpe in una tana. Perrin disse che non c'era nulla per proteggere tutti voi dalle radiazioni.

Heisenberg                    - Non avevamo il tempo per pensarci.

Bohr                              - Dunque, se fosse diventato critico...

Margrethe                     - Sareste morti tutti per le conseguenze delle ra­diazioni.

Bohr                              - Mio caro Heisenberg! Caro ragazzo!

Heisenberg                    - Sì, ma allora il reattore sarebbe entrato in funzione.

Bohr                              - Avrei dovuto essere lì per tenerti d'occhio.

Heisenberg                    - Allora non pensavamo ad altro. Far funzionare il reattore, farlo funzionare,

Bohr                              - Hai sempre avuto bisogno di me per tenerti a bada. La tua barretta di cadmio ambulante.

Heisenberg                    - Se fossi morto allora, che cosa mi sarei perso? Trent'anni di tentativi di spiegazioni. Trent'anni di recrimi­nazioni e ostilità. Perfino tu mi voltasti le spalle.

Margrethe                     - Venisti di nuovo a Copenhagen. Venisti a Tisvilde.

Heisenberg                    - Non fu mai più come prima.

Bohr                              - No. Non fu mai più come prima.

Heisenberg                    - Certe volte penso che quelle poche settimane fi­nali a Haigerloch furono l'ultimo periodo felice della mia vita. In uno strano modo fu perfino molto sereno. Improvvisamente eravamo lontani dalla politica di Berlino. Fuori della portata delle bombe. La guerra stava finendo. Non c'era altro da pensare che al reattore. E in realtà non siamo impazziti. Non ab­biamo sempre lavorato. C'era un convento in cima alla rocca sopra la nostra cantina. E io avevo l'abitudine di rifugiarmi nella tribuna dell'organo in chiesa, a suonare le fughe di Bach.

Margrethe                     - Guardalo. È smarrito. È come un bambino smarrito. È stato fuori nel bosco tutto il giorno, correndo di qua, correndo di là. Si è messo in mostra, è stato coraggioso, è stato vile. Ha fatto male, ha fatto bene. E adesso si è fatta notte, e lui vuole solo tornare a casa, ed è smarrito.

Heisenberg                    - Silenzio.

Bohr                              - Silenzio.

Margrethe                     - Silenzio.

Heisenberg                    - E ancora una volta la barra del timone sbatacchia, e Christian cade.

Bohr                              - Ancora una volta lotta per raggiungere il salvagente.

Margrethe                     - Ancora una volta alzo gli occhi dal lavoro e sulla porta c'è Niels, che mi guarda in silenzio...

Bohr                              - Allora, Heisenberg, perché venisti a Copenaghen nel 1941 ? Era vero che ci parlasti di tutte le tue paure. Ma non hai pensato seriamente che ti avrei detto se gli Americani stavano lavorando a una bomba.

Heisenberg                    - No.

Bohr                              - Non hai sperato sul serio che li avrei fermati.

Heisenberg                    - No.

Bohr                              - Saresti tornato a lavorare su quel reattore qualunque co­sa avessi detto.

Heisenberg                    - Sì.

Bohr                              - Allora, Heisenberg, perché eri venuto?

Heisenberg                    - Perché ero venuto?

Bohr                              - Diccelo ancora una volta. Un'altra versione dell'articolo. E questa volta sarà quella giusta. Questa volta capiremo.

Margrethe                     - E magari capirai anche tu.

Bohr                              - Dopo tutto, i comportamenti dell'atomo erano difficili da spiegare. Abbiamo tentato molte volte. Ogni volta che ten­tavamo diventavano più oscuri. Comunque, alla fine, ci siamo riusciti. Dunque - un'altra versione, un'altra versione.

Heisenberg                    - Perché ero venuto? E di nuovo rivivo quella sera del 1941. Avanzo scalpicciando sulla ghiaia familiare, e tiro la familiare catena del campanello. Che cosa provo? Paura, certo, e l'assurda e orribile importanza di colui che porta cattive no­tizie. Però... sì... anche qualche altra cosa. Ci risiamo. Riesco quasi a vedere il suo aspetto. Qualcosa di buono. Qualcosa di allegro e spensierato e speranzoso.

Bohr                              - lo apro la porta.

Heisenberg                    - Ed eccolo là. Vedo il suo sguardo illuminarsi nel vedermi.

Bohr                              - Lui sorride con quel suo sorriso timido da scolaro.

Heisenberg                    - E io provo un istante di grande consolazione.

Bohr                              - Un lampo di pura contentezza.

Heisenberg                    - Come se fossi tornato a casa dopo un lungo viaggio.

Bohr                              - Come se sulla porta fosse apparso un figlio da molto tempo perduto.

Heisenberg                    - Improvvisamente sono libero da tutte le scure, avvolgenti correnti dell'acqua.

Bohr                              - Christian è vivo, Harald non è ancora nato.

Heisenberg                    - Il mondo è di nuovo in pace.

Margrethe                     - Guardateli. Ancora padre e figlio. Solo per un istante. Anche adesso che siamo tutti morti.

Bohr                              - Sì, per un momento, sono ancora gli anni Venti.

Heisenberg                    - E parleremo e ci capiremo come una volta.

Margrethe                     - E da queste due teste emergerà il futuro. Quali città saranno distrutte, e quali sopravviveranno. Chi morirà, e chi vivrà. Quale mondo sarà raso al suolo, e quale trionferà.

Bohr                              - Carissimo Heisenberg!

Heisenberg                    - Carissimo Bohr!

Bohr                              - Prego, accomodati...

Fine del primo atto

Atto Secondo

Heisenberg                    - Era proprio l'inizio della primavera. La prima volta che venni a Copenaghen, nel 1924. Marzo: rigido, vento­so tempo del nord. Ma ogni tanto il sole faceva capolino e ti la­sciava sulla pelle quel primo meraviglioso tepore dell'anno. Il primo soffio della vita che ritorna.

Bohr                              - Avevi ventidue anni. Perciò io ne avevo...

Heisenberg                    - Trentotto.

Bohr                              - Quasi la stessa età che avevi tu quando venisti nel 1941.

Heisenberg                    - Allora, che si fa?

Bohr                              - Infiliamo gli stivali e gli zaini...

Heisenberg                    - Prendiamo il tram fino al capolinea...

Bohr                              - E incominciamo a camminare!

Heisenberg                    - In direzione nord, verso Elsinore.

Bohr                              - Camminando, si parla.

Heisenberg                    - Poi a ovest verso Tisvilde.

Bohr                              - E torniamo per Hillered.

Heisenberg                    - Camminando, parlando, per cento miglia.

Bohr                              - Dopo di che abbiamo parlato più o meno senza fermarci per i tre anni seguenti.

Heisenberg                    - Ci scolavamo una bottiglia di vino a cena, nel tuo appartamento all'Istituto.

Bohr                              - Poi io salivo in camera tua...

Heisenberg                    - Quella terribile cameretta nel quartiere della ser­vitù, nell'abbaino.

Bohr                              - E, parlando, facevamo le ore piccole.

Heisenberg                    - Come, però?

Bohr                              - Come?

Heisenberg                    - Come parlavamo? In danese?

Bohr                              - In tedesco, sicuramente.

Heisenberg                    - Io tenevo le mie lezioni in danese. Dovetti fare il mio primo colloquio dopo appena dieci settimane dal mio arrivo.

Bohr                              - Ricordo. Il tuo danese era già eccellente.

Heisenberg                    - No. Mi facesti una cosa terribile. Mezz'ora prima che cominciassi, dicesti casualmente: «Oh, credo che oggi par­leremo in inglese».

Bohr                              - Ma quando spiegasti...?

Heisenberg                    - Spiegare al Papa? Non ne ebbi il coraggio. L'ec­cellente danese che sentisti fu il mio primo tentativo in inglese.

Bohr                              - Caro Heisenberg! Ma quando eravamo tra noi? Tesoro, te lo ricordi?

Margrethe                     - Che lingua parlavate quando non c'ero? Credi forse che avessi dei microfoni nascosti?

Bohr                              - No, no - ma abbi pazienza, tesoro, un po' di pazienza!

Margrethe                     - Pazienza?

Bohr                              - Mi sei sembrata un po' seccata.

Margrethe                     - Niente affatto.

Bohr                              - Dobbiamo seguire il filo per tornare indietro all'inizio del labirinto.

Margrethe                     - Vi sto seguendo passo passo.

Bohr                              - Non ti è dispiaciuto? Spero.

Margrethe                     - Dispiaciuto?

Bohr                              - Di essere rimasta a casa.

Margrethe                     - Mentre voi andavate a fare la vostra escursione? Certamente no. Perché mi sarebbe dovuto dispiacere? Tu avevi bisogno di uscire di casa. Due bambini piccoli che arri­vano uno dopo l'altro sarebbero troppo da sopportare per chiunque.

Bohr                              - Due bambini piccoli?

Margrethe                     - Heisenberg.

Bohr                              - Sì, sì.

Margrethe                     - E nostro figlio.

Bohr                              - Aage?

Margrethe                     - Ernest!

Bohr                              - 1924 - certo. Ernest.

Margrethe                     - II numero cinque. Giusto?

Bohr                              - Sì, sì, sì. E se era marzo, hai ragione - non poteva avere più di...

Margrethe                     - Una settimana.

Bohr                              - Una settimana? Una settimana, già. E davvero non ti è dispiaciuto?

Margrethe                     - Niente affatto. Ero contenta che tu avessi una scusa per uscire. E poi tu hai sempre fatto delle escursioni con i tuoi nuovi assistenti. La facesti anche con Kramers, quando arrivò nel 1916.

Bohr                              - Sì, quando Christian immagino che avesse solo...

Margrethe                     - Una settimana.

Bohr                              - Sì... sì... Lo ammazzai quasi, Kramers, sai.

Heisenberg                    - Mica con una pistola?

Bohr                              - Con una mina. Durante la camminata.

Heisenberg                    - Ah, la mina. Sì, me ne hai parlato durante la no­stra camminata. Ma lascia stare Kramers - per poco non ti am­mazzavi tu!

Bohr                              - Una mina abbandonata nello stagno...

Heisenberg                    - E naturalmente di colpo incominciano a fare gara lanciandole contro dei sassi. Ma a che stavate pensando?

Bohr                              - Non ne ho idea.

Heisenberg                    - Un tocco di Elsinore, forse, in quel momento.

Bohr                              - Elsinore?

Heisenberg                    - II buio che c'è nell'animo umano.

Bohr                              - Tu facesti qualcosa di altrettanto idiota.

Heisenberg                    - io?

Bohr                              - Con Dirac, in Giappone. Ti arrampicasti su una pagoda.

Heisenberg                    - Ah, la pagoda.

Bohr                              - Rimanesti in equilibrio sul pinnacolo. Stando al raccon­to di Dirac. Su un piede solo. Con un vento fortissimo. Meno male che non c'ero.

Heisenberg                    - Elsinore, confesso.

Bohr                              - Elsinore, certo.

Heisenberg                    - Ero geloso di Kramers, sai?

Bohr                              - Sua Eminenza. Non lo chiamavate così?

Heisenberg                    - Perché lo era. Il tuo primo cardinale. Il tuo figlio prediletto. Finché non sono entrato in scena io.

Margrethe                     - Era un bravissimo violoncellista.

Bohr                              - Era bravissimo in tutto.

Heisenberg                    - Fin troppo bravo.

Margrethe                     - A me piaceva.

Heisenberg                   - Io ero terrorizzato da lui. Quando incominciai a lavorare all'Istituto. Ero terrorizzato da tutti. Tutti quei ragaz­zi prodigio che avevi qui - erano tutti così geniali e colti. Ma Kramers era l'erede indiscusso. Tutti noi altri dovevamo lavo­rare nello studio comune. Kramers aveva uno studio privato accanto al tuo, come l'elettrone nell'orbita più interna attorno al nucleo. E non aveva molta considerazione per la mia fisica. Insisteva che si poteva spiegare tutto dell'atomo con la mecca­nica classica.

Bohr                              - Be', si sbagliava.

Margrethe                     - Infatti lo studio privato rimase ben presto vacante.

Bohr                              - E nell'orbita più interna entrò un altro elettrone.

Heisenberg                    - Già, e per tre anni vivemmo dentro l'atomo.

Bohr                              - Con altri elettroni sulle orbite esterne intorno a noi in tutta Europa.

Heisenberg                    - Max Born e Pascual Jordan a Gottinga.

Bohr                              - Sì, e Schròdinger a Zurigo, e Fermi a Roma.

Heisenberg                    - Chadwick e Dirac in Inghilterra.

Bohr                              - JolioteDeBroglieaParìgi.

Heisenberg                    - Gamow e Landau in Russia.

Bohr                              - E tutti entravano e uscivano dai dipartimenti di tutti.

Heisenberg                    - Articoli e bozze di articoli su ogni treno postale internazionale.

Bohr                              - Ricordi quando Goudsmit e Uhlenbeck trovarono lo spin?

Heisenberg                    - Esiste un'ultima variabile nello stato quantistico dell'atomo che nessuno riesce a spiegare. L'ultima barriera...

Bohr                              - E quei due pazzi di olandesi riprendono la ridicola idea che gli elettroni possono ruotare in direzioni diverse.

Heisenberg                    - E naturalmente tutti si chiedono: da che parte starà Copenaghen?

Bohr                              - Si dà il caso che io stia andando a Leida.

Heisenberg                    - E ne viene fuori un conclave! Il treno si ferma ad Amburgo...

Bohr                              - Pauli e Stern aspettano sul marciapiede per chiedermi che cosa penso io dello spin.

Heisenberg                    - Tu gli dici che è sbagliato.

Bohr                              - No, gli dico che è molto...

Heisenberg                    - Interessante.

Bohr                              - Credo di avere usato proprio questo termine.

Heisenberg                    - Dopo di che il treno arriva a Leida.

Bohr                              - Alla stazione trovo a ricevermi Einstein ed Ehrenfest. E cambio idea perché Einstein - Einstein, capisci? - Se io sono il Papa, lui è Dio — perché Einstein ha fatto un'analisi relativisti­ca, e questo scioglie tutti i miei dubbi.

Heisenberg                    - Nel frattempo io mi fermo a Gottinga per vedere Max Born, e così tu nel viaggio di ritorno fai una deviazione.

Bohr                              - E tu e Jordan mi venite a prendere alla stazione.

Heisenberg                    - La solita domanda: «che cosa ne pensi dello spin?».

Bohr                              - E quando il treno si ferma a Berlino, sul marciapiede ve­do Pauli.

Heisenberg                    - Wolfgang Pauli, che non scende mai dal letto, se può...

Bohr                              - E che mi ha già incontrato ad Amburgo nel viaggio di andata...

Heisenberg                    - Ha fatto tutto il viaggio da Amburgo a Berlino solo per vederti una seconda volta...

Bohr                              - E scoprire come le mie idee sullo spin si sono sviluppate strada facendo.

Heisenberg                    - Oh, che anni! Che anni straordinari! Tre brevis­simi anni!

Bohr                              - Dal 1924 al 1927.

Heisenberg                    - Da quando arrivai a Copenaghen per farti da as­sistente.

Bohr                              - A quando partisti, per prendere possesso della tua catte­dra a Lipsia.

Heisenberg                    - Tre anni di fredda, tonificante primavera nordica.

Bohr                              - Alla fine dei quali avevamo la meccanica quantistica, l'indeterminazione...

Heisenberg                    - La complementarità...

Bohr                              - L'intera interpretazione di Copenaghen.

Heisenberg                    - L'Europa è di nuovo al colmo della sua gloria. Un nuovo Illuminismo, con la Germania al centro di esso, nel po­sto che le spetta. E chi ha aperto la strada a tutti gli altri?

Margrethe                     - Tu e Niels.

Heisenberg                    - Sì, in effetti.

Bohr                              - Noi due.

Margrethe                     - Ed è a questo che tentavi di fare ritorno, nel 1941 ?

Heisenberg                    - A qualcosa che abbiamo fatto in quei tre anni... Qualcosa che avevamo detto, pensato... Mi sembra sempre di vederlo con la coda dell'occhio mentre parliamo! Qualcosa sul modo in cui lavoravamo. Qualcosa sul modo in cui abbiamo fatto tutte quelle cose...

Bohr                              - Insieme.

Heisenberg                    - Insieme. Sì, insieme.

Margrethe                     - No.

Bohr                              - No? Come sarebbe a dire, no?

Margrethe                     - Non insieme. Nessuna di quelle cose l'avete fatta insieme.

Bohr                              - Sì, certo, le abbiamo fatte insieme.

Margrethe                     - No. Ognuna di quelle cose l'avete fatta quando eravate separati. Tu per primo hai elaborato la meccanica quantistica a Heligoland.

Heisenberg                    - No — è che era già estate, allora. Soffrivo del mio raffreddore da fieno.

Margrethe                     - Ma a Heligoland, da solo, su un'isola rocciosa e brulla in mezzo al Mare del Nord, dicevi che non c'era niente a distrarti.

Heisenberg                    - La mia mente cominciò a schiarirsi, ed ebbi un quadro molto preciso di come avrebbe dovuto essere la fisica atomica. Improvvisamente mi resi conto che dovevamo limi­tarla alle misurazioni che potevamo effettivamente fare, a quello che potevamo effettivamente osservare. Noi non pos­siamo vedere gli elettroni all'interno dell'atomo...

Margrethe                     - Non più di quanto Niels possa vedere i pensieri nella tua testa, o tu i suoi nella sua.

Heisenberg                    - Possiamo solo vedere gli effetti che gli elettroni producono sulla luce che riflettono.

Bohr                              - Ma le difficoltà che tu cercavi di risolvere erano quelle che avevamo esplorato insieme, durante le cene nell'apparta­mento, sulla spiaggia di Tisvilde.

Heisenberg                    - Naturalmente. Ma ricordo la sera in cui la mate­matica incominciò a quadrare con il principio.

Margrethe                     - A Heligoland.

Heisenberg                    - A Heligoland.

Margrethe                     - Da solo.

Heisenberg                    - Fu terribilmente faticoso - allora non capivo il calcolo matriciale... Sono così eccitato che faccio un errore die­tro l'altro. Ma alle tre del mattino ne vengo a capo. Mi sembra di guardare attraverso la superficie di fenomeni atomici, den­tro un mondo interiore stranamente bello. Un mondo di pure strutture matematiche. Sono troppo eccitato per dormire. Scendo alla punta meridionale dell'isola. Là a picco sul mare c'è una roccia sporgente che avevo sempre desiderato scalare. Raggiungo la vetta alle prime luci dell'alba, e mi distendo sulla cima, guardando il mare.

Margrethe                     - Da solo.

Heisenberg                    - Da solo. E sì - ero felice.

Margrethe                     - Più felice di quando tornasti qui con tutti noi a Copenaghen, l'inverno seguente.

Heisenberg                    - Cosa, con quella grande sciocchezza di Schròdinger?

Bohr                              - Sciocchezza? Dai, su! La formulazione ondulatoria di Schrodinger?

Margrethe                     - Già, di colpo tutti hanno voltato le spalle alla tua meravigliosa nuova meccanica matriciale.

Heisenberg                    - Nessuno la capisce.

Margrethe                     - Mentre capiscono perfettamente la meccanica ondulatoria di Schrodinger.

Heisenberg                    - Perché l'hanno studiata a scuola! Stiamo tornan­do indietro alla Fisica classica! E se io sono un po' cauto nell'ac-cettarla...

Bohr                              - Un po' cauto? Non per contraddirti, ma...

Margrethe                     - .. .la definisti repellente!

Heisenberg                    - Dissi che le implicazioni fisiche erano repellenti. Schrodinger disse che le mie formule erano repellenti.

Bohr                              - Mi sembra di ricordare che usasti la parola... be', non la ripeterò in presenza di altri.

Heisenberg                    - In privato. Ma nel frattempo la gente era impazzita.

Margrethe                     - Credevano che tu fossi semplicemente geloso.

Heisenberg                    - Qualcuno alluse persino a una specie di bizzarro snobismo intellettuale. Tu eri estremamente eccitato.

Bohr                              - Per conto tuo.

Heisenberg                    - Invitasti qui Schrodinger...

Bohr                              - Per confrontarci con calma sulle nostre differenze.

Heisenberg                    - Ti avventasti su di lui come un pazzo. Vai a pren -derlo alla stazione - naturalmente - e gli dai addosso prima an­cora che abbia tirato giù le valigie dal treno. Poi non gli dai più pace, dalla mattina presto fino a notte inoltrata.

Bohr                              - Ioì Lui non mi dà pace!

Heisenberg                    - Perché tu non vuoi fare la minima concessione!

Bohr                              - Neanche lui!

Heisenberg                    - Lo facesti ammalare! Fu costretto a mettersi a let­to per sottrarsi a te!

Bohr                              - Aveva avuto un piccolo attacco febbrile.

Heisenberg                    - Margrethe dovette curarlo!

Margrethe                     - Lo nutrii con tè e dolci per tenerlo su.

Heisenberg                    - Già, mentre tu lo perseguitavi persino al suo ca­pezzale! Seduto sul suo letto, ti accanivi contro di lui!

Bohr                              - Con estrema gentilezza.

Heisenberg                    - Eri il Papa, il Sant'Uffizio e l'Inquisizione insie­me! E poi, e poi, dopo che Schròdinger era scappato di nuovo a Zurigo - e questo non lo dimenticherò mai, Bohr, non te lo la­scerò mai dimenticare - cominciasti a schierarti dalla sua par­te! Mi voltasti le spalle!

Bohr                              - Perché tu in quel momento eri impazzito! Eri diventato un fanatico! Rifiutavi di riconoscere alla teoria ondulatoria un qualsiasi posto nella meccanica quantistica!

Heisenberg                    - Avevi completamente voltato gabbana!

Bohr                              - Dicevo che la meccanica ondulatoria e la meccanica ma­triciale erano semplicemente strumenti alternativi.

Heisenberg                    - Una cosa di cui mi avevi sempre accusato. «Se funziona, funziona». Non importa il significato.

Bohr                              - Certo che mi importa il significato.

Heisenberg                    - II significato in parole.

Bohr                              - In parole semplici, sì.

Heisenberg                    - II significato di una cosa sta nel suo significato matematico.

Bohr                              - Secondo te, finché la matematica funziona, il senso non conta.

Heisenberg                    - La matematica è senso! Il senso non è altro che questo!

Bohr                              - Ma alla fine, in fondo in fondo, ricordi?, dobbiamo riu­scire a spiegarlo anche a Margrethe!

Margrethe                     - A me? Non riuscivate neppure a spiegarlo l'uno all'altro! Ogni sera discutevate fino all'alba! E vi arrabbiavate da morire!

Bohr                              - E alla fine eravamo anche completamente esausti.

Margrethe                     - Fu la camera a nebbia a darvi il colpo di grazia.

Bohr                              - Sì, perché se si isola un elettrone da un atomo e lo si spara in una camera a nebbia, si può vedere la traccia che lascia.

Heisenberg                    - Ed è uno scandalo. Non dovrebbe esserci alcuna traccia!

Margrethe                     - Stando alla tua meccanica quantistica.

Heisenberg                    - Non c'è nessuna traccia! Nessuna orbita! Né trac­ce, né traiettorie! Soltanto effetti esteriori!

Margrethe                     - Solo che la traccia c'è. L'ho vista io stessa, chiara come la scia lasciata da una nave che passa.

Bohr                              - Era un paradosso affascinante.

Heisenberg                    - Effettivamente, a te piacevano i paradossi, è que­sto il tuo problema. Tu sguazzavi nelle contraddizioni.

Bohr                              - Già, mentre tu non sei mai riuscito a capire il fascino di paradossi e contraddizioni. E questo è il tuo problema. Tu vivi e respiri paradossi e contraddizioni, ma non riesci a vederne la bellezza più di quanto un pesce possa vedere la bellezza dell'acqua.

Heisenberg                    - Certe volte mi sentivo intrappolato in una specie di inferno senza finestre. Tu non ti rendi conto di quanto sei aggressivo. Passeggi avanti e indietro per la stanza come se vo­lessi mangiarti qualcuno - e io indovino sempre chi.

Bohr                              - Comunque è così che abbiamo fatto la fisica.

Margrethe                     - No. No! Alla fine hai di nuovo fatto da solo! An­che tu! Te ne andasti a sciare in Norvegia.

Bohr                              - Dovevo allontanarmi da tutto!

Margrethe                     - E hai elaborato la complementarità in Norvegia, per conto tuo.

Heisenberg                    - Alla velocità alla quale scia doveva fare qualcosa per tenere il sangue in circolo. O la fisica o il congelamento.

Bohr                              - Già, mentre tu rimanesti a Copenaghen...

Heisenberg                    - E finalmente cominciai a pensare.

Margrethe                     - Funzionate molto meglio separati, voi due.

Heisenberg                    - Averlo fuori dai piedi era altrettanto liberatorio che sfuggire al mio raffreddore da fieno a Heligoland.

Margrethe                     - Se fossi la vostra insegnante non vi metterei mai seduti allo stesso banco.

Heisenberg                    - E fu allora che elaborai l'indeterminazione. Pas­seggiando per Faelled Park da solo in una gelida sera di feb­braio. E molto tardi, e appena entro nel parco mi ritrovo com­pletamente da solo nell'oscurità. Incomincio a riflettere su quello che uno vedrebbe, se potesse puntare un telescopio su di me dalle montagne della Norvegia. Mi vedrebbe sotto i lampioni del Blegdamsvej, e poi più nulla mentre svanisco nel buio. Poi un'altra mia breve apparizione mentre passo sotto al lampione davanti al palco della musica. E questo è quello che vediamo nella camera a nebbia. Non una traccia contìnua ma una serie di fugaci apparizioni -una serie di col­lisioni tra l'elettrone che passa e le varie molecole di vapore acqueo... O pensa a te, al tuo grande viaggio papale a Leida nel 1925. Che cosa ha visto Margrethe di quello, stando a ca­sa, qui a Copenaghen? Una cartolina postale da Amburgo, forse. Poi una da Leida. Una da Gottinga. Una da Berlino. Perché quello che vediamo nella camera a nebbia non sono nemmeno le collisioni stesse, ma le goccioline d'acqua che si condensano attorno a esse, grandi come città intorno a un tu­rista - no, ancora più grandi, al confronto - Paesi interi - la Germania... l'Olanda... di nuovo la Germania. Non c'è una traccia, non ci sono indirizzi precisi; soltanto una vaga lista di Paesi visitati. Non so perché non ci avessimo pensato prima, so soltanto che eravamo troppo impegnati a discutere per riu­scire a pensare.

Bohr                              - A quanto pare, hai rinunciato a ogni forma di discussio­ne. Il tempo di fare ritorno dalla Norvegia e trovo che hai fatto una bozza del tuo articolo sull'indeterminazione - e l'hai anche già spedito per la pubblicazione!

Margrethe                     - E incomincia una battaglia ancora più accanita.

Bohr                              - Mio caro Heisenberg, non è un comportamento corretto mandare in stampa una bozza prima di averne discusso insie­me! Non è così che lavoriamo!

Heisenberg                    - No, il nostro modo di lavorare è che tu ti accanisci contro di me dalla mattina alla sera! Il nostro modo di lavorare è che tu mi fai diventar matto!

Bohr                              - Sì, perché l'articolo contiene un errore fondamentale.

Margrethe                     - Ci risiamo.

Heisenberg                    - No, però gli dimostro la verità più strana sull'universo che ci sia mai capitato d'incontrare dall'epoca della relatività - cioè che uno non può conoscere nulla della collocazione di una particella, o di checchessia - neppure di Bohr adesso, mentre va avanti e indietro per la stanza come un matto - perché non possiamo osservarla senza introdurre un qualche nuovo elemento nella situazione: una molecola di va­pore acqueo che possa colpire, o un frammento di luce - ele­menti che posseggono una loro energia e che quindi producono un effetto su quello che colpiscono. Un piccolo effetto, d'ac­cordo, nel caso di Bohr...

Bohr                              - Sì, se sai definire dove mi trovo con la stessa approssima­zione applicabile alle particelle, puoi anche calcolare la mia ve­locità — fino a quale cifra...?

Heisenberg                    - Qualcosa come un miliardesimo di miliardesimo di chilometro al secondo. Rimane la questione teorica, comun­que, che nel mondo non esistono situazioni assolutamente de­terminate, il che, fra le altre cose, demolisce il concetto di cau­salità, l'intero fondamento della scienza - perché se non sai come stanno le cose oggi, non puoi certo sapere come saranno domani. Io sto smontando l'universo oggettivo intorno a te - e tutto quello che sai dire è che c'è un errore di formulazione!

Bohr                              - È così!

Margrethe                     - Qualcuno vuole un tè? Un dolcetto?

Heisenberg                    - Ascolta, nel mio articolo, quello che stiamo cer­cando di individuare non è un elettrone libero che vaga all'in­terno di una camera a nebbia, ma un elettrone a casa sua, che si muove all'interno di un atomo...

Bohr                              - E l'indeterminazione non si manifesta, come sostieni tu, attraverso un rinculo indeterminato quando viene colpito da un fotone in arrivo...

Heisenberg                    - Parole semplici, parole semplici!

Bohr                              - Queste sono parole semplici.

Heisenberg                    - Ascolta...

Bohr                              - Le parole della meccanica classica.

Heisenberg                    - Sta a sentire! Copenaghen è un atomo. Margrethe è il suo nucleo. Più o meno, la scala? Diecimila a uno?

Bohr                              - Sì, sì.

Heisenberg                    - Ora, Bohr è un elettrone. Va errando per la città da qualche parte, nel buio, non si sa dove. E qui, è là, dovun­que e nessun luogo. Su a Faelled Park, giù a Carlsberg. Davan­ti al Municipio, fuori vicino al porto. Io sono un fotone. Un quanto di luce. Vengo spedito nel buio a cercare Bohr. E ci riesco, perché riesco a entrare in collisione con lui... Ma che cosa è successo? Guardate - lui è stato rallentato, è stato deviato! Non fa più esattamente quello che faceva così convulsamente quando l'ho incrociato!

Bohr                              - Ma, Heisenberg, Heisenberg! Anche tu sei stato deviato! Se la gente potesse vedere quello che è successo a te, al loro frammento di luce, allora capirebbero quello che deve essere successo a me! Il problema è sapere che cosa è successo a te! Perché per capire come ti vede la gente, dobbiamo trattarti non solo come una particella, ma come un'onda. Io devo usare non solo la tua meccanica delle particelle, devo usare la funzione d'onda di Schròdinger.

Heisenberg                    - Lo so - l'ho detto in un poscritto al mio articolo.

Bohr                              - Tutti ricordano l'articolo - nessuno ricorda il poscritto. Ma la questione è fondamentale. Le particelle sono oggetti, completi nella loro essenza. Le onde sono perturbazioni di qualcos'altro.

Heisenberg                    - Lo so. La complementarità. E nel poscritto.

Bohr                              - O sono una cosa, o sono l'altra. Non possono essere l'una e l'altra. E noi dobbiamo scegliere un modo di vederle o l'altro. Ma facendolo, ci precludiamo la possibilità di sapere tutto sul loro comportamento.

Heisenberg                    - Ed eccolo di nuovo in orbita. Esemplificando ca­sualmente un'altra applicazione della complementarità. La tua esatta destinazione, quando vai girovagando, è completamente determinata dai tuoi geni e dalle varie forze fisiche che agisco­no su di te. Ma è anche completamente determinata dai tuoi capricci assolutamente imperscrutabili del momento. Perciò non possiamo capire del tutto il tuo comportamento senza considerarlo contemporaneamente dalle due angolazioni, e questo è impossibile. Il che significa che le tue straordinarie peregrinazioni non rappresentano aspetti dell'universo del tutto oggettivi. Essi esistono solo in parte, grazie agli sforzi miei e di Margrethe, mentre le nostre menti oscillano all'infi­nito avanti e indietro tra i due approcci.

Bohr                              - Tu non hai mai accettato in modo assoluto e totale la complementarità, vero?

Heisenberg                    - Sì! Assolutamente e totalmente! L'ho sostenuta al Congresso di Como nel 1927! Vi ho aderito da allora con un fervore religioso! Tu mi avevi convinto. Ho accettato con umiltà la tua critica.

Bohr                              - Non prima di aver detto delle cose che mi avevano ferito profondamente.

Heisenberg                    - Dio mio, a un certo punto mi avevi ridotto lette­ralmente alle lacrime!

Bohr                              - Perdonami, ma mi erano parse lacrime di frustrazione e • di rabbia.

Heisenberg                    - Secondo te, i miei erano capricci infantili?

Bohr                              - Ho tirato su dei figli miei.

Heisenberg                    - E Margrethe, allora? Faceva i capricci anche lei? Klein mi disse che hai ridotto anche lei alle lacrime dopo la mia partenza, costringendola a battere e ribattere le tue infinite versioni dell'articolo sulla complementarità.

Bohr                              - Non lo ricordo.

Margrethe                    - Io sì.

Heisenberg                    - Dovemmo tirare di nuovo giù dal letto Pauli ad Amburgo per farlo venire a Copenaghen a negoziare la pace.

Bohr                              - E ci riuscì. Giungemmo a un accordo. Indeterminazione e complementarità divennero i due principii fondamentali del­la interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica.

Heisenberg                    - Un compromesso politico, naturalmente, come lo sono la maggior parte degli accordi.

Bohr                              - Lo vedi? Dentro di te esistono ancora delle riserve segrete.

Heisenberg                    - Niente affatto - funziona. È questo che conta. Funziona, funziona, funziona!

Bohr                              - Funziona, sì. Ma non è solo questo. Perché tu lo vedi quello che abbiamo fatto in quei tre anni, vero Heisenberg? Senza esagerazioni, abbiamo messo il mondo sottosopra! Sì, senti, adesso ci sono, ci sono... Noi abbiamo rimesso l'uomo al centro dell'universo. Nel corso della storia ci siamo sempre trovati fuori posto. Non facciamo che relegarci alla periferia delle cose. Prima ci trasformiamo in un semplice strumento degli inconoscibili disegni di Dio, esili figure prostrate nella grande cattedrale della creazione. E appena abbiamo ritrovato noi stessi nel Rinascimento, appena l'uomo è diventato, come lo definiva Protagora, la misura di tutte le cose, siamo stati di nuovo messi da parte dai prodotti della nostra stessa ragione! Siamo nuovamente schiacciati mentre i fisici costruiscono le nuove grandi cattedrali che guardiamo con meraviglia - le leg­gi della meccanica classica che ci precedono fin dall'inizio dell'eternità, e che ci sopravviveranno fino alla fine dell'eterni­tà; che esistono, che noi esistiamo o no. Finché arriviamo all'inizio del ventesimo secolo, e siamo improvvisamente co­stretti a risollevarci in piedi.

Heisenberg                    - Tutto ha inizio con Einstein.

Bohr                              - Inizia con Einstein. Lui dimostra che la misura - la misura, dalla quale dipende l'intera possibilità della scienza - la misura non è un evento impersonale che si manifesta con imparziale universalità. È un atto umano, compiuto da uno specifico punto di vista nel tempo e nello spazio, dall'unico particolare punto di vista di un possibile osserva­tore. Poi, qui a Copenaghen, in quei tre anni durante gli an­ni Venti, scopriamo che non esiste un universo oggettivo precisamente determinabile. Che l'universo esiste solo co­me serie di approssimazioni. Soltanto nei limiti stabiliti dal rapporto che abbiamo con esso. Soltanto grazie alla com­prensione insita nella mente umana.

Margrethe                     - Allora, quest'uomo che hai posto al centro dell'universo - sei tu o è Heisenberg?

Bohr                              - Oh, lascia stare, tesoro.

Margrethe                     - Sì, ma c'è una differenza.

Bohr                              - O l'uno o l'altro. Entrambi. Tu. Tutti.

Margrethe                     - Se è Heisenberg quello al centro dell'universo, allora quel pezzetto di universo che lui non riesce a vedere è Heisenberg.

Heisenberg                    - E quindi...

Margrethe                     - E quindi è inutile chiedergli perché è venuto a Copenaghen nel 1941. Non lo sa!

Heisenberg                    - Per un attimo, allora, ho creduto di intravvedere il tutto.

Margrethe                     - Poi ti sei voltato a guardare.

Heisenberg                    - E non c'era più.

Margrethe                     - Di nuovo la complementarità. Giusto?

Bohr                              - Sì, sì.

Margrethe                     - L'ho battuto a macchina troppo spesso. Se fai una cosa sulla quale sei costretto a concentrarti, non puoi an­che pensare a farla, e se stai pensando di farla, allora non puoi contemporaneamente farla. Giusto?

Heisenberg                    - Curvare a sinistra, curvare a destra, o pensarci su e morire.

Bohr                              - Ma dopo che l'hai fatta...

Margrethe                     - Ti volti indietro e tiri a indovinare, proprio come tutti noi. Solo che tu sei svantaggiato nell'indovinare, perché, al contrario di noi, non ti sei visto mentre lo facevi. Scusami, ma tu non sai neppure perché hai scoperto l'indeterminazione.

Bohr                              - Invece, se fossi tu quello al centro dell'universo...

Margrethe                     - Allora posso dirti che è stato perché volevi but­tare una bomba su Schròdinger.

Heisenberg                    - In effetti volevo dimostrare che si sbagliava, certo.

Margrethe                     - E Schròdinger stava vincendo la guerra. Quando quell'autunno la cattedra di Lipsia divenne vacante, lui era tra i candidati, e tu no. Tu avevi bisogno di una meravigliosa nuo­va arma.

Bohr                              - Non per criticarti, Margrethe, ma tu tendi a metterla sempre sul personale.

Margrethe                     - Perché tutto è personale! Ci hai appena tenuto una lezione sull'argomento! Sai quanto ci tenesse, Heisenberg, a una cattedra. Sai quanto fosse sotto pressione dalla sua fami­glia. Mi dispiace, ma tu vuoi sempre rendere ogni cosa eroica­mente astratta e logica. E quando la racconti tu, ecco che tutto combacia, e la storia ha un principio, uno sviluppo e una fine. Ma io ero lì, e se ripenso a com'è andata, mi sento ancora lì, mi guardo attorno e quello che vedo non è una storia! È solo con­fusione e rabbia e gelosia e lacrime e nessuno che sappia il si­gnificato delle cose o quale piega stiano prendendo.

Heisenberg                    - Comunque, funziona, funziona.

Margrethe                     - Sì, funziona a meraviglia. Tre mesi dopo che hai pubblicato l'articolo sull'indeterminazione ti viene offerta Lipsia.

Heisenberg                    - Non volevo dire questo.

Margrethe                     - Per non parlare di altri e altri posti, altrove.

Heisenberg                    - Halle, Monaco, Zurigo.

Bohr                              - E diverse università americane.

Heisenberg                    - Ma io non alludevo a questo.

Margrethe                     - E quando accetti la cattedra a Lipsia quanti anni hai?

Heisenberg                    - Ventisei.

Bohr                              - II più giovane docente universitario della Germania.

Heisenberg                    - Alludevo all'interpretazione di Copenaghen. L'interpretazione di Copenaghen funziona. Comunque ci sia­mo arrivati, con qualsiasi combinazione di elevati principi e bassi calcoli, di pensieri penosamente difficili e lacrime peno­samente infantili, funziona. E continua a funzionare.

Margrethe                     - Già, e perché accettaste entrambi l'interpretazio­ne alla fine? Fu davvero perché volevate ristabilire l'umanesimo?

Bohr                              - Certamente no. Fu solo perché era l'unico modo di spie­gare quello che gli sperimentali avevano osservato.

Margrethe                     - Oppure perché ora, diventando un professore, cercavi una dottrina solidamente comprovata da insegnare? Perché volevi che le tue nuove idee fossero pubblicamente convalidate dal capo della chiesa di Copenaghen? E forse Niels accettò di convalidarle per ricambiare la tua accettazione delle sue dottrine. Per averlo riconosciuto come capo della chiesa. E se vuoi sapere perché venisti a Copenaghen nel 1941, ti dico anche questo. Hai ragione — non c'è nessun grande mistero: ve­nisti per pavoneggiarti con noi.

Bohr                              - Margrethe!

Margrethe                     - No! Quando venne la prima volta, nel 1924, era un umile assistente proveniente da un Paese umiliato, grato di avere un lavoro. E ora, eccoti qua, tornato in trionfo - lo scien­ziato più prestigioso di una nazione che ha conquistato la mag­gior parte dell'Europa. Sei venuto per mostrarci quanta strada hai fatto nella vita.

Bohr                              - Questo non è da te!

Margrethe                     - Mi dispiace, ma non è forse per questo che è qui? Perché arde dalla voglia di farci sapere che si sta occupando di una parte vitale della ricerca segreta. E che, malgrado questo, ha conservato una sua imperiosa indipendenza morale. E l'ha con­servata con una tale fama che è tenuto d'occhio dalla Gestapo. L'ha conservata con un tale successo che ora si trova anche ad af­frontare un dilemma morale straordinariamente importante.

Bohr                              - Senti, ora ti stai semplicemente accalorando.

Margrethe                     - Una reazione a catena. Dici una verità dolorosa e questa porta ad altre due. E come tu stesso ammetti con fran­chezza, tornerai là e continuerai a fare esattamente quello che hai fatto finora, qualsiasi cosa ti dica Niels.

Heisenberg                    - Sì.

Margrethe                     - Perché non ti sogneresti mai di rinunciare a una tale meravigliosa opportunità di ricerca.

Heisenberg                    - No di certo, se posso evitarlo.

Margrethe                     - E vuoi anche dimostrare ai Nazisti quanto può essere utile la fisica teorica. Vuoi salvare l'onore della scienza tedesca. Vuoi essere là per restituirle tutta la sua gloria appena la guerra sarà finita.

Heisenberg                    - Comunque, non dico a Speer che il reattore...

Margrethe                     - ...produrrà plutonio, no, perché hai paura di quello che succederebbe se i Nazisti impegnassero risorse più ampie, e tu non riuscissi a fornire le bombe. Ti prego, non cer­care di farci credere che sei un eroe della resistenza,

Heisenberg                    - Non ho mai preteso di essere un eroe.

Margrethe                     - Hai un grande talento per sciare così velocemen­te che nessuno può vedere dove sei. Per stare sempre in più po­sizioni contemporaneamente, come una delle tue particelle.

Heisenberg                    - Posso solo dire che ha funzionato. Contraria­mente alla maggior parte delle imprese compiute da eroi della resistenza. Ha funzionato! Lo so cosa pensi. Pensi che avrei dovuto unirmi al complotto contro Hitler, e farmi impiccare come gli altri.

Bohr                              - No di certo.

Heisenberg                    - Non lo dici perché certe cose non si possono dire. Ma lo pensi.

Bohr                              - No.

Heisenberg                    - A che sarebbe servito? A che sarebbe servito se tu ti fossi buttato in acqua dietro a Christian e fossi annegato an­che tu? Ma questa è un'altra cosa che non si può dire.

Bohr                              - La si può solo pensare.

Heisenberg                    - Sì. Scusami.

Bohr                              - E ripensare. Ogni giorno.

Heisenberg                    - Dovettero trattenerti, lo so.

Margrethe                     - Mentre tu ti trattenesti da solo.

Heisenberg                    - Meglio restare sulla barca, comunque, e tenere la rotta. Meglio rimanere vivo e gettare il salvagente. Sicuramente!

Bohr                              - Forse. Forse no.

Heisenberg                    - Meglio. Meglio.

Margrethe                     - È veramente ridicolo. Voi due avete penetrato con stupefacente raffinatezza e precisione il mondo infinita­mente piccolo dell'atomo. Adesso viene fuori che tutto dipen­de dai pesi infinitamente grandi che ci portiamo sulle spalle. E quello che succede lì dentro è...

Heisenberg                    - Elsinore.

Margrethe                     - Elsinore, sì.

Heisenberg                    - E forse hai ragione. Io avevo paura di quello che sarebbe successo. Ero consapevole di essere dalla parte vincen­te. .. Quante spiegazioni per tutto quello che ho fatto! Quante di loro intorno al tavolo del pranzo! Da qualche parte, a capo­tavola, c'è - credo - la vera ragione per la quale venni a Cope­naghen. Mi volto di nuovo a guardare... e per un attimo quasi vedo la sua faccia. Quando guardo ancora, vedo che la sedia a capotavola è completamente vuota. Non c'è nessuna ragione: non lo dissi a Speer semplicemente perché non mi era venuto in mente; venni a Copenaghen solo perché mi era venuto in mente. Ci sono un milione di cose che possiamo fare o non fare ogni giorno. Un milione di decisioni che si prendono da sole. Perché non mi hai ucciso?

Bohr                              - Perché non ti ho...?

Heisenberg                    - Ucciso. Assassinato. Quella sera del 1941. Eccoci qua, stiamo tornando a piedi verso casa, e tu sei appena saltato alla precipitosa conclusione che io metterò a disposizione di Hitler armi nucleari. Tu prenderai sicuramente tutte le ragio­nevoli misure per impedire che ciò avvenga.

Bohr                              - Assassinandoti?

Heisenberg                    - Siamo in mezzo a una guerra. Io sono un nemico. Non c'è niente di strano o d'immorale nell'uccidere i nemici.

Bohr                              - Dovrei tirar fuori la mia pistola giocattolo?

Heisenberg                    - Non hai bisogno della tua pistola giocattolo. E neppure di una mina. Puoi farlo senza rumore, senza sangue, senza nessuno spettacolo di sofferenza. Pulito come un punta­tore di bombe che preme il suo pulsante da un'altezza di tremi­la metri. Semplicemente, aspetti che io me ne sia andato. Poi ti siedi tranquillamente qui nella tua poltrona preferita e ripeti ad alta voce a Margrethe, davanti ai nostri invisibili ascoltato­ri, quello che ti ho appena detto. Morirò quasi all'istante, come il povero Casimir. Molto prima di Gamow.

Bohr                              - Caro Heisenberg, il suggerimento è certamente...

Heisenberg                    - Molto interessante. Così interessante che non ti è mai venuto in mente. La complementarità, di nuovo. Sono tuo nemico; ma sono anche tuo amico. Sono un pericolo per l'uma­nità; ma sono anche tuo ospite. Sono una particella; ma sono anche un'onda. Abbiamo una serie di obblighi verso il mondo in genere, ma ne abbiamo anche altri, inconciliabili, verso i no­stri compatrioti, verso i nostri vicini, verso i nostri amici, verso la nostra famiglia, i nostri figli. Noi dobbiamo passare attraver­so non due fessure nello stesso tempo, ma ventidue. E non pos­siamo fare altro che guardare oltre e vedere che cosa è successo.

Margrethe                     - Ti dirò un'altra ragione per cui hai inventato l'indeterminazione: hai una naturale affinità per essa.

Heisenberg                    - Be', devo proprio fare la figura del cane bastonato al mio ritorno, nel 1947. Di nuovo carponi, strisciando. Il mio Paese nuovamente distrutto.

Margrethe                     - Non esattamente. Dimostri che ancora una volta tu personalmente te la sei cavata alla grande.

Heisenberg                    - Elemosinando pacchi di cibo?

Margrethe                     - Sistemato a Gottinga sotto protezione britanni­ca, responsabile della scienza tedesca del dopoguerra.

Heisenberg                    - Quel primo anno a Gottinga dormii sulla paglia.

Margrethe                     - Elisabeth disse che in seguito aveste una casa bellissima.

Heisenberg                    - Mi fu data dagli Inglesi.

Margrethe                     - I tuoi nuovi genitori adottivi. Che l'avevano confiscata a qualcun altro.

Bohr                              - Basta, tesoro, basta.

Margrethe                     - No, mi sono tenuta i miei pensieri per me per tutti questi anni. Ma è irritante avere questo figlio intelligente che danza sempre davanti ai nostri occhi, che richiede sempre la nostra approvazione, che fa di tutto per stupirci, che ci prega sempre di dirgli quali sono i limiti per la sua libertà, solo per poi uscire e trasgredirli! Mi dispiace, ma veramente!... Tu che strisci carponi? È il mio caro, buono, gentile marito che striscia carponi! Letteralmente! E lui che striscia nel buio verso la spiaggia, nel 1943, fuggendo nella notte come un ladro dalla sua terra per evitare di essere assassinato. La protezione dell'ambasciata tedesca della quale tu ti vantavi non durò a lungo. Eravamo stati incorporati nel Reich.

Heisenberg                    - Nel 1941 vi avevo messi in guardia. Non mi avete dato retta. Se non altro Bohr è riuscito a raggiungere la Svezia.

Margrethe                     - E proprio mentre il peschereccio lo stava portan­do attraverso lo stretto, due navi da carico entravano in porto per deportare tutta la popolazione ebraica danese verso est. Quel grande buio che c'è nell'animo umano stava uscendo a fiotti per inghiottirci tutti.

Heisenberg                    - Io avevo cercato di mettervi in guardia.

Margrethe                     - Sì, e dove sei tu? Relegato in una caverna come un selvaggio, a cercare di estrarre uno spirito diabolico da una buca nella terra. Era a questo che si era ridotta, alla fine, quella luminosa primavera degli anni '20, era questo che aveva pro­dotto: una macchina più efficace per uccidere la gente.

Bohr                              - Mi si spezza il cuore ogni volta che ci penso.

Heisenberg                    - Spezzò tutti i nostri cuori.

Margrethe                     - E questa stupefacente macchina può ancora uc­cidere ogni uomo, donna e bambino sulla faccia della terra. E se davvero noi siamo il centro dell'universo, se davvero siamo quello che lo tiene in vita, che cosa rimarrà?

Bohr                              - Il buio. Un buio totale e definitivo.

Margrethe                     - Persino le domande che ci perseguitano alla fine saranno estinte. Persino i fantasmi moriranno.

Heisenberg                    - Posso solo dire che non l'ho fatto io. Io non ho co­struito la bomba.

Margrethe                     - No, e perché? Te lo dico io, anche questo. Per la più semplice delle ragioni. Perché non ne eri capace. Non hai capito la fisica.

Heisenberg                    - È quello che diceva Goudsmit.

Margrethe                     - E Goudsmit lo sapeva. Faceva parte del tuo cer­chio magico. Lui e Uhlenbeck sono quelli che hanno scoperto lo spin.

Heisenberg                    - Tuttavia egli non sapeva niente di quello che ca­pivo o non capivo della bomba.

Margrethe                     - Ti seguì per tutta Europa per conto dei servizi segreti alleati. Ti interrogò dopo che fosti catturato.

Heisenberg                    - Mi riteneva responsabile, si capisce. I suoi geni­tori erano morti ad Auschwitz. Era convinto che avrei dovuto fare qualcosa per salvarli. Non so cosa. Erano tante le mani che si levavano dal buio cercando una corda di salvataggio, ma non esisteva corda che potesse raggiungerle...

Margrethe                     - Diceva che tu non avevi capito la cruciale diffe­renza tra un reattore e una bomba.

Heisenberg                    - La capivo benissimo. Semplicemente non lo di­cevo agli altri.

Margrethe                      - Ah.

Heisenberg                    - Comunque, l'avevo capita.

Margrethe                      - Ma in segreto.

Heisenberg                    - Puoi controllare, se non mi credi.

Margrethe                      - Esistono prove, una volta tanto?

Heisenberg                    - È stato tutto registrato con cura.

Margrethe                      - Con dei testimoni, persino?

Heisenberg                    - Testimoni incontestabili.

Margrethe                      - Che l'hanno messo per iscritto?

Heisenberg                    - L'hanno registrato e trascritto.

Margrethe                      - Anche se tu non lo dicesti mai a nessuno?

Heisenberg                    - Lo dissi a una sola persona: a Otto Hahn. Quella terribile notte a Farm Hall, dopo aver sentito la notizia. Nelle ore piccole della notte, dopo che infine tutti erano andati a let­to, e noi due eravamo rimasti soli. Gli feci un resoconto ragio­nevolmente esauriente di come aveva funzionato la bomba.

Margrethe                     - Dopo l'evento.

Heisenberg                    - Dopo l'evento. Sì. Quando ormai non aveva più importanza. Tutte le cose che secondo Goudsmit io non avevo capito: neutroni veloci nel 235. L'opzione plutonio. Un guscio riflettente per ridurre la fuoriuscita di neutroni. Persino il mo­do per farla esplodere.

Bohr                              - La massa critica. Quella era la cosa più importante. La quantità di materiale occorrente per attivare la reazione a cate­na. Gli dicesti la massa critica?

Heisenberg                    - Gli diedi una stima, sì. Puoi controllare! Perché era quello l'altro segreto della festa. Diebner mi chiese appena arrivati se a mio avviso ci fossero microfoni nascosti. Mi misi a ridere. Gli dissi che gli Inglesi erano troppo antiquati per co­noscere i metodi della Gestapo. Ma li avevo sottovalutati. Avevano installato microfoni dappertutto - registravano ogni cosa. Controlla! Tutto quello che abbiamo detto. Tutto quello che abbiamo discusso quella terribile notte. Tutto quello che ho detto a Hahn a quattr'occhi nelle ore piccole.

Bohr                              - Ma la massa critica. Gli desti una stima. Qual era la sti­ma che gli desti?

Heisenberg                    - L'ho dimenticato.

Bohr                              - Heisenberg ...

Heisenberg                    - È tutto nelle registrazioni. Puoi vederlo da te.

Bohr                              - La stima per la bomba di Hiroshima...

Heisenberg                    - Era cinquanta chilogrammi.

Bohr                              - Allora è questa la stima che desti a Hahn? Cinquanta chilogrammi?

Heisenberg                    - Gli dissi circa una tonnellata.

Bohr                              - Circa una tonnellata? Mille chilogrammi?

Heisenberg                    - , mi sembra di cominciare a capire qualcosa, finalmente.

Heisenberg                    - L'unica cosa sulla quale mi sono sbagliato.

Bohr                              - Ti sei sbagliato di venti volte in eccesso.

Heisenberg                    - L'unica cosa.

Bohr                              - Ma- Heisenberg - i tuoi calcoli, i tuoi calcoli! Come po­tevano essere tanto sballati?

Heisenberg                    - Non lo erano. Appena ho calcolato la diffusione, ci sono arrivato vicino.

Bohr                              - Appena l'hai calcolata?

Heisenberg                    - Ho tenuto a tutti un seminario sull'argomento una settimana dopo. È nelle registrazioni. Controlla!

Bohr                              - Vuoi dire... che non l'avevi calcolata prima? Che non avevi fatto l'equazione di diffusione?

Heisenberg                    - Non ce n'era bisogno.

Bohr                              - Non ce n'era bisogno?

Heisenberg                    - II calcolo era già stato fatto.

Bohr                              - Da chi?

Heisenberg                    - Da Perrin e Flùgge nel 1939,

Bohr                              - Da Perrin e Flùgge? Ma, mio caro Heisenberg, quello ri­guardava l'uranio naturale. Wheeler e io dimostrammo che so­lo il 235 era fissile.

Heisenberg                    - II tuo grande articolo. La base di tutto quello che abbiamo fatto.

Bohr                              - Dunque bisognava calcolare la stima per il 235 puro.

Heisenberg                    - Ovviamente.

Bohr                              - E non l'hai fatto?

Heisenberg                    - Non l'ho fatto.

Bohr                              - Quindi per questo eri così convinto di non poterlo fare finché non avessi avuto il plutonio. Per questo hai passato tutta la guerra nella convinzione che ci volessero non pochi chilo­grammi di 235, ma una tonnellata o più. E per mettere insieme una tonnellata di 235 in un tempo ragionevole...

Heisenberg                    - Ci sarebbe voluto qualcosa come duecento milioni di unità di separazione. Era semplicemente inimmaginabile.

Bohr                              - Se ti fossi reso conto che bastava produrne solo pochi chilogrammi...

Heisenberg                    - Anche per produrre un solo chilogrammo servi­rebbe qualcosa come duecentomila unità.

Bohr                              - Ma duecento milioni sono una cosa; duecentomila un'al­tra. Era possibile immaginare di poterne mettere insieme due­centomila.

Heisenberg                    - Era appena possibile.

Bohr                              - Gli Americani l'hanno immaginato.

Heisenberg                    - Perché Otto Frisch e Rudolf Peierls hanno fatto il calcolo. Hanno risolto l'equazione di diffusione.

Bohr                              - Frisch era un mio vecchio assistente.

Heisenberg                    - E Peierls un mio vecchio allievo.

Bohr                              - Un austriaco e un tedesco.

Heisenberg                    - Avrebbero dovuto fare il loro calcolo per noi, all'Istituto Kaiser Wilhelm di Berlino. Invece l'hanno fatto all'università di Birmingham, in Inghilterra,

Margrethe                     - Perché erano ebrei.

Heisenberg                    - C'è qualcosa di quasi matematicamente elegante in questo.

Bohr                              - Anche loro hanno cominciato con Perrin e Flùgge.

Heisenberg                    - Anche loro credevano che ci sarebbero volute tonnellate. Anche loro lo credevano inimmaginabile.

Bohr                              - Finché un giorno...

Heisenberg                    - Hanno fatto il calcolo.

Bohr                              - Hanno scoperto quanto sarebbe stata rapida la reazione a catena.

Heisenberg                    - E, quindi, quanto poco materiale occorreva.

Bohr                              - Poco più di mezzo chilogrammo, dissero.

Heisenberg                    - Più o meno le dimensioni di una palla da tennis.

Bohr                              - Naturalmente si sbagliavano.

Heisenberg                    - Erano cento volte in difetto.

Bohr                              - Il che fece apparire la cosa cento volte più immaginabile di quanto fosse in realtà.

Heisenberg                    - Mentre io lasciai che sembrasse venti volte meno immaginabile.

Bohr                              - Dunque tutto il tuo tormento per il plutonio a Copena­ghen era fuori luogo. Avresti potuto arrivarci anche senza co­struire il reattore. Avresti potuto farlo da sempre con il 235.

Heisenberg                    - Quasi certamente no.

Bohr                              - Una piccola possibilità c'era, però.

Heisenberg                    - Una piccola possibilità.

Bohr                              - E questo problema l'avevi risolto già molto prima di ar­rivare a Copenaghen. Semplicemente omettendo di tentare l'equazione di diffusione.

Heisenberg                    - Un'omissione così piccola.

Bohr                              - Le cui conseguenze, però, si sono moltiplicate nel corso degli anni, raddoppiandosi e quadruplicandosi.

Heisenberg                    - Finché sono diventate così grandi da salvare una città. Quale città? Una qualsiasi delle città sulle quali non ab­biamo mai sganciato la nostra bomba.

Bohr                              - Londra, presumibilmente, se l'aveste avuta in tempo. Se gli Americani fossero già entrati in guerra, e gli Alleati avesse­ro cominciato a liberare l'Europa, allora...

Heisenberg                    - Chissà? Anche Parigi. Amsterdam. Magari Co­penaghen.

Bohr                              - Allora, Heisenberg, spiegaci solo questa semplice cosa: perché non facesti il calcolo?

Heisenberg                    - Dovresti chiederti perché lo fecero Frisch e Peier-ls, quel calcolo. Fu una sciocca perdita di tempo. Qualunque fosse la quantità di 235 in ballo, essa era ovviamente superiore a quella che si potesse immaginare di poter produrre.

Bohr                              - Solo che non lo era!

Heisenberg                    - Solo che non lo era.

Bohr                              - Allora perché...?

Heisenberg                    - Non lo so! Non so perché non l'ho fatto! Perché non ci ho mai pensato! Perché non mi è venuto in mente! Per­ché supponevo che non ne valesse la pena!

Bohr                              - Supponevi? Supponevi? Tu non hai mai supposto nien­te! È così che hai scoperto l'indeterminazione, perché rifiutavi le nostre supposizioni! Tu calcolavi, Heisenberg! Calcolavi tutto! La prima cosa che affrontavi di un problema era il suo aspetto matematico!

Heisenberg                    - Avresti dovuto essere lì a frenarmi.

Bohr                              - Già, non saresti andato lontano, se io fossi stato lì a te­nerti d'occhio.

Heisenberg                    - Anche se tu, in effetti, avevi fatto la stessa suppo­sizione! Tu pensavi che non ci fosse alcun pericolo per la mia stessa identica ragione! Perché non l'hai calcolata tu?

Bohr                              - Perché non l'ho calcolata io!

Heisenberg                    - Dicci perché non l'hai calcolata tu e sapremo per­ché non l'ho fatto io!

Bohr                              - È ovvio perché io non l'ho fatto.

Heisenberg                    - Vai avanti.

Margrethe                     - Perché lui non stava cercando di costruire una bomba!

Heisenberg                    - Sì. Grazie. Perché non stava cercando di costruire una bomba. Immagino che fosse la stessa cosa per me. Perché neanche io stavo cercando di costruire una bomba. Grazie.

Bohr                              - Allora hai bluffato anche tu, come feci io a poker con la scala che non avevo. Ma in quel caso,..

Heisenberg                    - Perché venni a Copenaghen? Già, perché venni...?

Bohr                              - Un'altra versione, sì? Una versione definitiva!

Heisenberg                    - E di nuovo avanzo scalpicciando sulla ghiaia fa­miliare fino al portone di casa Bohr, e tiro la familiare catena del campanello. Perché sono venuto? Lo so benissimo. Lo so al punto che non ho bisogno di chiedermelo. Finché di nuovo il pesante portone si apre.

Bohr                              - È lì, fermo sulla soglia, e sbatte le palpebre davanti all'im­provvisa luce proveniente dalla casa. Fino a questo istante i suoi pensieri sono stati dovunque e in nessun luogo, come particelle inosservate, simultaneamente attraverso tutte le fessure nel re­ticolo di diffrazione. Ora devono essere osservate e specificate.

Heisenberg                    - E all'improvviso i propositi, pur chiari dentro la mia testa, perdono ogni contorno definito. La luce li colpisce ed essi si disperdono.

Bohr                              - Carissimo Heisenberg!

Heisenberg                    - Carissimo Bohr!

Bohr                              - Prego, accomodati...

Heisenberg                    - Com'è difficile vedere persino quello che si ha davanti agli occhi. Tutto quello che possediamo è il presente, e il presente si dissolve infinitamente nel passato. Bohr spari­sce nell'attimo in cui mi volto verso Margrethe.

Margrethe                     - Niels ha ragione. Sembri invecchiato.

Bohr                              - Mi pare che tu abbia avuto dei problemi personali.

Heisenberg                    - Margrethe scivola nella storia nell'attimo in cui io mi volto di nuovo verso Bohr. Eppure com'è molto più difficile captare la benché minima percezione di quello che si trova dietro agli occhi! Eccomi qua al centro dell'universo, eppure tutto ciò che riesco a vedere sono due sorrisi che non mi appartengono.

Margrethe                     - Come sta Elisabeth? E i bambini?

Heisenberg                    - Benissimo. Vi salutano, naturalmente... Avverto un terzo sorriso nella stanza, molto vicino a me. È forse quello che per un istante vedo riflesso là nello specchio? E l'estraneo imbarazzato che lo mostra è in qualche modo collegato alla presenza che avverto nella stanza? Questa presenza invisibile che avvolge ogni cosa?

Margrethe                     - Osservo i due sorrisi nella stanza, uno imbaraz­zato e invitante, l'altro che passa rapidamente da incauto calo­re a semplice educazione. C'è anche un terzo sorriso nella stan­za, lo so, immutabilmente cortese, spero, e immutabilmente guardingo,

Heisenberg                    - Sei riuscito ad andare un po' a sciare?

Bohr                              - Do un'occhiata a Margrethe e per un istante vedo quello che lei vede e io non posso vedere - me stesso, e il sorriso che svanisce dal mio volto, mentre il povero Heisenberg continua ad annaspare.

Heisenberg                    - Li guardo entrambi mentre mi osservano e per un momento vedo la terza persona nella stanza, tanto chiaramente quanto vedo loro due. Il loro importuno ospite, che inciampa da una grossolana e sgradita sollecitudine a un'altra.

Bohr                              - Lo guardo mentre mi osserva, ansioso, supplichevole, sollecitandomi a tornare indietro ai vecchi tempi, e vedo quello che vede lui. E sì - adesso ci sono, adesso ci sono - c'è qualcuno che manca nella stanza. Lui vede me. Vede Margrethe. Non vede se stesso.

Heisenberg                    - Due miliardi di persone al mondo, e l'unico che deve decidere del loro destino è l'unico che è sempre nascosto dame.

Bohr                              - Avevi proposto una passeggiata.

Heisenberg                    - Ricordi Elsinore? Il buio che c'è nell'animo umano...?

Bohr                              - E usciamo. Fuori, sotto gli alberi autunnali. Per le strade dai lampioni oscurati.

Heisenberg                    - Adesso non c'è nessuno al mondo se non Bohr e l'altro invisibile. Chi è, questa presenza nel buio che avvolge ogni cosa?

Margrethe                     - La particella sospesa vaga nel buio, nessuno sa dove. E qui, è lì, è dovunque e in nessun luogo.

Bohr                              - Con cauta casualità incomincia a porre la domanda che siè preparato.

Heisenberg                    - Un fisico ha il diritto morale di lavorare allo sfruttamento pratico dell'energia atomica?

Margrethe                     - La grande collisione.

Bohr                              - Mi fermo. Lui si ferma...

Margrethe                     - È così che lavorano.

Heisenberg                    - Lui mi guarda, inorridito.

Margrethe                     - Finalmente ora sa dov'è e quello che sta facendo.

Heisenberg                    - Distoglie lo sguardo.

Margrethe                     - E nel momento stesso in cui la collisione comin­cia, è già finita.

Bohr                              - Stiamo già tornando di corsa verso la casa.

Margrethe                     - Stanno già schizzando di nuovo via l'uno dall' al -tro, nel buio.

Heisenberg                    - La nostra conversazione è finita.

Bohr                              - La nostra grande collaborazione.

Heisenberg                    - Tutta la nostra amicizia.

Margrethe                     - E ogni cosa che lo riguarda diventa, incerta, in­determinata come era prima.

Bohr                              - A meno che... sì... un esperimento di pensiero... Sup­poniamo per un istante che io non schizzi via nella notte. Ve­diamo che cosa succede se invece mi ricordo del ruolo paterno che dovrei interpretare. Se mi fermo, e controllo la mia rabbia, e mi volgo verso di lui. E gli chiedo perché.

Heisenberg                    - Perché?

Bohr                            - Perché sei convinto che sarà così convenientemente dif­ficile costruire una bomba con il 235? Forse perché hai fatto il calcolo?

Heisenberg                    - II calcolo?

Bohr                              - Della diffusione nel 235. No. E perché non l'hai calcola­ta. Non hai neppure pensato a calcolarla. Scientemente, non hai capito che c'era un calcolo da fare.

Heisenberg                    - E naturalmente adesso ho capito. In effetti non sarebbe stato tanto difficile. Vediamo... La sezione d'urto di diffusione è di circa 6x10" , per cui il cammino libero medio sarebbe... Aspetta...

Bohr                              - E improvvisamente incomincia a delinearsi un nuovo mondo, molto diverso e molto terribile...

Margrethe                     - Quella fu l'ultima e la più importante richiesta che

Heisenberg                    - abbia fatto alla sua amicizia con te. Di essere capito laddove lui non riusciva a capire se stesso. E quello fu l'ultimo e il più importante gesto di amicizia per

Heisenberg                    - che tu gli abbia ricambiato: lasciarlo nell'incomprensione.

Heisenberg                    - Già. Forse dovrei ringraziarti.

Bohr                              - Forse.

Margrethe                     - Comunque, fu la fine della storia.

Bohr                              - Tuttavia, forse c'era anche qualcosa di cui io dovrei rin­graziare te. Quella sera dell'estate del 1943, quando fuggii at­traverso lo stretto con il peschereccio, e dalla Germania arriva­rono i cargo...

Margrethe                     - Che c'entra questo con Heisenberg ?

Bohr                              - Quando le navi arrivarono, il mercoledì, in Danimarca c'erano ottomila ebrei da arrestare e stipare a bordo. Il giorno seguente, alla vigilia del Capodanno ebraico, quando le SS in­cominciarono le retate, non trovarono un solo ebreo.

Margrethe                     - Erano stati tutti nascosti nelle chiese e negli ospedali, nelle case e nelle fattorie.

Bohr                              - Ma com'era stato possibile? - Perché eravamo stati in­formati da qualcuno dell'ambasciata tedesca.

Heisenberg                    - Georg Duckwitz, il loro specialista in spedizioni.

Bohr                              - Un tuo uomo?

Heisenberg                    - Uno di loro.

Bohr                              - Era un ottimo informatore. Ce lo fece sapere il giorno prima che arrivassero i cargo - il giorno stesso in cui Hitler aveva emanato l'ordine. Ci disse l'ora esatta in cui le SS si sa­rebbero mosse.

Margrethe                     - Fu la resistenza a farli uscire dai loro nascondigli e a portarli al di là dello stretto.

Bohr                              - Per pochi di noi, in una piccola barca da pesca, sfuggire ai guardacoste tedeschi fu un'impresa notevole. Per un intero convoglio di pescherecci, con a bordo quasi ottomila persone, fu come l'apertura del Mar Rosso.

Margrethe                     - Credevo che non ci fossero guardacoste tedeschi quella notte.

Bohr                              - No - l'intera flottiglia era stata improvvisamente dichia­rata inabile alla navigazione.

Heisenberg                    - Non riesco a immaginare come abbiano fatto.

Bohr                              - Di nuovo Duckwitz?

Heisenberg                    - Andò anche a Stoccolma e chiese al Governo sve­dese di accogliere tutti quanti.

Bohr                              - Dunque forse ti dovrei ringraziare.

Heisenberg                    - Di che cosa?

Bohr                              - Della mia vita. Della vita di noi tutti.

Heisenberg                    - Io non c'entravo più, allora. Mi spiace dirlo.

Bohr                              - Ma dopo che ero andato via, tu tornasti a Copenaghen.

Heisenberg                    - Per accertarmi che i nostri non si impadronissero dell'Istituto in tua assenza.

Bohr                              - Non ti ho mai ringraziato neppure per questo.

Heisenberg                    - Lo sai che mi offrirono il tuo ciclotrone?

Bohr                              - Saresti riuscito a separare un po' di 235, con quello.

Heisenberg                    - Intanto tu stavi lasciando la Svezia per Los Alamos.

Bohr                              - Per interpretare la mia piccola ma utile parte nell'ucci­sione di centomila persone.

Margrethe                     - Niels, tu non hai fatto niente di male!

Bohr                              - No?

Heisenberg                    - Certo che no. Tu eri un brav'uomo, lo sei sempre stato, e nessuno potrebbe mai dire il contrario. Mentre io...

Bohr                              - Mentre tu, mio caro Heisenberg, non sei mai riuscito a contribuire alla morte di una sola persona in tutta la tua vita.

Margrethe                     - Be', sì.

Heisenberg                    - L'hai fatto?

Margrethe                     - Di una, sì. Almeno così ci dicesti. Quel povero diavolo al quale facesti la guardia una notte, da ragazzo, a Mo­naco, mentre lui aspettava di essere fucilato la mattina dopo.

Bohr                              - D'accordo, allora, una. Una sola anima sulla sua co­scienza, contro tutte le altre.

Margrethe                     - Ma quell'unica anima era padrona dell'universo, non meno di ognuno di noi. Finché non venne il mattino.

Heisenberg                    - No, quando venne il mattino li convinsi a lasciar­lo andare.

Bohr                              - Heisenberg, devo dire che se le persone si dovessero mi­surare rigorosamente in termini di quantità osservabili...

Heisenberg                    - Allora avremmo bisogno di una nuova strana etica quantistica. Ci sarebbe un posto in cielo per me. E un altro per l'uomo delle SS che incontrai mentre tornavo da Haigerloch. Quella fu la fine della mia guerra. Le truppe al­leate si stavano avvicinando; non potevamo fare più nulla. Elisabeth e i ragazzi si erano rifugiati in un villaggio in Ba­viera, e così andai a trovarli prima di essere catturato. Do­vetti andarci in bicicletta - a quell'epoca non c'erano né tre­ni, né altri mezzi di trasporto - e dovetti viaggiare di notte e di giorno dormire sotto una siepe, perché durante le ore diurne il cielo era pieno di aerei alleati, che scrutavano le strade in cerca di qualsiasi cosa si muovesse. Un uomo in bi­cicletta sarebbe risultato il bersaglio più grosso rimasto in Germania. Viaggiai per tre giorni e tre notti. Fuori del Wùrttemberg, giù per il Giura Svevo e le prime colline delle Alpi. Attraverso la mia patria devastata. Era questo che avevo scelto per lei? Queste macerie senza fine? Questo eterno fumo nel cielo? Questi volti affamati? Era opera mia? E tutti quei disperati per le strade. I più disperati erano le SS. Bande di fanatici senza più nulla da perdere, che anda­vano in giro a sparare ai disertori a sangue freddo, o a impiccarli agli alberi lungo le strade. La seconda notte, all'im­provviso - la terribile familiare palandrana nera emerge dall'ombra davanti a me. Quando mi fermo, sulle sue lab­bra leggo quella terribile parola familiare. «Disertore», dice. Sembra esausto quanto me. Gli do il lasciapassare che mi sono scritto da solo. Ma dal cielo non filtra abbastanza luce per leggerlo, e lui è troppo stanco per disturbarsi. Incomin­cia invece ad aprire la fondina. Mi sparerà semplicemente perché è meno faticoso. E all'improvviso penso rapidamen­te e chiaramente - è come sciare, o quella notte a Heligoland, o quella a Faelled Park. Questa volta mi viene in men­te il pacchetto di sigarette americane che ho in tasca. L'ho già in mano - glielo sto porgendo. La soluzione più dispera­ta mai trovata a un problema. Aspetto, mentre lui sta lì a guardarlo, cercando di capire, di pensare, con il mio inutile pezzo di carta ancora nella mano sinistra, e la destra sull'apertura della fondina. Sul pacchetto ci sono due sem­plici parole in caratteri cubitali: Lucky Strike. E lui chiude la fondina, e prende invece le sigarette... Aveva funzionato, aveva funzionato! Come tutte le altre soluzioni a tutti gli al­tri problemi. Mi ha lasciato vivere per venti sigarette. E io ho proseguito. Per tre giorni e tre notti. Passando davanti ai bambini piangenti, ai bambini smarriti e affamati, reclutati per combattere, e poi abbandonati dai loro comandanti. Passando davanti agli schiavi dei campi di lavoro che torna­vano alle loro case in Francia, in Polonia, in Estonia. Attraverso Gammertingen e Biberach e Memmingen, Mindelheim, Kaufbeuren e Schòngau. Attraverso la mia beneamata patria. La mia devastata, disonorata, beneamata patria.

Bohr                              - Mio caro Heisenberg! Mio caro amico!

Margrethe                     - Silenzio. Il silenzio al quale, alla fine, sempre tor­niamo.

Heisenberg                    - E naturalmente, io so a che cosa stanno pensando.

Margrethe                     - A tutti quei bambini smarriti lungo la strada.

Bohr                              - Ad Heisenberg che vaga lui stesso per il mondo, come un bambino smarrito.

Margrethe                     - Ai nostri figli perduti.

Heisenberg                    - Ed ecco che sbatacchia di nuovo la barra del timone.

Bohr                              - Così vicino, così vicino! Manca un soffio!

Margrethe                     - Lui sta lì sulla porta, miguarda, poi gira il capo...

Heisenberg                    - E di nuovo scompare, nelle acque scure.

Bohr                              - Prima che possiamo afferrare qualcosa, la nostra vita è finita.

Heisenberg                    - Prima che possiamo capire chi e che cosa siamo, siamo finiti e ridotti in polvere.

Bohr                              - Sepolti da tutta la polvere che abbiamo sollevato.

Margrethe                     - E prima o poi, verrà il tempo in cui tutti i nostri figli saranno ridotti in polvere; e tutti i figli dei nostri figli.

Bohr                              - Quando non si prenderanno più decisioni, grandi o pic­cole che siano. Quando non vi sarà più indeterminazione, per­ché non vi sarà più conoscenza.

Margrethe                     - E quando tutti i nostri occhi saranno chiusi, quando anche i fantasmi saranno scomparsi, che cosa rimarrà del nostro beneamato mondo? Del nostro devastato e disono­rato e beneamato mondo?

Heisenberg                    - Ma nel frattempo, in questa preziosissima frazio­ne di tempo, qualcosa c'è. Gli alberi di Faelled Park. Gammertingen e Biberach e Mindelheim. I nostri figli e i figli dei nostri figli. Salvati, forse, da quell'unico breve istante a Copenaghen. Da un qualche evento che non sarà mai esattamente individua­to o definito. Da quel nucleo finale di indeterminazione che sta nel cuore delle cose.

FINE

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