Corale dell’attesa
di
Giuseppe Manfridi
La marmaglia, come dice mia moglie, che si agita tra Cristo e Giuda
a Paola
(Incipit)
Vi è un interregno
assolutamente ovunque
e assolutamente sempre
che imbastisce attese tra i fatti del mondo
così nel mare tra goccia e goccia
così nel vento
tra i refoli che lo intessono
come pure
tra un’ala e il suo palpito
vi è un interregno
tra un suono e il silenzio che sussegue
tra l’atomo che preme e l’atomo premuto
tra un ramo e i suoi flabelli
vi è un interregno
tra un secondo e l’altro
vi è un interregno
tra ogni cosa e ogni cosa
addirittura
tra ogni cosa e se stessa
vi è un interregno
tra la palpebra aperta e la socchiusa
tra ciglio e ciglio
tra la pupilla e il raggio che ne filtra
vi è un interregno
ovunque sempre
e nulla ne è esentato
vi è finanche
un interregno tra un capo e l’altro
dell’indistinguibile pulviscolo
che neanche l’occhio ammette
e addirittura
un interregno vive
tra il gesto fatto e il gesto in fieri,
eppure
dove l’uno cessi
e dove già l’altro sia
non c’è parola che possa stabilirlo
ma un interregno c’è
vi è un interregno
che fa di questo e questo
un questo e un quello
con ciò sia cosa che
nulla vi è che non sia distinto
mille volte dal resto
e mille in se stesso
vi è un interregno
tra padre e figlio
tra generazione e generazione
tra la scintilla e il tizzo
tra la morsa e il manico
tra la lama e il taglio
tra il bacio e il contagio
tra la carezza e la spinta
tra il feto e il ventre
vi è un interregno
tra il succhio che ispira
e il fiato espirato
vi è un interregno
tra l’accasciarsi della notte
e la penombra smossa
un interregno cova
nel pelo felino
che allisciato si screzia
nella fessura dell’uscio
in cui si annuncia l’aurora
vi è un interregno
nell’appena passato
e nel tra poco che arriva
nel proprio qui
nel proprio ora
e nel qualunque
presente di chiunque.
Un interregno è
superattesa dell’attimo
che finalmente fermo
si ostenti e dica:
“Ora sì
Tutto è in Me.
Pace Pace Pace
Tutto è in Pace
dentro di Me
Tutto è stasi
dunque è Pace
dunque è in me”
Ma così non è, poiché ancora non è.
Due punti e lo si sappia:
ciò che avviene
poiché avviene
mai può essere fermo
né di sé soddisfatto
ciò che avviene avviene
perché avvenga
ciò che avverrà. Punto
(Dallo sfrangiarsi delle voci, le prime larve)
Punto
da cui la domanda inizia
e la domanda
dà alla vicenda inizio
nostra
notturna
d’attesa
di interregno.
Di braci
fredde
inumatrici
fosse a fuochi spenti
e di parole tumulate in bocca
con la domanda
che non risposte attende
ma attende
e attende e basta
e osserva e all’erta
spaventata spaventa
ci spaventa la domanda che con noi spartisce
il tempo e il luogo
d’un intermedio interregno che a mill’altre creature altrove
chissà come ci abbraccia.
Ma ad altre chi? Ad altre dove?
Eppure
questa domanda ce ne impone la certezza.
Pare buffo il paradosso? Non lo è
poiché il mondo è al contempo se stesso
e parodia di sé.
Rìdine tu. Se ti va, rìdine ma questo è.
Chissà come, ripeto, ci abbraccia.
Il che vuol dire, due punti:
ci abbraccerà.
Il che pure vuol dire, due punti:
per sempre.
E poiché ‘per sempre’ vuol dir molto
per darne bene il senso ripeterlo vorrei
per sempre.
Capisci che dico?
Capite che diciamo?
Io per sempre
ripetere vorrei
‘per sempre’.
Intricato?
Pedante?
Astruso?
Non si può parlare altrimenti che così.
Ormai non più.
Qui
non altrimenti che così.
Terribile sennò
sarebbe il rischio di non capirsi o
peggio ancora del fraintendimento.
E ora fraintendere
sarebbe tradirsi.
Tradirci.
Tradirti.
Tradirsi
quasi senza saperlo. Ma farlo,
pur senza saperlo, ugualmente
(Dalle ombre, iniziano a distinguersi i corpi)
Tradirmi?
Tu?
A che
ti
o ci
servirebbe?
(La ragione che consiglia)
Spegni la voce mio caro smorza il fiato
consueta ti diventi
l’attitudine di chi sta recluso
(L’animo in fuga)
Ma non lo voglio non lo sono
(La ragione che sa)
E allora fingi:
ti troverai a tuo agio.
Fallo. Io lo faccio, conviene
(L’animo in fuga)
Recluso dove?
(La ragione che esperisce)
Nell’assenza
del tuo signore.
Fattene novizio,
è un lutto che
se apri gli occhi lo tocchi.
Aprili
e svegliati
(Lo spettatore di se stesso)
No, fermi.
Fuori
fuori da tutto questo.
Prima di andare avanti, fuori.
Parliamone meglio capiamolo meglio.
Che maremagno di parole usando state
per dire cosa e come?
Questo impasto policacofonico cos’è che intona?
Filosofia da quattro soldi?
Materia di racconto?
O la storia nostra offerta
contemporaneamente al suo accadere?
Insomma, io
parlando che faccio?
Racconto di me
o mi vivo?
E le parole che dico queste ad esempio
mi riferiscono
o mi esprimono?
La differenza c’è.
Sto davvero morendo
o non sono mai stato vivo se non per raccontarmi?
Come una chiacchiera provvista
di braccia a gambe e scaraventata in scena.
La differenza c’è:
sono qualcuno
o ne sono la maschera?
(La rarione che insegna)
Fèrmati così. Non una sillaba in più.
Spegni la voce mio caro smorza il fiato.
E svegliati.
L’oscurità è sincera.
Coabitiamo ora insieme il medesimo interregno.
Tra le sue mura stiamo.
Svegliati.
Non è più ciò che era
ciò che era è morto svegliati
qui stai
e il tuo spavento apprendi
scuotendoti dal sonno
il peggio del mondo ti si conforma attorno:
non il sogno lo dissipa
anzi
il dissipare del sogno lo rivela: è morto
e non noi con lui. Morto
è ormai il tempo di ieri e l’interregno dice:
il giorno a cui vi porto solo io lo so
(Una voce che si divincola)
Chi morto?
(La ragione che spiega)
L’uomo che eri quando il tuo Re viveva
tu in questo ad esempio sei morto
te lo dico in bisbiglio senti?
Così debbo.
A usare ancora le frasi che ci davano forza
oggigiorno diverremmo deboli.
Perciò è così che dobbiamo parlare.
Sia pure dicendo le cose di sempre ma dicendole piano.
Morta insomma è ogni ora che alle sue era compagna
morti i tuoi gesti accuditi dai suoi
com’è morto il paesaggio che ancora esibisce
le sue valli e i suoi fiumi tal quale
all’alba di ieri, ma in quanto
contemporaneo a lui, morto.
Così il tuo pane modificandosi è morto:
pane che non
ti è più dato spartire
se non con noi o con me, ma non più
col tuo Re. Non c’è più
chi ogni cosa sollevi ad un senso più alto
l’amato padrone l’amico eccellente il vertice eretto
nel pianoro del petto. Mi ascolti?
Se non me
cos’è che ascolti?
(La voce che indaga se stessa)
Cerco,
non so, di sentire
rottami di suoni
balbuzie dal fondo
della mia dimenticanza
(La ragione che incalza)
No menti.
Non saprai di farlo ma menti:
tu è di fuori che ascolti
e non di dentro.
Ascolti cose concrete
e le temi feroci.
A dirmelo è il tuo orecchio
che scava nella notte
(La voce che si difende)
Va in cerca di bisbigli.
Sei tu
che parli sottovoce
(La ragione che incalza)
E tu perché
rispondendo fai altrettanto?
(La voce che si dà ragione)
Perché ti vedo competente.
Sicché immagino
che ci sia d’aver paura
(La ragione che incalza)
Ma io lo faccio per prudenza:
evitarlo evitarlo
prima che avvenga
ciò che fa paura
(La voce che non capisce)
E ad esempio cosa?
Che arrivi qualcuno per fracassarti il cranio?
(La ragione che non spiega)
Sì, ad esempio. Meglio evitarlo
(Un altro, che accetta)
Io invece ti dico:
lascia
che la paura mi stremi.
Lascia che m’abitui
a un’omelia mormorata
per carità lascia
che da me decida
se perseverare e come
e che intenda
ma sino in fondo e bene
se quanto è accaduto è davvero accaduto
e che essendo accaduto
non so dove mi spinga
(Un altro, che si ribella)
E io?
Che dovrei diversamente
da te o da voi decidermi a fare?
Perseverare in che?
Riprendo il tuo verbo, vedi:
perseverare
ma perseverare in che?
A sopportare questo dove e questo quando?
Debbo
o è solo ostinazione?
Immolarmi per cocciutaggine no grazie
(Un altro, o due altri ancora)
Parli come chi non sappia da che proviene.
Parli come se fino a ieri tu
non fossi stato te stesso
(Un altro, che non capendo teme)
No aspetta lui dice
immolarmi
ma che c’entra l’immolarsi?
O forse sai qualcosa?
Sa forse qualcosa?
Voi sapete se la sa? La sai?
Se la sai diccela.
Chi ti ha parlato? Chi minacciato?
Sei uscito a notte fonda? E in quale notte? In questa?
Sì per forza
se non in questa mai
difatti
eh sì difatti
prima di questa ancora
ogni altra notte era da lui abitata
e allora
la prima è questa in cui
non c’è più un capo tra noi né scudo né ragione
né più tra noi un migliore
né più l’immunità che ci veniva
dal dire: è vivo il nostro Re il complice il fratello!
E ora di lui sguarniti, come se questo
già non fosse abbastanza,
che forche in più si drizzano?
Forse il mondo ha cambiato argomenti
e ciò che all’ombra del principe fu detto
savaporato il suo corpo formicola di torti?
Sarà forse che lui morto
abbiamo smesso d’avere ragione?
(La ragione che trascende se stessa)
Il punto è
che non sarai più figlio
a meno che tu non creda
al tuo padre celeste come a quello terreno
(Quello che non caperndo teme)
Tu zitto
la parola immolarmi sta ancora sul tavolo
pesa
come il bicchiere affianco:
c’è
nessuno l’ha tolta
non parlatemi d’altro se non di questo
(Quello che si ribella)
Sì so
quello che immagino
e quello che immagino mi fa dire così
(Quello che teme)
Ti fa dire immolarmi?
(Quello che si ribella)
Sei un cane
che si senta percosso come veda un legno.
Eri così? Non credo
(Quello che teme)
Io come voi sapevo solo
che sarei morto dopo di lui. Adesso
la sua morte mi espone alla mia
come voi alle vostre e non v’importa?
(Quello che si ribella)
Se ho detto immolarmi
nell’immolarsi c’è volontà
scansa perciò quel che non vuoi
e non l’avrai
(Quello che teme)
Mi urta, se vuoi saperlo, fare
cose che solo io farei.
Intendo dire:
che solo io da solo.
Quel che mi tocca
non voglio sia a me solo
(La ragione che spiega)
Già troppe ne fai da solo:
addormentarti ad esempio
non lo fai da solo?
Prendi esempio da te
e ci riuscirai benissimo
(Qualcun altro ancora)
Un ottimo proclama
per pubblicizzare scismi
E la parola portò il silenzio: scismi
e ci guardammo stranamente negando
che guardarci divenne
un tenerci sott’occhio
poi a parlare chi fu? Forse io
No lui
fu lui
Oh sì quello che infatti
o io o te non ricordo chiamammo
quasi mai col suo nome
ma il Solutore
così era chiamato
Il Ri-
solutore
così era chiamato
ma solo da noi
o pure dagli altri?
Comunque
lui
(Il Risolutore)
A me pare che il mondo
sia già abbastanza spartito in appezzamenti
in schiere contro, in scuderie
in strette cerchie e in sanguinosi appalti
e che non da creature
sia fatta la specie
ma da congreghe
non v’è cenacolo
che non frutti sfrangiature e lembi
né consorzio
che non si sfasci in conventicole e in sottomicrocosmi
in formicai di formicai che albergano
nel bruscolo sospinto
in un qualche altro formicaio ancora.
Basta!
(Qualcuno)
Basta e allora?
(Il Risolutore)
Allora
essere uno per essere saldi
ed essere assieme per essere uno
come una è la notte
come questa è la notte
questa e non altre
assieme vi dico
e non spartiti non come
il mondo vermicando
fuori di qui procede.
Tra noi almeno diciamo:
se qualcuno decide
che lo faccia per tutti
(Un altro, che verrà chiamato l’Esecutore)
Se qualcuno
qualcuno chi?
(Il Risolutore)
A me deciderlo?
Allora tu
(L’Esecutore)
Cioè
che dovrei essere o fare adesso io?
(Il risolutore)
In qualche modo lui
(Qualcuno, tra il mormorio)
Lui il Re? Essere lui?
(Il Risolutore)
In qualche modo
per dirla più misuratamente il suo
esecutore testamentario
(L’Esecutore)
Chi mi dà questo potere?
(Il Risolutore)
Io
(L’esecutore)
E a te di darmelo?
(Il Risolutore)
L’obbligo dei tempi
E di qui tutto iniziò a farsi
assai molto più concreto e materiale.
E molto più visibile
si fece anche la caverna in cui stavamo
visibile la muffa e la striscia di calcina
visibile lo scuro e i vari gradi
di scuro nello scuro
le nostre facce dunque
e il tavolo col cibo
e quel bicchiere che è stato già citato e dal pertugio
del telaio scorticato il nodo di un ulivo
e fisso come
nella creta del cielo visibile fu un lampo
che non durò quanto dovrebbe durare un lampo
ma per la notte intera come
una vena di marmo istoriata nel marmo.
A meno che
non sia stata quella notte a durare
l’attimo appena che dura un lampo
(L’Esecutore)
Attenzione però
qui si rischia eresia
lui ci dice
l’avete sentito
d’avere il potere
di darmi potere
tal quale
il nostro Rabbi il Principe il Sire diceva
del suo potere come un compito datogli
dal genitore celeste.
Io perciò ne diffido.
Chi saresti
per non mischiarti in diretta alla nostra assemblea
decretando: fa’ tu?
Una creatura dell’alto che tra noi non discende?
Il padre del padre? Chi?
(Il Risolutore)
Solo uno che almeno
ha il coraggio di esporsi
(L’Esecutore)
Non ci sto.
Questo è un gioco sbagliato.
Col potere che mi dai te ne prendi
uno molto più grande.
E a chi poi di levartelo?
(Il Risolutore)
Col potere che ti do tu potrai conferirtene
uno ancora più grande del mio.
Se ti va fallo pure.
E di qui tutto iniziò a farsi
assai molto più concreto e materiale.
E sempre di più assai più
concreto e materiale.
Più materiale il tavolo e il bicchiere
e sempre di più le facce e il lampo
e le parole contro e l’aria fredda
e l’ulivo la muffa e la calcina
(Qualcuno, a nome di tutti)
Accetta
a noi non dispiace
(L’Esecutore)
Non vi dispiace cosa?
La sua astuzia? Attenzione
c’è un perché che può farsi
incandescente in quel che dice
(Qualcun altro ancora)
Ma se hai risposto da te ai tuoi dubbi:
è vero ti ha scelto
perché sapeva forse che tu mai
avresti preteso dal tuo poter avere
più di quanto fosse tuo diritto avere.
Io stesso non so
se avrei fatto altrettanto
(Qualcun altro ancora)
Ma sì non capisci?
E’ proprio perché di lui diffidi
che lui ha risolto per te.
Non è stato perciò astuto
ma capace
(Qualcun altro ancora)
Ma sì hai il nostro beneplacito
non confutargli
perciò il potere di darti potere: ci serve
(Qualcun altro ancora)
Toglici
dalla gola il boccone che la intoppa
dicci
che fare
dì
che avrebbe voluto il morto
(L’Esecutore)
Innanzitutto allora
che riprendiate a nominarlo
(Uno fra tutti cauto)
Piano però
(L’Esecutore)
Piano quanto?
(Il cauto)
Più piano perlomeno
del vento di fuori
(L’Esecutore)
Che è un vento che quasi non si sente
(Una donna)
Vento
lento e potente
ma filato di sangue
non lo si sente
ma lo si vede
Parole queste
della Prima Nunziatrice
che dicendo quel che disse entrò fra noi
e si mostrò
zuppa e macchiata
di quel che diceva
(Prima Nunziatrice)
Questo che ho addosso e che m’insudicia
questo sangue qui ad esempio
è il vento di fuori:
pervasivo e convincente non vi pare?
Pervasivo e convincente
o non basto a convincervi io
mostrandovi me stessa come sono?
Non basto?
A te no?
A te nemmeno?
Uscite
e vi ci avvoltolate dentro
(Il più vicino)
Se è dal camposanto che provieni
sarà di lì che ti porti questo sangue appresso
(Prima Nunziatrice)
Il sangue dei morti è coagulato
il sangue dei morti
sta fermo sul corpo a cui appartiene
(Uno dietro agli altri)
E il nostro, di morto,
lo hai visto?
(Prima Nunziatrice)
Sì
nascostissima
ma ho potuto vederlo
(Un altro ancora)
Si dice che torni
(Prima Nunziatrice)
L’ho visto bianco come un’arida piuma.
Incistarsi nel suolo.
Tra le faglie della terra ostile.
Le zolle ho visto divaricarsi.
E poi imbalsamarsi.
Cedevoli al peso dei suoi fianchi tellurici.
Una vite che impianti radici nel gesso.
No, è un’idea che cancello, potrebbe ingannarvi.
La radice sommuove se stessa lui no.
Era un pane compatto il suo corpo.
Sdraiato sul mondo.
Disanimato.
Ampio.
Lungo.
Lunghissimo.
Sopprimeva la volta terrestre.
Il suo unico atto una stasi assoluta.
E l’ho ammirato ancora.
Talmente tanto da interrompere il pianto.
Aveva la beltà di una statua a se stesso.
Col suo cranio di taglio alla terra.
Di capitano.
E la scocca del setto.
Si incuneava tra il vallo dei monti.
Io l’ho vista con sguardo radente da dietro qualcosa.
Nascosta.
L’orizzonte, lui steso, ne fu permutato.
Un’erta.
Ossea.
Alta e forte.
Non sto a dirvi se quieta.
Alta e forte.
Il suo profilo suturava due roccioni lontani.
E a onde alludeva che esprimevano il mare.
Fu solo visione.
Ma piena.
Esaustiva.
I suoi capelli grondaie del sangue.
Gli ematomi massicci.
I suoi paterni bicipiti.
Gli occhi spenti dalla palpebra tesa.
Prominenti.
Vuoti sotto la palpebra piena.
La carne diffusa.
Il torace.
Le viscere svolte.
L’addome appassito.
I malleoli fini.
I piedi vasti.
Inutili.
Erti.
Offerti.
Come offerto era lui.
A loro o a noi mi domando.
A loro o a noi?
E realizzai che me ne stavo nascosta.
Guardai me, non più lui.
Le leccate del vento.
Gli sbaffi sangugni.
Su di me non su lui.
E fuori di lui mi son vista così.
Una parte del mondo.
Come sono, così.
Mi stava il mondo addosso.
Sicché il vento, ho capito, sta sparpagliando il mondo.
L’intero mondo.
Eccetto lui.
E il vedere me stessa m’ha impaurito.
Il vedere me stessa non lui.
Perciò eccomi.
Non sono meglio di voi.
Di voi intanati.
Però l’ho visto
(Chi vuole fronteggiarla)
Morto.
Dunque
non più di noi l’hai visto.
Io l’ho visto morire
(Chi vuole interrogarla)
Ma si dice che torni.
Tu che dici d’averlo visto, dicci:
che era?
La forma o il sembiante o il velario
di qualcuno che possa tornare?
(Chi le va addosso)
E allora?
(Chi le va addosso)
Su dì.
(Chi le va addosso)
Che hai? Non puoi?
(Chi le va addosso)
Lo sai o no?
(Chi le va addosso)
Dicci solo che pensi.
(Chi le va addosso)
Solo almeno
che ti è sembrato.
(Prima Nunziatrice)
Mi spiace.
La mia visione
non ha opinioni
(Chi davvero vuol sapere)
Ma dunque perlomeno
pur avendolo visto non dici di no
e che dunque può essere
(Prima Nunziatrice)
Come che crolli il cielo.
Il cielo esiste
e dunque può crollare.
Io la sua salma ho visto.
Una salma che possa tornare
ah quella senz’altro c’è
(Chi non vuole farsi offendere)
Lo dici per sorridere
o per ridere di noi?
(Prima Nunziatrice)
Ho solo detto una cosa logica.
Ogni miracolo pretende logica
(Chi la sdegna)
Che scherzo cretino
(Prima Nunziatrice)
E’ vero invece.
Poiché il mondo non è logico
e il mio abito non è logico
e il vento che l’ha imbrattato ancora meno
e poiché
tutte queste cose illogiche sono la realtà
la logica
è d’ogni miracolo la logica premessa.
Insomma io credo
che sì:
io credo che
secondo logica
lui possa tornare
(Qualcuno)
Ma di segni ne hai visti?
(Prima Nunziatrice)
Sì, ad esempio
il suo essere ben altro dal panorama attorno.
Il che è principio di movimento
(Qualcun altro)
Ma dì meglio:
fuori di qui che avviene?
Si parla di noi?
Ci stanno cercando?
(Qualcun altro)
E ti hanno seguita? Hai lasciato tracce?
(Qualcun altro)
Che minacciano?
Processi
o già sentenze emesse?
(Qualcun altro)
Allora?
(Qualcun altro)
Allora?
(Qualcun altro)
Allora?
(Prima Nunziatrice)
Fatevi guardare bene uno per
uno.
Avete assommato domanda a domande:
la prima aveva un senso ma le altre?
Di che avete più paura:
di quelli fuori o che ritorni il morto?
(Chi ricorda)
La nostra paura non è una colpa.
O
se a te piace la logica
è una paura logica.
Chi sconfigge la morte spaventa chi vive,
e di lui già si diceva
che fosse la resurrezione di qualcun altro
e fra noi
c’è chi non stenta a crederlo
(Qualcuno, che verrà chiamato il Propalatore)
A dirlo ero io
e perciò mi chiamaste
il propalatore di storie
ma vi dissi
solo quello che per molti era certezza:
che il suo tempo venisse di lontano:
questo,
e che le sue origini ne precedessero la nascita.
Ma forse era solo propaganda avversa:
per leggere i suoi gesti come gesti non suoi
e le sue imprese come cose usurpate
sennonché
il dittatore della mia regione
fu perciò che lo volle bandito: diceva:
Lui è la spoglia di un altro che ho già messo a morte.
E quell’altro voi sapete chi fosse:
a propria volta un capo
un redivivo
un lettore dei tempi un profeta
che annunciò dell’altro l’avvento, di lui, il nostro capo.
Curioso sarebbe
se la sua profezia fosse stata un predire se stesso
(Uno)
Lo dici adesso
che non credevi a ciò che riferivi
(Il Propalatore)
Non era danno crederlo
né viltà diffidarne
(Uno)
Ah
(Il Propalatore)
Io lo vedevo enorme.
Per me è possibile
che egli fosse il compendio di più cuori
(Uno)
Ah
(Il Propalatore)
Ora so
cos’è che mi spaventa:
che mi giudichi
per quel che provo in questa notte qui.
Perché vorrei fuggire.
Non lo faccio ma vorrei
e lo vedrebbe.
Non lo faccio
perché non posso ma
se potessi non so se lo
farei.
Cioè
chi mi dice
che se potessi non lo farei?
Lo farei.
Sto qui
ma perché fuori di qui
è assai peggio di qui.
Guardate l’abito di quella donna.
(Uno)
E chi ti dice
che lui verrebbe per giudicarti?
(Il Propalatore)
Me lo dice il fatto
che è nato giudice.
Che il suo messaggio
proviene dalle Leggi .
E che pensando giudica
e che parlando
legifera
E una seconda Nunzia
frantumò il dibattito
divaricando l’ombra
e annichilendo l’uscio
con la fronte spoglia
e con becchime
di terra fra i capelli
(Il primo che s’accorge)
Guardate l’abito
di questa invece che sta entrando adesso:
perché è più chiaro?
Sangue ce n’è
ma molto meno
Dopo il suo ingresso
la donna infuse
l’aria tra noi di cose lente.
Per iniziare fu
un apparire lento
della figura intera
di tutto ciò che era,
poi
fu lento l’accostarlesi
e lento il suo scostarsi
e lento il domandarle
e poi il di lei parlare
lento il pallore
sul volto dell’altra apparso
e lento il labbro
d’uno di noi di quello
che la indagò per primo
(Chi le va incontro)
Hai visto cosa?
E quel che hai visto
l’hai visto dove?
(Seconda Nunziatrice)
Stavo con lei, lo sa
(Prima Nunziatrice)
Denunziami pure.
Denunzia la mia fuga.
Già da me la sanno
(Seconda Nunziatrice)
Io denunzio la mia.
Beata l’ultima
di noi piuttosto:
beata l’ultima
che presso di lui è rimasta.
Io denunzio la mia.
Son venuta a mostrarmi.
Il sangue che ho addosso non è sangue
che m’abbia sporcato venendo ma l’inverso:
è quel che resta
del sangue lavato.
La mia veste era altrettanto e più lurida di quella
eppure
correndo a ritroso l’ho vista sbiancarsi
purgarsi
sperdere
i germi del flagello
detersa
quasi come da striglie asperse
senza peso nell’aria.
Son fuggita dal morto
nunziatrice di lui
e per aggiungermi in coro
a lei, la precedente,
e a quello che vi ha detto
invece
invece
invece no
l’argomento non regge
vedete
vedete
io son quasi pulita
correvo impeciata
dal cordoglio che nei panni
di quella ancora strepita
e intanto
in me operava
starei per dire
un annuncio di cura.
Ah che notte veloce:
le cose cambiano
come l’erba che cresce
ma tutto è fulmine tutto è lampo
le cose cambiano
da un istante all’altro
per quanto fermi
noi adesso si stia
per quanto nulla avvenga
questa è una notte
che è di per sé veloce
le cose cambiano
che lo si voglia o no
per quanto fermi
noi adesso si stia
che lo si voglia o no
e lì di fuori
già nulla più era
di quando lei è arrivata
e già non più
di come quando sono arrivata io.
Ognuno di voi adesso
perciò legga a suo piacere
le cose come stanno.
La mia veste è in un modo
la sua in un altro
E venne su il più ardito
non a caso
fra tutti noi il più incredulo
a dire muto col semplice suo passo
che basta
che era tempo di vedere
che era tempo di sapere
che era tempo insomma d’essere
convinti ma sul serio
convinti finalmente da qualcosa.
Si introdusse
perciò nel taglio d’ombra
del soglio e uscì di fuori
Lì.
Fuori.
Noi
lo seguimmo con lo sguardo
con cui si omaggiano i defunti.
Il cenacolo
pur se incompleto non permutò natura
e perdurò
in silenzio nell’attesa
d’una prossima attesa.
Per molto però noialtri
pensammo assai più a lui,
al fuoriuscito,
che al nostro capitano
trucidato sul monte.
Chissà, mi domandai,
perché
e
me lo domandai ben certo
che ognuno lì dentro
pensasse lo stesso.
Chissà
cos’è che impone questa tregua alle esequie?
E non potei non potemmo
distrarci da quello
dal rivederlo
alzarsi e uscire
alzarsi e uscire
alzarsi e uscire
mille volte ripetere
quell’alzarsi ed uscire.
Partecipai in angoscia
al suo starsene fuori:
nella tetra
mandibola:
così pensai:
nella tetra
mandibola, e dissi grazie
alla mia cautela che tanto rischio
mi indusse contrito
a immaginarlo appena.
E a quel punto il mio grazie
s’accorpò taciturno
pure a quello degli altri.
Miserabile coro:
neanche l’aria lo intese.
Inchiavardato
nei recessi dei crani
di lì muggiva.
Nessuno
di noi che lo svelasse
ma ognuno
di noi che lo sapeva
mentre uno
di noi là fuori
se lo mangiava il buio.
Poi
tutto fu franto:
fu franto quando
entrò la terza.
Delle tre donne l’ultima.
Lunare e intatta.
I suoi indumenti
parevano consunti dalla luce
ardevano
come il suo viso enigmatico a esibirli
(Terza Nunziatrice)
Ho due testimoni:
lei
e lei
a confermarvi
che non ero così
non così come
a braccia spalancate appaio
valanga chiara
di stoffe immacolate.
Tu
e tu:
diteglielo
che a vedermi ero
inzzuppata d’incubo
come e più
di te
e di te
ditelo
quanto sia vero
che qualcosa dev’essere accaduto.
E poiché
misteriosisima vi dico:
qualsiasi cosa sia questo qualcosa
mi spaventa più dell’incubo.
Non è strano.
Quando il benessere
è per noi un arcano
non mi stupisco se gli uomini
preferiscono l’orrore
(Forse il più spaventato, forse il più coraggioso)
Nessun orrore:
nominiamolo
nominiamolo ancora:
lui
nominiamolo.
Solo questo
è quello che ci serve:
nominarlo.
Nominiamolo
(Un altro)
Nominiamolo
(Un altro)
Nominiamolo
(Un altro)
Nominiamolo
Lo facemmo
oh sì
ma ciascuno per sé
non insieme
dunque
quasi
non lo facemmo affatto.
A volte pregare
è la forma che assume
la viltà del non dire
Sbalorditiva
fu quella notte che molte ne contenne
senza valichi mostrare
dall’una all’altra,
sbalorditiva
fu quella notte
ignara di trapassi
nonché di soglie
apparenti a segmentarla
nelle molteplici altre notti
che le fecero da membra,
sbalorditiva
fu quella notte Idra
dalla plurime testa
e che
nel ventre ruminò
tramonti e aurore
contemplando
giorni sinanche:
giorni
di pieno e puro
normalissimo sole
Per noi fu solo
una compatta notte
un’inflessibile
sbarra di tempo
senza cedimenti
(Chi va alla finestra, chi indaga la notte)
Non tornerà
non tornerà più
anzi
nessuno dei due:
né lui
né quello di noi che è uscito.
Nessuno dei due
non più.
La finestra lo dice.
Già solo a guardar fuori
la vista declina
e qualcosa nel corpo è trafugato
rapinato e perso.
Il mio sguardo di adesso ad esempio:
sbranato.
E mi provassi a sporgere la mano
credete per caso
che potrei riaverla?
No.
Lì fuori è il pascolo del detrimento.
Il vento macina e l’aria ingoia.
Questa notte, vi dico, è un pescecane:
ciò che ha
non lo dà,
né seppure
impropriamente avuto
lo ridarà giammai.
Ascoltate la prima
delle donne e non le altre.
Tanto meno l’ultima
che la sua immagine ci offre
come l’asserto più radicale:
Vedete, ci dice,
la mia veste è emenadata e dunque
la profezia ha un senso.
Ma è troppo poco.
La prima
la prima piuttosto.
La prima dice
quasi per scherzo che potrà tornare
le altre invece no.
Senza dirlo chiaramente ostentano
chissà che trucco da quattro soldi
e ci credono sul serio.
Vorrei pur io
ma sarà meglio
credere al peggio
se il mondo fuori
è al peggio che s’adegua.
A far l’opposto
esiliati saremmo
dal mondo e dal reale.
E non è questo
non è questo
che lui vorrebbe.
Le tombe non si frangono
la terra
ha cuciture strette
e non al mondo
v’è mano per slacciarle
i sepolcri
son pietra impastata
di pietra
tanto dentro che fuori
e dalla pietra
che altro sorgerebbe se non pietra
pietra
pietra?
(La fede che parla)
Allora di pietra
ma tornerà
se sulla pietra
così ha detto
il suo avvento ha calato radici e il suo riavvento
maturerà la pianta
(La fede che giudica se stessa)
Eufemismi
e giochi di parole.
Meglio credere
alle più dure fra le cose che ha detto
(La fede che accetta se stessa)
E allora sia:
per me che torni
è un annuncio fra i più duri.
Un cadavere
un cadavere che emerga a imporre
un faccia faccia a chi gli sopravvive
vi sembra morbida
come realtà? Vi sembra lieve
come rimprovero?
(La fede che immagina)
Nel caso verrebbe
non contro di noi però,
ma ad aumentare i suoi dettati io penso
(Uno)
O forse solo
per dirci che può farlo
(Un altro)
O forse solo
per non lasciarci soli
(Un altro)
O forse per indurci
a un sacrificio estremo
(Un altro)
O forse per chiarire
ciò che è ancora oscuro
(L’Esecutore)
O forse o forse o forse
Che mira sbagliata a tutti questi ‘o forse’
(Uno o più d’uno, che davvero non sanno)
Hai qualcosa di più?
Punti di vista?
O meglio ancora punti fermi?
Te li abbiam chiesti. Avanti
E lui zitto
(Uno)
Avanti
E lui zitto
(Uno)
Se hai qualcosa da dire dilla
E lui zitto
(Uno)
Se da proporla proponi
E lui zitto
Sì, zitto però
non fermo:
taceva
ma ingombro
pervaso
sul punto
di rompere l’argine e irrompere
con un discorso pieno
(Il risolutore)
T’ho assegnato un incarico
hai protestato ma senza ricusarlo.
Perlomeno
non sino in fondo. Allora assolvilo
E all’istante avvertimmo
in un breve brevissimo
preludio di silenzio
che stava per prodursi
una parola esatta
una parola
del tutto necessaria
e a quelle di Lui, del Re, sorella:
ardua forse
ma rediviva
Ispirata:
è questo che intendi? Ispirata?
Come un odore
che ci colga distratti e all’improvviso
sfasci l’attimo in cui siamo riavverando
un chissà quando che si rifà presente
(L’esecutore)
Per il titolo che ho avuto
e per il diritto-dovere che comporta
sì
mi intrometto a invocare
non ciò che penso ma ciò che si dovrebbe.
E poiché il nostro illazionare
su quello che avverrà non cambierà le cose,
mettiamola su un piano
un po’ più semplice banale
e alla fin fine più concreto, più
politico quasi, ossia
mettiamola così:
al punto in cui ora siamo
di quel che per certo abbiamo
che farne?
Delle sue cose dette:
che farne?
Delle certezze
che già ci sono date
e del progetto
di cui siam fatti vasi:
che farne?
E dell’annuncio
d’un tempo nuovo
in cui il vecchio è declinato:
che farne?
Dell’annuncio
d’un tempo lineare e non più a cerchio
d’un tempo
che abbia soluzione
e dritto come freccia
e svolto come un nastro:
che farne?
E d’una storia
non più imbastita di curve e di ritorni:
che farne?
E dell’idea
che ogni gesto ogni cenno ogni vita
ogni corpo e ogni parte
d’ogni singolo corpo
non è ripetibile:
che farne?
E del sapere
che ogni individuo
è unico e solo:
che farne?
E che ogni gesto ogni cenno ogni vita
in sempiterno trasmuta
ma giammai
in se stesso
né mai
in se stessa:
che farne?
E che ‘in sempiterno’ vuol dire:
non oltre il culmine di quella linea retta,
e del sapere
che all’acme estinguerà ogni alterco e dalla disputa
ne sortirà elezione:
che farne?
E che a catena
si tirano le maglie
d’una vicenda ben tesa
in attesa
del dono promesso:
che farne?
Della Grazia:
che farne?
Del percorso
a cui siam stati persuasi:
che farne?
E del sapere
che il ‘lì’ dell’avvio
non fu che avvertenza
di un altro ‘liggiù’
che è il ‘lì’ dell’arrivo:
che farne?
Oh guardatemi...
spalanco le braccia per dire
con fare ostensivo
“l’ideologia
ricordatevi è questa”
e che ne viene, vedete...
un ritratto storpiato
della parola in croce.
Se sia un buon segno
io proprio non lo so
ma il mio consiglio è
approfittiamo di tutto anche di questo.
Insomma
voi m’avete voluto
esecutore del capo
e postumo
alter ego del Re,
luogotenente
d’un comandante ucciso,
ebbene
lo sarò
perciò vi esorto a votare
dentro di voi e tra voi
circa il nodo focale che avvince il presente
e che
a mio parere è questo:
dovremo dunque,
che sia oggi o domani non importa,
uscire fuori
e lì di fuori agire
come fosse ogni creatura
espansione di noi stessi oppure
in noi ricoverare e in noi trovare
la moltitudine terrestre da tradurre in stuolo
in consorzio
in accolita
e infine in
ecclesia?
Dentro
o fuori
dentro
o fuori
dentro
o
fuori:
il nodo focale è questo.
E il testamento ci dice
che non nella risposta è il lascito
ma nel quesito
(La questione)
Votare dici
ma come?
Tutti a nome di tutti?
O ciascuno per sé?
O i più di noi imponendo
il loro voto a tutti gli altri?
(La questione)
Dovremo forse prima
mettere ai voti su come poi votare
(L’Esecutore)
L’indecisione di molti è analoga
a quella d’una testa sola.
Purché quei molti siano
una compatta cosa.
L’indecisione
può essere che unisca
(Uno)
Io esco
(Uno)
Io no
(Uno)
Io non ora
(Uno)
Non lo so
(Uno)
Non lo so
(Uno)
Non lo so
Sbalorditiva
fu quella notte che molte ne contenne
e giorni sinanche:
giorni
di pieno e puro
normalissimo sole
Per noi fu solo
una compatta notte
un’inflessibile
sbarra di tempo
senza cedimenti
(La questione)
Bene è votato, la maggioranza
così si è espressa:
non lo so
(La questione)
La maggioranza non vuol dire tutti
(La questione)
Ne abbiamo ancora per molto?
Discuteremo per quanto
di come si legifera e di come
nascano le Leggi?
D’una cosa che debba
riuscire a nascere prima di se stessa.
E’ una disputa scema
(La questione)
Indispensabile invece.
Non un passo, lo sai,
ci è consentito se non sorretto
dal terrapieno delle Leggi
(La questione)
E le sue?
Già le abbiamo, e dunque?
(La questione)
Son mute
se non saranno da noi redatte
(La questione)
E io dico
che a redigerle
basterà ridirle.
Dappertutto
e a tutti
(La questione)
Perlomeno è una risposta:
sicché tu dici:
diffondiamo diffondiamo
(La questione)
Dico: dovremo
ramificarci altrove
(La questione)
Per me lui dice:
fuggiamo fuggiamo
(La questione)
No io dico: predichiamo
(La questione)
E io no, l’inverso.
Auscultarsi auscultarsi:
per me il codice è questo
(La questione)
Come dire:
rimaniamo nascosti
(La questione)
Come dire
ricoveriamo in noi
(La questione)
Come dire imboscarsi
(La questione)
Sì, se tu parli
malevolmente.
Così come con malizia
d’un corpo in crescita
puoi dire che invecchi
(Terza Nunziatrice)
Fate in fretta però!
Qualsiasi cosa ma in fretta!
Sta per entrare vi dico!
Sta per entrare
qui dentro il mondo.
Per quanto vogliate non darci ascolto
già è
già è:
quel che diciamo
già è.
Schiodate i cardini
estirpate quegli stipiti
aprite varchi
alla visione che volete
a tutti i costi vietare
e che già
è
già è
nei fatti che sono.
I suoi passi
sono la pialla che leviga
dalle cose il superfluo
il catrame
il bitume
e dalle pelli le croste
di fango e di sangue.
Questo sangue, vedete:
che non
c’è più
ma che c’era.
Questo che era
come quello
spalmato su lei.
O come quello sull’altra
che ancora residua.
O non è vero?
Ce n’è?
Ne vedete?
O forse dite: Non ce n’è mai stato?
E sarò cosa?
Una bugiarda?
Se non bugiarda che?
Io che?
Chi pensate ch’io sia?
E di che irrobustita?
Una pre-
stigiatrice?
Chi?
E questo?
E la mia veste?
Che sarebbe?
Un ferro del mestiere?
Eppure
sino a ieri sapevate chi fossi
e mi usavate il riguardo
di chiamarmi per nome.
I suoi passi
vi dico
triturano il mondo
lo dissestano e lo smistano
lo smontano e rifanno
e qui
proprio qui
ve lo stanno portando
quel mondo
che con lui si solleva
quel mondo
che più da nulla dev’essere predetto
non certo da me
poiché già
è
e poiché in marcia
da liggiù sino a qui
perciò dico:
fate in fretta fate in fretta
elaborate un consenso, qualcosa
che ci faccia capaci
di dargli accoglienza
(La ragione che suggerisce)
Spegni la voce
spegni la voce mia cara smorza il fiato
e abbi fiducia lo stiamo facendo:
chiarire la domanda
è questo il punto.
Metti caso che venga
sapremo che dirgli
(Chi si porta le mani alle orecchie)
Ma non verrà non verrà
(Seconda Nunziatrice)
Tu gridi quello che speri.
E’ possibile invece.
Che sia possibile
ne sono io la prova
(Prima Nunziatrice)
E non io la certezza.
Per me dico può essere
non più che può essere
ma senza nulla che m’induca a crederlo
(Terza Nunziatrice)
La certezza è che lui
il veniente
il ritornante
non sosterà sull’uscio.
La certezza è che lui
non avrà esitazioni e come un sorso d’aria
risucchiato dal vuoto che lo chiama
entrerà qui tanto sveltamente
che riaverlo tra voi
sarà d’un lampo ovvio
(Chi non vuole smarrirsi)
Ne stiamo parlando come
se il suo potere ci fosse nemico
(Terza Nunziatrice)
Ne state parlando come
se il suo non più potere
vi fosse sopportabile
se non addirittura preferibile
se non grato
se non amico
se non
finalmente
QUEL CHE VOLEVATE
(Alcuni)
Ma a chi è che parli?
E’ a noi che parli?
(Seconda Nunziatrice)
E a noi?
(Prima Nunziatrice)
E a me?
(Terza Nunziatrce)
A loro
a voi,
e a te.
E a me.
Parlo
alla vostra stanchezza a cui
ammettetelo
la sua morte ha dato infine
pausa.
E non la vorreste adesso lunga questa pausa?
Non lo vorremmo tutti?
Me compresa.
Troppo trainati
eravamo dal tirante
del suo passo inalterabile
della sua marcia impersuadibile.
Ma chi eravamo? Chi eravamo?
Noi che mai
abbiamo smesso d’essere
solo e sempre
noi:
nati campioni
di cedevolezza
e che d’un subito fummo
tradotti in frecce
in proiettili
in macroscopico slancio.
Quante volte e quanto
ci è piaciuto d’essere
creature esagerate,
essere coltre
velluto delle cime
noi che eravamo
muschio del cortile!
Essere roccia
noi che eravamo
pietrisco dell’aia!
E quanto in verità
ci è cara l’idea che sia finita
e quanto
ci peserebbe che non lo fosse affatto!
E quanto invece
che non lo fosse più!
Dover di nuovo
tornare micidiali
dover tornare
un’altra volta in guerra.
Rovistiamoci dentro
uno per uno
me compresa:
è questa
la risposta da darci
è questo
il saluto con cui
riaccoglierlo qui.
Poiché
ve lo ripeto
la cosa ci tocca
(Chi sprezza, poiché non vuole riconoscersi)
Ma la sentite?
Non mi sorprende.
A qualcuno toccava, ne ero certo, di offenderci così.
L’ha fatto lei.
E di offendersi così: di offendersi così.
Io non ho un bel nulla da rovistare dentro di me, un bel nulla
ma a qualcuno toccava, l’avrei giurato,
di mettere nel conto delle ipotesi
che il nostro sgomento, umanissimo peraltro,
potesse interpretarsi addirittura
sotto forma d’infamia e voltafaccia. Lo sapevo:
la smania del cilicio è troppo forte
ed eccoci dunque pure noi approdare
all’afflizione dell’autoaccusa. No, non ci sto.
Che lui torni
lo aspetto
lo aspetto e lo voglio
i suoi prodigi non li ho mai temuti
(Terza Nunziatrice)
Bene per te
che se hai risolto il tuo problema non per questo
lo hai risolto negli altri né tantomeno in me
(Alla finestra)
Ma quello che è andato
perché non torna più?
E’ molto che è uscito
perché non torna più?
(Uno)
Di fuori è il deserto
(Uno)
Un silenzio che scanna
(Uno)
Solo ombre che succhiano
(Uno)
Questo silenzio è un suono
(Uno)
Questo silenzio è un rombo
(Uno)
E questo niente è denso
(Uno)
Questo vuoto pesa
(Uno)
Non vedo spazi
per strade di ritorno
(Uno)
Chiamatelo
(Uno)
E come?
Chiamarlo
vorrà dire chiamarli
(Uno)
Vorrà dire rischiare. Rischiamo
(Uno)
Tu che lo proponi, fallo
(Uno)
Sì, fallo
(Uno)
Chiamalo
(Uno)
Rischia
(Uno)
Affacciati e chiamalo
(Uno)
Va’ sulla porta e chiamalo
(Uno)
Chiamalo
(Uno)
Chiamalo
(Uno)
Chiamalo
Ma non lo fece
nessuno lo fece.
Così di nuovo
riprese a spaventarci
quel che era logico potesse farlo:
l’idea che fuori
si affilassero zanne
ma zanne sul serio
zanne che fossero
contro di noi affilate: questo
riprese a spaventarci
logicamente questo
e non piuttosto
che lì di fuori
lì di fuori
maturassero astrazioni
tipo miracoli
di tombe scoperchiate
o l’avverarsi
di predizioni
resurrezioni
reincarnazioni
tipo emersioni
di volti tumefatti
di massacrate luci
di corpi che tornassero
tra noi per ammaestrarci
ingioiellati d’ulcere
Non più il meglio ma il peggio
riprese a spaventarci.
Logicamente questo
Pur se illogico è che
facilissimamente
ogni tempo resista
alle insidie del bene.
(Prima Nunziatrice)
Pazzi.
O se più miseri che pazzi, non lo so.
Sarà forse perché abitate
tra mura stritolanti,
sarà che i loculi
in cui giacete si son fatti stampo
del vostro ragionare,
sarà sarà non so
ma non vedete?
Avete corazze di paglia secca
e scheletri di burro
e bicipiti impastati
coi grumi del pantano, eppure
vi aizzate contro
a strinarvi le budella
come pollame invelenito
con piglio da titani e sfoderando
armi che non avete
e che mai
mai
avrete.
Se lui tornasse, con voi dovrebbe
riniziare da zero.
E innnazitutto con lo spiegarvi
che i vostri ferri son metaforici,
come lo è stata
la sua parola sempre
(Chi già l’ha affrontata)
Questo lo dici per insegnarci che?
(Prima Nunziatrice)
Che il morto che ho visto
non minaccia contagio.
A meno che
voi non cresciate.
Enormemente però,
smisuratamente
da potersi di noi dire:
‘Guardateli:
provengono da lui.
E’ evidentissimo:
provengono da lui’
Allora sì che chi l’ha ucciso
vorrà uccidere anche voi.
E chi lo ha amato
similmente amerà voi.
E noi con voi.
Ma adesso a parte
il riconoscervi d’averlo conosciuto
nessuno di più farebbe.
Né tantomeno io.
Se crescerete
allora sì
allora forse.
Ma farlo dovrete
sconfinatamente.
Dissennatamente.
E questo non credo che avverrà stanotte.
Io ho visto
un cadavere solo
inchiodato nei tempi: il suo.
Delle sue spoglie
il camposanto s’è fatto gonfio.
Ogni sarcofago pullula di lui
e il sottoterra è invaso
dal dipanarsi della sua estinzione.
Non c’è più luogo
per altri morti in questa notte qui.
Perciò
millimetrate con cura la vostra indegnità,
tenetela ben cara
e auspicatene molta a garanzia
che assai poco di lui in voi si mostri,
dopodiché
potrete stare calmi
e qualsiasi cosa decidiate
fatela pure
perfettamente calmi.
Chi vuol fuggire fugga
fingendo di farlo per diffondere il suo nome,
e chi starsene intanato si inabissi
dicendo che lo fa per delibarlo in sé.
Non meritate
questo momento qui
non meritate
il sangue che vi porto
(Chi già l’ha affrontata)
Neanche a te però
è dispiaciuto di trovare il tuo rifugio:
hai un tetto sulla testa e
fuori non ci torni.
Come mai?
(Prima nunziatrice)
Perché non cerco compensi alla mia vita
(Chi già l’ha affrontata)
E come mai?
(Prima Nunziatrice)
Perché non credo che ne meriti
(Chi già l’ha affrontata)
Tutto qui?
(Prima Nunziatrice)
Banale?
Sì, lo è.
A me è accaduto di
testimoniarlo e basta.
So chi fu,
dacché ho vissuto quando ha vissuto lui.
Gli sono stata contemporanea e questo
rimane il meglio che mi sia
stato dato.
Altro non chiedo.
Né potrei.
Voi sì.
Io
solo so che
questo marciume
che m’è schiumato addosso
mi sarà veste e pagliericcio
di giorno ogni giorno
e di notte ogni notte.
Di più
il mio essergli vedova non può
(La ragione che usa)
Ma sì, lascetela in pace.
Contestarla a che serve?
A me andrebbe piuttosto
di capirla un po’ meglio
e se possibile
di utilizzarla, perché no
(Uno)
Cioè come?
(La ragione che usa)
Sa qualcosa e conosce dei trucchi
e quel che sa
non ce lo dice tutto
(Prima Nunziatrice)
Quel che so è squadernato
davanti ai vostri occhi.
Non una riga è nascosta
ma se la palpebra batte
all’occhio che scruta
qualcosa è taciuto
(Un altro)
Tu però
hai ripetuto che dovremmo crescere,
ma è quel che voglio,
e allora mi domando:
perché non pensi di aiutarci a farlo?
(Prima Nunziatrice)
Già fatto
se dici di volerlo
(Un altro ancora)
Lui solo?
(Un altro ancora)
E nessun altro?
(Un altro ancora)
E lui quanto?
(Un altro ancora)
E io no?
(Un altro ancora)
Non io?
(Un altro ancora)
Anch’io lo voglio
(Un altro ancora)
Anch’io
(Un altro ancora)
E se io no
pretendo spiegazioni
(Terza Nunziatrice)
Stupida
perché li distrai?
Quest’attesa gli serve
ed è talmente breve
(Prima Nunziatrice)
Perché è un’attesa che mi contempla
e io dovevo
aggiungervi me stessa
E rientrò
defilato
inavvertibile quasi
il fuoriuscito.
Incomprensibile fu
il non notarlo subito.
Io perlomeno
non ci badai affatto
E io neppure
Io neppure
Io neppure
Ma rientrò.
La accogliemmo
come una presenza ovvia.
Forse perché
rientrò vestito diversamente.
O così poi
ragionandone ci parve:
che avesse indosso
meno di prima e qualcosa d’altro.
Si mise fermo
in un angolo seduto.
Nulla dicendo
né ascoltandoci quasi.
Più che entrare non fece
mescolandosi a noi.
Non per nulla insistemmo
nel nostro titubare
Nell’accanirci pure
E finanche nel dirci:
ma quello che è uscito
come mai non torna?
Già:
con tutto che era lì, qualcuno
ancora diceva: come mai non torna?
(Qualcuno)
Come mai non torna?
E come mai, qualcuno disse,
anche lui adesso
stentiamo a nominarlo?
(Qualcuno)
E come mai
anche lui adesso
stentiamo a nominarlo?
Un altro rispose:
sarai tu non io
che stenti a farlo.
Mai l’ho avuto
il suo nome in confidenza
(Qualcun altro)
Sarai tu non io
che stenti a farlo.
Mai l’ho avuto
il suo nome in confidenza
(Qualcun altro)
Ma lo conosci.
Allora prova: chiamalo
(Qualcun altro)
Chiamalo tu
(Qualcun altro)
Perché rischiare? E’ inutile
(Qualcun altro)
Non forte. Non fuori
ma qui tra noi
su chiamalo
(Qualcun altro)
Sai che potrei
(Qualcun altro)
Io so
che non lo fai e basta
(Qualcun altro)
E tu?
(Qualcun altro)
E tu?
(Qualcun altro)
E tu?
Fu buffo apostrofarsi
così in quel modo
praticamente:
sputandosi addosso
Cenere cenere
dalla volta saldata
digradò su noi
e sulla rissa accesa
dei nostri cuori irti
come pruni di rovo
e d’un tratto offesi
da tanta collera
che l’uno all’altro avvinse
cenere cenere
essudò di dentro
le polpe grame
e nere arti
sembrò ci avessero
spirito e fede
scucchiaiato via
(Uno)
Voi impotenti,
voi che nessuno
sapete più
né riconoscere o dire
Cenere e cenere
a giudicarci scese
(Un altro)
Perché tu sì?
E come? E quando?
Mai t’ho sentito,
dacché è scomparso,
ammettere chi
per te lui fosse,
ma per davvero fosse
(Uno)
Il mio ‘leader’: lo dico.
Questo è stato e questo è.
E’. E’. E’.
Vuoi sentirmelo dire? Lo dico
(Un altro)
A me, ma a quelli
che l’hanno scannato:
dillo a loro. Potresti?
Cenere in cenere
sui nostri corpi piovve
(Uno)
Non c’è gesto in me
che non proclami chi fosse
(Un altro)
Non c’è gesto in te
che non t’inchiodi qui dentro
(Uno)
Né in te
che sia da lui abitato
Cenere a cenere
tra noi larve s’aggiunse
(Un altro ancora, che chiameremo ‘quello’)
Ma se voi siete
l’uno il peggio dell’altro
(Uno)
E tu di noi. Che vuoi?
Cenere cenere
quelle parole contro
(Quello)
Come che voglio?
Come che voglio?
Il mio volere
non t’è più noto?
Sino a stamane
non era il tuo?
E il tuo non era
uguale al mio?
Non era quello
da lui eccitato?
Per me è lo stesso
per te non so
(Uno)
Sei tu l’ignoto, non dire a me.
Esci dall’ombra scuotiti
e snuda i pugni, avanti
che i corpi siano
per una volta corpi!
(Quello)
O tabernacoli di voci:
ma questa forse
è un’idea che tu
non ti puoi più permettere
(Uno)
Una ne ho: la furia
che contro di te mi spinge
adesso e qui: contro
la tua codardia tradotta in eloquenza
Cenere cenere
su coltri di vergogna
(Terza Nunziatrice)
Non pace
non pace
non più pace perché?
Eppure vi dico:
questo oramai
è l’estremo del peggio
questo il valico
e noi ne siamo in cima
noi il discrimine:
qualcos’altro
sta sopravvenendo
qualcos’altro
cosa non so
ma un poco almeno
superate voi stessi
disponetevi
al riavvento che vedo,
al riavvento
per voi più preoccupante
che è riavvento,
vi dico, del meglio
(Uno)
Parole astratte: c’è chi crede
che il meglio sia morire
(Terza Nunziatrice)
Se così sia non so
ma può esserlo, è vero
e con lui vivo
perché l’accettavate?
E con lui morto
perché non più?
(Uno)
Perché lui morto ci dice
che la morte è morte
e nient’altro da sé
(Un altro)
Ha ragione: quel morto
ci parla assai chiaro,
quasi quanto da vivo: quel morto
che con la morte sta
e non le toglie nulla
(Un altro)
Ha ragione: quel morto
non è affatto silenzioso:
quel morto che proclama:
‘Fra le cose che ho detto
una almeno fu falsa
e fu quando vi dissi:
ritornerò’
(Un altro)
Ha ragione: quel morto
che dapertutto ormai effonde
ammissioni d’errore
e asserisce i suoi inganni
(Un altro)
Ha ragione: quel morto
che sin troppo insistendo
nel non essere vivo
quasi querulo appare
(Un altro)
Ha ragione: quel morto
che solo da inumato
ha infine elaborato
un punto esclamativo
(Prima Nunziatrice)
Come dire che, lui vivo,
nient’altro chiedevate
alla nostra ideologia:
di non morire più
di non morire mai
(Un altro)
Protezione:
sì, forse.
Gli chiedevamo questo
e questo ci ha promesso
(Terza Nunziatrice)
Mai sentita la richiesta
né ricordo la promessa
(Sempre colui che sfida)
Sei abilissima tu a farne
una disputa dialettica.
Io so bene
quel che volevo e so
quanto lui questo
lo sapesse e l’approvasse
(Un altro)
Ha ragione: il nostro capo
ha accondisceso sempre
alla sete che ci ha spinto
a seguirlo ovunque fosse
(Terza Nunziatrice)
Hai detto bene: sete
e aggiungi pure: fame.
Se non di pane e d’acqua,
di un pasto più sontuoso
ah, molto più sontuoso:
l’eternità,
e declinata in tutte le sue forme:
sopravvivenza qui
e prosecuzione in cielo.
Immortali nel ricordo
e al contempo nelle carni.
Immarcescibili nell’anima
e intatti nelle forme.
Siete accorsi alla sua voce
come a uno spaccio da ciarlatano.
Miserabili che siete,
tradotto avete
in unguento le sue invettive
e la sua rivolta in farmaco
di poco prezzo, e ora
la forza in cui vi strinse
voi la chiamate imbroglio
truffa e propaganda.
Voi increduli
voi inesatti
voi spiazzati dal tempo e dal destino
voi che foste e che siete,
nonostante quel che siete, gli insigniti
gli adottati i prediletti.
Presto, vi dico, presto:
superate voi stessi.
Riguadagnatevi il ruolo
già scoccato nel pieno
delle vostre esistenze e che adesso scansate.
Tornate antichi.
Retrocedete
da dove siete giunti
sino a dove siete nati
e come lei v’ha detto:
crescete. E’ a voi che tocca,
non più a lui. Siate capaci
d’essere gli orfani che siete
(Chi davvero vuol sapere)
Ma ammetterai che il nostro dubbio è lecito.
Ci ha detto cose che non succedono.
Il nostro dubbio è lecito.
La notte è vuota
e il suo giacere è un fatto.
Il nostro dubbio è lecito
(Seconda Nunziatrice)
Aspetta.
Tu dici:
la notte è vuota.
Ne sei così certo?
Sei andato fuori? Lo sai?
E il suo giacere è un fatto:
così che dici.
Ma l’hai visto? Sei andato?
Non ti sei mosso di qui.
Domandalo allora
a lui che invece è uscito
E si scostò a indicare
lui, l’incredulo
del cui ritorno nessuno si era accorto.
Ci guardammo confusi.
Ci guardammo
più noi tra noi di quanto
guardammo lui.
Ma tu:
l’avevi visto tu?
E tu:
te n’eri accorto tu?
E tu piuttosto?
No no:
rispondi prima tu!
Ma neanche sapevamo
se risponderci sì o no.
Ciascuno
di noi, sì,
se n’era accorto
ma stranamente, quasi
non accorgendosi
dell’essersene accorto
che stava lì
che era tornato
e che tra noi
lui nuovamente
stava,
della notte
superstite
o dalla notte
risputato,
ma muto
fermo
seduto
con strane tinte
addosso che prima non aveva.
Che nessuno
di noi tra noi
addosso aveva.
Come spiegarlo?
Come capirlo?
Solo le donne
non mostrarono a vederlo la minima sorpresa
(Uno, o più d’uno)
Perché così?
Perché tacendo?
Che cerchi nel silenzio?
Di renderti invisibile?
(Il ritornante)
Troppo difficile
faticosissimo
scassare l’alterco
che tanto vi sta a cuore.
Perché provarci?
Lasciatemi intatto
nel vostro mormorio:
per me è un fasciame
medicamentoso
(Uno, o più d’uno)
Lasciarti intatto?
E non vuoi dirci nulla?
Vieni di lì
forse da lui
e non vuoi dirci nulla?
(Uno, o più d’uno)
E cosa poi
dovresti medicarti?
Sei ferito? Non mi sembra
(Il ritornante)
La tua domanda
la tua domanda ha un senso.
Oh sì
un vero senso.
Ecco una cosa che avverto con certezza.
Che tu sia cieco alle mie ferite
è cosa giusta come le mie ferite
(Colui che sfida)
Sei uscito uomo e ritorni sfinge.
Complimenti.
Un atto di coraggio che ti è servito a molto
(Il ritornante)
Non so che tu dica.
Ora invece
non so più che tu dica
non so né
che mi chiedi
né
che possa dirti io.
Dimmi:
c’è per caso
un debito tra noi in sospeso?
Qualcosa, intendo,
che forse non ricordo
(Colui che sfida)
Che sei uno di noi, ecco
cosa.
E’ questo, a quanto pare,
ciò che hai dimenticato
(Il ritornante)
Io?
Uno di voi?
Oh no
lo so benissimo
(Un altro che pure sfida)
Bene, visto che lo sai
saprai pure cosa adesso
ci aspettiamo di sapere
di quanto forse sai
(Il ritornante)
L’hai detto: che sono
uno di voi: lo so
(Chi ancora vuol sapere)
No, non questo.
Il resto.
Della notte!
Di questa notte, cos’è che sai?
(Il ritornante)
Di questa notte so
che è questa notte qui.
Di questa notte so...
so...
che è questa notte proprio
e poi...
(Un altro)
Avanti, diccelo
(Un altro, o altri)
E allora, insomma?
Che notizie del mondo?
S’è fatto quadro?
Il cielo è ancora in cielo?
(Il ritornante)
Sì, ancora.
E l’acqua fa il mare
e ogni vuoto è colmo
sai di cosa? D’aria
(Altri, o solo uno)
E chi vive?
Chi muore?
E quel che si dice è vero?
Che chi è morto rivive: è vero?
(Il ritornante)
No
non ho
alcun morto
no
non ho
io
lì di fuori
né
visto
né
odorato
lì fuori
morti
veri
morti
no
quel che si dice
non sa quel che dice
anche se
dice il vero
non sa
quale il vero che dice
quale
io
no
non ho
non so
là fuori se non
che il mondo
frigge
zampilla
e pullula
di sé
di sé ovunque
pullula
della notte
che è tana
del giorno che è tana
alla notte che viene
quel che
si dice è vero
ma il vero
lo si può dire per caso
e può essere
il vero
che sia vero
solamente per caso
(Altri ancora, o solo uno)
Chi hai incontrato?
Chi t’ha preso?
Chi o che cosa
t’ha ridotto così?
(Il ritornante)
Quel che ero è rimasto.
C’è ancora.
Giuro.
Nulla di me è di meno
rispetto al me stesso
che è uscito di qui
ma è il di più
che può forse stupirti
(Altri ancora, o solo uno)
E ora?
Che fai? Che vuoi?
Perché mi carezzi?
Che gesto sarebbe?
(Altri ancora, o solo uno)
Va’ via, mi spaventi!
E leva la mano!
Non voglio!
Vattene vattene!
(Uno)
Ma che razza di Gòlem
è costui divenuto?
Sta’ lì, non toccarmi!
Sta’ fermo, t’ho detto
(Seconda Nunziatrice)
Me!
Ti supplico!
Carezza me!
Carezza me!
(Uno)
Ma lascialo stare. Non vedi?
S’è scimunito. Per forza
(Seconda Nunziatrice)
Carezza me
carezza me
(Uno)
Scansalo.
Lascialo.
Là fuori dev’essergli
successo qualcosa
(Seconda Nunziatrice)
Per carità, carezzami
(Uno)
Ma che mai
nello stato in cui è
puoi sperare ti dica?
(Uno)
O che mai
nello stato in cui è
puoi sperare ti dia?
(Seconda Nunziatrice)
Mi commuove guardarlo
(Uno)
E da quando? Perché?
(Seconda Nunziatrice)
O compagno
mio fratello supremo
ti dico con forza
il mio sì sì sì sì:
il mio cento-
mila volte sì:
quel che ho detto a loro
è quel che provo per te.
Dichiararlo agli altri
è dichiararlo a te.
Patire gli altri
è godere di te.
Perché non so,
ma so che è.
Che così è.
Mi commuove guardarti.
E starti di fronte.
Eppure, com’è?
Non dovrebbe.
Ti conosco da tempo.
Se allungo
la mia mano a indagarti
lo vedi che accade?
Dio mio,
non parrebbe ma l’aria
vibra
freme
quasi sembra
si accenda.
E l’aria d’intorno
contagia quella che ingoio
per cui
son io che fremo
che vibro,
m’accendo.
E questo
dipende da te.
Eppure
mi ripeto
come mai?
Come mai?
Ti conosco da tempo.
Cos’è
che mi dici?
Cos’è
che m’inietti?
Strane
balbuzie
pagliuzze
di suono
materie
che via via si immateriano
forme
che prendono forma
divincolii
spasimi
voci
già quasi
UNA voce
un’idea
il perché
la summa
il finale
la risposta al quesito
come nota
a piè di pagina apposta
e da qualcun altro letta
sgravata
eccola
esposta
eccola
a me
da me
di tra
me e te
non più
in me
poiché
ora sì
già quasi
evidente
mi frana
tra le cose che ho in testa
e le scansa
e s’impone
e dice,
mi dice:
‘Conoscere...
è meno...
di ri-
conoscere...
di ri-
conoscere...
conoscere è meno
di riconoscere
di riconoscere’
O padre
o frater
sei dunque
tu il suggello
tu l’epifania
sei tu il riemerso
il dybbuk
il ritornante
l’eternamente
sulla terra infisso
tu di te stesso
incredulo
e custodia del tuo meglio.
Ti sta nel corpo un cuore
che dà corpo a un altro cuore:
è il volto suo.
Dio mio,
è il volto suo!
Ti traspare dal petto
lo disvela
la tenuità della carne;
e la stoffa forbita
si fa, esponendolo,
divaricata tela
eccone gli occhi
la fronte
il gaudio
(Lo scandalo)
Guardate!
E’ inconcepibile!
Guardate guardate
come lo cerca e lo tocca!
Ma che indecenza è?
(Seconda Nunziatrice)
Maestro
Maestro
sei tu lì dentro
sei tu questo
sei tu qui
(Lo scandalo)
Non così sconcia!
Levatela di mezzo!
E lui?
Perché glielo fa fare?
(Seconda Nunziatrice)
Ah rimestare
la visione in cui riaffiori
mescolarmi all’immagine
divenirla
esserti!
E disse
poi ancora tante difficilissime cose.
Guardandolo
con occhi cementati alla figura innanzi
masticava pensieri
dalla forma a lei
senz’alro chiara
ma solamente a lei
e forse a lui;
per noi non erano
che un’insulsa nenia
una sgranata filastrocca
(Seconda Nunziatrice)
Il tuo corpo è questo:
il visibile che è,
seppure in sé sepolto,
poiché
il visibile contempla
l’invisibile che ha in sé.
Il tuo corpo è questo:
il visibile che è
poiché
nel visibile è
visibile
l’invisibile Re
E ripetè
(Seconda Nunziatrice)
Poiché
nel visibile è
visibile
l’invisibile Re
E ripetè
(Seconda Nunziatrice)
Poiché
nel visibile è
visibile
l’invisibile Re
No non capivamo
ma durò poco
durò pochissimo
il nostro non capire.
Dapprima le altre donne
e poi man mano noi
forzando chissà come chissà cosa
avemmo accesso
dentro di noi a qualcosa.
‘Nel visibile è
visibile
l’invisibile Re’...
No
non era questo solamente un suono
da mentecatti,
l’alambiccato niente
in cui s’infinge la sapienza spesso
ma per davvero
sentenza era di ciò che era:
dell’invisibile tra noi tornato
di lui tornato
di lui in un altro lui
di lui in quel lui che era lì a noi difronte
in lui riemerso
in lui incarnato
tra noi risorto
nel compagno dalla notte a noi
restituito
(Terza Nunziatrice)
Stringetevi.
Qui attorno tutti quanti.
Inginocchiatevi.
Per darvi un po’ di spazio inginocchiatevi.
Forse lui
è per questo che è uscito:
poiché chiamato
o forse è stato
da lui raggiunto poiché ne è andato in cerca.
Io non lo so
ma certo è
che quel che non vedo è
che colui che non vedo è
che quel che non vedo
io adesso lo vedo
che colui che non vedo
m’ingombra lo sguardo
e del visibile
colui che non vedo fa
una lente che il volto gli accende.
Il panorama in cui siamo gli serve
per dipingersi in noi
per dipingersi dentro
ogni cosa ogni fatto
così come
vedete
sta ritratto ora in lui.
Venite.
Inginocchiatevi, su.
Più stretti, ma insieme.
Tutto quel che lei ha visto
ammiriamolo insieme.
Poiché quel che lei ha visto
è tutto quello che c’è
(Il ritornante)
E io
credere dovrei davvero
d’essere colui che dici?
L’estremo
l’esagerato
il più gran guerriero
il migliore che si sia mai visto...
D’esserlo io?
D’essere lui?
Io
me stesso e un altro?
Io
il Re?
Questo
se m’indago
oh sì
in me lo sento.
Ma può bastare per indurmi a crederlo?
Compagna cara
amici...
se posso dirlo mi emozionate:
mai sono stato
come adesso il vertice
l’esito e il fuoco di tutti i vostri sguardi.
L’esito e il fuoco di tutta l’attenzione.
Mai ho sucitato
attorno a me tanto silenzio.
Sguardi silenzio e intenti
che ora sembra mi battezzino.
Dovrebbe questo
insomma confermarmi nella più folle cosa:
che è quella detta dalle
parole dette.
Da te, amica mia, adesso
e da te prima.
E dagli annunci di me condotti
con stoffe luride in questa
nostra culla.
Ovvero:
che ciò che sento è vero
e farne debbo non il mio
ma il tuo destino
e il tuo e il tuo e il tuo e il tuo
e di te che stai più lì nascosto
e di te ancora
e anche di te e di te
e pure il tuo e il tuo e il tuo.
Che io sono nuovo e non più solo me stesso
che sono triplo e tanto
che del mio braccio
non più da risponderne ho solamente a me
poiché dimora
nel mio braccio un altro braccio
ben più perfetto anche se a questo uguale
e anche se questo è quello
e anche se quello è questo:
il mio
e il suo.
Di più non si può dire
cosa significhi coabitare in Dio.
Esserlo
come potreste voi.
Sì: voi.
Voi, voi.
Dio non è raggiungibile
ma fattibile.
Come l’idea
quando l’idea è un sogno.
Purché le regole siano date per certe.
Purché siano
leggi.
Allora sì
d’accordo
d’accordo
accetterò me stesso.
Il peso non è
nelle cose che sono
il peso è
nel non dubitare di quello che è.
E’ di qui che si parte.
Se il patto è chiaro
è di qui che si parte.
Il più difficile me l’assumo io:
persistere tra voi nella parte dell’unico
che sappia chi è.
Ma braccatemi da presso.
Non demordete
mai mai mai
dall’assillarmi. Mai.
Braccatemi da presso.
Educatemi voi.
Educatemi
al mio braccio al mio volto a me stesso.
Da me
non so vederrmi.
Siatemi specchio.
Siatemi occhio.
E convincetemi
convincetemi sempre.
Più di quanto io
possa convincere voi
(Prima Nunziatrice)
Guarda.
Tu m’hai fatto portare qui dentro solo il sangue.
Guarda!
Guarda!
Perché, Maestro?
Mi ami di meno?
(Il ritornante)
E perché mai
non dovrei amare il sangue?
Andiamo
(La viltà)
No aspetta!
Tu m’hai fatto sprofondare
sino all’infimo della vigliaccheria.
Perché, Maestro?
Mi ami di meno?
(Il ritornante)
E perché mai
non dovrei capire lo spavento?
Andiamo
(L’eresia)
E allora me?
Tu m’hai fatto
dire cose che hanno offeso gli amici e il padre.
Perché, Maestro?
Mi ami di meno?
(Il ritornante)
E perché mai
non dovrei confidare nella rabbia?
Andiamo
(La nostalgia)
E io?
Tu m’hai fatto
rimpiangere quel che ero prima di incontrarti.
Perché, Maestro?
Mi ami di meno?
(Il ritornante)
E perché mai
non dovrei consentirti d’amare il tuo passato?
Non c’è amore che sia meno dell’amore.
Andiamo.
Non più qui
fuori di qui.
Andiamo.
Dov’è di casa il principio
la conclusione è assente.
Alzatevi.
Tutti.
E andiamo.
Andiamo.
Andiamo
(Explicit)
Più notte della notte è la notte
che il giorno scruta.
Che il giorno alleva.
Che il giorno dà.
Più notte della notte è la notte
che dalla notte si solleva
sù sù sù
fino al brillio del cielo.
Più notte della notte è la notte
contaminata dagli astri
sù sù sù
dentro al brillio del cielo.
Più notte della notte è la notte
che scalda e non quella che gela.
Più notte della notte è la notte
che la passata contempla
e la futura ha già in sé.
Più notte della notte è la notte
che della notte è sapienza
Più notte della notte è la notte
che nella notte canta
sù sù sù
con il brillio del cielo.
Oh benedetti
benedetti siano
i figli tutti di una notte così
benedetti i creati
di questa notte qui.
Guardateli
eccoli
nella notte vanno
della notte vestiti.
Di quella notte, che è quella
che è questa, provvisti.
Di questa notte provvisti.
Di questa notte più notte
della notte in cui si sperdono
così
come voi li vedete
stretti stretti
stretti stretti
stretti stretti
dentro al brillio del cielo.
Stretti stretti
con il brillio del cielo.
Stretti stretti
al brillio del cielo