WILLIAM SHAKESPEARE
<B>CORIOLANO</B>
Tragedia in 5 atti
Traduzione e note di Goffredo Raponi
<I>Titolo originale: "THE TRAGEDY OF CORIOLANUS"
</I>NOTE PRELIMINARI
1) Il testo inglese adottato per la traduzione quello del prof. Peter Alexander (William Shakespeare - <I>"The complete Works"</I>, Collins., London & Glasgow, 1960), con qualche variante suggerita da altri testi, specialmente quello prodotto dal Furnivall per la <I>"Early English Text Society"</I>, l'<I>"Arden Shakespeare" </I>e l'ultima edizione dell'<I>"Oxford Shakespeare"</I> curata da G. Taylor e G. Wells per la <I>"Claredon Press"</I>, New York (USA), 1994.
2) Alcune didascalie sono state aggiunte dal traduttore di sua iniziativa, per la migliore comprensione dell'azione scenica alla lettura, cui questa traduzione essenzialmente intesa.
3) All'inizio di ciascuna scena i personaggi sono introdotti con il rituale "Entra" o "Entrano", che ripete l'<I>"Enter"</I> del testo; giova avvertire per che tale dizione non implica che i personaggi debbano "entrare" in scena al levarsi del sipario; spesso possibile che essi vi si trovino gi, in un qualunque atteggiamento. La reciproca vale per le dizioni "<I>Exit" - "Exeunt", </I>"Esce", "Escono".
4) Il metro l'endecasillabo sciolto, intercalato da settenari, come l'abbia richiesto al traduttore lo scorrere della verseggiatura.
5) Trattandosi della Roma di Coriolano, la forma del "tu" (i Romani non ne conoscevano altra) sembrata imperativa, ad onta del dialogante alternarsi dello<I> "you"</I> e del <I>"thou"</I> dell'inglese.
6) La divisione in atti e scene, com' noto, non si trova nell'in-folio; essa stata elaborata, spesso anche con l'elenco dei personaggi, da vari curatori nel tempo, a cominciare da Nicolas Rowe (1700). Li si riproduce come figurano nella citata edizione dell'Alexander.
<I>
</I>CORIOLANO
Nota introduttiva
Plutarco, dalle cui <I>"Vite parallele"</I> Shakespeare trae essenzialmente la trama della sua tragedia, associa Coriolano con Alcibiade, come esempio di due grandi condottieri e uomini politici venuti in contrasto con la loro patria e scesi contro di essa in guerra alla testa di eserciti nemici. I due sono contemporanei: Alcibiade vive nell'Atene di Pericle (V sec. a.C.), gi matura repubblica demo-aristocratica; Coriolano nella giovane immatura repubblica di una Roma che si appena liberata della tirannia dei re etruschi.
Ma il parallelismo tra i due per contrasto; perch Alcibiade cerca, contro l'aristocrazia di cui parte ( il nipote di Pericle), e che gli d l'ostracismo, il favore del popolo(1); Coriolano, all'opposto, nel suo orgoglio di aristocratico rozzo e impolitico, disprezza la massa plebea ed da questa prima eletto poi privato del consolato e bandito da Roma.
L'orgoglio di Coriolano e il suo conflitto con l'intima nobilt dell'uomo il "leitmotiv" del dramma shakespeariano; ad esso fa da sfondo una Roma la cui politica interna caratterizzata dalle lotte di classe fra patrizi e plebei, quella esterna dalle prime guerre di espansione. I nemici pi vicini sono i Volsci, che abitano le terre del sud del Lazio, comprese le citt di Anzio e Corioli.
La superbia il peggiore dei vizi, il massimo dei peccati capitali della dottrina cristiana; tradotta nella persona di un eroe della Roma pagana essa acquista la dimensione di un vizio legato ad una virt: nobilt e onore. Le parole <I>"nobility"</I> e <I>"honour",</I> come osserva il Melchiori(2), con i loro derivati nominali e verbali ricorrono ben 137 volte nel testo della tragedia.
Questo conflitto, come una fatale condanna, nega a Coriolano la capacit di convivere con gli oppositori, l'inclinazione al possibilismo che la massima dote del politico, e sar, nel mondo politico nel quale egli si muove, la sua tragica fine.
Il linguaggio di Coriolano, a differenza di quello raffinato e colto di Alcibiade, sempre rude, quasi urlato, di rissa; e ad accentuarne la rudezza Shakespeare crea, in contrapposto, di sua fantasia, il personaggio di Menenio Agrippa, un modello di scaltrezza politica - questo s - simile ad Alcibiade, che parla studiando l'avversario(3), per saggiarne i punti deboli e, prima assecondandolo poi demolendolo, averne ragione.
Ma Coriolano non solo questo. All'intolleranza faziosa egli aggiunge l'incostanza del carattere, l'ignoranza di s. Questo lo porta ad ingannarsi non solo sulla realt politica che lo circonda, ma sulla sua stessa immagine; si trova cos, quasi senza volerlo, sottomesso alla volont della madre, Volumnia. Questa la figura di matrona romana nelle cui parole par quasi di sentire un'eco <I>ante litteram</I> del Machiavelli: "Chi diventa principe col favore dei grandi deve anzitutto guadagnarsi il favore del popolo, farsi "gran simulatore e dissimulatore".
Coriolano, a differenza di Alcibiade, il contrario di tutto questo.
<B>PERSONAGGI</B>
CAIO MARCIO, detto poi "Coriolano"
TITO LARZIO
COMINIO, generali romani nella guerra contro i Volsci
MENENIO AGRIPPA, amico di Coriolano
SICINIO VELUTO
GIUNIO BRUTO, tribuni della plebe
IL PICCOLO MARCIO, figliolo di Coriolano
Un araldo romano
NICANOR, romano al servizio dei Volsci
TULLO AUFIDIO, generale dei Volsci
Un luogotenente di Aufidio
ADRIANO, volsco
Un cittadino di Anzio
Due sentinelle volsche
VOLUMNIA, madre di Coriolano
VIRGINIA, sposa di Coriolano
VALERIA, amica di Virginia
Una dama di compagnia di Virginia
Senatori romani e volsci
Patrizi, edili, littori, soldati, cittadini, messaggeri
Servi di Aufidio ed altri dei vari seguiti
Cospiratori del partito di Aufidio
<I>SCENA: parte a Roma e nei dintorni di Roma;
parte a Corioli e dintorni; parte ad Anzio.
<B></I>ATTO PRIMO</B>
<I>SCENA I - Roma, una strada</I>
<I>Entra un gruppo di POPOLANI in rivolta, con mazze, randelli e altri ordigni
</I>
PRIMO CITTADINO - <I>(Agli altri)</I>
Prima d'andare avanti, m'ascoltate!
TUTTI - Parla, parla.
PRIMO CITT. - Decisi allora: morti,
piuttosto che affamati!
TUTTI - Decisi s!
- Decisi!
PRIMO CITT. - Primo: ciascuno sa che Caio Marcio
il principale nemico del popolo.
TUTTI - Caio Marcio! Lo sappiamo tutti.
PRIMO CITT. - Uccidiamolo, allora,
e avremo il grano al prezzo nostro! Chiaro?
TUTTI - Chiaro. Basta parole. Andiamo ai fatti!
SECONDO CITT. - Una parola, buoni cittadini.
PRIMO CITT. - "Buoni" dillo ai patrizi!
Noi per loro non siamo che gentaccia!
Il sovrappi che avanza a lorsignori
gi ci procurerebbe alcun sollievo;
quello che avanza dalla loro tavola,
dico, che fosse appena digeribile;
potremmo almeno farci l'illusione
che ci aiutino per umanit;
ma pensano che gi costiamo troppo(4).
La macilenza che ci affligge tutti,
a specchio della nostra povert,
per loro un inventario ad uomo
per esibire la loro abbondanza.
La nostra sofferenza il lor guadagno.
Vendichiamoci con le nostre picche
prima che diventiamo dei rastrelli,(5) <I></I>
ch se parlo cos,
sanno gli di ch' per fame di pane,
e non punto per sete di vendetta!
SECONDO CITT. - E vorresti che noi si procedesse
prima di tutti contro Caio Marcio?
PRIMO CITT. - Contro di lui per primo;
un vero cane, quello, per il popolo.
SECONDO CITT. - Hai ben considerato, tuttavia,
quali servigi egli ha reso alla patria?
PRIMO CITT. - Certamente, e sarei anche contento
di dargliene pubblicamente merito;
ma di ci lui si paga da se stesso
con la sua boria.
SECONDO CITT. - Via, non dirne male.
PRIMO CITT. - Io ti dico che tutto che di buono
ha fatto stato per un solo fine;
anche se a certe tenere animucce
pu piacere di dire che l'ha fatto
pel suo paese, in verit l'ha fatto
per piacere a sua madre, ed anche, in parte,
per soddisfare la propria ambizione,
ch ce n'ha tanta per quanto ha coraggio.
SECONDO CITT. - Tu gli addebiti a colpa
qualcosa contro cui lui non pu niente,
perch fa parte della sua natura.
Non puoi dire per che sia corrotto.
PRIMO CITT. - Questo no, ma di accuse su di lui
ne posso partorire a volont(6).
Di difetti ce n'ha di sopravanzo,
da stancare ad enumerarli tutti!
<I>(Clamori all'interno)</I>
Ma che son queste grida?...
L'altra parte della citt in rivolta,
e noi ce ne restiamo qui a cianciare?
Al Campidoglio, tutti!
TUTTI - Andiamo!
Andiamo!
<I></I>
PRIMO CITT. - Un momento! Chi che viene qui?
<I>Entra MENENIO AGRIPPA</I>
SECONDO CITT. - Il buon Menenio Agrippa, un galantuomo,
uno che sempre volle bene al popolo.
PRIMO CITT. - Una persona onesta.
Fossero tutti gli altri come lui!
MENENIO - Ehi, cittadini, che intendete fare,
dove volete andare,
cos armati di mazze e di randelli?
PRIMO CITT. - Il motivo lo sa bene il Senato.
da due settimane
che sanno quello che vogliamo fare.
Ora glielo mostriamo con i fatti.
Loro dicono che noi postulanti
abbiamo il fiato forte: ora sapranno
che abbiamo forti pure mani e braccia(7).
MENENIO - Evvia, signori, buoni amici miei,
onesti miei concittadini, diamine!,
volete rovinarvi?
PRIMO CITT. - Rovinati
gi siamo, amico; pi non possibile.
MENENIO - Ed io vi dico invece, brava gente,
che i patrizi si curano di voi
col pi caritatevole riguardo.
Quanto a quel che vi manca,
ci che soffrite in questa carestia,
alzare contro lo Stato romano
le vostre mazze, come alzarle in aria
con l'intenzione di colpire il cielo:
esso seguiter per la sua strada,
spezzando mille, diecimila ostacoli
pi forti che non possa mai sembrare
quello di questa vostra opposizione.
Quanto alla carestia, sono gli di
che l'han voluta, non punto i patrizi,
e davanti agli di sono i ginocchi,
non le braccia, che possono soccorrervi.
Ahim, che voi vi fate trascinare
dalla disgrazia dove altri malanni
v'aspettano, a calunniar cos<I></I>
e maledir come nemici gli uomini
che reggono il timone dello Stato
e di voi son pensosi, come padri.
PRIMO CITT. - Di noi pensosi, quelli? Figuriamoci!
Mai se ne son curati fino ad oggi.
Ecco, ci lasciano morir di fame,
e i magazzini son pieni di grano;
sfornano editti per punir l'usura
e favoriscon solo gli strozzini;
abrogano ogni giorno sane leggi
promulgate a suo tempo contro i ricchi
ed ogni giorno sfornano decreti
sempre pi duri per impastoiare
ed affamare la povera gente.
Se non saran le guerre,
saranno loro a sterminarci tutti.
Ecco qual l'amore che ci portano.
MENENIO - Dovete ammettere che a dir cos
siete mostruosamente in malafede,
o si dovr accusarvi di follia.
Vi voglio raccontare una storiella
su misura(8). L'avrete gi sentita,
ma poich ben s'adatta al mio proposito,
m'avventuro a ridurla un po' pi trita.
PRIMO CITT. - Beh, sentiamola un po'. Ma non pensare
di far sparire con un raccontino
il nostro obbrobrio. Dilla, se ti piace.
MENENIO - Successe un tempo che tutte le membra
del corpo si levarono in rivolta
contro lo stomaco, cos accusandolo:
restarsene esso solo, in mezzo al corpo,
a ingozzarsi di cibo tutto il tempo
come un gorgo, infingardo ed inattivo,
senza divider mai con l'altre parti
il lavoro comune, mentre quelle
eran continuamente ad esso intente,
ad udire, a pensare, a impartir ordini,
a camminare, a percepir coi sensi,
s che aiutandosi l'una con l'altra,
provvedevano insieme agli appetiti
e ai bisogni comuni a tutto il corpo.
Lo stomaco rispose...
PRIMO CITT. - Beh, sentiamo,
quale fu la risposta dello stomaco?
MENENIO - Stavo appunto per dirtelo. Lo stomaco,
mostrando loro un certo sorrisetto
che non gli venne affatto dai polmoni(9)
ma proprio qui, cos...(10) perch, vedete,
se posso farlo parlare, lo stomaco,
posso ben farlo egualmente sorridere,
provocatoriamente replic
alle parti che s'eran ribellate
invidiose ch'ei solo ricevesse,
esattamente come adesso voi
che criticate i nostri senatori
perch non sono quali siete voi.
PRIMO CITT. - La risposta del tuo stomaco... Beh?
La testa, sede di regal diadema,
l'occhio, vigil guardiano,
il cuore, consigliere,
il braccio, nostro difensore armato,
la gamba, nostro caval di battaglia,
la lingua, nostro araldo trombettiere,
con tutte l'altre nostre munizioni
e piccoli ausiliari di difesa
di questa nostra fabbrica,
se questi, tutti insieme...
MENENIO - Ebbene, che?...
<I>(Tra s) </I>
Parola mia, costui si parla addosso(11)!
<I>(Forte)</I>
Ebbene, allora? Avanti, su, che cosa?
PRIMO CITT. - ... dovessero venir prevaricati
dal cormorano stomaco(12),
ch' la fogna del corpo(13)...
MENENIO - Ebbene allora?
PRIMO CITT. - Allora, insomma, se questi che ho detto
si lamentavano, che mai rispondere
poteva il ventre?<I></I>
MENENIO - Te lo dico io,
se mi concedi un poco di pazienza,
anche se, come vedo, ce n'hai poca.
PRIMO CITT. - Eh, quanto la fai lunga!
MENENIO - Stammi bene a sentire, buon amico...
Dunque lo stomaco, con gran sussiego,
pesando le parole, in tutta calma,
al contrario dei suoi accusatori,
dice: "Miei cari consociati, vero
ch'io ricevo per primo tutto il cibo
da cui traete voi sostentamento;
ma giusto e logico che sia cos(14)
dal momento ch'io sono il magazzino
e l'officina di lavorazione
di tutto il corpo. E se ci riflettete,
io lo rimando poi regolarmente,
pei canali del sangue,
fino al palazzo della corte, al cuore,
al suo trono, il cervello,
e, attraverso i tortuosi labirinti
e le diverse stanze di servizio
della persona, i pi robusti muscoli,
e le pi capillari delle vene
ricevono da me regolarmente
la naturale dose d'alimento
onde ciascuno trae la propria vita.
Ed anche se voi tutti presi insieme..."
- attenti, amici, adesso, attenti bene,
a ci che dice il ventre...
PRIMO CITT. - S, ma sbrigati.
MENENIO - "... anche se non potete, l per l,
vedere ci che fornisco a ciascuno,
cionondimeno alla resa dei conti
il mio bilancio a posto,
perch tutti ricevono da me
il fior fiore di tutto,
laddove a me non resta che la crusca".
Beh, che ne dite?
PRIMO CITT. - Una risposta l'era,
questa; ma come pu adattarsi a noi?
MENENIO - Fate conto che siano i senatori
di Roma questo stomaco, e voialtri<I></I>
le membra ammutinate.
Perch considerate in generale
le lor delibere e le lor premure,
digerite a dovere entro di voi
quanto concerne il pubblico benessere,
e troverete che dei benefici
che tutti riceviamo dallo Stato
non ce n' che non vengano da loro,
e nessuno da voi.
<I>(Al Primo Cittadino)</I>
Beh, che ne pensi,
tu che sei, come mi sembri, l'alluce
del piede di codesto assembramento?
PRIMO CITT. - Io, alluce? Perch?
MENENIO - Perch sei tra i pi bassi, i pi schifosi,
i pi morti di fame
di codesta saggissima rivolta,
e vai avanti a tutti, tu, cagnaccio
che sei del peggior sangue quanto a correre,
e ti di arie da caporione
sol per trarne vantaggio personale!
Impugnateli pure i vostri arnesi,
i nodosi randelli ed i batacchi:
Roma ed i sorci della sua cloaca
stan per darsi battaglia,
chi sa quale dei due avr la peggio(15)!
<I>Entra CAIO MARCIO</I>
MENENIO - Salute a te, nobile Marcio.
MARCIO - Grazie!
<I>(Al popolo)</I>
Che vi succede, torpida canaglia,
che a furia di grattarvi notte e giorno
la scabbia della vostra ostinazione
siete ridotti a una putrida rogna?
PRIMO CITT. - Sempre buone parole da te, Marcio!
MARCIO - Buone parole, ad uno come te,
chiunque le dicesse,
sarebbe un basso e immondo adulatore.
Che volete, cagnacci,
cui non va bene n pace, n guerra,
perch l'una vi fa tanti conigli(16),
l'altra vi fa sfrontati e tracotanti?
E a fidarsi di voi,
non che scoprir che siete dei leoni,
ci si accorge che siete solo lepri,
oche, invece di volpi.
No, si pu far meno fiducia in voi
che in un tizzone acceso in mezzo al ghiaccio,
che in un granello di grandine al sole.
Siete capaci d'innalzare al cielo
chi punito per qualche sua magagna,
e insieme maledire la giustizia
che l'ha punito. Chi merita onore,
non pu che meritare l'odio vostro;
le vostre simpatie per questo o quello
son come l'appetito di un malato
che va desiderando soprattutto
ci che pu solo peggiorargli il male.
Chi dipendesse dal vostro favore
come se nuotasse avendo ai piedi
pinne di piombo, o avesse l'illusione
di segare una quercia con dei giunchi.
Fidare in voi?... Impiccatevi!
Voi mutate gabbana ogni minuto.
Siete pronti a dir nobile
chi poco prima coprivate d'odio,
e vile chi era prima il vostro eroe.
E adesso che v'ha preso,
d'andare urlando per le vie di Roma
contro il Senato che, grazie agli di,
riesce ancora a mantenervi a freno(17),
se no vi sbranereste l'un con l'altro?
<I>(A Menenio) </I>
Che van cercando?
MENENIO - Grano, al loro prezzo,
perch sostengono che la citt
n' ben fornita.
MARCIO - Alla forca! "Sostengono"!...
Siedono tutto il tempo accanto al fuoco,
e pretendono di sapere loro
tutto quel che succede in Campidoglio(18):<I></I>
chi pu andare pi in alto, chi ci sta
con buone prospettive, chi declina;
parteggiano or per uno or per un altro,
s'inventano alleanze immaginarie,
innalzano alle stelle una fazione
e sotto le lor scarpe rattoppate
calpestano chi non va loro a genio.
Dicono che c' grano in abbondanza!
Se i nobili mettessero da parte
per una volta la loro piet
e lasciassero a me d'usar la spada,
ne farei un tal mucchio, fatti a pezzi,
di migliaia di questi miserabili
alto quanto gittar pu la mia lancia(19).
MENENIO - Non c' bisogno. Quelli che son qui
son gi quasi convinti tutti quanti(20);
perch se pur son largamente privi
d'ogni criterio di moderatezza,
sono pure abbondantemente vili.
Dimmi piuttosto tu,
che cosa dice il resto della mandria(21).
MARCIO - Si son dissolti. Che crepino tutti!
Dicevan d'aver fame, e davan fiato
sospirando a sentenze come queste:
"La fame fa crepare anche le mura";
"Pure i cani han diritto di mangiare";
"Gli di non hanno dato il grano agli uomini
soltanto per i ricchi"... ed altre simili.
E con questi cascami di saggezza
esalavano il loro malcontento;
finch han trovato chi gli ha dato retta
ed ha esaudito una lor petizione...
una richiesta assurda,
da spezzare il pi generoso cuore(22),
e spegnere sul volto del potere
ogni baldanza. E quelli tutti a urlare,
gettando i loro cappellacci in aria,
come se li volessero appiccare
ai corni della luna.
<I></I>
MENENIO - E che cos' ch' stato lor concesso?
MARCIO - Cinque tribuni, di lor propria scelta,
a difesa della plebea saggezza.
Uno dei cinque Giunio Bruto, un altro
Sicinio Voluto... e non so pi(23).
Ma, sangue degli di, se stesse a me,
questa canaglia, prima di spuntarla
doveva scoperchiare tutta Roma!
Questi col tempo prenderan la mano
sul potere legittimo, e pian pian
accamperanno sempre altre pretese
come pretesto ad una insurrezione.
MENENIO - Certo, la cosa sconcertante assai.
MARCIO - <I>(Alla folla)</I>
A casa, a casa, avanti, spazzatura!
<I>Entra di corsa un MESSAGGERO</I>
MESSAGGERO - Caio Marcio dov'?
MARCIO - Qui. Che succede?
MESSAGGERO - Marcio, giunta notizia
che i Volsci sono in armi.
MARCIO - Ne ho piacere.
Potremo sbarazzarci finalmente
di tanto nostro ammuffito superfluo(24).
Ma ecco i nostri pi nobili anziani.
<I>Entrano COMINIO, TITO LARZIO, con altri SENATORI, poi GIUNIO BRUTO e SICINIO VOLUTO</I>
PRIMO SENATORE - Marcio, quel che ci hai detto ultimamente
confermato: i Volsci sono in armi.
MARCIO - Ed hanno a capitano Tullo Aufidio,
uno che vi dar filo da torcere.
Peccher, ma m'invidio il suo valore,
e se fossi altro da quello che sono,
vorrei essere lui, e nessun altro.<I></I>
COMINIO - Vi siete gi scontrati faccia a faccia.
MARCIO - Se la met del mondo
si scontrasse con l'altra, e Tullo Aufidio
si venisse a trovar dalla mia parte,
io cambierei di fronte
per guerreggiar con lui solo. un leone
a cui m'inorgoglisce dar la caccia(25).
PRIMO SENAT. - E allora, degno Marcio,
unisciti a Cominio in questa guerra.
COMINIO - Me l'hai promesso, Marcio.
MARCIO - E lo mantengo.
E mi vedrai ancora, Tito Larzio,
volteggiare la lama in faccia a Aufidio.
Che hai? Ti vedo alquanto titubante.
Ti tiri fuori?
LARZIO - No, Marcio, che dici?
Appoggiato magari a una stampella
e brandendo quell'altra come un'arma,
piuttosto che mancare a quest'impresa.
MENENIO - Eh, buon sangue romano...
PRIMO SENAT. - Allora tutti insieme in Campidoglio,
dove so che si trovano ad attenderci
i pi degni ed illustri nostri amici.
<I></I>
LARZIO - <I>(A Cominio)</I>
Tu avanti a tutti.
<I>(A Marcio)</I>
E tu dopo di lui.
Noi seguiremo. A voi la precedenza.
COMINIO - <I>(Prendendo sottobraccio Marcio e avviandosi)</I>
Nobile Marcio!
<I>(Alla folla)</I>
A casa, via, sparite!
MARCIO - Ma no, lascia che vengano anche loro.
I Volsci han molto grano.
Portiamoli da loro, questi sorci,
a rosicchiare i lor granai, perbacco!
Ribelli rispettabili,
il valor vostro ha buone prospettive.
Seguiteci, vi prego.
<I>
(I popolani si disperdono)</I>
<I>(Gli altri escono tutti, meno SICINIO e BRUTO)</I>
SICINIO - S' visto mai un uomo pi arrogante
di questo Marcio?
BRUTO - Non ce n' l'uguale.
SICINIO - Quando ci elessero tribuni...
BRUTO - Gi,
notasti pure tu le labbra, gli occhi(26)?
SICINIO - No, notai solo le sue insolenze.
BRUTO - Oh, quanto a quelle, se perde le staffe
non esita ad insolentir gli di.
SICINIO - O a schernire la vereconda luna(27).
BRUTO - Se questa guerra se lo divorasse!
diventato troppo strafottente,
per essere altrettanto valoroso.
SICINIO - Uno con un carattere cos,
se il successo gli fa montar la testa,
arriver a sdegnare la sua ombra
e pestarla coi piedi a mezzogiorno.
Mi sorprende perci che tanta boria
giunga a piegarsi tanto docilmente
da farsi comandare da Cominio.
BRUTO - La fama, cui palesemente aspira,
e che gi gli ha concesso i suoi favori,
non c' mezzo migliore per serbarla
intatta ed anche accrescerla
che operare in un posto dopo il primo;
cos quando le cose vanno male,
sar colpa del comandante in capo,
abbia pur egli fatto tutto il meglio
ch' possibile a un uomo; ed a quel punto
gl'immancabili stupidi censori
si daranno a gridar di Caio Marcio:
"Ah, se l'avesse comandata lui
quest'impresa!".
SICINIO - Se invece vanno bene,
la voce della pubblica opinione,
ch' gi cos favorevole a Marcio,
defrauder Cominio d'ogni merito.
BRUTO - E cos la met di tutti i meriti
che spettano a Cominio andranno a Marcio,
senza che questo li abbia meritati.
SICINIO - Ma muoviamoci. Andiamo un po' a sentire
che cosa si decide per la guerra
e come intende lui, col suo carattere,
avventurarsi in questa impresa.
BRUTO - Andiamo.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA II - Corioli, il Senato
Entra TULLO AUFIDIO con alcuni SENATORI
</I>
PRIMO SENATORE - Cos, tu pensi, Aufidio,
che quei di Roma siano a conoscenza
dei nostri piani e delle nostre mosse?
AUFIDIO - E voi non lo pensate?
Ci fu mai decisione in questo Stato
ch'abbia potuto mandarsi ad effetto
prima che Roma se ne impadronisse?
Ho notizie di l abbastanza fresche,
meno di quattro giorni, che mi dicono...
Credo d'aver con me il dispaccio... Eccolo
<I>(Legge)</I>
"Hanno ammassato un poderoso esercito,
"ma non si sa per qual destinazione,
"se ad est oppure ad ovest...
"Nella citt la carestia grande,
"e nel popolo c' molto fermento.
"Si dice che Cominio insieme a Marcio,
"il vecchio tuo nemico, odiato a Roma
"pi che da te, e insieme a Tito Larzio,
"un romano di altissimo valore,
"saranno i comandanti designati
"di quest'azione, dovunque diretta.
"Molto probabilmente
"essa contro di voi. State in allarme".
PRIMO SENAT. - La nostra armata in campo.
Eravamo sicuri che da Roma
ci sarebbe venuta la risposta(28)...
AUFIDIO - ... a giudicar non certo una follia
creder che i vostri piani di battaglia
avessero a tenersi sotto chiave
finch non fosse proprio necessario
ch'essi si rivelassero da soli(29);
invece, a quanto pare, erano noti
a Roma sin da quando si covavano.
Questa brutta scoperta
c'impone adesso d'abbassar la mira,
ch'era di prendere molte citt
prima almeno che Roma
sapesse ch'eravamo scesi in guerra.
SECONDO SENAT. - Nobile Aufidio, assumi tu il comando,
raggiungi le tue truppe,
e lascia a noi di difender Corioli.
Se s'accampasser qui davanti a noi,
porta su le tue forze per cacciarli.
Ma penso ch'essi, lo vedrai tu stesso,
non si preparano contro di noi.
AUFIDIO - Ah, su ci non illuderti.
Le mie notizie son di fonte certa.
Dir di pi, gi alcuni scaglioni
del loro esercito stanno marciando,
e soltanto per questa direzione.
Mi congedo, signori.
Se Marcio ed io dovessimo incontrarci,
ci siamo gi giurati di combattere
fin che un non soccomba.
TUTTI - Il ciel t'assista!
AUFIDIO - E protegga le vostre signorie.
PRIMO SENAT. - Addio!
SECONDO SENAT. - Addio!
TUTTI - Addio!
<I>(Escono tutti, i Senatori da una parte, Aufidio dall'altra)</I>
<I>SCENA III - Roma, la casa di Caio Marcio
VOLUMNIA e VIRGINIA siedono intente a cucire
</I>
VOLUMNIA - Canta, figlia, ti prego,
o almeno mostrati un po' meno triste!
Se Marcio invece d'essere mio figlio
fosse mio sposo, sarei pi felice
di saperlo lontano a farsi onore,
che averlo a letto a gustarne gli amplessi,
per quanto amore egli potesse effondere.
Quand'era ancora un tenero fanciullo,
e l'unico rampollo del mio ventre,
e la sua fascinosa giovinezza
gli attirava gli sguardi della gente;
quando una madre, neppure se un re
l'avesse scongiurata un giorno intero,
se lo sarebbe fatto allontanare
dalla vista nemmeno per un'ora,
io, presaga da allora della gloria
cui uno come lui era votato
(ch se brama d'onor non lo animasse,
sarebbe stato nulla pi che un quadro
da restare appiccato alla parete),
ero felice di lasciarlo andare
in cerca di pericolo,
dovunque egli potesse incontrar fama.
E lo mandai ad una cruda guerra,
dalla quale per fece ritorno
col capo cinto di foglie di quercia(30).
Ti dico, figlia, che di tanta gioia
non sussultai sentendo il primo annuncio
che avevo partorito un figlio maschio,
quanta fu a veder la prima volta
qual uomo vero egli s'era mostrato.
VIRGINIA - E se fosse caduto in quell'impresa,
madre, che avreste fatto?
VOLUMNIA - Avrei serbato al posto di mio figlio
la gloria del suo nome,
e in essa avrei ritrovato mio figlio.
Senti quel che ti dico, cuore in mano:
avessi pur dodici figli maschi,
tutti egualmente amati,
e nessuno di loro meno caro
del tuo e mio buon Marcio,
preferirei vederne morir undici
nobilmente, in difesa della patria,
che saperne uno solo
dissipare la vita nei piaceri,
lontano dalle fatiche di guerra.
<I>Entra un'ANCELLA</I>
ANCELLA - Padrona, qui la nobile Valeria,
per farti visita.
VIRGINIA - Madre, ti supplico,
dammi licenza, vorrei ritirarmi.
VOLUMNIA - Niente affatto, non devi.
Mi par gi di sentire qui, vicino,
il rullo dei tamburi del tuo sposo,
e di vederlo che trascina in terra,
presolo pei capelli, quell'Aufidio,
ed i Volsci fuggire innanzi a lui
come bambini alla vista dell'orso(31)...
E vederlo che pesta i piedi a terra,
cos, e gridare: "Avanti, voi, vigliacchi!
Figli della paura, e non di Roma(32)!"
e asciugarsi la fronte insanguinata
con una mano inguantata di ferro,
ed avanzar pel campo di battaglia
simile a un mietitore
che s'imponga di mieter tutto il campo
per non perder la paga giornaliera.
VIRGINIA - La fronte insanguinata?... Oh, Giove, no!
VOLUMNIA - Via, sciocca! Il sangue s'addice ad un uomo
meglio dell'oro sopra il suo trofeo(33).
I seni d'Ecuba giovane sposa
che allattavano Ettore bambino
non erano pi belli
della fronte di lui quando, sprezzante,
schizzava sangue per le greche spade.
<I>(All'ancella)</I>
Va', di' a Valeria che siamo qui pronte
a darle il benvenuto in casa nostra.
<I>(Esce l'ancella)</I>
VIRGINIA - Proteggano gli di il mio signore
dal terribile Aufidio.
VOLUMNIA - Sar lui,
che schiaccer del fero Aufidio il capo
col suo ginocchio e il collo col suo piede.
<I>Rientra l'Ancella con VALERIA e un servo di questa</I>
VALERIA - Buongiorno a voi, mie donne!
VOLUMNIA - Cara amica!
VIRGINIA - Son lieta di vederti.
VALERIA - Come state?
Brave massaie, vedo. Un bel lavoro:
che ricamate?... E il bimbo come sta?
VIRGINIA - Sta bene, buona amica, ti ringrazio.
VOLUMNIA - Preferirebbe stare tutto il giorno
a veder spade ed udire tamburi,
piuttosto che star dietro al suo maestro.
VALERIA - Parola mia, il figlio di suo padre!
Un frugoletto stupendo, davvero.
Vi dir, sono stata ad osservarlo
mercoled scorso per una mezz'ora:
che piglio risoluto! A un certo punto
l'ho visto correr dietro a una farfalla
dalle alucce dorate; l'acchiapp,
poi la lasci andar libera di nuovo,
e lui di nuovo dietro,
ruzzolando su e gi, e rialzandosi,
finch riesce ad acchiapparla ancora;
e l, o l'avesse urtato il ruzzolone,
o che cos'altro, la serra tra i denti,
cos, e la sbrana. E come l'ha ridotta,
non vi dico.
VOLUMNIA - Gli scatti di suo padre!<I></I>
VALERIA - cos, vero, un bimbetto di razza.
VIRGINIA - Un monello, mia cara.
VALERIA - Via, mettete da parte quel ricamo.
Vo' farvi fare, questo pomeriggio
con me la parte di massaie oziose.
VIRGINIA - No, mi dispiace, non mi va uscire.
VALERIA - Non vuoi uscire?
VOLUMNIA - Uscir, uscir!
VIRGINIA - Davvero, no, perdonami, Valeria,
ma ho deciso di non varcar quell'uscio
finch non sia tornato il mio signore
dalla guerra.
VALERIA - Ma via, irragionevole.
che tu t'imponga un simile confino.
Su, devi pur deciderti a far visita
a quell'amica che sta per sgravarsi.
VIRGINIA - Le faccio voti d'un felice parto
e le sto accanto con le mie preghiere;
ma visitarla, adesso, no, non posso.
VOLUMNIA - Perch?
VIRGINIA - Non per sottrarmi ad un fastidio,
e tanto meno per poca affezione.
VALERIA - Vuoi farti proprio una nuova Penelope.
Dicon per che tutta quella lana
ch'ella fil nell'assenza di Ulisse
non serv che a riempir di tarme Itaca.
Eh, vorrei tanto che questa tua tela
fosse sensibile come il tuo dito,
cos potresti, almeno per piet,
smettere di bucarla con quell'ago!
Su, devi uscir con noi.
VIRGINIA - No, cara amica,
perdonami, ma io non uscir.
VALERIA - Senti, se vieni, sulla mia parola,
ti fornir eccellenti notizie
di tuo marito.
VIRGINIA - Ah, mia buona amica,
troppo presto ancora per averne.<I></I>
VALERIA - T'assicuro, non scherzo.
Ne abbiamo ricevute ieri sera.
VIRGINIA - Parli sul serio?
VALERIA - In sacra verit.
Ne ho sentito parlare un senatore.
Son queste: i Volsci sono scesi in campo,
contro di loro partito Cominio
con una parte delle nostre forze.
Con l'altra tuo marito e Tito Larzio
sono accampati davanti a Corioli,
la loro capitale.
Son sicuri di prenderla,
e concludere presto la campagna.
La notizia sicura, sul mio onore.
E dunque avanti, non farti pregare,
vieni con noi.
VIRGINIA - Ti chiedo ancora scusa,
mia cara. Un'altra volta,
tutto quello che vuoi, te lo prometto.
VOLUMNIA - Evvia, lasciala stare!
Con l'umore che adesso si ritrova
non farebbe che rattristar noi pure.
VALERIA - Lo penso anch'io.
<I>(A Virginia)</I>
Allora, arrivederci.
<I>(A Volumnia)</I>
Andiamo, cara amica.
<I>(Volgendosi di nuovo a Virginia)</I>
Evvia, ti prego,
caccia la mutria, vieni via con noi.
VIRGINIA - No, non insistere. Non esco e basta.
V'auguro buon divertimento.
VALERIA - Addio.
<I>(Escono Volumnia e Valeria. Virginia si richina sul ricamo)</I>
<I>SCENA IV - L'accampamento romano davanti a Corioli
Entrano CAIO MARCIO e TITO LARZIO con un seguito di ufficiali e soldati con tamburi e vessilli. Un MESSAGGERO si fa loro incontro.
</I>
MARCIO - Arrivano notizie.
Scommetto che si sono gi scontrati.
LARZIO - Il mio cavallo contro il tuo che no.<I></I>
MARCIO - Accettato.
LARZIO - D'accordo, affare fatto.<I></I>
MARCIO - <I>(Al Messaggero)</I>
Di', s' scontrato il nostro generale
col nemico?
MESSAGGERO - Si trovano gi in vista
l'un dell'altro, ma scontro ancora niente.
LARZIO - Il tuo cavallo mio!<I></I>
MARCIO - Te lo ricompro.
LARZIO - Nient'affatto, n te lo do in regalo.
Te lo do in prestito per cinquant'anni.
<I>(Al Trombettiere)</I>
Appella a parlamento la citt.<I></I>
MARCIO - <I>(Al Messaggero)</I>
Quanto distan da qui i due eserciti?
MESSAGGERO - Un miglio e mezzo circa, non di pi.
MARCIO - Allora sentiremo il loro allarme
d'inizio della mischia, ed essi il nostro.
Ora, Marte, ti prego,
facci concludere alla svelta qui(34),
s che da qui possiamo poi marciare,
con le daghe di sangue ancor fumanti,
in aiuto dei nostri amici in campo.
<I>
(Al Trombettiere)</I>
Avanti, la tua squilla.
<I>(Tromba a parlamento. Sugli spalti delle mura di Corioli appaiono due SENATORI con altra gente)
(Ai due Senatori volsci)</I>
Tullo Aufidio in citt?
PRIMO SENATORE - No, n c' uomo qui che men di lui
vi tema: vale a dir meno che niente.
<I>(Rullo di tamburi in lontananza)</I>
Ecco i nostri tamburi
che chiamano a battaglia i nostri giovani.
E noi, piuttosto che lasciarci chiudere
come in trappola dentro queste mura,
le abbatteremo. Queste nostre porte
che sembrano sbarrate fortemente,
le abbiam fermate appena con dei giunchi.
Si apriranno da s.
<I>(Frastuono di carica guerresca in lontananza)</I>
Laggi, sentite?
Aufidio l; potete immaginarlo
il bel lavoro ch'egli sta facendo
in mezzo al vostro dimezzato esercito(35).
MARCIO - Oh, s'azzuffano!
LARZIO - Questo lor clamore
sia il nostro segnale. Qua le scale!
<I>(Soldati volsci escono improvvisamente dalle mura)</I>
MARCIO - Non ci temono, questi, anzi, vedete,
ci fanno addirittura una sortita!
Avanti allora, scudi avanti al cuore,
e col cuore pi saldo degli scudi,
all'assalto, mio valoroso Tito!
Costoro mostrano d'averci a spregio
pi di quanto potessimo pensare;
e ci mi fa sudare dalla rabbia!
All'assalto, all'assalto, miei soldati!
Il primo che indietreggia,
lo prender per un soldato volsco,
e gli far assaggiare la mia spada!
<I>(Allarme di battaglia. I Romani sono respinti sulle loro posizioni)</I>
<I>(Marcio esce combattendo, poi rientra, infuriato, gridando)</I>
Ah, vergogna di Roma! Branco di...
Vi s'attacchino addosso tutti i mali<I></I>
pi pestilenti d'Africa! Carogne!
Vi ricoprano pustole e bubboni,
s che ancor prima di guardarvi in faccia
vi possiate infettar l'un con l'altro
a un miglio di distanza controvento!
Anime d'oca dentro umane forme!
Come avete potuto indietreggiare
davanti a un'accozzaglia di straccioni
che perfino le scimmie
sarebbero capaci di sconfiggere?
Per Plutone e l'inferno
siete feriti tutti nella schiena,
con le facce slavate per la fuga
e la paura che vi fa tremare!
Pensate a riscattarvi, scellerati!
Ricacciateli indietro, o, per il cielo,
mollo il nemico e vi combatto contro!
V'ho avvertiti. Tenete duro! Avanti!
E li ricacceremo alle lor tane,
in braccio alle lor mogli,
cos com'essi ci hanno ricacciati
alle nostre trincee. Su, dietro a noi!
<I>(Altra carica. Questa volta i Romani hanno la meglio, i Volsci sono volti in fuga, e Marcio li insegue da solo fino alle porte della citt)</I>
Ecco, le porte adesso sono aperte.
Dimostratevi buoni inseguitori.
A chi insegue le apre la Fortuna,
le porte, non a chi se la d a gambe!
Guardate me, e fate come me.
<I>(Entra da solo in Corioli)</I>
<I></I>
PRIMO SOLDATO - <I>(Arrestandosi cogli altri davanti alla porta ancora aperta)</I>
prodezza da folle, io non lo seguo.
SECONDO SOLD. - E io nemmeno.
<I>(Improvvisamente la porta si chiude)</I>
Toh, guardalo l!
L'han chiuso dentro.
TUTTI - in trappola, sicuro!
<I>Entra TITO LARZIO</I>
LARZIO - Che succede di Marcio?
TUTTI - Ucciso, generale, non c' dubbio.<I></I>
PRIMO SOLDATO - Stava inseguendo quelli che fuggivano,
entrato insieme a loro, e quelli, subito,
gli hanno richiuso la porta alle spalle.
solo, contro tutta la citt.
LARZIO - Oh, nobile collega!
Tu che sensibilmente(36) in audacia
superi l'insensibile tua spada,
e resisti, se pur essa si piega!
Tu sei perduto, Marcio!
Un diamante della pi pura luce(37)
e dello stesso peso del tuo corpo
non sarebbe gioiello pi prezioso!
Tu eri, come nessun altro a Roma,
il soldato voluto da Catone(38),
fiero e tremendo non solo a colpire,
ma cui bastava solo un truce sguardo
e un grido della tua voce di tuono,
per incuter tal tremito al nemico,
come se tutto il mondo fosse preso
subitamente da tremor febbrile.
<I>Entra MARCIO, sanguinante, inseguito da soldati volsci</I>(39)
PRIMO SOLDATO - Oh, generale, guarda, guarda l!
Ma quello Marcio! Corriamo a salvarlo,
o qui si muore tutti insieme a lui!
<I>(Zuffa. I Romani sopraffanno i Volsci ed entrano tutti in Corioli)</I>
<I>SCENA V - Corioli, una strada</I>
<I>Entrano alcuni legionari romani recando in mano delle spoglie di guerra
</I>
PRIMO SOLDATO - <I>(Mostrando un oggetto d'argento)</I>
Io questa roba me la porto a Roma.
SECONDO SOLD. - E io con quest'altra.
TERZO SOLDATO -<I> (Gettando via il proprio bottino)</I>
Accidentaccio!...
Questo l'avevo preso per argento!
<I>(In lontananza, il fragore di cariche che continuano)</I>
<I>Entra CAIO MARCIO, sanguinante, con TITO LARZIO e un trombettiere. Al vederli, i soldati con le spoglie di guerra escono. Marcio si ferma a seguirli con lo sguardo.</I>
MARCIO - Eccoli l, questi eroi da strapazzo!
L'onore di soldato(40) per costoro
non vale pi d'una dracma crepata(41).
Ferri vecchi, cuscini, cucchiaiacci,
giaccacce lise che perfino il boia
seppellirebbe con chi le portava(42),
saccheggian tutto, questi manigoldi,
tutto imballano, per portarlo a casa,
prima ancora che cessi la battaglia!
Che crepassero tutti!... Senti, senti
che chiasso leva di l il generale(43)!
A lui adesso! L c' un uomo, Aufidio,
ch'io odio sovra ogni altra cosa al mondo,
e sta facendo strage di Romani!
Perci, trattieniti, mio prode Tito,
quanti soldati credi che ti servano
per tener la citt; io, nel frattempo,
con quelli che hanno l'animo di farlo,
accorro a dare man forte a Cominio.
LARZIO - Ma tu sanguini, mio nobile Marcio.
Gi troppo dura prova hai sostenuto,
per combattere ancora.
MARCIO - Niente lodi.
Quel che ho fatto non m'ha manco scaldato.
Perdere un po' di sangue, col mio fisico,
fa pi bene che male.<I></I>
Voglio apparir cos davanti a Aufidio,
e battermi con lui.
LARZIO - Possa allora la bella dea Fortuna
innamorarsi di te follemente,
e con la forza dei suoi incantesimi
sviar da te le spade dei nemici,
ed il Successo diventar tuo paggio.
MARCIO - E a te non meno sia il Successo amico
di quanto l' a coloro cui Fortuna
decide di portare in alto. Addio.
<I>(Esce)</I>
LARZIO - Nobile Marcio!
<I>(Al trombettiere)</I>
Va', recati al Foro
e chiama con la tromba a parlamento
tutti i notabili della citt:
che s'adunino in piazza,
per conoscere i nostri intendimenti.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA VI - Il campo di Cominio
Entra COMINIO alla testa di soldati romani in ritirata
</I>
COMINIO - Alt, riprendete fiato, miei soldati!
Vi siete ben battuti!
Ne siamo usciti fuori da Romani,
senza resistere spavaldamente,
senza vigliaccamente ritirarci.
Ci attaccheranno ancora, son sicuro.
Mentre ci scontravamo,
di quando in quando, portate dal vento,
si sentivan le cariche dei nostri
dall'altra parte. Che gli di di Roma
li vogliano guidare alla vittoria,
come speriamo vogliano con noi,
cos che al fine entrambi i nostri eserciti,
incontrandosi col sorriso in fronte,
possano offrirvi, o di,
i sacrifici di ringraziamento!
<I>Entra un MESSAGGERO</I>
Che nuove porti?
MESSAGGERO - Quelli di Corioli,
han fatto all'imprevisto una sortita
e hanno dato battaglia a Larzio e Marcio.
Ho visto io stesso i nostri
che venivano ricacciati indietro
nelle loro trincee; e son partito.
COMINIO - Sar come tu dici,
ma non mi pare sia proprio cos.
Da quanto tempo sei venuto via?
MESSAGGERO - Da pi di un'ora.
COMINIO - Ma da qui a Corioli
non c' nemmeno un miglio di distanza,
e da poco si sono uditi qui
i lor tamburi. Come hai tu potuto
metterci un'ora a percorrere un miglio,
e recar cos tardi il tuo messaggio?
MESSAGGERO - Sulle mie tracce alcune spie dei Volsci
m'hanno dato la caccia, e m'ha costretto
a fare un giro di tre o quattro miglia,
per evitarle; se no, generale,
t'avrei recato gi mezz'ora fa
il mio messaggio.
<I>
Entra MARCIO dal fondo</I>
Ma chi laggi,
che par come se l'abbian scorticato?
O di! Dalla figura sembra Marcio!
L'ho visto gi altre volte in quello stato.
MARCIO - <I>(Da lontano)</I>
Arrivo troppo tardi?
COMINIO - la sua voce.
Saprei distinguerla da altre mille,
meglio di quanto non sappia il pastore
il fragore di un tuono da un tamburo(44).
MARCIO - <I>(Avvicinandosi)</I>
Arrivo troppo tardi?<I></I>
COMINIO - S, se quel sangue che t'ammanta tutto,
sangue tuo, e non sangue nemico(45).
MARCIO - Ah, lascia ch'io ti abbracci
forte, Cominio, e con la stessa gioia
con la quale abbracciai la mia ragazza
al declinar del giorno delle nozze,
quando ardenti bruciavano le fiaccole
a farmi luce sulla via del talamo!
COMINIO - Fior di tutti i guerrieri! E Tito Larzio,
che mi dici di lui?
MARCIO - Ch' tutto preso
ad emanar decreti di giustizia,
chi condannando a morte, chi all'esilio,
di chi accettando il prezzo del riscatto,
con chi indulgente, con chi rigoroso;
tiene Corioli, nel nome di Roma,
al guinzaglio, come un levriero docile
da lasciar libero come si voglia.
COMINIO - <I>(Volgendosi intorno)</I>
Dov' quel miserabile
che poc'anzi venuto ad annunciarmi
che il nemico v'aveva ricacciati
nelle vostre trincee?... Dov'? Chiamatelo!
MARCIO - Lascialo stare. T'ha informato bene.
A parte i nobili, la bassa forza
- peste li colga! E gli han dato i tribuni! -
son fuggiti, come da gatto sorcio,
davanti a scalcagnati pi di loro.
COMINIO - E come avete fatto a prevalere?
MARCIO - C' tempo per spiegartelo? Non credo.
Ma il nemico dov'? Siete rimasti,
a quanto pare, padroni del campo.
Se no, perch cessaste di combattere?
COMINIO - Finora, Marcio, abbiamo combattuto
in una posizione di svantaggio,
e ci siam ritirati di proposito,
per poi rifarci e vincerli.
MARCIO - Sai com'hanno schierato il loro esercito?<I></I>
E dove han messo gli uomini migliori?
COMINIO - Da quel che m' dato indovinare,
in prima linea son quelli di Anzio,
che sono i combattenti pi affidabili,
e li comanda Aufidio,
il vero cuore delle lor speranze.
MARCIO - Ti supplico, Cominio,
per le battaglie combattute insieme,
per il sangue che insieme abbiam versato,
pei giuramenti che ci siam fatti,
fa' in modo ch'io mi trovi faccia a faccia
con Aufidio e con tutti i suoi Anziati,
e non tardare ad attaccar battaglia;
affrontiamoli subito, riempiamo
di frecce l'aria, e di spade brandite.
COMINIO - Sarebbe meglio, penso, nel tuo stato,
ch'io ti faccia condurre ad un bel bagno
e spalmarti d'unguenti le ferite;
ma non sapr giammai negarti nulla.
Scegli tu stesso gli uomini
pi adatti a secondarti nell'azione.
MARCIO - Saranno solo quelli
che mi diranno d'esservi disposti.
<I>(Forte, ai soldati)</I>
Se c' qualcuno qui
- e sarebbe peccato dubitarlo -
cui piaccia questa tinta ond'io, vedete,
sono imbrattato dalla testa ai piedi;
se c' qualcuno che ha meno paura
di rischiare la vita che il suo nome,
che pensa che una morte valorosa
vale pi d'una vita senza onore;
e che la patria val pi che se stesso,
egli solo, o quant'altri in mezzo a voi
si trovino a pensarla come lui,
levino in alto il lor gladio, cos,
per dir che sono pronti a seguir Marcio.
<I>(Tutti, con un grido, agitano in alto i gladii; alcuni sollevano Marcio sulle loro braccia, altri lanciano in aria i berretti) </I>
Di me solo, di me fate una spada(46)! <I></I>
Se queste vostre manifestazioni
non son soltanto mostra,
quale di voi non vale quattro Volsci?
Non c' nessuno che non sia capace
d'opporre al grande Aufidio
uno scudo robusto come il suo.
Io vi ringrazio tutti, ma tra voi
debbo scegliere solo un certo numero.
Gli altri daranno prova in altra impresa,
quando se ne presenti l'occasione.
Ora vi piaccia di sfilarmi innanzi
in bell'ordine, s ch'io possa scegliere
subito quelli pi adatti a seguirmi.
COMINIO - In marcia, miei soldati!
Date prova d'avere quel coraggio
che avete s altamente proclamato,
e ciascuno divider con noi
la sua parte di rischi e di bottino.
<I>(Escono marciando)</I>
<I>SCENA VII - Davanti alle porte di Corioli</I>
<I>TITO LARZIO con un tamburino, un trombettiere e una guida sul punto di partire per recare aiuto a Cominio e Caio Marcio; con lui anche un LUOGOTENENTE con altri soldati</I>
LARZIO -<I> (Al Luogotenente)</I>
Dunque, le porte siano ben guardate.
Attenetevi agli ordini impartiti.
Se lo richieder,
mandate subito quelle centurie(47)
in nostro aiuto. Il resto baster
a tenere per poco la citt;
per poco, s, ch se perdiamo in campo,
la citt non potremo pi tenerla.
LUOGOTENENTE - Va bene, generale, sar fatto(48).
LARZIO - Muoviamo, dunque, e chiudete le porte
dietro di noi.
<I>(Alla Guida)</I>
Andiamo, battistrada,
scortaci fino al campo dei Romani.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA VIII - Il campo di battaglia. Allarme d'assalto </I>
<I>Entrano da parti opposte, AUFIDIO e MARCIO</I>
MARCIO - Con te e con nessun altro
voglio battermi, ch ti porto un odio
quale nemmeno al peggiore spergiuro.
AUFIDIO - Siamo pari. Non c' serpente in Africa
ch'io aborrisca pi della tua fama
e della tua rivalit. Difenditi(49)!
MARCIO - Il primo che fa un solo passo indietro
muoia schiavo dell'altro,
e poi gli di lo dannino in eterno.
AUFIDIO - Se mi vedi fuggire,
urlami dietro, Marcio, come un cane
corre abbaiando dietro ad una lepre.
MARCIO - Tullo, da meno di tre ore, io,
da solo ho combattuto contro tutti
dentro le mura della tua Corioli,
facendo tutto quello che ho voluto.
Lo vedi questo sangue
di cui sono imbrattato? Non mio.
Chiama a raccolta tutte le tue forze,
adesso, se vuoi farne tu vendetta.<I></I>
AUFIDIO - Fossi tu pure l'Ettore di Troia
che della tua altezzosa progenie
fu la frusta(50), stavolta non mi scappi.
<I>(Si battono. Soldati volsci accorrono in aiuto ad Aufidio, ma Marcio li ricaccia tutti indietro)</I>
<I>(Ai suoi soldati)</I>
Gente zelante, ma non valorosa,
con questo vostro maledetto aiuto
m'avete sol coperto di vergogna!
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA IX - Il campo romano</I>
<I>Squilli di tromba come segnali di carica. Trambusto e cozzo d'armi all'interno. Poi, segnale di ritirata(51) </I>
<I>Entra da una parte COMINIO con l'esercito romano; dall'altra MARCIO con un braccio al collo
</I>
COMINIO - Marcio, foss'io a raccontare a te
quel che t'ho visto fare oggi in battaglia,
tu stesso non mi presteresti fede.
Ma lo riferir
dove saranno a udirlo senatori
che mesceranno lacrime a sospiri
ad ascoltarlo: dove grandi nobili
ascolteranno, prima spallucciando
tra loro increduli, infine ammirati;
dove matrone, dapprima atterrite,
poi trepidanti d'intimo piacere,
vorranno udirmi raccontare ancora;
dove gli ottusi, stupidi tribuni,
che insieme alla lor plebe puzzolente
t'hanno in odio, dovranno a malincuore
pur esclamare: "Sien grazie agli di
che Roma ha un tal soldato!".
Senza dire che tu, ad un tal banchetto
sei venuto per dare solo un morso,
avendo gi mangiato a saziet(52).
<I>Entra TITO LARZIO con l'esercito, di ritorno dall'aver inseguito i Volsci in rotta</I>
LARZIO -<I> (A Cominio, indicando Marcio)</I>
Generale, il cavallo di battaglia
lui, noi siamo la sua bardatura.
Lo avessi visto!...
MARCIO - Evvia, basta, ti prego!
Anche mia madre, che pure ha il diritto
di vantar con orgoglio il proprio sangue,
se si mette ad elogiarmi, mi fa male.
Ho fatto ci che avete fatto tutti,
cio quanto ho potuto, come voi
animato da un solo sentimento,
l'amor della mia patria.
Chiunque abbia operato con nient'altro
che con la propria buona volont,
ha fatto esattamente come me.
COMINIO - Non sarai tu la tomba dei tuoi meriti(53).
Roma deve sapere quanto vali.
Tener nascoste al mondo le tue gesta,
sarebbe compiere un trafugamento
peggior d'un furto; ammantar di silenzio
qualcosa che quand'anche proclamata
sui vertici pi alti dell'elogio
apparirebbe ancor ben pi modesta
della realt, non minor delitto
d'una calunnia. Perci ti scongiuro:
per quello che tu sei,
e non in premio di quello ch'hai fatto,
ascoltami davanti al nostro esercito.
MARCIO - Le ferite ch'ho addosso
mi dolgono a sentirsi ricordare.
COMINIO - Potrebbero, se non le ricordassimo,
esulcerate dall'ingratitudine,
curarsi da se stesse con la morte.
Di tutti quei cavalli
- e ne abbiam catturati d'assai buoni
ed in gran numero - e del bottino
conquistato sul campo ed in citt,
noi ti assegniamo la decima parte,
che potrai scegliere liberamente
prima che sia spartito tutto il resto.
MARCIO - No, generale, grazie,
ma non potrei convincere il mio cuore
ad accettare un dono sottobanco(54)
per pagar la mia spada. Lo rifiuto,
e reclamo per me semplicemente
la parte che hanno avuto tutti gli altri
ch'hanno partecipato alla battaglia.
<I>(Lunga fanfara(55). Tutti gridano: "Marcio!", lanciando in aria i berretti e le lance. Cominio e Larzio restano a capo scoperto)</I>
Questi strumenti che voi profanate(56)
non risuonino pi cos a sproposito!
Quando tamburi e trombe
son ridotti, sul campo di battaglia,
a strumenti per adulare, allora
si riempian le corti e le citt
di genti dalle facce false e ipocrite.
Quando l'acciaio si fa cos morbido
come la seta addosso al parassita,
s'elevi questo a simbolo di guerra(57)!
Basta, basta, vi dico!
Sol perch'io non mi son lavato il naso
che sanguinava, sol ch'abbia abbattuto
qualche misero scarto di natura
- ci che molti altri han fatto come me
senza la minima nota di elogio -
ecco che voi mi portate alle stelle
con iperboliche acclamazioni,
come s'io fossi un uomo
che tenesse a vedere la pochezza
ch'ei sa di essere alimentata
dalle lodi con salsa di menzogne.
COMINIO - Tu sei troppo modesto,
e pi spietato contro la tua fama
che grato a noi che te la tributiamo
con tutto il cuore. Con tua buona pace,
per, se sei irritato con te stesso,
ti metteremo le manette ai polsi
come ad uno deciso a farsi male,
cos potremo ragionare insieme
senza incorrere in chi sa quali rischi(58).
Perci sia proclamato a tutto il mondo,
come a noi tutti qui, che Caio Marcio
di questa guerra il vero vincitore(59),
ed io per questa sua benemerenza
gli faccio dono del mio bel corsiero,
animale famoso in tutto il campo,
e della relativa bardatura.
E d'ora in poi per quanto egli ha compiuto
di valoroso davanti a Corioli,
con unanime applauso ed un sol grido,
si chiami Caio Marcio "Coriolano".
<I>(A Coriolano(60) )</I>
Di questo titolo sii sempre degno!
TUTTI - <I>(Con applausi e suon di trombe e tamburi)</I>
Sia gloria a Caio Marcio Coriolano!
CORIOLANO - Ora vado a lavarmi, e sul mio viso
poi che l'avr pulito, osserverete
se me l'avrete fatto o no arrossire.
Comunque vi ringrazio.
<I>(A Cominio)</I>
Intendo cavalcare il tuo destriero,
ed il bel soprannome che m'hai dato
porter sempre, e nel modo pi degno,
in cima al mio cimiero.
COMINIO - Ora torni ciascuno alla sua tenda:
io, nella mia, prima di riposare,
scriver a Roma del nostro successo.
Tu, per, Tito Larzio,
necessario che torni a Corioli,
e mandi a Roma i loro pi autorevoli,
coi quali, per il bene loro e nostro,
si possa negoziare.
LARZIO - Lo far.
CORIOLANO - Gli di cominciano a prendermi a gioco:
ho appena rifiutato d'accettare
doni degni d'un principe,
ed eccomi costretto a mendicare
qualcosa dal mio comandante in capo.
COMINIO - Gi concessa, tua. Di che si tratta?
CORIOLANO - Io, a Corioli, pi d'una volta
fui ospite di un certo pover'uomo
che mi si dimostr molto cortese.
L'ho visto adesso qui, tra i prigionieri,
che mi gridava aiuto; in quell'istante
per m' apparso innanzi agli occhi Aufidio,
e l'ira ha sopraffatto la piet.
Ecco, ti chiedo di lasciare libero
quel mio buon ospite.
COMINIO - E bene hai chiesto!
Fosse pur l'assassino di mio figlio,
libero se n'andrebbe, come l'aria.
<I>(A Larzio)</I>
Rilsciaglielo, Tito.
LARZIO - Il nome, Marcio?
CORIOLANO - Per gli di, me lo son dimenticato!
Sono stanco, ho la mente affaticata(61)...
Non avreste del vino?
COMINIO - Alla mia tenda, Marcio, andiamo, vieni.
Il sangue sulla faccia ti si secca.
Pensiamo intanto a questo, adesso. Vieni.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA X - Il campo dei Volsci
Fanfara di cornette. Entra AUFIDIO tutto coperto di sangue, con dei soldati </I>
AUFIDIO - La citt presa.
PRIMO SOLDATO - Ce la renderanno
a buone condizioni.
AUFIDIO - Condizioni!... Romano vorrei essere,
ch da volsco non sono pi me stesso!
Condizioni!... Che buone condizioni
pu portare una resa a discrezione
alla parte ch' alla merc dell'altra?
O Marcio, ho combattuto cinque volte
con te, e cinque volte tu m'hai vinto;
e faresti altrettanto, son sicuro,
c'incontrassimo pure tante volte
quante ogni giorno ci sediamo a mensa.
Ma, pel cielo e la terra!,
se accadr ch'io mi trovi un'altra volta
faccia a faccia con lui, o io o lui!
Il mio spirito di rivalit
ha perduto ogni scrupolo d'onore;
ch, se prima pensavo di schiacciarlo
ad armi pari, spada contro spada,
ora, sia l'ira a darmelo o l'astuzia,
non pi, qualsiasi mezzo sar buono
a spacciarlo.
PRIMO SOLDATO - il diavolo in persona.
AUFIDIO - Pi ardito, anche, se pur meno furbo.
Il mio valore come avvelenato
solo a soffrire d'essere oscurato
per colpa sua; e per causa di lui
sar costretto a fuggir da se stesso(62).
Non ci sar n sonno n santuario(63),
sia nudo o infermo, non ci sar tempio
n Campidoglio, non sacre preghiere
n cerimonia d'offerta agli di,
- tutti freni al furore scatenato -
ad arginare l'odio mio per Marcio
in forza del lor marcio privilegio
e dell'usanza che ancor li sostiene.
Dovunque me lo trovi innanzi agli occhi,
foss'anche a casa mia, pure l,
l'avesse pur mio fratello in custodia,
contro ogni legge d'ospitalit,
laver la mia mano inferocita
nel suo cuore... Tu ora va' in citt(64),
informati in che modo presidiata
e chi son quelli ch'essi hanno prescelto
per inviarli a Roma come ostaggi.
PRIMO SOLDATO - Tu non ti muovi(65)?
AUFIDIO - S, sono aspettato
al bosco dei cipressi. L, ti prego
( a sud della citt, dopo i mulini)
fammi sapere come stan le cose,
ch'io possa regolarmi
su quale corso muovere i miei passi.
PRIMO SOLDATO - E cos sar fatto, comandante.
<I>(Escono)</I>
<I>
<B></I>ATTO SECONDO</B>
<I>SCENA I - Roma, una piazza</I>
<I>Entrano MENENIO e i tribuni SICINIO e BRUTO, incontrandosi
</I>
MENENIO - L'augure dice che per questa sera
avremo novit.
BRUTO - Buone o cattive?
MENENIO - Non certo tali da piacere al popolo,
che non vuol bene a Marcio.
SICINIO - Natura insegna pure agli animali
a conoscere chi loro amico.
MENENIO - Gi, guarda, infatti: a chi vuol bene il lupo?
SICINIO - All'agnello.
MENENIO - S, appunto: per sbranarselo;
come vorrebbero fare con Marcio
gli affamati plebei.
BRUTO - Quello un agnello
per che bela come un orso.
MENENIO - Un orso,
che vive tuttavia come un agnello.
Beh, voi siete due uomini maturi,
ditemi solo questo.
I DUE TRIBUNI - Ossia, che cosa?
MENENIO - Che vizi possono imputarsi a Marcio,
che voi due non abbiate in abbondanza(66)?
BRUTO - Nessuno gliene manca; anzi, di tutti,
si pu dir che possieda ampia provvista.
SICINIO - Specialmente di boria.
BRUTO - E di alterigia come nessun altro.
MENENIO - Ah, questo s che buffo!
Lo sapete voi due come vi giudicano
in citt... S, qui, dico, in mezzo a noi
della fila di destra(67)? Lo sapete?
I DUE TRIBUNI - Ebbene, come siamo giudicati?
MENENIO - Voi che parlate tanto d'alterigia...
se ve lo dico non andrete in collera?
I DUE TRIBUNI - Bene, allora?...
MENENIO - Del resto, poco male,
tanto si sa che a voi basta un'inezia
per farvi uscire dai gangheri(68)... Ma s,
lasciate pur andar la briglia sciolta
sul collo ai vostri permalosi umori,
e andate in collera quanto vi pare,
se ci provate gusto!... Proprio voi,
accusar d'alterigia Caio Marcio?
BRUTO - Non siamo i soli.
MENENIO - Ah, questo lo so bene!
Da soli voi sapete far ben poco;
ed perch son tanti ad aiutarvi
che riuscite a fare anche quel poco:
troppo infantili sono i vostri mezzi
perch riusciate a far molto da soli.
E venite a parlare d'alterigia!
Ah, poteste rivolger gli occhi in dentro,
nei meandri dei vostri cervicali
e fare un bell'esame di coscienza!
Magari lo poteste!
BRUTO - Ebbene, allora?
MENENIO - Allora scoprireste un'accoppiata
di magistrati scialbi, senza meriti,
e tuttavia boriosi, prepotenti,
lunatici, bizzosi, e insomma stolidi,
come non ce n' a Roma nessun altro.
SICINIO - Va' l, Menenio, che anche tu sei noto...
MENENIO - S, lo so, sono noto
per essere un patrizio un poco estroso,
al quale piace un buon bicchier di vino(69)
non annacquato nell'acqua del Tevere;
uno di cui si dice che ha il difetto
di dar ragione al primo che reclama;
uno che prende fuoco facilmente;
uno che bazzica pi volentieri
il nero deretano della notte
che non la chiara fronte del mattino.
Io quel che ho dentro ce l'ho sulla bocca
e la malizia m'esce via col fiato.
Se mi trovo con due politici
(che non posso dir certo due Licurghi(70) )
come voi, e volete darmi a bere
qualcosa ch' sgradito al mio palato,
fo boccacce. Non posso certo dire
che le signorie vostre han detto bene
una cosa, se in ogni vostra sillaba
io trovo tutto un concentrato d'asino(71).
E se sopporto con rassegnazione
chi mi dice che siete uomini seri
e rispettabili, dico ch' un bugiardo
chiunque dica che le vostre facce.
son facce oneste. E ammesso che voi due
riusciate a legger questo sulla mappa
del microcosmo della mia persona,
ne segue forse che possiate dire
di conoscermi bene? E se pur fosse,
qual difetto riescono a discernere
le vostre miopi facolt visive
in questa mia natura?
BRUTO - Via, Menenio,
pensiamo di conoscerti abbastanza!
MENENIO - No, voi non conoscete n Menenio,
n voi stessi, n niente! Siete solo
ambiziosi di scappellate e inchini
dalla parte di misere canaglie.
Siete capaci di buttare ai cani
il tempo d'una intera mattinata
ad ascoltare la banale bega
tra un'ortolana(72) e un venditor di zaffi,
per rinviare poi ad altra udienza
quella controversiuccia da tre soldi.
E se, mentre sedete ad ascoltare
in una lite l'una e l'altra parte(73),
v'accade d'esser colti dalla strizza
d'andar di corpo, fate mille smorfie,
da somigliare a delle marionette,
innalzate bandiera rosso-sangue(74)
contro chiunque non voglia aspettare(75),
e, bofonchiando in cerca d'un pitale,
lasciate l la causa nel bel mezzo,
a sanguinar pi imbrogliata di prima(76);
col risultato che la conclusione
che sarete riusciti ad apportare
alla vertenza sar stata in tutto
l'aver chiamato entrambi i litiganti
"farabutti". Che bella coppia, siete!
BRUTO - E tu? Va' l che tu sei meglio noto
come un brillante pigliaingiro a tavola
che come un altrettanto indispensabile
occupante d'un seggio in Campidoglio(77)!
MENENIO - Perfino i nostri bravi sacerdoti
devono diventar delle linguacce
se son costretti ad aver a che fare
con tipi della vostra bassa tacca(78).
Quel che sapete dire di pi acconcio
non vale l'agitarsi che nel dirlo
fanno le vostre barbe; quelle barbe
che non meritan fine pi onorata
che d'andare a servir da imbottitura
al cuscino di qualche tappezziere
o d'esser chiuse dentro a un basto d'asino(79).
E tuttavia dovete andar dicendo
a destra e a manca che Marcio superbo;
lui, che a stimarlo poco,
val pi di tutti i vostri antecessori
presi insieme, da Deucalione in gi(80);<I></I>
anche se casualmente, tra coloro,
ci sia stato qualcuno, tra i migliori,
col mestiere di boia ereditario.
Ma buona sera alle eccellenze vostre;
ch a star ancora a discuter con voi,
mandriani del plebeo bestiale armento,
c' rischio d'infettarsi le cervella.
<I>Fa per allontanarsi, quando vede arrivare VOLUMNIA, VIRGINIA e VALERIA. Bruto e Sicinio si fanno da parte mentre Menenio va loro incontro</I>
Oh, le mie belle e nobili matrone!
Non sarebbe pi nobile la Luna,
se mai fosse terrena creatura.
Dov' che indirizzate in tanta fretta
i vostri passi?
VOLUMNIA - Nobile Menenio,
sta per giungere qui mio figlio Marcio.
Lasciaci andare, per Giove e Giunone!
MENENIO - Ah, Marcio torna a casa?
VOLUMNIA - S, Menenio,
e accompagnato dal pi vivo applauso,
e dai migliori auspici.
MENENIO - <I>(Gettando in aria il berretto in segno di gioia)</I>
Oh allora, Giove,
prenditi il mio berretto, e ti ringrazio!
Dunque, Marcio ritorna?
VIRGINIA E VALERIA - S, Menenio.
VOLUMNIA - Guarda, ho qui una sua lettera;
un'altra l'ha il Senato, una sua moglie;
e ce n' un'altra, credo, anche per te,
a casa tua.
MENENIO - Per me? Una sua lettera?...
Uh, uh, stanotte, per tutti gli di,
mi metto a far ballar tutta la casa!
VIRGINIA - Proprio cos, una lettera per te.
L'ho vista con i miei occhi.
MENENIO - Una sua lettera!
Mi regala sette anni di salute!
Per sette anni far boccacce al medico!
A fronte d'una tale medicina,
la ricetta pi eccelsa di Galeno(81)
uno specifico da ciarlatano(82)!
Peggio d'un beverone da cavallo!
Non mica ferito?... Perch sempre
torn a casa ferito le altre volte.
VIRGINIA - Oh, no, no, no, no, no!
VOLUMNIA - Ferito, s,
ed io di ci rendo grazie agli di.
MENENIO - Anch'io, se non lo sia di troppo grave...
Le ferite stan bene
a chi si porta la vittoria in tasca.
VOLUMNIA - Lui se la porta in fronte, la vittoria,
ed la terza volta che mi torna
col capo cinto di foglie di quercia!
MENENIO - E Aufidio? L'ha sistemato a dovere?
VOLUMNIA - Secondo quanto scrive Tito Larzio,
si son scontrati, ma quello scappato.
MENENIO - E per fortuna sua, gliel'assicuro!
Ch se fosse rimasto, io, al suo posto,
non mi sarei voluto "aufidizzare"
per tutto l'oro che sta custodito
dentro le casseforti di Corioli.
Il Senato informato?
VOLUMNIA - <I>(A Virginia e Valeria)</I>
Andiamo, donne.
VALERIA - Oh, s, di lui si dicon meraviglie.
MENENIO - Meraviglie! Ma certo! E tutte vere(83),
garantito!
VIRGINIA - Cos voglion gli di!
VOLUMNIA - Che siano vere? Toh, sentite questa!
MENENIO - Che siano vere, son pronto a giurarlo.
Dov' ferito?...
<I>(S'interrompe vedendo avvicinarsi i due Tribuni)</I>
Vostre signorie,
che Dio(84) le salvi, Marcio sta tornando,
ed ha ancor pi ragioni, questa volta,
d'esser superbo.
<I>(Alle due donne)</I>
Dov' ch' ferito?
VOLUMNIA - Alla spalla ed al braccio, qui, a sinistra.
Ce ne saran di belle cicatrici
da scodellare al popolo
quando concorrer per la sua carica!
Sette ne ha ricevute per il corpo
nel cacciare Tarquinio(85).
MENENIO - Un'altra al collo,
altre due alla coscia, e fanno nove,
ch'io conosca.
VOLUMNIA - Ne aveva venticinque
quando iniziata questa spedizione.
MENENIO - Sicch con queste fanno ventisette:
e ogni tacca la tomba d'un nemico.
<I>(Uno squillo di tromba, poi fanfara da dentro, con clamori di popolo)</I>
Ecco le trombe.
VOLUMNIA - Sono i suoi araldi.
Egli si porta innanzi a s i clamori,
dietro si lascia lacrime.
Nel suo possente braccio sta di stanza
il tenebroso spirito, la Morte.
Esso avanza con lui, con lui colpisce,
e gli uomini periscono(86).
<I>Fanfara. Entrano, in pompa, COMINIO e TITO LARZIO, in mezzo a loro CORIOLANO cinto il capo di foglie di quercia, indi ufficiali, soldati e un ARALDO</I>
ARALDO - Sappia Roma che Marcio ha combattuto,
lui solo, tra le mura di Corioli,
dove s' guadagnato, con la gloria,
un nome: Coriolano, che va aggiunto,
quale segno d'onore, d'ora in poi,
a quello suo. Sii benvenuto a Roma,
illustre Caio Marcio Coriolano!
TUTTI - Benvenuto, illustre Coriolano!
CORIOLANO - Basta! M'offende l'anima. Vi prego!
COMINIO - Guarda, Marcio, tua madre.
CORIOLANO - Oh, tu, lo so,
hai pregato gli di pel mio successo.
<I>
(S'inginocchia)</I>
VOLUMNIA - No, mio bravo soldato, alzati, su!
Marcio mio nobile, mio degno Caio...
ora che t'hanno dato un soprannome
in onore delle tue grandi gesta,
come debbo chiamarti... Coriolano?
Mah, oh!, ecco tua moglie!
CORIOLANO - <I>(A Virginia)</I>
Mio grazioso silenzio(87), ti saluto!
Piangi a vedermi tornar vittorioso,
perch? Avresti atteso, per sorridere,
ch'io ti fossi tornato in una bara?
Occhi, mia cara, come questi tuoi
hanno a Corioli le madri e le vedove
rimaste senza i lor figli e mariti.
MENENIO - E ora t'incoronino gli di!
CORIOLANO - Anche tu qui, Menenio(88)?
<I>(A Valeria)</I>
Oh, mia gentile signora, perdonami(89).
VOLUMNIA - Non so dove voltarmi...
<I>(A Cominio)</I>
Generale,
ben tornato anche a te... ed a voi tutti!
MENENIO - Bentornati, s, centomila volte!
Mi vien da piangere, mi vien da ridere,
son triste e allegro insieme.
<I>(A Coriolano)</I>
Bentornato!
Un cancro(90) morda il cuore alla radice
a chi non contento di vederti!
Siete tre uomini che tutta Roma
dovrebbe amare; e invece, guarda un po'(91),
abbiamo in casa dei meli selvatici
che non si vogliono far innestare
al vostro gusto. Ma, a loro dispetto,
bentornati guerrieri! Noi l'ortica
chiamiamo ortica, e chiamiamo sciocchezza
l'errore degli sciocchi.
COMINIO - Sempre giusto, Menenio.
CORIOLANO - Sempre, sempre.
ARALDO - <I>(Alla folla)</I>
Largo, largo!
CORIOLANO - <I>(A Volumnia e Virginia, prendendole per mano)</I>
La tua mano, e la tua.
Prima di ritirarmi in casa nostra(92),
debbo rendere omaggio ai senatori(93)
dai quali insieme col loro saluto
ho ricevuto anche nuovi onori.
VOLUMNIA - Sar vissuta fino a veder oggi
realizzati i desideri miei
ed avverate le mie fantasie.
Manca solo una cosa,
ma non dubito che la nostra Roma
te la conceder.
CORIOLANO - Ricordati, per, mia buona madre,
che tuo figlio preferir comunque
d'essere loro servo a modo suo,
piuttosto che padrone a modo loro.
COMINIO - Avanti, al Campidoglio!
<I>
(Trombe. Escono tutti in corteo, meno BRUTO e SICINIO)</I>
BRUTO - Tutte le lingue parlano di lui,
ed anche quelli che han la vista debole
si procurano occhiali per vederlo(94).
La balia, per pettegolar di lui,
lascia il proprio marmocchio a urlare e piangere
fino a venirgli il convulso; la sguattera
s'appunta attorno al suo bisunto collo
la stola pi vistosa(95) e per vederlo
s'arrampica sul muro per guardarlo;
gremiti stalli, banchine, finestre;
su i tetti, a cavalcioni sui comignoli
gente d'ogni colore e d'ogni risma,
tutti presi dall'ansia di vederlo.
Persino i flmini(96) (che raramente
dato di vedere per la via)
si pigiano affannati tra la calca
per conquistarsi un posto in mezzo a loro.
Le matrone le delicate guance
solitamente protette da un velo,
sulle quali con sfida civettuola
lottano il bianco e il rosa damaschino(97),
espongon oggi al lascivo saccheggio
degli infuocati baci del Dio Sole(98):
un'atmosfera cos surreale,
da far pensar che un dio,
per guidarlo, si sia insinuato
furtivo nelle sue facolt umane,
e gli abbia dato una forma divina.
SICINIO - Io, per me, gi lo vedo fatto console.
BRUTO - Allora s che il nostro tribunato
potr dormire i suoi sonni beati
per tutto il suo mandato!
SICINIO - Non uomo
capace di tenersi in quella carica
fino al termine. Finir col perderla.
BRUTO - Ci mi conforta.
SICINIO - Puoi restarne certo.
Il popolo, che noi rappresentiamo,
non fosse che per antico rancore,
si scorder, alla minima occasione,
di queste nuove sue benemerenze;
e l'occasione l'offrir lui stesso,
cosa ch'io tengo altrettanto per certa
come la sua superbia nell'offrirglielo.
BRUTO - L'ho sentito giurare
che se dovesse candidarsi a console,
mai lo farebbe scendendo nel Foro,
e nemmeno umiliandosi a indossare
la lisa tunica dell'umilt,
n mostrando le sue ferite al popolo
per mendicarne i puzzolenti voti(99).
SICINIO - Bene.
BRUTO - Son sue parole.
Oh, lui piuttosto vi rinuncerebbe
se lo dovesse chiedere altrimenti
che per espressa richiesta dei nobili
e per unanime loro volere.
SICINIO - Per me, io non desidero di meglio:
si tenga fermo in un tale proposito,
e agisca in conseguenza.
BRUTO - assai probabile che lo far.
SICINIO - E sar allora, come ci auguriamo,
per lui andare a sicura rovina.
BRUTO - Cos dev'essere; se no, per noi
sar la fine del nostro potere.
Perci sta a noi di ricordare al popolo
l'odio ch'egli nutr sempre per loro;
spiegar a tutti che, fosse per lui,
avrebbe fatto di ciascun di loro
bestia da soma, ridotto al silenzio
i loro difensori; conculcate
le loro libert: perch li stima,
quanto alla lor capacit di fare,
inferiori per facolt d'intendere
ed attitudine di stare al mondo,
ai dromedari usati per la guerra,
a cui si somministrano foraggi
sol perch possano portare il carico,
salvo ad ucciderli a bastonate
quando sotto quel carico stramazzano.
SICINIO - S, appunto, questo, come tu lo dici
va ricordato al momento opportuno,
quando la tracotante sua burbanza
toccher il colmo s da urtare il popolo
(e l'occasione non potr mancare
se saremo noi stessi a trascinarvelo,
cosa altrettanto facile
quanto aizzar dei cani contro un gregge);
e sar questa l'esca che d'un colpo
accender le loro vecchie stoppie;
e la loro fiammata
l'oscurer per sempre.
<I>Entra un MESSAGGERO</I>
BRUTO - <I>(Al Messaggero)</I>
Che c' adesso?
MESSAGGERO - Vengo a dirvi di andare in Campidoglio.
Sembra che Marcio sar fatto console.
Ho visto fare ressa, per vederlo,
pure i muti, ed i ciechi per udirlo;
le matrone gettargli i loro guanti
mentre passava, e donne e giovinette
le loro sciarpe, i loro fazzoletti;
i nobili inchinarsi avanti a lui
come davanti alla statua di Giove,
e il popol tutto fare pioggia e tuono
coi lor berretti in aria e i loro strilli...
Cose mai viste!
BRUTO - Andiamo in Campidoglio.
Occhi e orecchi attenti,
e cuore pronto a tutto.
SICINIO - Eccomi, andiamo.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA II - Roma, il Campidoglio</I>
<I>Due USCIERI stanno disponendo i cuscini sui seggi dei senatori</I>
PRIMO USCIERE - Su, su, sbrighiamoci. Son qui che arrivano.
Quanti sono a concorrere per console?
SECONDO USC. - Dicono tre, ma tutti son convinti
che ad ottenerlo sar Coriolano.
PRIMO USCIERE - Un tipo valoroso, ma superbo
come nessuno; e poi non ama il popolo.
SECONDO USC. - Oh, quanto a questo se ne son ben visti
uomini illustri che te l'han lisciato,
e mai gli sono entrati in simpatia;
cos come altri ch'esso ha benvoluto
senza saper perch.
II popolo cos: vuol bene o male
a questo o a quello senza una ragione.
Perci, dunque, riguardo a Coriolano,
il fatto ch'egli non tenga alcun conto
s'essi l'abbiano in odio o in simpatia
prova solo che li conosce bene,
e glielo lascia intendere ben chiaro
con la sua signorile indifferenza.
PRIMO USCIERE - Mah! Se davvero non gliene importasse
ch'essi l'abbiano o no in lor favore,
dovrebbe mantenersi in equilibrio,
senza far loro n bene n male;
invece va cercando il loro odio
pi che non faccian essi a ricambiarglielo,
e non trascura nessuna occasione
perch'essi possano scoprire in lui
apertamente il loro gran nemico.
SECONDO USC. - Ha bene meritato della patria,
e va detto altres che la sua ascesa
non stata per facili gradini
come quella di chi, facendo mostra
di sorrisi e premure per il popolo,
riverito a inchini e scappellate
dallo stesso, senza aver fatto nulla
per meritarsene stima e rispetto.
Ma lui riuscito cos bene
a imprimere nei lor occhi i suoi meriti
e in tutti i loro cuori le sue gesta,
che s'essi non volessero parlarne
e rifiutassero di riconoscerli,
si renderebbero certo colpevoli
di una forma di nera ingratitudine.
Cos come il parlar male di lui
sarebbe veramente una malizia
destinata a smentirsi da se stessa,
perch chiunque si trovasse a udirla,
la smentirebbe subito, con sdegno.
PRIMO USCIERE - Insomma, un uomo di tutto rispetto.
Basta, facciamo luogo. Ecco che arrivano.
<I>Preceduti da squilli di tromba e da littori entrano i SENATORI, i TRIBUNI DELLA PLEBE, poi CORIOLANO, MENENIO, COMINIO. Siedono tutti sui loro scanni, i senatori da una parte, i tribuni dall'altra. Coriolano resta in piedi</I>
MENENIO - Dunque, poich dei Volsci s' deciso,
ed altres di richiamare in patria
Tito Larzio, non resta che decidere
in questa nostra coda di seduta
come ed in che misura compensare
i servigi di chi s nobilmente
ha combattuto per la propria patria.
Perci vi piaccia chiedere,
reverendissimi e saggi maggiori(100),
a colui che ha la carica di console
ed stato alla testa dell'esercito
in questa nostra fortunata impresa,
di farci una succinta esposizione
dell'encomiabile comportamento
di Caio Marcio Coriolano; al quale
siamo qui riuniti per dar merito
e decretare, in riconoscimento,
onori che a tal merito sian pari.
<I>(Coriolano si siede)</I>
PRIMO SENATORE - Bene, a te la parola, buon Cominio.
Non omettere alcun particolare
per il timore d'apparir prolisso;
dicci anzi cose da farci pensare
che sia piuttosto la nostra repubblica
a mancare dei mezzi convenienti
a sdebitarsi, che l'animo nostro
a voler ch'essi sian quanto pi alti.
<I>(Ai tribuni)</I>
A voi, capi del popolo,
chiediamo di prestar cortese orecchio,
e di voler, dopo aver ascoltato,
usar la vostra influenza col popolo,
per ottenere ch'esso sia concorde
con quanto sar qui deliberato.
SICINIO - Siamo qui convocati
per discutere sopra una materia
che trova tutto il nostro gradimento(101);
e siam di tutto cuore favorevoli
ad onorare e innalzare l'uomo
ch' l'argomento di questa assemblea.
BRUTO - E tanto pi favorevoli a farlo
saremo, s'egli si ricorder
di nutrir per il popolo una stima
un poco pi benevola
di quella che ha finora dimostrato.
MENENIO - Questo non c'entra! Non ci azzecca niente!
Avresti fatto meglio a stare zitto!
Volete compiacervi, s o no,
di ascoltare Cominio?
BRUTO - Volentieri.
Ma il mio avvertimento di poc'anzi
era pi pertinente all'argomento
di quanto non sia ora il tuo rabbuffo!
MENENIO - Coriolano vuol bene al vostro popolo;
Ma non puoi obbligarlo fino al punto
di diventar suo compagno di letto.
Parla, degno Cominio, ti ascoltiamo(102).
<I>(Coriolano, a questo punto, s'alza e fa per lasciar la sala)</I>
Ehi, che fai?... Fermo l. Resta al tuo posto!
PRIMO SENATORE - S, siedi, Coriolano.
Non dev'esser motivo di vergogna
per te ascoltare tutto ci ch'hai fatto
di nobile.
CORIOLANO - Le vostre signorie
mi scuseranno, ma preferirei
vedermi riaperte e doloranti
le ferite, che stare ad ascoltare
come le ho ricevute...
BRUTO - Non siano state le parole mie,
voglio sperare, a farti alzar dal seggio.
CORIOLANO - No, se pur siano state le parole
spesso a farmi scappare anche da luoghi
da cui nemmeno dure sciabolate
sarebbero riuscite a trattenermi.
Tu non m'hai adulato, tuttavia,
e le parole tue non m'han ferito.
Quanto per al tuo popolo,
gli voglio bene per quel ch'esso vale...
MENENIO - Ti prego, avanti, siedi.
CORIOLANO - Preferirei restare sotto il sole,
in ozio, a farmi grattare la testa
quando suonasse l'allarme di guerra(103),
che starmene seduto qui, per niente,<I></I>
ad udir magnificare i miei nonnulla.
<I>(Esce)</I>
MENENIO - <I>(Ai tribuni)</I>
Ecco, capi del popolo,
ditemi adesso voi come un tal uomo
potrebbe mai ridursi ad adulare
il prolifico vostro canagliume
- ch di buoni ce n' uno su mille -
quando voi stessi l'avete ora visto
pronto a tutto rischiare per l'onore,
piuttosto che prestare un solo orecchio
a sentire esaltare le sue gesta...
Parla, avanti, Cominio.<I> </I>
COMINIO - Mi mancher la voce. Troppo flebile
la mia per ridir di Coriolano
le gesta(104). Se il valore militare
nell'uomo la massima virt,
che nobilita assai chi la possiede,
l'uomo del quale mi accingo a parlare
non ha chi possa stargli a pari al mondo.
Aveva sedici anni
quando Tarquinio mosse contro Roma,
e combatteva gi meglio di tutti;
e il nostro dittatore di quel tempo(105)
che voglio ricordar con ogni lode,
l'osservava, col suo mento d'Amazzone(106),
battersi in armi e ricacciare in fuga
avversari con baffi sulle labbra;
e lo vide piantarsi a gambe larghe
su un Romano caduto, e in quella posa
affrontare ed uccider tre nemici.
Poi si scontr con lo stesso Tarquinio
e, d'un sol colpo, lo forz in ginocchio.
Tra i fasti di quel d, quel giovinetto
che avrebbe ben potuto recitare
una parte di donna sulle scene(107),
si dimostr il miglior soldato in campo
meritandosi, in degna ricompensa,
una corona di foglie di quercia(108).
Entrato poi dall'et minorile
nella virilit, simile al mare
quando ingrossa, venuto su crescendo
e in diciassette battaglie, da allora,
ha rubato la palma a ogni altra spada.
Quanto poi a quest'ultima sua gesta,
fuori e dentro le mura di Corioli,
devo dire che non ho parole adatte
a riferirne come si conviene.
Ha fermato i suoi legionari in fuga,
e col suo raro esempio ha volto in gioco
quella ch'era paura nei codardi.
Davanti alla sua prua,
come alghe sotto l'urto d'un vascello
lanciato a tutto vento, obbedienti,
si piegavano gli uomini e cadevano;
la sua spada, come mortal sigillo
lasciava il segno ovunque s'abbattesse,
Era, da capo a piedi, tutto sangue
ogni suo gesto essendo punteggiato
dal grido dei morenti.
Varc da solo la fatale porta
della citt, segnandola cos
col crisma d'un destino inesorabile;
poi senza alcun aiuto ne sort,
e, ricevuto un rapido rinforzo,
piomb sopra Corioli con la forza
d'un fatal pianeta(109). Da quel punto,
tutto era in mano sua, quando, di nuovo,
il lontano clamor della battaglia
ferisce i suoi sempre vigili sensi:
allora il suo coraggio, raddoppiato,
ravviva subito nella sua carne
quel che v'era di stanco e affaticato,
e l torna sul campo di battaglia,
dove imperversa, fumante di sangue,
sopra i nemici come in una strage
che non dovesse avere mai pi fine;
e fino a che non potemmo dir nostro
tutto il terreno e nostra la citt,
non si concesse un attimo di tregua,
anche solo per dare alcun sollievo
al respiro affannato.
MENENIO - Degno uomo!
<I></I>
PRIMO SENATORE - Sicuramente degno degli onori
che abbiamo in animo di conferirgli(110).
COMINIO - Ha respinto con sdegno
la parte di bottino a lui spettante
guardando a quegli oggetti di valore
come a vil spazzatura.
Per se stesso desidera di meno
di quello che la stessa povert
potrebbe dargli, unico compenso
alle sue gesta essendo a lui il compierle;
ed contento di spendere il tempo
della vita cos, a lasciarlo scorrere(111).
MENENIO - Animo nobile! Lo si richiami.
PRIMO SENATORE - <I>(Ad un ufficiale)</I>
Chiamate Coriolano.
UFFICIALE - Sta venendo.
<I>Rientra CORIOLANO</I>
MENENIO - Il Senato altamente si compiace,
Coriolano, di nominarti console.
CORIOLANO - Son suoi la mia vita e i miei servigi.
MENENIO - Rimane solo che tu parli al popolo(112).
CORIOLANO - Vi supplico, vogliate dispensarmi
da quell'usanza. Io, quella tunica,
non me la sento di portarla addosso,
d'espormi in piazza, nudo della mia,
e pregarli di darmi il lor suffragio
solo a cagione delle mie ferite...
Esoneratemi da tutto questo.
SICINIO - Il popolo dovr pur dir la sua,
n vorr consentir che si tralasci
un solo punto del cerimoniale.
MENENIO - <I>(A Coriolano)</I>
Non starli a contrastare, ora, ti prego.
Confrmati all'usanza
nelle forme da questa stabilite,
cos come hanno fatto puntualmente
tutti quelli che t'hanno preceduto.
CORIOLANO - una parte che mi far arrossire
a recitarla: un "diritto del popolo"
che si farebbe bene ad abolire.
BRUTO - <I>(A parte, a Sicinio)</I>
Hai sentito?
CORIOLANO - ... Sbracarmi avanti a loro
a vantarmi che ho fatto questo e quello,
mettere in mostra le mie cicatrici
ormai indolori, che dovrei nascondere,
come chi se le fosse procurate
solo per guadagnarsi i loro voti...
MENENIO - E via, non farne un caso proprio adesso!
<I>(Ai due tribuni)</I>
Ed ora a voi, tribuni della plebe,
raccomandiamo la nostra delibera
perch la sosteniate presso il popolo;
e al nostro nobile novello console
auguriamo felicit ed onore.
TUTTI - Felicit ed onore a Coriolano!
<I>(Squilli di tromba. Escono tutti nell'ordine in cui sono entrati, tranne i due tribuni)</I>
BRUTO - Ecco, hai sentito con quali intenzioni
vuol trattar con il popolo.
SICINIO - Ho sentito,
e speriamo che il popolo capisca.
Andr a sollecitare il lor suffragio
con l'aria d'uno che tenga a disdegno
che siano loro a doverglielo dare.
BRUTO - Andiamo, adesso. Bisogna informarli
di quanto stato qui deliberato.
So che sono nel Foro ad aspettarci. <I>
(Escono)
SCENA III - Roma, il Foro
Entra un gruppo di CITTADINI
</I>
PRIMO CITTADINO - Insomma, se ci chiede il nostro voto,
rifiutarglielo certo non possiamo.
SECONDO CITT. - E invece s; baster che vogliamo!
TERZO CITTADINO - Il potere di farlo ce l'abbiamo:
ci manca quello di tradurlo in atto.
Perch se mette in mostra le ferite
e ci spiattella tutto quel che ha fatto
ci tocca cedere la nostra lingua
a quelle, e far che parlino per noi.
Cos se si presenta avanti a noi
a raccontar le sue nobili gesta,
come facciamo a non significargli
la nostra generosa gratitudine?
L'ingratitudine cosa mostruosa,
e per il popolo mostrarsi ingrato
vuol dire farsi mostro da se stesso;
e noi tutti, che ne facciamo parte,
passeremo cos per tanti mostri.
PRIMO CITTADINO - E ci vuol poco a far ch'essi ci vedano
non meglio di cos. Quando insorgemmo
per il grano, non esit un istante
proprio lui, Coriolano, a definirci
"una plebaglia dalle molte teste".
TERZO CITTADINO - Oh, quanti ci chiamavano cos!
E non perch la testa
fra tutti noi c' chi la tiene grigia,
chi castana, corvina e chi pelata,
ma son le nostre idee
che sono tutte di color diverso.
Del resto penso anch'io, per parte mia,
che se le idee di ciascuno di noi
dovessero uscir tutte da un sol cranio,
sciamerebbero in ogni direzione,
a est, a ovest, a nord e a sud;
e il solo punto su cui accordarsi
circa la direzione dove andare,
sarebbe di volarsene ciascuna
per tutti i quattro punti cardinali(113).
SECONDO CITT. - Cos pensi? Ed in quale direzione
volerebbe la mia, secondo te?
TERZO CITTADINO - Beh, intanto non facile, alla tua,
di venirsene fuori come l'altre,
chiusa com' in una zucca di legno;
ma direi che, se uscisse in libert,
tirerebbe filato verso sud.
SECONDO CITT. - E perch proprio l?
TERZO CITTADINO - Per andare a disfarsi nella nebbia;
dove si scioglierebbe per tre quarti
mischiata con vapori puzzolenti,
mentre la quarta, presa dallo scrupolo,
ritornerebbe a te,
per aiutarti a sceglierti una moglie.
SECONDO CITT. - A te la voglia di sfottere il prossimo
non manca mai. Ma fa' pure, fa' pure!
TERZO CITTADINO - Allora, siete tutti risoluti
a dargli il vostro voto?
Anche se, poi, s o no, non cambia niente.
La maggioranza quella che decide.
Per se si mostrasse un po' pi incline
al popolo, pi degno uomo di lui
non c' mai stato. Eccolo che viene,
e con la tunica dell'umilt.
<I>Entra CORIOLANO. Ha indosso la "tunica dell'umilt". Con lui MENENIO</I>
Stiamo a vedere come si comporta...
Ma non restiamo qui tutti ammassati;
avviciniamolo, pochi per volta,
a uno, a due, a tre, dove si ferma...
Deve rivolgere la sua richiesta
a ciascuno di noi, singolarmente:
perch ciascuno di noi ha diritto
di dargli il voto con la propria voce.
Perci statemi dietro,
vi mostrer come dovete fare
quando l'avvicinate.
TUTTI - Ti seguiamo.
<I>(Escono tutti)</I>
MENENIO - No, hai torto, mio caro, a far cos!
Ma non hai mai saputo
che persone degnissime l'han fatto,
prima di te?
CORIOLANO - Che cosa devo fare?
"Ti prego, cittadino...". Dannazione!
Non me la sento proprio
di forzare la lingua ad un tal passo!
"Guarda le mie ferite, cittadino,
le ho buscate al servizio della patria,
quando non pochi dei compagni vostri
se la davano a gambe schiamazzando
al primo rullo dei nostri tamburi...".
MENENIO - O di, per carit, poveri noi!
Non devi tirar fuori tutto questo!
Tu non devi far altro che pregarli
che si ricordino di te.
CORIOLANO - Di me...
Loro!... Che s'impiccassero piuttosto!
Di me magari si dimenticassero,
invece, come fanno coi precetti
di virt che gli predicano i preti!
MENENIO - Tu rischi di mandare tutto all'aria.
Ti lascio adesso. Vedi di parlare
a quella gente in maniera garbata.
CORIOLANO - S, chieder loro di lavarsi il viso
e di pulirsi i denti.
<I>(Esce Menenio)
(Entrano il SECONDO e il TERZO CITTADINO)</I>
Eccone appunto un paio.
<I>(Al Terzo Cittadino)</I>
Cittadino,
tu sai il motivo per cui io sto qui.
TERZO CITTADINO - Gi. Ma dicci che cosa ti ci porta.
CORIOLANO - I miei meriti.
<I></I>
SECONDO CITT. - I tuoi meriti?
CORIOLANO - Gi,
non certo il mio volere personale.
TERZO CITTADINO - Ah, non il tuo volere...
CORIOLANO - Nossignore;
non fu mai voler mio
importunare la povera gente
chiedendo io l'elemosina a loro.
TERZO CITTADINO - Beh, devi pur pensare
che se noi plebe ti diamo qualcosa
speriamo d'ottener qualcosa in cambio.
CORIOLANO - Bene, ditemi allora, per favore,
qual il prezzo che date al consolato.
SECONDO CITT. - Che tu ce lo richieda gentilmente.
CORIOLANO - E gentilmente, amico,
io ti chiedo di farmelo ottenere.
Ho qui delle ferite da mostrarti,
che puoi vedere, se lo vuoi, in privato.
<I>(All'altro)</I>
Il tuo buon voto, amico. Che mi dici?
TERZO CITTADINO - Che l'avrai, degno Marcio.
CORIOLANO - Affare fatto.
Ecco gi due magnifici suffragi
mendicati. Ho intascato l'elemosina.
Statevi bene!
<I>(Volta loro le spalle, come per andarsene)</I>
TERZO CITTADINO - Ma che strano modo!
SECONDO CITT. - Mah, se dovessi darglielo di nuovo,
chiss... Comunque, beh, lasciamo stare.
<I>(Escono i due cittadini)</I>
<I>Entrano il QUARTO e il QUINTO CITTADINO</I>
CORIOLANO - <I>(Andando loro incontro)</I>
Di grazia, amici, se mai s'accordasse
col tono stesso dei vostri suffragi(114)
il fatto ch'io sia nominato console,
eccomi qua vestito
come richiesto dalla consuetudine.
QUARTO CITT. - Hai meritato bene della patria,
ma hai anche non bene meritato.
CORIOLANO - Cos', un indovinello?
QUARTO CITT. - Pei suoi nemici sei stato un flagello,
ma per i suoi amici una tortura(115).
Tu, la povera gente, in verit,
non l'hai tenuta mai in simpatia.
CORIOLANO - Tanto pi meritevole per questo
dovresti ritenermi, perch "povero"
non sono stato nel volerle bene(116).
Comunque, cittadino, d'ora in poi
l'aduler il mio grande fratello,
il popolo, per conquistar da lui
maggiore stima: ch questo per loro
vuol dire "esser gentili con il popolo".
E dal momento che la lor saggezza
preferisce guardare al mio cappello
piuttosto che al mio cuore, d'ora innanzi
li tratter col pi ipocrita inchino
e con la pi leccosa scappellata.
Vale a dire che imiter, brav'uomo,
le smancerie di certi capipopolo,
che elargir con generosit
a quanti gradiranno di riceverne.
Perci, vi supplico, fatemi console.
QUINTO CITTADINO - Noi speriamo poterti avere amico;
perci ti diamo di buon cuore il voto.
QUARTO CITT. - Ti sei buscato un sacco di ferite
per la tua patria...
CORIOLANO - Non suggeller
col mostrarvele la lor conoscenza,
che del resto gi avete.
Far gran conto dei vostri suffragi,
e cos non vi disturber pi(117).
I DUE CITTADINI - Gli di ti diano felicit,
te l'auguriamo molto cordialmente.
<I>(Escono i due cittadini)</I>
CORIOLANO - Che dolcezza di voti!...
Meglio morire, crepare di fame
che andare accattonando una mercede
che pur ci spetta, perch meritata.
Ed io dovrei restarmene qui, fermo,
in questa veste da sembrare un lupo,
a questuar dal primo Tizio e Caio
voti dei quali non c' alcun bisogno?
Dicono che cos vuole l'usanza.
Ma se dovessimo in tutte le cose
far quel che vuol l'usanza,
la polvere che copre il tempo andato
mai non sarebbe pi spazzata via,
ed ammucchiando errore sopra errore
si formerebbe tale una montagna
di tutti errori, che la verit
sarebbe poi impedita a sovrastarla.
Ah, no! Piuttosto che starmene qui
a recitar la parte del buffone,
che l'alto ufficio e i relativi onori
vadano ad altri, pi di me disposto
ad eseguire quel che vuol l'usanza.
Ma son gi a mezza strada...
Ho sopportato la prima met,
far anche l'altra...(118)
<I>Entrano il SESTO e SETTIMO CITTADINO</I>
Ma ecco altri voti.
<I>(Ai due)</I>
I vostri voti, amici.
Pei vostri voti io ho combattuto.
Pei vostri voti ho vegliato la notte.
Pei vostri voti porto su di me
almeno due dozzine di ferite.
Pei vostri voti ho visto e raccontato(119)
diciotto fatti d'arme.
Pei vostri voti ho fatto tante cose
qual pi qual meno, ma tutte importanti.
I vostri voti, s, per esser console.
SESTO CITTADINO - S' ben portato, e non gli pu mancare
il voto d'ogni cittadino onesto.
SETTIMO CITT. - Sia console, perci.
Gli diano gli di felicit
e faccian ch'egli voglia bene al popolo.
SESTO CITTADINO - E cos sia! Che gli di ti proteggano,
nobile console!
<I>(Escono)</I>
CORIOLANO - Che fior di voti!
<I>Entrano MENENIO, SICINIO e BRUTO</I>
MENENIO - Sei stato qui per il tempo prescritto,
ed i Tribuni, col voto del popolo,
ora ti conferiscono il potere.
Resta che con le insegne della carica
tu ti presenti subito al Senato.
CORIOLANO - Allora fatto?
SICINIO - Hai fatto la richiesta
secondo il rito: il popolo ti accetta
ed gi convocato in assemblea
per la ratifica.
CORIOLANO - Dove, al Senato?
SICINIO - S, Coriolano, l.
CORIOLANO - Posso togliermi allora questa veste?
SICINIO - Certo.
CORIOLANO - Allora non esito un istante,
cos potr riconoscer me stesso.
Poi andr al Senato.
MENENIO - T'accompagno.
<I>(Ai due tribuni)</I>
Voi che fate, venite via con noi?
BRUTO - Restiamo qui ad attendere il popolo.
SICINIO - Ci rivediamo dopo.
<I>(Escono Coriolano e Menenio)</I>
Ce l'ha fatta.
suo, e a giudicar dagli sguardi
ha il cuore in festa.
BRUTO - Ma con quale sdegno
portava indosso quell'umile veste!...
Che facciamo? Lo congediamo il popolo?
<I>(Entrano parecchi CITTADINI)</I>
SICINIO - Ebbene, miei compagni?
Avete dunque preferito lui(120)?
PRIMO CITTADINO - Abbiamo dato a lui il nostro voto.
BRUTO - Voglia il cielo che sappia meritarla
la vostra preferenza.
SECONDO CITT. - quel che dico.
Perch a mio povero, modesto avviso,
quello mentre ci domandava il voto,
si beffava di noi.
TERZO CITTADINO - E come no!
Ci ha preso pei fondelli a tutto spiano!
PRIMO CITTADINO - il suo modo di fare; quello. No,
lui non s' fatto gioco di nessuno.
SECONDO CITT. - Qui non ci sei che tu a dir cos,
fra tutti noi. Ci doveva mostrare
i segni delle sue benemerenze:
le ferite buscate per la patria...
SICINIO - Ma l'avr fatto, spero, son sicuro.
TUTTI - Niente affatto! Nessuno qui le ha viste.<I></I>
TERZO CITTADINO - Ha detto, s, che aveva le ferite,
ma che poteva mostrarle in privato;
e col berretto in mano, ecco, cos,
agitandolo in aria come a beffa,
"Vorrei - dice - esser console;
"e antica usanza senza i vostri voti
"me l'impedisce. I vostri voti, dunque".
E quando glieli abbiamo assicurati,
lui: "Vi ringrazio del vostro favore,
"grazie dei vostri carissimi voti.
"Ora che avete espresso i vostri voti,
"con voi non ho pi nulla da spartire".
Non questa una beffa?
SICINIO - Ma eravate incoscienti a non capirlo?
O, avendolo capito, tanto ingenui
da dargli il voto come dei bambocci?
BRUTO - Eppure v'avevamo ammaestrati
- e avreste ben potuto ricordarglielo -
che quando non aveva alcun potere,
piccolo servitore dello Stato,
vi si mostr nemico e parl sempre
contro i vostri diritti e privilegi
di cui godete in seno alla repubblica;
e adesso, giunto che fosse al potere
e a governar lo Stato,
se seguitasse ad essere lo stesso
il nemico giurato dei plebei
i vostri voti potrebbero essere
per tutti voi tante maledizioni.
E ancora questo dovevate dirgli:
che come le sue gesta valorose
gli meritavano una ricompensa
non inferiore a quella cui aspira,
cos la sua generosa natura
dovrebbe spingerlo a pensare a voi,
che l'avete votato,
e volgere in affetto il malvolere,
facendolo patrono e amico vostro.
SICINIO - A parlargli cos,
come, del resto, vi fu consigliato,
avreste scosso le sue fibre all'intimo
e saggiato il suo animo; e strappato
gli avreste forse una bella promessa,
da vincolarlo alla prima occasione;
oppure, al peggio, avreste esasperato
quel suo caratteraccio insofferente
incapace di assumersi un impegno
che lo leghi a qualsiasi adempimento;
e, fattegli cos perder le staffe,
avreste poi potuto trar partito
dalla sua collera, per non eleggerlo.
BRUTO - Ma come avete fatto a non vedere
con che aria palese di disprezzo
vi domandava il voto,
mentre gli abbisognava il vostro appoggio?
E come avete fatto a non pensare
che quel disprezzo vi potr recare
chi sa quale malanno,
ora ch'egli ha il potere di schiacciarci?
Diamine! Solo corpi e nessun cuore
tutti quanti? E avevate sol la lingua
per sbraitare, come avete fatto,
contro il buonsenso per cacciarlo via?
SICINIO - E dire che altre volte, nel passato,
avete pur rifiutato il consenso
a postulanti in cerca di suffragi;
ed ora regalate come niente
i vostri voti tanto ricercati
ad uno che nemmeno ve li ha chiesti
in buona forma, e per di pi schernendovi?
TERZO CITTADINO - Comunque ancora non confermato(121).
Possiamo sempre revocargli il voto.
SECONDO CITT. - E lo revocheremo! Io, per me,
posso accordare cinquecento voci
su questa nota(122).
PRIMO CITTADINO - Ed io due volte tante.
E tutti i loro amici in sovrappi.
BRUTO - Presto, allora muovetevi di qui
e andate a dire a questi vostri amici
che hanno scelto per diventare console
uno che torr loro ogni diritto,
e non dar lor voce
pi che a quei cani bastonati apposta
per abbaiare, e a questo mantenuti.
SICINIO - Fateli riunire in assemblea,
e unanimi, su pi serio giudizio,
revocate questo inconsulto voto.
Battete sul suo orgoglio
e sull'antico odio che ha per voi;
e non dimenticatevi, per giunta,
con quale aria sprezzante egli indoss
l'umile veste, e si schern di voi
nell'atto stesso di chiedervi il voto.
Dite loro che stato il vostro affetto,
memore dei servigi da lui resi,
a non farvi capire, in quel momento,
il suo comportamento provocante,
offensivo per voi, indecoroso,
volutamente da lui conformato
all'odio radicale che vi porta.
BRUTO - Gettate su di noi, vostri Tribuni,
tutta la colpa: che nulla abbiam fatto
- dite - perch non sorgessero ostacoli
alla sua elezione presso il popolo.
SICINIO - E che l'avete eletto
per conformarvi ad un nostro comando
pi che per vostra vera convinzione;
che le vostre coscienze, in conseguenza,
preoccupate pi di conformarsi
a ci che ad esse era stato ordinato,
che a ci che esse avrebbero dovuto,
v'hanno indotto ad esprimere quel voto
contro la vostra propria inclinazione.
Insomma, date a noi tutta la colpa.
BRUTO - S, non vi fate scrupolo per noi.
Dite che vi abbiam fatto su di lui,
per istruirvi sulla sua persona,
lunghi discorsi: come, ancora imberbe,
abbia iniziato a servire la patria,
e seguitato a farlo poi negli anni;
da qual nobile stirpe egli discenda,
la nobilissima gente "marciana"(123),
da cui discese pur quell'Anco Marcio
nipote di re Numa,
che regn a Roma dopo il grande Ostilio;
donde provennero e Publio e Quinto
che con la costruzione di acquedotti
ci addussero la nostra acqua migliore;
e suo grande avo fu quel Censorino,
cos meritamente nominato
per esser stato due volte censore,
per voto popolare.
SICINIO - Ed un tal uomo
discendente da s nobile stirpe
e onusto per di pi di tanti meriti
per ricoprire una s alta carica,
siamo stati noi stessi, noi tribuni,
a segnalarlo alla vostra attenzione;
ma voi, dopo aver bene soppesato
il suo comportamento nel presente
a confronto con quello del passato,
avete tutti in lui riconosciuto
un vostro irriducibile nemico,
e gli avete pertanto revocato
un gradimento dato troppo in fretta.
BRUTO - E non sareste giunti mai a tanto
- battete sempre sopra questo tasto -
se non vi avessimo incitato noi.
TUTTI - S, s, faremo come dite voi.
Ormai qui quasi tutti
si son pentiti della scelta fatta.
<I>(Escono i cittadini)</I>
BRUTO - Ora non c' che da lasciarli fare.
Meglio rischiare adesso una sommossa,
piuttosto che tirarsi addosso il peggio,
che certamente verr, se aspettiamo.
Se lui, per questo loro voltafaccia,
si facesse, con quella sua natura,
prendere dalla rabbia, attenti noi
a saper profittar dell'occasione
e trar vantaggio da questa sua collera.
SICINIO - Al Campidoglio. Troviamoci l
prima che vi affluisca tutto il popolo.
Dovr apparire - come in parte -
tutta e soltanto loro iniziativa,
cui noi ci siamo solo limitati
a fornire uno sprone dall'esterno.
<I>(Escono)</I>
<B>ATTO TERZO</B>
<I>SCENA I - Roma, una strada</I>
<I>Fanfara. Entrano CORIOLANO, MENENIO, COMINIO, TITO LARZIO e SENATORI</I>
CORIOLANO - <I>(A Larzio)</I>
Tullo Aufidio sicch riuscito
a rimettere in piedi un nuovo esercito?
LARZIO - S, Coriolano, ed questo il motivo
che ci ha deciso a negoziar l'accordo.
CORIOLANO - I Volsci son l, dunque, come prima,
pronti a saltarci addosso
appena s'offra loro l'occasione.
COMINIO - Sono sfiancati, Console: difficile
che rivedremo, noi di nostre et,
garrire ancora i lor vessilli al vento.
CORIOLANO - <I>(A Larzio)</I>
Tu Aufidio l'hai visto?
LARZIO - Venne da me sotto salvacondotto,
solo per dirmi peste e vituperio
contro i Volsci, che avevano ceduto
cos vilmente la loro citt.
S' ritirato ad Anzio.
CORIOLANO - T'ha parlato di me?
LARZIO - S, Coriolano.
CORIOLANO - In che modo? Che ha detto?
LARZIO - Ha ricordato come si sia spesso
con te scontrato solo, spada a spada;
che per la tua persona nutre un odio
come per nessun altro al mondo; e inoltre
che sarebbe disposto - ha dichiarato -,
ad impegnarsi tutto che possiede,
cos, senza speranza di riscatto,
pur di potersi dir tuo vincitore.
CORIOLANO - E vive ad Anzio, adesso?
LARZIO - Ad Anzio, s.
CORIOLANO - Come vorrei che mi s'offrisse il destro
d'andare l a scovarlo dove sta,
e affrontare il suo odio faccia a faccia!
Ma ben tornato, Larzio.
<I>Entrano i tribuni SICINIO e BRUTO</I>
Ecco, guardate:
questi sono i Tribuni della plebe,
le lingue della sua volgare bocca.
Sento per loro un disprezzo istintivo
perch si bardano d'autorit
contro ogni nobile sopportazione.
SICINIO - <I>(A Coriolano)</I>
Fermo! Non andar oltre!
CORIOLANO - Che vuol dire?
BRUTO - Che rischioso per te andar oltre. Frmati.
CORIOLANO - Che diavolo di voltafaccia questo!
MENENIO - Che succede?
COMINIO - Non ha forse il consenso
dei nobili e del popolo?
BRUTO - Del popolo, Cominio, proprio no.
CORIOLANO - Son voti di fanciulli
allora quelli ch'essi m'hanno dato?
UN SENATORE - Tribuni, andiamo, fateci passare.
Coriolano deve recarsi al Foro.
BRUTO - Il popolo in fermento. Non lo vuole.
SICINIO - Fermi, o qui si finisce in un tumulto.
CORIOLANO - Il vostro gregge, eh? E deve dunque
questa gentaglia aver diritto al voto,
se prima te lo danno,
e poi, subito dopo, lo rinnegano?
E voi, che state a fare?
Voi che siete la loro stessa bocca,
perch non governate i loro denti?
O siete stati voi ad aizzarli?
MENENIO - <I>(A Coriolano)</I>
Calma, sta' calmo!
CORIOLANO - <I>(Ai Senatori)</I>
tutta una manovra,
una combutta preparata ad arte,
per piegare la volont dei nobili.
Se li lasciate fare,
rassegnatevi a vivere con gente
incapace cos di governare,
come d'esser comunque governata.
BRUTO - Non parlar di combutta.
Il popolo vocifera di rabbia
perch ha capito che l'hai preso in giro;
e perch quando fu distribuito,
ultimamente, a loro il grano gratis,
fosti tu solo ad alzare la voce,
e a coprire d'insulti e vituperi
chiunque fosse dalla loro parte,
tacciandolo di basso opportunista,
adulatore, nemico dei nobili.
CORIOLANO - Ebbene? Questa cosa risaputa.
BRUTO - Non tutti la sapevano, di loro.
CORIOLANO - E cos hai pensato ad informarli.
BRUTO - Informarli, chi, io?
CORIOLANO - Non sei tu il tipo
ben tagliato per simili faccende?
BRUTO - Non meno bene che per far le tue
meglio che possa farle tu.
CORIOLANO - Ma certo!
Perch dovrei io diventare console?
Per tutti i fulmini, datemi il tempo
di diventare un nulla come te,
e fatemi tribuno, tuo collega!
SICINIO - Tu porti ancora addosso
troppo di quello che dispiace al popolo;
se ti preme raggiungere il tuo scopo,
devi chieder la strada, che hai smarrita,
con uno spirito pi malleabile,
o non sarai giammai tanto virtuoso
da poter esser console,
e nemmeno da stare accanto a lui
<I>(Indica Bruto)</I>
come tribuno.
MENENIO - Calmi, state calmi!
COMINIO - Il popolo ingannato, subornato.
Questo ondeggiare tra il s e il no
non degno di Roma, e Coriolano
non merita davvero un'ostruzione
cos disonorante posta ad arte
lungo il piano cammino del suo merito.
CORIOLANO - Venirmi adesso a parlare del grano!
Quello che ho detto allora lo ripeto!
MENENIO - Non adesso, per, per carit.
UN SENATORE - No, Marcio, non in tanta eccitazione.
CORIOLANO - S, invece, adesso! S, per la mia vita!
I miei nobili amici mi perdonino;
ma la fetida, bassa minuzzaglia
voltagabbana s'ha da render conto
ch'io non son uomo che sappia adulare,
si specchi in me, piuttosto, e in ci che dico.
Lo ripeto: a cercar di assecondarla,
noi non facciamo che dare alimento
alla malerba della ribellione,
dell'insolenza, della sedizione
contro il Senato; per la qual zizzania
noi stessi abbiamo arato, seminato
e consentito che si propagasse
mescolandosi a noi, gente d'onore,
cui non manca virt n autorit,
salvo quella ceduta a dei pezzenti.
MENENIO - Bene, ora basta.
UN SENATORE - Basta, ti preghiamo.
CORIOLANO - Basta? E perch? Com'io ho sparso sangue
per la mia patria senza aver paura,
cos nessuna forza impedir
ai miei polmoni di coniar parole,
fino a diventar marci,
contro questi pestiferi miasmi
di cui tutti temiamo d'infettarci
avendo tuttavia fatto del tutto
per buscarceli.
BRUTO - Tu parli del popolo
n pi e n meno che se fossi un dio,
che sia pronto a punirlo, e non un uomo
affetto dalle stesse debolezze.
SICINIO - Ed bene che il popolo lo sappia.
MENENIO - Sappia che cosa? Questa sua sfuriata?
CORIOLANO - Sfuriata!... Foss'io calmo,
per Giove!, come il sonno a mezzanotte,
sarei sempre di questa stessa idea!
SICINIO - un'idea velenosa
che tale deve rimaner dov',
senza infettare gli altri intorno a s.
CORIOLANO - "Deve"!... Sentitelo questo Tritone
dei lattarini(124)! Avete preso nota
di codesto suo "deve" perentorio?
COMINIO - contro regola, senz'altro.
CORIOLANO - "Deve"!
O buoni ma incautissimi patrizi,
voi, gravi ed imprudenti Senatori,
voi che avete permesso qui a quest'Idra(125)
di scegliersi un suo proprio magistrato
che con questo suo "deve" perentorio,
qual rumoroso corno di quel mostro(126)
non si fa scrupolo di minacciare
d'esser capace di deviare altrove,
entro altra fossa, la vostra corrente,
e di far suo l'attuale suo letto!
Se vero ch'ei possiede un tal potere,
s'inchini allora a lui la vostra ignavia;
ma se non l'ha, svegliate dal suo sonno
la vostra mite e rischiosa indulgenza.
Se saggezza in voi, non comportatevi
come volgari sprovveduti sciocchi;
se saggezza non v',
fateli pur sedere accanto a voi.
Sarete voi la plebe,
ed essi i senatori; e tali sono,
gi ora se, quando le loro voci
son mischiate alle vostre, il loro accento
il tono che prevale nell'insieme.
Si scelgono il lor proprio magistrato,
e questo uno che sbatte in faccia
il suo "deve", quel suo "deve" plebeo,
contro un'assise che nemmen la Grecia
ebbe mai di pi seria e veneranda.
Ma, tutto questo, per il sommo Giove!,
riduce i consoli a ben poca cosa!
E mi sanguina il cuore
a pensare che quando due poteri
sono in sella contemporaneamente,
s che nessun dei due pu prevalere,
nel loro vuoto pu infilarsi il caos,
e far che si distruggano a vicenda!
COMINIO - Al Foro, dunque, andiamo.
CORIOLANO - Chiunque siano ch'abbian consigliato
di far distribuir gratuitamente
il grano dei depositi statali,
come s' fatto qualche volta in Grecia...
MENENIO - Via, via, non ne parliamo pi.
CORIOLANO - <I>(Seguendo il suo discorso)</I>
(... ma in Grecia
ben pi ampi poteri aveva il popolo...),
io dico che costoro, chi essi siano,
hanno nutrito la disobbedienza,
cibato la rovina dello Stato.
BRUTO - E il popolo dovrebbe dare il voto
ad uno che si esprime in questi termini?
CORIOLANO - Al popolo dir le mie ragioni,
che valgono ben pi dei loro voti.
Essi sanno benissimo che il grano
non doveva servir da ricompensa,
essendo noto che per meritarlo
nessun servizio avevano essi reso.
Chiamati per la guerra,
in un momento in cui il cuore stesso
dello Stato correva gran pericolo,
ricusaron perfino di varcare
le porte di citt; non si pu dire
che sia stato codesto un tal servizio
da meritare loro il grano a ufo.
N, partiti che furon per la guerra,
hanno parlato poi a lor favore
le sedizioni e gli ammutinamenti
in cui han fatto prova - oh, allora s! -
di tutto il lor valore di guerrieri.
Cos come plausibile motivo
non potevano certamente offrire
per cos generosa elargizione
le assurde accuse da loro lanciate
contro il Senato, l'una dopo l'altra.
E adesso? Come questo milleteste
digerir nel suo multiplo ventre
la cortesia che gli ha fatto il Senato?
Dai fatti si pu gi pronosticare
quali saranno le loro parole:
"L'abbiamo chiesto, siamo maggioranza,
e ci hanno accontentati, per paura".
Cos noi degradiamo i nostri seggi,
ed offriamo motivo alla marmaglia
di dir che quanto facciamo per loro
lo facciamo soltanto per paura;
il qual ragionamento, con il tempo,
scardiner le porte del Senato,
e allor v'irromperanno le cornacchie
a dar di becco all'aquile(127).
MENENIO - Via, basta!
BRUTO - Basta ed avanza.
CORIOLANO - No, ce n' di pi!
E sia suggello a quanto sto per dire
tutto quello che al mondo c' d'umano
e di divino sopra cui giurare.
Questo nostro bicipite potere
dove una delle teste, con ragione,
disdegna l'altra che, senza ragione
insulta, dove nobilt di nascita
e titoli e saggezza di governo
non possono decidere un bel niente
senza aver ottenuto il "s" o il "no"
dell'ignoranza di un'intera classe(128),
costretto per forza a trascurare
i reali interessi dello Stato
per dare spazio a fanfaluche inutili;
talch, sbarrato qualsiasi proposito,
ne vien che nulla fatto pi a proposito.
Perci vi supplico - se la paura
non ha offuscato in voi ogni saggezza(129) -
voi, cui le fondamenta dello Stato
stan troppo a cuore perch dubitiate
della necessit di migliorarle;
voi che a una vita lunga
preferite una vita dignitosa,
e siete pronti a medicine estreme
per un corpo malato,
destinato altrimenti a morte certa,
strappate via di colpo, di violenza,
questa lingua dal corpo dello Stato(130),
ch'essa non abbia pi a leccar quel dolce
ch' anche il suo veleno!
La vostra indecorosa umiliazione(131)
rende monco ogni sano giudicare,
priva lo Stato di quell'unit
che dovrebb'essere sempre la sua,
rendendolo impotente ad operare,
come vorrebbe, pel bene comune,
per colpa di un tal male, che lo domina.
BRUTO - Ha detto quanto basta(132).
SICINIO - Ha parlato da vero traditore,
e come tale ne dovr rispondere.
CORIOLANO - Miserabile! La tua stessa bile
ti seppellisca!... Che pu fare il popolo
con queste zucche vuote di tribuni?
Finch avranno costoro come guida,
si sentiranno tutti esonerati
dall'obbedire a maggior dignit.
A quella carica li hanno eletti
in un momento di piena rivolta,
quando non la giustizia
ma soltanto la forza era la legge(133).
I tempi son cambiati, per fortuna:
oggi si dica che dev'esser giusto
quello che giusto, e si getti alle ortiche
il lor potere.
BRUTO - Questo tradimento!
Flagrante!
SICINIO - Console costui? Giammai!
BRUTO - Gli Edili(134), oh! Venite!
<I>Entra un EDILE
(Indicandogli Coriolano)</I>
Sia arrestato!
SICINIO -<I> (All'Edile)</I>
Va' e riunisci il popolo in comizio.
<I>(Esce l'edile)
(A Coriolano)</I>
Ed in nome del popolo,
io qui t'arresto come traditore,
sovvertitor di modi e di costumi,
e nemico del popolo romano!
T'ordino di obbedirmi
e di venire subito con me,
a risponder di quanto sei accusato.
CORIOLANO - <I>(Respingendo con forza Sicinio)</I>
Sta' lontano da me, vecchio caprone!
SENATORI e PATRIZI - Ci facciamo garanti noi per lui.
COMINIO - <I>(A Sicinio, che cerca d'impadronirsi di Coriolano)</I>
Ehi, vecchio, gi le mani.
CORIOLANO - Via, carogna,
o ti sparpaglio l'ossa dai tuoi stracci!
<I>Entrano i due EDILI con una folla di PLEBEI</I>
SICINIO - Aiuto, cittadini!
MENENIO - Cittadini,
pi rispetto, dall'una e l'altra parte!
SICINIO -<I> (Indicando alla folla Coriolano)</I>
Ecco colui che intende spodestarvi
d'ogni potere!
BRUTO - Arrestatelo, edili!
PLEBEI - Abbasso!
A morte!
UN SENATORE - L'armi! L'armi! L'armi!
<I>(Zuffa generale attorno a Coriolano)</I>
TUTTI A VICENDA - Senatori!
Patrizi!
Cittadini!
Sicinio!
Bruto!
Coriolano!...
MENENIO - Pace!!!!
Calmatevi un momento!... Che succede?
Non ho pi fiato...
Ma qui si va diritti alla rovina!...
Non posso pi parlare... Voi, tribuni,
parlate voi al popolo.
<I>(A Coriolano)</I>
Sta' calmo.
Sicinio, parla tu.
SICINIO - Ascoltatemi, gente mia... Silenzio!
PLEBEI - Udiamo il nostro tribuno. Silenzio!
Fate silenzio!
Parla, parla, parla!
SICINIO - Le vostre libert sono in pericolo.
Marcio, che avete appena eletto console,
vuol togliervele tutte.
MENENIO - No cos!
Ma tu invece di spegnere la fiamma,
l'attizzi!
UN SENATORE - Demolisci la citt,
in questo modo, tu la radi al suolo!
SICINIO - Che cos' la citt, se non il popolo?
PLEBEI - Giusto, Sicinio, la citt il popolo!
SICINIO - E noi, per loro unanime consenso,
siamo i loro legali difensori.
PLEBEI - E tali resterete!
MENENIO - Resteranno, s, certo, resteranno.
COMINIO - Questa la via per demolirla al suolo,
la citt, e tirarne il tetto gi
fino alle fondamenta,
seppellendo tra ammassi di rovine
tutto quello che ancora ci rimane
d'ordinato.
SICINIO - Costui merita morte.
BRUTO - Qui in gioco la nostra autorit,
o la perdiamo. Ed in nome del popolo,
nella cui potest noi fummo eletti
a suoi legittimi rappresentanti,
noi dichiariamo qui che Caio Marcio
meritevole di morte, subito.
SICINIO - <I>(Agli Edili)</I>
Arrestatelo dunque; che aspettate!
Lo si conduca alla Rupe Tarpea,
e che sia di lass precipitato,
alla sua fine!
BRUTO - Prendetelo, Edili!
PLEBEI - Marcio, arrenditi!
MENENIO - Ancora una parola,
Tribuni, ve ne supplico.
EDILI - <I>(Alla folla)</I>
Silenzio!
MENENIO - <I>(Ai Tribuni)</I>
Siate per una volta
quelli che sempre volete apparire:
sinceri amici della vostra patria;
e procedete con ponderazione
a ci che invece con tanta violenza,
a quanto vedo, intendete distruggere.
BRUTO - Menenio, questi tuoi gelidi modi,
che sembrano consigli di prudenza
son un veleno pericolosissimo
per un male violento come questo.
<I>(Agli Edili)</I>
Avanti, impadronitevi di lui,
ho detto, e conducetelo alla Rupe!
CORIOLANO - <I>(Sguainando la daga)</I>
No, morir qui stesso.
Ci sar pur qualcuno in mezzo a voi
che m'ha visto combattere. Beh, avanti,
venga a provare adesso su di s
quel che m'ha visto fare.
MENENIO - Via quell'arma!
Tribuni, allontanatevi un momento.
BRUTO - <I>(Agli Edili)</I>
Afferratelo!
MENENIO - Aiuto a Marcio, aiuto!
Nobili, giovani, vecchi, aiutatelo!
PLEBEI - A morte!
A morte!
A morte!
<I>(Mischia. I tribuni, gli edili e i plebei sono respinti ed escono)</I>
MENENIO - <I>(A Coriolano)</I>
Va', torna a casa, presto! Via da qui.
Altrimenti sar rovina piena.
UN SENATORE - <I>(A Coriolano)</I>
Parti da qui.
CORIOLANO - Dobbiamo tener duro!
Siamo, amici e nemici, in pari numero.
MENENIO - S'ha da arrivare a questo?
UN SENATORE - Gli di non vogliano!
<I>(A Coriolano)</I>
Nobile amico,
ti prego, adesso tornatene a casa;
lascia a noi di curar questa faccenda.
MENENIO - Perch una piaga che portiamo addosso
tutti quanti, e che tu non puoi curare.
Va', ti scongiuro.
COMINIO - Vieni via con noi.
CORIOLANO - Come vorrei che fossero costoro
barbari - come sono in realt,
se pure furono partoriti a Roma -
e non Romani, come non lo sono,
fossero pure stati partoriti
di sotto al portico del Campidoglio!...
MENENIO - Va', va', non affidare alla tua lingua
la tua rabbia, per quanto giusta sia.
Lasciamo tempo al tempo(135).
CORIOLANO - <I>(Senza ascoltarlo)</I>
Ne abbatterei quaranta, in campo aperto!
MENENIO - Io pure saprei farne fuori un paio,
tra i lor migliori: i tribuni, ad esempio.
COMINIO - Ma qui la sproporzione troppo grande,
tra noi e loro, e il coraggio follia
quando pretende di tenere in piedi
un edificio che sta per crollare(136).
meglio che tu vada via di qua,
prima che ci ritorni la plebaglia.
La sua furia oramai come un fiume
cui si sia posto un blocco,
che, straripando fuor da tutti gli argini
entro i quali scorreva normalmente,
travolge e abbatte tutto quel che incontra.
MENENIO - S, va' via, te ne supplico...
Vedr io se il mio antico spirito
potr servire a qualcosa di buono
con gente che s poco ne possiede.
Questo strappo dev'esser rattoppato
con una pezza di qualsiasi tinta.
COMINIO - S, Marcio, andiamo via.
<I>(Escono Coriolano e Cominio)</I>
UN PATRIZIO - Quest'uomo ha danneggiato seriamente
le sue fortune di uomo politico.
MENENIO - che la sua natura troppo nobile
per conformarsi alle cose del mondo(137).
Mai s'indurrebbe ad adular Nettuno
pel suo tridente, o Giove pel suo tuono.
Ha in bocca quel che ha in cuore: la sua lingua
deve dar fiato a ci che detta il cuore;
e se s'infuria, non ricorda pi
d'avere udito la parola "morte".
<I>(Rumori da dentro)</I>
Eccoli. Qui l'affare s'ingarbuglia!
UN PATRIZIO - Come vorrei saperli tutti a letto!
MENENIO - S, nel letto del Tevere!...
Che diamine, per! Che gli costava
di parlar loro in modo pi civile?
<I>Entrano BRUTO e SICINIO con la folla dei plebei</I>
SICINIO - Dove sta quella vipera
cui piacerebbe di vedere Roma
spopolata, per esser tutta lui?
MENENIO - Tribuni...
SICINIO - Gi dalla Rupe Tarpea
merita d'essere precipitato
con la forza di mani inesorabili!
S' messo contro la legge, e la legge
altro giudizio non dovr concedergli
che la severa giustizia del popolo,
da lui costantemente disprezzato.
PRIMO CITTADINO - Imparer cos
che i nobili Tribuni son la bocca
del popolo, e noi siamo le sue mani.
PLEBEI - Dovr impararlo, certo!
MENENIO - <I>(A Sicinio)</I>
Amico, ascolta...
SICINIO -<I> (Alla folla)</I>
Silenzio, ol!
MENENIO - Non gridate "Sterminio!",
quando invece dovreste limitare
la vostra caccia in modesti confini(138).
SICINIO - Di' piuttosto, Menenio, la ragione
perch hai favorito la sua fuga.
MENENIO - Sentimi bene: come so a memoria
i meriti del Console,
so dirti ad uno ad uno i suoi difetti.
SICINIO - "Il Console"! Di che console parli?
MENENIO - Di Coriolano, diamine!
SICINIO - Lui, Console!
PLEBEI - No, no, no, no, no, no!
MENENIO - <I>(Alla folla)</I>
Se, con licenza dei Tribuni e vostra,
brava gente, mi si vorr ascoltare,
mi basta dirvi una parola o due:
ad ascoltarla non vi coster
pi d'una lieve perdita di tempo.
SICINIO - Ebbene parla, ma senza lungaggini,
perch qui siamo tutti ben decisi
a sbarazzarci subito e per sempre
di questo velenoso traditore.
Esiliarlo sarebbe gi rischioso
per noi; ma trattenerlo vivo qui,
sarebbe morte certa per noi tutti.
Perci s' decretato in assemblea
ch'egli sia messo a morte questa notte.
MENENIO - Ahim, non vogliano gli di benigni
che la nostra famosa, illustre Roma,
la cui riconoscenza verso i figli
che d'essa han meritato registrata
nel grande libro dello stesso Giove,
divori, come madre snaturata,
le proprie creature!
SICINIO - un cancro che dev'essere estirpato!
MENENIO - No, Sicinio, se mai solo un arto,
malato, ma la morte ad amputarlo;
curarlo, facile. Che male ha fatto
egli, a Roma, per esser messo a morte?
Il sangue che ha perduto
a imperversare sui nostri nemici
- e posso dire ch' assai pi di un'oncia
di quello che gli scorre nelle vene -
l'ha ben versato per il suo paese;
che ora, ad opera della sua patria
debba perdere quello che gli resta,
sarebbe una vergogna per noi tutti,
chi lo facesse e chi lo permettesse,
una macchia che porteremmo addosso
per sempre, fino alla fine del mondo.
SICINIO - Questo vuol dir mistificare i fatti!
BRUTO - Semplicemente il contrario del vero.
Tutte le volte ch'egli ha dato prova
di amare il suo paese,
il suo paese l'ha ben onorato.
SICINIO - Se un piede va in cancrena,
non s'esita davvero ad amputarlo
per i servizi resi in precedenza(139).
BRUTO - Basta con le parole.
<I>
(Agli Edili)</I>
Ricercatelo a casa, ed arrestatelo,
ch la sua infezione contagiosa,
e pu diffondersi tra l'altra gente.
MENENIO - Ancora una parola! Una parola!...
Questo vostro furore pi-di-tigre(140)
quando vedr qual danno avr prodotto
tanta precipitosa avventatezza,
vorr legarsi dei pesi di piombo
ai calcagni, ma sar troppo tardi!
Processatelo per le vie legali,
se volete evitar che le fazioni
si scatenino, perch molto amato,
e che alla grande Roma tocchi in sorte
d'essere messa a sacco dai Romani.
BRUTO - Se cos fosse...
SICINIO - Ma che vieni a dirci!
Non abbiam forse avuto un primo assaggio
del suo rispetto per l'autorit?
Non ha forse percosso i nostri Edili?
Aggredito noi stessi?... Andiamo, via!
MENENIO - Considerate questo che vi dico:
egli uno cresciuto tra le guerre
da quando seppe impugnare una spada,
e non ha avuto mai chi gli insegnasse
ad usare un linguaggio raffinato.
Mischia farina e crusca, tutto insieme,
senza badarci. Datemi licenza
d'andar da lui, ed io ve lo conduco,
parola mia, dove potr rispondere
in piena calma ed in forma legale,
ad assoluto suo rischio e pericolo.
PRIMO SENATORE - questo il modo, nobili Tribuni,
di trattare la cosa umanamente;
l'altro sarebbe via troppo cruenta,
e di sbocco imprevisto e imprevedibile.
SICINIO - Ebbene, allora, nobile Menenio,
sii tu il rappresentante della plebe.
<I>
(Alla folla)</I>
Mastri, gi l'armi.
BRUTO - Ma senza disperdervi.
SICINIO - E radunatevi di nuovo al Foro.
<I>(A Menenio)</I>
Ti aspetteremo l;
e se torni senza condurre Marcio,
procederemo come stabilito.
MENENIO - Ve lo conduco.
<I>(Ai Senatori)</I>
Mi sia consentito
di chiedere la vostra compagnia.
Dovr venire, o ne seguir il peggio.
PRIMO SENATORE - S, vi prego, rechiamoci da lui.
<I>(Escono tutti)
SCENA II - Roma, in casa di Coriolano
Entra CORIOLANO con alcuni PATRIZI
</I>
CORIOLANO - Mi facciano crollare il mondo addosso(141),
mi minaccino morte sulla ruota(142),
o trascinato da cavalli bradi,
o accatastino l'una sopra l'altra
sulla Rupe Tarpea dieci colline,
s che non sia pi manifesto agli occhi
il fondo stesso di quel precipizio,
io con loro, sar sempre cos!
PRIMO PATRIZIO - E ci ti rende di tanto pi nobile.
CORIOLANO - Quello che mi stupisce che mia madre
non approvi pi questa mia condotta,
lei che ha sempre chiamato quella gente
servitoracci imbottiti di lana(143),
cose fatte per essere comprate
e rivendute poi per quattro soldi(144)
o per mostrar nelle loro assemblee
zucche pelate, bocche spalancate,
ferme inchiodate l, in ammirazione,
se solamente alcuno del mio rango
si levasse a parlar di pace o guerra.
<I>Entra VOLUMNIA</I>
Di te parlavo appunto:
perch vuoi ch'io mi mostri pi tenero?
Dovrei tradir la mia vera natura?
Dimmi piuttosto che ad agir cos
non faccio che mostrarmi quel che sono.
VOLUMNIA - Ah, figliolo, figliolo, tu, il potere
avrei voluto l'avessi indossato(145)
prima di consumarlo, come hai fatto...
CORIOLANO - Lascia andare.
VOLUMNIA - ... e restare pur te stesso
senza sforzarti tanto di ostentarlo.
E ti saresti posto meno ostacoli
ai tuoi fini, se non li avessi esposti
cos scopertamente agli occhi loro
prima ch'essi perdessero il potere
di frapporti essi stessi degli ostacoli.
CORIOLANO - Vadano tutti quanti ad impiccarsi!
VOLUMNIA - Ah, per me, vadano a bruciarsi vivi!
<I>Entra MENENIO, coi SENATORI</I>
MENENIO - Troppo rude sei stato, su, un po' troppo!
Ora devi ripresentarti a loro,
e rimediare.
PRIMO SENATORE - l'unico rimedio,
o la citt si spacca e va in rovina.
VOLUMNIA - Segui il loro consiglio, te ne prego.
Ho un cuore anch'io poco incline alla resa
simile al tuo, ma ho pure un cervello
che sa sfruttare a suo pro l'ira altrui.
MENENIO - Ben detto, nobilissima matrona!
Anch'io piuttosto che vederlo prono
ad umiliarsi innanzi a questo gregge,
se non fosse che il corso degli eventi
lo rende necessario come un farmaco
per la salute dell'intero Stato,
indosserei la mia vecchia armatura,
con tutto che ne regga appena il peso.
CORIOLANO - Che devo fare?
MENENIO - Tornar dai Tribuni.
CORIOLANO - Va bene, e poi?
MENENIO - Far finta di pentirti
di tutto ci che hai detto.
CORIOLANO - Innanzi a loro?
Non lo faccio nemmeno con gli di,
devo farlo con loro?
VOLUMNIA - Figlio mio(146),
sei troppo altero, troppo distaccato,
pur se questo non pu mai dirsi troppo
per un nobile; salvo che a parlare
non siano le esigenze del momento.
T'ho udito dire sovente che in guerra
onore e astuzia crescon di conserta,
da amici inseparabili. cos?
Spiegami allora che cosa han da perdere
i due dal seguitare quest'accordo
anche in tempo di pace.
CORIOLANO - Che discorsi!
MENENIO - Una domanda pertinente, invece!
VOLUMNIA - Se in guerra tu consideri onorevole
sembrar quello che non sei, e fai di questo
il mezzo per raggiungere i tuoi fini,
perch dovrebbe questa tua politica
perdere d'efficacia e di valore,
accoppiandosi in pace, come in guerra,
all'onore, se d'ambedue le cose
si presenti l'egual necessit?
CORIOLANO - Perch insisti su questo?
VOLUMNIA - Perch questo
per te il momento di parlare al popolo,
non seguendo la tua ispirazione(147),
o quello che ti suggerisca il cuore,
ma con parole mandate a memoria
sulla lingua, se pur solo bastarde
e sillabate senza alcun rapporto
con quella verit che hai nel petto.
Ebbene, non c' nulla in tutto questo
che ti possa recare disonore;
non pi che conquistare una citt
col mezzo di gentili paroline,
in un momento in cui ogni altro mezzo
t'avrebbe esposto ai colpi di fortuna
o al rischio di far correr molto sangue.
Io non avrei alcuna esitazione
a nasconder la mia vera natura,
se mi fosse richiesto dall'onore
essendo in gioco la mia stessa sorte,
o quella degli amici. Ebbene, figlio,
in tal frangente adesso ci troviamo
io, tua moglie, tuo figlio, i senatori,
i nobili; e tu stimi che sia meglio
mostrare a questa turba di pagliacci
come sei bravo a far la faccia dura,
invece di sprecare una moina
per guadagnarti le lor simpatie
e per salvare ci che, senza questo,
pu andar perduto.
MENENIO - Nobile matrona(148)!
<I>(A Coriolano)</I>
Vieni dunque con noi,
e parla loro con parole acconce.
Potrai cos non soltanto salvare
quel che oggi in pericolo,
ma rimediare alle passate perdite.
VOLUMNIA - S, figlio mio, ti prego, ti scongiuro,
va' da loro con il cappello in mano(149),
e, tesolo cos, con largo gesto
- perch cos devi fare con loro -
le tue ginocchia sfiorando le pietre
- in certe cose il gesto pi eloquente
delle parole, ch degli ignoranti
son pi istruiti gli occhi che le orecchie -
ed abbassando e rialzando il capo
come a correggere, con questo gesto,
l'altero cuore, divenuto docile
per l'occasione come mora sfatta
che si stacca dal rovo al primo tocco,
di' loro che tu sei il lor soldato,
e che, cresciuto in mezzo alle battaglie,
non hai quel tanto di buone maniere
che - lo confesserai - sarebbe giusto
per te di usare e per loro di esigere
nel momento in cui chiedi il loro voto;
ma che, d'ora in avanti, a giuramento,
modellerai te stesso a lor talento,
per quanto sar in te e in tuo potere.
MENENIO - Una volta che avrai fatto cos,
esattamente come lei ti dice,
ebbene, i loro cuori saran tuoi:
perch quelli, se uno glielo chiede,
sono altrettanto facili al perdono
che a sbraitare per cose da nulla.
VOLUMNIA - Ti prego, va' e riesci a dominarti;
anche se so che con un tuo nemico
preferiresti magari inseguirlo
fin dentro una voragine di fuoco
piuttosto che adularlo in un salotto.
<I>Entra COMINIO</I>
Ecco Cominio.
COMINIO - Sono stato al Foro;
bisogner davvero, Coriolano,
che tu ci vada bene accompagnato,
e che sappi difenderti con calma,
o non andarci affatto. tutto furia.
MENENIO - Basta parlare con un po' di garbo.
COMINIO - S, baster, se sapr contenersi.
VOLUMNIA - Si deve contenere, e lo far.
Ti prego, dimmi che sei pronto a farlo,
e vacci.
CORIOLANO - Debbo andare a mostrar loro
la mia zucca scoperta(150)?
Dare con vile lingua una smentita
al mio nobile cuore, e comandargli
di sopportarla?... Bene, lo far.
Sebbene, si trattasse sol di perdere
questo pugno di fango, per mio conto
questa forma che porta nome Marcio
la potrebbero macinare in polvere
e disperderla al vento... Andiamo al Foro!
Per la parte che m'avete imposta
non sapr mai rappresentarla al vivo.
COMINIO - Via, via, te la suggeriremo noi.
VOLUMNIA - Figlio caro, ti prego, hai sempre detto
che le mie lodi furono le prime
a far di te un soldato, e questa volta
per meritarle recita una parte
mai fatta prima.
CORIOLANO - Bene, devo farlo.
Natura mia, abbandonami,
e di me s'impossessi ora lo spirito
d'una puttana! La voce di guerra
che si fondeva con il mio tamburo
si tramuti nell'esile falsetto
da sottile cannuccia dell'eunuco
e da vocina della verginella
che culla i bimbi con la ninna-nanna!
Sulle mie guance restino accampati
i ghignosi sorrisi dei furfanti,
le lacrimucce dello scolaretto
m'inondino gli specchi della vista;
tra le mie labbra venga ad agitarsi
una lingua d'abbietto mendicante,
ed i ginocchi che nell'armatura
si piegavano solo sulla staffa,
si flettan come quelli del pitocco
ch'abbia pur mo' buscato l'elemosina!
Non lo far, non voglio tralignare
dal rimanere fedele a me stesso(151),
e col comportamento del mio corpo
indurmi ad insegnare alla mia anima
una bassezza non pi cancellabile.
VOLUMNIA - Fa' come credi. Sento pi vergogna
io a pregare te, che tu non senta
a pregar loro. Vada tutto a male!
E lascia che tua madre abbia a soffrire
del tuo orgoglio, pi di quanto tema
per questa tua rischiosa ostinazione;
perch'io so farmi beffa quanto te
della morte. Ma fa' a tuo talento.
Il tuo coraggio mio: tu l'hai succhiato
da me. Ma la superbia solo tua.
CORIOLANO - Non inquietarti, madre, te ne prego.
Vado al Foro. Non farmi pi rimbrotti.
Far sfoggio di ciarlataneria
per conquistar le loro simpatie,
riuscir a scroccare i loro cuori,
e mi vedrai tornare a casa amato
da tutte le romane mestieranze.
Guarda, sto andando. Saluta mia moglie.
Torner console, o d'ora in poi
non fidarti di quanto sapr fare
la mia lingua nell'arte di adulare.
VOLUMNIA - Fa' come vuoi. Addio.
<I>(Esce)</I>
COMINIO - I Tribuni t'aspettano. Muoviamoci.
Preparati a rispondere con calma,
ch quelli, a quanto sento, hanno approntato
contro di te accuse assai pi gravi
di quelle che gi porti sulle spalle.
CORIOLANO - "Con calma", s, la parola d'ordine.
Andiamo pure. Risponder loro
come mi detta il cuore,:
per quante accuse vorranno inventarsi.
MENENIO - S, ma garbatamente.
CORIOLANO - E come no!
Garbatamente, s, garbatamente!
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA III - Roma, il Foro</I>
<I>Entrano BRUTO e SICINIO
</I>
BRUTO - Su questo punto attacchiamolo a fondo:
che la sua mira il potere assoluto.
Se qui ci sfugge, dobbiamo incalzarlo
sul suo comportamento ostile al popolo,
e sul bottino tolto a quelli di Anzio,
che non stato mai distribuito.
<I>Entra un EDILE</I>
Allora, viene?
EDILE - qui che sta arrivando.
BRUTO - Chi l'accompagna?
EDILE - Il solito Menenio
e i patrizi che l'han sempre appoggiato.
SICINIO - Hai la lista completa
dei voti che gli abbiamo procurato,
suddivisi per singoli comizi?
EDILE - L'ho qui con me, completa.
SICINIO - Per trib(152)?
EDILE - S.
SICINIO - Convochiamo allora in assemblea
la plebe, subito. E quando udranno
da me queste parole: "Cos sia,
per il diritto e il potere del popolo",
o si tratti di condannarlo a morte,
o a pagare un'ammenda, o all'esilio,
s'io grido: "Ammenda!", ripetano: "Ammenda!",
se grido: "Morte!", ripetano: "Morte!",
riaffermando con questa procedura
l'antico privilegio ed il potere
di giudicare nella giusta causa.
EDILE - Li informer di queste tue istruzioni.
BRUTO - E che non cessino pi di gridare,
ma reclamino, con maggior clamore
la pronta ed immediata esecuzione
di quanto sar stato sentenziato.
EDILE - Perfettamente.
SICINIO - E vengano in gran numero,
e siano tutti pronti all'imbeccata
che noi daremo loro al punto giusto.
BRUTO - Va', provvedi che tutto ci sia fatto.
<I>(Esce l'Edile)
(A Sicinio)</I>
Portalo subito a perder la calma.
uso a vincere e s'avvampa subito
se contraddetto: una volta scaldato,
non ha pi freni alla moderazione,
spiattella tutto ci che tiene in petto;
ed a quel punto che ci porge il destro
di farsi rompere l'osso del collo.
<I>Entrano CORIOLANO, MENENIO, COMINIO, con senatori e patrizi</I>
SICINIO - Bene, arriva.
MENENIO - <I>(Piano, a Coriolano)</I>
Mi raccomando, calma.
CORIOLANO - S, calma, calma, come uno stalliere
che per i quattro soldi della paga
sopporta d'essere chiamato "bestia"!
<I>(Forte)</I>
Vogliano sempre i venerandi di
serbar sicura Roma e provvedere
che agli alti seggi della sua giustizia
seggan uomini degni!
Vogliano seminar tra noi l'amore,
affollar di pacifici cortei
i nostri templi, e non d'interne lotte
le nostre strade.
PRIMO SENATORE - Amn.
MENENIO - Nobile augurio.
<I>Rientra l'EDILE con la folla dei plebei </I>
SICINIO - Venite pure avanti, cittadini.
EDILE - Ascoltate i Tribuni. Ol, silenzio!
CORIOLANO - Prima ascoltate me.
I DUE TRIBUNI - Va bene, parla.
<I>(Alla folla)</I>
Silenzio, voi, laggi!
CORIOLANO - Ci saranno altre accuse aggiunte a queste,
oppure tutto si decide qui?
SICINIO - Io ti chiedo se intendi sottostare
a quel che il popolo andr a votare,
riconoscere i suoi rappresentanti,
se accetterai di scontare la pena
prevista dalla legge per le colpe
che saranno a tuo carico provate.
CORIOLANO - Accetto.
MENENIO - Lo sentite, cittadini?
Ecco, dice che pronto ad accettare!
A voi di valutare giustamente
tutti i servizi da lui resi in guerra;
considerate pure le ferite
che porta numerose sul suo corpo,
come tombe in un santo cimitero.
CORIOLANO - Solo graffi di spine,
cicatrici da ridere, nient'altro.
MENENIO - Considerate poi che nell'esprimersi,
se non parla come uno di citt,
dovete in lui vedere il soldato.
Non prendete l'asprezza del suo dire
per malagrazia nei riguardi vostri,
ma, come dico, lo dovete prendere
come il parlare proprio d'un soldato
e non gi d'uno che vi vuole male.
COMINIO - Bene, basta cos.
CORIOLANO - Per qual motivo,
dopo che sono stato eletto console
con voto unanime,
devo sentirmi leso nell'onore
a tal punto, che, dopo appena un'ora,
volete ritrattare il vostro voto?
SICINIO - Rispondi a noi, piuttosto.
CORIOLANO - Gi, tocca a me rispondere. Di' pure.
SICINIO - Noi t'accusiamo d'aver macchinato
con l'intento di spazzar via da Roma
tutte le cariche costituite,
e di puntare, per traverse vie,
al potere assoluto: onde tu sei
traditore del popolo romano.
CORIOLANO - Che! Traditore, io?
MENENIO - No, no, sta' calmo.
Ricorda la promessa...
CORIOLANO - Questo popolo,
che se lo inghiotta il pi profondo inferno!
Io, traditore! Insolente tribuno!
Avessi tu stampata nei tuoi occhi
la morte ventimila volte, e in mano
ne avessi tu milioni, e ancora il doppio
su quella tua linguaccia di bugiardo,
ti grider: "Tu menti!"
con quella stessa mia voce dell'animo
altrettanto spontanea come quella
con cui prego gli di:
SICINIO -<I> (Alla folla)</I>
Lo senti, popolo?
PLEBEI - Alla Rupe!
Alla Rupe quello l!
SICINIO - Basta cos, non servono altre accuse!
Avete visto tutti quel che ha fatto,
udito che ha detto: ha malmenato
i vostri delegati, v'ha insultati,
ha resistito violento alla legge,
ed ha sfidato qui l'alto potere
di coloro che devon giudicarlo:
tutto questo delitto capitale,
da meritar nient'altro che la morte.
BRUTO - Tuttavia, poich ha ben servito
per il bene di Roma...
CORIOLANO - Che vuoi cianciare tu di ben servire?
BRUTO - Dico ci che conosco.
CORIOLANO - Proprio tu!
MENENIO - <I>(A Coriolano)</I>
cos che mantieni la promessa
fatta a tua madre?
COMINIO - Sappi, amico, che...
CORIOLANO - Non voglio saper altro!
Mi condannino pure come vogliono:
ad essere buttato dalla Rupe,
ad andare in esilio vagabondo,
magari ad essere scuoiato vivo,
o a languire di fame in una cella
con un granello di frumento al giorno:
mai m'indurr a comprare la piet
al prezzo d'una sola parolina
d'adulazione, mai mi s'indurr
a trattenere la mia repulsione
dall'ottener da loro qualche cosa,
bastasse pure dir solo "buongiorno"!
SICINIO - Attesoch in diverse occasioni
ha fatto tutto ch'era in suo potere
per mostrare il suo odio contro il popolo,
cercando ogni possibile espediente
per strappargli il potere;
ed anche in questa s' mostrato ostile
non solo contro l'austera giustizia
ma contro chi la deve amministrare,
noi, in nome del popolo
e nella nostra veste di tribuni,
lo bandiamo da questo stesso istante
dalla nostra citt, sotto minaccia
d'esser precipitato dalla Rupe,
se ancor varcasse le porte di Roma.
Cos sentenzio, nel nome del popolo.
PLEBEI - E cos sia! E cos sia! Cacciamolo!
bandito da Roma, e cos sia!
COMINIO - Ch'io vi parli, miei mastri, amici miei...
Ascoltatemi. Sono stato console,
e sul mio corpo porto le ferite
che m'hanno fatto i nemici di Roma.
Io di questa mia patria ho caro il bene
con pi tenero, pi sacro rispetto,
pi profondo della mia stessa vita,
dell'onore della mia cara sposa,
dei frutti del suo grembo,
e prezioso tesoro dei miei lombi.
Perci s'io vi dicessi...
SICINIO - Che vuoi dire?
Sappiamo gi dove vuoi arrivare.
BRUTO - Non c' altro da dire,
se non che questi bandito da Roma,
come nemico di Roma e del popolo.
E cos sia.
PLEBEI - E cos ha da essere!
CORIOLANO - Branco di miserabili cagnacci,
il cui fiato fetente io detesto
come l'aria d'una palude infetta,
i cui favori apprezzo
quanto il lezzo ammorbante l'atmosfera
delle carcasse d'uomini insepolti,
son io che vi bandisco ora da me!
E qui restate coi vostri orgasmi!
Che ogni minima voce(153) metta a tutti
in cuor la tremarella! Ed i nemici
col solo scuotere delle lor piume(154),
vi piombino nella disperazione.
Tenetevelo stretto un tal potere
di dare il bando a chi vi pu difendere,
finch alla lunga la vostra insipienza,
che nulla impara finch non lo prova,
non risparmiando nemmeno voi stessi,
di voi stessi facendovi nemici,
non vi consegni, come prigionieri
i pi disonorati, a una nazione,
che vi avr vinti senza un solo colpo!
Cos, sprezzando io la mia citt
per causa vostra, le volto le spalle.
C' un mondo pure altrove!
<I>(Esce con Cominio, Menenio e gli altri patrizi)</I>
EDILE - Il nemico del popolo partito!
PLEBEI - Via il nostro nemico!
Al bando!
Evviva!
<I>(Gridano tutti, gettando in aria i berretti)</I>
SICINIO - Ora andate a vederlo
quand'esce dalla porta di citt,
e con lo sguardo lo segua ciascuno
con lo stesso disprezzo
col quale egli ha guardato sempre voi.
Dategli la tortura che si merita.
Che una guardia ci scorti,
nel mentre attraversiamo la citt.
PLEBEI - Alla porta! Alla porta! Andiamo, andiamo!
A vederlo mentre esce di citt!
Gli di proteggano i nostri Tribuni!
Andiamo, andiamo tutti!
<I>(Escono)</I>
<B>ATTO QUARTO</B>
<I>SCENA I - Roma, davanti a una porta della citt(155) </I>
<I>Entrano CORIOLANO, VOLUMNIA, VIRGINIA, MENENIO, COMINIO e giovani patrizi</I>
CORIOLANO - <I>(Alla madre e alla moglie)</I>
Basta, via, con le lacrime.
Un addio breve. Mi caccia a cornate
la mala bestia dalle molte teste(156)...
Madre, suvvia, fa' cuore!
Dov' dunque l'antico tuo coraggio?
M'hai sempre detto che gli estremi mali
sono le grandi prove dello spirito;
che le comuni avversit son cose
che anche la gente bassa sa patire;
che con calma di mare,
ogni naviglio, qual che sia la stazza,
si mostra in grado di tenere il mare;
che quanto pi in profondo
si dirigono i colpi della sorte,
tanto pi nobilmente i nostri sensi
devon sopportarne le ferite.
M'hai sempre caricato di precetti
che dovevano rendere invincibile
il cuore che li avesse assimilati(157)...
VIRGINIA - O cieli! O cieli!
CORIOLANO - No, ti prego, donna...
VOLUMNIA - La peste colga tutti i mestieranti
di Roma, e muoiano tutti i mestieri!
CORIOLANO - Via, via, che assente mi rimpiangeranno.
Su, su, madre, ritrova il vecchio spirito
di quando non facevi che ripetermi
- ricordi?(158) - che se fossi stata tu
la moglie d'Ercole, avresti fatto
sei delle sue fatiche, risparmiando
met dei suoi sudori a tuo marito...
Cominio, non ti contristare.<I> Adieu!</I>
Addio, mia sposa, addio, madre mia!
Sapr cavarmela, malgrado tutto.
E tu, mio vecchio e fedele Menenio,
le tue lacrime sono pi salate
delle lacrime d'occhi giovanili,
e son come veleno per i tuoi.
<I>(A Cominio)</I>
Mio caro generale,
t'ho visto spesso fermo ed impassibile
davanti a viste da impietrire il cuore:
fa' tu capire a queste afflitte donne
che piangere per colpi inevitabili
tanto stolto quanto stolto il riderne.
Madre, sai bene che per te i miei rischi
sono stati la tua consolazione,
e sta' certa che s'anche me ne vado solo,
solingo come un drago solitario
che fa temibile la sua palude
e del quale la gente parla tanto
quanto meno lo vede, questo figlio
far qualcosa di straordinario;
se non riusciranno a catturarlo
col mezzo dell'inganno e dell'astuzia.
VOLUMNIA - Ma dove te ne andrai, figliolo mio?
Prendi almeno con te, per qualche tempo,
il buon Cominio. Decidi che fare,
non esporti alla cieca ad ogni evento
che ti si possa offrire sul cammino.
VIRGINIA - O di!...
COMINIO - Vengo con te per tutto un mese;
cos potremo decidere insieme
dove fermarti s che poi di te
possiamo aver notizia e tu di noi;
cos se con il tempo fiorir
l'occasione del tuo richiamo in patria,
non dovremo mandare per un uomo
alla ricerca in tutto il vasto mondo
e perdere il vantaggio del momento,
che sempre fatalmente si raffredda
nell'assenza di chi deve giovarsene.
CORIOLANO - Addio, Cominio. Sei carico d'anni,
e pesano ancor troppo su di te
le fatiche di guerra, per pensare
d'andare alla ventura per il mondo
con uno che ce la pu far da s(159).
Accompagnami solo per un pezzo
fuori le mura. Vieni, dolce sposa,
madre amatissima, amici miei
di nobil tempra; e appena sar fuori
ditemi tutti addio con un sorriso.
Vi prego, andiamo. Avrete mie notizie
fintanto che avr i piedi sulla terra;
e non saprete mai nulla di me
se non di quel che sono sempre stato.
MENENIO - Questo parlare quanto di pi nobile
pu udire orecchio. Ebbene, niente lacrime!
Potessi scuotermi solo sett'anni
da queste stagionate braccia e gambe,
ti seguirei, per gli di, passo passo!
CORIOLANO - Qua la tua mano nella mia. Andiamo.
<I>(Escono)
SCENA II - Roma, davanti a una porta della citt</I>
<I>Entrano i due TRIBUNI con un EDILE</I>
SICINIO - Rimandiamoli a casa. andato via.
inutile che procediamo oltre.
I nobili non l'han mandata gi.
Tutti dalla sua parte, abbiamo visto.
BRUTO - Ora, per, che abbiam mostrato i denti(160)
ci conviene mostrarci pi dimessi
di quando tutto questo era da fare.
SICINIO - <I>(All'Edile)</I>
Mandali a casa. Di' che il gran nemico
se n' andato, e la loro antica forza
sempre intatta.
BRUTO - <I>(All'Edile)</I>
S, mandali a casa.
<I>Esce l'Edile</I>
Ecco sua madre.
<I>Entrano VOLUMNIA, VIRGINIA e MENENIO</I>
SICINIO - Evitiamola. meglio.
BRUTO - Perch?
SICINIO - La dicon furibonda pazza.
BRUTO - Ci hanno visti. Cammina, tira dritto.
VOLUMNIA - Oh, v'incontro a buon punto!
Tutte le pi schifose pestilenze
tenute in serbo dagli di per gli uomini
possano ripagare il vostro zelo!
MENENIO - Non gridare cos!
VOLUMNIA - Ancor pi forte
mi sentiresti, se non fosse il pianto...
Anzi, mi sentirai lo stesso, adesso...
<I>(A Bruto)</I>
Che! Te ne vai?
VIRGINIA - <I>(A Sicinio)</I>
Resta qui anche tu...
Potessi dir lo stesso a mio marito!
SICINIO -<I> (A Volumnia)</I>
Diamine, siete diventate uomini(161)?
VOLUMNIA - Certo, imbecille, forse una vergogna?
Stammi a sentire, pezzo di babbeo:
uomo non era forse il padre mio?
Tu invece no, tu sei solo la volpe
ch' riuscita a cacciar via da Roma
un uomo che per Roma ha dispensato
pi colpi che parole tu abbia detto.
SICINIO - O di beati!
VOLUMNIA - S, colpi pi nobili
che tu sagge parole, e dispensati
per il bene di Roma.
Sai che ti dico?... Ma va', va'... No, invece,
no, anzi resta... Vorrei che mio figlio
si trovasse in Arabia, spada in pugno,
a faccia a faccia con la tua trib.
SICINIO - Ebbene, allora?
VIRGINIA - Allora sentiresti!
Porrebbe fine a tutta la tua schiatta.
VOLUMNIA - A tutta la tua razza di bastardi.
Quel gagliardo, con tutte le ferite
che si porta per Roma!
MENENIO - Via, sta' calma.
SICINIO - Se avesse seguitato a comportarsi
verso la patria come da principio,
e non avesse spezzato lui stesso
il generoso nodo da lui stretto...
BRUTO - Ah, s, magari avesse...
VOLUMNIA - "Ah, s, magari"!
Ma se vi siete dati proprio voi
ad infiammar la folla! Voi, gattacci,
che siete in grado di stimare i meriti
non pi di quanto io sappia scrutare
i misteri insondabili del cielo!
BRUTO - Andiamo, prego.
VOLUMNIA - Prego, andate, andate.
Avete fatto una bella prodezza.
Prima, per, sentite che vi dico:
di quanto s'erge in alto il Campidoglio
sopra il pi misero tetto di Roma,
di tanto il figlio mio e di costei
sposo - di questa donna qui, vedete? -,
da voi bandito, vi sovrasta tutti.
BRUTO - Bene, bene, ma adesso vi lasciamo.
SICINIO - Perch star qui a sorbirci gli improperi
d'una che ha perso chiaramente il senno?
<I>(Escono i due Tribuni)</I>
VOLUMNIA - E v'accompagnino le mie preghiere.
Non avesser gli di altro da fare
che confermar le mie maledizioni!
Ah, potessi incontrarli, questi due,
anche una volta al giorno:
gi basterebbe per sentirmi il cuore
sollevato dal peso che l'opprime.
MENENIO - Gli hai detto il fatto loro,
e, francamente, ne avevi ragione.
Non vorreste cenare insieme a me?
VOLUMNIA - la rabbia il mio cibo. La mia cena
la far su me stessa, divorandomi,
cos mangiando morir di fame.
<I>(A Virginia)</I>
Andiamo, cessa di piagnucolare,
e lamentati, come faccio io,
di rabbia, alla maniera di Giunone(162).
Andiamo.
<I>(Escono Volumnia e Virginia)</I>
MENENIO - Vituperio, vituperio!
<I>(Esce)
SCENA III - La strada fra Roma e Anzio</I>
<I>Entrano NICANOR, soldato romano, e ADRIANO, soldato volsco, incontrandosi
</I>
NICANOR - Io ti conosco, amico;
ed anche tu devi conoscer me.
Se non mi sbaglio, ti chiami Adriano.
ADRIANO - Esattamente, amico; ma, in coscienza,
di te non mi ricordo.
NICANOR - Son romano,
ma uno che lavora, come te,
contro i Romani. Mi ravvisi adesso?
ADRIANO - Nicanor?...
NICANOR - S, amico, proprio lui.
ADRIANO - Pi barba avevi, quando t'ho incontrato
l'ultima volta, ma la voce quella.
Bene, che novit ci sono a Roma?
Ho qui un mandato del governo volsco
di ricercarti l; ma adesso tu
m'hai risparmiato un giorno di cammino.
NICANOR - Ci sono state a Roma insurrezioni
mai viste prima(163): il popolo in rivolta
contro il Senato, i nobili, i patrizi.
ADRIANO - "Ci sono state...". Perch, son finite?
I nostri governanti non lo credono;
stanno facendo grandi apprestamenti
per la guerra, sperando di sorprenderli
nel pieno ardore delle lor discordie.
NICANOR - Beh, la grande fiammata ormai spenta;
ma basta una scintilla a ravvivarla,
perch i nobili han preso cos male
la cacciata del prode Coriolano,
da ritener matura l'occasione
per togliere alla plebe ogni potere
e strapparle per sempre i suoi tribuni.
C' fuoco sotto cenere, ti dico,
e sta l l per divampar di nuovo.
ADRIANO - Coriolano bandito!
NICANOR - S, bandito.
ADRIANO - A Corioli far molto piacere,
Nicanor, questa tua informazione.
NICANOR - Lo credo; un buon momento, ora, per loro.
Ho sempre udito che il miglior momento
per sedurre la moglie di qualcuno
quando ha litigato col marito.
Il vostro valoroso Tullo Aufidio
avr modo di mettersi in gran luce
in questa guerra, il suo grande avversario,
Coriolano, trovandosi in disgrazia
col suo paese.
ADRIANO - Per forza di cose.
stata veramente una fortuna
per me incontrarti, cos, casualmente;
hai concluso cos la mia missione,
e con piacere t'accompagno a casa.
NICANOR - Fino all'ora di cena avr da dirti
molte cose stranissime da Roma,
e tutte vantaggiose ai suoi nemici.
Hai detto che hanno pronto gi un esercito?
ADRIANO - E che fiore d'esercito! Magnifico!
I centurioni, con i loro uomini,
gi arruolati, al soldo dello Stato,
equipaggiati e pronti a entrare in campo
in termine di un'ora.
NICANOR - Son contento di udire che son pronti,
perch ritengo d'esser proprio io
quello che li far mettere in marcia
con la massima urgenza.
Bene incontrato, dunque, amico mio,
e molto lieto della compagnia.
ADRIANO - Tu mi rubi di bocca le parole,
amico; sono io che ho pi ragione
di rallegrarmi.
NICANOR - Bene, incamminiamoci.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA IV - Anzio, davanti alla casa di Aufidio</I>
<I>Entra CORIOLANO in abito dimesso, travestito e imbacuccato</I>
CORIOLANO - Bella citt quest'Anzio! E son io qui,
Anzio, che le tue donne ha reso vedove.
Ho udito gemere sotto i miei colpi
molti eredi di queste tue magioni
e cadere. Perci non riconoscermi,
che le tue donne con i loro spiedi
ed i ragazzi con le lor sassate
non m'uccidano in un puerile scontro.
<I>Entra un CITTADINO</I>
Salve, amico.
CITTADINO - Salute a te.
CORIOLANO - Di grazia,
sapresti dirmi dove sta di casa
il grande Aufidio? Si trova qui ad Anzio?
CITTADINO - S, e banchetta a casa sua stasera
con i notabili della citt.
CORIOLANO - Qual la casa sua?
CITTADINO - Ce l'hai davanti.
CORIOLANO - Grazie, amico, salute.
<I>
(Esce il Cittadino)</I>
O mondo, le tue scivolose curve!
Amici uniti da antica affezione,
da sembrare un sol cuore entro due petti,
da trascorrere insieme tutti i giorni
le ore, il letto, la mensa, il lavoro,
inseparabili nel loro affetto
come fossero stati due gemelli,
basta uno screzio, un dissenso da niente
per rompere in tremenda inimicizia.
Cos ugualmente nemici giurati
cui l'ira e il furore dell'intrigo
tolsero il sonno a forza di pensare
come distruggersi l'uno con l'altro,
ecco che per un caso, una sciocchezza
che vale meno d'una coccia d'uovo,
possono diventare grandi amici
e unir le loro sorti. Cos io:
detesto il luogo dove sono nato
e guardo con amore a una citt
che mi stata nemica... Beh, io entro.
Se m'uccide, si sar solo preso
una giusta rivalsa. Se m'accetta,
mi metter a servire il suo paese.
<I>(Esce)</I>
<I>SCENA V - Anzio, l'interno della casa di Aufidio</I>
<I>Musica da dentro</I>
<I>Entra un SERVO, gridando, affaccendato e traversando la scena
</I>
PRIMO SERVO - Vino, vino!... Che razza di servizio!
Qui mi paiono tutti addormentati!
<I>(Esce)
Entra un altro SERVO</I>
SECONDO SERVO -<I> (Chiamando)</I>
Coto!... Ma dove s' cacciato?... Coto!
Il padrone lo vuole.
<I>Entra CORIOLANO</I>
CORIOLANO - Bella casa...
Dal banchetto promana un buon odore;
ma io non sembro certo un convitato.
<I>Rientra il PRIMO SERVO</I>
PRIMO SERVO - Che vuoi, amico? Da che parte vieni?
Qui per te non c' posto. Fila, prego.
<I>(Esce) </I>
CORIOLANO - Essendo Coriolano, non mi merito
da questa gente miglior trattamento(164).
<I>Rientra il SECONDO SERVO</I>
SECONDO SERVO - Da dove spunti, amico?... Ma il portiere
ce l'ha gli occhi, che lascia entrare qui
figuri come te? Va' fuori, via!
CORIOLANO - Via tu, piuttosto.
SECONDO SERVO - Io? Aria, sparisci!
CORIOLANO - Ora cominci a infastidirmi.
SECONDO SERVO - Ah!
Ci fai pure il gradasso? Ora vedrai:
ti faccio dire io due paroline.
<I>Entra un TERZO SERVO, insieme con il PRIMO</I>
TERZO SERVO - Chi costui?
PRIMO SERVO - Uno strano figuro
quale mai m' caduto sotto gli occhi.
Non mi riesce di mandarlo via.
Fammi il favore, chiama tu il padrone.
TERZO SERVO - <I>(A Coriolano)</I>
Che ci fai qui, compare? Su, va' fuori.
CORIOLANO - Lasciami solo starmene qui, in piedi.
Non ti far alcun danno al focolare.
TERZO SERVO - Chi sei?
CORIOLANO - Un nobile.
TERZO SERVO - Sarai un nobile,
ma sei meravigliosamente povero.
CORIOLANO - vero.
TERZO SERVO - E dunque, nobile spiantato,
ti prego, scegliti qualche altro posto.
Questo non per te. Sgombrare, via!
CORIOLANO - Seguita pure a far le tue faccende,
va' ad ingozzarti con i loro avanzi.
<I>(Gli d una spinta, mentre il Terzo Servo gli si avvicina)</I>
TERZO SERVO - Che! Non vuoi?
<I>(Al Secondo Servo)</I>
Per favore, di' al padrone
che strano convitato ha dentro casa.
SECONDO SERVO - Vado subito.
<I>(Esce)</I>
TERZO SERVO -<I> (A Coriolano)</I>
Dove stai di casa?
CORIOLANO - Sotto il gran baldacchino(165).
TERZO SERVO - Il baldacchino?
CORIOLANO - S.
TERZO SERVO - E dov' codesto baldacchino?
CORIOLANO - Nella citt dei nibbi e dei corbacchi(166).
TERZO SERVO - Nella citt dei nibbi e dei corbacchi?
Che razza di somaro mai costui!
Allora alloggi pure con le taccole(167)?
CORIOLANO - No, questo no: non mi trovo al servizio
del tuo padrone.
TERZO SERVO - Che vuoi dir, compare?
Vuoi avere a che far col mio padrone?
CORIOLANO - Certo, e sarebbe pi onesto servizio
dell'aver a che far con la tua ganza.
Tu cianci troppo. Va' a servir la tavola
col tuo tagliere. Lvati di mezzo!
<I>(Lo caccia via percuotendolo)</I>
<I>Entra TULLO AUFIDIO col SECONDO SERVO</I>
AUFIDIO - Dov' dunque quest'uomo?
SECONDO SERVO - <I>(Indicando Coriolano)</I>
qui, padrone.
L'avrei cacciato a calci come un cane;
non l'ho fatto per non recar disturbo
alle lor signorie che son di l.
<I>(Il Primo e Secondo Servo si fanno da parte)</I>
AUFIDIO - <I>(A Coriolano)</I>
Da dove vieni? Che vuoi? Il tuo nome?...
Perch non parli?... Avanti, di' chi sei.
CORIOLANO - <I>(Scoprendosi il volto)</I>
Tullo, se ancor non m'hai riconosciuto,
e se, a guardarmi, non sai ravvisarmi
per quel che sono, ti dir il mio nome.
AUFIDIO - Cio?
CORIOLANO - Un nome che non suona musica
agli orecchi dei Volsci, e soprattutto
deve suonar ben aspro a quelli tuoi.
AUFIDIO - E dillo, questo nome! Hai l'aria fiera
e impresso in faccia il segno del comando.
Anche se il tuo sartiame va a brandelli,
la struttura completa dello scafo
rivela nobilt. Qual il tuo nome?
CORIOLANO - Prepara la tua fronte ad aggrottarsi.
Ancora dunque non mi riconosci?
AUFIDIO - No, non ti riconosco. Dimmi il nome.
CORIOLANO - Son Caio Marcio: l'uomo
che ha procurato a te in particolare
e a tutti i Volsci assai malanni e lutti.
N' testimone questo soprannome:
Coriolano, che m'hanno dato a Roma(168).
Il gravoso servizio militare,
i pericoli estremi da me corsi
e le gocce di sangue che ho versato
per l'irriconoscente patria mia
m'hanno fruttato, quale ricompensa,
nulla di pi che questo soprannome:
un bel ricordo, una testimonianza
per te di tutto l'odio ed il rancore
che dovresti portarmi. Questo nome
per tutto ci che mi rimane:
le crudelt, l'invidia della plebe
secondata da nobili vigliacchi
che m'han lasciato a lottare da solo,
si sono divorate tutto il resto
ed han permesso ch'io fossi cacciato
da Roma per i voti degli schiavi.
stato questo estremo di sventura
che m'ha portato qui, al tuo focolare;
non gi con la speranza - non fraintendermi -
d'aver salva la vita,
ch, se avessi paura della morte,
e c' un uomo da cui dovrei guardarmi,
quello sei tu, ma per puro dispetto,
e per rifarmi in pieno con coloro
che m'han bandito. E son davanti a te.
Se tu covi nel cuore una rivincita
che ti ripaghi dei torti subiti,
se brami cancellare la vergogna
delle mutilazioni che si vedono
in ogni angolo del tuo paese,
non esitare a trarre beneficio
dalla mia situazione di disgrazia:
usala in modo da trarre un vantaggio
da quanto io possa far per vendicarmi.
Perch'io ti dico che combatter
contro l'incancrenito mio paese
con la rabbia dei diavoli d'inferno.
Ma se di tanto osare non ti senti,
e stanco sei di tentar nuove sorti,
anch'io sono stanchissimo di vivere,
e pronto a presentare la mia gola
a te ed all'antico tuo rancore.
E se ti rifiutassi di tagliarla,
ti mostreresti soltanto uno stolto,
perch il mio odio t'ha sempre inseguito,
ha fatto correre botti di sangue
dalla tua terra, ed io non potrei vivere
se non che a tuo completo disonore,
salvo che non vivessi per servirti.
AUFIDIO - <I>(Dopo un cenno al servo, che si ritira)</I>
Oh, Marcio, Marcio! Come ogni parola
di queste tue m'ha strappato dal cuore
una radice dell'antico odio!
Se Giove stesso su da quella nuvola
mi rivelasse divini misteri,
e mi dicesse: "Questa verit!"
a lui non crederei pi che ora a te,
nobilissimo Marcio! Ch'io recinga
in un abbraccio codesto tuo corpo
contro il quale la mia forcuta lancia
si spezz cento volte, e le sue schegge
sfregiarono la faccia della luna!
E adesso invece stringo fra le braccia
la stessa incudine della mia spada,
e caldamente quanto nobilmente
gareggio col tuo ardore,
come prima, con ambiziosa forza,
col tuo valore. Sappi solo questo:
ho amato molto colei che ho sposato;
mai uomo sospir pi lealmente.
Ma ora, nel vederti avanti a me,
nobilissimo uomo, con pi gioia
mi sobbalza rapito il cuore in petto
di quando vidi per la prima volta
la mia sposa varcare la mia soglia.
Ebbene, dico a te, come al dio Marte,
che abbiamo gi un esercito allestito,
pronto all'azione, ed ancora una volta
m'ero proposto di falciarti via
con la mia spada lo scudo dal braccio,
o di perdere il mio;
dodici volte, l'una dopo l'altra,
tu m'hai piegato, e da allora ogni notte
non sogno che di scontri tra noi due:
ci vedo tutti e due avvinti a terra,
e l, dopo esserci slacciati gli elmi,
afferrarci l'un l'altro per la gola...
per poi svegliarmi tutto tramortito,
e perch?, per un nulla, solo un sogno.
Degno Marcio, se pur altra querela
non avessimo che la tua cacciata
con Roma, chiameremmo tutti gli uomini
alle armi, dai dodici ai settanta,
e, rovesciando rivoli di guerra
nelle viscere dell'ingrata Roma,
strariperemmo su tutto il suo corpo
con la violenza d'un torrente in piena.
Ma entra, vieni a stringere la mano
ai senatori amici qui venuti
a salutarmi, poi che mi preparo
ad attaccare i vostri territori,
se non proprio la stessa Roma.
CORIOLANO - O di,
questa una vostra benedizione!
AUFIDIO - Perci se vuoi, nobilissimo amico,
prender la guida della tua vendetta,
prenditi la met delle mie forze
e decidi il da fare, a tuo talento
come ti detta meglio l'esperienza;
ch tu conosci pi di chiunque altro
del tuo paese forza e debolezza,
se sia meglio, cio, picchiare d'impeto
alle porte di Roma, o se investirli
con violenza nella periferia,
per spaventarli prima di distruggerli.
Ma vieni dentro, ch'io per prima cosa
ti presenti a coloro cui compete
di secondare i tuoi desiderata.
Sii dunque mille volte benvenuto,
pi amico oggi che nemico ieri
(e lo sei stato, Marcio, e che nemico!).
Qua la mano. Sii molto benvenuto.
<I>(Escono)</I>
<I>Il PRIMO e il SECONDO SERVO si fanno avanti(169) </I>
PRIMO SERVO - Quale sbalorditiva metamorfosi!
SECONDO SERVO - Per questa mano, avevo gi pensato,
ti giuro, di cacciarlo a bastonate...
Per dentro di me lo sentivo
che il suo abito non diceva il vero...
PRIMO SERVO - E che braccia!... M'ha fatto fare un giro
con la presa del pollice e del medio,
come se avesse avviato una trottola.
SECONDO SERVO - Eh, l'ho capito subito dal viso
che c'era in lui qualcosa; una tal faccia
che mi pareva... non so come dire.
PRIMO SERVO - S, s, aveva un'aria, quasi fosse...
Eh, m'impicchino se non ho capito
che quello l ci aveva qualche cosa
in pi di quanto potessi pensare.
SECONDO SERVO - E io lo stesso, lo potrei giurare.
Senz'altro l'uomo pi straordinario
che ho visto al mondo.
PRIMO SERVO - Penso anch'io cos.
Per, come soldato, c' qualcuno
di lui pi grande, e tu lo sai chi .
SECONDO SERVO - Chi, il padrone?
PRIMO SERVO - Non c' discussione.
SECONDO SERVO - Ne vale sei.
PRIMO SERVO - No, non esageriamo.
Per lo reputo miglior soldato.
SECONDO SERVO - Guarda, in coscienza, non so come metterla:
nella difesa d'una roccaforte
il nostro generale ineguagliabile.
PRIMO SERVO - Certamente, ma pure nell'attacco.
<I>Entra il TERZO SERVO</I>
TERZO SERVO - Ehi, furfantacci! Ho notizie da darvi,
e che notizie, figli di puttana!
I DUE - Quali, quali, su, sptale!
TERZO SERVO - Fra tutte le nazioni della terra,
non vorrei essere proprio un romano:
sarebbe come una condanna a morte.
I DUE - Perch, perch?
TERZO SERVO - Perch quel Caio Marcio
che le ha suonate non so quante volte
al nostro generale, qui con noi.
PRIMO SERVO - "Suonate al nostro generale" hai detto?
TERZO SERVO - "Suonate" proprio no, non dico, via,
per gli ha dato del filo da torcere.
SECONDO SERVO - Ah, per questo, sia detto fra di noi,
per lui stato sempre un osso duro.
L'ho udito spesso dirlo da lui stesso.
PRIMO SERVO - Un osso troppo duro, s, per lui,
a dire il vero: davanti a Corioli
l'ha tagliuzzato come una braciola.
SECONDO SERVO - Se avesse avuto gusti da cannibale
se lo sarebbe pur cotto e mangiato.
PRIMO SERVO - Beh, tutte qui le tue grandi notizie?
TERZO SERVO - No, l dentro lo trattan tutti quanti
che pare il figlio e l'erede di Marte:
l'hanno fatto sedere a capotavola;
e i senatori, per fargli domande,
s'alzano in piedi e si scoprono il capo.
Il nostro generale, poi, lo tratta
come fosse la sua cara morosa:
lo sfiora con la mano come un santo,
e a sentirlo parlar strabuzza gli occhi.
Ma il vero succo sapete qual ?
Che il nostro generale dimezzato
rispetto a ieri, perch l'altro mezzo
se l' preso quell'altro, col consenso
e le preghiere di tutta la tavola.
Andr, egli dice, a tirare le orecchie
a chi sta a guardia delle porte di Roma,
che falcer ogni cosa avanti a s,
per far pulito e sgombro il suo passaggio.
SECONDO SERVO - Ed uomo capace di far questo,
quant'altri al mondo.
TERZO SERVO - Farlo, lo far;
perch, vedi, avr, s, tanti nemici,
ma anche tanti amici; i quali amici
non hanno avuto, diciamo, il coraggio,
di mostrarsi, diciamo, amici suoi
mentre lui in <I>discapito</I>(170)...
PRIMO SERVO - "Discapito"?
E che cos'?
TERZO SERVO - ... ma quando lo vedranno
con la cresta rialzata e bene in sangue
salteran fuori dalle loro tane
come conigli dopo l'acquazzone
e tutti insieme a fargli grande festa.
PRIMO SERVO - Ma quando ci?
TERZO SERVO - Domani, oggi, subito.
Potresti sentir battere il tamburo
addirittura questo pomeriggio,
come se fosse l'ultima portata
del lor banchetto, da tradurre in atto
prima ch'essi s'asciughino la bocca.
SECONDO SERVO - Cos riavremo almeno intorno a noi
un po' di movimento. Questa pace
serve solo ad arrugginire il ferro,
ad accrescere il numero dei sarti
e partorire autori di ballate.
PRIMO SERVO - Ah, per me, dico, datemi la guerra!
meglio cento volte della pace,
come il giorno migliore della notte;
la guerra cosa viva, movimento,
vispa, ha voce, piena di sorprese.
La pace apoplessia, letargia:
spenta, sorda, insensibile, assonnata,
e fa mettere al mondo pi bastardi
che non uccida uomini la guerra.
SECONDO SERVO - Proprio cos. La guerra la puoi dire,
per un verso, una grande scopatrice,
cos come la pace
una grande fattrice di cornuti.
PRIMO SERVO - Gi, e fa odiare gli uomini tra loro.
TERZO SERVO - Logico: perch quando sono in pace,
hanno meno bisogno l'un dell'altro.
Eh, s, la guerra a me va proprio a genio(171)!
E spero che vedremo qui Romani
a pochi soldi l'uno, come i Volsci.
Si alzano da tavola! Si alzano!
PRIMO e SEC. SERVO - Dentro, dentro, sbrighiamoci!
<I>(Escono entrando nella sala da pranzo)</I>
<I>SCENA VI - Roma, una piazza</I>
<I>Entrano i tribuni SICINIO e BRUTO</I>
SICINIO - Di lui non s' sentito pi parlare,
n c' luogo a temerne: le sue armi
sono spuntate(172)... Il popolo sta quieto
e in pace, la selvaggia agitazione
finita. Che tutto ora vada bene
a Roma, grazie a noi,
fa arrossire di rabbia i suoi amici,
che avrebbero di certo preferito,
a costo di soffrirne loro stessi,
vedere moltitudini in rivolta
per le strade di Roma anzich udire
cantare i nostri nelle lor botteghe,
serenamente intenti ai lor mestieri.
BRUTO - Abbiam puntato i piedi al punto giusto.
<I>Entra MENENIO</I>
Non Menenio, questo?
SICINIO - lui, lui,
s' fatto gentilissimo con noi,
da qualche tempo in qua. Salute, amico.
MENENIO - Salute a voi.
SICINIO - Il vostro Coriolano
non sembra essere molto rimpianto,
tranne che nella cerchia degli amici.
La repubblica regge bene in piedi
senza di lui, e reggerebbe sempre,
foss'egli ancor pi in collera con lei.
MENENIO - S, tutto bene, infatti. Andrebbe meglio
per, se avesse saputo aspettare.
SICINIO - Hai notizie di lui? Dove si trova?
MENENIO - Non ne so nulla. La madre e la moglie
sono anch'esse sprovviste di notizie.
<I>Entrano alcuni POPOLANI</I>
I POPOLANI - <I>(In coro)</I>
Gli di v'assistano sempre, tribuni!
SICINIO - Buona sera a voi tutti.
BRUTO - Buona sera!
PRIMO POPOLANO - Dovremmo stare sempre inginocchiati,
noi, con le nostre mogli e i nostri figli,
a pregare gli di per voi due!
SICINIO - Vivete e prosperate, brava gente!
BRUTO - Addio, buona salute, cari amici!
Avesse avuto per voi Coriolano
la premura che vi portiamo noi!
I POPOLANI - <I>(In coro)</I>
Il cielo vi protegga!
I DUE TRIBUNI - State bene.
<I>(Escono i popolani) </I>
SICINIO - Grazie al cielo, son tempi pi felici
questi, rispetto a quando questa gente
si riversava in massa per le strade
urlando e seminando la rivolta.
BRUTO - Marcio alla guerra stato certamente
un bravo condottiero, ma altezzoso,
ambiziosissimo, pieno di s...
SICINIO - ... e quanto mai smanioso
di diventare il padrone assoluto
della repubblica, senza collega(173).
MENENIO - No, questo non lo credo.
SICINIO - Eh, a quest'ora
ce lo saremmo ritrovato tale,
a nostro gran rimpianto,
s'egli fosse salito al consolato.
BRUTO - Gli di l'hanno impedito, per fortuna;
e Roma, lui assente,
pu viver tranquilla e in sicurezza.
<I>Entra un EDILE</I>
EDILE - Onorandi tribuni, c' uno schiavo
che abbiam messo in prigione, ch'era in giro
spargendo dappertutto la notizia
che i Volsci, da due parti, con due eserciti,
son penetrati nei nostri confini
in armi, e van con furia micidiale,
distruggendo ogni cosa che si para
sulla loro avanzata.
MENENIO - Questo Aufidio,
che, avendo appreso del bando di Marcio,
tira fuori di nuovo ora le corna
che ha mantenuto sempre dentro il guscio
senza osar di mostrarle,
finch per Roma combatteva Marcio.
SICINIO - Evvia! Che c'entra tirar fuori Marcio!
<I>(All'Edile)</I>
Va', fallo fustigare l'allarmista!
Non pu esser che i Volsci osino tanto
da romperla con noi!
MENENIO - Ah, pu ben essere!
Abbiamo precedenti che pu essere.
Per interrogatelo quest'uomo
prima di castigarlo:
che dica da che fonte ha la notizia,
se non volete andar incontro al rischio
di frustare la vostra informazione
e bastonare chi vi mette in guardia
contro qualcosa ch' da far paura.
SICINIO - Ma son fandonie. So che non pu essere.
BRUTO - No, no, non possibile.
<I>Entra un MESSO</I>
MESSO - Tutti i patrizi, in grande agitazione,
stanno andando al Senato.
Ci son notizie che li hanno sconvolti.
SICINIO - tutto questo schiavo...
<I>(All'Edile)</I>
Va', fallo fustigare avanti a tutti.
L'allarme suo; nient'altro che fandonie.
MESSO - No, onorevole tribuno, no!
Il suo racconto tutto confermato.
E c' dell'altro, ancora pi terribile!
SICINIO - Ancora pi terribile? Che cosa?
MESSO - tutto un dire, da bocche diverse
- quanto ci sia di vero non lo so -
che Caio Marcio, unito a Tullo Aufidio,
vien marciando alla testa d'un esercito
contro Roma, e giurando una vendetta
generale, cos indiscriminata
da includere i pi giovani e i pi vecchi.
SICINIO - Per chi ci crede!
BRUTO - Voci sparse ad arte,
per ravvivar negli animi pi fiacchi
l'augurio che il "buon Marcio" torni a casa.
SICINIO - Gi, questo il loro gioco.
MENENIO - Anch'io ci credo poco. Aufidio e lui
son due che possono andare d'accordo
non pi di quanto pu l'acqua col fuoco.
<I>Entra un altro MESSO</I>
SECONDO MESSO - Siete attesi in Senato. Un grande esercito
al comando di Marcio e Aufidio uniti,
imperversa sui nostri territori,
travolgendo, incendiando, distruggendo
tutto quello che incontra avanti a s.
<I>Entra COMINIO</I>
COMINIO - <I>(Ai due tribuni)</I>
Che bel capolavoro avete fatto!
MENENIO - Perch, che sai, che sai?
COMINIO - <I>(Come sopra)</I>
Non potevate meglio dare mano
a farvi violentar le vostre figlie,
a far piovere sulle vostre zucche
il piombo fuso dai tetti di Roma,
a vedervi stuprare sotto gli occhi
le vostre mogli...
MENENIO - Perch? Che succede?
COMINIO - ... a vedervi bruciare, incenerire
i vostri templi, e vedervi ridotte
s sottili le vostre guarentigie
e poteri, cui tenevate tanto,
da entrar nel forellino d'un succhiello!
MENENIO - Insomma, che notizie sai? Ti prego!
<I>(Ai due Tribuni)</I>
Avete fatto, ho paura, voi due
un bel capolavoro...
<I>(A Cominio)</I>
Di', ti prego.
Che nuove porti? Se davvero Marcio
s' unito ai Volsci...
COMINIO - Se? il loro dio!
Li guida come fosse un'entit
non generata da madre Natura,
da deit diversa, e pi capace
della Natura stessa a fare un uomo;
e quelli l lo seguono
contro di noi, mocciosi bamboccioni,
con la stessa svagata sicurezza
di ragazzi che inseguono farfalle
sotto il sole d'estate, o di beccai
che si trovino a macellare mosche.
MENENIO - <I>(Ai tribuni)</I>
Che bel lavoro avete combinato,
voi ed i vostri grembiulati amici(174)!
Voi, che tanto eravate infatuati
del voto della vostra mestieranza
e del fiato dei mangiatori d'aglio!
COMINIO - Ve la far crollare sulla testa,
la vostra Roma!
MENENIO - Come quando Ercole,
scroll le mele mature dall'albero!(175).
Avete fatto proprio un bel lavoro!
BRUTO - Insomma, proprio vero?
COMINIO - Tanto vero,
che prima di scoprire che non l',
dovrete divenir pallidi morti(176).
Tutte le genti gli aprono le porte
sorridendo, ed i pochi che resistono,
derisi per il lor vano eroismo,
periscono da stolidi lealisti.
Chi pu muovergli biasimo, del resto?
Anche i nemici, i vostri come i suoi,
riconoscono che c' in lui qualcosa.
MENENIO - Siete tutti spacciati,
se quel nobile non avr piet.
COMINIO - Piet! Chi dovr chiederla? I Tribuni?
Almeno per pudore, quelli no!
Il popolo? Ma il popolo da lui
merita tanta piet quanto il lupo
dai pastori. Chi altro? I suoi seguaci?
Ma se costoro gli andassero a dire:
"Sii pietoso con Roma",
la lor preghiera avrebbe l'accoglienza
di quella di chi merita il suo odio,
e cio di chi fosse suo nemico.
MENENIO - vero. S'anche m'appiccasse fuoco
alla casa e me l'incendiasse tutta,
io non avrei la faccia di gridargli:
"Fermati, ti scongiuro!".
Avete fatto proprio un bel lavoro,
voi due, con tutto il vostro artigianume!
COMINIO - Per colpa vostra Roma sta tremando,
come non ha mai fatto nel passato.
I DUE TRIBUNI - Non direte che questo colpa nostra.
MENENIO - Ah, no? Sarebbe dunque colpa nostra?
Marcio noi l'amavamo,
ma da nobili bestie, quanto vili,
abbiam ceduto alla vostra ciurmaglia
che urlando l'ha cacciato via da Roma.
COMINIO - Ho paura per che questa volta
dovranno urlando chiedergli piet.
Tullo Aufidio, il cui nome di soldato
secondo nel mondo, gli obbedisce
come un qualunque suo subordinato.
Ormai tutta la tattica di guerra
tutta la forza, tutte le difese
che Roma potr opporre a questi due
sar solo la sua disperazione.
<I>Entra un gruppo di POPOLANI</I>
MENENIO - Arriva il branco... E Aufidio insieme a lui?
<I>
(Ai popolani)</I>
Voi siete quelli che gli avete reso
irrespirabile l'aria di Roma,
quando gettaste in aria
quelle coppole vostre unte e fetenti
per acclamare la sua messa al bando!
Adesso egli ritorna,
e non c' pelo in testa a un suo soldato
che non si far sferza per voi tutti:
far cadere a terra tante zucche
quanti berretti voi gettaste in aria,
e vi salder il conto
dei voti che gli avete ritrattato.
E se poi ci mandasse tutti a fuoco,
fino a ridurci un unico tizzone,
tanto peggio! L'avremo meritato!
I POPOLANI - Certo, udiamo terribili notizie.
PRIMO POPOLANO - Per parte mia, quando gridai: "Al bando!"
aggiunsi pure che mi dispiaceva...
SECONDO POPOL. - E cos io.
TERZO POPOLANO - E io no?... In coscienza,
fece cos la gran parte di noi.
Quel che abbiam fatto stato a fin di bene;
e se pur assentimmo volentieri
a bandirlo, fu certo controvoglia.
COMINIO - Bravissimi, voi tutti e i vostri voti!
MENENIO - Avete combinato un bel lavoro,
voi e i vostri schiamazzi!
<I>(A Cominio)</I>
Che facciamo, saliamo al Campidoglio?
COMINIO - Mi pare non ci sia altro da fare.
<I>(Escono Cominio e Menenio)</I>
SICINIO -<I> (Alla folla)</I>
A casa, amici; ma non vi allarmate.
Quelli l(177) appartengono a una parte
cui farebbe davvero gran piacere
se dovesse avverarsi
quello che fanno finta di temere.
A casa, e che nessuno dia a vedere
d'aver paura.
PRIMO POPOLANO - Gli di ci proteggano!
Compagni, a casa!... Io l'ho sempre detto
che facevamo male ad esiliarlo.
SECONDO POPOL. - Tutti l'abbiamo detto, s' per questo!
Andiamo, andiamo a casa!
<I>(Escono i popolani)</I>
BRUTO - Brutte notizie. Proprio non mi piacciono.
SICINIO - Nemmeno a me. Darei met del mio,
se servisse a saper che sono false.
BRUTO - Saliamo al Campidoglio.
SICINIO - Prego, andiamo.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA VII - Il campo dei Volsci presso Roma</I>
<I>Entrano AUFIDIO e il suo LUOGOTENENTE</I>
AUFIDIO - Passano ancora molti col Romano(178)?
LUOGOTENENTE - Non so quale magia egli abbia addosso
ma i tuoi soldati l'hanno sempre in bocca
manco fosse il <I>"Signore benedicite"</I>
prima dei pasti, il lor discorso a tavola
e il lor ringraziamento a fine pasto(179);
e tu sei messo in ombra, generale,
anche dai tuoi, in questa spedizione.
AUFIDIO - Per il momento non ci posso nulla,
a men di far ricorso a tali mezzi
che finirebbero con l'azzoppare
i nostri stessi piani.
Anche con me si mostra assai pi altero
di quanto avessi mai immaginato,
il giorno che lo accolsi a braccia aperte.
Ma sua natura, in ci non si smentisce
e io debbo per forza perdonare
ci che non possibile correggere.
LUOGOTENENTE - Avrei desiderato tuttavia
- nel tuo stesso interesse, intendo dire -
che non lo avessi associato al comando,
ma che avessi da solo preso in mano
la suprema condotta dell'impresa;
o l'avessi lasciata solo a lui.
AUFIDIO - Intendo quel che dici, ma sta' certo,
quando verr che dovr render conto,
non sa quel che sapr tirare in ballo
contro di lui. Sebbene in apparenza,
come egli stesso crede - e come appare
non meno bene agli occhi della gente -
ei compia tutto in piena lealt
e dimostri d'avere buona cura
degli interessi dello Stato volsco,
che si batta per esso come un drago
e che tutto riesca ad ottenere
col solo sguainar della sua spada,
c' una cosa per che ha trascurato,
e sar tale da spezzargli il collo,
o a mettere il mio a pari rischio,
quando verremo alla resa dei conti.
LUOGOTENENTE - Che pensi, generale,
sar capace di prendere Roma?
AUFIDIO - Ogni localit s'arrende a lui,
prima ch'egli s'appresti ad assediarla;
la nobilt di Roma tutta sua:
senatori, patrizi fanno a gara
a chi pi l'ama. I tribuni del popolo
non son uomini d'arme, e il loro popolo
sar altrettanto pronto a richiamarlo
quanto lo stato a decretarne il bando.
Penso ch'ei sia per Roma e pei Romani
quel ch' la procellaria per il pesce,
che lo divora per suprema legge
della natura. D'essi stato prima
nobile servitore, ma incapace
in seguito di mantener le cariche
con tutto l'equilibrio necessario.
Sia stato orgoglio - che, con il successo,
sempre contagia l'uomo che lo coglie -
sia stata assenza di discernimento
nel lasciarsi sfuggire le occasioni
che pure aveva saldamente in pugno;
sia stata pure la sua stessa indole
che lo rende istintivamente inabile
a mostrarsi diverso da se stesso
quando passa dall'elmo del guerriero
al cuscino del seggio consolare,
e a concepire che non possibile
governare la pace
col piglio e la durezza usati in guerra,
sta che uno solo di questi difetti
- ch in lui di tutti quanti c' sentore,
seppur nessuno ne possieda al massimo,
ci che finora me l'ha fatto assolvere -
l'ha reso un uomo da tutti temuto,
e cos odiato, e cos messo al bando.
Ha certamente un merito
che annulla ogni difetto al solo dirlo(180).
Ma le virt degli uomini, si sa,
soggiacciono alla stima del momento;
e il potere, in se stesso pregiatissimo,
non ha tomba pi certa che lo scanno
su cui siede a esaltare ci che ha fatto.
Cos il fuoco divora un altro fuoco,
e un chiodo scaccia l'altro; cos cade
un diritto per forza d'un diritto,
la forza per la forza d'altra forza.
Ma muoviamoci adesso... Caio Marcio,
quando tua sar Roma,
tu sarai il pi povero di tutti,
ed allora sarai subito mio!
<I>(Escono)</I>
<B>ATTO QUINTO</B>
<I>SCENA I - Roma, una piazza</I>
<I>Entrano MENENIO, COMINIO, SICINIO, BRUTO e altri</I>
MENENIO - No, non ci vado. Avete tutti udito
come ha parlato a colui che fu un tempo
suo comandante e ch'era a lui legato
dal pi tenero affetto.
Mi chiamava suo padre. E che con ci?
Andate voi, che l'avete bandito,
e prima d'arrivare alla sua tenda(181),
un miglio prima cadete in ginocchio
e implorate la sua misericordia.
No, se s' dimostrato indifferente
a sentire Cominio, io resto a casa.
COMINIO - Era come se non mi conoscesse...
MENENIO - Ecco, sentite?...
COMINIO - Eppure nel passato
mi chiam sempre per nome: Cominio.
Gli ho richiamato la vecchia amicizia
ed il sangue che abbiam versato insieme;
ma a chiamarlo col nome "Coriolano"
non rispondeva, e lo stesso con gli altri;
come se fosse un nulla, un senza nome,
fin quando non si fosse da se stesso
forgiato un altro nome, un nome nuovo,
nel braciere di Roma messa a fuoco.
MENENIO - Addirittura!
<I>
(Ai Tribuni)</I>
Ecco, ora vedete,
che bel lavoro avete combinato?
Una bella pariglia di tribuni
che han fatto il necessario perch a Roma
ci fosse del carbone a buon mercato.
Che nobile epitaffio(182)!
COMINIO - Non ho mancato poi di ricordargli
come regale sia il perdonare
specie se meno atteso. M'ha risposto.
ch'era quella richiesta senza senso
da parte di uno Stato a una persona
ch'esso stesso aveva castigato.
MENENIO - Benissimo! Poteva dir di meno?
COMINIO - Ho cercato di risvegliare in lui
l'attaccamento agli amici pi cari:
m'ha risposto che non poteva certo
star l a sceverarli uno per uno
in un mucchio di pula infetta e putrida;
e che sarebbe stato da imbecilli,
per salvar qualche chicco di frumento
in quel putrido ammasso,
astenersi dall'appiccarvi il fuoco
e seguitare ad annusarne il lezzo.
MENENIO - "Per qualche chicco di frumento", ha detto?
Uno son io di quelli,
e sua madre, e sua moglie, e il suo figliolo,
ed anche questo valoroso amico,
<I>(Indica Cominio)</I>
siam tutti i granellini ch'egli dice...
<I>
(Ai Tribuni)</I>
... ma voi siete la lolla imputridita,
che spande il suo fetore oltre la luna.
E noi, per causa vostra,
sarem forzati a farci abbrustolire!
SICINIO - Evvia, ti prego, non t'imbestialire!
Se ti rifiuti di prestarci aiuto,
ora ch'esso ci occorre come mai,
non rinfacciarci almeno la disgrazia!
Certo, per, se tu fossi disposto
ad intercedere presso di lui
pel tuo paese, l'abile tua lingua
sarebbe ben capace di fermarlo
il nostro, come non potrebbe fare
qualunque esercito che gli opponessimo.
MENENIO - No, non voglio immischiarmi.
SICINIO - Ti prego, va' da lui.
MENENIO - A far che cosa?
SICINIO - Soltanto un tentativo,
quale pu fare a favore di Roma
il tuo legame d'affetto con Marcio.
MENENIO - Beh, mettiamo che mi rimandi indietro,
senza ascoltarmi, come pure ha fatto
con Cominio... Che cosa ne verrebbe?
Nient'altro che un amico disilluso,
ferito dalla sua indifferenza.
Non ti pare?
SICINIO - Quand'anche cos fosse,
la tua prova di buona volont
non potr non ricevere da Roma
la gratitudine commisurata
alla buona intenzione dimostrata.
MENENIO - Bah, mi ci prover.
Chiss che non si degni d'ascoltarmi;
sebbene quel suo mordersi le labbra,
quell'inarticolato bofonchiare
che ci ha detto Cominio, non son cose
che m'incoraggino un gran che a tentare...
Ma forse non fu colto il buon momento:
non aveva pranzato,
e il sangue ancora freddo nelle vene
quando queste non son ben riempite,
al mattino, imbronciati come siamo,
siamo sempre, si sa, poco disposti
a dare o a perdonare; quando, invece,
abbiamo riempito in abbondanza
con vino e cibo queste condutture
in cui si canalizza il nostro sangue
abbiamo l'animo pi disponibile
che non nei nostri digiuni da preti.
Perci star l attento ad aspettare
che sia sazio e disposto ad ascoltarmi,
e allora cercher di avvicinarlo.
BRUTO - Tu conosci qual la strada giusta
per giungere alla sua arrendevolezza,
e non ti puoi smarrire.
MENENIO - Per mia buona coscienza, io ci provo;
poi vada come vuole.
Non ci sar poi tanto da aspettare
per constatare se sar riuscito.
<I>(Esce)</I>
COMINIO - Non sar mai che voglia dargli ascolto.
SICINIO - No?
COMINIO - Ve l'ho detto: se ne sta seduto
in un seggio dorato(183), l'occhio rosso
quasi a volere, col solo suo sguardo,
incenerire Roma; e la sua offesa(184)
il carceriere della sua piet.
Gli son caduto davanti in ginocchio,
e lui m'ha detto appena, in un sussurro:
"Rialzati", e d'un gesto della mano
in silenzio, cos, m'ha congedato.
M'ha fatto poi sapere per iscritto
quel ch' disposto a fare e quel che no:
impegnato com' da un giuramento
ad osservare certe condizioni.
cos; non c' nulla da sperare,
salvoch, come ho udito,
la sua nobile madre e la sua sposa
non vadano esse stesse
a implorargli merc per la sua patria.
Perci muoviamoci, andiamo a pregarle
di recarsi da lui quanto pi presto.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA II - Il campo volsco, davanti a Roma</I>
<I>Entra MENENIO, e avanza verso due SENTINELLE</I>
1a SENTINELLA - Alto l! Dove vai?
2a SENTINELLA - Fermati! Indietro!
MENENIO - Voi fate buona guardia, e fate bene.
Ma, con vostra licenza, io sono qui
in veste di ufficiale dello Stato,
e vengo per parlare a Coriolano.
1a SENTINELLA - E da dove?
MENENIO - Da Roma.
1a SENTINELLA - Non si passa!
Devi tornare indietro: il generale
da l non vuol ricevere nessuno.
2a SENTINELLA - Potrai vedere la tua Roma in fiamme
prima di colloquiar con Coriolano.
MENENIO - Miei buoni amici, se vi sia occorso
d'udir parlare il vostro generale
di Roma e degli amici ch'egli ha l,
c' da scommetter mille contro uno
che il nome mio vi sia giunto all'orecchio:
Menenio.
1a SENTINELLA - Pu darsi, ma va' indietro,
perch il tuo nome qua non conta niente.
MENENIO - Ti dico, amico, ascolta, ch'io son uno
al quale il generale tuo vuol bene,
uno che stato, vedi, in qualche modo
il libro delle sue famose imprese,
e dove gli uomini han potuto leggere
le sue gesta. magari un po' gonfiate,
per via che degli amici (e lui il primo)
ho cercato di dire sempre bene
ed in tutta l'ampiezza consentita
da verit, senza toglierci un ette.
Talvolta posso aver passato il segno,
come accade a una boccia,
tirata sopra un fondo diseguale;
e nel far le sue lodi m' accaduto
quasi di fabbricar moneta falsa...
Pertanto, amico, credo d'aver titolo
e che tu debba lasciarmi passare.
1a SENTINELLA - Senti, amico, se pure avessi detto
in favore di lui tante bugie
per quante chiacchiere hai speso per te,
di qui non passi; manco se fregare(185)
fosse virt come vivere casti.
Perci indietro.
MENENIO - Ma per favore, amico,
ricordati che il mio nome Menenio,
e sono sempre stato partigiano
del partito del vostro generale.
2a SENTINELLA - Tu potrai essere, come tu dici,
il suo bugiardo, quanto ti fa comodo,
io son uno che sta sotto di lui
e non dico bugie,
perci ti debbo dire che non passi.
Avanti, sgombra!
MENENIO - Puoi dirmi soltanto
se ha gi pranzato? Non vorrei parlargli
prima ch'abbia mangiato.
1a SENTINELLA - Sei romano?
MENENIO - Romano, come il vostro generale.
1a SENTINELLA - Allora tu dovresti odiare Roma
n pi n meno quanto l'odia lui.
Come fate a pensare
che dopo aver cacciato dalle porte
colui che era il loro difensore
e dopo aver regalato al nemico
il vostro scudo, possiate sperare
ora di fronteggiar la sua vendetta
con i facili piagnistei di vecchie
o in virt delle virginali palme
giunte in preghiera delle vostre figlie,
o per l'intercessione paralitica
d'un vecchio rimbambito come te?
Come puoi credere di poter spegnere
con un debole fiato come il tuo
le fiamme in cui fra poco dovr ardere
la tua citt? Ti fai illusioni, vecchio,
e perci fila, tornatene a Roma,
e preprati per l'esecuzione.
Perch l siete tutti condannati;
il generale non v'accorder,
l'ha giurato, n tregua n perdono.
MENENIO - Stammi a sentire, amico: se il tuo capo
fosse informato ch'io mi trovo qui,
mi tratterebbe con ogni riguardo.
1a SENTINELLA - Il mio capo? Nemmeno sa chi sei.
MENENIO - Volevo intendere il tuo generale.
1a SENTINELLA - Che vuoi che gliene importi, al generale,
di uno come te! Va' indietro, via,
se non vuoi che ti faccia spillar fuori
quel bicchiere di sangue che ti resta.
Sloggiare, via, sloggiare! Via di qua!
MENENIO - Eh, ma... amico, un momento(186)!
<I>Entra CORIOLANO con AUFIDIO</I>
CORIOLANO - Che succede?
MENENIO - <I>(Alla sentinella)</I>
Oh, adesso, amico, te lo faccio io
un bel rapporto col tuo superiore(187)!
Cos saprai se m'ha riguardo o no.
Vedrai se un bischero di sentinella
si pu permettere di trattenermi
dall'incontrarmi col mio Coriolano.
Gi dal modo con cui mi tratter
potrai immaginare se per te
c' gi pronta la forca o altra sorta
di pi lungo supplizio. Sta' a guardare
e poi svieni, per quello che t'aspetta!
<I>(A Coriolano)</I>
Gli di gloriosi seggano in consesso
ora per ora a conservarti prospero
e non t'abbiano essi meno caro
del tuo vecchio Menenio. Figlio mio
tu ci stai preparando fuoco e fiamme.
Guarda: ecco qui l'acqua per estinguerle.
A stento hanno cercato di convincermi
a venir qui da te; ma quando io stesso
alla fine mi sono persuaso
che nessun altro all'infuori di me
potesse fare tanto da commuoverti,
coi lor sospiri sono stato spinto
fuor dalle porte della tua citt
ad implorarti il perdono per Roma
e pei supplici tuoi compatrioti.
Gli di benigni plachino il tuo sdegno
e ne faccian cader l'ultima feccia
sulla testa di questo manigoldo
<I>(Indica la 2a Sentinella)</I>
che s' impuntato, duro come un ciocco,
a sbarrarmi l'accesso a te...
CORIOLANO - Va' via!
MENENIO - Come! Che dici?
CORIOLANO - Moglie, madre, figlio,
non li conosco. Tutte le mie cose
son sottomesse ad altri. La vendetta
tutto quanto mi resta di mio;
il mio perdono nel cuore dei Volsci.
Che un'amicizia sia stata fra noi,
sia l'ingrata oblivione suo veleno
piuttosto che venirci la piet
a ricordar quant'essa fosse grande.
Perci vattene. A queste vostre suppliche
i miei orecchi son pi resistenti
che le porte di Roma alle mie armi.
Tuttavia, per l'affetto che t'ho avuto,
prendi questo con te:
<I>(Gli consegna una lettera)</I>
per te l'ho scritto,
e te l'avrei mandato. Altro da te,
Menenio, non star ad ascoltare.
<I>
(Ad Aufidio)</I>
Quest'uomo a Roma m'era molto caro
fra tutti: eppure tu lo vedi, Aufidio.
AUFIDIO - Vedo: sei uomo di tempra costante.
<I>(Escono Coriolano e Aufidio)</I>
1a SENTINELLA - Sicch, compare, il tuo nome Menenio?
2a SENTINELLA - Caspita, un nome di molto potere.
La via di casa la conosci. Va'.
1a SENTINELLA - Hai sentito che striglia abbiamo preso
per aver bloccato Tua Eccellenza?
2 SENTINELLA - Che motivo ci avrei io di svenire,
secondo te?
MENENIO - Non me ne importa pi
n del tuo generale, n del mondo!
Quanto ad arnesi della vostra specie
faccio fatica soltanto a pensare
che siete al mondo, tanto vi considero!
Chi deciso a morir di propria mano
non teme di morir per mano altrui.
Faccia pure quanto di peggio ha in mente,
il vostro generale; quanto a voi,
restate pure a lungo quel che siete,
e vi cresca, cogli anni, la miseria!
Dico a voi quel ch' stato detto a me.
<I>(Esce)</I>
1a SENTINELLA - Un brav'uomo, per, non c' che dire.
2a SENTINELLA - Che tipo in gamba il nostro generale!
Una roccia, una quercia che non crolla
per quanti venti gli soffino contro.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA III - La tenda di Coriolano</I>
<I>Entrano CORIOLANO, AUFIDIO e Ufficiali. Si siedono</I>
CORIOLANO - Accamperemo domani l'esercito
proprio davanti alle mura di Roma.
Tu, mio collega in questa spedizione,
farai sapere ai senatori volsci
con quanta lealt verso di loro
io l'ho portata avanti.
AUFIDIO - Hai guardato soltanto ai loro fini
e sei rimasto pienamente sordo
alle suppliche dell'intera Roma;
non hai ammesso a privato colloquio
nessuno, no, nemmeno quegli amici
ch'eran sicuri di poterlo fare.
CORIOLANO - Quest'ultimo venuto, quel vegliardo
che ho rinviato con il cuore a pezzi
a Roma, mi teneva ancor pi caro
che se fosse mio padre, ed io per lui
ero un dio. Mandarlo ora da me
stata l'ultima loro risorsa;
ed io, in nome dell'antico affetto,
pur mostrandomi duro anche con lui,
ho loro offerto una seconda volta
per suo mezzo le prime condizioni,
le stesse ch'essi avevan rifiutato
e che ora non posson pi accettare;
e ci solo per un riguardo a lui
che pensava poter fare di pi.
Ho ceduto ben poco.
Non prester pi orecchio, d'ora in poi,
a suppliche o altre ambascerie,
che vengan dallo Stato o dagli amici...
<I>(Grida dall'esterno)</I>
Che grida sono queste?
Non dovr mica vedermi tentato
a ritrattare una promessa fatta
appena adesso?... No, non lo far(188).
<I>Entrano VIRGINIA, VOLUMNIA, VALERIA, il PICCOLO MARCIO e altri del seguito</I>
<I>(Tra s)</I>
Prima, davanti a tutti, la mia sposa;
poi l'onorato grembo da cui forma
prese questo mio tronco, ed in mano a lei
il nipotino del suo stesso sangue...
Ma via da me la piena degli affetti!
Spezzatevi legami di natura
e diritti del sangue! La caparbia
sia virt. Che valore ha quell'inchino?
Che valgono per me
gli sguardi di quegli occhi di colomba
che spergiurar farebbero gli di?...
Ma oh!, m'intenerisco,
non son di terra pi forte degli altri!
Mia madre mi s'inchina...
come se l'Olimpo si curvasse
ad implorare una tana di talpa;
e il mio ragazzo ha un'aria cos supplice
ha un'espressione cos supplichevole
che par sia la Natura che mi gridi
a tutta voce: "Non dire di no!".
Ma passino coi loro aratri i Volsci
sopra il suolo che vide eretta Roma,
e rompano col vomere l'Italia(189)!
Non sar cos insulso
da cedere alla forza dell'istinto,
ma rester deciso ed incrollabile
come uomo padrone di se stesso
ignorando qualsiasi parentela.
VIRGINIA - Mio signore e marito!...
CORIOLANO - Questi occhi non son pi i miei di Roma(190).
VIRGINIA - la grande afflizione
che ci fa s mutate agli occhi tuoi.
CORIOLANO - <I>(A parte)</I>
Ecco che adesso, da cattivo attore,
dimentico la parte, m'impappino
fino a un fiasco completo!(191)...
<I>
(Alzandosi e andando verso la moglie)</I>
Tu, della carne mia la miglior parte,
perdona la spietata mia durezza,
ma non chiedermi in cambio
di perdonar "questi nostri Romani".
<I>(Virginia lo abbraccia e lo bacia)</I>
Oh, mia diletta, questo lungo bacio,
lungo come l'esilio, un bacio dolce
come la mia vendetta!
Per la gelosa regina del cielo(192),
quel tuo bacio d'addio io l'ho portato
sempre con me e vergine il mio labbro
da quell'istante l'ha serbato... O di,
io sto lasciando senza il mio saluto
la pi nobile madre della terra!
<I>(S'inginocchia ai piedi di Volumnia)</I>
Gi, mio ginocchio, affndati per terra,
lasciaci il calco d'una devozione,
la pi grande che figlio abbia sentito.
VOLUMNIA - Oh, rialzati, figlio benedetto!
<I>(Coriolano si rialza)</I>
Son io che m'inginocchio avanti a te
su questo duro cuscino di pietra,
mostrando in un tal gesto per se stesso
irriguardoso di civil decoro,
come finora mal sia stato inteso
il rispetto fra figlio e genitore.
<I>(S'inginocchia)
</I>
CORIOLANO - Che significa questo?
Tu inginocchiata qui davanti a me?
Davanti a questo figlio
tante volte da te rimproverato(193)?
Oh, allora volino a punger le stelle
anche le ghiaie dell'arida spiaggia!
Allora scaglino i venti in rivolta
gli alteri cedri contro il sole ardente,
spazzando via dal mondo l'impossibile,
s che diventi all'uomo facil opra
fare che ci che non pu esser sia.
VOLUMNIA - Tu sei il mio guerriero e a farti tale
io t'aiutai. Conosci questa donna?
<I>(Indica Valeria)</I>
CORIOLANO - La nobile sorella di Publicola,
luna di Roma, casta come il ghiaccio
che da neve purissima s'aggruma
col gelo, e pende sul tempio di Diana(194)...
Cara Valeria!...
VOLUMNIA - <I>(Indicando il piccolo Marcio)</I>
Questo la tua copia,
un acerbo compendio di te stesso,
che quando il tempo l'avr maturato
potr essere tutto il tuo ritratto.
CORIOLANO - <I>(Carezzando il viso del piccolo Marcio)</I>
Possa il dio dei soldati,
col consenso di Giove ottimo-massimo,
informarti di nobilt la mente
s da renderti immune al disonore
e farti emergere nelle battaglie
come un gran promontorio in mezzo al mare,
che regge l'impeto delle burrasche
e salva tutti quelli che lo vedono!<I></I>
VOLUMNIA - <I>(Al piccolo Marcio)</I>
Gi, in ginocchio!
CORIOLANO - Il mio bravo figlietto!
<I>(Il piccolo Marcio s'inginocchia, ma il padre lo tira su)</I>
VOLUMNIA - Ecco, anche lui, tua moglie, questa donna(195)
ed io, tua madre, siamo qui tuoi supplici.
CORIOLANO - Ti scongiuro, non domandarmi nulla!
O, se qualcosa devi domandarmi,
prima di tutto tieni in mente questo:
le cose che giurai di non concedere
non siano mai da te considerate
come rifiuti, se non le concedo.
Non chiedermi di rimandare a casa
i miei soldati, o di capitolare
alla plebe di Roma un'altra volta.
Non dirmi snaturato se ricuso
non smorzare con pi freddi argomenti
la mia rabbiosa sete di vendetta.
VOLUMNIA - Oh, basta, basta, hai detto:
non sei disposto a concedere nulla...
e noi qui non abbiamo che da chiedere
quello che tu hai detto di negarci.
E tuttavia te lo vogliamo chiedere,
s che, se ci fai vana la richiesta
se ne possa dar colpa
solo alla tua protervia. Perci ascolta.
CORIOLANO - Aufidio, ed anche voi, Volsci, sentite;
perch in privato qui nulla da Roma
s'ha da sentire.
<I>(Si siede)</I>
Che cos'hai da chiedere?
VOLUMNIA - Quand'anche rimanessimo in silenzio,
senza profferir verbo, il nostro aspetto
e queste nostre vesti ti direbbero
che genere di vita abbiam vissuto
da quando sei partito per l'esilio.
Considera che donne sventurate
noi siamo, come nessun'altra al mondo,
nel venir qui da te, se il sol vederti,
che ci dovrebbe empir di gioia gli occhi
e far danzare di conforto i cuori,
li costringe al contrario a lacrimare
e tremar di paura e di dolore,
e far che madre, sposa e figlioletto
vedano il loro figlio, sposo e padre
che strappa i visceri alla propria terra.
E l'esser tu di questa nostra terra
divenuto nemico pi funesto
per noi, povere donne, che per gli altri.
Ch almeno agli altri concesso il conforto
di pregare gli di,
a noi per causa tua proibito.
Come possiamo, ahim, noi le tue donne,
pregare il cielo per la nostra patria
(come sarebbe pur nostro dovere)
e nel contempo per la tua vittoria
(come sarebbe pur nostro dovere)?
Ahim, tra dover perdere la patria,
nostra cara nutrice, o perder te,
che nella patria sei nostro conforto,
andiamo incontro a una sciagura certa,
qualunque sia la parte, delle due,
che possiamo augurarci vittoriosa:
ch o dovrem vederti tratto in ceppi
come un nemico vinto
attraversare le strade di Roma,
oppur calcare da trionfatore
le rovine di questa tua citt
con la palma d'aver sparso da eroe
il sangue di tua moglie e dei tuoi figli(196).
Quanto a me, figlio mio,
non ho certo intenzione d'aspettare
qual esito la sorte avr voluto
serbare a questa guerra.
Se non potr convincerti a far grazia
con nobilt di cuore alle due parti
piuttosto che cercare la rovina
d'una sola di esse,
non potrai - credimi, tu non potrai! -
muovere ad assaltare il tuo paese,
figlio, senza aver prima calpestato
il ventre di tua madre
che t'ha portato al mondo.
VIRGINIA - E quello mio
che ha partorito a te questo ragazzo
per far vivere il nome tuo nel tempo!
IL PICCOLO MARCIO - A me, per, non mi calpesterai!
Io scapper finch non sar grande,
ma poi voglio combattere!
CORIOLANO - Per non intenerirsi come femmine<I></I>
bisogna non vedere innanzi a s
facce di donne o di fanciulli... Basta,
ho gi troppo ascoltato.
<I>(Si alza dal seggio e fa per andarsene)</I>
VOLUMNIA - No, no, Marcio,
non lasciarci cos! Se il nostro chiedere
mirasse solo a salvare i Romani
e a distruggere i Volsci che tu servi,
ci potresti accusar d'esser venute
come avvelenatrici del tuo onore.
No, ti chiediamo di riconciliarli,
s che, da un lato i Volsci possan dire:
"Ecco mostrata la nostra clemenza",
e i Romani: "L'abbiamo ricevuta";
e ciascuno ti acclami, da ogni parte,
ed esclami: "Che tu sia benedetto,
per aver combinato questa pace!".
Tu sai, nobile figlio, come incerte
siano sempre le sorti della guerra;
ma questo certo: se conquisti Roma
il beneficio che potrai raccoglierne
sar un nome che, appena menzionato,
sar inseguito da maledizioni
come cervo da una canea latrante(197),
e cos d'esso scriver la storia:
"L'uomo fu certo di gran nobilt,
della quale per l'ultima impresa
ha spazzato fin l'ultimo vestigio,
ha distrutto la patria, ed il suo nome
resta esecrato per le et future".
Parlami, figlio. Tu ch'hai sempre amato
i generosi slanci dell'onore,
tu ch'hai sempre aspirato
ad imitar gli di nella clemenza,
a lacerar col tuono l'ampio spazio,
come puoi caricare la tua collera
con un fulmine buono appena appena
a buttar gi un querciolo... Perch taci?
Credi sia degno d'un animo nobile
non saper cancellar dalla memoria
le offese ricevute?
<I>(A Virginia)</I>
Parla, figlia,
parla anche tu, perch delle tue lacrime
lui non si cura.
<I>(Al piccolo Marcio)</I>
Parla anche tu, piccolo.
Forse la tenera tua fanciullezza
pi che i nostri argomenti pu riuscire
a dargli un briciolo di commozione.
Non c' uomo che debba pi di lui
a sua madre, e mi lascia qui a cianciare
come una alla gogna...
<I>(A Coriolano)</I>
Per tua madre
non hai avuto mai in vita tua
un tratto di filiale gentilezza;
per lei che, invece, da povera chioccia,
incurante d'aver altra covata,
t'ha sempre accompagnato chiocciolando
alla guerra, e t'ha ricondotto a casa
felicemente e carico d'onori.
Di' che la mia richiesta non giusta
e respingimi pure con disprezzo;
ma se tale non , non sei onesto,
e gli di ti faranno ripagare
questo tuo rifiutare l'obbedienza
che spetta di diritto ad una madre...
<I>(Coriolano guarda da un'altra parte)</I>
Ah, volge il viso altrove!... Donne, gi!
<I>(S'inginocchia, e gli altri la imitano)</I>
Ci veda inginocchiati, e si vergogni!
Al soprannome suo di Coriolano
meglio s'addice la boria proterva
che la piet per le nostre preghiere.
Gi, sia finita, per l'ultima volta!
Poi torneremo a Roma,
e moriremo coi nostri vicini.
No, no, devi guardarci! Questo bimbo,
che non sa profferir ci che vorrebbe
ma s'inginocchia e ti tende le mani
con noi, sostiene la nostra preghiera
con pi forza di quanto tu ne adoperi
nel respingerla. Via, andiamo via!
<I>(Si alzano)</I>
Quest'uomo ha avuto per madre una Volsca,
sua moglie sta a Corioli,
e suo figlio somiglia a lui per caso.
<I>(A Coriolano)</I>
Parla, per dirci almeno "Andate via"!
Io, da qui innanzi rester in silenzio
finch la nostra Roma non sia in fiamme;
solo allora dir qualche parola.
CORIOLANO - <I>(Prendendole la mano, dopo lungo silenzio)</I>
Ah, madre, madre mia che cosa hai fatto!...
Guarda, s'aprono i cieli e di lass
irridono gli di a questa scena
innaturale! Oh, madre, madre, hai vinto!
Una felice vittoria per Roma;
ma per tuo figlio - credilo, ah, credilo! -
hai prevalso su lui, ma esponendolo
a un pericolo estremo,
se non proprio alla morte. E cos sia!
<I>(Ad Aufidio)</I>
Aufidio, io non potr pi condurre
questa guerra in piena lealt.
Negozier perci una congrua pace.
Ma dimmi, buon Aufidio, al posto mio,
avresti dato tu ad una madre
minore ascolto? O concesso di meno?
AUFIDIO - Sono commosso anch'io.
CORIOLANO - L'avrei giurato!
Ch non poco, Aufidio, che i miei occhi
trasudino piet. Ma dimmi tu,
buon collega, che pace vuoi concludere.
Per parte mia, non rester a Roma;
torno con te a Corioli
e ti prego di darmi il tuo sostegno
in questa contingenza. O madre! O moglie!
AUFIDIO - <I>(A parte)</I>
Godo a veder che ti sei messo dentro
questo conflitto tra piet ed onore;
ed proprio su questo
che far rifiorir la mia fortuna.
CORIOLANO - <I>(Alle donne)</I>
Subito, s. Beviamo prima insieme.
Ma voi dovete riportare a Roma
miglior testimonianza della cosa
che non sian le parole: un documento
dalle due parti rato e sigillato.
Venite, dunque, entrate insieme a noi.
Donne, voi meritate a Roma un tempio:(198)
tutte le spade che sono in Italia
e i suoi eserciti confederati
non avrebbero fatto questa pace.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA IV - Roma, una piazza</I>
<I>Entrano MENENIO e SICINIO</I>
MENENIO - Lo vedi quello spigolo di pietra
lass sul Campidoglio?
SICINIO - Ebbene, allora?
MENENIO - Ebbene allora se tu col tuo mignolo
riesci a smuoverlo, qualche speranza
vuol dir che c' che le donne di Roma,
soprattutto sua madre, lo convincano.
Ma io ti dico che non c' speranza.
Le nostre gole sono condannate,
si tratta solo d'aspettare il boia.
SICINIO - Possibile che in cos poco tempo
possa cambiare l'animo di un uomo?
MENENIO - Tra un bruco e una farfalla ce ne corre;
eppure la farfalla stata un bruco.
Questo Marcio, da uomo ch'era prima
s' tramutato in drago. Ha messo l'ali.
Non pi cosa che striscia per terra.
SICINIO - A sua madre era molto affezionato.
MENENIO - Ah, per questo anche a me;
ma di sua madre adesso si ricorda
non pi che della sua uno stallone
partorito da lei ott'anni fa.
Porta sul viso i segni di un'asprezza
da far inacidir l'uva matura.
Quando cammina par n pi e n meno
che stia muovendosi una catapulta:
la terra si raggrinza al suo passare.
Ha uno sguardo che fora le corazze,
parla rintocchi di campana a morto,
e borbotta come una sparatoria(199).
A vederlo seduto sul suo scanno
pare la statua d'Alessandro Magno.
Se d un ordine, questo gi eseguito
prima ch'abbia finito d'impartirlo.
Gli manca solo, per essere un dio,
l'eternit e un cielo in cui regnare.
SICINIO - E la piet, se vero il tuo ritratto.
MENENIO - Io lo dipingo per quello che .
Vedrai quanta piet sapr ottenere
da lui sua madre. Ce n' meno in lui
piet, che latte in una tigre maschio.
Se ne avvedr questa povera Roma.
SICINIO - N'abbian gli di misericordia!
MENENIO - No,
in questo caso gli di non ne avranno!
Non avemmo per loro alcun rispetto
quando l'abbiam cacciato e messo al bando;
ora che torna a fracassarci il collo,
non possiamo dagli di rispetto.
<I>Entra un MESSO</I>
MESSO - <I>(A Sicinio)</I>
Se vuoi salva la vita, corri a casa,
i plebei hanno preso il tuo collega
e lo trascinano di su e di gi,
giurando in coro che se le matrone
non dovessero riportare a casa
qualcosa che dia loro alcun conforto,
lo linceranno, lo faranno a pezzi.
<I>Entra un SECONDO MESSO</I>
SICINIO - Notizie?
SECONDO MESSO - Buone! Buone!
Le matrone ce l'hanno fatta: i Volsci
hanno sloggiato e Marcio andato via.
Roma non salut pi fausto giorno,
nemmeno alla cacciata dei Tarquinii.
SICINIO - Amico, sei sicuro che sia vero?
Proprio sicuro?
SECONDO MESSO - Come il sole fuoco.
Ma tu dove sei stato fino ad ora
che non ci credi? Mai un fiume in piena
irruppe sotto l'arcata d'un ponte,
con l'impeto con cui s' riversata
tutta la gente, ormai rassicurata,
attraverso le porte. Ecco, li senti?
<I>(Frastuono all'interno di trombe, oboi, tamburi, voci, alla rinfusa)</I>
Trombe, sambuche, pifferi, salterii,
cimbali, tamburelli(200), e tutta Roma
urla da far ballare il sole. Senti?
<I>(Grida di gioia all'interno)</I>
MENENIO - Splendido! Vado incontro alle matrone.
Questa Volumnia vale, solo lei,
tanti consoli, senatori, nobili
da popolare un'intera citt;
tribuni come te, poi, ce ne vogliono,
appetto a lei, un mare, un continente.
Oggi dovete aver pregato bene:
stamattina non avrei dato un soldo
per diecimila delle vostre teste.
Senti come si sgolano di gioia!
<I>(Altre voci e grida all'interno)</I>
SICINIO -<I> (Al Messo)</I>
Prima, ti benedicano gli di
per la bella notizia che hai portato;
e poi accetta i miei ringraziamenti.
SECONDO MESSO - Tribuno, qui di far ringraziamenti
abbiamo tutti abbondanti ragioni.
SICINIO - Son presso la citt?
SECONDO MESSO - Quasi alle porte.
SICINIO - Allora andiamo tutti loro incontro,
ad accrescer la gioia della festa.
<I>(Escono)</I>
<I>SCENA V - Strada presso la porta della citt</I>
<I>Entrano, attraversando la scena, due SENATORI con VOLUMNIA, VIRGINIA, VALERIA, il PICCOLO MARCIO, seguiti da altri</I>
PRIMO SENATORE - Ecco, guardate, la nostra patrona,
la salvezza di Roma!
Chiamate ad adunata le trib,
innalzate agli di ringraziamenti,
ed accendete fuochi trionfali!
Spargete fiori sul loro cammino,
e cancellate con gioiose grida
il clamore che mise al bando Marcio;
richiamatelo dando il benvenuto
a sua madre, gridando tutti in coro:
"Benvenute, matrone, benvenute!".
TUTTI - Benvenute, matrone, benvenute!
<I>(Fanfara con trombe e tamburi. Escono tutti) </I>
<I>SCENA VI - Corioli, una piazza(201) </I>
<I>Entra TULLO AUFIDIO con seguito</I>
AUFIDIO - Andate ad annunciare ai senatori
ch'io sono qui a Corioli,
e consegnate loro questa carta.
La leggano e poi vadano nel Foro
dove dinanzi a loro e a tutto il popolo
io fornir le prove
di tutto quanto v'han trovato scritto.
L'uomo che in essa accuso
a quest'ora si trova gi in citt
e intende presentarsi avanti al popolo
nella speranza che con un discorso
riesca a scagionarsi. Fate presto.
<I>(Escono alcuni del seguito)</I>
<I>Entrano alcuni CONGIURATI del partito di Aufidio</I>
Benvenuti!
1 CONGIURATO - Stai bene, generale?
AUFIDIO - Come uno ch' rimasto avvelenato
dalle proprie elemosine ed ucciso
dalla sua stessa generosit.
2 CONGIURATO - Aufidio nobilissimo,
se ancora sei dello stesso proposito
del quale ci hai voluto tuoi partecipi,
noi siamo pronti a sbarazzarti subito
di questo gran pericolo.
AUFIDIO - Non so che dirti. Bisogner agire
come troviamo gli umori del popolo.
3 CONGIURATO - Il popolo non si sapr decidere,
finch duri il contrasto fra voi due;
ma una volta caduto l'uno o l'altro,
sar tutto per quello che rimane.
AUFIDIO - Lo so, e il mio pretesto per colpirlo
basato su solidi argomenti.
Io l'ho fatto salire,
ed ho impegnato sulla sua lealt
l'onore mio; ma, giunto cos in alto,
egli ha innaffiato i suoi nuovi germogli
con la rugiada dell'adulazione,
seducendomi tutte le amicizie.
Ed a questo ha piegato la sua indole,
mai conosciuta prima altro che rude,
indomabile, chiusa, indipendente.
3 CONGIURATO - Gi, quella sua proterva ostinazione,
quando concorse per il consolato
che perdette per non voler piegarsi...
AUFIDIO - Stavo per dirlo. Bandito per questo,
venne a cercar rifugio a casa mia,
presentando la gola al mio coltello.
Io l'accolsi, lo feci mio collega
nel comando, gli detti aperta via
a soddisfare ogni suo desiderio;
anzi, gli feci sceglier da lui stesso
tra le mie file gli uomini migliori
per meglio perseguire i suoi disegni;
mi misi io stesso a sua disposizione
e l'ho aiutato a mieter quella fama
che ha finito per fare tutta sua,
al punto da sentirmi io stesso fiero
di recare a me stesso questo torto.
Ho fatto fino all'ultimo la parte
d'un umile e modesto suo seguace,
e non gi quella d'un suo pari grado,
ed egli me l'ha sempre ripagato
con ostentata altera sufficienza,
manco se fossi stato un mercenario...
1 CONGIURATO - vero, generale;
la truppa n' rimasta sbalordita.
E infine, quando aveva in mano Roma
e ci arrideva a tutti un gran bottino,
oltre alla gloria...
AUFIDIO - Questo proprio il punto
su cui concentrer contro di lui
tutte le fibre; il sangue ed il sudore
che ci costata questa grande impresa
egli li ha bassamente barattati
per quattro lagrimucce di donnette,
che non valgono pi delle bugie.
Perci deve morire,
ed io risorger dal suo tramonto.
Ma eccolo, sentite queste grida?
<I>(Tamburi e trombe da dentro, fra grida di popolo)</I>
1 CONGIURATO - Tu sei entrato nella tua citt
come un qualsiasi comune corriere:
nessuno t'aspettava a salutarti;
ed ecco che lui torna, e il lor clamore
spacca l'arco del cielo!
2 CONGIURATO - E questi idioti avvezzi a ogni sopruso
ai quali lui ha massacrato i figli
si spellano i lor vili gargarozzi
ad osannarlo.
3 CONGIURATO - Tu, al momento giusto,
prima che parli e che commuova il popolo,
fagli sentir la lama della spada,
noi ti daremo mano. Lui caduto,
racconta lor la storia a modo tuo:
avrai cos seppellito per sempre
le sue ragioni insieme al suo cadavere.
AUFIDIO - Silenzio, i senatori.
<I>Entrano i SENATORI della citt
</I>
TUTTI I SENATORI - <I>(Ad Aufidio)</I>
Un caldissimo bentornato a casa!
AUFIDIO - Non lo merito... Nobili signori
avete letto bene quanto ho scritto?
TUTTI I SENATORI - S, certo.
PRIMO SENATORE - E con non poco dispiacere.
Perch quali che fossero le colpe
da lui commesse prima di quest'ultima
avrebbero trovato, a mio giudizio,
facile ammenda; ma finire l
dove avrebbe dovuto cominciare,
gettando via l'indubbio beneficio
d'avere nelle mani il nostro esercito
con le spese di guerra a nostro carico,
e stipulando un trattato di pace
con un nemico che s'era gi arreso...
tutto questo non pu presso di noi
trovare alcuna giustificazione.
AUFIDIO - qui che viene. Potete ascoltarlo.
<I>Entra CORIOLANO, alla testa di soldati in marcia, con tamburi e vessilli; dietro una folla di popolo</I>
CORIOLANO - Salute a voi, signori!
Ritorno a voi come vostro soldato,
non pi preso d'amor per la mia patria
di quando son partito;
e sempre sottomesso ed ossequiente
alla vostra suprema autorit.
Sappiate che ho condotto questa impresa
con successo, e guidato i vostri eserciti
attraverso passaggi sanguinosi
fino davanti alle porte di Roma.
Il bottino che abbiamo riportato
pu compensare per almeno un terzo
la spesa sostenuta per la guerra.
Abbiam fatto una pace
altrettanto onorevole pei Volsci(202)
quanto disonorevole per Roma;
e qui vi consegniamo il documento
col testo del trattato stipulato,
sottoscritto da consoli e patrizi,
munito del sigillo del Senato.
AUFIDIO - Non leggetelo, nobili signori!
Dite piuttosto a questo traditore
ch'egli ha abusato fuor d'ogni misura
dei poteri che voi gli avete dato.
CORIOLANO - Io, traditore?
AUFIDIO - S, tu, Marcio!
CORIOLANO - Marcio...
AUFIDIO - S Marcio, Marcio, dico: Caio Marcio!
O credi forse ch'io ti faccia bello
chiamandoti col tuo nome rubato,
Coriolano, a Corioli?... Senatori,
voi che sedete a capo dello Stato,
costui s' comportato con perfidia
da traditore della vostra causa
ed ha ceduto la vostra citt,
s, dico, Roma, ch'era gi vostra,
per poche goccioline d'acqua salsa,
alla madre e alla moglie,
stracciando via giuramenti e propositi
come una stringa di seta tarlata,
senza curarsi mai di convocare
un consiglio di guerra.
Cos alle lacrime della sua balia,
egli, tra molti gemiti e guaiti
ha dato ai cani la nostra vittoria,
s da far arrossire di vergogna
perfino le ramazze dell'esercito(203)
e costringere gli uomini di tempra
a guardarsi in silenzio, sbalorditi.
CORIOLANO - O Marte, ascolti?
AUFIDIO - Non lo nominare
quel dio, piagnucoloso ragazzotto!
CORIOLANO - Eh?...
AUFIDIO - Non sei altro!
CORIOLANO - Sfacciato bugiardo!
Vil carogna, mi fai scoppiare il cuore(204)!
"Piagnucoloso ragazzotto", a me!
Signori, perdonatemi,
questa la prima volta in vita mia
che mi vedo costretto ad insultare.
Questo cane, signori venerandi,
sar smentito dal vostro giudizio;
e tutto quanto potr dir di me
- lui, che porta stampati nella carne
i segni dei miei colpi,
lui, che deve portarsi nella tomba
le cicatrici delle mie batoste -
dovr unirsi alla vostra verit
per ricacciargli in gola la menzogna.
1 SENATORE - Calmatevi, voi due, ed ascoltatemi.
CORIOLANO - Volsci, fatemi a pezzi!
Grandi e piccini, uomini e ragazzi,
intingete le lame nel mio sangue!
"Ragazzotto"!... A me! Cane bastardo!
Se nelle cronache in vostro possesso
c' scritto il vero, ci dev'esser scritto
ch'io, come un'aquila in un colombaio,
ho seminato tra i vostri, a Corioli,
il putiferio. E l'ho fatto da solo!
"Piagnucoloso ragazzotto"... Eh?!
AUFIDIO - E voi, nobili padri, permettete
a questo maledetto fanfarone
di richiamare alla vostra memoria,
innanzi agli occhi vostri, ai vostri orecchi,
quello che fu un suo colpo di fortuna,
e la vostra vergogna?
TUTTI I COSPIRATORI - E per ci, muoia!
TUTTI I POPOLANI - S, facciamolo subito!
Linciamolo!
A me ha ucciso un figlio!
A me una figlia!
A me il cugino Marco!
A me mio padre!
2 SENATORE - Calma, oh! Niente violenze! Calma!
un uomo di valore, ed il suo nome
abbraccia tutto l'orbe della terra.
Il suo colpevole comportamento
in questa guerra sar giudicato
secondo legge. Aufidio, tu non muoverti,
e non turbare la pubblica quiete.
CORIOLANO - Ah, se potessi usar contro di lui,
contro sei altri Aufidi ed anche pi,
e tutta la sua razza, questa spada!
La farei io la legge!
AUFIDIO - Insolente canaglia!
<I>(A questo punto, d'improvviso i cospiratori traggono le spade e uccidono Coriolano, che crolla a terra. Aufidio gli mette un piede sopra)</I>
I COSPIRATORI - Ammazza!
Ammazza!
Ammazza!
Ammazza!
Ammazza!
I SENATORI - Fermi!
Fermi!
Fermatevi!
Fermatevi!
AUFIDIO - Ascoltatemi, nobili signori!
1 SENATORE - Ah, Tullo, cos'hai fatto!
2 SENATORE - Tullo, ti sei macchiato di un'azione
sulla quale il valore pianger.
3 SENATORE - Togli quel piede da sopra il suo corpo!
E voi tutti, silenzio! Via le spade!
AUFIDIO - Signori, quando avrete conosciuto
(ora non lo potete certamente,
nello scompiglio da lui provocato)
qual pericolo fosse per voi tutti
quest'uomo, vi dovrete rallegrare
che sia stato cos eliminato.
Piaccia alle vostre signorie onorevoli
di convocarmi davanti al Senato:
mi metter, da fedel servitore,
alla merc della vostra giustizia,
accetter la pi grave condanna.
1 SENATORE - Portate via il cadavere.
Si prepari per lui un funerale
con la solennit che si conviene
ad onorare la salma pi nobile
che mai araldo accompagn alla tomba.
2 SENATORE - L'irruenza di lui libera Aufidio
da gran parte di colpa. Ora ciascuno
faccia tesoro di quel che successo.
AUFIDIO - La mia collera , ora, tutta spenta,
mi sento sol pervaso da tristezza.
Solleviamolo. Diano qua una mano
tre dei soldati di pi alto grado.
Io sar il quarto.
<I>(Al tamburino)</I>
Tu, batti il tamburo,
voi, voltate le picche, punta a terra.
Pur se in questa citt
molte mogli egli abbia reso vedove
e molte madri privato dei figli,
s'abbia da noi la degna sepoltura
che spetta a un grande cuore. Su, aiutatemi!
<I>(Escono portando a spalla il corpo di Coriolano, al rullo prolungato del tamburo)</I>
<B>FINE</B>
Note:
(1) Sapeva, come nessun altro, l'arte di "flatter le peuple" e farsi da esso benvolere, ricorrendo senza scrupoli ad ogni sorta d'intrighi personali (Senofonte, "Memorabili", I, 2, 24, citato da Jaqueline de Romilly in "Alcibiade", ed. De Fallois, Parigi, 1995).
(2) Giorgio Melchiori, "Shakespeare", ed. Laterza, Roma/Bari, 1994, pag. 536.
(3) "Il prfrait l'opportunit aux principes" (J. de Romilly, op. cit. pag. 62).
(4) "But they think we are too dear": frase d'incerta interpretazione. Qualcuno (D'Agostino) intende: "Ma per loro stiamo bene cos come siamo", cio magri.
(5) "Ere we become rakes": "rake", era simbolo di magrezza; si diceva "magro come un rastrello" ("as lean as a rake").
(6) "I need not be barren of..." letteralm.: "Non c' bisogno ch'io ne sia sterile...".
(7) Il testo gioca sull'aggettivo "strong" che con "breath" ha il significato di "bad smelling", "fiato che puzza".
(8) "I shall tell you a pretty tale": qui "pretty" ha il senso di "properly", "shaperly formed", "tagliato al caso", "ben tagliato".
(9) Cio non con la parola ma col gesto delle labbra.
(10) Cio sulle labbra.
(11) "Fore me, this fellow speaks!": "Parola mia, questo compare ha la lingua sciolta!" Il primo cittadino fa anche il saputo, e Menenio esprime a se stesso la propria stizza.
(12) "... the cormorant belly": il cormorano, vorace uccello dei mari australi, simbolo dell'insaziabilit (cfr. "Riccardo II", II, 1, 38: "Light vanity, insatiate cormorant").
(13) Simile immagine dello stomaco in Dante, "Inferno", XXVIII, 26-27: "... il tristo sacco/ che merda fa di quel che si trangugia".
(14) "... and fit it is": "is fit" ha qui valore imperativo di "is duty of...", "is due to..."; e "and" ha valore avversativo.
(15) "The one side must have the bale": la frase ironica, per intendere che si sa bene chi avr la peggio. il gesto di scherno con cui Menenio chiude il suo apologo. Cominciato in tono amichevole, quasi sottomesso, questo venuto man mano crescendo d'enfasi e di efficacia persuasiva, fino all'invettiva finale di Menenio contro il suo interlocutore principale, il Primo cittadino, e al sarcasmo per l'esito della sommossa. L'entrata in scena di Caio Marcio e il tono trionfale con cui Menenio lo saluta sono il suo magistrale coronamento.
(16) "The one affrights you", letteralm.: "L'una vi terrorizza"; ma Coriolano uno d'arme, e nel suo "affrights you" c' il disprezzo di chi ha paura di andare a battersi in armi.
(17) "Keep you in awe": "to keep in awe" espressione colloquiale per "trattenere qualcuno, se necessario, con la forza".
(18) In realt il Senato romano non si riuniva in Campidoglio, ma nella Curia Hostilia, al Foro, o nella Curia Pompeiana, presso il teatro di Pompeo, dove fu ucciso Cesare. Ma per Shakespeare il Campidoglio il centro politico della Roma antica.
(19) "... as high as I could pick my lance": "pick", nell'inglese del '500 era sinonimo di "throw", "lanciare (in ogni direzione)".
(20) "Convinti", cio, a desistere dalla sommossa.
(21) "What says the other troop?": Marcio proviene da un'altra parte della citt, dove - come ha detto prima il Primo cittadino - la plebe gi insorta.
(22) Il testo, come spesso in Shakespeare, ha la frase in astratto: "... da spezzare il cuore alla generosit".
(23) Cos dice Plutarco; in verit, quanti fossero i "tribuni plebis" nella prima repubblica, non si sa, le fonti si contraddicono. Con certezza si sa che furono dieci dopo il 448 a.C. Qui, per tutto il dramma, ne compaiono soltanto due, Bruto e Sicinio.
(24) Per Coriolano, rappresentante della classe guerriera, una guerra rimedio sicuro per interrompere le lotte interne e, insieme, togliere di mezzo quello che egli chiama "ammuffito superfluo" ("musty superfluity") negli uomini e nelle istituzioni.
(25) il primo tratto, dopo le sprezzanti invettive alla plebe, che Coriolano fa da se stesso del suo carattere: orgoglioso, fazioso, intollerante; e il primo accenno alla sua rivalit con l'altro grande guerriero del dramma, il volsco Aufidio.
(26) ".. his lips and eyes": boccacce e occhiatacce.
(27) La luna come divinit era impersonata da Diana, la dea della castit muliebre. Marcio, quando s'arrabbia, sboccato anche in senso lubrico.
(28) "We never yet made doubt but Roma was ready to aswer us": letteralm.: "Mai noi finora ponemmo in dubbio che Roma fosse pronta a risponderci".
(29) Cio al momento della loro messa in atto.
(30) Plutarco - ch' la fonte di Shakespeare per questo dramma - cos spiega la ragione per cui i Romani usavano incoronare di fronde di quercia la fronte dell'eroe: "... o perch riverissero sovra l'altre piante la quercia in onore degli Arcadi... o perch tosto e in ogni parte i soldati trovavano fronde di quercia... l'albero sacro a Giove, protettore della citt" ("Vita di Coriolano", III). La guerra cui accennava Volumnia quella contro Tarquinio il Superbo, che tentava di rientrare a Roma dopo la vittoria del Lago Regillo sui Latini (496 a.C.).
(31) Questa immagine nella mente esaltata della madre, che vede il figlio/eroe trascinar nella polvere, presolo pei capelli, il nemico ucciso, e, pi sotto, quella di lui che schiaccia al nemico abbattuto la testa col ginocchio, si riveler un tragico presagio all'inverso del destino di Marcio.
(32) "You were got in fear, though you were born in Rome": letteralm.: "Voi siete stati concepiti nella paura, sebbene siate nati a Roma".
(33) "It more becomes a man than gilt his trophy": il "trofeo" era il cumulo delle armi e delle spoglie del nemico vinto, che il vincitore appendeva ad un albero o ammucchiava sul luogo della battaglia, per offrirlo in voto di ringraziamento agli di: tanto pi bello e prezioso se le armi luccicassero d'oro.
(34) Cio conquistare la citt di Corioli assediata.
(35) "Amongst your cloven army": i Volsci sanno che quello che li assedia met dell'esercito romano, l'altra met essendo impegnata a respingere il loro, capitanato da Tullo Aufidio.
(36) "Sensibilmente" ("sensibly") ha qui valore di "con sensi vivi del tuo essere", in opposto all'inerte materia della tua spada (cfr. in Dante, "Inferno", II, 13-16: "Tu dici che di Silvio lo parente / Corruttibile ancora, ad immortale / Secolo and e fu sensibilmente").
(37) "A carbuncle entire": "entire" qui nel suo significato di "perfect", e la perfezione di un diamante si giudica dalla sua luce.
(38) In verit, Catone vissuto 250 anni dopo Coriolano; ma Shakespeare segue pedissequamente Plutarco, e non si cura degli anacronismi.
(39) Questa didascalia, che figura in molte fonti, lascia intendere, se ce ne fosse bisogno, che il corso dell'azione scenica ha saltato quel che successo a Marcio dopo che rimasto chiuso da solo in Corioli. Lo si sapr dall'elogio che gli far pi sotto Cominio.
(40) "... their honours": si accetta la lezione "honours" dell'"Oxford Shakespeare", in luogo di quella "... their hours" dell'Alexander (la cui traduzione sarebbe: "Un'ora di battaglia per costoro...").
(41) "A craked drachma": le monete crepate hanno un suono fasullo e non valgono pi. Ma la dracma era moneta greca. un'altra prova che Shakespeare copia acriticamente il greco Plutarco.
(42) Il boia aveva il diritto di appropriarsi dei vestiti del condannato da lui giustiziato.
(43) "The general" , s'intende, Aufidio, che si sta battendo con Cominio, a meno di un miglio e mezzo di distanza, come ha annunciato prima il Messaggero.
(44) La traduzione letterale di queste parole di Cominio sarebbe: "Non distingue il pastore il tuono da un tamburo/ pi di quanto io distingua il suono della voce di Marcio da quello di qualsiasi altra".
(45) Cio: "Arrivi tardi, se sei ferito (se fossi venuto prima non lo saresti stato). Ma se quello che hai addosso sangue nemico, non sei affatto in ritardo".
(46) "O me alone, make you a sword of me": uno dei versi pi discussi del dramma. La lezione incerta. C' chi lo fa seguire da un punto interrogativo ("Oxford Shakespeare", cit.), come se Marcio dica ai soldati che lo sollevano in aria: "Povero me, volete fare di me una spada?"; chi ci mette un esclamativo ( la lezione qui adottata); chi addirittura (Brockbanck) l'attribuisce ai soldati. Secondo noi, Shakespeare fa esclamare Marcio con l'espressione massima del condottiero che incita i suoi alla battaglia: "Di me solo, fate la vostra spada!"; che , tra le altre lezioni, anche la pi poetica.
(47) "... dispatch those centuries to our aid": quali centurie intenda Larzio, non si capisce; forse egli accompagna la frase con un gesto ad indicare le truppe rimaste accampate fuori le mura di Corioli; o forse "quelle" vuol indicare "quelle sulle quali ci siamo gi intesi che ci avreste mandato".
(48) "Fear not out care, Sir": letteralm.: "Non aver timori sulla nostra premura, signore".
(49) "Fix thy foot": letteralm.: "Tienti saldo sui piedi", espressione che nel gergo cavalleresco significava: "Sta' in guardia!".
(50) "Wert thou Hector/ That was the hip of your bragged progeny": Aufidio chiama Ettore "frusta" dei suoi Troiani, dai quali i Romani, da Enea, discendevano, ad intendere che anche Marcio, come Ettore, per i suoi esempio di virt guerriera.
(51) Per i segnali musicali in tutto il teatro shakespeariano, v. la "Nota preliminare" alla mia traduzione del "Re Lear".
(52) Senso: "Eppure a questo banchetto (l'orgia di sangue della battaglia) al quale tu sei venuto tardi, tu non hai mangiato che un boccone, rispetto al grande banchetto che avevi gi fatto (a Corioli)".
(53) Queste battute tra Marcio e Cominio danno un'altra forte pennellata al ritratto dell'eroe. Cominio - per la cui bocca Shakespeare che parla - non crede alla modestia di Marcio: il suo rifiuto d'ogni lode per l'impresa di Corioli, che gli dar il trionfale soprannome di Coriolano, e di partecipare in forma privilegiata alla divisione del bottino di guerra solo una manifestazione dell'egocentrismo dell'uomo e della sua smisurata superbia. E Cominio, elegantemente, con moderazione e senza offenderlo, ce lo fa intendere.
(54) "But cannot make my heart consent to take e bribe to pay my sword": in quel "bribe" che vale, pi che "mancia", "compenso dato a qualcuno per corromperlo", c' tutto il carattere sdegnoso di Marcio.
(55) La didascalia ha "Flourish", che uno dei segnali musicali del teatro shakespeariano (per i quali v. nota 51).
(56) Perch la loro funzione quella di strumenti di guerra e non di adulazione.
(57) "Let him be made an ovator for th' wars": si accetta la lezione "ovator" in luogo di "ouverture" di altri testi, perch, pur nella relativa oscurit della frase, sembra la pi pertinente, oltre che la pi poetica. "Ovator" termine creato da Shakespeare forse in derivazione da "ovate", derivato a sua volta dal latino "vates", "vate", "bardo", "profeta"; s che il senso ci sembra essere: "Sia ormai il parassita, vestito di morbida seta, e non pi il guerriero vestito di duro ferro, il simbolo della guerra". Pertanto "him" sarebbe riferito a "parasite" del verso precedente.
(58) Il testo ha semplicemente: "safety", che non tanto "con calma" o "serenamente", ma "in safety", "in security" (che giustifica le manette).
(59) "... that Caius Marcius wears this war's garland": letteralm.: "... che Caio Marcio veste la ghirlanda (di trionfatore) di questa guerra".
(60) D'ora in poi, il personaggio sar indicato col nome di Coriolano, non pi con quello di Caio Marcio.
(61) Questo episodio del prigioniero di Corioli che l'aveva ospitato e del quale egli chiede la liberazione, ma non ne ricorda il nome, introduce un magistrale tocco psicologico sulla personalit dell'eroe. L'episodio in Plutarco, dove per l'ospitante "un ricco e onesto cittadino": in Shakespeare diventa "a poor man", senza nome, del quale nel dramma non si sapr pi nulla; nemmeno se stato liberato. "La magnanimit del condottiero non sa estendersi alla comune umanit, i poveri non hanno nome e perci sono dimenticati" (G. Melchiori, "Shakespeare", cit., pag. 540).
(62) Ripete, con altre parole, il concetto di prima: sparito in lui ogni scrupolo d'onore; il suo valore - di cui l'onore cospicuo componente - avvelenato.
(63) Aufidio enumera qui tutte le situazioni che, secondo le leggi della cavalleria medioevale (ma agli anacronismi di Shakespeare siamo abituati) impedivano di perseguire un avversario: quando dormisse; quando trovasse asilo in un luogo sacro ("sanctuary"); quando assistesse in un tempio a funzioni religiose o sacrificali.
(64) A Corioli, occupata dai Romani. Questa scena, che chiude l'atto, chiude anche la serie di avvenimenti incentrati intorno all'impresa di Corioli, dalla quale Marcio ha tratto il suo soprannome. Il quadro ormai completo: alla figura di guerriero violento e perfidamente machiavellico di Aufidio fa riscontro lo sfrenato orgoglio di Marcio, che disprezza e insulta la soldataglia romana che pensa pi a far bottino che a combattere, la saggezza politica di Cominio, il comportamento smargiasso dei notabili volsci che fanno tentare ai loro una sortita sotto gli occhi degli assedianti.
(65) "Will not you go": improbabile che il soldato dica ad Aufidio: "Tu non vieni?", come intendono molti. Aufidio non pu andare in una citt occupata dai Romani, che sarebbe riconosciuto; e il soldato non pu non saperlo.
(66) "In what enormity is Martius poor...": "poor" non ha qui il senso di "povero", "privo", "difettoso", ma di "contemptible": altrimenti la frase non avrebbe senso.
(67) "... I mean of us of the right-hand file...": solo al tempo di Shakespeare, nelle parate militari, la fila a destra del sovrano era riservata ai nobili. uno dei soliti anacronismi shakespeariani.
(68) "... for a very little tief of occasion will rob you of great deal of patience": letteralm: "... perch anche un piccolo furtarello d'occasione vi deruba di molta pazienza". Senso: "A gente come voi basta il minimo pretesto per farla diventare sproporzionatamente irascibile e intollerante".
(69) "One that loves a cup of hot wine": "hot" sta qui per "generoso", ma anche, secondo alcuni, proprio per "caldo", il vino caldo (che per si diceva "mulled wine") essendo molto in uso in Inghilterra al tempo di Shakespeare. Si legga come si vuole.
(70) Licurgo, il grande uomo politico greco, divenuto esempio di saggezza politica.
(71) "... I find the ass in compound": letteralm: "... trovo l'asino in amalgama", "un concentrato d'asineria".
(72) Il testo ha "an orange-wife", "una venditrice di arance".
(73) Menenio parla qui come se i tribuni della plebe avessero anche funzioni giurisdizionali; il che non storicamente esatto. Plutarco parla di loro come "magistrati", ma nel senso classico di persone investite di pubblica carica.
(74) "...(you)... set up the bloody flag...": la bandiera rossa era la bandiera di guerra, o di resistenza nelle citt assediate, in contrapposto alla bandiera bianca della resa.
(75) "... against all patience": cio non curandovi, o a dispetto di quelli che aspettano giustizia. Ma si pu anche intendere: "Contro ogni limite di tolleranza".
(76) Il testo ha: "... the more entangled by your hearing", letteralm.: "... tanto pi imbrogliata dalla vostra udienza".
(77) V. la nota 18.
(78) "... such ridiculous subjects as you": "ridiculous" ha qui il senso di "risibile", "da poco", "insignificante", non quello di "che fa ridere".
(79) Con capelli e crini s'usava imbottire cuscini, sellame per cavalcature e anche palle da tennis.
(80) Deucalione il corrispondente pagano del biblico No, progenitore dell'umanit, dopo Adamo. Il suo mito che quando Zeus, nell'et del bronzo, scaten sulla terra il diluvio per punire gli uomini, Deucalione costru un'arca e vi entr insieme con la moglie Pirra. I due, rimasti gli unici scampati al diluvio, su consiglio di Temi ripopolarono il mondo, gettando sassi alle loro spalle all'uscita del tempio della dea: i sassi scagliati da Deucalione diventarono uomini, donne quelli scagliati da Pirra.
(81) Galeno, il padre della medicina greco-romana, soprannominato "principe dei medici", autore di circa 500 trattati. Solo che Galeno vissuto nel II secolo dopo Cristo, dunque almeno 600 anni dopo Coriolano!
(82) "... is but empiricutic": "empiricutique" nell'in-folio , verosimilmente una deformazione, in chiave comico-dispregiativa, di "empirical".
(83) "... and not without his true purchesing": letteralm.: "... e non senza che egli l'abbia pagate di tasca sua". Coriolano ha bisogno di "vere" ferite da mostrare al popolo, quando ne chieder il favore per ottenere il consolato. Perci s'insiste qui sulla "verit" delle sue ferite.
(84) "God save your worships!": "God" al singolare nel testo, e cos lo si tradotto. Ma invocazione cristiana. I pagani di Coriolano invocavano gli di ("Gods").
(85) Coriolano aveva partecipato alla cacciata dei Tarquini da Roma (provocata dallo stupro che Tarquinio Sesto, figlio di Tarquinio il Superbo, aveva fatto a Lucrezia) e alla instaurazione della Repubblica.
(86) Questa battuta di Volumnia, ritenuta di palese fattura non-shakespeariana, omessa da molti testi; ma serve teatralmente a preparare l'ingresso in scena del corteo dei vincitori.
(87) "My gracious silence, hail!": questo saluto di Coriolano alla sua sposa contiene una tale carica di poetica tenerezza, che comunque tradotta diversamente dalla sua lettera, si perderebbe. Baldini traduce: "Mia tacita sposa", altri "mia graziosa taciturna", "mia bella silenziosa"... ma non lo stesso!
(88) "And live you yet?": letteralm.: "E sei ancor vivo?". Ma in italiano un saluto del genere tutt'altro che un saluto.
(89) Si scusa con Valeria per non averla vista prima.
(90) "A curse... at very root on's heart...": "curse" qui non "maledizione", come intendono molti; il vocabolo, nell'inglese del XVI sec. aveva lo stesso significato di "bane", termine che esprime tutto ci che distrugge fisicamente, fino a far morire; perci "cancro".
(91) "By faith of men...": espressione da intendere non altro che come semplice esclamazione derivata dalla pi usata "By my faith", che riecheggia il francese "ma foi". Non credo si possa intendere "Per la mia fiducia negli uomini" (Baldini e altri), che non sembra avere molto senso, specie in bocca a Menenio.
(92) "Ere in our own house I do shade my head": "To shade his own's head" significa "togliersi alla vista degli altri", "to shade" avendo il senso di "screan", "mask", "recess".
(93) "The good patricians must be visited": qui, come altrove, Shakespeare chiama "patricians" i membri del Senato.
(94) Altro smaccato anacronismo: nella Roma di Coriolano gli occhiali non esistevano (furono inventati intorno al 1300 dopo Cristo!).
(95) "... her richest lockram": il "lockram" era un tipo di stoffa che prendeva il nome dall'omonimo villaggio della Britannia, dove si fabbricava. Qui deve trattarsi di una sciarpa o di una stola, se indumento da "appuntarsi al collo"
("pins... about her neck").
(96) I Flmini ("Flamines") erano sacerdoti incaricati del culto di una singola divinit (per opposto a "pontefici", sacerdoti del culto di tutti gli di). Erano cos chiamati perch portavano attorno al capo scoperto, o intorno al berretto sacerdotale, un filo di lana (filamen).
(97) "... their nicely gawded cheeks": si segue la lezione "gawded" in luogo della pi corrente "guarded", perch il termine esprime meglio - come verosimilmente Shakespeare abbia voluto - la civetteria femminile nella circostanza. "Gawded" sinonimo di "gaudy", "vistoso", "sgargiante". Nell'"Amleto" Polonio raccomanda al figlio Laerte, che va a vivere a Parigi, di vestire "rich, non gaudy".
(98) Le matrone romane, in verit, non avevano la fobia del sole che avevano le dame inglesi del XVI sec., e non andavano velate per proteggere il viso dai raggi solari.
(99) Secondo Plutarco ("Vita di Coriolano", cap. XIV) era consuetudine che un generale romano che aspirasse al consolato dovesse presentarsi al popolo nel Foro, per chiederne il suffragio, indossando solo la "tunica dell'umilt" ("the vesture of humility"), che era normalmente portata dalla povera gente e dagli schiavi; doveva inoltre mettere in mostra le cicatrici delle ferite riportate nelle guerre. La tunica era il capo di abbigliamento di uso generale; ma da sola la portava solo il popolo minuto e gli schiavi: i patrizi la coprivano con la toga; le matrone con la stola o la "palla"; i cavalieri con l'"angustus clavus"; i senatori col "laticlavio".
(100) "Most reverend and grave elders": "elders" il corrispondente del latino "patres" con cui si chiamavano i membri del Senato, ritenuto esser composto tutto di uomini in et venerabile.
(101) "We are convented upon a pleasing treaty": letteralm.: "Siamo qui convocati per una piacevole trattativa". I due tribuni, si noti, si astengono dal nominare Coriolano: per loro solo un "aderire a portare a buon esito la discussione su un ordine del giorno ("the theme of our assembly")".
(102) "Ti ascoltiamo" non nel testo.
(103) "I had rather one scratch my head in th' sun / When alarum were struck...": senso: "provo tanta smania di andarmene, per non star qui a sentir esaltare le mie gesta, quanto non ne proverei nemmeno se dovessi restare neghittoso a farmi massaggiare il capo da qualcuno, quando fosse squillato sul campo l'allarme di guerra". Il che tutto dire.
(104) "I shall lack voice. The deeds of Coriolanus / Should not be uttered feeby": letteralm.: "Mi mancher la voce. Le gesta di Coriolano non dovrebbero essere scandite da una voce flebile (come la mia)".
(105) Nella Roma repubblicana il dittatore ("dictator") era il magistrato investito dal Senato della suprema autorit civile e militare nei momenti difficili della nazione; l'incarico cessava col cessare delle condizioni che l'avevano reso necessario.
(106) "... with his Amazonian chin...", cio col suo mento ancora imberbe, da donna. Le Amazzoni erano le donne guerriere della mitologia greca, e il viso femmineo di Marcio giovinetto messo in contrasto con le "baffute labbra" ("bristled lips") dei nemici che egli batte.
(107) Al tempo di Shakespeare le parti femminili nel teatro erano sostenute da giovinetti imberbi, alle donne essendo vietato di far parte di compagnie drammatiche. Non cos nella Roma di Coriolano.
(108) Vedi la nota 30.
(109) "... like a planet": "planet" in senso figurativo indica vagamente un potere occulto che, come l'influsso d'una maligna stella, s'abbatte fatalmente su uomini e cose.
(110) "He cannot but with measure fit the honours which we devise him": "Egli non pu che essere adeguato agli onori che intendiamo decretagli". "Fit with measure" appunto "corrispondente", "adeguato" (a qualcuno o a qualcosa) secondo il senso biblico di "measure" che include il concetto di paragone/contraccambio, come nel titolo della commedia "Measure for Measure".
(111) "... and is content to spend the time to end it": frase ambigua. L'interpretazione pi comune : "Usa il tempo senza ambizioni, senza pensar di trarne alcun vantaggio". Qualcuno intende "it" come riferito idealmente al precedente "deeds" e traduce " contento di spendere il tempo per compierle (le sue gesta)" (Lodovici).
Questo racconto di Cominio ha una funzione fondamentale nella impalcatura della tragedia; quasi la prosecuzione della parola di Volumnia nella 3a scena del I atto, a completamento dell'immagine di Coriolano come forza cieca, per quanto nobile, della natura, alla quale immagine il poeta opporr quella dell'uomo debole e indeciso, privo del tutto di senso politico: contrapposizione che la ragione e il contrappunto teatrale di tutta la tragedia.
(112) Il candidato che chiedeva la carica di console doveva presentarsi al Foro, davanti al popolo e chiederne il suffragio. Roma, al tempo di Coriolano, una repubblica aristocratica, cio con il potere nelle mani dei nobili, ma il voto della plebe, per consuetudine non codificata, necessario.
(113) "... to all the point of the compass": "... per tutti i quattro punti della bussola ("compass")";... ma la bussola stata inventata nel Medioevo!
(114) "If it may stand with the tune of your voices...": Coriolano gioca sul doppio significato di "voices", che vale "voti" ma anche "voci". S' cercato di rendere il bisticcio alla meglio.
(115) "... you have been a rod to her friends": "rod", "corda", "nerbo", "sferza", era uno strumento di tortura.
(116) Altro bisticcio del testo inglese sul termine "common". Il cittadino ha detto: "You have not indeed loved the common people", dove "common" riferito a persone ("people") ha il senso di "of inferior quality", "of inferior value"; ma significa anche "comune", "popolare". Coriolano dice il suo amore per il popolo essere stato nei due sensi.
(117) "... and so trouble you no farther": c' chi intende qui: "E cos vi tolgo il disturbo", come se Coriolano stesse per andarsene; ma sono i due che se ne vanno, mentre Coriolano resta; sarebbe inoltre difficile, grammaticalmente, non vedere che quel "trouble" retto dal precedente "will".
(118) Questo monologo di Coriolano completa il ritratto che Shakespeare vuol fare dell'eroe; all'orgoglio si aggiunge e contrappone l'indecisione. Coriolano aborre il popolo, e la consuetudine che costringe a mendicare da esso il voto, ma alla fine l'accetta, ci si adegua, trovando un alibi al suo impulso a reagire a tale imposizione nel: "Sono ormai a mezza strada, meglio proseguire". Sar lo stesso conflitto interno a farlo cedere alle preghiere della madre e della sposa davanti alle mura di Roma.
(119) "... battles thrice six I have seen and heard of": "Heard of" ha qui valore di "called to account for": "Ho visto diciotto (tre volte sei) battaglie e altrettante volte ne ho riferito". Il condottiero doveva riferire al Senato sullo svolgimento del fatto d'arme, come ha fatto Cominio qui per la battaglia di Corioli.
(120) "... have you chose this man?": si ricorder che, come si son detti tra loro gli uscieri del Senato all'inizio della 2a scena del II atto, i candidati al consolato sono tre.
(121) Secondo una prescrizione d'allora, introdotta con l'istituzione del tribunato della plebe, il candidato alla carica di console, dopo che avesse ricevuto l'accettazione da parte del popolo, richiesta nella forma della vestizione della "tunica dell'umilt", doveva ricevere la conferma, con voto formale, dai "comitia tributa", l'assemblea, appunto, di cui parla qui Sicinio.
(122) Il testo inglese gioca ancora sul doppio senso di "voices" (v.nota 114).
(123) Questa genealogia della "gens" marcia, o marzia, tratta di peso da Plutarco. Ma poich Plutarco nomina questi personaggi senza datarli, Shakespeare mette qui in bocca a Bruto alcuni anacronismi: Bruto non poteva conoscere tutti i personaggi della "gens" che nomina, perch a lui posteriori, eccetto il primo, Anco Marzio, re di Roma. Il Caio Marcio Rutilio, detto il "Censorino", vissuto nel III sec. a.C.; Quinto il Quinto Marcio costruttore dell'acquedotto dell'acqua detta appunto "marcia", che stato pretore nel 144 a.C.
(124) "... this Triton of the minnows": si dice "a Triton of or among the minnows" di uno che appare grande solo grazie all'estrema piccolezza di quelli che gli stanno intorno. Tritone il dio marino del mito classico; "minnows" la minuzzaglia ittica.
(125) Il mitico serpente dalle molte teste che infestava le paludi di Lerna e le cui teste rinascevano appena tagliate. L'immagine della folla come "mostro dalle molte teste" frequente in Shakespeare.
(126) "... being but the horn and the noise o' th' monster": che l'Idra avesse un corno attraverso il quale diffondere il suo strepito, non sta scritto in nessun luogo, ma l'immagine serve a Shakespeare per designare il tribuno come "portavoce" del mostro.
(127) Questo discorso di Coriolano sulla distribuzione del grano alla plebe, come la seguente apostrofe ai senatori, sono tratti quasi di peso dal testo della "Vita di Coriolano" di Plutarco, nella traduzione inglese del North. quasi un secondo monologo dell'eroe, che sbozza ancor meglio la sua immagine di rappresentante dell'aristocrazia al potere, e getta altra luce sulla lotta delle due classi, la patrizia e la plebea, nella Roma agli albori della repubblica.
(128) "... by yea and no of general ignorance...": "general" qui da intendere come sinonimo di "common", che equivale a "belonging to a given community" ("Oxford International Dictionary").
(129) "Therefore beseech you / You that will be less fearful than discreet...": letteralm.: "Perci vi supplico / Voi che volete avere in voi meno timore che discernimento..."; frase, in italiano, insopportabilmente artificiosa.
(130) "... dal corpo dello Stato..." non nel testo.
(131) "Your dishonour": "Il vostro disonore", ma si capisce che un disonore imposto dall'esterno a gente onorata. In italiano, "il vostro disonore" suonerebbe ambiguo.
(132) "Has said enough": intendi: quanto basta a confermarlo nemico del popolo.
(133) "... when what's not meet, but what must be, was law...": letteralm.: "... quando era legge non ci che era lecito fare, ma ci che si doveva fare per imposizione".
(134) Gli Edili erano magistrati con funzioni amministrative di custodia dei pubblici edifici ("aedes", donde il nome), oltre che dei templi, e di organizzazione di pubblici spettacoli. Al tempo di Coriolano (VI sec. a.C.) si chiamavano "aediles plebis", e affiancavano i tribuni nella difesa degli interessi civili della plebe. Donde il loro intervento qui. Come i tribuni, erano due e duravano in carica un anno. Successivamente ad essi se ne aggiunsero due, detti "curuli", dalla "sedia curule" ("sella curulis") simbolo di tutte le magistrature dello Stato; questi potevano essere eletti anche tra i patrizi.
(135) "One time will owe another": letteralm.: "Un momento sar debitore all'altro". S' dovuto tradurre a senso.
(136) "When it stands against a falling fabric": s' reso "stands" con "pretende di tenere in piedi" e non come intendono molti, con "s'oppone", per evitare l'immagine peregrina data dal "volersi opporre" ad un edificio che sta per crollare.
(137) "His nature is too noble for the world": "world" ha qui il senso di "interests of the present life" o anche "state of human affairs" (v. "Oxford International Dictionary", alla voce).
(138) "Where you should but hunt with modeste warrant". Senso: "Laddove dovreste esercitare i vostri poteri con maggior discrezione". L'immagine tolta dal linguaggio venatorio, dove "warrant" era il permesso di esercitare la caccia entro un certo raggio e in certi periodi dell'anno.
(139) Questa battuta attribuita da molti, compreso l'autorevole "New Arden", a Menenio, con il senso d'una interrogazione che questi rivolge a Sicinio a continuazione del suo traslato dell'arto infetto: "E se un piede va in cancrena, vuol dire forse che i servizi resi da esso quand'era sano non si debbano tenere in conto?"; ma m' sembrato che la battuta, in bocca a Sicinio, s'attagli meglio al contesto.
(140) Il testo ha "This tiger-footed rage", "Questo furore dalle zampe di tigre", ossia violento, precipitoso e famelico.
(141) "Let them pull all about mine ears": "to pull (something) about one's ears" frase idiomatica usata nel senso di provocare una pioggia di oggetti sul capo o il crollo di una casa su qualcuno, e simili.
(142) La ruota era uno strumento di tortura: il condannato veniva legato intorno al suo cerchio e dilaniato dai chiodi che essa incontrava girando.
(143) "Wollen vassals": le robe di lana erano la veste dei poveri. I ricchi invece vestivano di seta. "Vassal" "umile servitore", col senso di moralmente abbietto.
(144) "To buy and sell with groats": "da comprare e rivendere a pochi soldi". Il "groat" (dal latino medioev. "grossum", italiano "grosso") era una moneta di poco valore (circa 1/8 di oncia d'argento) in circolazione in Inghilterra al tempo di Shakespeare. Era il "soldino" senza valore per eccellenza (cfr. il titolo del pamphlet di Ribert Greene (1592) "A groatsworth of wit bought with a million of repentance", uno dei rari scritti dell'epoca in cui si pu scorgere un accenno alla persona di Shakespeare).
(145) "I would had you put your power well on / before you had worn it out": Volumnia qui paragona la carica di console di suo figlio ad un vestito da indossare ("put on") e che egli, prima ancora di indossare, ha ridotto liso ("worn out").
(146) "Figlio mio" non nel testo.
(147) "Not by your own instruction": "instruction" termine che contiene la nozione di intelletto affinato dall'istruzione - ispirazione raziocinante - per contrapposto al sentimento ("passion"), ispirato dal cuore. "Ispirazione" piuttosto riduttivo, ma non si trovato termine pi proprio.
(148) Queste esclamazioni di Menenio - la prima e la seconda - punteggiano drammaticamente, come un applauso, la grande "tirata" di Volumnia, che d lezione di politica al figlio riecheggiando sorprendentemente Machiavelli (che Shakespeare non risulta conoscesse). Il principe che, per regnare, deve guadagnarsi il favore del popolo, a costo di essere "gran simulatore e dissimulatore" ("Il Principe", cap. XVIII); l'arte politica che richiede, in chi la esercita, d'essere ad un tempo leone e volpe, colomba e serpe, sono tra i massimi insegnamenti del grande Segretario fiorentino. Coriolano, uomo d'arme e di cuore, quest'arte non possiede; ne tragico segno la sua domanda: "Che debbo fare?", che corona, con l'immagine dell'uomo indeciso e votato ormai al suo destino, lo scontro verbale dell'eroe "too absolute" con la machiavellica e volitiva genitrice.
(149) Il "cappello in mano" in segno di ossequio immagine ed espressione del parlare del tempo di Shakespeare. I Romani non avevano altro copricapo all'infuori dell'elmo.
(150) "Must I go show them my unbarbed sconce?". La frase volutamente ambigua, perch pu anche significare: "Devo andare a mostrar loro la mia fortezza indifesa?". Perch "sconce" ha il doppio significato di "testa", "zucca" e di "fortezza", "roccaforte"; e "unbarbed" significa "senza peli", "senza capelli", ma anche "indifesa". Il significato figurato si attaglia perfettamente al discorso.
(151) "I will not do't lest I surcease to honour mine own truth": letteralm.: "Non lo far, almeno ch'io non voglia rinunciare ad onorare la mia intima verit".
(152) Il senso di questa richiesta di Sicinio all'Edile cos spiegato da Plutarco ("Vita di Coriolano", X): "Congregandosi dunque il popolo, tentarono i tribuni con ogni sforzo in prima che si rendessero i voti non a centurie, ma a trib, perch in questo modo la turba vile dei poveri e saccenti, che non tien conto d'onore, veniva ad aver pi forza nei voti, ciascuno porgendo il suo, di quanta non avessero gli abbienti e conosciuti, che andavano alla guerra". Le "centurie" erano le 193 divisioni in cui Servio Tullio aveva ripartito i cittadini di Roma secondo il censo.
(153) "Every feeble rumour": ogni voce di pericolo (per la presenza di nemici dall'esterno); si capisce da quel che dice dopo.
(154) Le piume dei loro cimieri, s'intende.
(155) Di quale porta si tratti, non si sa. I testi non hanno alcuna didascalia per questa scena; si capisce, tuttavia, che essa si svolge presso una porta di Roma.
(156) La plebe: Coriolano l'ha chiamata cos prima.
(157) "... with precepts that would make invincible...": il "would" palesemente riferito alle intenzioni della madre nel dare al figlio i precetti; il che giustifica, nella traduzione, il "dovevano".
(158) "Ti ricordi?" non nel testo.
(159) Il testo ha "... with one / that is umbruised","... con uno che non contuso", e prosegue la metafora del corpo (di Cominio) sopraffatto ("too full") dalle fatiche della guerra.
(160) Il testo ha "Ora che abbiam mostrato il nostro potere" ("Now we have shown our power").
(161) "Are you mankind?". C' chi ha creduto di vedere in questa battuta di Sicinio una sottile intenzione di equivoco, perch la frase significherebbe anche "Siete matte?". Ma il senso di "matto" in "mankind" non si trova in alcun testo; e del resto la risposta di Volumnia sarebbe diversa, perch la donna avrebbe capito l'allusione.
(162) Giunone il simbolo dell'ira femminile vendicativa. Prese parte alla sommossa degli di contro lo stesso suo marito, Zeus (cfr. Virgilio, "Eneide", I, 4: "saeve memorem Junonis ob iram").
(163) "Strange insurrections": "strange" qui ha il valore di "abnormal", "unknown", "unfamiliar".
(164) "I have deserved no better entertainement / in being Coriolanus": "Non m'aspettavo miglior trattamento, essendo Coriolano"; ma mi pare grammaticalmente errata ("I would have..." sarebbe stato d'obbligo) e incongrua di senso (il servo non sa di trovarsi di fronte a Coriolano).
(165) "Under the canopy": "canopy" il baldacchino sospeso su un trono, un letto, un altare, tradizionale segno di regalit; ma in senso figurato vale "cielo", "firmamento" (il baldacchino del cielo). Coriolano, giocando sul doppio senso, si attribuisce la regalit.
(166) Che cosa sia questa citt, nella mente di Coriolano, incerto; forse egli allude all'esilio o al campo di battaglia. comunque, una figurazione sinistra: l'unico esempio - secondo il Bradley - in tutto il dramma di accostamento della Natura a uno stato d'animo.
(167) "Then thou dwells with daws too". Doppio senso: "Daw", "taccola" (uccello della famiglia dei corvacei) usato familiarmente anche per "simpleton", "sciocco", "scemo".
(168) "Che m'hanno dato a Roma" non nel testo inglese.
(169) I servi sono introdotti qui quasi in funzione di coro; le loro battute preparano e, alla fine, commentano, quasi fosse uno spettacolo, lo "strano" incontro tra Coriolano e Aufidio. Nel loro dialogo rozzo e ironicamente dissacrante s'avverte la tragica impossibilit di un accordo tra i due grandi guerrieri, la cui cordialit presente nasconde, in Aufidio, l'invidia e il sordo quasi inconscio desiderio di rivalsa, e in Coriolano e nella sua forzata "voglia di servire" il nemico, l'intima debolezza che lo porter a cedere alle preghiere della madre e della sposa.
(170) "Whilst he's in directitude": sta verosimilmente per "in discredit". uno degli "humourous blunders", strafalcioni lessicali che Shakespeare si compiace di mettere in bocca ai suoi personaggi minori, per l'ilarit del pubblico.
(171) "The wars for my money": l'espressione colloquiale "for my money" in frasi come "this is for my money" equivale a "this is what I desire", "this is my choice", eccetera.
(172) "His remedies are tame": frase di senso ambiguo, che si pu intendere diversamente, a seconda del senso che si dia a "his", "i suoi rimedi", e cio: "i rimedi che egli pu adottare contro di noi", oppure "i rimedi che noi abbiamo contro di lui": s' preferita la prima, intendendo "remedies" nella sua accezione di "means of counteracting an outward evil" ("Oxford Dictionary"), traducendo a senso.
(173) "And affecting one sole throne without assistance"; letteralm.: "E aspirando ad esser solo in trono senza collega". I consoli, nella Roma repubblicana, erano due.
(174) "You and your apron-men": il grembiule, normalmente di pelle, era, in certo modo, il distintivo di chi esercitava a Roma un mestiere e che, non essendo n nobile n cavaliere, apparteneva alla plebe (cfr. "Giulio Cesare", II, 1, 7: "Where is thy leather apron?").
(175) Allusione alla leggenda dei pomi d'oro delle Esperidi che Ercole, per ordine di Euristeo, and a rubare nel giardino di quelle, custodito dal drago Ladone.
(176) "... and you'll look pale before you find it other". Senso: "Morirete di vecchiaia, prima di poter dimostrare che non vero".
(177) Si capisce che "quelli" ("these") si riferisce a Cominio e Menenio test usciti.
(178) "Do they fly to th' Roman?". Qui "fly to" ha piuttosto il significato di "to flee from" che contiene l'idea di chi fugge da un luogo ad un altro, oppure "sfugge" ad una certa situazione; ed l'idea insita nella domanda di Aufidio che vede i suoi soldati abbandonare sempre in maggior numero le sue file attratti dal fascino di Coriolano. l'inizio del voltafaccia di Aufidio e la svolta del dramma. Tutta la scena sar lo spiegamento di questo stato d'animo dell'eroe volsco, che verso Coriolano, poco prima amato ed ammirato, cova un odio mortale. Il suo colloquio col luogotenente ne far risaltare il carattere torbido, ambiguo, tortuoso, teso quasi inconsciamente alla fine dell'avversario, che lo sovrasta.
(179) "... as the grace fore meat...": ancora Shakespeare che anacronisticamente attribuisce ai tempi di Coriolano un uso, come quello della preghiera di ringraziamento prima e dopo i pasti, tipico della civilt del suo tempo.
(180) La frase ambigua, come oscuro il concetto del passo seguente, quasi sicuramente guasto. A quale "merito" di Coriolano si riferisca Aufidio non chiaro, forse all'unico ch'egli possa apprezzare: quello di aver tradito Roma per venire da lui.
(181) Il testo ha: "A mile before his tent, fall down": "un miglio prima della sua tenda, cadete in ginocchio"; a parte l'anacronismo del miglio, si tratta di un'esagerazione dialettica di Cominio per sottolineare la colpevolezza dei tribuni.
(182) "A noble memory!": come se Menenio dicesse: "Scriveremo sulle vostre tombe, come epitaffio, quando sarete morti: - Fecero il necessario perch Roma avesse il carbone a buon mercato -"; cio fosse tutta ridotta a carbone.
(183) "He does sits in gold". Coriolano che siede su un seggio d'oro come un trionfatore circonfuso di gloria poco prima della sua tragica fine: un magistrale espediente del drammaturgo ad accentuare il contrasto delle tinte del dramma.
(184) "And his injury / the gaoler to his pity": "... e l'ingiuria (da lui sofferta ad opera dei Romani) a far da carceriere perch non esca da lui il minimo moto di piet".
(185) "Thoug it were as virtuous to lie as to live chastely": il solito gioco di doppi sensi sulla parola "lie" che significa "mentire" e "giacersi" (nel senso sessuale).
(186) "Nay, but fellow, fellow...": la battuta lascia intendere che Menenio ha visto arrivare Coriolano.
(187) "Col tuo superiore" non nel testo.
(188) la scena culminante del dramma. Con l'ingresso, in silenzio, della madre e del figlioletto dell'eroe nella tenda di questi, Shakespeare ha bisogno di guardare, in un soliloquio che sar l'ultimo, nell'animo di Coriolano e scavarne i pi intimi sentimenti, suscitati dallo svolgersi fatale dell'azione. la lotta dell'eroe contro il suo destino, che lo vedr ineluttabilmente perdente.
(189) Si confronti questa esclamazione con quella di Antonio nell'"Antonio e Cleopatra", I, 1, 33-34: "Let home in Tiber melt, and the wide arch/ of the ranged empire fall...", che accomunano, nelle due tragedie, la catarsi dell'eroe.
(190) Cio "io ti vedo in una luce diversa da quando ero a Roma". l'ultima espressione di irrigidimento dell'eroe. La battuta seguente dir che la piena degli affetti lo ha gi vinto.
(191) uno dei frequenti riferimenti di Shakespeare, uomo di teatro, a immagini del mondo del teatro.
(192) La gelosia di Giunone proverbiale. Shakespeare la ricorda spesso nei suoi drammi.
(193) "To your corrected son?": frase ambigua, che si pu intendere "(davanti) al tuo figlio punito (da Roma, col bando)", oppure "(davanti) al tuo figlio da te rimproverato". S' scelta la seconda.
(194) Diana la dea protettrice della castit virginale. Il suo tempio a Roma era stato eretto da Servio Tullio sull'Aventino. Secondo Plutarco, Valeria che spinge Volumnia e Virginia a recarsi da Coriolano.
(195) Indica Valeria.
(196) Cos nel testo: "thy wife and children's blood"; una evidente distrazione dell'Autore indotta dal fatto che in Plutarco ("Vita di Coriolano") i figli di Coriolano sono due, laddove Shakespeare ha assegnato all'eroe solo il piccolo Marcio.
(197) Testo: "... will be dogged with curses": "... sar inseguito da una canea di maledizioni". Si creduto di ampliare, nella traduzione, la bella immagine venatoria.
(198) Plutarco, unica fonte di Shakespeare per questo suo dramma, narra che, tornate a Roma, la madre e la moglie di Coriolano, insieme a Valeria furono salutate in Senato come salvatrici della patria e vennero loro offerti dallo stesso Senato onori e ricompense, che esse rifiutarono, solo chiedendo che fosse eretto un tempio alla "Fortuna muliebris", sulla Via Latina.
(199) Sparatorie, al tempo di Coriolano, evidentemente, non ce n'erano, e Menenio non poteva pensare a un siffatto termine di paragone. un altro dei frequenti anacronismi del poeta.
(200) Alcuni di questi strumenti - come la sambuca e il salterio - non esistevano al tempo di Coriolano: un altro degli scusabili e, per certi versi, suggestivi, anacronismi di Shakespeare.
(201) Plutarco ("Vita di Coriolano", XXXIX) pone questa scena e tutti gli eventi che seguono, fino alla morte di Coriolano, ad Anzio, dove l'eroe tornato con l'esercito volsco. L'ubicazione della scena a Corioli sembra tuttavia giustificata dalle parole del 1 Congiurato: "Your native town you entered" (v. 50), e da quelle dello stesso Aufidio al v. 151: "Though this city he hath widowed...".
(202) Il testo ha "una pace onorevole per Anzio"; ma vedi, in proposito, la nota 201.
(203) "Pages": il termine sta ad indicare, spesso in senso spregiativo, qualsiasi persona, di sesso maschile, addetta a mansioni umili e subordinate; nel gergo militare le "ramazze" sono gli uomini addetti alle pulizie delle caserme.
(204) "... thou has made my heart / too great for what contains it..."; letteralm.: "... m'hai fatto diventare il cuore troppo grosso per quello che lo contiene...".
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