Corte dei miracoli

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PASSy: O 8-45

CORTE DEI MIRACOLI

Commedia in tre atti

Di ENRICO CAVACCHIOLI

PERSONAGGI

PAOLO

VALDEMARO

LA MADRE

Le figure:

SERENETTA

MELAMPONARDI (terzo personaggio)

ROMULDI (secondo personaggio)

CORALIE

ROSANNA

DUCCIA

LAURA

UNA CAMERIERA

UN CLOWN

DUE ARTISTE AL TRAPEZIO

IL DOMATORE DEGLI ORSI BIANCHI

OCH-OCH

IL TERZO

IL QUARTO

Oggi o domani

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Un angolo del gabinetto da lavoro di uno studioso di psicologia e d'occultismo, come po­teva essere nel medioevo, perfezionato da tutti i ritrovati moderni per le esperienze. Raggi X, lampade strane, apparecchi elettrici. In giro sono collocate delle sedie. In mezzo un grande vaso di vetro, in cui vegeta un arboscello fio­rito. Una luce calda domina tutto ed emana da un proiettore che illumina l'angolo vivo la­sciando il rimanente del palcoscenico oscuro.

(Nella sala degli spettatori si fa buio. Val­demaro, seduto in un angolo, suona un or­ganetto. Musica lunga, straziante. Ad un trat­to l'angolo del palcoscenico si illumina per la luce violetta del proiettore, e sulle sedie disposte intorno alla scena, appaiono seduti sette individui diversi, strani, in atteggiamene ti ipnotici. Paolo è in piedi dinanzi al primo personaggio di sinistra. Veste una redingote-nera. Ha i pomelli delle guancie rossi, la punta del naso d'oro. Vicino a lui, Valde­maro).

Paolo                             - (al segretario) Fate la controprova. Pungetelo sul braccio nudo.

Valdemaro                    - (smette di suonare, depone lo stru­mento, eseguisce) Eseguito.

Paolo                             - E allora?

Valdemaro                    - Dorme, (indicando gli altri) Muoiono tutti dal sonno, (scuote il secondo personaggio, che continua senza posa a muo­vere il braccio destro come se pescasse alla lenza) Ehi, pescatore di Chiaravalle?!

Paolo                             - Non lo disturbate. Continua l'alle­gro scherzo che gli ho imposto. Pesca dei gamberi. Non ne sa la maniera. Ma pesca. Questo è l'essenziale. La principessa è av­vertita?

Valdemaro                    - La principessa verrà.

Paolo                             - Con chi era?

Valdemaro                    - In dignitosissima compagnia. E dico poco. Si sa: certe principesse hanno sempre la loro corte. Ed anche un cortinag­gio. E poi, il suo «uomo » è già qui, ad aspettare il suo turno. Si chiama Melampo: vero miscuglio di forca, d'ingenuità e di sacristia.

Paolo                             - Ma lei?

Valdemaro                    - Un soggetto quasi interessante.

Paolo                             - Una bambina...

Valdemaro                    - Non Si direbbe.

Paolo                             - ... che ha riunito in se tutto il senso della divinità: l'improntitudine, la prodigalità, la tenerezza, la mancanza d'ogni pudore...

Valdemaro                    - E’ perfetta...

Paolo                             - E mi attira per La sua semplice verità.

Valdemaro                    - (scuotendo il terzo personaggio) Siete abituato a russare così, al caffè del vostro quartiere, signore?

Paolo                             - Controllate gli altri, piuttosto.

Valdemaro                    - Subito, (eseguisce) Nemmeno uno ha più forza di sbadigliare. Sembra di essere in un dormitorio pubblico, al quale manchino soltanto le esalazioni del genere...

Paolo                             - (rivolgendosi al primo Personaggio) Coraggio, amico mio. Fra un momento risentirete in bocca uno strano sapore. Questo sapore diverrà a poco per volta sempre più i intenso, sempre più. Infatti, avete la bocca   piena di sale. E fate delle smorfie curiose (il Personaggio eseguisce rigidamente tutto quello che Paolo gli suggerisce) Perché ora sentite un altro gusto più forte... Che cosa avete inghiottito? Ma bisognava dirlo che I avete ingurgitato, niente meno, che un mezzo litro di olio di fegato di merluzzo!.,. Ora potete destarvi. E andare per i fatti vostri.

Il primo Personaggio     - (si desta, si guarda intorno, s'inchina. Via).

Valdemaro                    - Arrivederci e grazie!

Paolo                             - (al secondo Personaggio) E voi? Smettete di pescare! Ed aspirate questo delizioso profumo. Chi non ha un giardino? Un piccolo giardino al sole, e all'ombra di una fontana un roseto in fiore? Ah, siete felice, mio giovane signore!? Vi appare sul volto una serenità primaverile... Mentre ora... ora provate, ad un tratto, un pizzicore nel naso, come se aveste fiutato... Ah! Ah! Ah! Il reverendo vi ha offerto la sua tabacchiera d'argento? E voi sentite una voglia immensa di  liberarvi di qualche cosa, che vi si arrampica sottilmente per le narici, su su... non è vero?

Il secondo Personaggio - (starnuta rumorosamente).

Paolo                             - Così. Così...

Valdemaro                    - Possiamo licenziare anche lui. Starnuta come un maestro.

Paolo                             - Non mi rimane che presentarvi i miei ringraziamenti, mentre vi prego di destarvi. Voi state benissimo. E ritornerete stasera.

Valdemaro                    - Ha imparato perfettamente truffare il suo prossimo. E' pagato per questo.

Paolo                             - Non dobbiamo fargliene una colpa, allora, (aiuta il secondo Personaggio ad alzarsi, lo accompagna fino dentro le quinte, dietro alle quali il Personaggio scompare. Ri­torna vicino al terzo Personaggio) Non c'è bisogno che tu tenga gli occhi chiusi. Che diamine! Fra un po' vedrai tutto rosso. Da prima, una lieve tinta, dolce come l'aurora, che diverrà sempre più intensa, finché non sia rossa... rossa!... sempre più rossa!... ros­sa come il sangue!... Ormai tutto questo ti confonde e ti dà una strana sensazione di forza... e ti costringe ad alzarti dalla sedia...

Il terzo Personaggio      - (eseguisce rigidamente tutto quello che Paolo gli suggerisce).

Paolo                             - Ad inarcare il collo... a trottare a te­sta bassa per la camera, come se tu fossi il protagonista eroico e selvaggio di una corri­da... Già. Sei il toro destinato al colpo di fulmine di una spada...

Valdemaro                    - E soltanto sua moglie lo pren­derà per le corna. E dico poco!

Paolo                             - Ma non per questo ti fermerai nella tua corsa furibonda. Perché qualcuno t'in­calza. Ti è vicino. La lama guizza sulla tua giogaia. Ahimè, il colpo è vibrato... Giù!

Il terzo Personaggio      - (si accoscia pesante­mente).

Paolo                             - (rivolgendosi successivamente agli altri quattro) E voi? E voi? E voi ancora? Non sarete capaci di rialzare il corpo pesante di questo caduto, che la morte ha reso di mar­mo? Provatevi.

Il quarto, quinto e sesto Personaggio - (obbe­discono, facendo sforzi per sollevare il terzo Personaggio).

Paolo                             - Non è possibile. E' una cosa inuma­na. La vostra forza, sommata insieme, non giunge a smuovere di un millimetro questo peso, immenso, che io solo posso prendere e sollevare con un insensibile tocco della mia mano, (mentre i quattro si fanno da parte, egli sfiorando lievemente il caduto, lo ob­bliga ad alzarsi) Così, (al terzo Personaggio eh'è ormai in piedi) Tu, ti sveglierai, intan­to, varcando la soglia di questa casa. E da stasera, alle otto precise, con una esattezza matematica, inizierai un'arte nuova nella tua vita: farai il banchiere. Forse non ci in­contreremo più. Ma avrai un ruolo definito. E chi sa che il mio suggerimento non ti porti fortuna, (rivolgendosi agli altri) Tu, ladro! Tu, uomo di mondo! Tu, sfaccendato! Tu, Don Giovanni! Addio uomini! La commedia è finita. Incomincia il dramma, (tutti escono, uno dopo l'altro, scompaiono) Mia ma­dre è rientrata?

Valdemaro                    - Sì, signore.

Paolo                             - Che cosa vi ha detto, stamane?

Valdemaro                    - Nulla, padrone.

Paolo                             - Non sono il vostro padrone. Lo sa­pete.

Valdemaro                    - Sì, signore.

Paolo                             - Mi crede un po' pazzo, eh?

Valdemaro                    - (fa un gesto evasivo, insignificante),

Paolo                             - Nemmeno leiche ha creato la mia carne e il mio spasimo, può darsi una spie­gazione possibile di questa insonnia dello spirito che mi tormenta.

Valdemaro                    - Se Cleopatra avesse avuto il naso più corto, la faccia della terra sarebbe cam­biata!...

Paolo                             - Eppure, verrà un giorno, in cui la­scerò il mio testamento di vita. Ed anche voi potrete raccontare quale ansia e quale amore io abbia messo nella ricerca della verità e nel controllo della logica.

Valdemaro                    - Infatti, questa scoperta era un vostro desiderio, signore.

Paolo                             - Lo mettete in dubbio?

Valdemaro                    - No.

Paolo                             - Ho creato gli stati d'animo più diver­si coi quali sostituire la realtà, sostituire i fattori morali che la realtà deforma sempre. Ho voluto tradurre la vita in sogno. Fissarla. Disperderne i contorni umani. Darle una apparenza di poesia. Toglierle ogni amarez­za. Niente altro. Perché penso che, se un cer­vello unificatore, potesse ristabilire questo equilibrio e questa armonia nel mondo, l'uo­mo si accorgerebbe davvero di essere creato per una gioia immensa : per una creazione in­cessante, nella quale egli è Dio per un largo e libero amore senza oppressione...

Valdemaro                    - E dico poco!

Paolo                             - Crollate la testa. Incredulo come sempre.

Valdemaro                    - Perché so il vostro segreto.

Paolo                             - E sarebbe?

Valdemaro                    - Voi cercate un'altra curiosità. La vostra. C'è qualcuno, che, dopo avere avuto tutto quello che poteva desiderare, si uccide per sazietà. Non ha più nulla da sco­prire. E andate brancolando, come lui, per vedere se, oltre il vostro limite mortale, può esservi rivelata qualche cosa che non potete ancora definire. E siete disperatamente at­taccato alla vita, che in fondo, per una vendetta delle cose vi ha negato tutto, pur aven­dovi dato, tutto.

Paolo                             - Mi ha dato tutto? Quello che avrebbe potuto concedere anche a voi!... A chiunque!

Valdemaro                    - Eh, no! Non mi conoscete, allo­ra. Perché sono il dramma dell'appetito in­soddisfatto, io! E mi spiego Perché non mi conoscete. Sono come uno di quei così detti giovani drammaturghi del teatro moderno che, non credendo al dramma che pensano, non possono costringervi a credervi i loro spettatori...

Paolo                             - Già. Manca la forza della convin­zione...

Valdemaro                    - E allora, vi dirò, signor mio. Mi sono sempre alzato da tavola con le bu­della tese come corde di violini. Ogni volta, c'era una mano discreta che mi toglieva il boccone più ghiotto. E sono rimasto con la malinconia di non poter morire d'indige­stione...

Paolo                             - Il problema dello stomaco? Ohibò! Avrete avuto almeno una donna?

Valdemaro                    - L'ho avuta. E sono sempre ro­tolato dal letto come un sacco di cenci, Perché un desiderio più aggressivo mi rubava, ad un tratto, la donna che avevo creduto di stringere fra le braccia in un delirio di pas­sione...

Paolo                             - E allora?

Valdemaro                    - Sono rimasto con la nostalgia di un profumo speciale: - che so? - di fiori, di foglie, di pelle umana... E dico poco!

Paolo                             - Anche l'incognita della carne non ha. peso specifico. Avrete tentato qualche cosa? Siete un uomo positivo... una speculazione? Un affare?

Valdemaro                    - Sì!... E mi è sempre comparso dinanzi lo spettro di un galantuomo o di un ladro: più galantuomo o più ladro di me. E dico due! Vedete dunque, che, nem­meno a farlo apposta, la vita mi ha sempre tolto qualche cosa, mentre io le ho regalato l'enorme fame che gonfia questo mio stomaco di struzzo, non so se di sbadigli o di tenerez­za. E dico poco!

Paolo                             - Non capisco la vostra rassegnazione.

Valdemaro                    - Semplicissima. Imponetemi di mangiare senza mettermi davanti un piatto ricolmo! Di fare all'amore senza gettarmi una bella femmina in braccio! (allarga le braccia sconsolatamente).

Paolo                             - E' un assurdo. Ma anche la logica è assurda,  (la signora Luisa entra, e si sofferma. Valdemaro che l'ha veduta le va in­contro).

Valdemaro                    - Buona sera, signora Luisa.

Luisa                             - (abito bianco, monacale, capelli biancoazzurri) Buona sera. Ti disturbo, Paolo?

Paolo                             - (le va incontro anche lui, la prende per mano, la riconduce, la fa sedere, le siede vi­cino) Mammina mia dolce! Figurati! Par­lavamo anche di te...

Luisa                             - Non arrivo importuna, allora!

Paolo                             - E stavo per aggiungere che nella vita non c'è che un sentimento, che ne santificai nel vero senso il valore: la maturità...

Luisa                             - (dolcemente) Ci sono tante altre cose!

Paolo                             - Tutto il resto ci sfugge. Perciò, amo ancora qualche cosa, in questo deserto di scetdeismo che mi circonda...

Luisa                             - Paolo, figlio mio inquieto...

Paolo                             - Mamma!

Luisa                             - Quando avrai pace? E sono responsa­bile io del tuo tormento!

Paolo                             - (fa un gesto di negazione).

Luisa                             - Ti ho dato proprio io, questa amara, sensibilità che ti fa soffrire...

Paolo                             - Tu? Mi passi vicino come una rasse­gnata testimone della vita...

Luisa                             - E la mia rassegnazione è più triste della tua rivolta!

Paolo                             - Nulla ti meraviglia. Sei la bontà.

Luisa                             - La malinconia...

Paolo                             - Hai per ogni male una parola che per­dona. I tuoi capelli bianchi hanno santifi­cato tutto quello che tocchi!

Luisa                             - Vorrei che tu vivessi, davvero, in que­sta atmosfera che mi hai creato attorno... Invece, sei come quando eri bambino. E la notte, destandomi, ti trovavo con gli occhi spalancati nel buio, a cercare qualche fanta­sma. E prima che ti riaddormentassi, dovevo calmare la tua insonnia infantile, sfiorandoti i capelli, chiamandoti...

Paolo                             - (come se sentisse la dolcezza del richiamo lontano) Mamma...

Luisa                             - E mi dicevi così a fior di labbra. E) socchiudevi gli occhi, finalmente, accarez­zandomi col tuo richiamo, che sembrava spe­gnersi in un sospiro grosso di fanciullo che ha pianto...

Paolo                             - (con la voce alterata, tremante) Mam­ma! Ho bisogno di esser travolto da qualche . cosa! O  di non pensare più. Il vuoto della mia fede, mi fa paura.

Luisa                             - Ragazzo, povero ragazzo mio, non sei mutato. Sei come allora. Ti trema la voce di lacrime. Perché non rendi più semplice la tua vita? E' saggio chi non la tormenta. E' vero Valdemaro? Volete dirlo anche voi a questo mio figlio incontentabile?

Valdemaro                    - (scuotendo le spalle) Non mi crederebbe...

Luisa                             - Gli siete sempre vicino. Siete il suo segretario.

Valdemaro                    - Perché non posso essere il prin­cipale, è chiaro? Nemmeno di me stesso. E dico poco!

Luisa                             - Allora, non avete mai un'opinione?

Valdemaro                    - Come segretario, no: sono un perfetto ignorante...

Paolo                             - (intervenendo) Lascialo stare, lascia­lo stare...

Valdemaro                    - ... amministro per gli altri quel­lo che non saprei amministrare per me: il senso comune. E non domando niente a nes­suno.

Luisa                             - Ma diteglielo voi, senza scherzare!...

Valdemaro                    - Non vuole ascoltarmi...

Luisa                             - Ormai, son un'ombra nell'ombra che discende in questa casa. E non so più né par­lare né convincere...

Paolo                             - Mammina!

Luisa                             - Eppure, «e tu vedessi la mia inquie­tudine! Sentiresti come me... che me ne an­drò senza lasciare nulla: né rimpianto ne tenerezza. E che questo non mi dà nemmeno dolore... una rassegnazione passiva... Ma che saperti così...

Paolo                             - Perché lo dici ?

 Luisa                            - Ti vorrei sereno, figliuolo.

Paolo                             - Perché ti tormenti? (con uno schian­to) Che colpa ne ho, se non partecipo più alla vita? Se vado in mezzo agli uomini, mi sembra d'essere un estraneo, capitato ad un festino volgare, come un importuno. Non ca­pisco loro. Ed essi non mi comprendono. Al banchetto che mi si è imbandito, non si por­tavano che piatti vuoti...

Valdemaro                    - Non bisognava eccedere per prin­cipio.

Luisa                             - Oh, che cosa dite? (anche più dolce) Senti, Paolo...

Paolo                             - Ti ascolto, mamma.

Valdemaro                    - Allora, mi permettete? Il tem­po di fumare una sigaretta...

Luisa                             - Andate, andate... Rimango, io, col mio figliuolo...

Valdemaro                    - (via).

Luisa                             - (anche più carezzevole) Lascia che ti persuada. La tua solitudine mi fa tanto triste. C'è ancora qualche cosa buona,, sai? nel mondo. Fra tanta miseria, fra tanta malva­gità, fra tanti egoismi, si è salvato l'egoismo migliore, il più feroce: l'amore...

Paolo                             - (crollando la testa) Eh, mamma!?...

Luisa                             - E' una vecchia scoperta la mia!... Ma ho dovuto viverla con la vita per convincer­mene!... (pausa) E' superiore a tutto, Perché è una legge di istinto, che va rispettata con una specie di santità. E' più grande di tutto. E tu, l'hai spremuto con l'anima di uno scettico, e l'amarezza di chi conosce già che cosa deve bere da quel bicchiere. Non vi hai cercato il miracolo. Non hai esaminato da chi e Perché ti veniva. Le donne erano tut­te uguali per te... Le consideravi con diffi­denza prima, e con un scoramento poi!...

Paolo                             - (vorrebbe rispondere).

Luisa                             - Non mi rispondere. Hai avuto torto. Perché l'amore non era quello che ti appari­va alla superficie. Non era l'ebrietà dei sensi. Non era la gelosia. Non era il tormento. Era un fiore più delicato, che forse sbocciava in un altro terreno, in un altro fango, con un profumo soave. Soltanto, bisognava cer­carlo. Ovunque. Risvegliare una sensibilità nascosta. Suggerire una parola a tempo. Dare il senso della fede, per non morire di sfiducia e d'incredulità...

Paolo                             - E' vero, mamma...

Luisa                             - Ed allora, qualunque donna, anche la più corrotta, ti avrebbe rivelato un can­tuccio sereno del suo paradiso, in cui l'ani­ma se ne stava incontaminata...

Paolo                             - E come? E come?

Luisa                             - Hai costruito mille illusioni...

Paolo                             - Mille debolezze...

Luisa                             - Ma costruendone una che avesse avu­to una base umana. Che avesse inventato la creatura della tua gioia e della tua rinascita! Come io non ho saputo foggiare te, per un artificio della natura... (persuasiva) Pren­dila dunque dove ti si presenta, e dalle una anima che ti convenga: una voce, un pianto, un sorriso!... Me per te! Ecco il segreto...

Paolo                             - E sarò capace di far questo?

Luisa                             - Il cuore della donna è debole...

Paolo                             - (con tristezza) Vorrei essere felice! Per vederti rasserenata...

Luisa                             - Sono vecchia e stanca, io!

Paolo                             - E non hai una ruga in questo bel vol­to doloroso!

Luisa                             - Il tempo si è preso giuoco di me! Eh! Ho bisogno di socchiudere gli occhi, figliuolo, e di scomparire sommessamente. Un bel giorno, si apre una porta senza rumore. Qualcuno mi chiama. Non posso resistere alla tentazione di quella voce. Ma sapendoti solo, con quale anima disperata posso andarme­ne via?

Valdemaro                    - (presentandosi) E' permesso?

Luisa                             - Venite pure avanti.

Valdemaro                    - (a Paolo) C'è quasi tutta la com­pagnia che aspetta: un clown, due artiste al trapezio, il domatore degli orsi bianchi ed Och-Och...

Paolo                             - Un momento.

Valdemaro                    - E c'è anche la Principessa.

Luisa                             - Chi, Paolo?

Valdemaro                    - E' un soprannome. Principessa per modo di dire. La chiamano così nella sua Corte dei Miracoli...

Paolo                             - Fate entrare tutti insieme, tranne lei... (timidamente) Mamma, ti domando scusa, e ti ringrazio...

Luisa                             - (alzandosi) Pensa a quello che ti ho detto...

Paolo                             - Ci penserò. Non dubitare, (la condu­ce fin all'uscita, le bacia la mano).

Luisa                             - (via).

Paolo                             - (torna indietro).

Valdemaro                    - Introduco il gregge... (via).

Paolo                             - (si sprofonda in una poltrona).

Il clown                         - (precede gli altri, che entrano in fila, come se aspettassero il loro turno per pre­sentarsi) E' lei l'impresario?

Paolo                             - Sono io.

Il clown                         - (parla rapidamente con un'intona­zione uguale. Sembra reciti una lezione) Veniamo dall'Agenzia. Ci hanno parlato di una tournée a condizioni quasi vantaggiose. Mi chiamo Bibì, uomo senz'ossa. So alcune stupidaggini. Faccio ridere con uno sguardo, con un grido, con un cenno, con un salto, con una caduta, con un passo. Faccio la pa­rodia del cane, della scimmia, della zanzara, della cocotte e del banchiere in chiave di so­prano e di ventriloquo. Sono stato perfino alla presenza del signor Lloyd George che mi aveva invitato in qualità di interprete alla Conferenza di Genova. Desidero quaranta li­re il giorno ed abiti di ricambio (fa una smorfia e uno sgambetto).

Paolo                             - (rivolgendosi alle due artiste al trape­zio) E voi?

Alina                             - Miss Alina e Flambette: uccelli vo­lanti della troupe

Semenoff                      - (parlano contem­poraneamente).

 Flambette                     - Doppi salti mortali, scivolate sul fianco, cerchio della morte.

Paolo                             - Si capisce che lavorate insieme. Be-nissimo. E il domatore degli orsi bianchi?

Il domatore                   - (è un piccolo essere semi-gobbo, che ha una voce esile, nasale, e parla una specie di argot internazionale) Moi.

Paolo                             - I vostri animali?

Il domatore                   - Quatre, nom de Dieu!

Paolo                             - Vi intenderete per le condizioni col mio segretario. Non sono un impresario esoso, io!

Il domatore                   - Ali right! Mantenimento beètes, vostro charge naturellement... Engage­ment su moins trois sémains. Entendu?

Paolo                             - Perfettamente. A domattina, per la firma del contratto, (il clown, le due artiste, il domatore, si inchinano con dignità. Via),

Och-Och                       - (è rimasto ultimo. E' un pezzo dì colosso massiccio e brutale) Vi siete dimen­ticato di me, signore.

Paolo                             - Ah, chi siete?

Och-Och                       - Il re delle pulci. Och-Och.

Paolo                             - Gran Dio!Non potevate scegliere una professione più adatta alla vostra atletica ar­chitettura?

Och-Och                       - E' in contraddizione con la mia muscolatura, è vero. Ma proprio per questo interessa il pubblico.

Paolo                             - Ah, non bisogna certo giudicare nulla dalla sua grandezza apparente! Ammaestra­tore di pulci, dunque?

Och-Och                       - Infatti.

Paolo                             - E dire che al creatore l'infinitamente grande è costato la stessa fatica dell'infinitamente piccolo! E sia! Passate anche voi dal mio segretario, domattina...

Och-Och                       - I miei rispetti (si avvia per andar-sene).

Paolo                             - Ma, a proposito, che esercizi fanno 1« vostre... bestie?

Och-Och                       - Oh!si comportano secondo le per­fette regole della società. Salgono in una pic­cola carrozza. Siedono a tavola. Eseguiscono dei salti comandati. Celebrano il sacramento del matrimonio. Esplorano il petto delle spet­tatrici e tornano al punto di partenza.

Paolo                             - Ah!

Och-Och                       - Allora vado.

Paolo                             - Arrivederci!

Och-Och                       - (via).

Paolo                             - (a Valdemaro che è rimasto in silenzio come una cariatide buffa) Ha potuto più di me!Quello che io cerco sugli uomini, lo ha ottenuto su dei parassiti che vivono del sangue degli uomini!

Valdemaro                    - E' il parassitismo della lettera­tura applicata alla vita.

Paolo                             - Sarà!... (pausa) Ora illuminatemi de­finitivamente, su questa Principessa. Dove l'avete veduta la prima volta?

Valdemaro                    - Al Tabarin, l'altra notte. Bal­lava come un demonio. Nuda. Intrisa di champagne, che alcuni gravi personaggi le vuotavano regolarmente nel seno: un seno solido, non c'è che dire...

Paolo                             - E ì precedenti?

Valdemaro                    - Li racconterà da sé. Non ne fa mistero.

Paolo                             - Come l'hai avvicinata?

Valdemaro                    - Mentre fuggiva. Pazza! L'ho rag­giunta ad un angolo della via. « Fermati, re­gina delle cicale ». a Ho un appuntamento col mio uomo . A quest'ora sono libera di me, se Dio vuole. E tu, se vuoi trovarmi, aspetta domani. Verrò al tuo albergo. Hai un albergo? ». Le ho dato l'indirizzo. Buo­na notte.

Paolo                             - -E... il suo... amico?

Valdemaro                    - Il signor Melampo? L'ha rag­giunta. Ora, è qui, come gli avete imposto. Ha cambiato abito. Ed aspetta.

Paolo                             - E voi?... Non siete stato l'amante... di lei?

Valdemaro                    - (meravigliato) Signore!

Paolo                             - Non lo siete stato?

Valdemaro                    - Ma per chi mi prendete? Fre­quento la buona società, io!

Paolo                             - Al diavolo! Fatela entrare...

Valdemaro                    - (s'inchina, via), (si cambia la luce. Una luce morbida, ripo­sante, celeste si fa nella stanza).

Serena                           - (entra un po' intimidita, dietro a Val­demaro, che poi si fa da parte, stringendo un gran fascio di fiori. Ha i capelli rossi scar­latti. Si sofferma) Buona sera. Non c'è nes­suno ?

Paolo                             - (è in un angolo, come in agguato) Vieni avanti, piccina.

Serena                           - Oh, signor professore! (andandogli incontro con semplicità) Vedete che sono ve­nuta? E vi ho portato un gran mazzo di rose? Ma in questa luce non vi si distingue, ve­nendo da fuori... (vedendo che non si decide • liberarla dai fiori) Volete che le deponga ai vostri piedi?

Paolo                             - (togliendole il fascio di rose) Oh, no... (le depone sul globo di cristallo che è in mezzo).

Serena                           - Alla buon'ora! Mi ricordo che quan­d'ero bambina, un giorno di Maggio, sono fuggita per la campagna come una furia. E via via che correvo, strappavo dai giardini che incontravo tante rose! Tante rose! Me le stringevo al petto in un fascio enorme, che chiudevo a stento fra le braccia. Allora, ima vespa nascosta ed ubriaca di profumo, mi ha punta alla gola. Stasera, è una semplice spina che m'ha ferito qui, su questo dito...

Paolo                             - Dove?

Serena                           - Ecco. Un filo di sangue. Una cosa da nulla...

Paolo                             - (vorrebbe baciarle la mano ferita).

Serena                           - Che? Volete baciarla? Non guarirà per questo... Sapete che sono curiosa di sot­topormi alle vostre... come le chiamate? Alle vostre esperienze?! Mi fanno tanto ridere! E mi fanno anche tanto paura... Eh! Se mi fissate così, incomincio a ridere davvero! Chi vi ha insegnato a fare quegli occhiacci?...

Paolo                             - (l'accarezza sulle mani leggermente).

Serena                           - E che mani fredde, avete!

Paolo                             - Ne senti il tremito forse? (la costrin­ge a sedere).

Serena                           - Sì. Sento che tremate...

Paolo                             - Voglio sapere tante cose da te      - (siede vicino a lei).

Serena                           - Domandatemi, allora. Ma senza guardarmi più... (pausa) Della puntura di quella vespa mi è rimasto il segno per un pezzo. Se sapeste come ho odiato le rose!?

Paolo                             - Raccogli il tuo sguardo nel mio, pic­cola. Così. Sei come un cielo tutto azzurro. Vi si vedrebbe passare l'ombra di un'ala. E quante cose vi leggo! Quante cose vi indo­vino!...

Serena                           - Oggi, non più. Si dimentica il dolo­re di ogni ferita, anche se ne conserviamo la cicatrice. Sono nata in un mattino, azzurro come il cielo dei miei occhi, che dite. Per questo mi chiamo Serena. Serenetta.

Paolo                             - Sei una creatura di abbandono. Doni tutto, all'amore, tu...

Serena                           - (ironica) All'amore?

Paolo                             - Ti stupisce questa mia constatazione?

Sirena                            - No, no! Avete proprio colpito nel segno. Non potete nemmeno supporre che cosa sia la gioia di dare, di dare tutto, senza chiedere nulla...

Paolo                             - Così grande?

Serena                           - Immensa! E' la felicità di sentirsi un po' schiave, in mano di un padrone in­quieto e prepotente, al quale avete sacrificato tutto... Che può anche battervi a sangue... Ed al quale direte grazie di ogni sofferenza...

Paolo                             - Bisogna essere donne, per provare questo brivido! Donne... come te...

Serena                           - No. Basta essere giunte a un grado di abiezione o di perfezione indicibile che ha cancellato in voi ogni senso morale...

Paolo                             - Di stima...

Serena                           - Di fiducia...

Paolo                             - Di rispetto...

Serena                           - (angelica) Di pudore...

Paolo                             - Chi ti ha insegnato a dire queste cose?

Serena                           - Non so. Mi sembra di averle sempre sapute, e di non aver mai potuto esprimerle. La mia voce ha un suono così dolce, ora...

Paolo                             - Perché sgorga fuori d'ogni tua vo­lontà...

Serena                           - Mi accarezza. E l'ascolto cantare. E' la prima volta. Avete mai sentito le capinere in una notte di luna? Trillano fino a stordirsi. Ecco. E mi sembra che le mie parole mi stor­discano... (silenzio) Ma i vostri occhi non mi fanno più paura. E non mi fanno più nemmeno ridere. E' come se vivessi in un sogno...

Paolo                             - Io ti comando, infatti, di vivere in sogno! Vivere in sogno! Non appartenere più ne a te, ne agli altri. Essere la tua fantasia che non ha limiti! Il tuo desiderio, che può tutto! Avere abolito il tempo! Ritrovare una anima sconosciuta! Metterla a contatto di quello che ti circonda; Perché dia un suono nuovo: come lo scroscio di un palazzo di cristallo colpito dal fulmine...

Serena                           - Sì, signore.

Paolo                             - Non aver più un ricordo che ti ricol­leghi alla terra. Chi eri?

Serena                           - Una donna senza volontà.

Paolo                             - Chi ti comandava?

Serena                           - La volontà di tutti, signore.

Paolo                             - Quanti anni hai?

Serena                           - Venti!

Paolo                             - Bambina! Ti si leggono in volto tutti i vizi!

Serena                           - E' la vita... .

Paolo                             - E il tuo primo amante?

Serena                           - Non mi ricordo.

Paolo                             - Ed avevi una famiglia? Che ti sfrut­tava? Già...

Serena                           - (addolorata) Che cosa pensate?

Paolo                             - Miserie di tutti i giorni!

Serena                           - (remissiva) Meglio di tutte le notti, signore!

Paolo                             - Dammi ancora la mano.

Serena                           - - Ecco (eseguisce).

Paolo                             - Rispondi docilmente a tutte le do­mande.

Serena                           - (a fior di labbra) Sì...

Paolo                             - La prima pagina della tua vita...

Serena                           - Sì.

Paolo                             - Leggi attentamente.

Serena                           - Leggo la storia di tutte le donne. Un'ora di ubriachezza. La vita è una finestra I aperta nel vuoto. Vi sentite soffocare da due braccia che vi stringono fino a farvi male... Anch'io ho gridato d'amore...

Paolo                             - E poi?

Serena                           - La finestra si chiude. E' rimasta fra i battenti una rama verde, curiosa e frantumata. Dentro c'è buio. Le pareti sembrano squallide di solitudine...

Paolo                             - Chi c'è?

Serena                           - Nessuno. Non c'è più nessuno. Sembra, per un momento, di vivere in un regno d'ombra. Allora...

Paolo                             - Allora?

Serena                           - Una piccola vita vi si muove nel j seno...

Paolo                             - Mamma?!

Serena                           - Piangete tutte le vostre lacrime, Perché... no... non potete essere madre! Non po­tete avere il coraggio della vostra benedizione. Siete cresciuta fra i pregiudizi della mo­rale, e la morale vi strangola. Vi nascondete in un brivido di paura...

Paolo                             - Serena!

Serena                           - Signore!

Paolo                             - Che cosa vedi?

Serena                           - (come sotto l'incubo di qualche cosa che l’atterrisce) Ah, la carne straziata, fiot­to il ferro di un dottore senza scrupoli!...

Paolo                             - Soffri?

Serena                           - (non risponde più a lui, ma segue k sua visione) No! No! No! Che dolore, Dio mio!

Paolo                             - Che fai?

Serena                           - (gridando) Hanno ucciso il mio bambino! La morale ha ucciso il mio bambino!...

Paolo                             - Questo hai fatto! Questo? Non hai ri­morso ?

Serena                           - La prima volta si ha rimorso... Dopo...

Paolo                             - E' la morale delle bestie: quella della strada...

Serena                           - E la strada mi ha preso!

Paolo                             - Perciò ti sei sentita libera!

Serena                           - Che insidia dolce in tutte le sue sen­sazioni! E' il mare che avvolge nei suoi gor­ghi. Tutti possono urtarvi, e portare con sè qualche cosa di voi. Si annega... (pausa) Non vedo più.

Paolo                             - Cerca di vedere ancora.

Serena                           - (sforzandosi) Tutto si ferma qui.

Paolo                             - Dinanzi a te. Ricostruisci!

Serena                           - Non posso... Ho conosciuto tutte le bassezze e tutto quello che c'è di sublime... nella libertà. La primavera mi ha sorpreso sui bastioni lividi di luna, appena uscita da una taverna... (animandosi) Cantavo a squar­ciagola parole e bestemmie. Era mio guan­ciale un ciuffo d'erba sul letto di un prato. Una vampa di foglie arrossite mi riscaldava nei mattini piovosi d'autunno. Nessuna leg­ge governava il mio arbitrio...

Paolo                             - E poi?...

Serena                           - Sono stanca...

Paolo                             - Riposati, cara. Esci da questa camera. Ti conduco fin sul limitare...

Serena                           - (con un filo di voce) Perché? (si la­scia prendere con una mano docilmente).

Paolo                             - Perché ora cadono le armature che ti circondano, (la sospinge verso la parte si­nistra del palcoscenico) Siamo in un giardino inondato dì luna. Cantano gli usignoli nei bo­schetti di rose.

Serena                           - Sì. Ed allora?

Paolo                             - Con un colpo di immaginazione tutto si è trasformato. I cigni navigano a fiore del la­go. S'ode una musica lontana. E tu uscita da questa parte, rientri da un viale verde, Perché il Principe Azzurro ti viene incontro dal palazzo del re...

(La spinge ancora lentamente. Appare l'altra parte della scena un giardino, che il proiet­tore spostandosi illumina in pieno. E s'ode infatti una musica in sordina dolcissima).

Serena                           - (via).

Valdemaro                    - Che cosa ne volete fare, signore?

Paolo                             - Cercarle l'anima che le conviene.

Valdemaro                    - E dopo?

Paolo                             - Il capolavoro vivo della vita.

Valdemaro                    - Mah! ?... Ed il Principe Azzurro?

Paolo                             - Non hai capito? E' Melampo. Il suo amante! Gli ho comandato di venire qui, in abito cinquecento!

Valdemaro                    - Quel tipo da ghigliottina? Ah! Ah!

 Paolo                            - Non ridere.

Valdemaro                    - -E' troppo giusto. Vado a chia­marlo. Anzi do gli ordini Perché lo facciano entrare... (via).

Paolo                             - (si guarda intorno con uno stupore nuo­vo, come meravigliato della sua temerità).

Valdemaro                    - (rientra) Sarà uno spettacolo in­teressantissimo. Uno viene da destra. Uno da sinistra. L'illusione del giardino è perfetta. (s'ode una campana in lontananza) Uno scam­panio lontano... Ah, mi ero dimenticato!... E' dal castello del Re...

Paolo                             - Taci. Sono qui.

Melampo                       - (entra da sinistra, facendo grandi sa­luti col suo cappello piumato) Princi­pessa!...

Valdemaro                    - (si fa da parte).

Paolo                             - (immobile contro la quinta).

Serena                           - Mio principe (un inchino).

Melampo                       - Così pallida! Come se aveste fatto un bagno di luna! Nessuno vi ha veduto usci­re dal castello?

Serena                           - Nessuno.

Melampo                       - La sera è discesa. Giungete anche voi, come la rugiada...

Serena                           - Ma con tanta paura, Principe Az­zurro!

Melampo                       - La vostra mano trema un po', in­fatti!

Serena                           - I viali immensi e il grido dei pavoni mi hanno inseguito...

Melampo                       - Non tremare più, anima mia. Sono vicino alla tua tenerezza. E quasi la sfioro con la mia voce. Perché raccogli il volto nella corolla dei veli?

Serena                           - E' la paura dell'ignoto, principe.

Melampo                       - Non c'è nulla di ignoto. Due caval­li sellati ci attendono al limite del parco. I loro zoccoli scivoleranno sul velluto dei mu­schi, come se avessero il dono del volo. All'alba, saremo lontani. Nessuno saprà trovare la nostra traccia. E, finalmente, potrò tenerti secondo il mio desiderio e la mia nostalgia.

Serena                           - (timidamente) Mi amate?

Melampo                       - L'hai chiesto con una timidezza sorridente. Ed io ti rispondo di sì. E ti av­viluppo nel mio mantello pieno di tenebra. E ti trascino, (eseguisce) Siamo un'anima sola nel plenilunio. Siamo un bacio ed una carezza sola. Abbandonati.

Serena                           - Sì...

Melampo                     - Ti prendo sulle braccia...

Serena                         - Non potrò camminare. Sono inchiodata alla terra...

Melampo                     - Ed io ti colgo come un fiore.

Serena                         - (trasalendo ad un richiamo di tromba, lontano) Principe!

Melampo                     - Che cosa c'è?

Serena                         - Al Castello! Il richiamo di una trom­ba. Forse hanno scoperto la mia fuga! Fug­giamo... Se no, la forca ci attende!...

Melampo                     - Bisogna pur che si veda, di tanto in tanto, ciondolarvi un gentiluomo! Vado a prendere i cavalli, anima mia... (via).

Serena                         - Fate presto... (si siede, rimane im­mobile).

Paolo                           - (intervenendo, violento dietro a Melampo) Non tornerai più! Ti ha ripreso la tua vita! Ti dico che ti ha ripreso la tua vi­ta!... Sarai quello che più ti aggrada, biscaz­ziere o, baro! Vagabondo! Non altro, (la mu­sica si tace. Il giardino scompare).

Valdemaro                  - (che ha seguito la scena in preda a manifesta ilarità) E lei?

Paolo                           - Ha il contagio della tua presenza e del suo istinto. E’ troppo stupida!

Valdemaro                  - Padrone, uno di questi giorni, qualcuno di questi signori che stanno ad ascoltarci, spettatori o critici, ci condurran­no in questura o al manicomio. Finiamolo questo triste gioco dell'esperienza!

Paolo                           - Il mondo è così pieno di pazzi furiosi, che debbono per forza lasciare in pace un pazzo tranquillo come me!...

Valdemaro                  - Siete trasfigurato!... Che avete?

Paolo                           - Vorrei che la mia vita fosse infinita­mente più intensa di quello che è! Vorrei che il mio spirito fosse infinitamente più grande! Ed invece non so che dar forma a dei fanta­smi fuggevoli, a delle luci che mi tradiscono!

Valdemaro                  - Ma se la vostra volontà può qua­si tutto?!

Paolo                           - Voglio la mia creatura! Voglio la mia creatura! Null'altro!

Valdemaro                  - (incerto) Questa? No, date retta a me, signore. Fabbricate le illusioni per gli altri. Non per voi. Contentatevi del poco che la civiltà vi offre, dal «lomento che vivete coi piedi solidamente piantati sulla terra. C'è più gioia in un atto d'umiltà che in que­sta febbre che vi perseguita...

Paolo                           - Che cosa ne sai?

Valdemaro                  - E' un miscuglio troppo morbido di malinconia e di veleno!

Paolo                           - Mi piace.

Valdemaro                  - Ma vi complica. Contentatevi di quello che si può strappare naturalmente l'umanità. E rideteci sopra.

Paolo                           - E sarebbe?

Valdemaro                  - Volete una vostra creati Staccatela dal fianco del primo passanti pensate di lui al tempo stesso: sarai corni E basta.

Paolo                           - Lo fanno tutti, eh?

Valdemaro                  - E dite pure: stringila come vuoi. Siine geloso fino ad impazzire! E dico Ma prima? Cancella la traccia di un'a bocca sulle sue labbra!

Paolo                           - Non è possibile?

Valdemaro                  - Sfido! I suoi capelli conservanoancora l'impronta viva di altre dita! E se ella si volta per non guardarti ti vede ancora...

Paolo                           - Onestissimo Jago!

Valdemaro                  - E se si attacca al tuo braccio, è perché ti sente ancora: come il suo desiderio ( che non avrà più fine...

Paolo                           - (reagendo imperioso) Vattene! In-fanghi più di me tutto quello che tocchi! Non voglio più! Non voglio più! Voglio essere solo...

Valdemaro                  - (sempre servizievole e beffardo) Come il signore comanda. E dico poco! (via).

Paolo                           - (a Serena dolcemente) Piccola, mi ve­di? Non c'è più nessuno. Sono rimasto, io, vicino a te. Non c'è più nulla che ti preoccu­pi o ti riguardi.

Serena                         - (anche lei, dolcemente, come se parlasse ad un assente) E' vero. C'è solo un altro uomo. Mi accarezza. Mi persuade.

Paolo                           - Chi è?

Serena                         - Un uomo sapiente.

Paolo                           - Che vuole?

Serena                         - Capovolgere la mia vita.

Paolo                           - (con voce strozzata) Ah, sì?

Serena                         - (mutandosi a poco a poco fino ad assumere un'intonazione di vero terrore) Mi ha dato un abito di nuova ipocrisia.

Paolo                           - (accrescendo ad ogni battuta la sua ansia) E tu?

Serena                         - Ha purificato la mia carne...

Paolo                           - E tu?

Serena                         - (quasi con un grido di liberazione) Amo!

Paolo                           - Ti ama?

Serena                         - Sì.

Paolo                           - E' dolce?

Serena                         - Tutto in me si è ridestato.

Paolo                           - Sei una donna perfetta?!

Serena                         - Mi sono ritrovata ora per ora, senza inquietudine. Ho risentito la gioia dell'attesa. Lo smarrimento... (si interrompe).

Paolo                           - Guarda ancora, allora! Guarda ancora: No! No!

Serena                         - (con un senso di ribrezzo) No! Non costringermi!

Paolo                           - Perché? Chi vedi?

Serena                         - (con un grido) Sei tu! L'ombra dei miei cattivi giorni!

Paolo                           - (sgomento) Io?

Serena                         - Vuoi farmi ripiombare nel fango di ieri?!...

Paolo                           - Serena!

Serena                         - Farmi tornare la creatura senza vol­to e senza anima?!

Paolo                           - Serena!

Serena                         - Mi difenderò... Va' via...

Paolo                           - Che dici?

Serena                         - Il tuo desiderio mi frusta. Va' via...

Paolo                           - (insorge con violenza afferrandola ai polsi) Non così ti voglio! Non così!...

Serena                         - (dibattendosi) Scostati. Ho ribrezzo. Non mi fai nemmeno paura!...

Paolo                           - (imperioso e. s.) Serena! Dentati! Te lo comando! Destati! (la scena si trasforma, come all'inizio dell'atto. Valdemaro, seduto in un angolo, suona l'organetto: una musica straziante, bassa, soffocata).

Serena                         - (si scioglie dalle mani di lui, si frega un po' gli occhi torbidi, e rimane a guardarlo per un attimo come intontita).

Paolo                           - (spiccando bene le parole) Non ti ri­corderai più di quello che hai veduto. Non devi, Serenetta...

Serena                         - (fa un gesto di rassegnata negazione, dolcemente) Dove sono? (vede i suoi fiori, per terra) Ah, i miei fiori... (si china per rac­coglierli e vi tuffa il volto). (La scena si fa oscura completamente. Si chiude il velario. Luce nella sala).

FINE DEL PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

Una grande sala notturna, ricca di mobili rari, nella quale vive in special modo un can­tuccio discreto, illuminato da una lampada, che fa stagnare la sua luce su di un divano basso, carico di cuscini, e chiuso alle spalle da un paravento giapponese. Porte a vetri danno in una sala da ballo, dalla quale, appena si aprono i battenti, giungono i rantoli irritati del banjo. Si intravvedono, a quando a quando, i danzatori. Tutto ha un senso caricaturale di sogno, di incubo, specialmente per i personaggi del primo atto. Si deve aver l'impressione di vedere svolgersi l'azione come dietro ad un velo.

(Valdemaro, Coralie, Rosanna, Duccia e Laura sono in piedi dinanzi alla vetrata. Le signore prendono dei gelati, da un piccolo tavolo di rinfreschi e cinguettano inesauri­bilmente).

 

Valdemaro                  - Guardate un po' quella gente che balla.

Coralie                        - A non sentire la musica, sembrano impazziti.

Valdemaro                  - Tanti diavoletti di Cartesio, scatenati in quell'immensa vasca da ba­gno che è una sala da ballo.!

Rosanna                      - Dite così, perché non amate troppo il suona infernale del jazz-band...

Valdemaro                  - Tutt'altro. Que­sta turba di persone che gesticola e si contorce come se dovesse da un momento all'altro morire dal mal di pancia, mi fa credere che i pazzi siamo noi, rimasti qui, immobili, in minoranza: voi a sorbire gelati in una pa­rentesi di sosta, io a fare delle constatazioni amaro­gnole, come il colore dei vostri capelli... Rosanna... E dico poco!

Duccia                        - Oh, Dio, non sapevo che tu possedevi dei capelli color amaro...

Rosanna                      - Biondo cenere, volete dire...

Valdemaro                  - Come vi piace.

Rosanna                      - Come piacciono a voi...

Laura                          - Eppure non c'è nulla di strano. Quan­do si è un po' lontani da coloro che parlano, e non se ne ode la voce, sembra che essi dicano molto di più di quando si può afferrare il senso di quelle stesse parole. Non udendo alcun suono, si può supporre...

Valdemaro                  - Che li abbia presi una follia africana collettiva...

Coralie                        - Una malattia del sole?

Valdemaro                  - Un delirio tropicale, che im­perversi in un catino di rane d'ogni colore...

Rosanna                      - Guardate come si abbandona quel­la giovine gazzella seminuda!

Valdemaro                  - Mi piace.

 

Duccia                        - Ma siete poi ben certo che anche noi, ballando, facciamo quella stessa figura?

Valdemaro                  - Desiderate vedervi in uno spec­chio?

Duccia                        - Non si può. Viene il capogiro.

Laura                          - Ci si eccita di più...

Valdemaro                  - Ah, più di così, mi sembra impossibile!

Coralie                        - Aprite un momento. Chiamate il maestro!

Valdemaro                  - (apre, entra una raffica di banjo) Basta? Och-Och!

Coralie                        - Basta.

Valdemaro                  - Ha fatto cenno che verrà.

Duccia                        - Se non foste la negazione del ballo mi piacerebbe trascinarvi in quel vortice.

Valdemaro                  - Disgraziatamente... (richiude).

Laura                          - Siete poco allegro! 

Valdemaro                  - Non so essere che un confidente discreto per signore. Dicevamo?

Coralie                        - Nulla

Valdemaro                  - E non avete altro da aggiungere?

Coralie                        - Ma tutte le volte che due persone si trovano insieme, debbono avere qualche cosa da dirsi?

Rosanna                      - Certamente. Almeno delle inso­lenze.

Och-Och                     - (entrando) Ai vostri ordini.

Duccia                        - Venite a ballare, signor Valdemaro.Vi insegneremo.

Valdemaro                  - Non saprei che cadervi fra le braccia in questo provocante charleston da cannibali...

Laura                          - Se lo dite voi...

Och-Och                     - Avete torto, signora.

Duccia                        - Ma allora mi mordereste!

Valdemaro                  - Vi prego di credere!... Per or­dine del medico, non mangio che carne bianca... E dico poco!... Adoro le bionde!...

Coralie                        - Hai sentito, Rosanna? (ad Och-Och) Professore, bisogna corrompere questo incorruttibile segretario.

Och-Och                     - Disponete pure di me.

Rosanna                      - Posso prima offrirvi un po' del mio gelato, per rinfrescarvi?

Valdemaro                  - Vi concederò le mie labbra...

Rosanna                      - Vale a dire?

Duccia                        - Che, questo passerottino di nido vuo­le essere imbeccato.

Rosanna                      - (gli va vicino col piatto del suo ge­lato).

Valdemaro                  - Vi ringrazio. Scherzavo. Posso servirmi da me (prende dalle sue mani il piatto) ascoltando il diavolo tentatore.

Och-Och                     - Ecco. E' il mio giuoco di pazienza. Chi vuol sedere al pianoforte?

Duccia                        - Prima era domatore di bestie fero­ci... ohibò...

Laura                          - Ed ora? (sedendosi al pianoforte),

Och-Och                     - One step.

Laura                          - (accenna).

Och-Och                     - (a Duccia) Permettete? Lezione dimostrativa, (invita Duccia a ballare) E' mu­sica fatta per incoraggiare gli uomini al bal­lo, (eseguisce) Uno, due. Uno, due. Allegro militare. Danza per soggetti da quarant'anni in su. E' allora che s'impara veramente ad essere giovani.

Valdemaro                  - Non è per me, dunque.

Och-Och                     - O preferite un fox-trott, che rom­pa la monotonia dei due tempi? (a Laura) Fox!

Laura                          - (eseguisce).

Och-Och                     - Marcia in avanti, indietro, di fian­co, uno, due, tre giri, passo di polita, avan­zo deciso o strisciato, ripresa, sfrecciata. Molto humour in questo adattamento...

Valdemaro                  - Nemmeno questo è per me.

Coralie                        - Charleston allora o blak-bottom!

Och-Och                     - Ai vostri ordini! (a Laura) Char­leston! Duetto d'amore di gatti sui tetti. E glorificazione dell'angolo! (eseguisce) Ango­lo del busto con la gamba. Angolo delle cosce coi polpacci. Angolo delle caviglie col piede. Angolo del piede col suolo. Doppio angolo delle gambe inarcate e chiuse in parentesi. Passo d'arabesco. Linea interrotta, sopra a tutto!... Così!... Tendete le reni e muovete il treno posteriore... Così... (abban­dona Duccia. Fa una riverenza).

Laura                          - Ed era domatore di bestie dome­stiche!...

Valdemaro                  - Lo conosco, (ad Och-Och) Gra­zie. Potete tornare dai vostri ballerini che vi reclameranno.

Och-Och                     - (s'inchina. Via).

Rosanna                      - Scommetto che Serena non la pen­sa come voi!? Che cosa ne sapete?

Laura                          - (ironica) Di questo mistero biondo?

Valdemaro                  - Proprio da me volete sue notizie?

Duccia                        - Non siete il segretario?

Valdemaro                  - Per servirvi.

Coralie                        - E Paolo Reni non è l'amante for­tunato?

Valdemaro                  - Non ancora.

Duccia                        - Oh Dio! E che cosa aspetta questo milionario cristianissimo, se vivono insieme?

Valdemaro                  - D'aver fabbricato il suo giocat­tolo completo»

Coralie                        - E dopo?

Valdemaro                  - Vorrà romperlo.

Duccia                        - E intanto?

Coralie                        - Chi è il legittimo proprietario?

Valdemaro                  - Nessuno.

Laura                          - Bardi?

Valdemaro                  - Ohibò

Coraue                        - Romuldi?

Valdemaro                  - Nemmeno per sogno. E’ proprio necessario che ogni donna abbia un posses­sore? Quasi come un cavallo da corsa? E dico poco!...

Coralie                        - Anche un trainer!

Laura                          - Ed un fantino!...

Coralie                        - Da scavalcare...

Duccia                        - Questione di peso!

Valdemaro                  - No, mie dolci amiche. Serena è virtuosa.

Rosanna                      - A chi raccontate questa fandonia?

Coralie                        - Fumo.

Duccia                        - Apparenza.

Valdemaro                  - Fumo? Eppure la sua virtù è un'istituzione.

Laura                          - Costituzionale?

Duccia                        - Soviettistica?

Rosanna                      - Collaborazionista...

Valdemaro                  - Abbiamo la sensazione di girare il mondo in lungo e in largo in un viaggio che sembra quello che corona il corso degli allievi di una qualunque accademia navale. Abbiamo rinunciato ad una tournée artisti­ca per una tournée sentimentale. Forse si ve­dono volti nuovi, gente nuova, costumi nuovi, ed allora si ferma il cammino. Per ripartire senza curiosità, senza inquietudine, e senza alcuna voglia di frugare in ogni paese, come nella vetrina di un rigattiere.

Laura                          - Ma chi è infine questa donna?

Duccia                        - Da dove viene?

Valdemaro                  - Da un'umile casa plebea - po­trebbe essere la vostra - che le ha messo nelle vene un sangue azzurro di principessa: come vedrete... Da una gora fangosa di vizio, che le ha dato in cambio del suo difetto di origine un candore ed un profumo di nin­fea... La sua impassibilità è ormai leggenda­ria... come la vostra curiosità...

Duccia                        - E Reni?

Valdemaro                  - L'ha lanciata in un'estasi tran­quilla e luminosa di irrealità per un egoismo incontentabile di esperimentatore.

Duccia                        - Ma a che scopo, se non è il suo amante?

Laura                          - (maliziosa) E credi a tanta ipocrisia

Valdemaro                  - (scattando, quasi incollerito) Perché, dopo aver gonfiato questa incantar e fragile bolla di sapone, vorrà dissolver! personalmente, con dolore, ma con un semplice soffio. E dico due!... Ed ora vi salii con la più onorata riverenza della mia vi

Rosanna                      - Dunque non venite a ballare?

Valdemaro                  - No, colombina. Fo' il segretario. Non ancora l'imbecille di professione...

Laura                          - Ma sapete che avete una disavventura!?

Valdemaro                  - Bontà vostra che me la riconoscete! Allora, debbo mostrarvi una verità.;| Fermi tutti un momento! Oh, uno scherzo da niente. Come l'ho veduto in un cabaret pari­gino. Per un giuoco di specchi e di luce, al posto di qualunque persona, che si collochi in una determinata posizione, appare il suo scheletro. Una parodia di danza macabra, proiettata da una piccola lanterna che ho na­scosto qui dietro.

Duccia                        - Che avete detto?

Valdemaro                  - Vedrete.

Laura                          - I personaggi?

Valdemaro                  - Voi, Coralie, Duccia.

Coralie                        - Dove dobbiamo metterci?

Valdemaro                  - A sinistra. Vicine.

Laura                          - Cosi?

Valdemaro                  - Così (eseguisce a soggetto).

Coralie                        - E che cosa dobbiamo fare?

Valdemaro                  - Nulla.

Coralie                        - Ed allora?

Valdemaro                  - Si spegne la luce. E ballate.

Rosanna                      - Fatto.

Laura                          - Da sole?

Valdemaro                  - Solissime. Come vi piace. (Sullo sfondo della parete, infatti, appaio subito tre scheletri. Silenzio. S'ode il jazz-band che sembra funereo, giungete dalla porta spalancata).

Valdemaro                  - Muovetevi. (gli scheletri si muo­vono).

Duccia                        - Ma che cosa significa?

Valdemaro                  - (con una voce lontana, tagliente ironica) La farsa degli spettri. La proie­zione di quello che ognuno di noi è. 0 sarà, nel tempo e nello spazio. Senza complicate ipocrisie. Senza sottigliezze di ragionamenti. Senza attributi di desideri. Senza lenocini di abiti, di belletti, di inganni, di imposture. (alzando la voce con un tono terribile) Uno, due. Uno, due. Passo militare, come diceva Och-Och! Ma sopra tutto dovete ricordarvi che ai muore!

Laura                          - Si muore? Ah! Ah! Ah! (tutte sghi­gnazzano ed il cachinno sembra davvero lu­gubre).

Rosanna                      - (riaccende).

Valdemabo                 - Precisamente. Quando ritorni la luce, ve ne ricorderete.

Cobalie                       - Impostore!

Duccia                        - Buffone!

Laura                          - Maleducato!

Valdemaro                  - Allora a domani, ilseguito! À domani! A domani! (via). (Entrano Bardi e Romuldi).

Bardi                           - (fuma voluttuosamente un grosso sigaro avana e sbuffa) Cerchiamo un angolo discreto. To'! Anche qui delle donne!

Romuldi                      - (è il terzo Personaggio del pruno at­to, in stile) Ogni cantuccio ne è pieno. E poi, se vi intendete di statistiche, dovete sa­perlo che ve ne sono almeno dieci per ognuno di noi...

Bardi                           - Troppa grazia, se non c'è che l'imba­razzo della scelta oggi che gli uomini mi ab­bandonano. Comunque, signore mie, vi sa­luto...

(inchini, sorrisi, colpi di ventaglio piumato, mentre le donne si scambiano delle parole brevi fra di loro).

Romuldi                      - Avete detto che gli uomini vi ab­bandonano!

Bardi                           - Ma sì!  Ho ordinato al maestro di casa di tenere per mio conto la tavola d'angolo, la grande tavola d'angolo! Posto per cinquanta persone e tovaglia candida. Di lasciare che chiunque si sedesse alla mia mensa, senza nemmeno farsi presentare. L'appetito è una carta da visita sufficiente. Neanche a farlo ap­posta, nessuno mi onora più, da quel giorno. Ed i miei commensali più intimi, sono un bi­scazziere dall'anima incartapecorita come uno stoccafisso che debbo avere già incon­trato, un giorno, non so dove, ed il suo so­stituto...

Laura                          - Compagnia invidiabile... Avete a fianco un famoso tipo!... E poi noi non sa­pevamo che odiaste fino a questo punto la solitudine...

Buccia                         - E' un prodigio di astuzia e di pre­potenza.

Bardi                           - Lo conoscete anche voi?

Romuldi                      - Il male si è che bara in una ma­niera stupefacente!...

Uqsànna                      - Questa è un’insinuazione.. Non ha mai negato un « ritorno » a chi aveva per­duto!

Romuldi                      - Sfido! Gli costa così poco!

Coralie                        - Un rischio eguale a quello di chi , perde...

Bardi                           - Signore mie, se bevessimo qualche cosa?... (suona) Il sole e la salsedine mi hanno patinato la gola come un vecchio sco­glio. (Al cameriere che compare) Porto Flip. Per tutti (il cameriere s'inchina ed esce).

(Paolo e Valdemaro entrano e si soffermano). (Movimento di curiosità. Le signore indicano Paolo a Bardi. I due si squadrano da lon­tano).

Bardi                           - Pensate che una volta possedevo... Possedevo? Sì, una pianta nana che biso­gnava innaffiare con lo champagne. I fiori ne erano così avvelenati che, colui che ne re­spirava il sentore caldo, aveva l'impressione di accostarsi ad una bocca voluttuosa. Alla bocca più voluttuosa che io abbia mai co­nosciuto su questa spiaggia... fuori di qui... (continua a parlare con le signore).

Romuldi                      - (avvicinandosi a Paolo) Conoscete il commendatore, signor Reni?

Paolo                           - Non ho questo piacere.

Romuldi                      - Volete che vi presenti?

Paolo                           - (evasivo) Grazie.

Romuldi                      - Pensate che costui può tutto.

Valdemaro                  - Sarebbe a dire?

Romuldi                      - Può comprare tutto.

Paolo                           - (sprezzante) La miseria della vita umana nasce' dalla violazione di qualche sem­plice legge di umanità.

Romuldi                      - Ma avete ben compreso che cosa vuol dire tutto?... Anche la vostra coscienza se per avventura ne avete una...

Paolo                           - E' una coscienza troppo a buon mer­cato la mia. Non incomodatevi, per attri­buirle un prezzo, signor Romuldi...

Romuldi                      - E' disceso in ogni intimità...

Valdemaro                  - (beffardo) Lo schiacceremo.

Romuldi                      - In fondo è una persona gentilis­sima.

Paolo                           - Lo credo.

Romuldi                      - Guardatelo in mezzo a quelle donne.

Paolo                           - E' il re.

Romuldi                      - Il primo venuto ha posto alla sua tavola. Ha giornali che lo servono a colpi di milioni. Tribunali che lo difendono ed av­vocati che lo dissanguano: purissimi! Se poi si tratta di una donna... Già... (insinuante) Una donna può chiedergli quello che vuole. E' molto generoso... E Serena - perdonate la confidenza - gli piace.

Paolo                           - Non farà a tempo ad acciuffarla. (pausa) Ricambio la vostra confidenza: do­mani, la sua banca chiude gli sportelli.

Romuldi                      - No! Che cosa dite?

Paolo                           - (gli fa cenno di tacere e gli volta le spalle).

(entra un cameriere tenendo un'enorme cop­pa d'argento. Dietro di lui appare Serena magnifica e inquietante).

Bardi                           - (al cameriere) Fate servire nella ve­randa. (il cameriere attraversa. Via).

Bardi                           - Signore, ci attende una coppa di net­tare, che la più bella creatura qui presente (indica Serena) vorrà degnarsi, da noi sup­plicata, di colmare con le sue mani divine. Non è vero, Serena? E volete permettermi di offrirvi il braccio?

Serena                         - Non vale la pena di pregare per così poco  (prende il braccio di lui con grazia si­gnorile).

Bardi                           - Vi precediamo, amabili compagni, vi precediamo... (Via tutti tranne Paolo e Valdemaro).

Paolo                           - (esplodendo) Perdio! Ne dispone come di una cosa sua!

Valdemaro                  - Giustissimo.

Paolo                           - Come?

Valdemaro                  - E' stupido e volgare. Lo avete voluto voi, così. Dunque? Ne ha diritto.

Paolo                           - E lei non è capace di guardarlo in faccia? Chi m'avrebbe detto? Le ho imposto io questa maschera. E Romuldi? Ti ricordi? Ha fabbricato la. commedia della mia fin­zione !

Valdemaro                  - Non è necessario guardare gli uomini in faccia...

Paolo                           - Così grasso!

Valdemaro                  - Così buffo!

Paolo                           - E così ladro!

Valdemaro                  - Ognuno ha il volto che si me­rita!

Paolo                           - Vi giuro che se non temessi il ridi­colo, mi avventerei su di lui.

Valdemaro                  - Come un facchino?

Paolo                           - E gli griderei: fra un giorno, fra una ora, quando ti arresteranno...

Valdemaro                  - E dondolerai la tua gonfia obe­sità di nababbo fra un commissario di pub­blica sicurezza e l'altro!...

Paolo                           - Lo dirai il nome di chi ti ha costretto a rubare, per circondarti di tutto ciò che almondo v'è di gusto più discutibile...

Valdemaro                  - E dirà il vostro! Perché siete! stato voi!... Padron mio, l'odiate come una rivale. Siete innamorato...

Paolo                           - Ho paura di confessarlo. Vivo ormai I dell'aria che respira, delle parole che le ho apprese, del fascino che le ho dato...

Valdemaro                  - Male...

Paolo                           - Le ho costruito un'anima secondo la | mia fantasia!...

Valdemaro                  - Allora siete innamorato di voi?

Paolo                           - E' come se in qualche ora di abbandono mi guardassi in uno specchio in cui è rimasta un'immagine perduta. Uscendo dal tormento di una luce viva, la scopro a poca a poco. I suoi contorni indefiniti si fissano. Era un'immagine, ho detto, e vi ritrovo una donna.

Valdemaro                  - E la considerate con una cupidigia umana!  Finche era accessibile a tutti non vi interessava. Il suo isolamento eccita ora la vostra curiosità.

Paolo                           - Infatti, che cosa sarà mai questa sen­sitiva racchiusa nella mia esperienza squisita?

Valdemaro                  - Un dolcissimo mostro di metodo, signore.

Paolo                           - (con un'esclamazione sorda dì collera, dopo aver guardato dalla vetrata) Ora la, fanno ballare! (spalanca la porta). (S'ode l'orchestra satanica).

Valdemaro                  - State calmo. E' il passo dell'oca. Non fate il ragazzo.

Paolo                           - Avete ragione. Sono calmissimo.

Valdemaro                  - Avete detto che quella stupida bestia di Bardi se ne andrà?!

Paolo                           - Ma da quando circolano voci di crisi della stia banca, sembra che una fissazione sempre più ostinata lo abbia inchiodato qui.

Valdemaro                  - Ed allora lo accompagneranno gli angeli custodi! Non lo lasceranno tornare indietro così presto...

Serena                         - (ha finito di ballare, getta il suo sci veneziano per terra, vi passa) Io sola! sola! Oh, Paolo! Ho avuto per un momento una stupida vertigine. Quella musica mi panava il cervello... Sono stanca. Ho bisogno di riposarmi!

(Si richiude la porta dietro a Bardi e altri. La musica cessa).

Paolo                           - (trattenendosi) Non esagerare, cara, non esagerare...

Bardi                           - Dov'è andata la più tenera colombi di San Marco?

Serena                         - (è seduta) Vola ancora sulla laguna, con un battito d'ali e un brivido di penne tiepide...

Bardi                           - E nessuna freccia l'ha ferita nella sua corsa?

Paolo                           - (con disprezzo) Che imbecille!

Valdemaro                  - Padrone, tacete. Andiamo via: non ha conseguenza, credetemi... è una bam­bina... Domani partiremo... (lo trascina via, dolcemente).

Bardi                           - Fiuto l'odore della sua gola insangui­nata. E non m'inganno, se c'è chi sostiene che sono un uomo di buon fiuto.

Serena                         - (con civetteria) Da che cosa lo de­ducete?

Bardi                           - (evasivo) Il primo atto della mia vita fu quello di serrarmi il naso con tutte e due le mani...

Serena                         - Allora la vostra corte m'incuriosisce! (agli interlocutori) Figuratevi che mi ha det­to delle parole d'amore, perfino in mutan­dine da bagno!

Laura                          - Schoking!

Serena                         - Sembrava un vecchio e grosso Tri­tone barbuto e balbuziente...

Duccia                        - Voi la sirena del lido, avevate smes­so di cantare...

Serena                         - Di cantare? Io, tenevo gli occhi ab­bassati, e non vedevo che. le sue gambe pelose e i suoi piedi di zafferano deformati dalla artrite. Vi fa molto bene la sabbia, vero? - gli ho risposto: - bisognerà tornare qui tutti gli anni!... Ma lui, non me ne ha serbato rancore...

Bardi                           - Crudele e bella anche con gli uomini di spirito! Più bella che crudele, in fondo.

Romuldi                      - Questa pubblica dichiarazione vi onora. Ma mi sembra inutile. Non attacca.

Serena                         - Chi mi offre una sigaretta? (prende la sigaretta che le offrono) Grazie. Proprio così, signor mio. Non attacca. La frase è vol­gare ma esatta. Non ho desideri e non ho nostalgie. Il jazz-band non mi eccita più del necessario.

Laura                          - Oh!

Serena                         - Lo champagne non mi seduce con i suoi fumi voluttuosi...

Romuldi                      - E' enorme!

Serena                         - Non ho cavalli da corsa. E'non debbo far diminuire, col rovente ansito dei miei so­spiri, il peso dei fantini che non bestemmiano in inglese nelle mie scuderie...

Romuldi                      - Ma che dice?

Serena                         - I sensi mi si sono così addormentati, così soavemente addormentati, che mi sem­bra, talora, di camminare sfiorando la vita senza accorgemene: una piuma che segua una costante direzione del vento...

Bardi                           - (con profonda amirazione) - Meravigliiiiiosa!...

Serena                         - La mia stessa leggerezza mi stordisce un pochino, ed ha ucciso in me la nostalgia, il desiderio, la noia. Quello che posseggo è proprio quello che vorrei possedere, e non. più. Il metro quadrato di terreno in cui mi muovo, mi basta, volta a volta, e m'inchioda con solide radici alla breve realtà che mi ferisce. Non ho orizzonti da scoprire, e se li vedo con l'immaginazione, li vedo con occhi così nuovi, così nuovi, come se la fantasia avesse dato loro una logica più rigorosa della realtà che mi teneva. Ora, Bardi, mio buon amico d'un'ora, e forse di un'ora passata, voi non siete per me né una nostalgia, ne un desiderio, né una noia, ne un sogno, ne una realtà... Ed io non vi capisco...

Romuldi                      - Brava, piccina!

Bardi                           - (scuote la testa, la guarda fissamente e fuma a grandi boccate).

Serena                         - Non ho un marito da tradire. Sicché non proverò nemmeno il piacere acre dell'adulterio...

Coralie                        - Che piacere può dare, infine, l'adul­terio?

Romuldi                      - Un tempo, secondo lo Scoliaste di Aristofane, agli adulteri colti in fallo s'intro­duceva per pena un ravanello nel... mi ca­pite?

Bardi                           - (desolato) Ecco perché Socrate diven­ne infedele a Santippe!...

Laura                          - Dove? Per pena?

Romuldi                      - Ma certo! Proprio lì... Poi, si de­pilavano e si coprivano di cenere... Oggi... (Un cameriere si presenta, si china all'orec­chio di Bardi).

Cameriere                   - Mi scusi, signor commendatore. Due signori chiedono di lei.

Bardi                           - Di me? Che vengano pure!...

Cameriere                   - E' che... desidererebbero ve­derla in privato...

Bardi                           - Ma io non ricevo a quest'ora!... Che tornino domani, o lascino detto chi sono (il cameriere esce).

Serena                         - Volete che li riceva io?

Bardi                           - Se foste la mia segretaria... dovrei passar la vita a mandar via i seccatori.

Serena                         - Sareste il segretario della vostra se­gretaria. Circolo vizioso.

Cameriere                   - (torna) Mi perdoni, se insisto, si­gnor commendatore.

Bardi                           - Ma infine?

Cameriere                   - Vengono da Milano... Non han­no voluto dire il loro nome... ma «armo cose urgentissime da riferire.

Bardi                           - Fate attendere, (si passa una mano sulla fronte, divenuto pallido ad un tratto) Datemi ancora del Porto.

Romuldi                      - Avete bisogno di tanto coraggio per sbarazzarvi di due importuni?

Bardi                           - Chissà!?

Coralie                        - (venendo verso di lui) Che faccia scura!...

Bardi                           - Se rido!?

Serena                         - Il vostro sorriso io lo capisco. Sem­bra una smorfia per non mordere.

Bardi                           - Allora berrò alla vostra giovinezza per dissetarmi, (afferra la coppa che il cameriere gli porge) Sì, Serenetta. Bevo. E guardo in questo bicchiere la forza occulta che non mi ha obbligato mai né a faticare, né a stancar­mi, ne a dormire per terra. E' la forza della fortuna che vi fermenta, ma che si disperde! Ho avuto ricchezze! Le ho gettate! La paura non mi ha dato mai una di quelle frustate che fanno guaire anche gli uomini che invece di pelle hanno una faccia di corno...

Le signore                   - (mormorano) Ma è ubriaco! Non sa più quel che dice! Ha perduto la testa! Bardi, siete ammattito?

Bardi                           - (impassibile) Ora il presente mi di­sgusta. Ma non provoca in me alcuna rea­zione. Il futuro mi accora. Il piacere è dive­nuto dispiacere. La scienza ignoranza. La grandezza miseria...

Serena                         - Ma Bardi! Questo è il testamento di un peccatore!

Bardi                           - Un elogio funebre, Serenetta! Che mi impedisce di bere come vorrei... che mi im­pedisce di... (con un gesto di disgusto e di rabbia, getta per terra la coppa che s'in­frange) Non prestate attenzione alle mie stra­nezze! E scusatemi! Con permesso... (via, rapidamente).

(Si guardano tutti in volto, come se si inter­rogassero).

Romuldi                      - (come se si spiegasse, ad un tratto) Bardi! In bocca al lupo!

Le signore                   - (insieme) E' una cosa inaudita! Un uomo della sua impassibilità   - Gli ha dato di volta il cervello... Sono stranezze da banchiere... Non bisogna fargliene una colpa. E' cosi generoso...

 

Serena                         - Romuldi, andate voi a vedere che cosa succede di là. Non dovete abbandonarlo in quelle condizioni...

Romuldi                      - Subito, (fa per avviarsi, ma sulla porta il cameriere lo ferma, accorrendo).

Cameriere                   - C'è un mandato d'arresto per il! commendatore Bardi.

Tutti                            - (insieme) Eh? Che cosa avete det­to? - Non è possibile! C'è errore            - An­diamo a vedere.

(Escono tutti. Rimane sola Serena, sul limi-tare della porta. Giunge il suono dell'orchestra convulsa. Entra Melampo).

Melampo                     - Serena!

Serena                         - (sorpresa) Tu? Tu qui?

Melampo                     - Da due sere ti vedo. Ora, appro­fitto della confusione per salutarti. Bardi è salito in motoscafo con due funzionari, e come nelle opere antiche, il coro degli ospiti lo saluta alla partenza...

Serena                         - L'hanno proprio arrestato?

Melampo                     - Evidentemente sì. E questo ti preoccupa tanto da farti dimenticare di por­germi la mano? Pensa che io ho perduto 9 più meraviglioso compagno di tavola...

Serena                         - Scusa, amico mio...

Melampo                     - Mi intimidisci. Non credevo. Sei già scusata.

Serena                         - Vuoi sederti?

Melampo                     - Sì. (accosta la porta) Questa musi­ca è straziante. (Eseguisce) Non temi di es­sere sorpresa?

Serena                         - (evasiva) Non appartengo a nessuno.

Melampo                     - Allora, lasciati guardare. Così. Il ritrovo. Sei proprio Serena.

Serena                         - Quando mi hai veduta?

Melampo                     - L'altra sera... Al tavolo della rou­lette. Sei qui da poco, non è vero?

Serena                         - Siamo appena giunti.

Melampo                     - Quanto tempo è passato!

Serena                         - Non si direbbe. Superata la prima impressione, s'io non fossi vestita così e non udissi questa musica che saltella e questa gen­te che ai muove vicino a noi quasi non ti crederei. Melampo! (pausa) Come mi trovi?

Melampo                     - Magnifica! Lievemente dimagrata. Ma un'ombra. Sei una donna inquietante... e poi, sono confuso. E' come se una mano mi avesse avvinghiato e mi costringesse a fissare qualche cosa che...

Serena                         - (sorpresa) Non ti piaccio più?

Melampo                     - Non ti muovere. Ho bisogno di ve­derti ancora, di toccarti. D'altronde, se non hai nulla a temere!? Mi piaci, sì, come allora. Ricordi? Ed ho una voglia di pren­derti la bocca! (come supplicandola) Serena!

Serena                         - (si schermisce) Oh!?

Melampo                     - Ti schermisci, così? Sei cambiata.

Serena                         - Era?

Melampo                     - Forse anch'io.

Serena                         - Sei elegantissimo.

Melampo                     - E' una livrea necessaria.

Serena                         - Ma non mi hai detto ancora che cosa fai, qui!

Melampo                     - Già. Non lo supponi? Giuoco. Ten­go banco. Ho fatto fortuna...

Serena                         - Biscazziere?

Melampo                     - ... e non c'è persona per bene che non s'inchini, qui dentro, davanti alla mia potenza.

Serena                         - E fuori?

Melampo                     - Fuori è un altro conto. Ma qui? Eh, ne ho vedute delle vigliaccherie! Tutti uguali! Lo stesso pallore, lo stesso tremito, la stessa angoscia... Si vede che sono più forte di loro. E' questione di nervi... (un silenzio) Sono diventato molto ricco.

Serena                         - Mi fa piacere.

Melampo                     - Una volta, dividevamo il pane che mi offrivi: con amore. Oggi che la vena mi è stata fedele, sono in condizione di poter con­traccambiare i benefici di allora. Perché, in fondo, sei stata la mia donna più vera...

Serena                         - Che impressione mi fanno le tue pa­role!

Melampo                     - Ti dispiacciono?

Serena                         - Mi scompigliano le idee...

Melampo                     - Una volta non ne avevi.

Serena                         - Ma ora!

Melampo                     - Eravamo due beati ignoranti in li­bertà: quella cameretta al quinto piano ne ha sentite delle risate... Centoquindici gra­dini... Ma appena su, il trillo della tua voce.

Serena                         - Quanta strada abbiamo fatto per po­ter discendere ai piani inferiori! Neanche lo straccio di un portinaio, c'era allora, a darci la buonasera quando passavamo!

Melampo                     - Ed eravamo più felici! Tu, termi­nata la tua notte...

Serena                         - No... no...

Melampo                     - Mi hai dato la giovinezza senza di­scutere, ed io t'ho presa come una bestia da preda!

Serena                         - (ha un moto impercettibile di disgusto).

Melampo -                  - Ti meraviglia che possa parlare con questa tremenda franchezza? Anzi, come direbbero gli onesti: con questo sudicio cinismo! Soltanto al tavolo da giuoco si acquista il senso turpe e regolare della vita! E si dice pane al pane. Sono stato un vigliacco per comodità e per pigrizia. Mi è sempre pia­ciuto di stare alla finestra, e come vedi me ne sono trovato bene. Era il mio destino e la mia natura.

Serena                         - Non ti capisco più, Melampo.

Melampo                     - Già: parlo difficile. Anche questo lo debbo al tappeto verde.

Serena                         - Parlavamo di allora...

Melampo                     - E' vero. Eri una creaturetta sem­plice...

Serena                         - Credevo che nell'amore dovesse es­sere compreso anche il sacrificio di me stessa.

Melampo                     - Io ti ho aiutato a crederlo...

Serena                         - Ed abbiamo vissuto...

Melampo                     - ... di te. La nostra malinconia era al disopra della saggezza borghese, perché in certi momenti... Già!... che stupidaggine! (pausa) Se mi vedessero questa lacrimuccia a fior di pelle! Sai che cosa direbbero? Sta­sera, il Cavalier Melampo avrà una guigne sciagurata! Stasera gli porteremo via l'osso del collo! Eh! L'osso del collo è possibilis­simo. Ma il denaro che ho ammucchiato alle loro spalle, il denaro che mi vendica, quello lo tengo stretto!... E se ne hai bisogno, non far complimenti...

Serena                         - Non ne ho bisogno.

Melampo                     - Già. Per te ci pensa il filosofo cri­stiano! Un bell'imbecille! Va' là... E pensare che debbo a lui la mia fortuna! Due anni fa, i primi quattrini me li ha dati lui perché fi­lassi alla svelta... Ma ora?

Serena                         - Perché non hai mantenuto i patti?

Melampo                     - Non ho più bisogno di lui e posso gridar forte, (un silenzio penoso) Di', Serenetta! Perché non torneresti con me?

Serena                         - Non mi piace.

Melampo                     - Sei di gusti delicati, ora! Forse credi alla gratitudine e le mie parole ti scon­volgono. Hai ragione. In qualche ora di de­bolezza ci ho creduto anch'io: me ne sono sempre trovato male. Malissimo. Oggi poi, che ne sono diventato anche un benefattore...

Serena                         - (sorpresa) Tu?

Melampo                     - Per tenere il giuoco con le restri­zioni di oggi, bisogna dividere la torta in tanti pezzi! C'è tale un branco di sciacalli intorno a noi! Bisogna subirli e contentarli. De­ciditi. Vuoi tornare?

Serena                         - No.

Melampo                     - Che cosa ti sgomenta?

Serena                         - La tua calma.

Melampo                     - Perdio!

Serena                         - Un senso di malessere e di curiosità me l'hai messo addosso. Ma ti ascolto con la anima addormentata, senza dibattermi. Perché, tanto...

Melampo                     - Ed io ti dico che al mio fianco torneresti ad essere una vera donna. Il ve­leno della vita ci ha reso inattaccabili per sazietà.

Serena                         - No, Melampo.

Melampo                     - Ed allora?

Serena                         - Lasciamoci così. Come ci siamo in­contrati. Senza rimpianti. Non possiamo più essere due compagni. Ci diamo la mano. E domani, incontrandoci di nuovo, ci salutere­mo con un po' più di amicizia. Fingeremo di essere delle persone dabbene.

Melampo                     - E sia. Quello dell'ingannarsi, è un terribile mestiere! Troviamo dunque tan­ti sciocchi quanti bastano alla nostra sussi­stenza!... Noi non siamo di quelli, tu dici. E rinunzi subito alla commedia che in buona fede ti avevo proposta. Eh, ne hai fatta della strada!...

Serena                         - Può darsi.

Melampo                     - Non ti tenta nulla? Del denaro non sai che fartene!... E delle malattie che dal denaro derivano, non sai che fartene lo stesso: abiti, corse, teatri, mania della letteratura!... No? Sei sana. L'amore?

Serena                         - Nemmeno.

Melampo                     - Eppure le cose d'allora non si can­cellano!...

Serena                         - Ma guai a ricordarle... Le tue braccia erano forti... E le tue mani mi stringevano, mi facevano male... Ti rammenti di questo segno?

Melampo                     - Lasciami vedere.

Serena                         - Lina cosa da nulla. Una piccola cica­trice ormai quasi invisibile.

Melampo                     - (malinconico) Mi avevi perdonato.

Serena                         - E come! La mia vita, allora, era una proprietà tua. Avresti potuto farne quello che volevi. Io non mi sarei opposta, di certo... Se tu mi avessi voluta vile, sarei stata vile. Una donna, in quelle condizioni, che cosa diven­ta? Un giocattolo, o uno strumento. Per te, sarei stata soltanto questo, (con un sospiro) Ma le cose sono andate assai diversamente. Abbiamo vissuto, dal giorno della nostra se­parazione, senza più lasciare brandelli d'ani­ma agli angoli dell'esistenza. Io, sono ora come in una vetrina, una pianta di serra. Ca­lore tropicale e umido qualche volta. Folate di aria fredda qualche altra. Il sole à vede e si sente dai vetri. E' sempre sole, sì; mal giunge a traverso questa compagine trasparente, che sembra malato d'anemia anche lui... Tu, bai fatto fortuna, tutto in un colpo. E la devi alla mancanza di scrupoli che ti ha reso forte fino ad oggi. Se ad un tratto mi diventi romantico, caro mio, sei perduto...

Melampo                     - Non ci avevo pensato. Hai ragione,!

Serena                         - Perciò, mi bacerai la mano come» conviene con una signora, a una vera signora, e te ne andrai per la tua via, senza più preoccuparti di me...

Melampo                     - (con un rimpianto cinico) ... Oggi che potrei permettermi il lusso di fare il sentimentale!? Vedi? Solo questo brillante costa cinquantamila lire... E poi... e poi...

Serena                         - Ragazzaccio!

Melampo                     - Non hai capito, stupida ? Ti sposo.

Serena                         - Che cosa hai detto?

Melampo                     - Che ti sposo!

Serena                         - Vuoi prender moglie? Che tu la prenda o no, ti pentirai lo stesso.

Melampo                     - E ti porto in società, nella vera società.

(Paolo si è soffermato sulla soglia, irrompe poi,minaccioso).

Paolo                           - Da dove vi cacceranno con un solennissimo calcio, buffone che non siete altro!

Melampo                     - Ah! (un silenzio) Non mi offendo mica, sapete?

Paolo                           - ... Così come vi caccio io... (fa per avventarsi).

Melampo                     - (correttissimo) Prego... finché le minacce le fate a parole...

Serena                         - Paolo!

Melampo                     - ... vi debbo della gratitudine e non protesto nemmeno.

Paolo                           - Ho rispetto di questa creatura... per questo non vi torcerò un capello!

Melampo                     - Perché se credeste di tradurre in pratica la vostra promessa, correreste il ri­schio di sporcarvi pubblicamente le mani o i piedi - a vostro piacere - con una canaglia come me. E non vi conviene, vi assicuro...

Paolo                           - (fissandolo) Vi ripeto di uscire...

Melampo                     - Rinunzio allo scandalo. Ma non per voi. Ho abbastanza buon senso per dire a questa fanciulla: quando sarai vecchia e sarai ancora bella, capirai che cosa sia mi giorno passato senza amore!... Ed a voi: Fa­tela uscire di qui. E' una vagabonda, non la vostra prigioniera. Con che cosa credete di trattenerla ?

Paolo                           - E voi con che cosa credereste di strap­parmela?... Con la mia onestà?!

Melampo                     - Mah!... Voi non siete onesto. Ba­rate come me.

Paolo                           - Uscite, vi dico! (lo prende per le spalle e lo spinge fuori dalla porta).

Melampo                     - (di fuori) Serena, quando vorrai trovarmi, suo malgrado... ti aspetterò sempre...

Paolo                           - (chiude la porta con un colpo secco) Gaglioffo!

(Un silenzio imbarazzante. Paolo e Serena si guardano).

Paolo                           - Vuoi che partiamo, Serena? (un si­lenzio) Beh? Mi fissi stupita!...

Serena                         - Continua il sogno...

Paolo                           - Anch'io ho finito per subirlo!  Nei tuoi gestì, nelle tue parole, ora vedo me stesso. E ti ascolto con orecchie attonite, se mi con­vinco che la volontà e la forza non bastano, quando non c'è la persuasione del sentimento!

Serena                         - Avete maltrattato quel povero Me­lampo!? E non ho potuto impedirlo! Eppure nulla vi autorizzava. Non mi ha offerto che di sposarmi!

Paolo                           - (ride convulsamente).

Serena                         - Ridete?

Paolo                           - Sei arida. Si capisce che ti manca la vita. Quella che lega il sogno con la realtà, è una questione di pelle... un contatto... Ti ho tolto questo punto d'incontro...

Serena                         - ... Non sono più una donna. Mi ascolto vivere...

Paolo                           - E perché non ti guardi intorno? Perché non mi guardi?

Serena                         - Non vedo...

Paolo                           - Due anni di silenzio non ti rivelano niente? Ti ho chiuso tra la folla perché la pre­senza di tutti mi facesse morire in gola una preghiera d'amore... ,

Serena                         - (sorpresa) D'amore?

Paolo                           - (caldo, eloquente commosso) Mettevo tra noi una muraglia viva di gente estranea e curiosa, per non rimanere solo con te e non sentirmi impallidire di gelosia, se un altro uomo ti sfiorava la mano...

Serena                         - Paolo, è la prima volta...

Paolo                           - La prima volta, sì, che trovo il co­raggio d'inginocchiarmi davanti alla tua di­vinità insensibile, e di gridarti: Ti prendo! Ti do il soffio dello spirito nuovo! Ti depongo un'altra volta nella vita, purificata, come so­pra un altare. E' giunta l'ora in cui le resi­stenze fragili del sogno cadono ed i sensi si avventano!  Coloro che si muovono vicino a te, non valgono un solo batter di ciglia dell'ani­ma mia. Te li ho scatenati intorno, perché tu ne sapessi il desiderio goffo e la stupidità comune! Aspiravano l'aroma della tua gio­vinezza, con insaziabili narici per convincerti con uguale esperienza, della loro bramosia impura alcuni; della loro arroganza ricca, quegli altri. Chi avrebbe voluto rubarti! Chi coprirti d'oro rubato! E' vero? Ti spiavo in silenzio! Oggi che tutto è divenuto azzurro e immateriale per lei, - dicevo, - in fondo alla sua coscienza trema un'ingenuità infan­tile, acqua di ruscello che canta all'aurora! La vita la contamina, ed ella non ne sente il richiamo crudele. Gli uomini l'annebbiano di desideri, ed ella si vendica del passato. Li rovina col ragionamento. Li fa impazzire con un sorriso. Li getta da parte toccandoli ap­pena, con la punta del suo piccolo piede re­gale e ricostruisce!... Ricostruivi la fede, la poesia che la realtà ti aveva tolto!...

Serena                         - (quasi supplicandolo, smarrita) Per carità, non parlate più, Paolo, non parlate più...

Paolo                           - Ed io ti trascino nella vertigine che questa rinascita ha creato in me!

Serena                         - (smarrita sempre più) E' una verti­gine ingiusta...

Paolo                           - Che importa? E' la sola della mia vita.

Serena                         - (c. s.) Paolo!...

Paolo                           - Ti accarezzo! Mi sembra di avere ac­cumulato tanta felicità, distillandola per te, come un liquore prezioso che mi dia sete delle tue labbra!

Serena                         - (c. s.) Paolo!...

Paolo                           - Ti guardo come non ho fatto dal gior­no che ti conobbi. Discendo nelle tue pupille. La gola mi si schianta di tenerezza come se una sorgente viva esplodesse nelle parole di amore che tremano sulle mie labbra spauri­te... Lo sai, ora, come ti amo?

Serena                         - (quasi abbandonandosi) Sì, sì. Me lo dici, con la voce di tutti...

Paolo                           - E non ho osato ancora di chiuderti la bocca! (L’attira verso di se, lentamente) Così...

Fine del secondo tempo

ATTO TERZO

Un piccolo salotto intimo uh po' sossopra: un salotto d'albergo pieno di cose inutili, di fiori, di cuscini, di specchi. Due uscite. Un pia­noforte in un angolo, aperto, con molta musica abbandonata. A sinistra una finestra: dalla qua­le si domina il mare ed alla fine dell'atto entrano le prime luci dell'alba. A destra, si suppo­ne si trovi la camera da letto di Serena.

(In primo piano sono seduti Paolo, Romuldi, il Terzo, il Quarto, intorno a un tavolinetto da giuoco. Valdemaro è nel vano della fi­nestra).

Valdemaro                  - (guardando dalla finestra) Signor Paolo, fra poco è Falba.

                                    - E va bene. Che cosa vuoi farci? Abbiamo capovolto la vita. Co­me questa carta.

Il Quarto                     - Colonia di pazzi. Quando è giorno si va a dormire.

Romuldi                      - Al diavolo il vostro bluff, allora. Vado.

Paolo                           - (rovescia le carte) E' finita. Avete troppo fortuna. (si alza) Volete che vi offra un ultimo Cointrau? Qui, nel vano della finestra?  Tanto l'aria del mattino non vi disturba. E poi, una buona boccata di fumo concilia le idee e il sonno...

Il Terzo                       - Chissà se le signo­re si sono ritirate? (Si alzano tutti, intorno s Paolo che porge loro il li­quore).

Paolo                           - No. Dal momento che Serena non è ancora qui.

Il Quarto                     - Manderemo a chiamarle.

Paolo                           - (offrendo dei sigari) Fumate anche voi, Ro­muldi?

Il Terzo                       - Se il vostro segre­tario volesse intanto discendere ad avvertire che è l'ora di andarcene...

Romuldi                      - (accende un sigaro) Ce lo sdamo guadagnati l'onesto riposo- (ricapitolando) Tennis stamane. Bagno. Corsa in motoscafo sulla laguna. Acquisti a Venezia e corvée femminile confessabile.

Il Quarto                     - Tralasciamo la colazione e la dormita pomeridiana.

Romuldi                      - Saltiamo anche la siesta al lido e il pranzo. Caffè concerto in prima sera. Bal­lo. Arresto teatrale di Bardi. Un po' di rou­lette con relativa perdita. Molte sciocchezze. Moltissima maldicenza mondana. Poker fi­nale e...

Paolo                           - Aspettate ancora un momento, allo­ra... Purificatevi prima di andare a dormirei Guardiamo un po' in faccia la notte che agonizza. Sentita queste campanelle che sbuca­no dall'ombra?... (uno scampanio fioco lon­tano) Scendete, Valdemaro?

Valdemaro                  - (via).

Il Terzo                       - La sveglia degli uomini sani...

Paolo                           - In questo albergo, soltanto mia ma­dre si desterà con loro.

Il Quarto                     - A proposito, si tratterrà molto la vostra signora madre?

Paolo                           - Oh no! Non sapendo come salutare il figlio errante è giunta ieri a sorprenderlo, e ripartirà domani sera.

Il Terzo                       - (finisce di bere) Volete che scen­diamo anche noi?

Paolo                           - Quanta fretta, tutt'in una volta! Non vi lascerei più partire. Quasi la solitudine, mi pesa, stanotte. La temo. Mi immagino che troverete lo stesso il letto ben caldo, signor mio. Anche se indugiate altri cinque minuti.

Romuldi                      - Egli pensa che alle quattro del mattino, dopo una giornata così laboriosa, non sia eccessivamente igienico ascoltare le campane di Santo Stefano, o improvvisato patriarca dell'ottimismo...

Paolo                           - E questo profumo di gelsomini e di mare, dove lo lasciate? Vi consiglio una buo­na ginnastica dei polmoni. Vi assicuro che a Milano non vi capiterà di frequente...

Romuldi                      - (riconoscendo il suono lontano) Le campane di San Marco, Santo Stefano, San Nicoletto del lido...

Paolo                           - La laguna azzurra, il cielo ancora pieno di stelle!

Il Quarto                     - Allora andiamo a godercene un po' di contrabbando, con la testa sul cuscino. Buon giorno, amici miei...

Valdemaro                  - (rientra).

Paolo                           - Veniamo, veniamo... Che diavolo! Gli onori di casa...

Valdemaro                  - Le signore sono pronte, (a bas­sa voce) Con la scopa gli onori di casa! E dico poco! Puah!

(Tutti escono, facendo i consueti convenevo­li.. Ed ecco Serena, comparire subito dopo, dalla sua camera, ancora vestita come al se­condo atto, ma stanca, turbata, malinconica. La segue una cameriera).

La cameriera               - La signorina desidera che la aiuti a spogliarsi?

Serena                         - Grazie, Maddalena. Farò da me. Vai pure a letto. Hai diritto di riposarti, tu che larari.

La cameriera               - Come la signorina desidera. Di là tutto è pronto. Anche il bagno.

 

Serena                         - Vai pure.

La cameriera               - Le chiudo la finestra, (esegui­sce) Mi comanda?

Serena                         - Grazie, ti ho detto.

La cameriera               - Buon riposo, signorina.

Serena                         - (si guarda in uno specchio e subito si ritrae: come se la sua immagine le desse noia).

Paolo                           - (rientrando) Sei già salita? Ti cer­cavo.

Serena                         - Infatti... sono qui... a togliermi la maschera.

Paolo                           - (affettuoso) Da capo? Tanto rancore hai con me?

Serena                         - Debbo ripetertelo ancora? Si, si, sì.

Paolo                           - Passerà...

Serena                         - Questa volta la vostra sicurezza vi tradisce.

Paolo                           - Macché sicurezza! Discuteremo dopo.

Serena                         - Inutile. Non ho nulla da dirvi. Nem­meno addio.

Paolo                           - Ah, ci siamo!? Te ne vai!

Serena                         - Stamane.

Paolo                           - Benissimo!

Serena                         - Siamo perfettamente d'accordo, al­lora. Non immaginavo che lo saremmo stati con tanta facilità.

Paolo                           - (incominciando ad alterarsi, nervoso) Ma se non c'è nulla di serio in quello che dici!'   

Serena                         - Lo pensate voi.

Paolo                           - (violento) E' cosi.

Serena                         - E sia, poiché lo affermate con tanta certezza.

Paolo                           - (rimane un poco a guardarla, poi esplo­de) Sa il diavolo solo che cosa succede qui! Ti dico che non c'è nulla di serio, ne può esservi!...

Serena                         - (dissimula a stento una lacrima grossa che le riga il voltò).

Paolo                           - Che?... Piangi... Finiscila, Serena.

Serena                         - Sì, bisogna finirla una buona volta. E per sempre, (fa per andarsene).

Paolo                           - E perché piangi, in nome di Dio? Ti rincresce tanto, allora?

Serena                         - Di disperazione.

Paolo                           - (cercando di placarla) Ma vieni qui... vieni qui...

Serena                         - (lo guarda con indifferenza tranquilla) Non avete ancora capito? Ho rappresentata la commedia davanti al pubblico. Mi è ri­masto una specie di pudore... Ma non per questo ho rinunziato a esprimervi tutto quello che penso...

Paolo                           - (cercando di dominarsi) Ma 6Ì! Ma sì! Un momento fa, ritenevi inutile perfino di aiutarmi. Ora, devi a esprimermi tutto quel­lo che pensi »... Ne faccio a meno volentieri dei tuoi apprezzamenti... Va a riposarti, va... è tardi.

Serena                         - (tace immobile, appoggiata alla spal­liera d'una poltrona).

Paolo                           - Non fare la sciocchina, via. Dammi ascolto. Vuoi ammalarti?

Serena                         - (con voce sorda) Voglio andarmene.

Paolo                           - Ma non in questo modo. Ne discute­remo dopo, eh? !

Serena                         - Preferisco tagliare il male, subito.

Paolo                           - Ebbene? Che cosa ti manca?

Serena                         - Nulla. Annego nell'abbondanza. La abbondanza mi soffoca.

Paolo                           - Ti ho lanciato fuori dalla vita. Nel sogno!...

Serena                         - Non profanate questa parola. Ho aperto gli occhi disperatamente, ora.

Paolo                           - ... e ti ho circondata di tenerezza, di tanta tenerezza...

Serena                         - Errore interessato!

Paolo                           - A una donna piace essere adorata, soltanto. Poi si concede a chi la disprezza.

Serena                         - (con ira) Per questo mi avete preso a forza? Per questo?... La vostra ricchezza, la detesto! Posso farne a meno!...

Paolo                           - Ma l'amore? Non ti sei ribellata...

Serena                         - Uno smarrimento dei sensi! Uno smarrimento d'anima! Mi avete sorpresa in­difesa, debole, passiva! Non vi amo! Non vi amo! Non vi amo! Non vi amerò mai!

Paolo                           - Questo solo sai dirmi? Ora, menti­sci come le tue lacrime...

Serena                         - No. Ascoltate la tranquillità del mio pianto. Sono lacrime che non struggono. Sono quelle di una bambina... E' come se mi ave­ste violata... E vi assicuro... Non tutti gli uomini che ho conosciuti avevano i vostri occhi !...

Paolo                           - (implorando) Serena! Ti ho composto la vita in un quadro di dolcezza. Ho cercato la tua gioia. Non altro. Ho messo tanta pas­sione nell'opera mia! Tutto quanto era di male, si è trasformato come per un miracolo dell'intelligenza e della volontà... Ho dovuto riedificare tutto: il dolore e l'amore, la ric­chezza e l'avventura! Se qualche cosa ti man­ca, non è dipeso da me, dunque!

Serena                         - Mi avete tolto tutto ad un tratto!

Paolo                           - E che cosa? Ti ho preso nuda come una colomba. Senza casa, senza pace, senza pietà di te 6tessa: coi piedi nella polvere della strada...

Serena                         - Che grande parola - vero? La strada!  Quando avete detto questo, voi, ben pensanti borghesi dell'imbecillità, credete  aver detto tutto? Ma è quanto di meglio e.^B pulito possiate pronunciare: la strada! Non per nulla è anche la via maestra. Perché vi  s'incontrano, in libertà, gli uomini come voi,^ quelli migliori di voi! E non domanda nulla.  Ha visto passare, e moltiplicare, e mori^M tutte le generazioni: piedi nella polvere» nel fango.. Come mi avete visto! Ha sentito gemiti d'abbandono e d'odio. Anche d'odio. Amare e generare, voleva dire odiarsi fino a morire. E correva fino all'infinito! Al limite della città e della campagna, bardata dalle siepi pazienti, che la vostra paura le aveva posto sui fianchi, pronti a straripare! E  c'eravamo tutte, noi, creature senza amore senza casa! E ci conoscevamo tutte!...

Paolo                           - (cercando di calmarla) Ma non dire 1 cosi! Sei ammalata, stanotte. Hai abusato delle tue forze. Non ti reggi più... vedi?... Non volevo mica offenderti col mio bene! Ho 1 creduto di averti foggiata secondo il mio cuore...

Serena                         - Ridicolo Pigmalione!

Paolo                           - Non avevo armato la mano di Galatea, perché mi ferisse! Mi sono innamorato del mio capolavoro, quando t'ho veduto sbocciare dalle mie mani, perdere la tua traccia \ terrena, illuminarti della mia luce! Per questo sei divenuta l'ossessione viva dello spirito e della carne...

Serena                         - Già. Della vostra carne, quando mi 1 avete vista contesa.

Paolo                           - Ho avuto paura che ti portassero via..,!

Serena                         - (ironica) La donna è più interessante  quando vive in un'atmosfera d'amore!...

Paolo                           - Ma se l'ho creata io in te la donna! Era nel mio diritto umano sfasciare la sta­tua che avevo creata!

Serena                         - ... Se no, diventa un'ochetta piccola e grassa...

Paolo                           - E di che ti lamenti, allora, se non  lo sei?

Serena                         - Di nulla. Valeva la pena che mi aveste fabbricato intorno questo ridicolo ba­luardo?

Paolo                           - Ho cercato di isolarti come una cosa fragile e preziosa...

Serena                         - Mi avete protetto, in nome della morale, per Fora squisita della vostra stanchezza.

Paolo                           - E sia pure!

Serena                         - Ma la vostra morale tendeva soltanto a strapparmi dalle braccia di un altro! A strapparmi dal suo letto, per adornare le vostre notti più raffinate...

Paolo                           - Non distruggere un'opera di santità...

Serena                         - La conosco! Non dubitate!... E non guardatemi così, tanto non ho più paura dei vostri occhi di mago. Mi domando solo – e vedete che ragiono senza odio - se, per giungere a questo, avevate proprio bisogno di percorrere tanto cammino! Di circondarmi di tante ipocrisie! Ma avreste fatto più pre­sto ad aspettarmi, allora, all'angolo di una via! Ed io vi avrei seguito, senza discu­tere né l'ora, ne il compenso, come tutti! Oggi no! Oggi no!... Voglio scegliere il capriccio e l'amore che mi piace di più...

Paolo                           - E questo te l'ho insegnato io!? E questo te l'ho ispirato io!?

Serena                         - Ah sì!

Paolo                           - In te non c'era che vuoto, che nebbia, che nulla!

Serena                         - Brancolavo sull'istinto, come un cie­co che non riuscisse a vedere, e non riuscisse a sentire se non a traverso una legge brutale dell'esistenza!

Paolo                           - Ho dovuto dirti: apri le povere pupil­le turchine! La vita non è nel disordine dei giorni irregolari! E' unità, è ritmo, è musica, come la fabbrichiamo noi: che siamo i poeti dell'utopia! Siamo giunti alla definizione che è un immenso amore - e non odio inestin­guibile! perché l'abbiamo triturato con le mani gonfie di febbre, e ci accadde, talora, di rimirarne i frantumi e non poterle più dare un'anima che piangesse!...

Serena                         - Parole! Parole! Siete un cuoco trop­po abile! Prima di cucinare certi escargots, si tengono in purga nell'aceto! Dopo, costi­tuiscono un cibo da ghiottoni! A la mode de Bourgogne! Ed io ti piaccio, ora! Ti piaccio troppo...

Paolo                           - Ti ho dato un'immagine sociale, una struttura umana! Tutto avrebbe potuto sgre­tolarsi, solo che avessi voluto. Il sentimento, la ricchezza, la riconoscenza! Ieri sarei stato ancora in tempo! La mia morale non ti aveva guarita. Il vizio ti avrebbe ripreso. Ora più... Credi di poter fare a meno di me...

Serena                         - E chi non può strapparmi dalla sua carne, sei tu! Ed incominci forse ad amarmi davvero da questo momento! Perché prima d'ora...

Paolo                           - Ero fulminato dall'esperienza. Mi hai rivelato a me stesso, per quel tanto di poesia che ho saputo tirar fuori dal tuo letargo! Ma se tu ti ribelli, e consumi questo parri­cidio sentimentale, perché ti ripeterò fino alla disperazione che non voglio che te... che non amo che te?!... (fa per afferrarla ed ella si ritrae sgomenta).

Serena                         - Non mi toccare! Mi fai ribrezzo!...

Paolo                           - Serena, sono io la tua vittima! Come farò?

Serena                         - Non si può plasmare un idolo per trattarlo alla stregua degli uomini.

Paolo                           - 0 è Dio o non lo è.

Serena                         - E se non lo è, e non lo è stato mai, di che ti lamenti?... E se debbo mettermi in una luce d'uguaglianza morale con te, che cosa debbo dirti? A forza di costringermi a guar­dare la vita, mi hai dato lo spavento e il disgusto di tutto. Posso anche valutare quali in­teressi composti hai domandato al suo sacri­ficio... E come ti sei rimborsato di prepoten­za. Eh, no amico mio! Non hai agito da com­merciante leale!...

Paolo                           - (con un grido) Ma che anima t'ho fatto, dunque?

Serena                         - Un'anima di donna...

Paolo                           - Non ti ho pensato così!

Serena                         -  ... ubriaca d'infelicità...

Paolo                           - La mia vita è tua, la tua vita è mia!

Serena                         - La vita non mi appartiene più. Ed ho più voglia di riposo che non il cielo di stelle. Ma fuori di qui...

Paolo                           - (implorando) Serena!

Serena                         - Non mi toccare, ti ho detto.

Paolo                           - (c. s.) Come farò senza di te? La tua bocca...

Serena                         - (calma) Pensare che l'hai baciata!

Paolo                           - Sono pazzo di te!

Serena                         - (ha un gesto di ripugnanza).

Paolo                           - Ti amo!

Serena                         - (c. s.).

Paolo                           - (crescendo) Ti amo.

Serena                         - (c. s.).

Paolo                           - (crescendo) Ti amo.

Seréna                         - E non sarò più tua!

Paolo                           - Lo sarai! Lo sarai!

Serena                         - Di tutti. Non tua.

Paolo                           - Non abusare della tua fragilità! Ti spezzo !

Serena                         - Tua no! Tua no!

Paolo                           - Dio! Proteggimi!

Serena                         - (ha un riso convulso, nervoso).

Paolo                           - (prendendola per le braccia) Ti spez­zo! Ti spezzo!

Serena                         - Che importa?

Paolo                           - Ti strangolo!

Serena                         - (si avvicina, si strappa l'abito e denuda tutto il collo magnifico) Guarda che paura! Non ha ricevuto che carezze!... Carezze! Mil­le... Mille carezze che mi facevano tanto piacere!...

Paolo                           - Serena!

Serena                         - Strangolami, se ne hai il coraggio!

Paolo                           - Chiudo per sempre questa bocca cat­tiva! (la riprende, la stringe al collo, poi si strugge in un gorgoglio di carezze, di baci, di lacrime) Serena!... Serena mia!... Serena mia... mia... mia!...

Serena                         - (si scioglie, indietreggia fino al piano­forte su cui appoggia le mani. La tastiera manda un suono cupo e discorde. A fior di labbra) Vigliacco!

(Rimangono per un attimo in silenzio, gua­tandosi come belve).

Paolo                           - (con un'infinita desolazione) Che tri­stezza! Non bisognava far violenza al desti­no... (come ripetendo a se stesso) Ma non è possibile!... Non è possibile!...

Serena                         - (si ravvia i cappelli) Ora, non abbia­mo più nulla da dirci...

Paolo                           - (sordamente) Più...

Serena                         - E' giusto che me ne vada.

Paolo                           - Dove?

Serena                         - (fa un gesto evasivo: lontano).

Paolo                           - (crescendo) Dove? Dove? Da Melampo? Ti abbacina ancora. Ti ha risaldato alla sua catena? E' ricco e brutale! E invece di prenderti, ti ruba!

Serena                         - O lui o un altro !

Paolo                           - E' lo stesso?

Serena                         - Ormai non esito più. Potrò ridarmi a tutti. Non ho più vergogna.

Paolo                           - Che precipizio! Ti ho aperto, un giorno, la porta della mia casa perché un rifugio tiepido ti accogliesse.

Serena                         - Già, Qui, ci si addormenta sulla sof­ferenza. Si abbassano le ciglia, ed è come se calasse un velo sul mondo.

Paolo                           - Sentirai ancora cigolare i cardini ozio­si della prigione... Riavrai la tua libertà!...

Serena                         - Non avevo che quella...

Paolo                           - La tua miseria...

Serena                         - La mia divina ricchezza...

Paolo                           - Ma prima...

 

Serena                         - Qualunque cosa ora tu possa aggiungere, mi troverà sorda...

Paolo                           - Non insensibile, però!

Serena                         - Abbiamo sprecato tante parole inutili!

Paolo                           - Ne aggiungerò poche ancora... (tristissimo) Di'? Ma che cosa ci mancava essere tristemente felici.

Serena                         - La verità.

Paolo                           - Che assurdo!

Serena                         - Tutto!

Paolo                           - Un giuoco, piccina. Un calcolo di probabilità mentali...

Sekena                        - Che hai sbagliato...

Paolo                           - (lento, profondo, persuasivo) Se mi contraddici ancora, non saprò più come parlarti. Ti considererò irrimediabilmente nemica... Se non senti come mi trema la voce, non saprò più dirti questo smarrimento che mi fa timido. Ricordati di un'ora lontana. E' stato come se prendessi sulle ginocchia l'anima tua e la cullassi con una maternità d'amore. Tu mi hai risposto!

Serena                         - (rievocando) Lo so che un gioì verrai a me senza parole e mi condurrai. Sarò buona, allora. Sarò dolce. Non indagherò se le lacrime che mi saliranno agli occhi, saranno di spasimo o di gioia. Sarò con te. Non avrò sgomento. La nostra vita è così povera  cosa che, quando può aggrapparsi anche ad una sola apparenza di poesia, deve alzar gli occhi fino a Dio per ringraziarlo.

Paolo                           - Ricordi?

Serena                         - (a fior di labbro) Sì.

Paolo                           - Non riesco a capire che cosa sia passato, poi, nella nostra esistenza. Mi sembravi contenta...

Serena                         -  Ingannavo me stessa...

Paolo                           - Ma quando sarà uscita dal cerchio delle mie braccia, avrai forse ucciso il disgusto che ti fa fuggire da me? Troverai gli uomini migliori o diversi?

Serena                         - No...

Paolo                           - La vita più facile?

Serena                         - No.

Paolo                           - L'insidia più rosea?

Serena                         - No.

Paolo                           - Non vaneggiare, dunque, inutilmente. Perché se chiudi gli occhi per non vedere, cieca due volte. Ed io non posso seguirti nel­la tua stoltezza ed abbandonarti alla tua ce­cità.,.

Serena                         - Io non ti chiedo più nulla...

 

Paolo                           - Sei proprio una bambina sciocca! (persuasivo, insinuante, convincente, musica­le) Bisogna trattarti come una bambina irragionevole, (pausa) Ma rispondimi bene. Co­me risponderesti a tuo padre se l'avessi. Hai pensato a tutto? Hai vagliato tutto? Non ti fa paura più nulla? Non ti sgomenta più nessuna solitudine?

Serena                         - Nessuna.

Paolo                           - E sei sicura di poter camminare da te? Di poter riprendere la grande strada, in cui tutti ti urtavano?

Serena                         - (tristemente) Sono una bambina grande, ormai...

Paolo                           - Siediti... Va' là... E se puoi avere per me ancora un momento di attenzione ascol­tami un po'. Dopo non ti chiederò altro. (pausa) Come vedi la tua vita? Esaminia­mola insieme. Come se non ti appartenesse...

Serena                         - (c. s.) E' quella di sempre.

Paolo                           - E a distanza di due anni, con un'espe­rienza maggiore, con una sofferenza maggio­re, dopo essere passata attraverso le grada­zioni discrete del riposo, della tranquillità e della soluzione del problema difficile dell'in­domani, non bai saputo trovarvi altro che il basso istinto di prima. Ma allora dovresti sentirne la stessa nausea di quando gridavi contro la morale che ti soffocava!

Serena                         - (sordamente) Mi soffoca ancora...

Paolo                           - (veemente) Di più. La morale è una pastoia incomoda per i cavalli di razza... Di più! Ti ha disilluso un'altra volta; mostran­doti che non c'è salvezza! Perché nella schia­vitù non hai veduto nessuna liberazione e sei pur persuasa che nella libertà di domani troverai la schiavitù di oggi!...

Serena                         - E se così fosse?

Paolo                           - Che cosa puoi sperare dal tuo gesto, nato dalla mia letteratura? Allora,, non si lotta più. Non si fugge più. Non ci si rasse­gna nemmeno. Quando uno è sazio di oggi dispera del domani, e sai che cosa fa?

Serena                         - Si abbandona all'ignoto!...

Paolo                           - (scattando in piedi) Oh, questo è un fatalismo da appendice che io non ti ho in­segnato!

Serena                         - ... ed aspetta... Paolo           - (con un grido) Si uccide, mia cara!

Serena                         - (sorpresa, sgomenta) Si uccide?

Paolo                           - Fa né più né meno di quello che farò io, appena avrai varcata quella porta, e mi avrai persuaso che l'ultima tenerezza di cui ti credevo capace, non era che un atto di crudeltà!

Serena                         - (atterrita) Tu farai questo? Tu?

Paolo                           - (rassegnato, ma tranquillo e deciso, stt labando lentamente ed a bassa voce) In­sieme a te, piccina mia. Insieme a te!

Serena                         - (turbata) Vuoi affascinarmi? Ten­tare di riprendermi, così?

Paolo                           - Come vuoi che ti riprenda più!?

Serena                         - D tuo veleno vuole stordirmi un'al­tra volta...

Paolo                           - (dolcissimamente) Quando uno ha assaporato tutto, nella vita, e si accorge che non c'è più scampo alla sua ebrietà, alla sua pazzia, che cosa c'è di più bello della morte ?

Serena                         - Ne parli come di una cosa reale...

Paolo                           - Perché è qui, fra noi che si aggira.

Serena                         - (senza resistenza) Commedia!

Paolo                           - E' qui, è qui! L'abbiamo nel cuore! Nel martellare delle tempie! E' uno spasimo affilato. Un battito di ciglia! Una nota che rimane sospesa nell'infinito... Se tu ti ad­dormentassi, il trapasso sarebbe così dolce, come verso un sogno che sfociasse nel gran mare dell'eternità, (pausa) E, credimi! Non ci rimane nulla di meglio, Serena. Abbiamo saccheggiato troppo resistenza. Ora, dobbia­mo assaporare anche questa dolcissima ro­vina...

Serena                         - (un po' vaneggiante) E vuoi perderti per me? Che cosa straziante è la tragedia di un uomo sommerso!

Paolo                           - (dolcissimo) Serenetta...

Serena                         - Mi ha invaso un curioso torpore... I miei sensi si addormentano ancora... Non ho più sangue che batte... Senti?

Paolo                           - (le afferra la mano).

Serena                         - Credo che, dentro questa rete sottile di vene, corra un liquido sconosciuto. Non ho più inquietudini.

Paolo                           - E non ne avremo per sempre.

Serena                         - Che parola!

Paolo                           - Una muraglia che sbarra l'infinito.

Serena                         - Non si può passare di là!?

Paolo                           - Ci troveranno avviticchiati... come un groviglio di serpi in una fine dolce, storditi...

Serena                         - Chi ci troverà?

Paolo                           - I miei nervi, domani...

Serena                         - Ah!...

Paolo                           - Ti sarò vicino... più vicino di sempre;... Qui... Prima ebbro... Poi... (toglie da un mobile una tabacchiera d'oro e gliela de­pone nelle mani).

Serena                         - (impaurita) Che cosa vuoi fare di questo veleno? (si alza di scatto e lascia ca­dere la tabacchiera).

Paolo                           - (dà un giro di chiave alla porta) Ve­drai...

Serena                         - (smarrita) Che bisogno c'è di chiu­dere la porta?

Paolo                           - Nessuno deve disturbarci.

Serena                         - E' vero!...

Paolo                           - (supplicante, come se le chiedesse per­dono) Serena, sei l'unica donna che io abbia amato... dopo mia madre...

Serena                         - Siiiii?

Paolo                           - L'unica illusione nella quale abbia creduto...

Serena                         - Siiiii?

Paolo                           - Muoio di te!...

Serena                         - (come ritornando in se) No... Che cattivo sogno è questo?

Paolo                           - L'ultimo...

Serena                         - (con la voce che le muore in gola, at­territa) Che intendi fare? Aiuto!...

Paolo                           - Taci!

Serena                         - (più forte) Aiuto!

Paolo                           - Taci!

Serena                         - Assassino !...

Paolo                           - (fa per chiuderle la, bocca).

Serena                         - (gli sfugge).

Paolo                           - (le balza dietro, cercando di ghermirla, in una corsa febbrile, fra i mobili, come una belva).

Serena                         - Né viva né morta mi avrai!

(Nello sfuggirgli, ecco, la lampada a stelo, urtata violentemente, si frange per terra. E si fa buio. Dalla finestra spalancata entra sol­tanto il primissimo biancore dell'alba).

Luisa                           - (è entrata dall'altra porta in silenzio).

Paolo                           - (improvvisamente crede di averla rag­giunta) Non mi sfuggi più! T'ho presa! (ha ghermito Luisa nella sua stretta).

Luisa                           - (afferrandolo per i polsi. Con un grido di orrore) Paolo! Paolo!

Serena                         - (in un angolo, come se battesse i denti per la febbre) Ho paura! Ha paura!...

Paolo                           - (rispondendo al grido della madre) Mamma! (la lascia subito. Un silenzio).

 Serena                        - (si sente il lamento di lei, lugubre come quello di un fanciullo).

Luisa                           - (immobile, statuaria).

Paolo                           - (con un grido crescente, di distrazione)- Mamma! (la cerca a tastoni).

Serena                         - (ha uno scatto. Corre a rifugiarsi tra le braccia di Luisa) Salvami! Salvami!.,

Luisa                           - (l'accoglie teneramente. Poi, come implorando, rivolta al figlio) Paolo!

Paolo                           - (disperato) Che t'ho fatto?

Serena                         - (convulsamente) Salvami, salvami!...

Luisa                           - Sono qui io, cara. Sono qui. Non temere. Non ti farà male. Vedi?... E' tran­quillo... Piange...

Paolo                           - (è caduto in ginocchio dinanzi a sua madre, ancora immobile, come una statua del dolore).

Luisa                           - (ha appoggiato una mano sul capo di lui, che nasconde il volto fra le palme. Un silenzio lungo).

Serena                         - (come se parlasse a se stessa) Che sarà di me?...

Luisa                           - (soave) Quello che vorrai, purché tu sii calma...

Serena                         - (quasi con forza) Voglio andarme­ne... Voglio i miei stracci...

Luisa                           - (c. s.) Quello che vorrai... Quando vorrai...

Serena                         - Tornare alla mia strada...

Luisa                           - Sei libera... Puoi partire anche subito... Nessuno ti trattiene più...

Serena                         - (si scioglie. Ha come una ripresa di impazienza fanciullesca) Subito, allora!.Subito!... Qui tutto m'intimorisce!...

Luisa                           - (ora è lei supplichevole, amorosa, implorante) Almeno, non odiarlo... (le tende la mano) Ti ha amato fino alla morte... Serena          - (esitante, le bacia la mano) Addio, mamma. (Si sofferma sulla soglia, la saluta ancora, scompare).

Luisa                           - (a Paolo che scoppia in un singhiozzo) Piangi senza vergogna. La vita è più forte di noi. Piangi, caro. Piangi. (Rimangono avvolti nella luce indefinita dell'alba. Giunge più chiaro e lontano il suono delle campane mattutine).

Valdemaro                  - (di fianco alla quinta, indicando il gruppo commosso) La farsa degli spettri, alla Corte dei Miracoli, è finita.

 

FINE