Cosa farete a novembre?

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COSA FARETE A NOVEMBRE?

Commedia in quattro atti

Di René Ehni

Traduzione di Ornella Volta

PERSONAGGI

Edoardo I

Quarant’anni.

Ha "fatto" la Resistenza.

Magro, romantico, alsaziano.

Generosa

Quarant’anni. Professoressa.

Moglie di Edoardo I Non alsaziana.

Edoardo II

Trentatre anni. Grassissimo, ma - se possibile - bello.

 Ha "fatto" l'Algeria. Alsaziano.

Orso, il pittore

Vent'anni. Ex-operaio.

Non ha ancora "fatto" niente.

Alsaziano.

Isabella

Moglie di un umanista

che viaggia molto. Non alsaziana.

Franzi

Un amico di Orso. Alsaziano.

Edoardo I, Edoardo II, Generosa ed Orso abitano a Parigi nello stesso appartamento. Passano anche le vacanze insieme.

 

Commedia formattata da

L'ambiente

La veranda di una villa principio di secolo in Normandia: dà su un bellissimo parco. Un po' più in là, il mare. Un pittore sta dipingendo nella veranda: il suo cavalletto. Due cose bellissime: un tavolo antico, autentico, che prende un gran posto e un vaso cinese, enorme. Per il resto sgabellacci ordinari e sdraio. Per terra giornali riviste libri radio gira­dischi. Sul soffitto una sola, vistosa, trave apparente. Ai muri posters.

L'epoca Estate 1967

ATTO PRIMO

Scena prima

Il mattino. Il silenzio. Orso prepara i colori. È ben sveglio: fuma. Edoardo I cerca invece di conservarsi ancora per un po' la pace del sonno: pare un sonnambulo.

Edoardo I                     - Buongiorno, Orsino bello.

Orso                              - Salve!

Edoardo I                     - Ma come fai a fumare prima del caffé, io mica potrei, non mi va nemmeno di sentire la radio prima di aver preso qualcosa. Son fatto cosi. Ho le mie abitudini, io. Cielo, ho già delle abitudini. Che ci vuoi fare. (Prende una sdraio, l'apre, vi si lascia cadere dentro di peso) Sono vecchio. (Si alza di nuovo. Va a guardare il quadro di Orso. Rimane so­prappensiero) Per forza! (Si scuote) Che cattivo gusto.

Orso                              - Ah, se c'è qualcosa di cui proprio non mi importa niente... Buon gusto, cattivo gusto, non so che cosa voglia dire.

Edoardo I                     - (ritorna alla sua sdraio) Non parlavo del tuo quadro, Orsino caro, il tuo quadro va benissimo, mi pare an­zi che tu faccia progressi ogni giorno; stavo dicendo, ma che cosa stavo dicendo?

Orso                              - "Che cattivo gusto".

Edoardo I                     - Ah, mio Dio, si. Che cattivo gusto. Come mi sento stanco. E siamo appena al mattino. No, pensavo a tutt'altra cosa, a qualcosa che se non scoppio è un miracolo, è. Che cattivo gusto, ma che pessimo gusto. Ahi ahi comincia male la giornata, vorrei che fosse già sera, un buon bicchiere, il mio bel lettone e dormire... È capacissima di dimenticarsi anche oggi del Monde. (Silenzio. Orso contempla il suo qua­dro, qualcosa d'un tratto non funziona. Orso tira le tende. Adesso la stanza è in ombra)

Orso                              - I merdosi che di scarpe ne vorranno due paia ci saranno sempre però.

Edoardo I                     - (si rizza sulla sdraio, si sforza di capire, capisce, si ributta giù) Li piglieranno per matti. Li metteranno dentro.

Orso                              - E magari anche no.

Edoardo I                     - Certo che no. Metter dentro è ancora una reazione della vecchia società. Li guarderanno con commi­serazione. La loro paura di restare indietro tutt’al più farà ri­dere. Che corrano, se han voglia di correre, si sfianchino, ce la mettano tutta...

Orso                              - Speriamo comunque che di corridori non ne resti­no molti.

Edoardo I                     - Ah, si capisce. Altrimenti andrebbe tutto a farsi fottere. Ma stiamo a dire delle fesserie. L'uomo nuovo non è un singolo tipo perbene, non è un isolato, che ti credi,, non è mica uno che nasce per caso e controcorrente... di cosi ce n'è già stati: Cristo, Rimbaud, Karl...

Orso                              - ...Marx.

Edoardo I                     - L'uomo nuovo è un fenomeno naturale, non sa neanche di esserlo, lui, un uomo nuovo. Per forza, vive in mezzo a una folla di uomini nuovi e per lui un farabutto è come una mosca bianca. Oggi le mosche bianche invece sono i tipi decenti. Ma di' un po', hai mai conosciuto, tu, un tipo decente?

Orso                              - (riflette, poi ride di traverso) Generosa.

Edoardo I                     - (sorridendo) Si, lei non è male. Davvero non so come faccia a sopportarmi. Comunque, una scarpa che è una scarpa, nemmeno lei è riuscita a tirarla fuori.

Orso                              - Credi che sarà inglese? La scarpa eterna a suola tripla dì Church?

Edoardo I                     - Si si, inglese senz'altro. L'uomo nuovo porterà scarpe inglesi a suola tripla. E di Church. (Una pausa) Anche questa storiella dell'uomo nuovo però. (Chiude gli occhi)

Orso                              - Non prendete mai niente sul serio voialtri. A me questa per esempio è una cosa che mi sta sulle scatole. Era meglio se me ne restavo in fabbrica, era meglio. Siete cosi poco serii. La prima volta che Edoardo porta qui una di quel­le bande di stronzi a divertirsi a mie spese, gli spacco la faccia. A lui e agli stronzi.

Edoardo I                     - E bravo il mio Orsino. (Lo osserva) Sai che ti sono affezionato sul serio. Sono convinto che sei capacissimo di dare una lezione come si deve a Edoardo e a qualunque co­glione che venga a bersi qui il nostro whisky. Io questo co­raggio non l'ho più e, per dire le cose come sono, neanche la voglia, sono vecchio vecchio, ne ho viste troppe ormai, hai capito? Troppe per la mia breve vita. Ho quarant’anni e già sono finito. Tu invece no, potresti essere mio figlio. Vo­glio dire che ti sono affezionato come a un figlio cioè ti sono affezionato e basta. Ma quel che voglio dire soprattutto è che non passerà molto tempo e la voglia di distribuire sberle a destra e a sinistra sarà andata via anche a te. Sarai stato integrato, recuperato anche tu. (Orso ride) Oh mio Dio, ma che cosa sto dicendo. E la mattina presto, poi. Ancora prima del caffè. Magari sto continuando ancora il discorso di ieri sera. Ieri sera dovevo essere sbronzo. Che giornata schifosa, Orso, oggi è una giornata schifosa, non faccio che rimasticare le sciocchezze che ho detto ieri sera e non mi riesce di fermarmi più. Mica sono sveglio ancora, sai. (Apre le tende) Che  bel tempo. Grazie Signore per questa natura cosi bella - che sempre si rinnovella! Ma che bel tempo davvero. Se fa­cessi due passi. No, no, mai prima del caffè. (Raccoglie un giornale per terra, lo ributta subito via disgustato. Affonda nella sdraio) Sai Orsino... l'uomo nuovo... non avrà scarpe, né inglesi né altre: andrà a piedi nudi.

Orso                              - (avvicinandosi alla porta-finestra) Arrivano.

Edoardo I                     - (si alza, guarda fuori, la luce lo abbaglia un mo­mento) Orso, ti prego, dimentica le fesserie che ti ho detto. Dormivo. Ma tu non dimentichi niente, carogna. Non ti dimentichi niente prima di tutto perché sei sveglio e poi perché sei un coglione. (Si ributta sulla sdraio, sfinito) Ma che cos'ho stamattina?

Scena seconda

Ingresso trionfale di Generosa e di Edoardo II, carichi di pac­chi, pacchetti, cestini. L'apparizione di Generosa è stata cu­rata personalmente da Edoardo lì: Generosa è una Cerere con ciliegie pendenti dalle orecchie e papaveri e spighe di gra­no nei capelli. In braccio ha forme di pane di tutte le specie e un gran mazzo di fiori. È evidente che hanno fatto una lunga camminata. Sono ancora tutti eccitati.

Generosa                       - Buongiorno amore.

Edoardo II                    - Buongiorno Orsino.

Generosa                       - Buongiorno Orsino.

Edoardo I                     - Il Monde,

Generosa                       - Accidenti.

Edoardo II                    - Ahi ahi ahi.

Edoardo I                     - Vi siete dimenticati del Monde?

Generosa                       - Completamente dimenticati.

Edoardo I                     - Ma il pancino, eh, quello non ve lo siete dimen­ticato, vero? Le ovine di giornata, i biscottini, i formaggini, quelli no!

Edoardo II                    - Le ovine fresche non le abbiamo dimentica­te, no. Non abbiamo dimenticato nemmeno il burrino fresco, lamentati se ne hai il coraggio, e non abbiamo dimenticato neanche il pollastrello. Stasera avrai il tuo bel pollastrello, ma di quelli veri, con le ossicine che scricchiolano crac crac, nu­trito col grano cresciuto nel campo vicino all'aia, il grano che è venuto su insieme alle bambine della contadina. Un bel pollastrello che ha raspato nel letame, in un bel letame fu­mante davanti alla fattoria. Una vecchia fattoria col suo bra­vo contadino seduto davanti, ah come amo come amo la campagna francese.

Edoardo I                     - (a Generosa) Le chiavi della macchina.

Edoardo II                    - Ma mica vorrai suicidarti perché noi ci siamo dimenticati di comprare il Monde? Suvvia Edoardo abbiamo appena assistito a due incidenti - mortali naturalmente - donne e bambini decapitati, e sai perché? Perché gli era saltato in mente di andare a comprare il Mondeì

Generosa                       - (fruga nel suo mazzo di fiori, tira fuori l'Humanité) Leggi YHumanité, tesoro, ti farà molto meglio di tutti quei tuoi giornalacci borghesi marci.

Orso                              - Basta che tu dica "borghesi". Evitiamo i pleona­smi.

Edoardo I                     - Le chiavi della macchina.

Orso                              - Ma è proprio suonato tuo marito. Dagli il suo Monde sennò sarà costretto a fingere di prendere la macchina e poi va a finire che si arrabbia sul serio.

Edoardo II                    - E ci rovina la colazione.

Generosa                       - (tira fuori il Monde dal mazzo di fiori) Ecco il giornale obiettivo, ecco il Mondeì

Edoardo I                     - (glielo strappa di mano) Grazie mille. (Si ri­sistema nella sdraio e legge. Gli altri tre lo guardano con te­nerezza)

Edoardo II                    - (l’aria ispirata) È proprio un bell'uomo Edoar­do I. Il bel quarantenne nel vero senso della parola. Fossi donna, fossi Generosa mi farei scopare mentre legge il Mon­de. Da lui stesso naturalmente. Sarebbe di uno straordinario buon gusto. Pensa che delizioso collage, Orsino, una ragazzo-na tutto burro del genere Boucher, l'espressione smaliziata. Quesito: l'espressione di una marxista può essere realmente smaliziata o no? Io non saprei dirlo. Dunque la vedi bene, no? Rosea, quel po' po' di seno che ci vuole, il suo bel cu-letto, la coscia piena, classica ma con un pizzico di humour. E questo bel pezzo di carne, questa buona pasta da pane, te la immagini, no? centrata in pieno da un personaggio da fumetti che sta leggendo il Monde. Figurati le citazioni, le contesta­zioni davanti ad una cosa cosi. Non finirebbero più.

Orso                              - Plasticamente non sarebbe neanche brutto.

Edoardo II                    - Ma è quello che ti sto dicendo. Anzi ti pre­ciserò che è proprio questo il tipo di pittura che si deve fare oggi. Se tu mi fai un quadretto cosi, ma alla svelta, mica mettendoci dei mesi come al solito, te lo vendo subito a Play-men, a Executive. Ma mi raccomando, che sia molto sofisti­cato. Non ridere, non ridere, aiutami piuttosto.

Generosa                       - (passa a Orso i pacchi degli acquisti) Io lo so bene che il mio caro compagno non dipingerà mai un orrore simile, vero? Ha un'idea troppo elevata della pittura, il mio caro figlio del popolo.

Orso                              - Tienti quella roba in testa quando posi. Voglio di­pingerti cosi, tale e quale. (Generosa va a guardare il quadro. Edoardo II guarda Generosa. Edoardo I legge il Monde, sbattendo nervosamente le pagine. Edoardo II e Orso escono di scena)

Scena terza

Generosa guarda il quadro. Sta cercando qualcosa. Finisce per trovare uno specchio sotto una pila di giornali. Va a sedersi su uno sgabello, si rimira, butta via lo specchio, osserva Edoardo I.

Edoardo I                     - Che stronzo.

Generosa                       - Chi tesoro?

Edoardo I                     - Sto stronzo della "Tribuna Libera" di oggi. Fan scrivere sulla "Tribuna Libera" certi cretini da far paura. In nome dell'obiettività naturalmente, ah, l'obiettività, te la raccomando.

Generosa                       - Parla della riforma dell'insegnamento?

Edoardo I                     - Mica è cosi l'obiettività. Gli imbecilli non han­no il diritto di parola.

Generosa                       - Parla della riforma dell'insegnamento, tesoro?

Edoardo I                     - Nooo! (Continua a sfogliare il giornale)

Generosa                       - Come lo leggi, tu, il Monde, tesoro? Cominci dalla "Tribuna Libera" o dall'editoriale di politica estera? Oppure dal trafiletto di Robert Escarpit? Rispondi, su, è in­teressante. Dimmi come leggi il Monde e ti dirò chi sei,

Edoardo I                     - Comincio dalla rubrica religiosa.

Generosa                       - Bugiardo.

Edoardo I                     - Il Papa vuole la pace. La Pace. Il Dialogo. Non statevi a montare la testa con la rivoluzione. Il Papa è per la pace e per la proprietà privata. E per i piccoli azionisti. No, mi sono sbagliato. È Waldeck-Rochet che tiene al piccolo dialogo e ai piccoli azionisti.

Generosa                       - Bugiardo. Non parlano di Waldeck-Rochet nel­la rubrica religiosa.

Edoardo I                     - Ti giuro che Waldeck-Rochet...

Generosa                       - Ma no, amor mio. Guarda che questo tuo lato anarchico cinese...

Edoardo I                     - Ti dico che Waldeck-Rochet dialoga. Nella rubrica religiosa. Saprò leggere, no? La pagina che leggo per prima è l'ultima. Le Ultime Notizie.

Generosa                       - E poi man mano passi alle altre e ti arrabbi sempre di più. Un crescendo, vero, tesoro? Per finire rileggi le Ultime Notizie poi ti rimetti ad aspettare il Monde del giorno seguente. Ma che cos'è che aspetti esattamente?

Edoardo I                     - La bomba!

Generosa                       - Con Edoardo II io mi diverto sempre molto. Ha davvero un carattere facile. Già me ne rendevo conto a Parigi, ma qui poi ancora di più. È proprio un angelo. Abbia­mo fatto più di 100 chilometri per trovare le uova che voleva lui: non bastava che le galline avessero raspato negli orti, nel letame, bisognava anche che il grano che becchettavano fosse cresciuto in un campo vergine di concimi chimici. Senza par­lare del gallo. Il gallo è la base di tutto. Edoardo vuole sem­pre vedere il gallo prima di giudicare. Sai come ha il coraggio di chiamar me per esempio? La... ben montata. Dunque abbia­mo comprato il gallo. Gli abbiamo tagliato la testa. Dovevi ve­dere tutti i contadini come uscivano dalla fattoria per assiste­re al taglio della testa. Un rito in piena regola. Abbiamo visto certi contadini fantastici, uguali a quelli del Settecento, ci giurerei che nel Settecento erano identici: sporchi e arretrati come adesso. Purtroppo sono gli ultimi. Gli epigoni sono. Nessuno li vuole più. Le riserve ormai si esauriscono. A me piacerebbe invece che questi semplicioni continuassero a vive­re come vivono nel Ventesimo secolo senza perdere nulla del loro sapore. Finché dura comunque se le pappano loro le migliori uova della regione. Cinquanta chilometri più in là - (vieni anche tu con noi domani?) abbiamo trovato il burro più straordinario del mondo, profumato di erba, ma davvero, sai? Sa proprio di erba e mi sono anche fermata a fare quat­tro chiacchiere con la contadina. Suo marito adesso lavora in fabbrica. Vuole andare a vivere in città. In un caseggiato po­polare più vicino alla fabbrica. Poi siamo andati in paese, ab­biamo continuato a chiacchierare. Edoardo II è adorabile, abbiamo scelto con gran cura la miscela del caffè, un po' di brasiliano e un po' di cubano, poi il dolce. Il dolce l'abbiamo preso al forno, ma è proprio come quelli fatti in casa. Siamo andati dalla vecchia Arsenia, le abbiamo comprato la mar­mellata e non ti dico il prosciutto che aveva, ci ha fatto as­saggiare un prosciutto indescrivibile, stupendo... un prosciut­to rivoluzionario! (Scoppia a ridere) E poi abbiamo chiacchie­rato, chiacchierato. Se non amassi te, amore mio, mi innamorerei di Edoardo. Mica nello stesso modo: per ora sono ben contenta che ci sia solo dell'amicizia tra noi due, è meno impegnativo, è più riposante e, in fin dei conti, riscalda ugual­mente. L'Amicizia è come Chopin. L'Amore è come Wagner. Sciocchezze, sciocchezze, scusami. Dunque, ci siamo fermati in un paio di bar. Abbiamo bevuto dei caffè al filtro che non passavano mai. Ci siamo fermati sul ciglio dei prati, abbiamo raccolto dei fiori... (Si commuove) ...e abbiamo ascoltato in silenzio il cinguettio degli uccelli. Ci sono ancora molti uc­celli nelle campagne, invece di papaveri quasi non se ne tro­vano più. Per via degli erbicidi, sai...

Edoardo I                     - (senza togliere gli occhi dal giornale, che sembra leggere con attenzione) E avete parlato di me.

Generosa                       - Oh... può darsi.

Edoardo I                     - E che cosa gli hai detto?

Generosa                       - Ma tutto, tesoro. Non ho segreti per Edoardo. Perché vuoi che gli nasconda qualcosa? E che cosa poi?

Edoardo I                     - ...

Generosa                       - Se c'è qualcosa che non gli devo dire, che tu preferisci che non gli dica... Sono una donna moderna, io, e non accetto imposizioni da un uomo, però se c'è qualcosa che può ferirti... basta che tu mi dica qual è e io pur di farti piacere... perché ti voglio tanto bene tesoro. Ah, se potessi, dicendo "ti amo", amarti un po' meno, amarti in modo un po' più ragionevole... per farti piacere, dunque, mio caro, non dirò, non gli dirò mai più, capisci, quel che tu non vuoi che gli dica.

Edoardo I                     - Ma mi prendi proprio per l'ultimo degli imbe­cilli? (Generosa è in lacrime. Si alza a precipizio e esce di corsa. Edoardo continua a scorrere il giornale) Ma che stronzi che sono, che stronzi. (Sgualcisce Le Monde e lo butta a terra)

Scena quarta

Edoardo II entra con un carrello carico di caffè fumante latte fumante pane tostato fumante, frutta, uova alla coque, uova strapazzate, marmellata, burro, prosciutto, formaggio, il tutto disposto artisticamente, con una composizione del genere na­tura morta. Mentre spinge in avanti il carrello con un senti­mento misto di delicatezza e di orgoglio, nota il Monde stropicciato per terra e Edoardo I di pessimo umore.

Edoardo II                    - Ma sai che fai tanto dandy, Edoardo? "Che cattivo gusto!" esclamò il principe ritirandosi nelle sue stan­ze. (Sghignazzando spinge il carrello accanto al tavolo ingom­bro di tubetti di colore, ammonticchiati tutti intorno al vaso cinese. Edoardo I accusa il colpo, diventa ancora più cupo, poi decide di prenderla in ridere) Orso! Orso! (Orso arriva) Fam­mi il piacere di sbaraccare la tavola. (Orso toglie i tubetti di colore e poggia il vaso su uno sgabello al centro della stanza. Edoardo II si avvicina ad Edoardo I quasi bisbigliando) Al­lora bel campione che sei, ti diverti a umiliare le signore? Ma perché non le vuoi dare questo bambino, poi? "Amore mio, marito mio, dammi un figlio, oh si, voglio un figlio da te, vita mia, amore mio, principe d'Aquitania" sospira lei quasi in estasi. Ma il principe di Aquitania si allontana con un gesto di riprovazione. "Che cattivo gusto!" Ah, la lette­ratura. Ci siamo divertiti un sacco stamattina quando la ben-montata mi ha raccontato la sua notte. È una donna emancipa­ta e il senso dell'umorismo non le fa difetto. Io detesto le donne, anzi le odio...

Edoardo I                     - (di pessimo umore) Questo lo sapevamo.

Edoardo II                    - Uh, spiritoso. Odio le donne, dicevo, che fin­gono pudore. Invece Generosa si merita un figlio dal momen­to che lo desidera e ha il coraggio di dire che lo desidera. Io le voglio un bene da matti, a Generosa, e voglio bene anche a te, sai, brutta carogna? Su, tira fuori il musetto. (Edoardo ì si toglie le mani dalla faccia) Principe d'Aquitania! La spada è bella e penetra come nessun'altra, ma non intende tracciare il solco né spargere il seme. Vuoi il mio parere disinteressato? Non sei costruttivo. Fossi una donna, io sarei Messalina e ci godrei un sacco a andare a Ietto con uno come te. Ma perché continui a sgualcire il Monde? Che cosa ti ha fatto questo po­vero giornalino? (Lo raccoglie e lo scorre) È un giornale squi­sito. Senti qua: "coltellate a Lione tra due automobilisti". Questo tipo di notizie mi manda in brodo di giuggiole. Il col­tello, il pugnale, la cavalleria. "Sei morti, di cui quattro in tenera età al ponte di Tancarville". Ma è a due passi di qui. "L'automobile sbanda in curva, tre morti". "Scontro alle porte di Avignone, tre morti". Orso dovrebbe dipingere degli incidenti automobilistici. Però mi pare che sia già stato fat­to. Forse Andy Warhol, no? Bah. "Festicciole di tipo parti­colare". Partouzes. Che noia! Oh, guarda guarda: Un colon­nello di sinistra! "Per attentato al pudore commesso sui pro­pri figli, Jean Ronde, tenente colonnello a riposo, impiegato al Centro atomico di Marcoule, è stato condannato dalla 48 Corte d'Assise del Gard a dieci anni di reclusione criminale e radiato dall'ordine della Legione d'Onore". Scommetto che gli ha fatto cosacce sadiche questo tenente colonnello ai suoi piccini... Delle cosacce, quindi, di sinistra. Perché l'erotismo è di sinistra, vero? E i cinesi, siccome non sono più erotici, adesso sono diventati di destra. Se fossi in te, Edoardino, io mi rimetterei a scrivere. La prima frase del romanzo sarebbe que­sta: "Era di sinistra. Punto. Il suo culo..." e via di questo passo. (La tavola è apparecchiata. Il latte fuma. Il caffé anche. Orso dispone le seggiole. Generosa entra, sorridente) Sono persuaso che Edoardo I potrebbe scriverci un romanzetto di sinistra molto buono.

Generosa                       - Edoardo deve continuare a scrivere poesie. Vie­ni, vieni, prima colazione mia, consolazione mia. (Si mettono a tavola)

Edoardo II                    - Questo per me è il momento migliore della giornata. Una civiltà si giudica dalle sue prime colazioni. Non certo dai suoi Franzi d'affari che schifo o dalle cene con gli amici e neanche dagli spuntini di mezzanotte che restano poi sullo stomaco, no, davvero no: si giudica proprio dalle sue prime colazioni, dai suoi meravigliosi caffè, meglio se fatti passare attraverso una calza per non sentire il sapore del me­tallo, un calzino di cotone. Ho provato caffè di tutti i tipi, sono ritornato sempre immancabilmente alla calza. (Generosa è seduta di fronte a suo marito. Orso è seduto di fronte a Edoardo II e a fianco di Edoardo I. Tutti tolgono i cappuccet­ti di filo dalle uova alla coque. Balletto di mani calcolatissimo) Questa tovaglia, questi cappuccetti di filo, non so come chia­marli, ditemi come si chiamano, su, li ho trovati in Inghilterra, questo ricamo qui, queste ciliegine, anche questa è civiltà. I cinesi non le ricamano le ciliegine, quindi... (Si riempie la boc­ca con una fetta di pane tostato dopo averci messo sopra un uovo all'occhio di bue. Beve il caffè) Il caffè di Le Havre non può essere che sublime. Come quello di Rouen. I porti di mare sono meravigliosi. (Gli altri continuano ad alimentarsi, imperterriti. I discorsi di Edoardo II oramai li conoscono a memoria)

Orso                              - (a Edoardo I) Le bambole, comunque, non ti por­teranno più la colazione a letto. Ecco per esempio una cosa che trovo davvero vergognosa. Farsi portare la colazione a letto da una bambola. Farsi servire come una marchesa.

Edoardo I                     - Non ci saranno più ristoranti, non ci saranno più alberghi. Per noi, meschini come siamo, non è tanto facile da immaginare, ma sarà cosi. Finiti i ristoranti, finiti le tre e le quattro stelle. Finito il trionfo della gastronomia. È diffi­cilissimo da immaginare perché noi viviamo in una società che ha delle fissazioni ben precise: la famigliola, la macchi­netta, l'autostradina, il ristorantino di campagna, però si man­gerà lo stesso e quasi certamente meglio di adesso. Ci saranno delle comunità per accoglierti. Sarai accolto in una comunità e mangerai il piatto del giorno.

Edoardo II                    - Che sarà un cuscus.

Orso                              - E perché, poi, vuoi mangiare "ancora meglio"? Che cosa significa mangiare bene? Avete una sola idea in testa voi: mangiare bene.

Edoardo I                     - Hai ragione, Orsetto mio. Forse non si darà al mangiare quell'importanza che gli si dà adesso. Perché ci sa­rà qualcos'altro di più interessante.

Edoardo II                    - L'amore...

Edoardo I                     - Non ci saranno più dei mangioni come Edoardo che cercano di soffocare i loro crimini nel grasso. I crimini però rimangono tali e quali lo stesso.

Edoardo II                    - Continuate pure, non mi date nessun fasti­dio: io mangio.

Orso                              - Tutta questa gente che non pensa ad altro che a rimpinzarsi. Perché una volta gli è capitato di fare la fame.

Edoardo II                    - Esatto, Orsino caro. Ci siamo messi a tavola alla Liberazione e da allora non ci siamo più alzati. (Ingolla un fettone di pane e burro)

Generosa                       - Oh Dio mio quanto burro e quanta marmel­lata.

Edoardo II                    - Sto facendo provviste. Incamerando riserve. Voglio diventare sempre più grasso. Voglio diventare enorme. Quando scoppierà la guerra, sarò cosi gonfio che volerò via come uno Zeppelin. E planerò sopra i funghi, beato. Quanto ai miei crimini, caro Edoardo, l'Algeria in confronto alla bom­ba sarà roba da ridere. Ragione per cui io sono per la bom­ba, si capisce. Viva la bomba.

Generosa                       - Ma i ristoranti ci saranno sempre, scusa. Au­togestiti. A buon mercato. Popolari e succulenti.

Edoardo I                     - Sentì, ti proibisco categoricamente di dire cose del genere. La tua società comunista somiglia come una goccia d'acqua alla nostra società. Tutto quello che riesci a immagina­re è un consumismo più democratico, più popolare, un consu­mismo di massa. Che noia, che schifo, li odio i russi, li odio.

Edoardo II                    - Due concezioni del comunismo si affrontano, cari ascoltatori. Quale avrà la meglio? Non è questo il pro­blema.

Orso                              - Bisogna... (Bum. Doppio bum) ...fare la rivoluzione. (/ due Edoardi sussultano. Generosa scoppia a ridere)

Edoardo II                    - La prossima volta che parli di rivoluzione, ti prendi una sberla.

Generosa                       - Oggi hanno cominciato in anticipo. (Guarda l'orologio) Con cinque ore di anticipo.

Edoardo I                     - Ora scrivo...

Edoardo II                    - Ora lui scrive...

Edoardo I                     - Scrivo a questo generale.

Generosa                       - Vorrà che tu gli precisi il numero dell'aereo, carissimo.

Edoardo I                     - Stronzo che non è altro.

Generosa                       - Ma non è mica lui lo stronzo, carissimo, gli stronzi siamo noi. Se non fosse cosi, mica potrebbe un mi­litare qualunque fare tutto quello che gli passa per la testa.

Edoardo II                    - Quel che mi piacerebbe proprio - o Bambin Gesù fammi la grazia - quel che mi piacerebbe tanto, sarebbe un piccolo incidente, l'aereo esplode e un angioletto - no­vello caro - precipita dopo una lunga esplorazione, lunga lunga ma sempre troppo breve ahimé, nel cielo tenero e nuo­vo del mattino. Cade proprio ai miei piedi, qui, tra le mar­gherite. Io lo seppellisco in segreto, il mio aviatore, senza ri­velare nulla all'autorità militare. Poi porto il lutto per luì, di­vento la sua vedova. Come vedova sarei formidabile, no? In riva al mare le vedove sono cosi decorative... (Tutti ridono, uno scrolla le spalle, due altri si scambiano buffetti sulle guance, cosi come capita)

Orso                              - Non è certo cosi che si risolverebbe qualcosa. Bi­sogna fare la...

Edoardo II                    - La vuoi proprio una sventola, eh. Oh che fra­gole stupende, che meravigliosa panna montata, freschissima, pastorizzata... (Mangia) Ma che orrore questi rumoracci, vero, Edoardo? Ad ogni colpo io sono da raccogliere col cucchiai­no. Non sono certo l'ideale questi rumoracci - come ha osservato con tanto acume il nostro pittore - per un reduce della Liberazione, vero Edoarduccio? E neanche per un reduce della Pacificazione in Algeria, gioia bella. Tuonano proprio come la voce della coscienza.

Edoardo I                     - Mi rendo conto che per poter sopravvivere ai tuoi delitti tu debba per forza sprofondare tutti nella stessa merda, ma non mi va giù lo stesso, sai, carissimo, che tu faccia di ogni erba un fascio. Che tu metta insieme la Liberazione e l'Algeria, non mi piace davvero. La Liberazione e l'Algeria non hanno niente, ma proprio niente in comune. Vorrei dirlo per l'ultima volta.

Edoardo II                    - Ma io non ho mai preteso che fossero la stessa cosa. Noi abbiamo pacificato e voi ve la siete presa in culo.

Edoardo I                     - Proprio cosi. Noi ce la siamo presa in culo.

Edoardo II                    - Ma noi abbiamo pacificato perché voi ve la siete presa in culo, si o no?

Edoardo I                     - Mi rifiuto di rispondere.

Edoardo II                    - Si rifiuta di rispondere! Dunque c'è il nesso tra la sua Liberazione e la mia Pacificazione.

Orso                              - La Rivoluzione! (Bum. Edoardo I si alza e si avvia verso la porta)

Edoardo I                     - (in tono estremamente cortese) La Rivoluzio­ne! Benvenuta, cara Rivoluzione! (Una graziosa figura fem­minile appare dietro la porta a vetri)

Scena quinta

Edoardo I apre la porta. Isabella è davanti a lui. Dapprincipio non si riconoscono, poi strilli di Isabella.

Isabella                          - Il mio poeta! Il mio poeta! Ah, son contenta di trovarvi qua tutti. Il mio poeta! Generosa! Il mio Edoardo! E questo qui è Orso, vero? (Silenzio. Anche le mosche si trat­tengono dal volare per un po'. A Edoardo II) Ma che fusto. Molto meglio di come me lo avevi descritto.

Edoardo II                    - Sai che non ti aspettavamo per niente. Due anni fa e anche l'anno scorso eravamo qui tutti i giorni a dire: adesso viene. L'idea ci sorrideva moltissimo, ti riser­vavamo una stanza, rileggevamo più volte le tue lettere, fa­cevamo scommesse sul giorno preciso del tuo arrivo. Quest'an­no, invece, e chi ci pensava a te? Ed eccoti qua.

Generosa                       - La sua casa non sembra neanche più la sua casa.

Isabella                          - Ah be', quanto a questo me ne infischio, sai. E poi è proprio mia? E chi lo sa più! (Didattica) La casa è di chi la fa vivere. (Ride. A Edoardo I) Frequenti sempre le manife­stazioni, poeta? Lo sai, vero, Generosa, che ti tradiva con me? Abbiamo manifestato insieme diverse volte. Come mi piaceva sentirgli scandire gli slogan. Un civettone, il mio poeta... Mai che ripetesse quel che dicevano gli altri. Trovava sempre la maniera di dire qualcosa di più personale. Si capi­va subito che lui aveva "fatto" la Resistenza. Sono tre anni dall'ultima volta che ci siamo visti, lo sai? (Silenzio)

Generosa                       - Ma no, se lei è venuta da noi a Parigi quando abbiamo inaugurato la casa!

Isabella                          - Ah si? Già è vero. Ma noi due ci davamo del lei? No, no, io direi di no. Sono proprio contenta che tu sia qui, Generosa. Finalmente ti potrò conoscere davvero. Nota che un po' ti conosco già. Edoardo...

Edoardo II                    - dite cosi voi, vero? Edoardo II mi ha informato di tutto.

Generosa                       - Che lingua.

Edoardo II                    - Sono un chiacchierone, va bene. Ammettiamo­lo pure, ma come spiegate allora che tutti mi facciano le loro confidenze lo stesso, malgrado si sappia che io non mi tengo niente per me e butti fuori tutto cinque minuti dopo? Come spiegate che la gente continui a confidarmi i suoi se­greti più segreti, sempre? (Tutti ci pensano su)

Isabella                          - È proprio la verità. So che sei una portinaia, ma non posso fare a meno di...

Generosa                       - È perché tu sei il nostro fratellino.

Edoardo I                     - Anzi, la nostra sorellina maggiore.

Edoardo II                    - Questa me la pagherai.

Orso                              - Macché, è perché ti considerano un coglione.

Edoardo II                    - Ma che cosa dici?

Orso                              - Ti considerano un coglione: punto e basta. Ecco perché ti raccontano tutto. Piace a tutti di parlare di sé, pur di sfogarsi un po' va bene anche la pattumiera.

Edoardo II                    - Be', mi pare che stamattina le mie azioni siano piuttosto calate. Chissà quale delle vostre bassezze avrò messo in luce ieri sera! Non si spiega sennò il vostro accanimento, contro di me, tutte queste frecciate, brutti maschioni! Sapete invece perché mi dite sempre tutto? Perché sapete che sono un bugiardo. Quel che volete è che io racconti in giro le vostre storie, ma imbellite, infiorate però. E sapete anche che il centro, il cuore della confidenza, questa cosina indescrivibi­le, quest'aiuoletta delicata, io me la tengo per me. Questa co­sina fragile qui, io si la rispetto. In fondo le mie bugie vi fanno da schermo, vi proteggono. Voi non sapete costruirvi dei muri per mettere al riparo le vostre ferite che sanguinano. Magari è una sorgente dì acqua pura, la vostra confidenza, però senza di me, rischia di essere inquinata dai campeggia­tori. Capace che ci gettino dentro le loro porcherie e che ma­gari finiscano col lavarcist i piedi. Un muro di chiacchiere intorno a questa pura sorgente, intorno a questa sanguinante ferita, a questo spicchietto di anima, che va trattato con estrema, con estrema delicatezza coi tempi che corrono: in fondo sono un gran pudico, io.

Isabella                          - Sei perfetto. Ormai non cambi più. Ti sei dav­vero trovato, Edoardo. (Generosa si getta nelle braccia di Edoardo li)

Edoardo I                     - Niente male la scena. Se avete saputo ascol­tare, ci ha messo dentro anche la giustificazione del suo igno­bile lavoro.

Edoardo II                    - Oggi sei proprio rincitrullito, neanche un grammo di senso dell'umorismo, mi fai pena, guarda, e basta. Credi che abbia bisogno di dire delle buffonate per giustifi­carmi. Ma io non voglio giustificarmi affatto, è cosi e basta. Io riscrivo in un buon francese "Elisabetta è sull'orlo della disperazione, Sheila ha paura dell'amore, l'ultima speranza di Fabiola, la madre di Antoine singhiozza: Ho perso due volte mio figlio, si è rifatto il naso. Scrivo con un bello stile queste cose e cosi mangio. Va bene, faccio schifo, e poi? Quello che ti chiedo è solo di non avere la slealtà e la malafede di fingere di credere che io voglia trovare delle scuse, quando non cerco altro che di divertirmi. Quando ci riesco, però, si capisce. Volete sapere una cosa, mie gentili signore? Più in­vecchio e più divento femminista. Tutti i difetti che vi si attribuiscono di solito: futilità, incoscienza, leggerezza, me­schinità, vocazione a menar colpi bassi eccetera, continuo a scoprirli nei campioni del sesso forte. Più mettono in mostra i coglioni e più...

Edoardo I                     - Guarda che questo numero lo conosciamo già. Gli uomini sono femminili. La sola possibilità di trovare le tanto vantate qualità virili, la si ha frequentando certe donne.

Edoardo II                    - Ma non è vero forse?

Edoardo I                     - Isabella, vuole vedere la sua stanza? Orso le porterà su la valigia.

Edoardo II                    - Impagabile. Generosa cara, impagabile. Invece di lasciarsi impegolare in una discussione che finirebbe cer­tamente per coprirlo di merda, il nostro caro Edoardo - e nota che tutto è premeditato, studiato nei particolari, perfino elaborato - il nostro caro Edoardo dunque mi fa notare che io sto parlando a vanvera, mentre la sua virilità, la sua con­dizione di maschio autentico garantito, gli consentono anche in questo preciso istante - come sempre - di andare subito al sodo. L'essenziale, la cosa più importante adesso qual è? Ma chi non lo vede? Accompagnare nella sua stanza Isabella. E invece, proprio agendo cosi, proprio cambiando argomento e uscendo dal seminato con una trovatina penosa, Edoardo I si comporta come una donnetta, voglio dire che si comporta come i maschi supervirili dicono che le donnette si compor­tano. Uno di questi giorni gli spacco la faccia, mi butto su di lui con tutto il mio peso e lo schiaccio. Vedrete. (Generosa si butta di nuovo tra le sue braccia)

Isabella                          - Fate sempre cosi anche a Parigi?

Generosa                       - A Parigi molto peggio. Qui siamo in vacanza.

Isabella                          - Non vi stufate mai di stare insieme? Fantastico.

Edoardo II                    - Te l'ho già detto. Ciascuno di noi, preso da solo, non è che lo spicchio di una sfera: la sfera della co­scienza, bella, rotonda, trasparente, cristallina, che si ricom­pone solo quando siamo tutti riuniti.

Isabella                          - Però mi piacerebbe andarmi a cambiare. Ho voglia di mettermi qualche vecchio straccio. Edoardo... Edoar­do I, mostrami la stanza, su. (Scoppia a ridere) Il nostro ul­timo tète-à-tète, ricordi, Edoardo? L'abbiamo avuto tre anni fa in un taxi. Il mio poeta era venuto a prendermi per an­dare a una manifestazione, per che cos'era, giusto, quella manifestazione li, Edoardo? Abbiamo cercato a lungo un taxi, mi ricordo. Finalmente ne abbiamo trovato uno e allora Edoardo ha intimato al tassista: "Ci porti alla manifesta­zione!"

Edoardo II                    - "Alla manifestazione!" Ha detto proprio cosi?

Isabella                          - Si si: "taxi alla manifestazione!"

Edoardo II                    - E il tassista che cosa ha risposto?

Isabella                          - Sapeva dov'era; nel punto in cui non si poteva passare. Che strano periodo quello delle manifestazioni. Mi sembra tanto lontano, chissà perché... Be', fatemi vedere que­sta stanza. (Edoardo I e Isabella escono. Orso va a prendere le valigie di Isabella che sono rimaste fuori nell'automobile)

Scena sesta

Generosa                       - Spero bene che tu non le abbia detto che a Pa­rigi andiamo tutti a letto assieme. Questo tipo di bugia, an­che se fosse per preservare una piccola sorgente, mi darebbe molto fastidio.

Edoardo II                    - Mi pare di aver proprio detto che quel che ci tiene insieme è una questione di letto. Voleva sapere come mai abitiamo nella stessa casa. Voleva a tutti i costi un mo­tivo. Però non mi pare che ci abbia creduto.

Generosa                       - Avresti potuto dire che è per economia. (Edoar­do I è tornato indietro. Si butta nella sdraio, raccoglie il "Monde" sgualcito e strilla)

Edoardo I                     - Chi è che mi ha strappato il giornale? (Si ren­de immediatamente conto dì averlo strappato lui)

Edoardo II                    - Non stai bene, eh, stamattina. Le hai fatto vedere la sua stanza? Giurerei che non gliela ha nemmeno fatta vedere. (Edoardo II esce. Orso attraversa il palcosce­nico con due valigie)

Orso                              - Ma che, è scema quella li? Guarda le valigie che si porta dietro. Io ne porto due, alle altre ci penserete voi.

Generosa                       - È una gran bella donna. (Rimette a posto il vaso cinese) Oggi non è neanche nella sua giornata migliore.

Edoardo I                     - È una scema, è una scema di sinistra.

Generosa                       - Cosi, tu hai manifestato insieme a lei. In che anno è stato, caro? (Edoardo I è immerso nella lettura. Orso ripassa con altre due valigie) Taxi, alla manifestazione! Non vuol mica dire niente però. Tu non sei certo un leggerone, tesoro. Mica sei Marie Chantal. Comunque è buffo: taxi, alla manifestazione!

Edoardo I                     - Se parli ancora di manifestazioni, me ne vado. (Generosa si siede sullo sgabello, come se posasse per il ri­tratto. Ripassano Orso e altre due valigie) Sai bene quel che penso delle manifestazioni in genere.

Generosa                       - Le manifestazioni, tesoro mio, sono sempre utili. Anche quando si grida solo "Charlot, della grana, Charlot" servono a mantenere la forma. (Edoardo I lacera un po' di più il suo giornale) Perlomeno provano la nostra esi­stenza. Quella mezza giornata li per esempio l'avremmo po­tuta passare al cinema, no? Invece... credimi, il governo le tol­lera solo a metà, non gli fanno piacere per niente. (Nuovo passaggio di Orso. Ha sentito le ultime parole. Commenta a suo modo: con una pernacchia)

Generosa                       - Sporcaccione. (Segue il [do dei ricordi) A me, vedi, le manifestazioni piacevano quando diventavano un po' disordinate, lo non ero di quelli che strillavano "attenti ai provocatori, compagni!" Se la polizia caricava, io non ero di quelli che scappavano come conigli. Cioè, no, per la verità anch'io sono scappata, ho avuto paura, capita a tutti quanti. Però ce ne sono di quelli che corrono ancora. Io invece a un certo punto mi sono fermata e li ho aspettati. Mi ricordo che anche Claude Bourdet si era fermato. Da quella volta gli voglio bene a Bourdet: è cattolico, buono, un po' scioc­cone qualche volta, un po' troppo idealista, però gli voglio bene perché... (Orso ripassa ancora con altre valigie)

Orso                              - Quanti fronzoli che si tira dietro. Mi fa schifo quel­la li. (Esce. Silenzio)

Edoardo I                     - Continua, su. È il momento del colpo basso. Be', che succede. Che cosa ti prende?

Generosa                       - Siamo soli, caro. Ho il diritto, mi pare, di dir­ti quello che penso. Anzi ho il dovere di non nasconderti niente. Oggi, chissà perché, i miei ricordi sono- amari. Forse perché sei stato duro con Edoardo. E poi ne abbiamo già parlato, no? Mica sei stato il solo. Ce ne sono stati degli altri che se la sono data a gambe, che sono corsi etapparsi in casa, che han lasciato la moglie tra le unghie della polizia. La paura mette le ali ai piedi, come no, che cosa c'è di più naturale, scusa. Ma allora devi anche capire perché io, in­vece, la polizia l'ho aspettata, perché mi sono levata le scar­pe e mi sono difesa: sono sicura che a uno gli ho levato un occhio, almeno per un po' di tempo da quell'occhio tanto bene non deve averci visto, quello li. Ma io so, e anche tu lo sai, il perché l'ho fatto. Perché quando sono arrivati con i loro fischietti ed i loro manganelli, mio marito, il compagno della mia vita, il vertice della mia ammirazione,- non sem­brava più lui, era diventato uno straccio, un ectoplasma, uno zombi. Non eri più tu. Ma non ce l'avevo con te, vedi bene che non sono irragionevole. No, ce l'avevo con loro, con i poliziotti che erano riusciti a umiliarti. Se mi sono battuta, è stato per te. Perché il fascismo mi fa orrore proprio per questo, per come riduce le persone... (Orso ripassa, si ferma. In tono cordiale)

Orso                              - Salve Edoardo. (Silenzio) Salve Generosa. (Silenzio. Orso va via)

Edoardo I                     - D'accordo, non ce l'ho fatta. Ma insomma che senso aveva andare alle manifestazioni cosi... era come farsi portare al macello.

Generosa                       - Questo non è vero.

Edoardo I                     - Non si poteva far niente... attenti ai provoca­tori, compagni! Io non manifesterò mai più se deve essere cosi per niente. Manifestare a mani nude, che assurdità! Con dignità e in buon ordine! Ma che significa? Come tante pe­core. Arrivano i poliziotti. E tutti via a gambe. Gli imbe­cilli, gli incoscienti no, loro non se la danno a gambe, loro come armi hanno i pugni, si capisce! I tuoi ricordi mi danno fastidio, non lo nego, ma non me ne vergogno. Quel che mi dispiace è che tu ti accanisca a parlarmi di questo, ma che cos'hai, cosa c'è che non va, che cosa ti ho fatto?

Generosa                       - Oh niente niente. I tuoi discorsi li conosco a memoria. Non si va a una manifestazione per farsi spac­care la faccia. A una manifestazione degna di questo nome si va armati. D'accordo d'accordo. Tutto questo Io so. Ma quando tu te la sei squagliata, carissimo, non era più una questione tra te e tua moglie. Te la' sei squagliata senza pen­sare a me. Mi hai lasciata in balia dei poliziotti. Hai lasciato che me la cavassi da sola. Come sempre del resto. Hai sem­pre fatto cosi, sempre... (Generosa esce di corsa. Edoardo I piega accuratamente il giornale e la segue. Ha un porta­mento affettatamente dignitoso. Entrano Orso da una parte, e dalla parte opposta Edoardo II e Isabella)

Scena settima

Edoardo II                    - Ma che succede?

Orso                              - Ba'!

Isabella                          - Orso sei un angelo. Le altre valigie lasciale pure in macchina. Non ne ho bisogno per il momento. Io mi porto sempre dietro tutta la mia roba: ho sempre paura che mi manchi qualcosa. (Orso esce) Credi che sia io che gli dò a tutti sui nervi?

Edoardo II                    - Ma no, figurati. Generosa è in crisi da un po' di tempo. Ha quarant'anni e vuole un figlio. Edoardo invece no. Detesta i bambini. Lei allora cerca di farselo fare a tradimento, approfittando di un momento cosi di distra­zione     - (o di estasi). "Dammi un figlio, voglio un figlio da te, amore mio, vita mia, Edoardo mio". Ma con Edoardo la cosa non funziona. Eppure non è che lui l'amore non lo faccia bene, anzi appunto perché lo fa bene la cosa non funziona, voglio dire che l'amore, lui, lo fa con quel certo distacco che gli consente di dominare sempre la situazione. Quando si sente chiedere il figlio, la sua reazione immediata è quella di tirarsi indietro. E mentre si tira indietro, questa è la più bella, stai a sentire, mentre si tira indietro pronuncia una battuta rituale straordinaria. Sai cosa dice? "Che cattivo gusto".

Isabella                          - (ridendo) Ma va, bugiardo che non sei altro. Poi non dovresti raccontare queste cose, scusa. È terreno mi­nato. Come lavarsi i piedi sporchi in una sorgente di acqua pura: altroché. Generosa ha voglia- di fare la donna eman­cipata...

Edoardo II                    - Ma lo è! Più di qualsiasi uomo perché è ben cosciente, lei, del fatto che la sua emancipazione in realtà non è tale. Ci voleva una parola che definisse la condizione moderna della donna, e allora si è trovata "emancipazione" e va bene, già che c'è, adoperiamo quella. Quanto alle nostre chiacchiere, c'è una cosa che ci caratterizza: noi non abbiamo problemi di comunicazione, noi facciamo come se l'incomuni­cabilità non esistesse, noi parliamo quindi apertamente di tutto. Che cattivo gusto l'incomunicabilità. Poi del resto chi ne parla più? Come Antonioni è passata di moda. Noi quattro invece ci parliamo, ci diciamo tutto, proprio tutto quello che ci passa per la testa e siccome ognuno di noi ama gli altri tre come se stesso, non la smettiamo mai di tormentarci, non la smettiamo mai di farci reciprocamente del male. Credo che ciascuno di noi detesti cordialmente se stesso attraverso gli altri, detesta l'immagine di se stesso che vede riflessa negli altri. Generosa è un caso a parte però. Sto andando fuori strada mi pare. Forse sto mentendo... Edoardo per esempio, vedi, io lo stimo sul serio, pendo dalle sue labbra si può dire: non mi riuscirà mai di demolire completamente l'im­magine del 1943, la prima volta che l'ho visto, quando aveva diciassette... ma ci pensi? Diciassette anni! Quando è sbar­cato in Alsazia, io ero un ragazzino, lui era il Liberatore, morivo d'ammirazione per lui, per lui che in quel momento poteva essere fiero davvero di quel che aveva fatto... (Da ora in poi il tono della conversazione sarà più leggero. Edoardo II parlerà sorridendo, Isabella anche: l'atmosfera si scaricherà)

Isabella                          - Tu invece hai fatto la Pacificazione. Perché ri­tornarci sempre sopra? Diventi noioso. Stai ingrassando. Sei irriconoscibile. Eri cosi un bel ragazzo. Un giovane dio. Edoar­do caro, ti ricordi com'eri? Non si deve togliere al giovane dio la sua azione divina!

Edoardo II                    - Posso sempre suicidarmi.

Isabella                          - Si capisce. (Scoppiano a ridere e si abbracciano. Isabella tira le tende) È diventato orribile questo posto. Ci sono solo autostrade e parcheggi.

Edoardo II                    - Tra due anni la litoranea passerà proprio qui davanti alla casa, tra la casa e il mare.

Isabella                          - Nooo!

Edoardo II                    - Ma lo sapevi, dai, te l'ho anche scritto. E il retroterra poi è completamente spanto. Questi cafoni hanno "ristrutturato" la regione. Lo sai come si fa a ristrutturare? SÌ tagliano tutti gli alberi, si strappano le siepi, si riempiono i sentieri, si ottengono delle belle superfìci piatte e si dà via libera al progresso, ai suoi trattori e alle sue automobili. Tutta la campagna diventa una bella tavola da biliardo pelata, con certe radici nere mostruose che non ce l'han fatta a bru­ciare. E tutti i sentierini, i posticini per passeggiare: spariti, svaniti. Ormai si può passeggiare solo in automobile. Se ti passa per la testa di attraversare un campo seminato, trovi subito il contadino col fucile in posizione di mira. La legge del resto gli dà ragione.

Isabella                          - Troppo tardi...

Edoardo II                    - Troppo tardi davvero.

Isabella                          - Per suicidarsi.

Edoardo II                    - Grazie, l'avevo capito. Una volta tu venivi qui quando c'era qualcosa che non andava. Come stai, Isa-bellina, c'è per caso qualcosa che non va?

Isabella                          - Macché, va tutto splendidamente, ti giuro. Sto come un papa, sto.

Edoardo II                    - Dunque va proprio male. Oh, sorellina, nien­te di preciso, spero?

Isabella                          - Si, sto invecchiando. (Orso ritorna)

Edoardo II                    - Stiamo tutti invecchiando e non ci va di di­ventar vecchi perché sappiamo che questo vecchio sarà una merda e non l'eroe che avremmo voluto: no, non incarnere­mo noi, purtroppo, le figure dell'eroe, che giace in pace con­fortato dalle imprese compiute, no. Ci piacerebbe a tutti di essere costruttivi, come direbbe il nostro ingegnere, quello che è venuto ad avvertirmi ieri che tu sarai espropriata. Non di molto, rassicurati, la strada passerà solo nel centro del parco, ma tu potrai metter su un negozio d'antiquariato op­pure costruire un motel.

Isabella                          - Orso, scusami, ma devo di nuovo disturbarti. Bisogna riportare le valigie nella macchina. No, no, è inutile. Le lascio qui. Vado a fare un giro. Edoardo lì      - Ma che cos'hai?

Isabella                          - Niente niente. Voglio fare un giro, ciao.

Edoardo II                    - Isabella!

Isabella                          - Ho solo voglia di stare un po' sola, tu dici delle cose giustissime, ma sai che ti dico, sono un po' troppo giu­ste. Troppo precise per essere vere del tutto. Ah, non posso spiegarti. Vieni a fare un giro, Orso?

Edoardo II                    - Vai. su. (Orso sembra imbarazzato) Ma che c'è?

Orso                              - Veramente io adesso volevo lavorare.

Isabella                          - Bene. A tra poco, allora. (Esce)

Edoardo II                    - Potevi anche accompagnarla, però.

Orso                              - Perché poi tu mi faccia il muso al ritorno? Grazie no.

Edoardo II                    - Il muso io? Ma allora non capisci proprio niente, Orsetto mio.

Orso                              - (seccato) Ancora una che vuole suicidarsi. Ma perché non si suicida allora?

Edoardo II                    - Ti proibisco, moccioso che non sei altro, ti proibisco, hai capito? Non voglio ripeterlo più: un moccioso come te non ha il diritto di dire certe fesserie. Isabella, aspet­tami. (Esce)

Scena ottava

Orso è rimasto solo. Prepara i colori. Tira le tende. Sembra che aspetti qualcosa. Gli fa tutto schifo. Sbatte i giornali per terra. Entra Edoardo I.

Orso                              - Dov'è Generosa?

Edoardo I                     - Adesso viene. Sta cogliendo fiori. Che pensi di Isabella?

Orso                              - Vuole suicidarsi. Che schifo.

Edoardo I                     - (ride) Mi piace. La trovo eccitante.

Orso                              - Prevedo che non sarà un periodo molto allegro.

Edoardo I                     - E perché?

Orso                              - Perché tu e quell'altro continuerete a ripetere il vo­stro solito repertorio. De Gaulle, i cinesi, i russi, Israele, la pillola, guarda che ci siamo scocciati sul serio di sentirvi, Ge­nerosa e io. Sappiamo tutto a memoria. Ne abbiamo piene le scatole. Ci rompete le balle. E via dicendo. (Silenzio)

Edoardo I                     - Non parlerò di Israele. È il solo punto debole di Edoardo. E quel che mi fa rabbia è che sia proprio questo il suo punto debole. Mi dà fastidio da morire.

Orso                              - È ebrea anche lei?

Edoardo I                     - Chi, Isabella? No, no, è una donna meravi­gliosa. (Si riprende immediatamente) Voglio dire solo che non ha la gobba. Non sopporto, non riesco a sopportare che Edoardo non ragioni come si deve su un dato argomento solo per il fatto che è ebreo.

Orso                              - Di chi la colpa?

Edoardo I                     - (esasperato) Ma si, lo so. Però, insomma. I miei vecchi son gente del popolo, i tuoi lo stesso. Abbiamo gene­razioni di vecchi dietro di noi che sono stati fatti morire a fuoco lento, che hanno vissuto una vita da cani, umiliante, vergognosa, ma io mica mi servo adesso di queste vittime della società per difendere la patria dei lavoratori, non sto mica a sfruttare la loro memoria.

Orso                              - Ma cosa dici?

Edoardo I                     - Voglio dire che non piagnucolo mica: "L'Unio­ne Sovietica è la patria di tutti i lavoratori" per poi fare qui degli scioperi che non dan fastidio a nessuno.

Orso                              - Si capisce. Bisogna fare la rivoluzione.

Edoardo I                     - E smettila. Sai che in fin dei conti anche tu hai il tuo numero fisso: la rivoluzione. Mettitelo bene in te­sta: prima che ci sia la rivoluzione in Europa, dovranno pas­sare almeno cinquant'anni.

Orso                              - Quando io ne avrò settanta, allora? L'età giusta per andare in pensione.

Edoardo I                     - E io sarò già morto, alla buon'ora!

Orso                              - Ma allora tu per vendicare i tuoi vecchi, che cosa fai?

Edoardo I                     - Niente. Niente. Niente. (Silenzio) Io la co­nosco bene la storia dell'Alsazia. Se c'è qualcuno che ha dei diritti sull'Alsazia, è proprio la comunità ebraico-alsaziana. Perché gli alsaziani, loro, quelli che si autodefiniscono alsa­ziani, non sono alsaziani autentici. I veri alsaziani, quelli buoni, sono stati massacrati dopo le rivolte contadine o du­rante la guerra dei Trent'anni e sono stati sostituiti da coloni svizzeri o tedeschi. Tutti gli alsaziani con il cognome che finisce in "er" per esempio, sono svizzeri. Per cui i veri alsa­ziani, adesso, sono gli ebrei alsaziani, i soli che vivano in Alsazia fin dal Medioevo. Perciò, vedi, mi dà fastidio vedere che Edoardo abbia bisogno dì Israele per non sentirsi nudo. Mi fa schifo perché se c'è qualcuno che ha dei diritti su un paese, questo qualcuno è Edoardo sull'Alsazia. È da mille anni che ci abita.

Orso                              - Io le passerei volentieri le vacanze in Alsazia.

Edoardo I                     - Io invece no. In questo concordo pienamente con Edoardo. Se si deve proprio assistere alla decadenza di un paese, preferisco almeno che non sia il mio. Mi basta vedere la ristrutturazione della Normandia, le nuove auto­stradine normanne, la piccola civiltà anglonormanna, il cam­peggio normanno per capire come diventerà l'Alsazia. Scom­metto che non c'è più neanche un tiglio a Esch, ci scommetto la testa. Hanno tagliato i tigli per fare un posteggio. Ma ti rendi conto? Un posteggio di macchine al posto dei tigli. Che schifo. (Cammina avanti e indietro) Ma tutto questo è logico, capisci. Una civiltà ne sostituisce un'altra. Via quindi, all'at­tacco! Viva il progresso. Il tiglio sulla piazza del paese andava bene ai tempi in cui il paese rappresentava una comunità. Ci si sedeva sotto il tiglio e si parlava. Ritornavamo al paese e al tiglio riservavamo il nostro primo saluto. Adesso la gente non si riunisce più per parlare. Non c'è più tempo. Il paese è diventato un dormitorio. Vanno a lavorare in città e quan­do tornano a casa, sono stanchi e vanno a dormire. Nei giorni di festa girano in automobile, girano girano, dove gi­reranno? Mah! Del resto che cosa potrebbero dirsi oggi degli alsaziani sotto un tiglio la sera? Me lo dici un po'? Se ci sono dei coglioni che sono stati presi in giro un bel mucchio di volte, trattato su trattato, per cui l'Alsazia passa alla Germa­nia, no, poi passa alla Francia, no, poi passa all'Ungheria, no, poi passa al vescovo di Basilea, insomma se c'è gente ridotta a non capire ormai più niente di niente, quindi assolutamente matura per il consumo, questi sono proprio gli alsaziani. Un tiglio, vedi, non fosse che per le dimensioni che ha e per il fruscio delle fronde richiede che chi si siede alla sua ombra abbia perlomeno una certa idea di se stesso. Suggerisce istin­tivamente il confronto. Ma chi ai giorni nostri può ancora pa­ragonarsi a un tiglio, me lo sai dire? Chi ai giorni nostri può avere la sfrontatezza di guardare fisso un tiglio senza abbas­sare gli occhi per la vergogna? Ecco perché va a finire che si fa piazza pulita del tiglio, ci si riduce piccoli piccoli in una due-cavalli e via: circolare, su, e poi parcheggiare, che schifo. (Si siede, si rialza di nuovo) E poi mi fa schifo anche arrab­biarmi per una cosa cosi. Mi dà fastidio pensare che basta la storia del tiglio a togliermi per sempre la voglia di ritor­nare a Esch. Ci sono cose più gravi, se uno ha proprio voglia di farsi il sangue cattivo. (Torna a sedersi, si copre il viso con le mani)

Orso                              - Ma che fa tua moglie?

Edoardo I                     - Coglie fiorellini. Si paragona a un papavero. Le pare di reggere abbastanza bene il confronto. Scopre in lontananza un azzurro indefinibile e entra in estasi.

Orso                              - Bene, oggi mi rompete proprio tutti le scatole. (Rac­coglie delle riviste, apre una sdraio, si sdraia. Silenzio. Orso giocherella con le scarpe da tennis)

Edoardo I                     - L'uomo nuovo, vedi, bisogna crederci. All'uomo nuovo, il più acuto, il più "umano" degli uomini di oggi sembrerà grossolano e informe come un embrione. Im­maginatevi un po' che Dio esista e che venga un giorno a farmi le sue confidenze: "Ma lo sa, caro lei, che quando ho creato l'uomo, io ho fabbricato un modello standard buono per tutte le epoche con queste e queste costanti, con i suoi sentimenti eterni, il suo gusto del bello, il suo istinto della proprietà, l'amore come un fiore e i sacri Valori, ma anche - quel che ci vuole ci vuole - meschino scaltro avido egoista vigliacco      - oh che noia ripetere questa retorica, ma è il col­mo del cattivo gusto fissare cosi l'uomo per l'eternità. Eter­izzare il piccolo borghese con le sue civetterie ripugnanti. A questo punto si usa evocare "Il latte della tenerezza umana" oppure anche (dipende dai traduttori) "Il latte dell'umana te­nerezza".

Orso                              - Bene, e poi?

Edoardo I                     - E poi che cosa?

Orso                              - Dio allora? Continua.

Edoardo I                     - Ma Dio lo mando al diavolo, lo disprezzo se le cose stanno cosi perché non è mica possibile una simile mancanza di immaginazione. (Si fa più calmo) L'uomo nuo­vo. Bisogna crederci. Credo che chi ha sognato l'uomo nuo­vo, quella mattina che non gli riesce di sognarlo più, può anche finire che si suicida.

Orso                              - Alibi, alibi, alibi, alibi.

Scena nona

Entra Generosa coi suoi fiori. Sorride, cioè si è composta sul volto un sorriso. Guarda dove può mettere i fori. Li depone su Edoardo I, che li riceve con sentimenti visibilmente con­trastanti. Generosa si mette in posa sul suo sgabello. Orso comincia a dipingere. Sparisce dietro il quadro per riapparire di tanto in tanto - anche durante i "tunnel" degli altri - con un fischio che è la sua maniera di ricordare a Generosa la sua funzione di modella.

Generosa                       - Orso potrebbe essere mio figlio. (Pausa. Edoar­do I si alza. I fiori si sparpagliano per terra. Edoardo I esce) Benissimo. Quel che potevo fare l'ho fatto. A sedici anni mi facevo tutti i giorni i miei sessanta chilometri in bicicletta per portare rifornimenti ai signori partigiani. Io, la figlia del for­naio. Bene. Tra questi partigiani, c'era lui, l'alsaziano. Bene. Un giorno, mentre rimontavo in bicicletta, mi ha chiesto di aspettarlo. Aspettare lui, davvero? E io l'ho aspettato. Libe­razione. Mazzi di fiori, bandiere, balli popolari. L'alsaziano ritorna in Alsazia. Parate militari. Bene. Io continuo ad aspet­tare. E, mentre aspetto, passo l'esame di maturità. Entro nel Partito. Studio e milito. Poi sposo l'alsaziano. Finisco gli esa­mi, tutti, io, la figlia del fornaio. Mi laureo all'università di Clermont-Fernand e mi specializzo a Parigi. Laurea in Let­tere Antiche. Specializzazione in Psicologia.

Orso                              - Non. si direbbe.

Generosa                       - Laurea a pieni voti.

Orso                              - Senza lode.

Generosa                       - Anche alla scuola media, prima assoluta di tut­ta la regione. Premiata con 20 franchi su un libretto di ri­sparmio. (Segue il filo dei ricordi) La studentessa diligente sposa l'eroico partigiano. Seguo l'alsaziano a Parigi. Orribile città. Insegno e milito. Indocina. Stalin. Algeria. Budapest. Cuba. Facile a dirsi, ma provatevi a farlo. E tutte le dome­niche vado in giro a vendere L'Humanité Dimanche: la vita del Partito, la vita degli animali, gli sport e le scommesse sui cavalli. Bene. Sono stata presa in giro, se vuoi. Non sono stata presa in giro, come ti pare. Bene, e adesso voglio solo una cosa, magari sarò stupida, ripugnante, quello che vi pare, ma la voglio. Bene. L'alsaziano no, non la vuole. Benissimo. A questo punto credo che divorzierò. Certe cose vanno sotto­lineate. (Orso, concentrato, grave, continua a dipingere)

Orso                              - Donne donne alla bisogna! Su, svegliate la madre cicogna. Stimolate i vostri mariti tardi e fateci dei piccoli comunardi!

La specie umana è infrollita:

va rinnovata la partita.

C'è forse qualcosa di più disgustoso

di questi tromboni in eterno riposo?

Crepate vecchi tromboni toglietevi dai coglioni. Fate posto, cervelli tardi, ai piccoli dinamitardi!

Che nascano perché già la vita si è mossa l'avvenire è una bandiera rossa: sulla culla dei comunardi neonati getta i suoi riflessi dorati!

Donne donne alla bisogna! Su, svegliate la madre cicogna! Stimolate i vostri mariti tardi e fateci dei piccoli comunardi!

(Isabella e Edoardo II sono entrati durante l'ultima strofa e hanno ascoltato la fine in silenzio)

Generosa                       - E questa chi te l'ha insegnata?

Orso                              - Il mio vecchio. (Isabella si interessa al quadro)

Isabella                          - È molto bello, sul serio.

Edoardo II                    - "Però..."

Isabella                          - Nessun "però".

Edoardo II                    - Figurati.

Isabella                          - Non mi aspettavo che dipingesse cosi. Mi avevi scritto che faceva dei quadri violenti e quando sono arrivata e ho visto Orso, mi sono subito detta: ecco il pittore dei quadri violenti. Sembra fatto su misura.

Edoardo II                    - Quando lo abbiamo scoperto due anni fa, il nostro Orsettino faceva effettivamente dei quadri violenti, di sera, tornando dalla fabbrica. Dipingeva dei Don Chisciotte, magari anche dei San Giorgio col drago, armati di una lan­cia di plastica trasparente, ma dura! Pericolosa! Acuminata! Usciva fuori dalla tela. Collage, come vedi, e letteratura. Ci si avvicinava al quadro, attratti dalla materia ricca, discreta­mente elaborata, dal segno fermo, dinamico e ci si rimetteva un occhio. Una pittura di effetto sicuro. Generosa era affa­scinata. Un giovane operaio che dedica le sue serate all'arte non era cosa da niente, bisognava incoraggiarlo per forza. Cosi lo abbiamo incoraggiato.

Isabella                          - Tu gli hai dato un colpetto sulla spalla: "bravo, bene, bene, continua cosi che vai bene".

Edoardo II                    - Esatto. Ma Generosa non era di questo pa­rere: bisognava farlo venire a Parigi. Se restava in Alsazia, avrebbe continuato per un anno o due e poi avrebbe smesso: perché, capisci bene, l'Alsazia, la provincia, sarà bella e cara, ma per un pittore...

Isabella                          - Non ce l'avrebbe mai fatta a lavorare e dipin­gere nello stesso tempo.

Edoardo II                    - Come si vede che sei una donna sensibile. Cosi Generosa ha esclamato: Qui si sta assassinando Mo­zart! Abbiamo fatto una fatica dell'altro mondo per convin­cere lui e il suo papà che bisognava lasciar perdere la fab­brica per l'arte. Tutti e tre abbiamo sopperito alla carenza del Regime borghese che non fa nulla per i piccoli Mozart del popolo e abbiamo promosso l'ascesa del nostro Mozart verso l'arte e verso la capitale, Parigi. Nella capitale gli ab­biamo consigliato   - anzi se lo è consigliato da solo - di lasciar perdere per un po' la violenza e di fare, durante un certo periodo, solo le scale. Cosi lui per adesso sta facendo le scale. Ma non gli vien fuori mai niente di banale lo stesso.

Isabella                          - Però è straordinario che si sia messo a dipin­gere da solo e che da solo abbia trovato l’dea di quelle pie che che escono dal quadro. Un po' al corrente si doveva tenere però.

Edoardo II                    - Certo, certo, si teneva al corrente. La televi­sione, sai. Ed è questo infatti che è straordinario. È la prova che quando hai qualcosa dentro, finisce sempre per uscir fuori. Anche se si lavora in fabbrica. La conosci, no, la storia della scatola di sigari?

Isabella                          - Certo. Il piccolo operaio sogna un violino, ma è troppo povero per comprarsene uno; un giorno nel cortile di un grande magazzino scorge una scatola di sigari vuota, si china, la raccoglie, ritorna a casa di corsa, ci lavora su ore e ore, e verso sera è in grado di mostrare agli altri operai - sbalorditi - un violino! Sul violino improvvisa cosi di colpo - e con tocco geniale naturalmente - Va solo più complicato di Paganini. Passa di li un musicofilo, si ferma, ascolta, non crede alle sue orecchie né ai suoi occhi. Giacché quella folla di proletarii sensibili raccolta intorno all'operaio violinista anticipa le Case della Kultur o allora io non ho capito niente. Il musicofilo ha brividi di emozione, dice all­'autista di portare il suo biglietto da visita all'artista operaio perché lui non se la sente, è troppo timido per farlo di per­sona. L'operaio-violinista arriva l'indomani nel palazzo del musicofilo, crede che sia per stappargli il bidet. Ma quando il musicofilo in persona viene a offrirgli in un astuccio di velluto cremisi il suo Stradivarius, l'operaio scoppia in sin­ghiozzi, si getta nelle braccia accoglienti del suo benefattore. Un lungo bacio. L'operaio va a vivere nel palazzo. Il musico-filo affitta la Salle Pleyel. L'operaio debutta. È un trionfo. In platea in prima fila il padre la madre e i vicini della bor­gata. Tutti in lacrime e sorridenti tra le lacrime.

Edoardo II                    - (a Orso) Non dici niente? Be', allora è andata buca; di solito a questo punto lui ci fa un numero bellissimo. E con grande violenza, attenzione. Si sente che la cosa gli sta a cuore. Orso pretende che la culturizzazione delle masse lavoratrici non darà mai niente e che sono delle merde quelli che "si chinano sull'operaio per rendergli accessibili" Péguy, gli Impressionisti e Nefertiti. Quando ancora lavorava in fab­brica, lui e i suoi amici strappavano minuziosamente le ri­produzioni di capolavori, che il Presidente Direttore Generale Kulturizzatore aveva appeso nel refettorio per decorare l'am­biente e elevare lo spirito nello stesso tempo. Ma Orso e i suoi amici non ci mettevano niente a ridurle in mille pezzet­tini e a buttarle nella pattumiera, piccole guardie rosse ante litteram!

Orso                              - La kultura non si riceve. Mica sono stitico, io. Si prende!

Edoardo II                    - Ecco, bravissimo, e il seguito? Perché poi vie­ne il più bello. Quando dice per esempio che la kultura del popolo ha bisogno, per nascere, di una matrice: la Rivolu­zione! Tutto verrà fuori da questo happening di fuoco e di sangue. Il sangue il sangue la fiamma splendente. Pare che sia successo lo stesso per l'avvento della borghesia. Hanno portato un po' a spasso la regina, hanno tagliato qualche testa, hanno porto alla regina la testolina della Lamballe da baciare, la Lamballe! Ti ricordi? Quella ragazzona un po' molle: ritagliata seguendo il tratteggio. Bisogna dire che come happening non era niente male davvero, il fatto kulturale allo stato bruto insomma, dopodiché il Romanticismo non ha che da seguire la corrente, i poeti idem. "Interrogo l'abisso poiché sono un abisso io stesso". Tutto il XIX secolo kul turai e-kul-turizzatore rimarrà affascinato, più o meno coscientemente, da questa messa borghese: la Rivoluzione dell'89. Io sarei del tutto propenso a un nuovo happening alfa e omega di una nuova kultura. Se ci devono essere dei morti, però, vor­rei che fossero quelli giusti. Sarebbero certo meno schifosi dì quei cadaveri idioti e odiosi che si raccolgono a ogni week­end sul ciglio delle autostrade puah! Gli aristocratici almeno sapevano morire. Sono convinto che anche la borghesia sa­rebbe all'altezza. Mi vedo benissimo nell'atto di tendere il collo. Non ho ancora deciso la mia ultima parola, ma nel fuoco dell'azione ne saprai certo» trovare una che faccia un po' effetto. Per esempio: "Non esponetemi al popolo, è già stato fatto". Si si ben venga quel giorno. Non desidero altro che questo... Purché Servan-Schreiber passi sotto per primo, però: veder rotolare la testolina di quello li sarebbe la mia ultima volontà.

Generosa                       - Mi pare che tu abbia apportato delle modi­fiche al tuo progetto. Quand'è che hai deciso di farti ghi­gliottinare anche tu?

Edoardo II                    - Mi son sempre contato nel mucchio. In caso di rivoluzione, quelli da eliminare per primi sono proprio i piccoli borghesi del mio stampo. Del resto la mia funzione sarà proprio quella di farlo notare. Sai che in fin dei conti non sono mica fesserie quelle che stiamo dicendo: finché il popolo non sarà padrone di se stesso, questa kultura di cui lo si asperge avrà lo stesso valore di una mano di calce. Capisco quel che vuol dire il mìo amico rivoluzionario: la kultura delle Case della Cultura inventate da Malraux è pro­prio come una mano di calce, solo una seccatura, una vessa­zione dello Stato, qualcosa di completamente incomprensibile per chi la riceve e magari anche per chi la distribuisce. Del resto che altre possibilità restano alla kultura in una società come la nostra? Andando di questo passo, si va tuttalpiù verso la kultura "personalizzata". Dunque si farà cosi: si entra nella boutique-kulturale e si chiede un consiglio alla kulturizzatrice  - (ecco un altro mestiere "tipicamente femmi­nile", ah, le donne possono scegliere oggi!) Dunque, signorina, che cosa mi consiglia, che letture le sembrano adatte al mio caso? Un po' di Proust e un po' di Philippe Sollers. E per leggere la sera a letto? Prima di dormire, Shakespeare. Esco dalla boutique con la mia tintura, deliziosamente personaliz­zata e ripeto tra me e me, per non dimenticare: abbonarsi al Nouvel Observateur, La mattina, di tanto in tanto, L'Humanité alle quattro, Le Monde, la seconda edizione, che è me­glio. Per le mutande la marca "Eminence", per l'automobile: un'Alfa. La moglie: un'ariana, che conduce un'agenzia immo­biliare. Formiamo insieme una coppia moderna. Lei adora Mauriac, ma non Francois: Claude... Isabella  - (indicando il soffitto) Oh, una trave!

Edoardo II                    - È una trave nel vero senso della parola.

Isabella                          - Ma è stupenda!

Edoardo II                    - Già, è vero, non l'avevi ancora vista. Curo un po' l'arredamento, sai, quando veniamo qui. Un'aggiuntina ogni anno, senza nemmeno chiederti il permesso. La trave l'abbiamo messa l'anno scorso.

Generosa                       - L'abbiamo perfino inaugurata.

Isabella                          - Ma prima non c'era?

Edoardo II                    - Nemmeno per idea. Siamo andati a prenderla in una vecchia fattoria, una fattoria... antica.

Isabella                          - Ma una trave sola fa un po' sbarra, non trovi?

Edoardo II                    - Ma scusa non capisci? Se c'è una trave sola, non è più un fatto aneddotico, banale. Isolata, la trave di­venta un simbolo, assume un valore metafìsico, trascendente... e poi finisce che uno di questi giorni ci casca addosso.

Isabella                          - Dunque hai arredato. Il tavolo non è niente male, rustico, massiccio eppure elegante. E questo vaso cinese, che delizia. Mi piace l'impostazione generale: due, tre og­getti splendidi e intorno delle cosacce qualsiasi, sdraio, sgabelli, mobili per modo di dire, quel poco che ci vuole per creare uno spazio. Basta questo ad esempio per "fare la stanza". (Ride di traverso) Che fortuna che ho di vivere sem­pre in albergo, io. Perlomeno gli albergatori dell'arredamen­to se ne fregano.

Generosa                       - Brava Isabella! Gli hai fatto mancare il suo effetto.

Isabella                          - Scusami. Ma l'arredamento mi dà sui nervi, mi fa schifo. Mi piacciono solo le nude stanze d'albergo, scu­sami.

Edoardo II                    - Però potevi almeno lasciarmi dire il seguito, scusa...

Generosa                       - Eh, scusa tanto, lasciagli fare il suo effetto, sei proprio cattiva, lo blocchi sul più bello...

Edoardo II                    - Di solito la gente è gentile: ammira il vaso, la trave, il tavolo, quell'aria un po' trascurata che fa tanto bohème. Io lascio dire. Poi comincio la mia conferenza. Stai tranquilla, non ho intenzione di dirla tutta adesso. Te ne dò solo un piccolo riassunto. (Si scalda, vedendo Varia ironica di Generosa) ...Ma guarda che non sto facendo nessuna com­media adesso, quel che dirò è la pura verità. La mania del­l'arredamento di tante mezze calzette, è la prova migliore della loro bassezza. Sanno benissimo che, ridotti alla loro dimensione effettiva, sarebbero solo gelatina, parassiti informi, volgari consumatori e basta. "Allora hanno paura. Cominciano a provare nostalgie, sentono un certo non so che, un qualche indefinibile languore. Si rendono conto perfino loro che un marchesino del Grand Siècle, a ragione o a torto, aveva una idea più chiara della propria vita di quanto non ce l'abbiano loro. Allora su, presto, una seggiolina Luigi XIV, un inginoc­chiatoio, un ventaglio, qualunque cosa purché sia Luigi XIV e rievochi un po' il marchesino. Cosi si mettono il cuore in pace: rasserenati, tranquillizzati. Qualcuna delle qualità del marchesino, un po' della sua grazia, ricade su di loro. Ma mi­ca finisce qui. Dopo un po' che sta insieme a loro, il mar­chesino non irradia più nulla. Allora angoscia. Ripercorrono la storia da cima a fondo, chiedono ai greci arcaici il mezzo sorriso di un quarto di bocca di discobolo, ai corsari la campana di un veliero che è passato da Capo Horn, ai cava­lieri medievali l'antico caminetto di pietra divelto dai ru­deri di un monastero romanico, ah i ruderi! Dalla Pompa-dour vogliono in prestito uno scrittoio, da Bisanzio (viaggio rituale in Grecia) un'icona che gli basta per sentirsi d'un tratto nella pelle di Giustiniano e Teodora. Ne hanno biso­gno che diamine, gli ci vuole un crociato, un basileo, quindici re di Francia e una maschera negra sennò mica si sentono a posto. Hanno di tutto a casa loro e carico di patos poi, un fracco di begli oggetti, ah gli oggetti! perché, capisci, un intero salotto Luigi XV a rigore ancora si giustificherebbe, potrebbe costituire un ambiente singolare. Ma neanche questo invece! Dei frammenti presi qua e là, dappertutto. Per co­stituire un insieme, bisogna pensarci su un momento, invece quel che si vuole soprattutto evitare è proprio il pensiero. Si vuole solo ricevere, ornarsi, farsi belli con le penne del pa­vone. Guai se ci si mette a cercare di capire come mai un miserabile contadino analfabeta, a cui si è presa la scodella di terra cotta per servire i toasts "Marie-CIaire" (delizioso contrasto, vero?), guai dunque se ci si mette a capire il per­ché questo miserabile contadino vive in fondo in armonia con se stesso. Sarebbe troppo complicato, si rischierebbero scoperte troppo spiacevoli. Dunque meglio i frammenti. Più ce ne sono meglio è. Non sono mai troppi. In fin dei conti tutta questa messa in scena non li tranquillizza affatto, non gli delega nessuna qualità, non gli dà neanche un grammo di valore. E allora si incattiviscono. Ogni volta che vanno a ce­na fuori, escono armati. Perché si sentono una merda in mez­zo al loro bric-à-brac muto. Cercano allora di provare il con­trario. Fanno allora di quei discorsi, ma di quei discorsi... (Isabella sorride) Più che altro son lunghi monologhi. Mono­loghi da trombone. Ma un trombone è fatto per farsele suo­nare e una scenografia per essere bruciata, Isabella! Diamogli fuoco allora, diamo fuoco a tutto. Andrò io stesso, di per­sona, a accogliere i cinesi. Fonderò un Comitato per orga­nizzare i ricevimenti. A proposito, e lui come sta? Dov'è? Mi sono completamente dimenticato di chiederti sue notizie.

Isabella                          - È rimasto a Roma. Un congresso per il lallallà della cultura. Mi duole la bocca a dirlo. Andrò a trovarlo a New York in ottobre. Fa la tournée delle università.

Edoardo II                    - Che schifo.

Isabella                          - Ma no, ma no. Lui sa spiegare benissimo il per­ché Sartre sbaglia a non voler andare negli Stati Uniti, ti assi­curo che è convincente.

Edoardo II                    - E tu?

Isabella                          - Oh, io... La mia "femminitudine", sai, la mia condizione femminile mi rende particolarmente vulnerabile. Dopo una settimana passata negli Stati Uniti ne avrò piene le scatole e prenderò un aereo per il Brasile o per il Messico. E voi, che farete a novembre?

Generosa                       - Dicono che gli Stati Uniti sono stimolanti, che i grattacieli di New York sono meglio delle cattedrali.

Isabella                          - (ride) Oh, mio Dio. Scommetto che l'hai letto nell’'Humanité. La coesistenza pacifica, che diamine! I gratta­cieli meglio delle cattedrali. Si diceva cosi negli Anni Venti, mi pare. Adesso ci si comincia a chiedere quali decisioni si prendano in queste famose cattedrali. A me personalmente fanno schifo.

Edoardo II                    - Non per tutti è cosi però.

Isabella                          - Certo. Anche lui mica è un imbecille, sai. Però le turpitudini che inventa per giustificarsi. È incredibile. Que­sta per esempio: ci sono molte più libertà negli Stati Uniti che in Francia. Io gli rispondo- un ricordo dell'epoca in cui avevo degli amici al Partito - "libertà formali ". Non ci sente da quest'orecchio. Sono convinta che malgrado le sue dichiarazioni femministe, lui disprezzi le donne. E non ha mi­ca torto, del resto. Io per esempio sono proprio una cretina.

Edoardo II                    - Ma è vero che ci sono molte più libertà for­mali negli Stati Uniti che in Francia.

Isabella                          - Oh che cattivo gusto. Non viaggi abbastanza, tu, Edoardo. Come tutti i giornalisti francesi, del resto. Vi capi­sco, non avete abbastanza soldi, poverini. Certo, prostituen­dovi un po', potreste riuscire a cavarvela meglio. Quel che mi affascina di più è la lettura dei giornali francesi quando sono all'estero. Mica è cosi facile. All'estero i giornali fran­cesi li leggono in pochi. Comunque per me è una maniera per sapere quel che succede a Parigi. Dunque che succede a Parigi? A Parigi danno dei film americani "che non si sareb­bero mai potuti girare in Francia". Dei film dove si sente alitare liberamente il soffio dello spirito. Ma vi pare possibile? L'avrò letto mille volte, non una. Ogni volta per poco mi ve­niva un infarto: ma adesso ho imparato, quando mi capita un articolo cosi prendo le forbici e mi metto a ritagliare. Perché, se si viaggia, bisogna viaggiare sul serio...

Edoardo II                    - È vero. Noi guadagnamo troppo poco.

Isabella                          - Ma perché non trovate qualcuno che vi manten­ga? Quando si viaggia prima di tutto è come se non ci si muovesse mai, in fondo ti ritrovi sempre nello stesso posto. Che tu sia a Roma, a Madrid, a Londra, a Atene, a Milano ti ritrovi sempre in una base americana, naturalmente con del folclore intorno, un po' di colore locale, si capisce. Bene, dunque, tu sei seduto da Rosati in mezzo a una banda di stronzi identica e quella del Flore, salvo che a Roma gli stronzi sono più belli... Che città riposante, Roma: mi piac­ciono i romani, non si scompongono mica per dire le loro fesserie, voglio dire che, loro le fesserie sanno dirle, le pre­sentano per quello che sono, delle fesserie appunto, tutti salvo Moravia naturalmente. No, Moravia è un'altra cosa... Be', dun­que, dicevo, sei seduto da Rosati e sfogli il tuo Monde, il tuo Express, il tuo Figaro... naturalmente mica davanti a tutti, no. Al cesso. Non sono certo esibizionista, io. In pubblico leggo Paese Sera. Nota però che in Italia non puoi leggere neanche al cesso L'Humanité né il Canard enchaìné: sono proibiti. Dunque, al cesso sfoglio il mio giornaletto fran­cese e vengo a sapere che gli Americani sono stati ancora una volta straordinariamente liberali: hanno lasciato che si fa­cesse vedere in un film un generale completamente rimbambi­to. Esco dal cesso con la bocca storta, bevo cinque o sei Campari e parlo. Mi piace parlare al tramonto da Rosati a Roma. Proprio da Rosati in aprile abbiamo trovato la defini­zione della libertà: quest'inverno la definiremo al Flore, nello stesso modo naturalmente. Da Rosati, dunque, abbiamo sco­perto che Johnson è infinitamente più dritto di Hitler. Hitler aveva paura della carta stampata, bruciava tutto; Johnson è un assassino. Johnson se ne frega. La letteratura, il cinema, il teatro non hanno nessuna importanza e nello stesso tempo ne hanno una enorme: kulturale appunto. È kultura e basta e la kultura si sa bene a che cosa serve, serve a fare delle ma­nifestazioni. ...kulturali. Niente a che vedere con la politica. A ciascuno il suo right ghetto. Si bombarda Hanoi e intanto gli studenti americani sono liberi di farsi vedere davanti alla Ca­sa Bianca con grandi cartelli: "Johnson assassino" "Johnson paranoico". Johnson dà agli studenti dei colpettini sulle spal­le: "È proprio per difendere la vostra libertà di dire le vo­stre opinioni che noi combattiamo nel Vietnam". E perché no? Gli Americani nel Vietnam combattono efTettivamente per la libertà d'espressione, per la libertà di dire tutto, di pubblicare tutto, di filmare tutto e perché questi film e questi libri - per violenti che siano - non possano minimamente impedire la realtà dei fatti: Hanoi bombardata. Ti rendi conto del van­taggio che ha Johnson su Hitler? Tu scrivi: I nostri ge­nerali sono paranoici, e Johnson ti risponde: "Ma perché no, carissimo? Perché mai un generale non potrebbe essere para­noico?".

Edoardo II                    - Sai, mica avevamo bisogno degli americani per questo. Io leggevo La Tortura di Henri Alleg mentre tor­turavano nella stanza accanto. Un capitano mi passava di tanto in tanto davanti e mi faceva la predica: "Ah, birichino. Guardalo un po' qui quest'intellettuale di sinistra che legge La Tortura, esistenzialista, va"!

Isabella                          - Non è vero. In Francia si finge ancora di crede­re che le immagini e le parole possano essere pericolose.

Edoardo II                    - Sei pazza, tu viaggi troppo e non sai più le co­se. Vuoi un esempio? In Francia proibiscono un film, la Suo­ra, la Monaca, la Madre Badessa, la Religieuse. Ah, ci dicia­mo tutti, in questo film c'è senz'altro della dinamite, bisogna assolutamente che esca. Petizioni, indignazione, sommosse. Fi­nalmente il film esce. Si sa che, sotto la spinta congiunta delle masse smaniose di libertà d'espressione, in Francia non c'è bastiglia che tenga. Si va a vedere il film. È una merda, uno schifo, robaccia. Allora era questa la dinamite, comincia a chiedersi la gente. Be', ma se è questo, allora... Operazione perfettamente riuscita. Ti fan riscaldare per della merda, nella speranza che tu finisca per considerare merda tutti i libri in blocco e i film. Per l'inverno prossimo il governo ha previsto una mossa ancora più abile: ha annunciato che farà dipingere il soffitto di Notre Dame da Niki de Saint-Phalle. Strilli, prote­ste, petizioni. La libertà finirà bene per trionfare e il soffitto sarà affidato a Bazaine dell'Ecole de Paris. In compenso Tin-guely farà il pulpito.

Isabella                          - Ah, Tinguely. Lo straordinario Tinguely! Figura­ti che in Turchia... Lo conosci il conte Rattoff? Ha una capan-nuccia in Anatolia, che è un sogno, un posto fantastico, ci siamo andati in barca da Samo. Be', quando arriviamo sulla spiaggia, che ti vedo? Una macchina inutile di Tinguely. In­somma come sbarcare e trovarsi un figlio turco davanti, prima ancora dì avere conosciuto la tua prima donna turca! Un bel colpo, non dico di no. Per tornare alla libertà il fatto che si possa dire tutto, stampare tutto non prova proprio niente quanto al grado di libertà di cui disponi. Si può dire che que­sto è uno dei più grandi successi del capitalismo: la ca­strazione delle idee. Ma quale idea regge, dimmi tu, di fronte a una bella automobile, di fronte a un bel grattacielo a una bella autostrada a una bella bomba? Ma diciamocelo sin­ceramente: nessuna. Dopo tre giorni che sono negli Stati Uni­ti, l'incomunicabilità assoluta tra film liberi, letteratura libera e fatti, la completa dissociazione tra i due, mi fa venire la nausea. È per questo che uno poi se ne va. Che formula aveva il nostro Karl Marx, Generosa, per questo genere di inconvenienti? Ricordamela per favore. Generosa            - ...

Orso                              - Un popolo che ne opprime un altro non può considerarsi libero.

Generosa                       - Ma sei in contraddizione con te stessa.

Isabella                          - Io?

Generosa                       - Ti contraddici continuamente.

Isabella                          - Ci contraddiciamo continuamente. Accusiamo noi stessi.

Edoardo II                    - Non avresti dovuto sposarlo. Non ce la farai mai a competere con un umanista.

Isabella                          - E’ quello che mi ripeto ogni mattina davanti allo specchio. Mi fa una rabbia. Ma - per parlare chiaramente come fai tu - la verità vera è che mi piacciono i soldi, mi piacciono le comodità e poi sto invecchiando e lui e un altro fa poca differenza, tanto gli uomini son tutti uguali. Un uo­mo che ti faccia sognare, ma dove lo trovi oggi? Voglio dire un uomo che tu possa ascoltare per due ore di fila senza che ti venga la voglia di sputargli in faccia e di andargli a Ietto assieme per trasmettergli la sifilide  - (quest'idea l'ho presa da un libro e mi sembra geniale). Voglio dire un uomo che tu possa guardare da tutti i punti di vista senza perderne la stima. Guarda, presentamelo e mando tutto al diavolo per lui. Un uomo stimabile! Un uomo da stimare! Uno solo, gran Dio. Ma invece no: tutti dei cialtroni. Farabutti, bugiardi e in più anche gigioni: tutti questi anni che gli sono passati sopra e che cos'hanno fatto d'altro se non far risaltare, malgrado tutti i loro discorsi, la loro impotenza, la loro vigliaccheria, la loro cretineria... Indocina, Stalin, Algeria e via dicendo. Quel­lo poi che mi ha fatto cadere le braccia più di tutti, mica per altro, perché era bello, perché la sua faccia non portava ancora l'impronta di tutte le fesserie che diceva, è stato Ca­mus: tra la giustizia e mia madre...

Edoardo II                    - Adesso piantala.

Isabella                          - Un uomo, uno solo da stimare. Credo proprio che non ce ne siano. Perciò mi accontento di un marito che straparla, ma che, almeno, viaggia: il matrimonio! Mettere in comune con un altro le proprie provviste di disprezzo. Un disprezzo lucido e reciproco, che ancora si usa chiamare af­fetto. Questo mercato comune lo faccio pagar caro, non son mica matta. Pauh, l'Amore! Quando sento pronunciare questa parola... (Fa il gesto dì sparare poi, tenera) Non sarebbe nean­che male potersi rendere conto che l'Amore è la possibilità, la sola che si ha, di offrire davvero qualcosa a qualcun altro. Che cosa mai potrò offrire io a un uomo della mia generazione? E che cosa mai un uomo della mia generazione può offrirmi? Mica pretendo un eroe. Soltanto qualcuno che non debba ver­gognarsi di se stesso.

Edoardo II                    - Insomma, il Presidente di un Consiglio di Amministrazione per esempio. (Isabella ride e lo guarda con tenerezza) Peccato che tu non scriva, dovresti farlo.

Isabella                          - Sei matto. Per dire che cosa. Ah, questa poi. Che cattivo gusto. Per fortuna tra vent'anni non resterà più niente di tutte queste merde di libri.

Edoardo II                    - E come mai?

Isabella                          - Ci sarà stata la rivoluzione...

Orso                              - Brava.

Edoardo II                    - lo sarò sui cinquanta e rotti.

Isabella                          - Altro che "rotto". Sarai morto.

Edoardo II                    - La bomba.

Generosa                       - Isabella.

Isabella                          - Ma si, certo, la bomba. Ma dove vi credete di es­sere? Quand'è che aprite gli occhi? Ah, si capisce che prefe­rireste non usarla la vostra bomba, invece la userete, carini miei, e lo sapete benissimo. Tutte queste case di campagna ma se lo sapete benissimo che sono tanti bunker: basta am­mucchiare un certo numero di quintali di zucchero davanti alle finestre per trasformarle in rifugi antiatomici.

Generosa                       - Isabella!

Isabella                          - Ah, come siete irritanti. Ma perché non volete mai guardare la verità in faccia? La guerra ci sarà, è inevita­bile. Un bel giorno, con tutte le loro automobili autostrade frigoriferi televisioni casette di campagna, un bel giorno russi e americani, malgrado tutta la buona volontà che ci mettono, non potranno evitare di venire alle mani. Gli umanisti delle due parti naturalmente non saranno d'accordo, ma che cosa può mai un umanista contro la volontà delle autostrade, delle automobili, dei gadget, delle mini maxigonne, eh, me lo sa­pete dire? Zero via zero.

Generosa                       - Isabella, adesso basta.

Isabella                          - "Isabella adesso basta". Io questo per esempio non sarei mai capace di dirlo.

Generosa                       - (si innervosisce) Isabella, Isabella! Be', e invece io lo dico. Non voglio sentir parlare della bomba. Lei non ci crede alla bomba e allora ci lasci in pace con la sua bomba... letteraria. Sa dove ce l'ha, lei, la bomba? Qui. (Si tocca la fronte) Io invece ce l'ho qui. (Si prende a piene mani il plesso) Io faccio come se non ci fosse. Per me non c'è. Ho il mio lavoro, il mio mestiere, i miei marmocchi. Prendetemi pure in giro se volete. I miei alunni sono contro la bomba se io a loro della bomba non gliene parlo mai. Gli parlo della vita, io!

Edoardo II                    - (affettuoso) Che bambocciona che sei. Mi sembra quella scultrice che continuava tranquilla a scolpire mentre a due passi da lei stavano assassinando dei bambini, con il pretesto di immunizzarli dalla bomba.

Isabella                          - Lo hai visto anche tu? Che film stupendo. Quel Losey. È vero che la scultrice era disgustosa.

Generosa                       - E ditelo, ditelo pure chiaramente che sono di­sgustosa! Io neanche vi sento. Continuo le mie sculture. Ma non mi avrete. Voi vi meritate la bomba, siete già il Nulla, voi fate di tutto per meritarvi il Nulla, io no.

Isabella                          - Ce la prenderemo in pieno sulla zucca e sarà più che giusto. Naturalmente, prima, cercheremo di buttare le porcherie che fabbrichiamo su qualche innocente, ma l'Africa, l'America del Sud sono troppo estese, capace che le bombe li si disperdano, non siano efficaci. Cioè che non riescano a di­struggere per un valore equivalente al loro costo. E perché mai poi si dovrebbe andare a bombardare l'Africa, se quel che si deve far saltare in aria sono proprio le fabbriche di automo­biline, le fabbriche di ordinatori elettronici? Ma perché fai quella faccia, Generosa? Noi ormai abbiamo fatto il nostro tempo, La sola via d'uscita per il terzo mondo è il suicidio delle nazioni industriali, la sola possibilità perché il terzo mon­do "decolli" per usare il verbo che usano in quelle stron­zate di congressi: "decollare" che parola divertente, la usa­no anche per indicare le estasi degli spettatori di happening, vero? Dimmi Orso, un happening di questo genere, il suicidio delle nazioni industriali, non sarebbe neanche tanto male co­me matrice di una nuova cultura, vero?

Orso                              - Mi sembra che lei non faccia che ripetere i discorsi di quel Régis Debray che Edoardo I mi ha dato da leggere...

Edoardo II                    - Sei fuori strada, Orsettino mio. Debray parla della "revolucion", mica della bomba.

Orso                              - Scusa tanto. Debray dice che per un figlio di bor­ghese il solo mezzo di uscire dalla condizione di figlio di pa­pà è quello di suicidarsi. (Risa) Di suicidarsi in quanto mem­bro della sua classe: deve quindi diventare un contadino che si batte con gli altri contadini in armi, che si confonde con loro, vi si integra...

Edoardo II                    - Vieni al sodo. E parla un po' più in fretta...

Orso                              - Per aiutare quelli che crepano di fame, bisogna che chi ha la pancia piena si suicidi: la bomba, via.

Generosa                       - Ma non si va a fare il bagno, oggi?

Edoardo II                    - (a Isabella) Tu dovresti sposare un negro.

Generosa                       - Isabella dovrebbe lasciare il suo Genio e tro­varsi un lavoro.

Isabella                          - Che cattivo gusto. Prostituirmi con un uomo, è già abbastanza mi pare. Non ho mica voglia di prostituirmi con tutti.

Edoardo II                    - Ma Generosa mica ti diceva di battere il marciapiede...

Isabella                          - Ma l'avevo capito, sai! Però che lavoro posso fare, dimmi tu. Non ho nemmeno la licenza della scuola me­dia. Non sono nemmeno una figlia di proletario: sono la figlia di un sottoproletario... Che lavoro potrei fare dunque, ve­diamo un po'. Direttrice di teatro. Direttrice di una galleria d'arte. Redattrice di moda. Direttrice di un'agenzia di viaggi. Direttrice di un'agenzia immobiliare. Public-relations... Come vedete, mi sono data da fare e mi hanno fatto anche delle proposte. Bene, io questi mestieri qui li lascio alle altre, non ne voglio sapere. Se devo proprio fare la prostituta, preferisco vendere il mio corpicino ad uno stronzo solo, piuttosto di prostituirmi su vasta scala col rischio poi di prostituire come sovrappiù dell'altra brava gente.

Generosa                       - Io lavoro e non mi sento affatto una prostituta.

Orso                              - Di solito dici il contrario.

Generosa                       - Una professoressa non è una prostituta.

Orso                              - Una ragazza che si dice comunista e che poi inse­gna Malherbe a dei borghesi figli di puttana...

Generosa                       - Ah ah. Non ci sono mica soltanto i figli dei borghesi nelle scuole.

Orso                              - E tu ti vanti forse di insegnare ai figli dei proletari la tua merda di cultura? Quanti scolari hai nella tua classe?

Generosa                       - Cinquanta. La mia merda di cultura! Io insegno il programma.

Orso                              - E quanti figli di operai?

Generosa                       - Neanche uno. Ma il due e mezzo per cento de­gli allievi delle scuole superiori sono figli di operai.

Edoardo II                    - Questo due per cento si trova tra i cinquanta allievi del tuo collega, vero? Sei sfortunata, Generosa mia.

Isabella                          - Del problema del lavoro potremo sempre ripar­larne. Sapete, ci ho ripensato.

Generosa                       - Inutile tornarci sopra. Non sono una prostitu­ta. So benissimo che insegno delle futilità a dei figli di put­tana. Eppure non sono una prostituta. Non sono del tutto inu­tile. Alla fine dell'anno le mie classi non sono mai uguali a come erano in ottobre. Io li tengo svegli, i miei marmocchi, rideteci pure sopra. Gli insegno a leggere un libro, un gior­nale...

Edoardo II                    - Il Monde...

Generosa                       - Imparano a leggere quel che si legge nella so­cietà in cui devono vivere. Imparano quindi, questa società, a capirla un po'. Non permetterò a nessuno di sparlare di questi ragazzi di sedici, diciassette anni anche se i loro geni­tori sono dei porci borghesi.

Edoardo II                    - Lo siamo tutti degli ex-ragazzi di diciassette anni e dobbiamo tutto a quel tale insegnante che credeva alla "vocazione". Però, oggi, malgrado questo caro, questo perfetto insegnante, oggi siamo quello che siamo, punto e basta.

Generosa                       - Questo non mi interessa. Quel che farete dopo che io avrò terminato il mio lavoro non mi interessa, ma il mio lavoro io lo faccio bene. Be', adesso vado a fare il ba­gno. Mi pare proprio che stavolta abbiate passato il segno. Fortuna che quell'altro bel campione non è qui, altrimenti non ci metterebbe né ai né bai a darmi addosso anche lui. Qui si esagera davvero, guarda un po' questi magnaccia felici di avere due puttane che gli danno da mangiare ma soddisfatti solo se possono anche sputare nel piatto...

Isabella                          - Chi sono i due magnaccia?

Edoardo II                    - Edoardo I e Orso: Generosa e io li mantenia­mo perché possano in tutta libertà di spirito partorire opere sublimi, uno la Pittura, l'altro la Poesia. Io comunque li ca­pisco: le divinità sono immateriali per definizione e poi, dico la verità, mi piace anche che le divinità mi sputino addosso.

Orso                              - Ma andate un po' a quel paese. Mica ve l'ho chie­sto io di farmi venire. (Silenzio. Attimo di riflessione generale)

Isabella                          - Mi piacerebbe che cadesse mentre sono da Ro­sati. Poter vedere la loro faccia mentre sta cadendo. Morire in Piazza del Popolo di fronte al Pincio ai piedi della chiesa di quella Maria che fu una puttana, è il massimo dell'in: ne converrete, spero. (Generosa esce di corsa)

Edoardo II                    - Mi pare adesso che tu stia esagerando. Proietti la tua prostituzione...

Isabella                          - Lascia stare i discorsi difficili, ti prego. Ne sen­to abbastanza tutto il tempo da lui quando non posso fare a meno di starlo a sentire. Tutte quelle frasi stronze che poi ritrovo nelle sue tribune libere e nei suoi articoli a puntate, eppure mi sento meno puttana cosi che se mi guadagnassi la vita, vendendo appartamenti.

Edoardo II                    - Guarda però che non tutte le donne vendono appartamenti.

Isabella                          - Ma si, pili o meno è cosi o qualcosa di equi­valente. È proprio questa la famosa emancipazione dell'euro­pea: il diritto di partecipare alla vendita, di stare nel punto di vendita. I maschi borghesi non sapevano più dove battere la testa. Tante botteghe da dover aprire e' chi le tiene, poi? L'unica era liberare le femmine. Così le femmine almeno pos­sono occuparsi della bottega. E da allora, via che si com­pra, tutti comprano comprano e le donne sono libere, liberis­sime di comprare e libere di vendere e poi libere anche di aiutare a vendere, nota. Tutte quelle povere criste che fanno l'articolo per il giornaletto femminile, ma anche per il Nouvel Observateur o per- ('Europeo, intendiamoci! Comunque, il pun­to su cui sono tutti d'accordo è che non c'è più tempo da per­dere; quindi basta con l'aborto in Svizzera, troppo lungo se si considera il viaggio e il resto, meglio la pillola, si fa prima. Questa si che è un bello specchietto per le allodole. Quel che si può dire con certezza è che il maschio borghese ha strettamente associato ormai la femmina borghese allo sfrutta­mento borghese. Emancipazione! Se è questo il prezzo che si deve pagare, francamente ci rinuncio. Preferisco il mio statuto di cane, di cagna da guardia.

Edoardo II                    - Mi pare che hai sviscerato la questione troppo a fondo. Comunque io me ne vado un po' in spiaggia adesso. Oh, ma è già l'ora di pranzo. Che meraviglia! Vieni, Isabella. Andremo sul prato accanto alla scogliera. Daremo un addio straziante al melo, prima di consumare alla sua ombra il no­stro delizioso pic-nic. L'addio è d'obbligo perché quel melo li, il nostro ingegnere non se lo lascerà mica passare. Gene­rosa verrà con i suoi fiori, io con i miei viveri, Orso col vino, tu e Edoardo con dei bei discorsi. Il melo ci starà a sentire per l'ultima volta. Come ciò è soave e nello stesso tempo strug­gente. (Sì allontana saltando su un piede solo)

Isabella                          - Vai, vai...

Scena decima

Isabella contempla il quadro di Orso.

Orso                              - Era la regina quella che pensava ancora a cogliere papaveri un istante prima che le tagliassero la testa?

Isabella                          - Si, Maria Antonietta sapeva fare dei magnifici mazzi di fiori... Mi piace davvero la tua pittura, sai. È pro­prio violenta. Questa minuzia, quest'applicazione, questo gusto del particolare... si potrebbe quasi dire questa scrupolosità femminile"... (Ride) Lo conosci Arcimboldo? No? Peccato. È un pittore che... I tuoi ritratti sono come i suol Lui si serviva di pere mele ciliege cetrioli e altri legumi per comporre un viso. Tu ti servi degli elementi abituali. Metti gli occhi al po­sto degli occhi, il naso al posto del naso, ma si sente però che quegli occhi e quel naso non esistono solo in funzione del viso a cui appartengono: no, quando tu dipingevi'un naso, vo­levi fare un naso e basta. Il naso per il naso, insomma. E nell'occhio che fai tu, c'è tutta la curiosità per un occhio in sé. Anche la bocca, forse che è la bocca di Generosa? No, è "la Bocca". A un accademico, certo, il tuo quadro non piace­rebbe. Non si ha il diritto di guardare con tanta intensità e indiscrezione ogni particolare di un viso. Se tu ti. fossi accon­tentato di dipingere in questo modo la bocca, per esempio, la cosa poteva ancora passare: si sarebbe potuto credere che avessi voglia di baciarla. Ma cosi... Per concludere, sai che è molto manierato il tuo ritratto? È un blasone. Sai che cos'è un blasone? Blasone di un viso di donna. "Manierato", credimi, non è un insulto. Leggi mai tu? Conosci Virginia Woolf? Guarda, devi leggerla assolutamente. Ha un modo di usare la lente di ingrandimento che, per finire, è molto violento. Oh, come mi sento bene adesso. Non ho più un grammo di angoscia. Dio com'ero angosciata quando sono arrivata qui stamattina. Si vede che adesso ho trasmesso la mia angoscia a qualcun altro. Ma a chi? (Ride) Mi piace quel che fai, mi sento piena di stima per te. E poi sei così giovane: quanto mi piacciono i ragazzini. A parte il mio cattivo carattere... Comunque io, te li ascolterei per un'ora e anche due. Tanto più che tu non parli. Agisci. Dipingi. Ti accanisci su un oc­chio. Sulla fossetta del mento. Sei bello. Non sei soltanto bello come sono belli tutti i ragazzi. Non è solo questione di fre­schezza. Sei bello come sono belli quei ventenni gravi, serii, misteriosi che discendono dalle montagne e foreste per con­quistare le città. Come quel guerriero che combatteva col drago. Orso, ho voglio di baciarti, via. Baciami, Orso. (Si baciano)

Orso                              - Credi che dovrei smettere di dipingere?

Isabella                          - Ci sono momenti in cui si deve smettere di di­pingere e aspettare che la pittura diventi di nuovo possibile.

Orso                              - E intanto grattarmi l'ombelico, sei matta.

Isabella                          - Volevo dire questo: ci sono momenti in cui si può solo costruire un mondo nel quale la pittura sia di nuovo possibile, un mondo in cui la pittura trovi di nuovo il suo posto.

Orso                              - Che fare? Dimmi: che cos'è un marxista volgare?

Isabella                          - Un marxista volgare? Perché me lo chiedi? Che vuoi? Siamo tutti dei marxisti volgari. Senz'altro: guarda per esempio la Rivoluzione surrealista. Tutto quello che ne abbiamo saputo ricavare è stato un manichino senza testa con un rospo al guinzaglio messo in una vetrina per vendere per esempio un reggipetto. Lo stesso vale per il marxismo. Tutti siamo più o meno marxisti fino al momento in cui non lo siamo più e ripieghiamo su una posizione sentimentale. Al­lora ci mettiamo a declamare: "Tra la giustizia e mia madre, scelgo mia madre".

Orso                              - Mica tanto gentile nei confronti della madre. Che cos'è questa storia?

Isabella                          - Oh, una storia vecchia. Roba della mia genera­zione. La vita.

Orso                              - Dammi degli esempi di marxismo volgare.

Isabella                          - Degli esempi! Tutte le volte che c'è sotto il trucco. Tutte le volte che ci si rifiuta di analizzare a fondo una questione complessa, che ci si rifiuta di descriverla in tutta la sua complessità. Questo non vuole mica dire che la scelta da fare sia complicata, che l'azione ad esempio non sia possibile.

Orso                              - Spiegati meglio.

Isabella                          - No, questo momento no, lascia stare. Per una volta tanto sto bene. Ho trasmesso la mia angoscia ad altri. Mi rifiuto quindi di rispondere. Non si finirebbe più. Siamo tutti dei marxisti volgari. Basta vedere i nostri discorsi sul tale o talaltro argomento. Tutti questi piccoli frammenti di verità che siamo cosi incapaci di collegare insieme e che servono giusto a tenere in allenamento le corde vocali e soprattutto a non metterci mai personalmente in causa. Tutte le volte che con l'aiuto del nostro marxismo da gente di mondo, troviamo delle scuse alle nostre viltà, alle nostre porcherie, alle nostre debolezze. Oh accidenti. Dovrei essere più precisa, lo so, ma devo stare attenta, sii comprensivo, devo stare attenta a non ripiombare nell'angoscia. Se avessi detto per esempio a Ge­nerosa che le vacanze in casa di una puttana lei mica le ri­fiuta però...

Orso                              - Non ti va Generosa?

Isabella                          - Non mi va Generosa? Ma allora non hai capito niente. Oh no! Non hai il diritto di dire che non mi piace Generosa! (Si mette a piangere) La conosco bene. La stimo. Lei, vedi, la stimo. Non è stata certo tenera con te.

Orso                              - Generosa può dire di me quello che vuole, tanto so bene che non Io pensa. Ora non metterti a piagnucolare. Ti ha ripreso l'angoscia eh?

Isabella                          - No. Non sono angosciata -quando piango.

Orso                              - Dimmi una cosa, ma ti sei fatta fregare da una che vendeva appartamenti?

Isabella                          - Quella che frega me, ha ancora da nascere. Non hai fame, tu, di' un po'?

Orso                              - In India, hanno fame.

Isabella                          - Oh ragazzino, caro ragazzino. Hai proprio l'aria di un bravo ragazzino pieno di buona volontà quando parli cosi. Ma non è il tuo genere. Sta attento: questo era un esem­pio di marxismo volgare. Non è il tuo genere, Orsino mio. Vieni, vieni, andiamo sotto il melo.

ATTO SECONDO

Scena vuota. Entra Franzi. Guarda stupito i giornali per terra. Cammina facendo attenzione a non calpestare una rivista. (Mi ricordo di un giovane idraulico che attraversava il mio salotto come se camminasse sulle uova: Franzi è cosi). Si ferma a osservare il quadro. Entra Orso. Carico come al solito       - (di ce­stini, di cuscini, di tovaglie). Butta tutto da qualche parte e alle spalle di Franzi, lo guarda guardare la sua opera. Gli dà una gran manata sulle spalle.

Scena prima

Orso                              - Franzi!

Franzi                            - (parla in dialetto alsaziano) Sag jetz besh a artiste. S'esch justc denn da kaasch's            - (Adesso sei un artista. Niente di più giusto dal momento che ci sai fare)

Orso                              - Ti piace?

Franzi                            - Das glaub i! (Silenzio) Sag, haasch a velo? (Ec­come, senti un po' ce l'hai la bicicletta?)

Orso                              - Si si, ma acqua in bocca. Non dire niente davanti a loro, non sanno niente.

Franzi                            - Ya haasch'nit gsait? (Non glielo hai detto?)

Orso                              - No. Glielo dico poi. Li vedrai... buuh! Simpatici, ma... (Gesto nel senso "bisogna provare a viverci insieme per capire")

Franzi                            - Dà besch ganz so distingue. Mi rispondi sempre in lingua. Haasch vergassa wia der d'Schnurra gwagsa esch? (Fai il distinto. Ma parla un po' come mangi)

Orso                              - Piantala Franzi. Parliamo in lingua, è molto meglio guarda. Attento alle donne, poi: l'alsaziano non lo conoscono per niente. Generosa è già abbastanza seccata per questo mo­tivo. Quando ci mettiamo a parlare alsaziano davanti a lei, sembra una di quelle oche del Ministero... (Entrano gli altri)

Scena seconda

Arrivano in scena come un temporale: Generosa, ridecorata di fresco. Interi rami di melo fiorito nei capelli. Edoardo 1 e Edoardo II urlanti. Isabella sorridente, in stato puramente vegetativo grazie a una momentanea assenza di angoscia. Le loro voci si sovrappongono.

Isabella                          - Povero melo, ne avrà sentite di belle. Ma perché poi ce l'avranno coi meli gli ingegneri del Genio Civile?

Generosa                       - Edoardo! Edoardo! Ma comportati un po' civil­mente. Almeno non gridare cosi quando c'è gente. Non hai visto l'amico di Orso?

Edoardo I                     - Le scarpe! Hanno abbandonato le scarpe! E questo ti fa ridere, carogna! Sei una carogna e basta. Un aria­no, ecco quel che sei. Uno sporco ariano.

Edoardo II                    - Ma vai al diavolo. (Silenzio assoluto. Prendo­no le sedie a sdraio. Si siedono e guardano Orso e Franzi. I due Edoardi sembrano immersi in un sogno)

Edoardo I                     - (come se parlasse a se stesso) Hanno abbando­nato le scarpe. Lo sapevo che ci sarebbe toccato un altro Pa­ris Match con la fotografìa degli scarponi abbandonati nel Si­nai. Ormai la tirano fuori a scadenza fìssa, si sa. Scarponi nella sabbia. Natura morta. 1 francesi han bisogno di vedere di tanto in tanto un po' di roba perduta da qualcuno che scap­pa. Valigie, borsette, bambini perché no? Nell'arabo che se la dà a gambe, disprezzano il francese che se l'è data a gambe quando gliene è capitata l'occasione. Provatevi un po' a ne­garlo. La maratona è uno sport che i francesi conoscono bene. Basta che Hitler metta fuori il naso. Hitler e i suoi ariani, e in due giorni - non ne occorrono mica sei come agli egiziani - in due giorni tutte le nostre belle strade francesi saranno piene delle cianfrusaglie seminate dai francesi. Come se me Io potessi dimenticare... Ho certe immagini in testa, qui, come se fossero fotografate. Mi sembra oggi, mi sembra. Allora ave­vo tredici anni. Ma mi è rimasto impresso, eccome, se mi è rimasto impresso. Qui (Si percuote il petto). Che vergogna. Che cacasotto. Ma quel che mi fa schifo è che i conigli, dopo essersi messa la coda tra le gambe - ma insomma, corrono ancora! Quand'è che hanno smesso di correre? quel che mi fa schifo, dunque, sono i conigli che sentono il bisogno di proiettare la loro bassezza sugli egiziani. Odiare se stessi at­traverso gli altri: ma vi pare pulito? (Nessuno gli risponde)

Edoardo I                     - (a Franzi) Senti un po', Giovanni.

Generosa                       - Non si chiama Giovanni, si chiama Franzi.

Edoardo I                     - (a Franzi) Dimmi un po', Franzi, tu che ne pensi della guerra arabo-israeliana?

Generosa                       - Non rispondergli, Franzi. Cerca rogne. (Silen­zio).

Edoardo I                     - Mirabolante sinistra francese. Mi capita ancora qualche mattina di svegliarmi senza illusioni e se mi guardo allo specchio, allora, io, francese di sinistra... Senti come suona buffo "francese di sinistra"? Fa ridere, no? Come dire pacifista americano. Comunista russo. Tedesco antinazista. Italiano cinese. (Risata di Isabella) Finisco comunque per ren­dermi conto, mi rendo conto in un lampo che non ho più nessun diritto di giudicare, che non ho più il diritto di avere la minima opinione su niente, data la quantità di volte in cui non sono stato avvertito, data la quantità infinita di volte in cui sono stato preso per il culo. Allora, tanto per riassu­mere, grazie a quell'intuizione poetica di sinistra che natu­ralmente posseggo, sento che grossomodo la sinistra è l'avve­nire, ma sento anche che io, francese di sinistra, siccome tanto sono un tarato, un condannato e un coglione, posso fare soltanto una cosa, non ho altra scelta che quella di se­guire servilmente, senza stare a raccontarmi delle balle, la linea mediana della sinistra mondiale. Come si dice a scuola? Il minimo comun denominatore. E che cosa dice la sinistra mondiale? Russi... (Risa) ...cinesi... (risa, ma di altro genere) ... cubani... (applausi prolungati e lusinghieri)

Edoardo II                    - Rumeni!

Edoardo                        - (esplodendo) Rumeni! Parliamone un po' dei rumeni! Sono i soli che non hanno aspettato i nazisti per far fuori tutti i loro ebrei. Un popolo antisemita fino alla punta dei capelli. Adesso credono di potersi salvare l'anima facendo qualche salamelecco a Israele. Figurati. Ma dunque che cosa dice, adesso, la sinistra mondiale? (Nervosismo) Dice pressa poco la verità su Israele e io la ripeto come un eco. So che sono nel giusto anche se non posso provarlo, dato che il mio cervello oramai è abbrutito da venticinque anni di retorica.

Edoardo II                    - (mezzo addormentato) Venticinque anni. La fai cominciare dalla Resistenza la tua retorica? (Silenzio)

Isabella                          - (a Franzi) È venuto qui in bicicletta da Moul-house, lei? Fantastico! Dite quel che volete dei giovani: sa­ranno magari dei porci come gli altri, ma almeno di fiato ce n'hanno. Fiato, muscoli, gambe, corde vocali! E poi diciamolo chiaro: carini da morire. È questo il solo valore che resiste, miei piccoli eroi, con i tempi che corrono, i partigiani bido­nati e gli algerini pacificati: il fiato, la giovinezza, le gambe. Ecco quello che conta e noi l'abbiamo perduta, ahimé, è finita, sparita anche questa piccola, infima grazia. O giovinezza mia, dove sei dove sei? Se continuo cosi e non faccio subito ma proprio subito la mia siesta, finirò con l'essere molto, ma mol­to angosciata... (Ampio sorriso. Isabella ha mangiato e be­vuto parecchio e si vede. Edoardo II si sistema più comoda­mente nella sdraio, prende un fazzoletto di tasca e sta per metterselo sul viso)

Edoardo II                    - Chi ha detto che lo Zwickert non viaggia? Non era perfetto forse il mio Zwickertino?

Isabella                          - Perfetto, tesoro. Dormi adesso. Era squisito. Squisito. Tre farfalle celesti hanno volato intorno al mio bic­chiere e mi son detta: "Mio Dio, delle farfalle celesti!" Era bellissimo. Il bicchiere si era appannato. Ho avuto anch'io la mia visione, Generosa. Ma l'anno prossimo ci penseranno le ruspe a distruggerla, la mia visione, cosi fragile, cosi impal­pabile... ahi, ahi, sento che l'angoscia monta, oh oh sta mon­tando, mi monta... (Annaspa, cerca qualcosa, si precipita sul fazzoletto di Edoardo II, lo afferra, se lo mette sul viso. Edoar­do II senza scomporsi, se ne toglie un altro di tasca, lo spiega e si copre la faccia)

Edoardo II                    - Edoardo carissimo, lo vuoi anche tu, un faz-zolettino?

Generosa                       - Danne uno a me. (Edoardo II tira fuori di tasca un terzo fazzoletto. Generosa se lo mette sul viso. Orso tira le tende. Penombra. Franzi e Orso restano in piedi)

Edoardo I                     - Questa sinistra francese, però. Da tanto tempo sogna di avere il suo para. Ma non le riusciva mai di trovar­ne uno abbastanza puro, abbastanza di sinistra. Per carino e eccitante che fosse, non quagliava mai tra la sinistra e lui. Ed ecco, insperato, piovuto proprio dal cielo il para di sinistra, l'israeliano. Che fretta che hanno avuto, l'avrai notato, a battezzarlo "para di sinistra": finalmente gli pareva di poterlo fare senza vergogna, forse che potevano lasciarsi scap­pare l'occasione? Biondo, occhi celesti, sorriso irresistibile, con un non so che di infantile, seduto sulla riva del Canale in una poltroncina di vimini... che schifo. L'ho visto su Match, sull'Express, su Témoignage chrétien, l'hanno ado-prato per la copertina del Nouvel Observateur e per un mo­mento si sono chiesti perfino al Monde se non fosse il caso di pubblicargli la foto... per una volta mica cascherà il mon­do... era cosi sexy e mica capita tutti i giorni di trovare qual­cosa di sinistra che sia sexy, eh no, perbacco. (Leggermente deluso) A me pare invece che la coda ce l'abbia triste questo para! A me mi pare che certi intellettuali di sinistra avrebbero interesse a farsi scopare un po' di più, almeno gli si sgom­brerebbe il cervello, comincerebbero a pensare un po' più come si deve: si spera, almeno.

Edoardo II                    - Sono finalmente riuscito a mettere le mani su un buon vinaio a Parigi. Adesso che so dove comprare il pane, il burro, il caffé - all'Opera - la carne        - in rue Marbeuf - i dolci - a Auteuil, l'insalata - alla Roche Gouyon, credo che non cambierò più. Ormai sono a posto. Eppure in fin dei conti a me basterebbe un bicchiere di cham­pagne e una fetta di salmone fumé per nutrirmi... come An-quetil. Sarà banale, ma come si fa a cambiare alla mia età, Edoardo? Ho già trentatrè anni.

Edoardo I                     - Tre minoranze, tre categorie di sfruttati ave­vano interesse a che le cose cambiassero: sono state tutte recuperate. Prendiamo il buon francese medio, il solito Mon-sieur Dupont. Non occorre che ve lo descriva. È il buonsenso personificato, la buona coscienza. È un tizio che non rinun­cerebbe per nulla al mondo alla buona opinione che ha di se stesso e degli altri Dupont, miei cari concittadini! È un tizio che non acconsentirebbe mai a vedersi in tutta l'am­piezza del suo immenso squallore: troppa paura di un trau­ma che Io costringa a desiderare di cambiare le cose. No, non c'è pencolo, Monsieur Dupont non cambierà. Il caso di Madame Dupont invece è più incerto. Anche se alla base è una borghese orrenda, uno sprazzo, di tanto in tanto, lei ce l'ha. E questo perché Madame Dupont è la proprietà di Monsieur. E qualche volta, quando le cose non filano tutte lisce, si rende conto perfino lei di essere la proprietà di un mascalzone. Allora, anche se è una borghese, si mette a desi­derare tempi migliori, un mondo in cui la sua vita non sia più alla mercé di un piedipiatti qualsiasi, ma dove lei possa pren­dere le sue decisioni da sola: il mondo, insomma, della don­na emancipata, mi avete capito tutti, stile Simone de Beau­voir. La quale ha dimostrato molte cose ma soprattutto una, secondo me: non è detto che si debba essere delle merde sol­tanto perché si è nati borghesi. Bene, tutte queste brave si­gnore finché erano escluse dal regno dei loro padri, mariti, fratelli e figli maschi riuscivano qualche volta a immaginarsi un tipo di donna diverso. Sarebbe bastato cambiare appena un po' l'ambiente, trasformare un minimo la società.

Orso                              - La rivoluzione!

Isabella                          - Al diavolo. Non la vogliono più la rivoluzione adesso le donne. Adesso si sentono libere, emancipate senza bisogno di rivoluzione. Ormai c'è la PILLOLA. Sono tran­quillizzate, calmate, è finita l'angoscia, sono state recuperate.

Edoardo I                     - È proprio quello che volevo dire. Dunque le donne non saranno più le alleate obiettive come sta scritto nel catechismo della rivoluzione.

Isabella                          - No certo, ne fanno benissimo a meno. Si vive una volta sola. Allora bisogna fare di tutto: ci vuole qualcosa di bello, di buono, di dolce e tante belle scopate senza an­goscia né coi'tus interruptus in quel breve periodo che ci è concesso, cosi breve, troppo breve ahimé. La rivoluzione! La rivoluzione è una bella cosa; ma mentre la si aspetta "si ha ben diritto di vivere un po' la propria vita", no? Ah l'amore. Dal loro punto di vista la pillola e la minigonna sono delle rivoluzioni. Da quando le vietnamite portano dei miniperi-zoma, infatti, gli americani hanno smesso di buttargli addosso il napalm. (Silenzio) Che cosa c'è Edoardo? Che cosa ti rode? Qual è il tuo problema?

Edoardo I                     - Io preferisco che ci si faccia il sangue marcio.

Isabella                          - Abbi fiducia per una volta nella mia femmini-tudine, Edoardo. Passata la prima euforia, le donne si rende­ranno presto conto che la pillola e il diaframma, beh, sono un po' meno rivoluzionari di quello che loro credevano: non cambiano mica tanto le cose... E d'altra parte per rendersi conto che la pillola è una truffa, prima di tutto bisognerà bene provarla, no? Quindi, per cominciare, bisogna averla.

Generosa                       - Certo che il prezzo dei trasporti pubblici, la pillola non lo cambia mica, si capisce. Certo che, con la pil­lola, mica si costruiscono le scuole. Ma vuol sapere una cosa, Isabella? E su questo argomento la penso come Edoardo: io credo cioè che la pillola non risolverà nemmeno quei problemi che, per definizione, è destinata a risolvere. Quelli che si fanno il sangue marcio, come dice Edoardo, gli operai non qualificati, i sottoproletarii, gli operai che non hanno il mi­nimo embrione di coscienza rivoluzionaria per cui non sono neanche al Partito, che recluta tra gli operai qualificati, i quadri, i professori, gli abbonati del TNP, quelli che insomma, quando applaudono, lo fanno in cadenza... (Generosa leva gli occhi al cielo per ritrovare il fdo) ... dunque dicevo... Ah si, le mogli di questi sottoproletarii voi non avete idea il sangue marcio che si devono fare. Sono convinta che la pillola non gli darà nemmeno la libertà di decidere se fare figli si o no. Per poter decidere, per poter scegliere, non basta la vista delle dame del Planning Familial in tailleur Chanel, per poter scegliere ci vogliono prima di tutto delle condizioni di vita decenti. Allora soltanto queste povere donne potranno de­cidere se sia il caso o meno per loro di fare bambini. Per il momento, visto che devono farsi il sangue marcio, decidono che se lo faccia il maggior numero di gente possibile, cosi figliano a più non posso. Le capisco, eccome.

Edoardo I                     - Quindi le approvi.

Generosa                       - Le approvo, certo. A me piacciono i bambini.

Edoardo I                     - Ahi ahi.

Generosa                       - A me piacciono i bambini. Mi piacerebbe avere un figlio. Vi odio tutti, vi odio. Ne ho fin sopra i capelli di voi tutti. I vostri discorsi li conosco a memoria: ormai siete fottuti, finiti. Io voglio un figlio per ridarmi coraggio. Parole parole parole: è il ventre che Io vuole, il mio ventre!

Edoardo II                    - Fosse per me, te ne darei uno più che vo­lentieri ma "oh Signore, non sono degno di entrare nella tua casa".

Isabella                          - Su, finitela, dai. (A Generosa) Non tormentarli cosi, poveri maschi.

Edoardo II                    - Tutto il disprezzo del mondo si rifugiò in questa frase.

Isabella                          - Poveri maschi: sono costretta a ripeterlo. Non siete davvero interessanti. Per fabbricare un maschio di qual­che interesse bisognerebbe poterlo fare senza il vostro con­corso. Per fare un uomo voglio dire che sia un uomo, come lo si intendeva una volta. Ma se vi ci mettete voi, per carità. Ci vorrebbe lo Spirito Santo: Dio aveva ragione.

Orso                              - La rivoluzione! (Risate) Allora non la si fa, prima di tutto per colpa delle donne, in secondo luogo per colpa dei...

Generosa                       - Ma sei proprio un merlo. Non stai neanche attento. Ti lamenti che lui ripete sempre lo stesso numero e poi sei il primo tu a stuzzicarlo.

Edoardo I                     - Per colpa dei proletari. I proletari hanno due consolazioni: la Russia, che è la patria di tutti i lavoratori. E il loro onore. Per l'onore hanno la Due Cavalli grazie alla quale sanno farla vedere loro alle Alfa, alle DS che tentino di sorpassarli. Mentre venivamo qui, abbiamo trovato una Due Cavalli, che non ci ha lasciato passare per almeno due­cento chilometri. Naturalmente era un operaio: l'avrei am­mazzato. Comunque cosi loro son soddisfatti, hanno la di­gnità, che volete di più? La rivoluzione è per... ieri e, come direbbe un presentatore televisivo, il risultato di lascia e rad­doppia questa settimana non è cosi "rivoluzionario" come si poteva sperare. (Generosa e Isabella si coprono il viso con i fazzoletti. Orso si diverte a vedere l'espressione di Franzi)

Orso                              - Adesso tocca agli ebrei, (Edoardo II si toglie una scarpa)

Edoardo I                     - Gli ebrei. Idem come per le donne. Anche se erano ormai assimilati al cento per cento, anche se i Cohen erano diventati De Kon, sentivano vagamente, di tanto in tanto e in modo molto intenso, che c'era qualcosa che non funzionava in questa società. Non riuscivano mai a sentirsi completamente bene, mai completamente a posto nella pelle di Monsieur Dupont. Trentasei volte al giorno i Dupont li costringevano a guardare in faccia la realtà, per cui gli ebrei non potevano dimenticarselo mai di che cosa è fatta la pa­tria borghese. Devo scendere nei particolari, forse? Mi pare inutile. Cosi gli ebrei si sono messi a immaginare una società che fosse organizzata in modo da risolvere il loro problema che è poi il problema di tutti i paria, di tutte le pecore nere, proletari, donne, negri ecc. Agli ebrei l'immaginazione non manca: prima avevano inventato il Messìa. Ma il Messìa si faceva aspettare, allora hanno finito per contare solo sull'uo­mo: il comunismo! Basta rileggere la storia del comunismo per rendersi conto che a scriverla sono stati gli ebrei. Basta rileggere Hitler per rendersi conto di come in ogni ebreo lui ci vedesse un bolscevico in potenza! Dopo il 45, dopo la vittoria di un "fascismo ragionevole e umano"...

Edoardo II                    - Ammetti, allora!

Edoardo I                     - Ammetto. Mi sono battuto per dei fichi secchi. Dopo il 45 dunque si è deciso, o piuttosto è stata la storia a decidere che bisognava variare il menu, che era meglio cambiare di vittima. Allora come bersaglio si sono presi i malgasci, gli arabi. Bisogna dire che non ne restavano più molti di ebrei da far fuori. Quelli che restavano, poi, i super­stiti, bisognava soprattutto evitare che si mettessero a riflet­tere, che cercassero di capire ad esempio come mai questi francesi cosi sublimi non avevano firmato delle petizioni, del­le pagine intere di appelli su France-Soir il giorno in cui i poliziotti francesi si erano messi a rinchiudere gli ebrei nel Vel d'Hiv, bisognava soprattutto che non si chiedessero come mai tanti bravi francesi si erano data la pena perfino di scen­dere in strada - che coraggiosi, accidenti! per attraver­sarla e entrare nel commissariato di fronte: "Buongiorno, si­gnor commissario. Lo sa, lei, che nella casa dove abito io, vede? Quella li. C'è ancora una famiglia ebrea! Come mai?" Perché questi meravigliosi francesi venuti dal mare conser­vano ancora una caratteristica originale: la delazione. (Gene­rosa si alza in piedi, prende lo specchio e costringe Edoardo 1 a guardarsi) Corrono più svelti di tutti e denunciano: sono spie-sprinter proprio! A questo punto ci voleva che gli ebrei diventassero ignobili come i Dupont, se no si sentiva troppo la stonatura. Per riuscirci, la prima cosa indispensabile è ave­re una patria. Quindi Israele. In questa nuova forma di ghet­to hanno il permesso di essere tutto: nazionalisti, guerrafon­dai, contadini come un qualunque Dupont. Cosi quando il signor Dupont lo infastidisce con le sue osservazioni sulla «razza ebraica», razza a parte ecc., l'ebreo che è rimasto in Francia- (chissà perché, poi?) può almeno gorgheggiare: "Ma no, signor Dupont, noi non siamo una razza a parte, mica siamo diversi. Guardi Israele: abbiamo anche noi i nostri contadini, i nostri patrioti, i nostri para e perfino delle ragazze-para!" Che schifo. Di colpo gli ebrei si sentono a posto. Hanno una dignità: Israele. Naturalmente l'antisemi­tismo continua, ma che importa, il giorno in cui qualcuno si rimetterà a scaldare i forni, ce ne andremo tutti a Israele... Gli ebrei non si aspettano più dalla rivoluzione la scomparsa dell'antisemitismo. (Silenzio) La prova migliore che il comu­nismo non è l'ultimo fine della società sovietica è che in Russia persiste l'antisemitismo più abbietto. Forse che l'uomo nuovo somiglia a questi russi pasciuti come maiali, a questi pancioni pieni di burro, uova, formaggio e di Fiat? Puah. (Silenzio. Generosa sospira profondamente) Che l'uomo di tutti i tempi sia stato antisemita, che l'antisemitismo sia un fatto naturale, questo io semplicemente lo nego e ce l'ho con i miei amici ebrei perché si comportano come se, per libe­rarli dalle loro paure, non potesse bastare una situazione completamente nuova. (Silenzio) Trotzsky e Rosa Luxembourg pensavano a costruire un mondo in cui gli ebrei non avessero più la gobba, mica avevano bisogno di Israele per mettersi l'animo in pace. (Silenzio) La storia ha sempre affidato alle minoranze il compito di fare la storia. Gli ebrei hanno solo un diritto: capire perché sono perseguitati e fare sparire la causa di queste persecuzioni. (Silenzio) Hanno un solo di­ritto. Non sopportare questa situazione. Restare ebrei. (Si­lenzio) In Israele non sono più ebrei. Sono degli ariani. Dei para. (Silenzio) Mi hanno detto che a Israele si può diven­tare cretini come da tutte le altre parti. (Silenzio) Prima quando andavo a bere l'aperitivo con un Levi, sapevo che non stavo a perdere tempo con un farabutto. (Silenzio) Ades­so mi faccio girare le scatole con un public-relations che mi fa una testa cosi con gli alberi che sono cresciuti, i giar­dini che sono fioriti, le vittime che sono state vendicate. (Si­lenzio) Ma no, le vittime non sono state vendicate; sono sta­te insultate invece. Le hanno adoprate per un ricatto. (Si­lenzio) Gli ebrei mi hanno molto deluso. (Silenzio) Se si doveva ad ogni costo isolare in qualche posto i superstiti perché allora non in Alsazia? Perché non gli hanno dato un territorio, che so io, che andasse da Trieste - (il mare ci vuole sempre, vero?), da Trieste a Strasburgo. Sarebbe stato più onesto. Perché i colpevoli siamo noi, noi alsaziani, noi ariani!!! (Silenzio) E invece no, doveva per forza essere Israe­le. Perché duemila anni fa Hitler ha lanciato i suoi due mi­lioni di soldati addosso agli ebrei, i sionisti gli vanno dietro: ein Land, ein Volk, ein Fiihrer, heil Dayan! (Silenzio)

Generosa                       - (a Edoardo II) Rispondi, su, rispondigli qual­cosa.

Edoardo II                    - Inutile. Ci sono tutti i nostri giornali che rispondono per me, tutte le nostre tribune libere. Sta crepan­do di rabbia. Ci muore, lo so.

Edoardo I                     - Io creperei di vergogna se cercassi di com­pensare il mio antisemitismo, il mio razzismo con Israele. La soluzione sta unicamente in una nuova organizzazione della società. Ma come puoi organizzare qualcosa di nuovo quan­do proprio coloro che avrebbero più interesse a un cambia­mento si trastullano con dei palliativi: la pillola, la due ca­valli, Israele? (Silenzio) È naturale che tu abbia paura, Edoar­do, tu mica bari, lo so, senza Israele ti senti nudo. Però fai di tutto, scusa tanto, per sentirti nudo: lavori a « Elisabetta ha le emorroidi" che non è precisamente un giornale che faccia qualcosa per liberare gli ariani dai loro riflessi irrazionali, dai loro sentimenti bestiali. (Silenzio) Un ebreo nemmeno per mangiare dovrebbe fare certi lavori. Un ebreo ha solo dei doveri. Lasci pure la volgarità agli ariani. Un ebreo non do­vrebbe nemmeno fare il mestiere del sig. Rotschild, capisci? (Silenzio) Si capisce certo, se pensi che prima che ci sia la rivoluzione debbono passare ancora almeno cinquant'anni, è logico che intanto, per passare il tempo, tu faccia qualunque cosa...

Generosa                       - Diciamo che devono passare almeno quarant'anni.

Isabella                          - Trentatrè.

Edoardo II                    - Diciassette.

Orso                              - Un giorno.

Edoardo I                     - In questo caso allora, certo, uno fa quel che gli capita, mica sta a guardare il proprio lavoro tanto per il sottile. Siccome in questa società tutti i lavori sono lavori da puttana, meglio allora una puttanata di quelle vere, di quelle aggressive. Perché no? Perché non un bell'articolo sul­lo "Sviluppo dell'industria sotto la spinta della concorrenza"? L'automobile bisogna che sia bella, questo senz'altro. Il brutto infatti non è di sinistra. La casa di campagna deve avere le travi apparenti e l'amore, ah, prima di tutto bisogna avere un amore. Porca miseria, l'amore! Queste merde che osano par­lare di amore! Un uomo di sinistra che si rispetti vive in esilio in questa società e aspetta la fine dell'esilio da un mo­mento all'altro. Vuole che succeda domani. Domani!

Generosa                       - Si amore mio!

Edoardo I                     - Israele mi fa venire il mal di fegato. (Gene­rosa ha l'aria esasperata) Quel presidente della Lega dei Di­ritti dell'Uomo... dell'Uomo Occidentale, si capisce... (Silen­zio)

Generosa                       - (declamando) "E adesso occuperanno i territori. Certo preferirebbero non dovere impiegare metodi brutali. Gli piacerebbe di inventare un'oppressione israeliana che potesse essere scambiata con una liberazione. Ma finiranno per so­migliare come gocce d'acqua agli altri. Magari loro agli arabi non gli attaccheranno addosso proprio delle stelle gialle, però delle mezze lune ideate dal designer Raymond Loowy, si".

Edoardo I                     - Posso proprio dire di essere infelice. Non tor­mentato, ma infelice, si. (Silenzio. Ricomincia) Gli ariani hanno vinto.

Generosa                       - "Gli ariani hanno vinto da tutti i punti di vista. Prima massacrano sei milioni di ebrei, poi spediscono i su­perstiti in Palestina con il compito di diventare come gli altri. Come gli ariani".

Edoardo I                     - E gli ebrei diventano i guerrieri dell'Occidente, belli, brutali, efficaci. Ma, tuttavia, con una piccola partico­larità ebraica, un pizzico di senso commerciale... Hanno pa­gato il prezzo che ci voleva; sei milioni di morti, ma quest'in­vestimento, vi prego di notarlo, hanno saputo farlo rendere...

Generosa                       - Ma vi rendete conto? Non so se vi rendete conto che il signore ci sta sciorinando tale e quale un articolo che ha scritto.

Edoardo II                    - E che gli è stato respinto.

Generosa                       - Non dire stupidaggini anche tu adesso, non glielo hanno respinto: non lo ha mai mandato.

Edoardo II                    - So quel che mi dico. Glielo hanno respinto. A me invece non mi rifiutano mai niente: "La regina madre mangia la mattina solo marmellata di arance".

Generosa                       - Non posso credere che l'abbia spedito. Il si­gnore adesso avrebbe deciso di lavorare? (Contempla lo spo­so) ... E tu mi chiedi, Isabella, come mai io resto nel Partito. Ma il Partito è un'oasi, è la vita, nel Partito io respiro. E che ne sarebbe di me senza il Partito? Al Partito io mi riposo. E questi signori osano prendermi in giro quando ritornano la mattina della domenica dal caffé e mi incontrano con il mio pacco di Humanité-Dimanche sotto il braccio? Perché devi sapere che la mattina della domenica questi signori giocano a biliardo: non ci metterei la mano sul fuoco che non giochino perfino al totocalcio. Non si fermano davanti a niente. Ah chiedetegli di spiegarsi, di giustificarsi: vi spiegheranno tutto, sono contro tutto!

Edoardo II                    - Non è vero, io non sono contro Farah Diba.

Generosa                       - A volte sono stufa anche del Partito: tutte quelle smorfie con i socialisti certe volte mi deprimono e tutto mi sembra inutile. Penso che sto perdendo il mio tempo, ma quando torno a casa e mi ritrovo questi lavativi, che ti devo dire, il Partito mi appare di colpo un porto sicuro, un rifugio di umanità... (risate) ... di onestà, di intelligenza, di razionalità, di chiaroveggenza politica...

Isabella                          - Generosa!

Generosa                       - Ah, e poi andate al diavolo tutti! Il Partito è la mia debolezza. Dal momento che tanto non si può fare niente da nessuna parte, preferisco far niente nel Partito piuttosto che fuori. (Silenzio. Edoardo 1 tace)

Edoardo II                    - Come diversione è ottima. Non era necessaria però, mio piccolo boy-scout. Edoardo I non voleva mica farmi dispiacere, vero Edoardo, tu volevi solo dire la verità. Sol­tanto una grande sete di verità ti ha spinto, vero, mio ar­cangelo? Ce la farai: vedrai che un giorno o l'altro ti riuscirà di pubblicarla la tua "tribuna libera". (Generosa si alza e esce. Isabella idem, seguita da Orso e Franzi. Edoardo II si rimette la scarpa, si alza, passa accanto a Edoardo I. All’improvviso Edoardo I gli prende la mano e la bacia)

Edoardo I                     - Scusami. (Edoardo II fa qualche passo, si fer­ma un attimo prima di uscire, riflette)

Edoardo II                    - Sai che sei molto russo? (Si avvia verso l'u­scita)

Edoardo I                     - Dove vai, resta qui.

Edoardo II                    - Non ho tempo. Siamo senza una lira. Vado a pensare a un articolo per il mio giornale. Anzi dovresti aiu­tarmi. Il tema è il senso della proprietà. Dimostrerò che nell'uomo questo senso è sempre esistito. E che esiste anche negli animali: ce l'hanno tutti, forse che non è vero? II loro nido, il loro terreno di caccia, l'albero prediletto su cui can­tare o dormire. C'è chi ha osservato un usignolo che man­dava via tutti gli uccelli che si posavano sul "suo" alloro e ritornava a cantare solo quando era certo che nessun estraneo violasse la sua proprietà. Intitolerò quest'articolo "L'usignolo di tutti i tempi". (Edoardo II esce)

Scena terza

Edoardo l dorme o fa finta di dormire. Entra Orso.

Orso                              - Lo pensi davvero tutto quello che hai detto? Non credi che ti abbia dato un po' di volta il cervello, per caso? (Edoardo I non risponde) In tutti i modi me ne infischio. Mio padre ha sudato sangue, io ho sudato sangue e i coglioni senz'altro saranno sempre gli stessi, verranno tutti dallo stesso ceppo, il mio vecchio, Franzi, io. Siamo senz'altro più coglioni degli ebrei e delle donne. Puah! I borghesi si sono divertiti un po' prima con gli ebrei, bene, adesso toccherà a altri, però noi, i proletarii, siamo sempre stati di turno. Auschwitz di qui, Auschwitz di li tanto per far dimenticare che la mia vecchia muore a fuoco lento da quando è nata. Tanto peggio per lei, non ha che...

Edoardo I                     - Vuoi dire che la borghesia si serve dei suoi delitti, di Auschwitz per esempio, per far dimenticare che la tua vecchia...

Orso                              - Per far dimenticare che alla mia vecchia è venuto il gozzo a furia di ingoiare amaro. I borghesi le dicono, ma no, brava vecchina, non sei mica tu che te la passi male. Se dici che abbiamo fatto fuori qualche milioncino di ebrei, siamo d'accordo, questo lo ammettiamo volentieri, però non lo sapevamo mica tanto bene sai, non è che proprio l'abbiamo fatto apposta. Tu comunque non puoi mica dire che non ti si stia facendo del male, vero? La mia vecchia - siccome è scema - sta a sentire quello che le dicono e si convince che il gozzo glielo ha fatto venire lo Spirito Santo.

Edoardo I                     - Sta succedendo una cosa molto strana, Orsetto mio. Hai più o meno ragione: il campo di sterminio esiste sempre. Ma né il mio vecchio né il tuo son destinati allo ster­minio. Loro sono stati promossi. Sono diventati i guardiani del campo: subalterni, se vuoi, ma sempre guardiani. Di tanto in tanto si mettono in sciopero, chiedono un aumento e i kapò glielo accordano ben volentieri. Anzi i kapò gli propongono addirittura di cointeressarli all'affare, di distribuirgli delle azioni. I prigionieri, quelli veri, ben custoditi e tanto più docili degli ebrei           - meno spettacolari - , sono tutti gli ebrei del terzo mondo, tutti i paria che crepano di fame. Ecco chi sono gli ebrei di adesso. Però questo non si deve sapere, va tenuto nascosto. Allora ci distraggono con un crimine ben situato nel tempo: Auschwitz per esempio, Sottinteso che Auschwitz non esiste più dal 1945 ma che serve ancora per dimenticare che Auschwitz continua, che oggi un miliardo di uomini sono rinchiusi in un campo un po' più grande ma sono sterminati altrettanto scientificamente, altrettanto cinica­mente, altrettanto spietatamente. Ci lasceranno la pelle tutti fino all'ultimo. Non ne scamperà neanche uno. Nel tribunale che Iddio, questo povero vecchio imbecille, non presiederà, diremo: non ne sapevamo niente, mica volevamo, mica ab­biamo fatto apposta, siamo stati costretti. Vedi, tua madre non legge i giornali, non guarda neanche tanto la televisione, però, che il suo miserabile benessere lo paga con i cadaveri del terzo mondo, questo Io sa. Ma se tu glielo chiedi, spalan­cherà tanto d'occhi: che cosa? Io sfrutterei la gente, io che sono una sfruttata? Il capitalismo, guarda, non è mica pensato male. Penso davvero che mi rimetterò a scrivere. Scriverò una commedia. La vicenda si svolge a Auschwitz, ma i protagoni­sti sono i guardiani: non si vedranno che le ombre dei re­clusi... I guardiani subalterni, forti della loro coscienza di classe, chiedono un aumento di stipendio ai kapò. Intanto un pensatore di sinistra predice la fine del campo di concentramento» perché - stammi bene a sentire - perché i guardiani subalterni finiranno con il prendere il posto dei kapò. Si eleg­gerà una maggioranza di sinistra. Sarà molto comico da ve­dere. I guardiani amministreranno il campo con metodi di sinistra. Hai mai sentito parlare di autogestione? La loro ge­stione sarà senz'altro migliore di quella dei kapò, il che si­gnifica che ci saranno abatjour di pelle umana, denti d'oro e capelli per tutti e non solo per qualche privilegiato... Bah! Se solo l'avessi saputo quando avevo diciassette anni...

Orso                              - Che cosa avresti fatto?

Edoardo I                     - Che cosa avrei fatto? La Liberazione sarebbe stata una vera liberazione. Invece noi rapavamo le ragazze, non facevamo altro che questo: rapare le ragazze. Nota bene: finché si tagliano i capelli gratis, c'è speranza. Però, insomma, mica bisognava fermarsi li. E adesso abbiamo l'aria fina. Che cosa sono i partigiani? Dei maniaci dei capelli a zero! E io che cosa sono? Un gigione che non la smette più di parlare-Inutile cercare di fermarmi, le parole continuano a scorrere, c'è un lago ormai di parole, ci annego dentro, aiuto, annego, "Un partigiano si sta annegando". Bel titolo per la mia com­media sui kapò e i sottokapò...

Orso                              - Dimmi tu che cosa devo fare.

Edoardo I                     - (lo guarda e scoppia a ridere) Ti piacerebbe trovare un posto anche per lei, eh? Non parliamone neanche, Orso. Forse mi comporto cosi anche con lei perché mi piace solo sotto forma di allegoria: Rivoluzione per me è una figura femminile dipinta sul soffitto. Al diavolo, non capisco più niente, niente. Cerco delle parole, mi dico che nel mucchio ce ne sarà bene qualcuna che funzionerà meglio di un'altra, che coinciderà per caso con la verità e che potrò adottare... (Ride)

Orso                              - Edoardo II oggi è realista: si dedica al cibo. Vi siete distribuite equamente le parti.

Edoardo I                     - Hai notato la mia innovazione di oggi? Chissà come mi è venuta: oggi ho detto il fatto suo al partigiano. Avrai apprezzato, spero. Sai che non è facile ammettere che l'eroe che si è stati, in realtà era un coglione. Io l'ho am­messo un momento fa, però non ne sono ancora completa­mente convinto. Ho tonnellate di tenerezza per il ragazzo che sono stato. Quando penso ai miei diciassette anni!

Orso                              - Io vado in Bolivia.

Edoardo I                     - In Bolivia?

Orso                              - Eh si, in Bolivia.

Edoardo I                     - "Vado in Bolivia". Ecco ad esempio una cosa che noi non potremo mai più decidere. Troppi reumatismi. Troppi anni sul groppone. E poi ci riconoscerebbero subito: "Ecco Edoardo of Paris, 7 place Saint-Ferdinand, Paris XVIIe, telefono ETOILE 15.24. Tu invece puoi. Tu eri un proletario quando ti ho conosciuto e sei diventato un ragazzino, non si può fare a meno di diventare un ragazzino se si hanno 20 anni in Occidente nel 1967 e se si hanno 20 anni, c'è un solo modo di rifiutare il ragazzino, cioè "quel che gli altri fanno di noi" ah ah buona questa... partire, andare altrove-, andare là dove non si è un ragazzino, diventare un altro. Sarai un contadino in mezzo agli altri contadini e ti batterai perché ti ridiano la terra che ti appartiene. Vai vai. Parti. Sei giovane, forte. Vedrai. Sarà stupendo. Ti parrà di fare con le tue mani la storia. È già tutto scritto nella tua testa quel che la società sarà tra dieci anni, tra cinque o domani. Ti batterai per que­st'immagine. Il sogno diventerà realtà. E poi qui tutto è sem­pre tanto retorico. Parole e basta. Invece li conoscerai dav­vero l'amicizia, conoscerai davvero l'amore. Non ci si può battere per una causa giusta, terrorizzando i contadini. I contadini saranno i tuoi fratelli. Parlerai la loro lingua, la loro terra sarà la tua terra, la loro sventura la tua sventura, il loro odio il tuo odio. Comunicherai! Se Dio vuole, in Bolivia non esiste l'incomunicabilità. Li comunicano tutti. Magari con le pallottole, ma comunicano. È un discorso che sta in piedi, no? Ogni secondo della tua vita ti apparterrà finalmente, per­ché sarai finalmente d'accordo con tutto quello che farai. Al­lora si che sarai un uomo colto, molto di più che con i tuoi scarabocchi. Parti. Sei giovane. Hai la fortuna di non essere già installato, integrato, schedato. Il tuo posto ancora non è stato preso. Parti in Bolivia, ti conquisterai il tuo destino. Potrai perfino innamorarti. Amare davvero. L'amore non è altro che questo: avere vent'anni e trovarsi nella condizione di poter stimare se stessi, di potersi sentire abbastanza a posto per osare di offrirsi a una donna. Io ho osato tutto, ho osato pretendere che una donna mi amasse, sentivo di avere qual­che diritto - sembra incredibile - sulla figlia del fornaio. Vedrai: si parte in quarta, si decolla, si vola, non si è più questa miserabile merda che sprofonda nel suo stupore: "Che cosa mai hanno fatto di me?" Avrai una colonna vertebrale, ri­schierai la pelle tutti i giorni, ma tutto ti sembrerà degno di essere amato, e tu per primo. Ah, questo si. Se c'è qualcosa che è sempre la stessa in tutte le epoche, che non cambia mai, che vale per tutti, per i negri per i gialli per i blu è proprio questa: un uomo che non stima se stesso non può amare. Ecco perché queste pecore non fanno altro che parlarci d'amo­re: l'amore gli sfugge, allora via un'inflazione di parole per trattenerlo. Dicono: "reinventiamo l'amore". Ah ah, inven­tano l'amore: non hanno davvero il senso del ridicolo. In realtà sono caricature dell'amore coi loro culi, tette, teste di cazzo. Sai bene quel che fanno quando stanno insieme: si sputano in faccia, si cacano addosso l'uri l'altro, masticano la merda e dicono che è amore. (Si alza) Perché uno che ha la mia età, guardami bene, la mia età, il mio passato, il mio presente, il mio avvenire, non può mica avere la faccia tosta di presentarsi come qualcuno di stimabile. Non può amare, no, gran Dio. Aragon, per esempio, questa divinità tutelare dell'amore, ma tu credi davvero che sia capace di amare? Ma fammi il piacere. Non fa che ricopiare in ogni romanzo in ogni poema, non fa che ricopiare, e in modo patetico an­che, I'Aragon 1920: quello li si, che aveva diritto di amare. E la sua beneamata? Per poterla amare ancora adesso è co­stretto a travestirla: Elsa mia musmè, che buffonata. Insom­ma I'Aragon 1967 si guarderà pure una volta ogni tanto da capo a piedi: trentatré, trentanove, quarantacinque, Stalin... faccio fatica a fare il conto. Ma Aragon, lui per primo è troppo lucido per non sapere che l'uomo non può essere una semplice accumulazione di fatti. "Immagine indefinita di una infantile grandezza, dalla quale oggi mi sento decaduto". Lo credo! Giurerei che lui e Elsa si fanno dispetti appena pos­sono, si insultano la notte, si picchiano. Devono essere per forza molto, ma molto infelici. Eppure nel 1920... e adesso? Che miseria... ma che stupida però anche lei. Ma perché, ma come le è venuto in mente di volere un figlio proprio adesso? Mi sta prendendo in giro? Ma allora proprio mi disprezza del tutto? Se mi considera meno che merda, almeno si decida a dirmelo. (Silenzio) Parti, carissimo. Vai in un posto dove le condizioni obiettive ti consentano di essere padrone del tuo destino. (Si lascia cadere nella sedia a sdraio) Be', adesso vat­tene, voglio stare un po' solo. (Orso esce. Edoardo I si raggo­mitola nella sedia a sdraio)

Scena quarta

Isabella, Generosa, Edoardo II ritornano, Edoardo I finge di dormire.

Isabella                          - Come due matti! Con quelle biciclette!

Edoardo II                    - Ma dove andavano?

Isabella                          - E che ne so? Fuggivano...

Edoardo II                    - Questo è troppo. Aspetta che tornino...

Generosa                       - Ma insomma. Avrà bene il diritto di andare un po' a spasso. Passa giornate intere chiuso in casa. Povero ragazzo.

Edoardo II                    - Poverino davvero.

Isabella                          - Questo Franzi mi pare piuttosto svelto. E poi è anche bello. Sono tutti belli... Ma che affamata che sono. Tra cinque anni farò schifo: una vera antropofaga.

Generosa                       - Santo cielo, ma tu potresti andare a letto con dei ragazzini?

Isabella                          - Ma si, certo. Cioè non esattamente: più che altro potrei mangiarmeli. È questo Franzi qui che toglieva i quadri dalle pareti della fabbrica, vero? Gli mettevano vicino dei capolavori riprodotti per elevargli Io spirito e lui li strap­pava. Credi che insieme parlino di rivoluzione?

Generosa                       - Io credo piuttosto che parlino di donne.

Edoardo II                    - Parlano anche di rivoluzione, ripetono lezioni imparate a memoria come somari. Orso è un somaro.

Isabella                          - Senti senti. E che ti succede, Edoardone? Avevi forse voglia di andare in bicicletta?

Generosa                       - Tutta gelosia. Vorrebbe privare quel povero ra­gazzo di ogni vita affettiva. Da quando è a Parigi son con­vinta che non è andato mai a letto con una ragazza.

Edoardo II                    - Sono un mostro. Effettivamente mi piacerebbe castrarlo. Quella sua aria da maschione mi irrita. Bah!

Generosa                       - Su su stai zitto, animalone mio. Ti voglio tanto bene, la vita con te è cosi semplice...

Edoardo II                    - Povero ragazzino! Quando è sbarcato a Pa­rigi con quella sua aria da primitivo: "solo gli alsaziani molto belli possono essere primitivi", mi piaceva andare in giro con lui, con quest'archetipo di ariano, che brontolava in continua­zione. La capitale non gli riusciva proprio di digerirla, non era certo uno che si lasciasse incantare, che buffo. Natural­mente io ci facevo la figura del...

Isabella                          - ...

Generosa                       - ...

Edoardo II                    - Naturalmente mi prendevano tutti per un fi­nocchio. A proposito lo sapete che ad Altkirch ogni anno c'è una bellissima festa popolare che si intitola "Il finocchio d'Al­sazia"? E sapete qual'è l'uomo che ha la vista più acuta?

Generosa                       - Potresti anche rinnovare il tuo repertorio.

Isabella                          - Ma io questa non la so.

Edoardo II                    - L'uomo che ha la vista più acuta è il finocchio, naturalmente. Ah ah. Dunque il nostro piccolo Mozart proletario, arrivando a Parigi aveva una certa sua idea della vita che avrebbe fatto: di giorno avrebbe dipinto, di notte scopato. E ha scopato, eccome, i primi tempi. Ritornava alle otto del mattino tutto roseo, fresco fresco d'amore - ripu­gnante proprio - e si metteva immediatamente a dipingere. Lei gli telefonava tutti i momenti, lui rideva al telefono, le mandava baci e budududu dabab bidu. Come mi davano sui nervi. Lei aveva un nome fatto per l'amore, Adelina, Zibel-lina, Evelina. Faceva la parrucchiera. Un'adorabile tortorella con due occhioni cosi. Veniva a prenderlo appena chiuso il negozio e andavano a cena alla "Coupole". La dolce vita proprio. Mi è costato un bel po' di soldi tra l'altro. Un giorno io ed Edoardo I abbiamo deciso che bastava cosi.

Generosa                       - Io non ero a Parigi...

Edoardo II                    - (a Isabella) Avrai notato come a Parigi due giovani non possano amarsi senza diventare automaticamente degli "amanti parigini". Si cade immediatamente nello stile turista, nello stile Montmartre, schifoso davvero. O si tirano l'un l'altro certe linguate che sembrano vitelli, vlach, e io te la mangio e io te la dò, piene di bava, oppure lo stile giap­ponese, il pudore, le lunghe passeggiate la mano nella mano. Sempre comunque uguale alle cartoline. Era insopportabile. Una mattina quando il nostro innamorato è ritornato a casa, io e Edoardo gli abbiamo detto di scegliere: o se la sposava, la sua parrucchiera, o la piantava.

Isabella                          - Che animali che siete Edoardo II- E lui l'ha piantata.

Isabella                          - Che animali che siete.

Edoardo II                    - La parrucchiera ha telefonato per quindici giorni. Rispondevo sempre io. Poi ha fatto telefonare dalla mamma. Ho riattaccato. E poi una mattina Edoardo ha tro­vato la pupa sdraiata sullo zerbino davanti alla porta, una Piaf in lacrime, innnnammmmorrrrataaaa da morrrrirrrre. Che schifo. È rimasta tre giorni sullo zerbino. Una vera forza della natura. Che schifo.

Isabella                          - E Orso?

Edoardo II                    - La odiava. Trovava che lei mancava di di­gnità. Dipingeva senza interruzione. Ha fatto dei progressi enormi in quel periodo.

Isabella                          - Mi delude un po' questo ragazzino.

Edoardo II                    - Ma figurati. C'era da prendere o lasciare. A casa nostra non c'è posto per l'amore. L'amore di Edoardo per Generosa... (Generosa ride) ... l'amore di Edoardo per Ge­nerosa non mi offende. (Edoardo I si sveglia) Ma quel ma­schione che ritornava la mattina a casa, ancora tutto impia­stricciato d'amore mi rompeva l'anima. Mi sto confessando, eh? Che scarica di confessioni...

Isabella                          - Fin troppe, si. Ma davvero lei è rimasta sullo zerbino?

Edoardo I                     - Si si. Però più che a Edith Piaf somigliava a quella piccola cantante carina, come si chiama? Nicoletta.

Isabella                          - Orso non lo capisco però. Sembra cosi violento...

Edoardo I                     - Ma lo è, lo è, violento. Stai tranquilla che la ritrova la sua parrucchiera.

Edoardo II                    - Ma che stai dicendo?

Edoardo I                     - Banalità. Voglio dire che il nostro Orso è inna­morato di una idea, è per quest'idea che adesso se ne è an­dato: un'idea favolosa. Può anche darsi dunque che, per pre­miare se stesso di avere avuto una cosi bella idea, ritorni anche a volere un po' di bene a se stesso attraverso una don­na, non so se rendo l'idea...

Isabella                          - Io ho capito. E tu, Generosa?

Generosa                       - Ho capito, ahimé...

Edoardo II                    - Io non ho capito proprio niente.

Edoardo I                     - Ma si che hai capito. Orso è andato in Bo­livia.

Edoardo II                    - Con l'aereo?

Isabella                          - Ma no, scioccone, in bicicletta. (Ridono tutti meno Edoardo I)

Edoardo I                     - Crepereste, eh, se questo ragazzino che ha di­mostrato di dare tanta poca importanza al culo - giacché non ci è voluto niente per fargli piantare l'Evelina - si ri­servi per un altro imbarco...

Edoardo II                    - Ah beh, allora è partito via mare.

Edoardo I                     - Ridete, ridete pure.

Isabella                          - Non mi stupirei affatto se un bel giorno Orso se ne andasse, se lasciasse perdere per sempre la pittura... E giacché in qualche posto bisogna pure andare, perché non in Bolivia?

Edoardo I                     - Ah ah come mi fate ridere. Che questo ragazzo, con tanto poco cuore da lasciare le donne sullo zerbino, un bel giorno, tra la rivoluzione e voi, faccia una volta per sem­pre la sua scelta, non vi va giù, eh? Orso non è un uomo di sinistra, quindi come fare la rivoluzione? Ah queste brave persone di sinistra! Come sono perbene, hanno Ietto Marx: dalla prima pagina all'ultima e Lenin ha detto e Trotzsky ha detto e Engels ha detto, non picchiano la moglie, se incon­trano sulle scale la domestica spagnola si fan da parte per lasciarla passare, non traumatizzano i bambini, non alzano mai la voce, firmano petizioni, vanno alle manifestazioni, pro­testano. Ma non fanno la rivoluzione. Questi bellissimi mani­chini da Museo Grevin NON FANNO la rivoluzione. E per­ché mai dovrebbero farla? Si sentono già come se fossero loro l'uomo nuovo. Affabile. Gradevole. Colto. Orso che tratta le donne come oggetti può forse fare la rivoluzione? Ma non fatemi ridere. E tutti questi bruti che credono che i libri della Pleiade siano carta igienica per ricchi, che scopano le loro donne senza andare tanto per il sottile, che si ubriacano, che credono in Dio, che non sono iscritti al Partito marxista-leninista proprio questi qui dovrebbero fare la rivoluzione? Ma volete scherzare. Il professorino invece, quello che sa co­me è fatto un uomo di sinistra "vero", si china a esaminare gli arabi e rialzando il capo con un'espressione distaccata di­pinta sul volto, deplora di non essere riuscito a scorgere tra gli arabi dei veri e propri uomini di sinistra. È spiacente, ma il fellah non ha le stimmate della sinistra cornine il faut. Ep­pure tutti questi poveracci che crepano di fame sono uomini di sinistra. Senza neanche crepare peggio di adesso possono pagarsi il lusso di essere ancora più poveri, possono far saltare gli oleodotti, quelli di dove viene la benzina. E bloccare in piena rue de la Sorbonne il professorino con tutto il suo ba­gaglio di cultura: panna secca. Il professorino, con tutta la sua fottuta libertà, non sarà mai capace per esempio di pren­dere la decisione di non salire più su una macchina. Bisognerà che siano gli affamati a imporgliela...

Edoardo II                    - Di un po', non sarà mica andato a combattere con gli arabi il nostro Orsino?

Edoardo I                     - Ridete ridete. Non capirete mai niente. (A Isabella) "Tutti coloro che sono stati in un'università ameri­cana, possono dirvi - se sono sinceri - che queste università rappresentano le ultime isole di vera libertà, di vera cultura e di reale progresso nel mondo". Ecco quel che scrive quel co­glione di tuo marito - è un porco, ammettilo - ebbene, sarò il solo a pensarlo- (certe volte mi pare di diventare matto), ma sono persuaso che i Robinson, che sopravvivono su queste isole di libertà, di vera cultura e di reale progresso, sono de­gli aborti rispetto al contadino boliviano che non sa quale sia "la vera cultura il reale progresso la vera libertà", che conosce solo la marca Tsack del suo fucile ma che sa che per poter vivere, per poter respirare, bisogna prima di tutto far saltare per aria gli americani, i bianchi, i ricchi, tutti senza rispar­miare nessuno. C'è anche nella Bibbia, c'era già nella Bib­bia. Respirare. Tutti questi uomini ancora impastoiati nel passato somigliano di più all'uomo di qualunque abitante del­le isole della vera cultura e del vero progresso, molto di più anche di questi russi che hanno bisogno delle Fiat. Ah questa poi, ancora non riesco ad abituarmici. Volevano delle Fiat, volevano: l'uomo nuovo vuole le Fiat e il comunismo non è altro che una migliore distribuzione delle Fiat!

Generosa                       - (chiama tutti a testimoni) Divorzio, divorzio. Davvero è troppo gigione. Manca troppo di autocritica. Ma almeno suicidati a questo punto, scusa.

Edoardo I                     - Già perché tu possa venire a raccogliere sul mio cadavere quello sperma che ti rifiuto. (Generosa gli dà uno schiaffo. Verso la fine di questa scena, gli altri si sgran­chiscono le gambe, isabella in piedi davanti al quadro dà se­gni di nervosismo, indicando qualcosa)

Isabella                          - (leggendo) "Merda. Menne vado". Se ne è anda­to davvero. (Edoardo II e Generosa vanno a vedere)

Edoardo II                    - "Me ne" tutto attaccato! Ha portato via una valigia?

Edoardo I                     - Li dove va lui non ha bisogno né di cavalletto né di colori.

Edoardo II                    - Ma se non ha soldi.

Edoardo I                     - Glieli ho dati io. È in Bolivia, è in un posto do­ve non gli stanno a dire in tono protettivo "La rivoluzione ci sarà tra cinquant’anni". E intanto che fai mentre aspetti? È in un posto dove la sua collera la sua veemenza la sua vio­lenza possono finalmente trovare uno sfogo. Li non dovrà recitare una parte. Non dovrà più dipingere dei Don Chisciot­te. Sarà un adulto! Un adulto! Sapete che cosa vuol dire un adulto? Qualcuno che vive nella luce della Storia, sotto l'oc­chio della Storia, demiurgo...

Edoardo II                    - Niente male. Si direbbe André Malraux. Mi sembra di stare diventando scemo. Ma dov'è andato?

Edoardo I                     - Non ce l'hai più in tasca, eh?

Edoardo II                    - Sei proprio una donnetta.

Generosa                       - Buoni, bambini, buoni. Dio mio, bevete troppo e col sole a picco poi...

Edoardo II                    - Non capisco più niente. Finirò col credere che se ne sia andato per davvero.

Generosa                       - Tra un'ora sarà di nuovo qui.

Isabella                          - È in Bolivia. Io ci credo. Scommettiamo? Stamattina voleva sapere da me se fosse il caso o meno di continua­re a dipingere. Io gli ho consigliato di smettere. Perché? Cosi. Tanto per dire qualcosa. Ma la pittura che sciocchezza e la letteratura, puah, e tutto la loro cultura poi... Si sf è senz'altro in Bolivia, qui non ce la faceva mica più.

Edoardo II                    - Bene, io me ne torno a Parigi.

Generosa                       - Edoardo!

Edoardo II                    - Qui ho solo nemici. Solo gente che mi mette i bastoni tra le ruote, che mi sta a sparare nella schiena.

Edoardo I                     - Ma di' un po'. Parli come se Orso ti appar­tenesse. Forse che è di tua proprietà, scusa?

Edoardo II                    - Gli sono affezionato.

Edoardo I                     - Tutto qui? Ah beh allora! Tutti noi gli siamo affezionati. Tutti noi gli vogliamo bene. Isabella perché è buo­no da mangiare. Generosa perché potrebbe essere suo figlio. Io... io perché lui riuscirà dove io ho fallito.

Edoardo II                    - Ma è un bambino, mica sa quel che vuole. Si è esaltato chissà come. Ma nemmeno. Imita qualche altro esaltato. Ti imita.

Edoardo I                     - Questo ha poca importanza. Siete davvero or­rendi. È un avventuriero, ha ucciso sua madre, ha emesso assegni a vuoto, ma in Bolivia nulla di tutto questo sarà più vero. Si, lui sarà soltanto un soldato che saprà sparare più o meno bene, ma che comunque al momento giusto la sua bom­ba saprà dove buttarla. Il bel ragazzino che conosciamo noi si trasformerà in poco tempo: dagli quindici giorni di tempo e il nostro Orso non esisterà più. Ed è proprio questo che non vi va giù, porci borghesi, è proprio questo che vi dispiace perché voi preferireste senz'altro sguazzare e far sguazzare anche gli altri tutta la vita nella vostra merda, rompere i coglioni a tutti il più possibile e poi naturalmente piagnu­colare. Dio mio, guarda che cosa han fatto di me!

Generosa                       - Ma perché non sei partito anche tu? Sei dav­vero irritante. Guarda che di biciclette ce n'erano tre.

Edoardo I                     - Non sono partito perché per me, per noi è troppo tardi. Non ci resta più un grammo di immaginazione. Non ci riesce di immaginare più niente. Ammazzato sterilizza­to ripulito da cima a fondo prosciugato e morto. Siamo morti. Figure di pietra. Venga pure la pioggia di fuoco. L'aspetto ogni giorno. E in piedi, spero. Alzo lo sguardo verso di te, o sole. Firmato, il cieco.

Generosa                       - Edoardo Edoardo.

Isabella                          - Magnifico. Come si chiama quell'attore che fa cosi? Alain Cuny. Comico e impressionante nello stesso tempo.

Edoardo II                    - Ma non è mica possibile che sia andato cosi di punto in bianco in Bolivia. Ci vuole il visto, no?

Edoardo I                     - Gli uomini non fanno la Storia. Vi si immer­gono e ne sono formati. La rivoluzione ha fatto Lenin. Il ponte di Arcole ha creato Napoleone. Notare: proprio perché era piccolo di statura non poteva mostrare incertezze - i suoi granatieri non l'avrebbero capito, l'avrebbero sopranno­minato "il nano". Era quindi costretto ad apparire sempre audace, sicuro di sé proprio per quella statura che lo svantag­giava in partenza. Per fortuna sua. era avvantaggiato in com­penso dalla situazione storica. Un altro invece - un generale alsaziano per esempio - avrebbe passato l'Alpone a guado. Data la sua statura non avrebbe avuto bisogno di rischiare la pelle sul ponte. E il risultato sarebbe stato lo stesso. Gli au­striaci sarebbero stati battuti comunque. Con qualche lieve modifica, magari, nelle sovrastrutture: l'Arte, la Pittura. Non avremmo più avuto "Napoleone al Ponte d'Arcole" ma "Rapp a guado dell'Alpone". Sempre però dipinto da David. Ma insomma un generale su un ponte o un generale a guado, la differenza non mi sembra sostanziale...

Generosa                       - (inumidisce con un fazzoletto bagnato la fronte di suo marito) Chi vuole un caffè? Vado a farlo. (Silenzio)

Edoardo II                    - Il problema rimane: dov'è andato? Se an­dassi a vedere a Bordeaux? (Silenzio) E poi al diavolo, vada pure dove gli pare. In Bolivia se gli gira.

Generosa                       - Non era poi tanto felice con noi. Gli mancava l'indipendenza finanziaria.

Edoardo II                    - Ma se gli davamo sempre dei soldi.

Generosa                       - Stava con noi proprio perché gli davamo dei soldi. Per lui era la sola maniera di dipingere. E probabilmen­te lo annoiavamo. Noi, i nostri amici, pittori, scrittori, musici­sti, tutti cosi egoisti e cinici. Io gli volevo davvero bene. Spero che ci mandi almeno una cartolina. Ma tanto può darsi benis­simo che tra un'ora sia di nuovo qui.

Edoardo II                    - È partito senza dirci niente per evitare una scena penosa. È senz'altro andato in Bolivia. Adesso non ho più dubbi.

Isabella                          - È già molto cambiato. Non ha il visto. Cerca di imbarcarsi clandestinamente su una nave che parte per l'Ame­rica del Sud. Quando sbarcherà, saprà già lo spagnolo e noi gli sembreremo molto lontani. Faremo parte ormai della prei­storia, tanto più che anche il melo se ne sarà andato, e qui ci sarà la litoranea... Io non tornerò mai più qui, questo è sicuro.

Edoardo II                    - Contrariamente a tutti i nostri principi, assu­meremo una donna di servizio spagnola. Impareremo lo spa­gnolo da lei. Cosi non perderemo il contatto.

Generosa                       - Mi chiedo che cosa dirà il Partito. Oh, il Par­tito condannerà. Ma perché condannano sempre con frasi stan­tie rimasticate, disumane? Eppure ne conosco di gente al Par­tito che farebbe volentieri come lui.

Isabella                          - La Bolivia è bellissima. Niente alberi, ma co­lori violenti: un bagno di luce eccezionale. L'ideale per un pittore. Magari un giorno mi succederà di incontrarlo e prove­rò un senso di soggezione: lo saluterò come si saluta un uo­mo di valore, come si saluta un prete: "Lodato sia Gesù Cristo, padre", "Sempre sia lodato", "Lodata sia la Rivoluzio­ne, mio caro Orso", "Sempre sia lodata compagno". Sarà senz'altro bellissimo. Perché, vedete, Orso è un ragazzo con un viso dolce, ma dolce... come se ne incontrano solo d'estate...

Edoardo II                    - Che bamba che sei. Mica è Régis Debray, lui. Si farà far fuori stupidamente e noi non lo verremo neppure a sapere. Tuttalpiù un trafiletto sul Monde: "Un avventuriero francese sarebbe stato ucciso dalle forze dell'ordine nella re­gione di". Mica è laureato Orso, sua madre mica presiede dei balli di beneficenza.

Edoardo I                     - Che cosa importa? È una cosa che interessa solo noi la maniera con cui si parla di Orso o di Debray. Ma quelli laggiù, credimi, se ne infischiano se qui si scrive che sono dei rinnegati, degli avventurieri o degli idealisti. La so­la opinione che per loro conti è quella dei contadini. I conta­dini boliviani riconoscono in questi biondini dei loro fratel­li? Ecco il vero problema. Orso del resto ha più motivi di De­bray per andare laggiù. Prima di tutto è un fusto. Poi è un proletario. Non scriverà magari Temps Modernes, ma fa nien­te... Non occorre mica essere laureati per fare la rivoluzione: il comunismo è semplice, è la verità. La rivoluzione è la ve­rità.

Isabella                          - Ci sentiremo soli. Ci aspetta una serata lugubre senza Orso. Organizziamo una festa...

Generosa                       - Si si una bella festa in onore della Rivoluzione.

Orso                              - o piuttosto l'ombra di

Orso                              - apparirà sul più bello e ci toglierà la maschera.

Edoardo I                     - Tu porti la maschera?

Edoardo II                    - Una mano scriverà laggiù sull'orizzonte o ma­gari qui sul muro: Mane Tekel Fares. E noi capiremo. Perché siamo colti.

Generosa                       - La gente che organizza le feste è sempre colta. (Scoppia a ridere) Siamo tanto colti che organizzeremo anche la bomba.

Isabella                          - Il posto. Ci vuole un posto. E poi il tema.

Generosa                       - Il tema è presto trovato: la rivoluzione.

Isabella                          - Ottimo. Io verrò insieme al mio poeta in tassi. Tassi, alla guerriglia! Portiamo ai valorosi popoli rivoluzionari il saluto degli intellettuali francesi...

Generosa                       - Basta con le cassette di pronto-soccorso, con le biciclette-omaggio.

Edoardo I                     - Armi ci vogliono.

Generosa                       - Ambulanze, consigli, incoraggiamenti, bare. (Ri­copre il tavolo di fiori) Orso è morto. Ce lo hanno ucciso. Dor­me laggiù accanto a un ruscello in una valle dove ci sono an­cora dei papaveri.

Edoardo I                     - Che in spagnolo si chiamano pavot.

Generosa                       - Orso è morto. Il profumo dei fiori non fa più palpitare le sue narici. Dorme nella luce del sole, la mano sul cuore. Tranquillo. Sul petto ha due fori cremisi.

Edoardo I                     - Ma non faremo mica una festa lugubre. Ci vuo­le una festa trionfante: il trionfo della Rivoluzione. (Si trave­stono)

Isabella                          - Ecco fatto. La Rivoluzione ha vinto. Organizza subito un congresso per il lallalà della cultura. Siamo invitati anche noi, tutti gli intellettuali dell'Occidente Io sono. Scen­diamo dall'aereo e chi ci viene a ricevere, ve la dò a indo­vinare a mille?

Generosa                       - Orso. Con la barba.

Edoardo II                    - Chi farà stasera la parte di Orso? Ci vuole qualcuno che faccia la sua parte.

Generosa                       - (a Edoardo II) E se venisse lui a recitare la sua parte, di malavoglia magari, dato il suo cattivo carattere, eh, stupidone?

Edoardo I                     - Io voglio il trionfo della rivoluzione, ci tengo.

Generosa                       - D'accordo per la Resistenza. Riprendiamo le nostre parti di un tempo. Ringiovaniamoci. Io mi travesto da... No, no, ritorno semplicemente a essere la figlia del fornaio. (Prende un cestino. Gli altri si nascondono. Lei cammina nei boschi, voltandosi indietro di tanto in tanto) Sono sola. Nem­meno un tedesco all'orizzonte. (Cerca con lo sguardo) Ma dove sono dunque i partigiani? Bisogna che parli meno forte, sennò li spavento. Ohe! Partigianii! È arrivata la fornaia. Ho un cestino di pane fresco... Niente. Ohe! Partigianiii! È la fornaia. Vi porto il pane fresco e le notizie della pianura. (Un partigiano: Edoardo I, il fucile a tracolla, una pistola mitragliatrice di plastica, di quelle che vendono per i bam­bini nei bazar)

Edoardo I                     - Buongiorno.

Generosa                       - (molto intimidita, magari per davvero) Buon­giorno... signore.

Edoardo I                     - Perché vieni sempre tu? Non trovano nessun altro a Jozerand?

Generosa                       - Si vede che non sono stati capaci di trovare niente di meglio. (Gli toglie la pistola mitragliatrice di mano) Se non mi spara lei, io non corro nessun pericolo. (Edoardo I butta via la pistola mitragliatrice: parte un colpo. Generosa ride) Oh Edoardo! Come allora!

Edoardo I                     - So recitare la mia parte. (Ritorna serio) Quanti anni hai, Generosa?

Generosa                       - Sedici. Questo non me l'hai chiesto però.

Edoardo I                     - Hai ragione. Su, dammi questo cestino. Lascia­mi il cestino.

Generosa                       - (senza mollare il cestino) Mio padre rivuole il cestino indietro: devo riportarglielo.

Edoardo I                     - (prende il pane, lasciandole il cestino) Come vanno gli studi?

Generosa                       - Neanche questo me l'hai mai detto. (Doppio bum. Si buttano per terra. Edoardo I un po' più in fretta di quel che sarebbe richiesto dalla parte. Generosa lo prende in giro con garbo, giocherellando con un fiore)

Edoardo I                     - Nasconditi. Potrebbero vederci.

Generosa                       - Questo si che lo dicevi. (Edoardo I la bacia) E lo dicevi proprio per fare cosi. (Si baciano. Generosa sin­ghiozza) Edoardo Edoardo! Oh poter tornare indietro. (Gli altri partigiani escono stentatamente dai nascondigli e, un po' impacciati come dei partigiani, consolano Generosa. In quello entra Franzi)

Edoardo II                    - Franzi! L'hai abbandonato?

Franzi                            - Io non ho abbandonato nessuno.

Edoardo II                    - Allora come mai sei qui?

Franzi                            - Per avvisare che ce ne andiamo.

Edoardo II                    - Ma lo sappiamo. Coglioni. E perché allora Orso...

Edoardo I                     - Perché Orso...

Edoardo II                    - Ma lasciami parlare per favore, Perché non mi ha detto niente, dunque?

Franzi                            - Non ne ha avuto il coraggio. Lo può capire, via! Lei lo sa com'è fatto Orso, no? (Silenzio. Appaiono tutti in­timiditi. Si sono alzati in piedi) Mi ha detto di dirvi che ri­torneremo ai primi di settembre. Faremo tutta la costa. (Ride) Ci divertiremo, spero. Andiamo in macchina. Le ragazze han­no la macchina.

Isabella                          - ...Decapottabile?

Franzi                            - Si si: una 404.

Isabella                          - Sono carine?

Franzi                            - Sono alsaziane.

Isabella                          - Le alsaziane son carine quando sono giovani.

Franzi                            - Si si.

Generosa                       - Queste alsaziane però. Cominciano a darsi alla pazza gioia, eh!

Franzi                            - Sono le ragazze Schreck.

Edoardo I                     - Quelle del cotonifìcio?

Franzi                            - Si. Il cotonificio però adesso chiude.

Isabella                          - Dannati figli del popolo! A spasso con le indu-strialesse! Spero che non abbiate intenzione di tagliargli la testa. (Franzi ride. Lo guardano)

Edoardo I                     - È proprio un alsaziano, questo Franzi.

Generosa                       - Se adesso cominciate a parlare in alsaziano io me ne vado.

Edoardo I                     - Non parlerò in alsaziano, sta tranquilla. Mi vergognerei davanti a Franzi. Non lo so più parlare l'alsazia­no, non me ne capita mai l'occasione. Ho sentito un giorno al­la radio un delegato sindacale che parlava alsaziano a propo­sito della crisi del tessile e...

Franzi                            - La crisi c'è. Insomma... non si può più neanche parlare di crisi. Hanno chiuso dappertutto. Nelle valli, a Saint-Louis, a Moulhouse, da Schreck...

Edoardo II                    - Cosicché le ragazze Schreck hanno un po' più di tempo libero... (Franzi ridacchia. Edoardo II tira fuori il portafoglio. Conta i biglietti) Tieni. Però cercate di far pa­gare a loro. Non tagliategli la testa, ma almeno fatele pagare. Di' a Orso di non fare delle vacanze troppo lunghe. Se non dovesse tornare ai primi di settembre, che almeno scriva.

Franzi                            - Tornerà senz'altro. Io ho solo tre settimane di va­canze. Il 5 si ricomincia.

Edoardo II                    - Benissimo. Bisogna lavorare. Bene, mio caro Franzi, allora arrivederci. Ti raccomando Orso. Che non faccia troppe sciocchezze. Che guidi piano. Digli di mandarci una cartolina ogni tanto. E che stia attento poi con le ragazze. Va bene che quelle li useranno senz'altro la pillola. E poi la Svizzera non è lontana. Insomma digli che è stato uno scioc­chino a andarsene cosi senza dirci niente. Comunque noi non ce la prendiamo. Lo aspettiamo qui. Bisogna che finisca il suo quadro prima di tornare a Parigi. Salve, buone vacanze, divertitevi. (Franzi stringe rapidamente le mani a tutti, va via di corsa) Le ragazze Schreck. Le ragazze Schreck! Ma vi ren­dete conto? La grande borghesia alsaziana non ha più rite­gno. (Generosa e Isabella ridono come matte. I due Edoardi sono serii come papi. Isabella è davanti al cavalletto)

Isabella                          - "Merda. Menne vado". Dovevamo leggere con più attenzione il messaggio. Questi pittori. La scritta si può togliere molto facilmente: è sullo sfondo. Se avesse voluto andarsene veramente, se avesse preso una decisione davvero definitiva, avrebbe compiuto un gesto molto più drammatico. Avrebbe strappato la tela. Credete che avrebbe fatto a pezzi Generosa?

Generosa                       - Assolutamente no. Orso mi vuol bene. Non fa­rebbe mai a pezzi la mia immagine.

Edoardo II                    - Be', insomma, tutto è bene quel che finisce bene. Avevamo bevuto un po' troppo, si vede.

Edoardo I                     - Io non avevo bevuto per niente. Orso si è preso un po' di vacanza e con questo? Che cosa c'è di male? lo, se dovessi andare in Bolivia, prima di tutto farei una tour­née di commiato: vorrei prima di tutto dare un addio alla Francia perché la Francia è cosi un bel paese. Anch'io mi prenderei delle vacanze dunque. E volentieri. Orso andrà in Bolivia dopo le vacanze. Sono sicuro che ci andrà.

Generosa                       - (apre le tende. Il sole rosso entra nella stanza) Si, si, ci andrà.

Isabella                          - (a Edoardo II) Non ti riconosco più, amico mio. Mi sembri ritornato sereno.

Edoardo II                    - È successo tutto cosi in fretta che ancora non mi sono ripreso. (Ridono. Generosa si dà da fare. Spinge la tavola in là, sposta il cavalletto, stacca il quadro, lo guarda, lo gira contro il muro. Sistema le sdraio in modo da avere la vista sul golfo. Toglie un giornale scoprendo un transistor e, poco più in là, un pick-up. Apre una borsa thermos e tira fuori due bottiglie - whisky e Bourbon - dei bicchieri, del ghiaccio. Si siedono tutti nelle sdraio, dando le spalle al pub­blico, ma barano un po' in modo che li si possa vedere di profilo. Generosa distribuisce i bicchieri. La luce nella stanza è rossa rossa rossa. I quattro sono seduti in quest'ordine: Isabella, Edoardo II, Edoardo I, Generosa.

Isabella                          - Il mare. È rosso. Ma potrebbe anche essere be­nissimo nero: la marea nera. Forse il catrame in questo mo­mento sta depositandosi sui sassi. Non me ne stupirei. Al pun­to in cui sono... Ma non sono angosciata, non sono angosciata. Sono tranquilla. Non sento male da nessuna parte. Non mi stupirei per esempio se altre creature apparissero all'improv­viso sulla spiaggia, creature informi, gementi, gelatinose, vi­scose, che se la fanno sempre addosso eppure continuano a vivere. Vivono, vanno da una parte all'altra, lentamente, mol­to lentamente... Comunque si spostano, si salutano, si curvano l'una contro l'altra fino a toccarsi le teste. Si sente un rumore strano che sembra un risucchio: forse hanno fatto un bam­bino, forse hanno detto qualcosa di buffo... chi lo sa... e que­ste creature siamo noi, qualcosa di noi in loro è rimasto, la si può riconoscere a stento. Guarda un po' come mi sono ri­dotta, mi dico, specchiandomi in loro. Coltivavo una beata illusione, ero convinta che la bomba sarebbe caduta in Bra­sile oppure in Africa, invece è scoppiata dappertutto.

Generosa                       - Isabella! Stavamo tanto bene.

Isabella                          - E con questo? Gli uomini moriranno, le terre diventeranno simili a vassoi di ceramica e con questo? Che pretesa. Altri esseri verranno su queste spiagge: la bomba sa­rà servita a accelerare la mutazione. Ci resterà un vago ri­cordo di quel che eravamo, un ricordo piacevole ma fluido, lontano: una musica lieve, senza nulla di urtante, di amaro, un dolce sogno, sleep.

Generosa                       - Isabella, su, parliamo di qualcosa di piacevole.

Isabella                          - Ma quel che dico è piacevolissimo. Che farete a novembre?

Edoardo II                    - Anche questo sarebbe un bel titolo per una commedia, un film o un racconto: "In ottobre faremo la Ri­voluzione". Peccato davvero che tu non voglia metterti a scri­vere.

Isabella                          - Già... Si dovrebbe andare in Italia. Se avessi soltanto tre mesi da vivere - il che, tra l'altro, è probabile - me ne andrei a fare un viaggetto in Italia. Quant'è bella l'Ita­lia in autunno. Tutta ocra, tutta colori antichi. Un paese per­duto nel sogno della propria distruzione.

Edoardo II                    - Mi pare che tu stia scambiando la storia dell'Italia con la tua, ti prendi per l'Italia, sei l'Italia.

Isabella                          - E il melo, tutto d'oro, intonerà il suo canto fu­nebre. Povero melo. L'ultimo servizio che gli si potrebbe rendere sarebbe quello di impiccarsi a uno dei suoi rami.

Generosa                       - Che bello. Andremo a Parigi. Lavoreremo. Sono felice di rivedere i miei scolari. Proprio cosi. Perché? Perché esistono, perché hanno bisogno di noi. perché si aspettano molto da noi. Ci perdonano tutto salvo l'ingiustizia.

Edoardo I                     - Perché dici questo?

Generosa                       - Perché è cosi, guarda un po'. Ai ragazzi si può dare molto. Si può essergli molto utile.. Non voglio pensare che è impossibile aiutarli. Li aiuto quindi... Credo che farò delle ore straordinarie. È contro i miei principi, ma nel mio caso ne vale la pena.

Isabella                          - Il ritorno dalle vacanze. Che orrore. Questi anni divisi in mille inizi, in mille conclusioni. Capodanno, com­pleanni, ritorno dalle vacanze, Lunedì, ma vi rendete conto? Si ricomincia da capo ogni Lunedì. Si invecchia mille volte più in fretta e te lo fanno sentire. Lavorare proprio non mi va. Preferisco farmi rimorchiare da quello là...

Edoardo I                     - (a Generosa) So perché tu... (Le parla all'orec­chio)

Edoardo II                    - Che cosa c'è? Niente segreti per favore.

Edoardo I                     - Posso dirlo? Agosto è il mese migliore per concepire, non vi pare?

Generosa                       - Si amore. Se sarò incinta alla fine delle vacanze, potrò continuare a insegnare fino a settembre, ottobre, novem­bre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo aprile, maggio: fino a maggio. (Edoardo II prende la mano di Generosa)

Edoardo II                    - Che si mangia stasera? (Silenzio)

Edoardo I                     - Sono stato insopportabile oggi. Siccome non posso far niente di niente, mi sfogo su quelli a cui voglio be­ne. Guarda guarda con Isabella però non me la sono presa...

Isabella                          - Te la stai prendendo in questo preciso momento, carissimo. Tranquillizzati: è evidente che vuoi bene anche a me.

Edoardo I                     - Non potendo far altro, oggi mi son fatto fuori il mio ebreo, vero, Edoardo? (Dà un buffetto a Edoardo II)

Edoardo II                    - Noi ti abbiamo molto deluso.

Generosa                       - Adesso non ricominciate per favore.

Edoardo II                    - No no, per oggi ci siamo insultati abbastanza. Che importa? Se cercassi di dimagrire?

Generosa                       - Ma no, stai benissimo cosi.

Edoardo II                    - Però mi piacerebbe dimagrire.

Edoardo I                     - La sapete una cosa: siamo tutti, o quasi tutti, figli di proletari. Il problema quindi è risolto. Edoardo II. Questa che hai detto è la cosa più triste di tutta la giornata.

Generosa                       - Pare anche a me.

Isabella                          - (scorrendo un giornale, legge) "Ma si può par­lare della debolezza dell'uomo americano in un senso più profondo e più tragico. Ho scritto una volta che la vita ame­ricana tendeva a distruggere la virilità degli americani. Per vi­rilità perduta intendo quel male collettivo che colpisce tutti coloro che subiscono il totalitarismo, coloro che pèrdono l'ono­re. Chiunque faccia un lavoro poco dignitoso, chiunque venda un progresso nel quale non crede, chiunque fabbrichi un pro­dotto poco rispettabile, chiunque dia informazioni false perde la sua virilità".

Edoardo II                    - Su basta abbiamo capito. È del tuo maritino, vero?

Isabella                          - Sei matto. Mica è capace di scrivere queste cose, lui.

Edoardo II                    - E perché no? Sono capace di scriverle perfino io in "Elisabetta perde la bussola".

Edoardo I                     - Questa che hai detto è la cosa più triste di tutta la giornata. (Ridono)

Edoardo II                    - Imparo qualcosa di nuovo tutti i giorni. Figu­ratevi che fino a poco tempo fa credevo che un uomo potesse punirsi del fatto di non essersi sentito un giorno all'altezza, non ridete di me, in una lotta vera, in una battaglia per le proprie idee... di letteratura parleremo poi... ero convinto che un uomo potesse punirsi dunque. Per parlar chiaro, credevo che il tipo che se lo fa mettere li, in quel posto, lo facesse per coerenza... Poiché io sono uno che se lo fa mettere qui, mi dicevo... (Si tasta la fronte) ...perché non estendere questa caratteristica a tutta la mia persona? Un pensiero molto me­diterraneo. Pare invece che non sia vero per niente. Pare che il papà, la mammà, la sorellina già a due anni eccetera, pare che nel ventre della mammina tutto sia già stato deciso una volta per tutte.

Tutti                              - Non è vero. (Ridono. Qualcuno accende il transi­stor. Si sente la voce di De Gaulle) "Rifiutando il dubbio, de­mone di tutte le decadenze"... (Si gettano tutti e quattro con­temporaneamente sul transistor e lo spengono. Silenzio)

Isabella                          - Chiamiamola "I sassi".

Generosa                       - Chiamiamo che cosa?

Isabella                          - Questa casa "this home".

Generosa                       - I sassi? E perché?

Edoardo I                     - Parliamo americano? (Parlano americano. Edoardo II lascia cadere il braccio destro e accende il pick-up. Ascoltano "Yesterday", cantata da Billie Holliday)

FINE