Cristoforo Colombo

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In caso di messa in scena si prega informare l’autore per semplice conoscenza, inviando eventuali foto, filmati o articoli a:

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Diodati Giuseppe

Via Brecciame 30 81024 Maddaloni (CE)

Tel. 0823 408456 mail: diodatigiuseppe@alice.it

CRISTOFORO

COLOMBO

DI

GIUSEPPE DIODATI

NEL 5° CENTENARIO DELLA SCOPERTA DELL’AMERICA

Fantastica recita scritta

PER LA SCUOLA MEDIA STATALE L. SETTEMBRINI DI MADDALONI

messa in scena nell'anno scolastico

1991-1992

Personaggi

Alfonso

Manolo

Beatrice

Blanca

Flavio Gioia

Cinese

Un Tennista (Borg)

Un giocatore di Basket

Un calciatore (Maradona)

Cristoforo Colombo (giovane, adulto)

La Mamma di C. Colombo

Il Padre di C. Colombo

Marinaio

La Moglie (Felipa)

Toscanelli

Il Fratello (Diego)

Il Confessore

Padre Superiore

Padre Marrachena

Re Ferdinando

Regina Isabella

Un Consigliere

Tennisti

Cestisti

Calciatori

Frati Francescani

Il numero alto di personaggi permette l’impiego di un numero alto di attori (es. studenti di una scuola), in alternativa attori che abbiano personaggi con un solo ingresso possono fare diversi personaggi.

Atto Primo

Introduzione

da cantare da parte del Coro sulle note di

La storia di Serafino

(di L. Beretta- M. Del Prete e A. Cementano- C. Rustichelli)

E così questa strana storia

che vi voglio raccontare

è quella di Cristoforo Colombo

dal mondo antico fino al mondo nuovo

con tanta brava gente

per mare se ne andò,

con tre navi e due amici fedeli

tra tante onde azzurre

tra tanti flutti neri

e una spada in cinta sui fianchi

andava felice così.

Caro Colombo

Ma dove, ma dove, ma dove, ma dove te ne vai?

Ma dove va-a-i?

Quel giovin marinaio piaceva alle ragazze

Perché negli occhi aveva l’avventura

E quando prese in pugno la fortuna

E un gruzzolo di soldi in Spagna lui spillò.

Si fece una gran crociera da fare girare la testa

Rifecero le sartie e delle vele nuove

Per tutti ci fu fatica durante la traversata

Con il nocchiero fiero Colombino.

Comperò qualche cosa agli amici,

che gioia là nel porto

per quelle pazze spese

una vela un sestante e un quadrante

e una bussola nuova per sé.

Caro Colombo in India, in India, tu speri d’arrivar:

è un’illusio-o-ne.

Tiero, tiero, tiero, tiero tirà, tirà, tirà,

lui soffia

e la vela più forte gonfierà.

Dopo tante peripezie

Finalmente è arrivato

È lieto il condottiero Colombino.

Dal mondo antico fino al mondo nuovo

Con tanta brava gente

Per mare arrivò.

Con tre navi e due amici fedeli

Tra tante onde azzurre

tra tanti flutti neri

e una spada in cinta sui fianchi

andava felice così.

Caro Colombo

Ma dove, ma dove credevi d’arrivar?

In mezzo ai gua-a-i!

Comunque sia, nocchiero Colombino,

hai il cuore come quello di un bambino.

E libero come l’aria

Purissima del mattino

Per vivere là sul mare

Ritorna Colombino

E………..

(Sulle note finali della canzone si apre il sipario. Siamo in un porto di mare. Entrano Manolo, Alfonso, Beatrice e Blanca canticchiando gli ultimi versi della canzone.)

Manolo:             Sì, sì, il cuore di un bambino!… Quello, altro che cuore, il cervello… ecco che cos’ ha di bambino… il cervello!

Beatrice:             Invidioso! La tua è tutta invidia. Vorresti essere tu al posto suo per comandare una flotta intera.

Manolo:             A parte il fatto che più che una flotta, a me sembrano tre gusci di noce scuoiati e messi lì nella pozzanghera  da un bambino per giocare, io su quelle navi non ci salirei nemmeno se mi dessero il doppio di quello che hanno dato a lui.

Blanca:                   E per quale motivo, di grazia?

Alfonso:             Ma tu capisci che quello vuole andare all’Est, in India come dice lui, andando verso Ovest. Ma si può essere più pazzi di così?

Beatrice:             Ma cosa c’è di male?

Alfonso:             Ma come cosa c’è di male? Vedi qui da questa parte  c’è il mare e dall’altra c’è la montagna. E’ come se dicessi di voler andare  a fare un bagno al mare e partissi da casa, ma andando verso la montagna. Tu che diresti?

Blanca:                   Che sei matto! Se vuoi fare il bagno, vai verso il mare, non verso la montagna. Oppure lo fai in casa.

Manolo:             Ecco! Allora se è matto lui, perché non è matto anche Colombo che vuole andare all’Est passando dall’Ovest? Qui si sragiona. Non c’è logica in tutto questo. Dico io, se vuoi andare a destra allora vai a destra; se poi vuoi andare a sinistra vai a sinistra. Non scomodare la destra per andare a  sinistra e non scomodare la sinistra per andare a destra. (il tutto accompagnato da vari cambiamenti di direzione secondo il discorso)

Blanca:                   Basta, basta che mi stai facendo girare la testa. Non capisco più niente.

Alfonso:             Ma è semplice. Se vuoi andare indietro non andare avanti. Se, invece, vuoi andare avanti non andare indietro (sempre accompagnando il discorso con cambiamenti di direzione, ma questa volta fermandosi quasi subito). Insomma ogni direzione deve essere rispettata per quella che è. Qui ne va della reputazione della bussola!

Beatrice:             No, scusa, adesso sono io a non capirci più niente. Che c’entra Viareggio e la Bussola con Colombo?

Manolo:             Viareggio? E chi l’ ha nominata?

Beatrice:             La Bussola non è quel locale di Viareggio dove vanno i migliori cantanti?

Alfonso:             Tu la bussola la stai perdendo. A parte il fatto che hai fatto un bel viaggio in avanti nel tempo non indifferente. La Bussola che dici tu ancora non l’ hanno inventata. Ci penseranno tra circa 500 anni. Adesso siamo nel 1492 e la bussola di cui parlo è quella di Flavio.

Blanca:                   Flavio?

Manolo:             Gioia!

Blanca:                   Che fai? Mi corteggi in pubblico?

Alfonso:             Ma che hai capito? Gioia è il cognome dell’inventore della bussola!

Flavio Gioia:      (Apparendo in qualche modo) Chi mi importuna richiamandomi dal mio dolce riposo eterno?

Blanca:                   E tu chi sei?

Flavio Gioia:      Donna, ancora mostri la tua infinita ignoranza. Fosti proprio tu che con la tua mancata conoscenza del mio nome hai mostrato che la mia notorietà ha qualche incrinatura. Mi hai pungolato, fatto rivoltare nella tomba fino a spingermi a venire qui per difendere il mio nome.

Beatrice:             Allora tu saresti Flavio Gioia?

Flavio Gioia:      Sono! Non sarei. Anzi sono stato Flavio Gioia! Ora sono solo la sua ombra, il suo ricordo, la sua anima.

Manolo:             Il.. suo fan…tasma?… (Sono tutti  impauriti e le donne scappano urlando)

Flavio Gioia:      Perché scappate, donne? Non abbiate paura, io non vengo per tirarvi i piedi. E sì che tu (rivolto a Blanca) lo meriteresti, vista la tua immensa, gigantesca ignoranza. Io vengo solo per ribadire la mia conoscenza da parte di tutti, per promuovere la mia persona: io sono il solo e grande inventore della bussola! (Si sente una musica orientaleggiante, cinese, e l’atteggiamento di Flavio Gioia cambia, sembra molto contrariato, mentre, secondo il modo classico della presentazione dei cinesi nei vari programmi di varietà, entra un cinese)

Cinese:                   Din din din son cinese e son venuto qui. (Fa molti inchini a vari personaggi tranne che a Flavio Gioia) Molto onorevoli saluti a tutti voi. E tu, calo onolevole fanfalone, abbassa la tua glande clesta di gallo e dici la velità.

Flavio Gioia:      La velità? Che cos’è la velità? Quale velità?

Cinese:                   La vela velità.

Flavio Gioia:      Strano! E’ una vela che non conosco, eppure sono un marinaio. Conosco la vela maestra, il pappafico ecc. ecc. ma questa vela, la vela velità , proprio non mi sovviene.

Cinese:                   E non fale l’onolevole finto tonto. Tu lo sai di che cosa sto pallando.

Flavio Gioia:      Non insistete, vi giuro che non riesco a capirvi.

Manolo:             (Si intromette) Mi scusi, lei è un orientale?

Cinese:                   (Ogni volta che si muove e parla deve esserci sempre un sottile sottofondo con la musica cinese) Din din din dilei ploplio di sì!

Blanca.                   E che faccia gialla che ha: si sente per caso male?

Cinese.                   Salà bella la tua onolevole faccia! Questo è il colole natulale, senza tlucchi e senza inganni, La mia poi è il più bel giallo che ci sia il giallo cinese!

Blanca:                   Ah già, lei è un cinese. E cosa ci fa in questa storia? Non dovrebbe essere dall’altra parte della terra? … A Est?

Cinese:                   Appunto!  Ploplio dove il vostlo piccione viaggiatole  vuole allivale. E poi sono venuto a dile quattlo palole a questo glandissimo onolevole imbloglione di amalfitano, a lui e a tutti i suoi colleghi malinai, anche essi onolevoli imbroglioni e malfidati come lui.

Flavio Gioia:      Stia attento a come parla, perché potrei offendermi. Io sono il grande inventore della bussola, non posso sopportare altre offese. Ne va del mio onore!

Cinese.                   Non so di quale onole si sta pallando. Tu hai lubato la tua invenzione!

Flavio Gioia:      Io? Adesso qui si esagera. Guardi che mi arrabbio.

Alfonso:             Stia calmo. Quello è uno straniero, non ci facciamo riconoscere anche all’estero.

Beatrice:             Come se già non ci conoscessero!

Manolo:             Giusto! Cerchiamo di ragionare.

Blanca:                   Sì, sì cercate di non arrivare alle mani. Qui siamo tutti gentiluomini, gente civile, con un cervello.

Flavio Gioia:      E va bene, cercherò di ragionare. Userò il cervello.

Cinese:                   Allola lagionelemo pel poco. Con quel poco di cervello che ti litlovi nella zucca, non potlemo falci neanche una piccola onolevole flittatina.

Flavio Gioia:      Ma allora vuoi la guerra? Ebbene…

Beatrice:             (Intervenendo) Calmatevi e fateci sentire che cosa ha da dire il mandarino.

Cinese:                   Io ho da dile che la bussola l’abbiamo inventata noi cinesi molto, ma molto tempo plima di questo onolevole, si fa pel dile, signole!

Alfonso:             Ma non è possibile. Tutti sanno che la bussola è stata inventata da Flavio Gioia!

Cinese:                   Ed io pel questo sono qui. Voglio falgli, onorevolmente pallando, sputale fuoli la velità.

Blanca:                   La velità?

Cinese:                   La velità, la velità. Quando uno dice una cosa vela, una cosa celta, una cosa leale.

Blanca:                   La verità?

Cinese:                   Esatto, la velità. Lo sto dicendo da quando sono entlato. (A Flavio Gioia) Dici la velità. E’ velo o  non è velo che la bussola la usavamo già noi cinesi?

Flavio Gioia:      Ma guarda che ti sbagli.

Cinese:                   Non dile più oltle onolevoli fesselie. La bussola la usavamo già noi.

Manolo:             A me sembra così sicuro, così convinto. Ma, caro Gioia, non sarà vera questa storia?

Flavio Gioia:      Veramente.

Cinese:                   E’ vela, è vela.

Flavio Gioia:      Ma la vostra bussola non era così bella come la nostra.

Blanca:                   Allora era vero?

Flavio Gioia.      E va bene: è vero. La bussola non l’ ho proprio inventata io… però…

Tutti:                      Però?

Cinese:                   Pelò?

Flavio Gioia:      Però… l’ ho perfezionata. Ci ho messo una bella cassetta di legno intarsiato alla moda amalfitana, l’ ho resa più utilizzabile  e le ho fatto una pubblicità che neanche ve l’immaginate. Ed oggi è lo strumento più usato nel mondo. Insomma, io ho industrializzato e commercializzato la bussola e quindi ora ne sono il possessore del brevetto.

Cinese:                   Finalmente ti è uscita la velità dalla bocca.

Alfonso:             Però anche lui ha ragione. La sua brava opera di diffusione l’ ha fatta, ed ora sono possibili tanti viaggi per mare. Diciamo, perciò, che anche lui è un poco l’inventore dello strumento.

Cinese:                   Inventole no, sfluttatole sì!

Flavio Gioia:      Inventore forse no. Ma sono stato i a renderla popolare, a valorizzarla.

Beatrice:             E così pareggiate 1 a 1.

Blanca:                   Datevi la mano e fate la pace. (I due eseguono)

Si canta la prossima canzone sulle note di

Bisogna saper perdere

(di G. Gassia-R. Cini)

Coro (al cinese): Tu non devi odiarlo se voleva gloria un po’

                                            Capita ogni tanto quello che è successo a voi:

                          Bisogna saper perdere, bisogna saper perdere

                          Non sempre si può vincere

                          E allora cosa vuoi?

                          Se quell’invenzione fosse stata proprio tua

                          Ora siam sicuri che più forte grideresti.

                          Bisogna saper perdere, bisogna saper perdere

                          non sempre si può vincere

                          come vuoi e quando vuoi.

                          Tante volte lo sai si piange di cuore

                          Ma per tutti c’è sempre un raggio di sole.

Coro (a Fl. Gi.): Io non ti vorrei vedere piangere così

                                                 Non è mia la colpa se non l’hai inventata tu.

                          Bisogna saper perdere, bisogna saper perdere

                          Non sempre si può vincere

                          E allora cosa vuoi?

Ma non devi odiarlo se sorridere tu sai

Dagli la tua mano:

siate amici più che mai.

Bisogna saper perdere, bisogna saper perdere

                          Non sempre si può vincere

                          E allora cosa vuoi?

                          Tante volte oramai si piange di cuore

                          Ma per tutti c’è sempre un raggio di sole.

Bisogna saper perdere,

bisogna saper perdere………………..

Flavio Gioia:      E’ vero. Bisogna saper perdere. Ma, credete a me, non l’ ho fatto per pavoneggiarmi. Sono stati gli altri a darmi questo merito ed io me lo sono tenuto.

Cinese:                   Ti peldono. Vieni, andiamocene insieme. Faremo quattlo onorevoli chiacchiele da buoni amici (escono).

Manolo:             Finalmente se ne sono andati!

Beatrice:             Però, che faccia tosta quel Flavio Gioia.

Blanca:                   Non dovrei. Ma penso che, più che sua, la colpa sia stata usata un po’ dei suoi tempi. E’ da perdonare ed anche un po’  da ammirare. La bussola non se l’è tenuta per se, ma l’ ha fatta diventare patrimonio di tutti.

Alfonso:             Si, ma con il loro battibecco ci hanno postato un po’ fuori tema. Qui si  sta parlando di un’altra storia. Si sta parlando di Cristoforo Colombo il navigatore.

Beatrice:             Ah, ah, ah! Piccione viaggiatore, come l’ ha chiamato il cinese.

Blanca:                   Un po’ dispetto, che diamine!

Beatrice:             Scusa, ma era proprio una cosa divertente. E poi, non era tanto fuori tema. Il tuo Colombo adesso non potrebbe nemmeno stare qui a parlare di est e di ovest senza quella benedetta bussola, non ti pare?

Manolo:             Su questo forse hai ragione, ma a lui che interessa? Se per andare da una parte vuole andare dalla parte completamente opposta, gli servirà a ben poco quello strumento.

Beatrice:             Al contrario! Per andare dall’altra parte di un posto tu devi sapere dove effettivamente sta questo posto: perciò la bussola serve.

Alfonso:             Va bene, va bene, andiamo avanti! Ma v’immaginate poi voi che non è il solo questo Colombo?

Donne:               No!

Alfonso:             Si! E dicono che il mondo, la nostra terra, è una sfera, una specie di palla (con ironia e ridacchiando).

Donne:                   Una palla?

Alfonso:             Proprio così. Che scemi! Come se non si vedesse che questa nostra terra è piatta più piatta di un piatto, con qualche rilevatezza tipo collina o montagna, ma sempre piatta.

Blanca:                   E invece, secondo questi scienziati, sarebbe come una palla?

Alfonso:             Esatto! Una palla, una palla, capite? (Entra un tennista, Borg, palleggiando con racchetta e pallina regolamentare e masticando una gomma americana, sotto gli occhi stralunati dei presenti)

Tennista:            Palla? Se proprio di palla si deve parlare, si parli della pallina da tennis (continua a palleggiare).

Manolo:             E questo adesso che altro vuole?

Alfonso:             ma chi lo ha chiamato?

Tennista:            Nessuno! Mi sono presentato da solo. Perché, c’è qualcosa che non va? Vi disturbo forse? Hop, hop, hop……

Manolo:             No, ma... (possono anche entrare altri tennisti per dare una prova del tipo di gioco)

Beatrice:             Veramente, non è proprio di questo che stavamo parlando.

Blanca:                   Ma, visto che siete qui, rimanete pure. Tanto, a quanto ho capito, in questa strana storia non mi devo meravigliare più di niente, neanche delle cose più strane o impossibili.

Tennista:            Oh, bene! Io sono un tennista e questa è la famosa palla, capite? Palla, palla da tennis, appunto.

Alfonso:             Allora voi siete qui solo perché abbiamo nominato la palla? Ma che è, una parola magica?

Tennista:            Bravo! Non sai quanto sei vicino alla verità. Sapessi quanti interessi girano attorno a questa palla.

Blanca:                   Veramente?

Beatrice:             Questa pallina sarebbe così importante?

Tennista:            Naturalmente anche la racchetta e le scarpe da tennis, e il campo da tennis, e la rete da tennis, e il torneo da tennis, e gli internazionali da tennis, e Wimbledon. E la Coppa Davis, e i nets, ei net, e i fuori e i dentro, e tante altre cose.

Blanca:                   Calma, calma, che non capiamo niente.

Tennista:            E la gomma americana, cara signora, quella sì che è importante!

Beatrice:             La gomma americana?

Tennista:            Certo! Quella che si mastica e che, naturalmente, mi fa guadagnare un sacco di denari con la pubblicità e naturalmente “senza zucchero”. Anche per questo bisogna ringraziare Cristoforo Colombo.

Manolo:             Ecco! Allora Colombo c’entra?

Tennista:            Altroché se c’entra! Se Colombo non fosse partito verso ovest, non si sarebbe mai arrivati alla invenzione della gomma da masticare americana e, dunque, non avrei potuto farle la pubblicità e guadagnare tanto denaro. A proposito, con la gomma da masticare poi si possono fare anche i palloni (lo fa). Volete provare? (Da una gomma da masticare ad ognuno dei presenti, i quali accettano con curiosità e non completa fiducia, incominciano a masticare e, alla fine, producono dei palloni)

Blanca:                   Questo è un pallone? Però è distensivo.

Alfonso:             E’ vero!

Beatrice:             Veramente eccezionale!

Tennista:            Beh, addio! Mi aspetta una partita di Coppa Davis, vi lascio comunque una coppia di racchette e una pallina, sforzatevi (esce).

Manolo:             (Eseguendo) Un pallone.

Blanca:                   (CS) Due palloni.

Alfonso:             (CS) Tre palloni.

Beatrice:             (CS) Quattro palloni.

Giocatore Ba:     (Entra con un gruppo di altri giocatori di Basket che palleggiano tra di loro) Hop, hop, hop……. (guarda i quattro con i loro palloni di gomma da masticare) E quello sarebbe un pallone?

Manolo:             Perché non è così?

Giocatore Ba:     E non mi chiede neanche chi sono io?

Blanca:                   Non importa. Tanto non ci meravigliamo più di niente.

Beatrice:             Comunque, se proprio ci tieni, diccelo lo stesso.

Giocatore Ba:     Strana gente! Io sono un giocatore di basket. Non vedete il pallone?

Blanca:                   Quello è un pallone?

Giocatore Ba:     Certo! Questo è un pallone per uno dei giochi americani più importanti: il Basket, o, come si dice in italiano, Pallacanestro.

Alfonso:             E come si fa?

Giocatore Ba:     Così! (Con un sottofondo musicale si sottolinea l’ingresso di un canestro trasportabile) Si deve mandare la palla in quel canestro. Si può fare un punto, due punti, tre punti. Dipende (danno un esempio).

Beatrice:             Bravo! E a noi che ce ne importa?

Giocatore Ba:     A voi forse no, a me tanto. Mi fa guadagnare tanto danaro. Vedete, io giocavo in America, mi hanno visto da Caserta e mi hanno voluto alla Phonola. Ed ora guadagno un sacco di soldi. Tutto merito di Colombo.

Blanca:                   Ecco di nuovo il nostro Colombo.

Giocatore Ba:     Certo! Se Colombo  non arriva dove deve arrivare, io me lo sogno il basket e mi sogno pure i soldi. Adesso vi lasciamo un pallone, allenatevi voi. Addio! (I giocatori escono, con lo stesso sottofondo musicale e palleggiando)

                                  (A questo punto, sotto gli occhi sempre più stralunati dei presenti entra Maradona con maglia del Napoli ed il numero 10 sulle spalle insieme ad altri calciatori di scuola sudamericana, argentini, brasiliani ecc. ecc.Eseguono palleggi di testa e di piede, passaggi, tiri in porta)

Nel frattempo il coro canta la canzone in versione integrale

Un’estate italiana

Sigla dei Mondiali di Calcio in Italia

 (di E. Bennato-G. Nannini-T. Witlock e G. Moroder)

Manolo:             Che altro c’è adesso?

Maradona:         Mai sentito parlare de calcio?

Beatrice:             E’ quello che darei ad ognuno di voi!

Maradona:         Calma , calma! Vuoi dire che no sai niente de pelota, fuori joco, calci de rigore, calci de punizione, de arbitri, cornuti y no, de segnalinee, de calcio fatale o de catenaccio, de portieri, de ali, de atacanti, de mezali, de tersini, de mediani, de liberi?…   

Blanca:               Basta! Calma adesso lo dico io.

Maradona:         No sai niente de tifo?

Tutti:                      (Impauriti) Pussa via di qui!

Maradona:         E perché?

Beatrice.             Ma come? Tu parli di tifo!

Blanca.                   Vai via, malato… infetto. Non ci vorrai mica passare la tua terribile malattia?

Maradona:         Esajerate! El tifoso de la pelota sarà pure un malato, ma no è mica un apestato. E’ solo malato ne la cabeza per la su equipe.

Alfonso:             Vuoi dire che non stai parlando della malattia vera?

Maradona:         No! E’ solo la cabeza de essere malato . Così la domenica sono capasi de lasciare a casa anco la mujera por la partida.

Il coro canta in versione integrale

La partita di pallone

(di Carlo Rossi-E. Vinello)

Maradona:         E co questa pelota sai quanti dollari mi faccio? Dall’Argentina, in America del Sud, en todo el mundo. Meno male che Colombo è partido. Ciao! Vi lascio una pelota, imparate! (Esce palleggiando e passandosi il pallone con gli altri calciatori)

Manolo:             Ed anche di questo ne risponde Cristoforo Colombo. Ma, allora, ‘sto viaggio sarà importante. Però quante palle che ci sono in giro, quanti palloni.

Beatrice:             Palline da Tennis (palleggiando con una racchetta).

Blanca:                   Pallone da basket (Palleggiando col pallone).

Alfonso:             Pallone da calcio (dando qualche calcio al pallone).

Manolo:             Pallone di gomma americana (facendo un pallone con la gomma). (Entra a questo punto un giocatore di Rugbi col pallone tipico ovale)

Giocatore di R:E pallone ovale di rugbi.

Tutti:                      Ancora?

Giocatore di R:E non sono venuti: il mio amico giocatore di baseball, il mio amico giocatore di pallavolo, quello di pallamano, quello del bowling, quello della pallanuoto, quello del golf. E non è venuto, per fortuna neanche il mio amico giocatore di polo, altrimenti non so come avremmo fatto entrare il cavallo. E non……

Beatrice:             Alt! Li ringraziamo volentieri per non essere venuti. Ma tu perchè sei venuto?

Giocatore di R:Ma perché sono il rappresentante del gioco più tipico americano. E meno male che Colombo è arrivato dove doveva arrivare, altrimenti io che cosa farei? Tieni! (Passa ad Alfonso il pallone)

Alfonso:             E questo che sarebbe.

Giocatore di R:Un pallone da football americano. Che altri se no?

Blanca:                   (Che ha ricevuto il pallone) Veramente più che un pallone sembra un uovo, vista la forma. (Passa il pallone a Beatrice)

Beatrice:             Che  dalle dimensioni dovrebbe appartenere ad un animale molto grande. (Passa il pallone a Manolo)

Manolo:             Forse un cavallo! (Ripassa il pallone al giocatore)

Giocatore di R:Idiozie! I cavalli non fanno le uova. Questo è il pallone ovale tipico del mio gioco. (Alle spalle del gruppo entra Cristoforo Colombo adulto tutto infuriato)

Colombo:           Ora basta. Qui si sta facendo una grande confusione, Si può sapere che storia è questa? Mi sembrava  che si volesse parlare di me, ma, a quanto pare, qui di tutto si sta parlando tranne che del sottoscritto. E questo che cos’è, un uovo?

Giocatore di R:Ancora! E’ un pallone……

Colombo:           Strano. Ma si che te ne devi fare?…… Te lo porti via. (Glielo restituisce e gli mostra una delle uscite dal palco) Ed ora va’, perché disturbi la mia storia (il giocatore esce contrariato, poi si rivolge agli altri). E voi che avete?

Alfonso:             Un pallone di calcio.

Colombo:           Roba inesistente (glielo toglie dalle mani e lo lancia fuori del palco).

Blanca:                   Racchetta e pallina da tennis.

Colombo:           Robetta da poco conto (CS).

Beatrice:             Pallone da basket.

Colombo:           Non so cosa sia. Via! (CS, poi a Manolo) E cosa è questa cosa che hai in bocca?

Manolo:             Gomma da masticare per fare palloni.

Colombo.           Ancora non l’ hanno inventata. E poi, secondo me, fa male ai denti.

Manolo.             Ma è senza zucchero.

Colombo:           mettila via. Dunque mi sembra di aver rimesso le cose al posto giusto. Possiamo ricominciare la storia della mia vita, ma questa volta non mi fiderò. La racconterò io stesso, così sono sicuro di non uscire dal tema.

Alfonso:             Scusa, ammiraglio, ma è vero che intendi andare all’Est navigando verso Ovest.

Colombo:           Certamente! Cosa c’è di male?

Blanca:                   Mi sembra una cosa strana.

Beatrice:             Certo! Andare verso un posto per arrivare al lato opposto……

Colombo:           I soliti scettici. Io vi dico che è possibile, come è possibile…. (tira fuori un uovo)… far stare fermo dritto, su nu suo polo, questo uovo.

Manolo:             Ma è impossibile. L’uovo non ha niente di piatto e non può reggersi.

Colombo:           Ed io vi dico che è possibile farlo stare ritto.

Alfonso:             Allora faccelo vedere.

Colombo:           Lo farò. (Agli uomini) Però, se ci riuscirò, voi verrete con me in questo viaggio.

Uomini:              Ma, veramente……

Blanca:                   Avete forse paura?

Beatrice:             Non ce n’è bisogno. State pur tranquilli che non ci riuscirà.

Uomini:              E sia!

Colombo:           Bene! Che mi si porti un tavolo (gli altri eseguono). (A Manolo) Ora prova prima tu.

Manolo:             (Dopo vari tentativi si arrende) E’ impossibile!

Colombo:           (Ad Alfonso) Ed ora tu.

Alfonso:             (Prova senza riuscirci) Niente da fare.

Colombo:           Ora tocca a me. (Prende del sale fino dalla tasca, lo deposita a monticciolo sul tavolo senza farsi notare, poi vi pone sopra l’uovo sta perfettamente ritto). Ecco fatto. Ed ora via presto. E’ tardi e bisogna prepararsi.

Manolo:             Aspetta, fammi guardare meglio… Ma qui sotto ci hai messo il sale! Ci hai imbrogliato.

Blanca:                   E’ vero!

Colombo:           Io? Non ho mai detto che l’avrei fatto reggere da solo!

Beatrice.             Ha ragione! Ha solo detto che l’avrebbe fatto rimanere ritto, ma non come.

Alfonso:             E va bene! Hai vinto tu.

Colombo:           Una cosa semplice, proprio l’uovo di Colombo. Una soluzione elementare. Basta pensare. E, vi giuro, che per il viaggio sarà così. Quando si pensa, le cose si semplificano.

Manolo:             A parte il fatto che a me sembrava un uovo di gallina e non di colombo    ……

Colombo:           Che fai, sfotti?

Manolo:             No, per carità! Dico che per il viaggio non è così semplice.

Colombo:           Venite con me e vedrete.

Il coro canta la canzone 5 sul tema di

Tu vuo’ fa’ l’americano

(di Nisa-R. Carosone)

Puorte ‘a bandiera cu’ ‘nu stemma ‘ncoppo

‘na cuppulella cu’ ‘a visiera aizzata

passe scampenianno pe’ Tuledo

solo e sultanto pe’ te fa’ aiuta’!

Tu vuo’ fa’ l’americano,

‘mmericano, ‘mmericano.

Siente a me chi t’ho fa fa’?

Tu vuo’ vivere alla moda

Ma se mangi uova sode

Po’ te siente ‘e disturba’.

Insisti verso ovest

Ma per andare all’est

Ma po’ tre caravel chi te le da’?

La regina con il re!

Tu vuo’ fa’ l’americano,

‘mmericano, ‘mmericano.

Ma si’ nato in Italy!

Siente a me chi t’ho fa fa’?

Okay stattene ‘cca.

Tu vuo’ fa’ l’americano,

‘mmericano, ‘mmericano.

Comme te po’ capi’ chi mo me sente

Si tu le parle ‘e terre americane?

Quanno se crede che cca ‘ncoppa ‘a terra

I continenti sono solo tre?

Tu vuo’ fa’ l’americano,

‘mmericano, ‘mmericano………

Colombo.           (Alla fine della canzone rientra sul palco e si rivolge al pubblico) A me però questo fatto dell’America e dell’americano non mi convince. Mi sa che avrò un bel bidone. Beh! Ci vedremo tra poco (esce, cala la tela).

Fine primo Atto

Secondo Atto

(All’apertura del sipario siamo a casa dei Colombo, padre e mamma di Cristoforo. Sulla scena c’è la mamma che tenta, cullandolo, di calmare il neonato Cristoforo ma senza riuscirci.

Il coro sta cantando la sesta canzone (in versione integrale)

Ma se ghe penso

(di A. Margutti-M. Cappello testo it. Di P. Botto)

Partì col cuore pieno d’amarezza

Negli anni belli della gioventù

Soffrì, lottò per farsi una ricchezza

Sognando sempre di tornar quaggiù

Per farsi la villetta col giardino

Crearvi un nido di serenità

Fornirsi la cantina di buon vino

E alfin trovare la felicità!

Ma il figlio gli diceva: Non ci pensar

A Genova che vai a far?

Ma se ghe penso allora vedo il mar

 E la lanterna l’onda illuminar

M’appare il golfo in tutto il suo splendor

Le piazze il Righi e mi si stringe il cuor.

Rivedo a sera Genova brillar

La foce e il molo rispecchiarsi in mar1

Allora penso ancor di ritornar

E fra i miei avi, un giorno riposar!

Colombo:           Avrete già capito  che siamo a Genova… o (cercando di ricordare) nelle sue vicinanze. Ah, nostalgia del tempo passato! Quanti ricordi sprizzano fuori da questi oggetti…! (Sforzandosi ancora di ricordare) Ci troviamo nel 1446…, anzi nel 1447…, o forse nel 1448… non mi ricordo bene. Sapete, all’epoca ero appena nato e non mi è possibile rammentare bene. Sì! Perché quel bambino piagnucoloso e rompiscatole sono io. (Si avvicina al piccolo contemplandolo) Ero proprio bello io da bambino! (Poi si pone in un cantuccio)

Mamma:            E sta calmo, su, Cristoforino. Lo sai che ho un sacco di cose da fare. (E’ tutto inutile) Uffa! Ma allora lo fai apposta? Su, stai zitto. (Entra il padre di Cristoforo tutto incavolato)

Padre:                    Ma insomma, vuoi farlo smettere? Lo sia che devo riposarmi?Mamma:    Ma non ci riesco. Chissà che gli è preso.

Padre:                    Forse avrà fatto qualche bisognino.

Mamma:            Ma se l’ ho pulito poco fa. E per sfasciarlo e rifasciarlo ci ho messo un’ora.

Padre:                    Allora avrà mal d’orecchio.

Mamma:            Ci ho messo due gocce del mio latte, dovrebbe calmarlo.

Padre:                    Allora sarà qualche doloretto di pancia…

Mamma:            Ma ti hi detto che si è liberato per bene.

Padre:                    Allora che avrà?  Io non lo sopporto più. Mi sta facendo impazzire.

Mamma.            Va a finire che lo metto  di la, nell’altra stanza, così tu potrai riposarti.

Padre:                    Altro che nell’altra stanza. Per non sentirlo, da come piange, bisognerebbe mandarlo nell’altro mondo e, se non la smette, ce lo mando per via mare… Cambio di ambientazione mentre escono il padre e la mamma, siamo vicino al mare, Colombo adulto si appressa al pubblico)

Colombo:           Avete visto come mi volevano bene i miei genitori? Tanto ma Tanto che già allora, ancora in fasce, mi volevano mandare nell’altro mondo, il nuovo mondo. Erano dei bravi geografi. Che cari! Comunque, da giovane volli fare il marinaio e incominciai a solcare il Mediterraneo. (Si rimette nel suo cantuccio mentre entra il Colombo giovane)

Colombo gio:     Il destino di chi abita in una città di mare è segnato. Ti affacci alla finestra e vedi il mare, respiri e senti l’odore del mare che ti apre i polmoni, assapori continuamente i sapori del mare, e mangi pesci e mangi molluschi. Esci e ti fai una passeggiata al mare. Ti danno un appuntamento e te lo fissano al porto. O vuoi o non vuoi, il tuo rapporto col mare diventa un impegno. E così succede che incominci a parlare col mare. Cosa ci vuoi fare? E’ più forte di te. (Rimane assorto nei suoi pensieri)

Il coro canta la settima canzone sul tema

Il mare

(di A. Pugliese-A. Vian)

Dalla ligure e verde scogliera

Ogni sera con te parla il mare

E tu al mare confidi ogni sera

I pensieri segreti che hai.

Il mare è la voce del tuo cuore

È la voce del tuo cuor

Che ti inebria ancora.

Navigar di qua, navigar di là

Sempre sopra il mare.

E se un giorno andar tu vorrai

Su una piccola barca sul mare

Ogni sera dal mar sentirai

La più bella canzone del cuor.

Il mare………………………

Marinaio:           (Entra e scrolla il giovane Colombo) Ragazzo, svegliati! E’ giunta l’ora.

Colombo gio:     (Si riprende dai pensieri) Eh! Sono già le otto?

Marinaio:           Le otto? Cosa c’entrano le otto?

Colombo gio:     Come cosa c’entrano! Le otto, l’ora della cena! Ho una fame che non ti vedo. Questa benedetta arietta di mare ti fa venire un’acquolina….

Marinaio:           Ma quale cena. Pensi sempre a mangiare tu. E’ giunta l’ora fatidica, l’ora che aspettavi da tempo. Il tempo ti è favorevole, caro il mio giovane Cristoforo.

Colombo gio:     Allora è l’ora della colazione! Mi sarò addormentato e non mi sono accorto che è passata una notte intera. Dio, come passa il tempo! Su, andiamo a casa, una bella zuppa e ci rinfreschiamo.

Marinaio:           Ma è una idea fissa la tua. Non è scoccata nessuna ora per mangiare, nemmeno quella del mezzogiorno.

Colombo gio:     Allora cosa stai a scocciare tu e la mia ora.

Marinaio:           Ma pensi sempre a mangiare tu?

Colombo gio:     Cosa vuoi? L’aria di mare è capace di farti un buco nello stomaco, e bisogna tamponare.

Marinaio:           E la tua voglia di navigare? E il tuo desiderio irrefrenabile di solcare i mari? E il tuo rapporto quasi amoroso col mare? Dove li mettiamo?

Colombo gio:     Non so. Dove vogliamo metterli? Nel cassetto dell’armadio? No, nella madia. Quando avremo mangiato  ci sarà spazio a sufficienza.

Marinaio:           Non scherzare, Cristoforo. Insomma è ora che tu ti imbarchi e vada in giro per i mari. C’è una nave per Chios che ha necessità di uomini. Che fai, vieni?

Colombo gio:     Ma, a bordo, si mangia? Sai com’è, già quando siamo a terra l’aria di mare è quella che è. Quando poi si è a bordo, e col rullio delle navi lo stomaco si svuota più facilmente.

Marinaio:           Ma è chiaro che si mangia: mattina, mezzogiorno e sera. E, se ti va, anche lo spuntino di mezzanotte.

Colombo gio:     Allora va bene. Quando si parte?

Marinaio:           Anche subito.

Colombo gio:     Andiamo prima a mangiare un boccone (escono e il  Colombo adulto si rivolge al pubblico).

Colombo:           (Al pubblico) Fu così che, spinto da una segreta passione e da uno smodato desiderio di avventura , io intrapresi la carriera di marinaio. E poi passai a governare le navi anche sull’oceano.

Felipa:                    (Entrando sulle ultime affermazioni di Colombo) E per questo devi ringraziare mio padre.

Colombo:           Felipa, Mogliettina mia!

Felipa:                    Poche storie! Se non era per mio padre, capitano di porto Santo, nell’isola di Madeira, i viaggi te li saresti sognati.

Colombo:           (A parte, al pubblico) E siamo arrivati nel 1480. (Si sente la marcia nuziale) Ho sposato questo tesoro di donna e vivo sulle rive dell’Oceano Atlantico. E qui mi si formò in testa il progetto di raggiungere l’Est navigando verso l’Ovest. (Riprende la recita)

Felipa:                    Guarda sulla spiaggia, Cristoforo, hai visto che strano relitto?

Colombo:           Hai ragione. Mi sembra un tipo di legno che non esiste  da noi. Chissà da dove viene?

Felipa:                    Ma!?! Forse dagli inferi.

Colombo:           no, forse dalle Indie.

Felipa:                    Dalle Indie? Ma se sono verso Est e questa è la riva Ovest di Madeira.

Colombo:           E’ vero. Ma tu sai di quella strana idea del mondo tondo, ed io sono certo che al di la di questa massa ci sono la Indie e questi relitti, che vediamo spesso, ne sono la prova. (A questo punto entra in campo Paolo Dal Pozzo Toscanelli)

Toscanelli:         Ma certo che è rotonda la nostra terra.

Felipa:                    E chi è questo intruso?

Toscanelli:         Permetta che mi presenti, gentilissima signora, e, mi creda, sono davvero dispiaciuto di essere considerato un intruso. Sono certo che quando avrà udito il mio  nome, il suo signor marito capirà perché sono presente in questa storia.

Colombo:           Allora si presenti subito.

Toscanelli:         Sono Paolo Dal Pozzo Toscanelli, il geografo e cartografo di buona fama. Il mio nome non le dice niente, caro Colombo?

Colombo:           A pensarci, in verità mi sembra non del tutto nuovo.

Felipa:                    Conosci questo signore?

Colombo:           Forse. Ma perchè non vai a casa? Al signore penso io.

Felipa:                    Segreti di uomini! Va bene. Addio, signore!

Colombo:           Allora, signor Toscanelli, cosa vuole?

Toscanelli:         Niente altro che il mio posto in questa storia.

Colombo:           E quale posto?

Toscanelli:         Io sono sicuro che lei ha letto qualcuna delle mie carte e si è reso conto della rotondità della terra.

Colombo:           Forse, ma, in fondo, che importanza ha?

Toscanelli:         E sa che anche io sto progettando qualcosa di simile all’affermazione che ho sentito dirle poco fa..

Colombo:           La ripeta.

Toscanelli:         Beh! Se la terra è rotonda, andando da un lato, per esempio verso Ovest, si può, anzi si arriva al lato opposto, verso Est, per esempio alle Indie.

Colombo:           Confesso che questa idea mi si sta formando e di aver letto qualcosa di suo.

Toscanelli:         Tagliamo corto. Io voglio che si riconosca che sono stato il primo ad aver avuto questa idea.

Colombo:           Sarà, ma io sarò il primo a metterla in pratica.

Toscanelli:         Adesso dovrei farmi una bella risata. Lo sa, caro Colombo, che io ho già inviato i miei progetti al sovrano del Portogallo Giovanni II?

Colombo:           Allora siamo pari. Io ho già inviato mio fratello dallo stesso sovrano per averne l’avallo e l’aiuto.

Toscanelli:         Anche lei?

Colombo:           A me non piace perdere tempo, ed appena si formato il progetto nella sua completezza sono passato all’attuazione pratica. Sto già in attesa di una risposta, mio fratello avrebbe già dovuto essere di ritorno.

Fratello:             (Entrando) Salve, fratello.

Colombo:           Eccolo qui. Salve, fratello. Finalmente sei arrivato.

Fratello:             Ma non con buone nuove. (Notando Toscanelli) Chi è questo signore?

Toscanelli:         Mi presento, sono Paolo Dal Pozzo Toscanelli.

Fratello:             Ah, è lei? E come si trova qui?

Colombo:           Dice che vuole la sua parte in questa storia.

Fratello:             Che se la prenda tutta la sua parte e ci resti fin che vuole, tanto noi non siamo riusciti a combinare niente. Giovanni II è testardo e non vuole aiutarci.

Toscanelli:         Penso che voi abbiate sbagliato a non farvi raccomandare. Io, invece, sono sicuro di non fallire, perché ho provveduto a farmi raccomandare dal confessore di Giovanni II e penso che non mi negherà il suo aiuto.

Confessore:        (Che era entrato sulle ultime parole di Toscanelli) E pensa male, caro Toscanelli.

Toscanelli:         Come? Lei è qui? Cosa è successo?

Confessore:        E’ successo che quella testa dura non ha voluto dare ascolto neanche alle mie parole. Ha detto  che gli basta la rotta verso sud, quella scoperta da Diaz, e che gli altri se ne vadano a farsi friggere.

Toscanelli:         Ma gliele ha fatte vedere le carte?       

Confessore:        Certamente! Ha aggiunto che è meglio farne un altro uso, senza specificare quale.

Toscanelli:         Ma gli è stato detto che già il grande Pitagora aveva manifestato la certezza della rotondità della terra?

Confessore:        Certamente! Ma ha risposto che questo Pitagora è morto da tanto tempo e che non può più testimoniare. Ha, inoltre, affermato che il fatto che la terra sia rotonda gli dispiace perché, dice che, solo a pensarci, la sua testa incomincia a girare.

Colombo:           A quanto pare il caro Giovanni II non vuole proprio sentire parlare di Est e Ovest.

Toscanelli:         Insomma è proprio deciso?

Confessore:        Assolutamente irremovibili.

Toscanelli:         Allora, caro Colombo, addio! Io vado e le auguro di potercela fare (Esce parlottando col confessore).

Colombo:           caro fratello, morto un papa, se ne fa un altro. Fallito il tentativo con un re, ci rivolgeremo ad un altro re.

Fratello:             Ma come faremo? Come farai?

Colombo:           Lasciami pensare. (E, mentre pensa…)

Il coro canta

Chissà come farà

(di L. Chiosso-G. Palazzo e M. Bertolazzi- A. V. Savona)

(Rit.)    Chissà come farà 

Con quella faccia

Con quella faccia.

Chissà forse lui ha

Qualche argomento

Che non si sa.

Per me lui conosce la musica

E sa indorarti la pillola:

se metti stasera piove

e un poco ti senti giù

scommetto che lui soave

ti convince che il cielo è blù. (Rit.)

Per me lui conosce la musica

Che fa ogni cosa più facile

Se coglie una margherita

E poi la regale a te

Ne fa un’orchidea pregiata

Che al mondo non ce n’è. (Rit.)

Per me lui conosce la musica

E sa il tuo lato più debole

Se in testa dunque s’è messo

Di andare per mare ad est

Ti tocca nel tuo profondo

Tu ci credi e l’aiuterai. (Rit.)

(Colombo ed il fratello escono. Alla fine della canzone, si passerà ad ambientare il palco come un convento, mentre si sentirà in sottofondo musicale “Fratello sole, sorella luna” di N. Rota. Entreranno dei francescani, a due a due, recitando preghiere. Il superiore e Padre Marrachena interrompono ogni tanto le loro preghiere per parlare di Colombo)

Superiore:          … Caro Marrachena, qui bisogna vedere cosa fare…

Marra:                    … A che cosa si riferisce, padre?

Superiore:          … Io sono stato fin troppo paziente…

Marra:                    … Si sa che la pazienza è una delle più grandi virtù… e voi che siete il superiore, siete superiore anche nella pazienza…

Superiore:          … Ma tutto deve avere un limite…

Marra:                    … Se mi fate capire meglio…

Superiore:          … Voi, sette anni fa, avete insistito per ospitare una famiglia…

Marra:                    … Vi riferite al caro Cristoforo ed al piccolo Diego?… Due care persone…

Superiore:          … Non lo metto in dubbio… due bravissime persone… ma…

Marra:                    … E’ successo qualcosa?…

Superiore:          … Deve succedere ancora qualche altra cosa?…

Marra:                    … Ma, fatemi capire…

Superiore:          …Sono sette anni che vivono con noi…..

Marra:                    …La vostra misericordia è infinita…

Superiore:          … Sarà, ma la nostra economia no… e i conti non quadrano.

Marra:                    … Cosa volete dire?…

Superiore:          … Che è arrivata l’ora che quei due se ne vadano. Il convento della Ravida di Palos è stato fin troppo ospitale con quei due.

Marra:                    Ma, superiore, lo sa che Colombo è qui da quando è rimasto vedovo. In più sta portando a termine il suo progetto sulle Indie.

Superiore:          Capisco tutto. Ma capisco anche che la nostra borsa piange.

Marra:                    Vi prego di avere un po’ di pazienza.

Superiore:          Lo so che sono vostri  amici, ma bisogna    fare presto.

Marra:                    Cercherò….

Superiore:          Voi avete un sacco di amici a corte a Madrid. Fateli funzionare per convincere una buona volta Ferdinando e Isabella.

Marra:                    Ci proverò…

Superiore:          E fatelo in fretta… non possiamo più mantenerli… (Poi, mentre il coro intona un canto gregoriano, escono recitando la litania in latino,e subito dopo si cambierà l’ambientazione. Entrano due paggi, che, sulle note di una nuova musica rinascimentale, accennano a passi di danza portando due troni. Seguono i due regnanti con la corte)

Ferdinando:       Non insistere, cara. A queste strane storie di terre rotonde io non ci credo.

Isabella:             Eppure, scoprire una rotta nuova e più breve per le Indie ci farebbe comodo.

Ferdinando:       Lo so benissimo che abbiamo bisogno di altre terre che producano ricchezze per noi. Specialmente ora che la Spagna ha dovuto affrontare le spese per la guerra di riconquista.

Isabella:             Siamo appena riusciti a cacciare i Mori dalla Spagna e a riunire la penisola. Manca solo il Portogallo. Ma quello quando lo riunisci? Specialmente ora che ha trovato la rotta sud di circumnavigazione dell’Africa per le Indie, diventerà ancora più ricco, e va a finire che dovremo chiedere un prestito proprio a loro.

Ferdinando:       Questo mai!

Isabella:             Allora ascolta il mio consiglio: Aiutiamo ‘sto Colombo.

Ferdinando:       Ma chi ce lo ha mandato tra i piedi?

Isabella:             Padre Marrachena, Anzi è di la che aspetta. Lo faccio entrare?

Ferdinando:       E va bene. Fallo entrare. E’ proprio uno scocciatore coi fiocchi.

                                             Però è un amico. ( Ad un segno di Isabella, un componente della corte esce per rientrare con padre Marrachena, coi vari inchini e salamelecchi) Caro padre, si avvicini. Qual buon vento vi porta da queste parti?

Marrachena:       Voglia sua maestà ricevere i miei umili saluti.

Isabella:             Non si incomodi troppo, padre. Faccia come se stesse al suo convento.

Marrachena:       E’ proprio del mio convento che volevo parlare.

Ferdinando:       Del suo convento?… Abbiamo già dato!

Marrachena:       Lo so bene. Ma è per un’altra cosa.

Isabella:             Parli, dunque.

Marrachena:       Chiedo di risolvere la questione di Colombo. Sono sette anni che sta con noi, col figlio Diego e  il superiore si è lamentato per il costo di questa ospitalità. E’ tempo che si decida di farlo partire.

Ferdinando:       E allora fatelo partire, mandatelo via.

Marrachena:       Forse non sono stato chiaro. Intendevo dire che è tempo di aiutarlo a partire per le Indie. Se sua maestà vorrà, potremo ottenere due cose nello stesso momento: accontenteremo  Colombo e il superiore.

Ferdinando:       Ma lo sa, padre, quanto mi costerebbe questo affaretto?

Isabelle:              Quasi niente.

Ferdinando:       Come, quasi niente?

Marrachena:       Vede, maestà, Colombo ha già trovato dei banchieri fiorentini disposti a metterci un bel gruzzolo.

Ferdinando:       E allora cosa vuole di più?

Marrachena:       A lui occorre quello che in futuro chiameranno uno “sponsor” di un certo prestigio. E il regno di Spagna sarebbe il più adatto. In più potrebbe anche guadagnarci un titolo nobiliare, il che non guasta mai.

Isabella:             Ma  non possiamo farci la figura di avari. Bisognerà chiedere qualche consiglio per non perdere la faccia. (Ad un cenno si fa entrare un consigliere)

Consigliere:        Cosa desiderano le loro maestà?

Isabella.             Aiutateci a trovare la soluzione di un problema. Qui si tratta di far finta di aiutare Colombo, ma bisogna risparmiare sul costo e guadagnare contemporaneamente prestigio e fama in questa impresa.

Consigliere:        La cosa migliore da fare sarebbe quella di procurargli le navi, che sono la parte più appariscente e necessaria dell’impresa.

Ferdinando:       Certo che sarebbe molto difficile attraversare l’oceano con carri trainati da buoi. Ma io speravo di spendere molto meno.

Consigliere:        E poco spenderemo. Anzi spenderemo quello che non recupereremmo forse mai. Se ben ricordo, la città di Palos è stata condannata ad armare delle navi a sue spese e metterle al servizio della corona per una vecchia condanna in seguito a contrabbando. Ebbene è venuto il momento di far lavorare i cantieri di Palos.

Ferdinando:       Ottima idea! Si dia l’appoggio all’impresa. (Tutti escono e la scena subisce un mutamento, tutto quanto era stato portato per la reggia viene riportato fuori, entra Colombo)

Colombo:           Quanto sono felice! Nel porto sono pronte le tre caravelle: la Nina, la Pinta e la Santa Maria. Sono perfette. Con loro mi sentirei di arrivare dappertutto, anche sulla luna. Forse li no. Ci penseranno tra circa cinquecento anni. E forse proprio nel posto dove andremo nascerà l’uomo che poggerà il per la prima vola il piede sulla luna. Ma adesso devo andare. Il mare mi aspetta. Non so cosa mi aspetti veramente, ma vado. (Esce mentre un  balletto con indigeni delle Nuove Indie fa il suo ingresso. Alla fine arriverà Cristoforo Colombo con alcuni uomini e la bandiera, come nelle iconografia e gli indigeni porteranno dei doni).

Colombo:           (Si rivolge al pubblico) E’ meglio lasciarci ora. E’ meglio per me e per voi. Per me, perché è stato il momento più bello dell’impresa. Per voi, perché così smetteremo di annoiarvi, avendolo fatto già abbondantemente. Addio! (Cala il sipario)

Il coro canta la canzone

Funiculì funiculà

Inserendo alla fine i versi seguenti nella canzone

One day, wile I was going on the subway

A big a fat lady sat upon my hat

Oh, my silk hat, oh, my silk hat

Cristopher Columbus

Wat do uou think of that?

A big a fat lady sat upon my hat

Oh, my silk hat, oh, my silk hat

Fine

Come quadro finale si può allestire un balletto di indigeni americani con l'arrivo di Colombo su musiche latino-americane.