Dall’altre parte

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DALL’ALTRA PARTE

***

TRE ATTI

di

EMANUELE VACCHETTO

E mail: evacchetto@libero.it

© E. Vacchetto c/o SIAE 

PERSONAGGI:

      IL PROFESSORE – sui 70 anni

      IL MAESTRO – sui 70 anni

      IL PADRONE – sui 60 anni

      ANGELICA - giovane

      IL COCCHIERE

      IL GIOVANE STUDENTE      

      IL PROFESSORE DA GIOVANE        

      NINA – la sguattera (caratterizzazione muta).

quindi:   

COMPARSE E

UN GRANDE CANE BIANCO

NOTA  IMPORTANTE PER LA PRODUZIONE:

                  Gli otto personaggi possono essere in realtà cinque.

La giovane ANGELICA  truccata farsescamente può diventare la brutta NINA (che ha un paio di brevi apparizioni mute). Lo stesso per il GIOVANE STUDENTE, il PROFESSORE DA GIOVANE e il COCCHIERE, che possono essere interpretati dallo stesso attor giovane, truccato in modo diverso. Quanto alle COMPARSE e al CANE appaiono in un solo momento fisso del finale. Possono quindi essere volta a volta reperiti su piazza

 

LA SCENA:

Una locanda di campagna nel beneventano:

1) SALA INGRESSO LOCANDA con Bancone, Tavolini, Sedie ecc. tutto piuttosto rustico.

2) CORRIDOIO su cui si affacciano le stanze numerate della locanda.

3) STANZA N. 14 arredata in stile campagnolo. Due finestre. Una parete mobile fatta di garza, o altro materiale che diventi trasparente secondo le luci.

PERIODO STORICO: Vagamente anni ‘40.

ATTO I

SCENA 1 - INGRESSO LOCANDA -

(Il piccolo ingresso è semivuoto. Uniche presenze  il PADRONE, intento con calma partenopea a ripulire e rendere splendente un bicchiere. E il MAESTRO, non giovane, seduto a un tavolino, che fa un solitario con un mazzo di tarocchi.

RUMORE DI PIOGGIA FUORI SCENA).

MAESTRO - (come continuando un discorso iniziato) ... Per   esempio, ditemi tre numeri.

PADRONE - (stringendosi nelle spalle)  Sette, quattordici, ventuno.

MAESTRO - Si', vabbe'! Otto sedici e ventiquattro!... Sono numeri seri secondo voi? Allora tanto vale andare a caso...

PADRONE - ( con pazienza, come per un vecchio discorso) E andiamo a caso...

MAESTRO - Sapete cosa avete voi? Brav'uomo, per carità, niente da dire! Solo che siete un po', come dire, terra terra... Non avete fantasia, non amate l'avventura, il mistero...

PADRONE – Sì, il mistero della tabellina dell’otto! Ma fatemi il piacere!

MAESTRO – Ma no!, il mistero dei numeri… Tutto è numero diceva Archimede, questo tavolo, questa sedia… perfino l’anima dell’uomo è numero. Puoi spostare gli addendi avanti e indietro, anche su e giù nel tempo, ma il risultato dell’addizione non cambia… (sentenzioso) Tutto è già calcolato nel grande libro contabile della vita. Eh, i numeri sono un mistero.

   (Di lontano, mescolato con la pioggia, si avvicina un

   RUMORE DI CARROZZA A CAVALLI...)

PADRONE : - (senza astio)Qui l'unico mistero è quando mi pagherete il conto, caro il mio Maestro...

MAESTRO : -(con aria di importanza)Aspetto una rimessa dall'America, lo sapete. Mio figlio si è sistemato a New York  e lo devo raggiungere da un giorno all'altro...

PADRONE : -(paziente)Lo so, lo so. Da un giorno all'altro...

MAESTRO : - Ecco, sempre a far pesare... Va be', vi perdono data la vecchia amicizia. Portate un litro di rosso per festeggiare il perdono!

PADRONE : - Sempre le solite scuse per farvi dare del vino. Il perdono!... Mi prendete per scemo?...A proposito, stanotte ho sentito dei rumori in cantina...

MAESTRO : -(con aria indifferente)Queste vecchie case sono piene di rumori strani... Io per esempio sento sempre un gran rumore di ...puchi.

PADRONE : - (perplesso)Puchi??

MAESTRO : - (sicuro di sé)Puchi, puchi, mai sentito parlare dei puchi?  Fanno "pkiiii!, pkiiii!"...

(Si apre la porta della locanda. Entra un anziano COCCHIERE, bagnato fradicio, con una valigia in mano...

Al Maestro, non par vera l'occasione per cambiare un discorso per lui imbarazzante...).

MAESTRO  : - Cocchiere: ventuno... Bagnato con  valigia: trentasette.

COCCHIERE : - (al padrone) Avete una stanza?

PADRONE : - Che vi è successo Giovanni? Vostra moglie vi ha cacciato un'altra volta?

COCCHIERE : - Non è per me. E' per questo signore qui...

              

(Dalla porta lasciata aperta entra un uomo anziano avvolto in una mantella: il PROFESSORE.)

MAESTRO : - (tra sè) Vecchio decrepito : sei...

COCCHIERE : - Cercava una locanda e l'ho portato qui.

PADRONE : - Per forza. In paese ci sta solo questa!

COCCHIERE : - Felice notte...

               (il Cocchiere esce.)

PROFESSORE : - (intervenendo con urbanità) Una camera che dia sul cortile con la fontana, per favore...

PADRONE : - (un po' stupito) Conoscete il cortile con la fontana?

PROFESSORE : - Sono già stato qui, tanto tempo fa... Voi siete Luigino?

PADRONE : - Luigi, sì...

PROFESSORE : - Eravate un ragazzino... Mi rubavate tutte le penne...

PADRONE : - (indignato) Io? Rubavo?

PROFESSORE : - (indulgente) Eravate piccolo...Ma non potete ricordare. Siete troppo giovane per avere buona memoria...

   (Il Padrone si strige nelle spalle e apre un grande registro.)

   (L'uomo dietro il banco scrive con qualche fatica.)

PADRONE: - Professione?

PROFESSORE : - Paleografo.

PADRONE : - Che avete detto?

PROFESSORE : - Paleografo.

               (L'uomo si accinge a scrivere, ma presto ci rinuncia e gira il registro verso il Professore).

PADRONE - Scrivetelo voi...

               (L'altro esegue, mentre il Padrone osserva)

PADRONE : - Visto che siete un professore, per voi sono tre lire a notte. Voglio favorire la cultura...

               (Dal suo angolo il Maestro fa eco)

MAESTRO :- Sessantasei, il ladro.

PROFESSORE:- Va bene... Resterò qualche giorno.

PADRONE :-  Potete restare anche un mese. A me piace vedere gente nuova...

               (il Padrone prende una chiave da un cassetto e, reggendo una lampada a petrolio e la valigia del Professore che lo segue, fa per avviarsi verso le stanze da letto.

Il Maestro interviene:)

MAESTRO : - Che numero fa paleografo?

PROFESSORE : - Prego?

MAESTRO : - Al lotto... se sogno voi, per esempio, che numero scrivo sulla cartella?

PROFESSORE : - (con gentilezza) Non lo so. Non me ne intendo.

MAESTRO :- E che professore siete allora?

               (Il Padrone interviene...)

PADRONE : - O Maestro, non vedete che il signore è stanco? Lasciate che vada a dormire.

MAESTRO : - (con sussiego) Non vedete che il signore e io dobbiamo parlare? La gente che studia mi interessa. Sono o non sono un maestro. Portateci un litro e due bicchieri... E voi Professore sedetevi un momento...

               (Scosta  la sedia  accanto.  Il Padrone guarda il Professore, che si strige nelle spalle e si siede. Il Padrone, con un sospiro, posa la valigia e va controvoglia al bancone a prendere bottiglia e bicchieri)

MAESTRO : - Allora ditemi, che studiate, che studiate?

PROFESSORE : - Paleografia.

MAESTRO : - Bello! E che cos’è?

               (Il Padrone torna con bottiglia e bicchieri, che posa sul tavolo. Il Maestro allunga velocissimo la mano verso la bottiglia ma il Padrone lo precede e la solleva con un guizzo della mano. Poi la posa davanti al Professore)

PROFESSORE : - La Paleografia  lo studio della scrittura antica... Almeno, quello che ne resta.

MAESTRO : - E venite a cercarla qui?

               (Nel  frattempo il  Maestro,  a dispetto del padrone, riuscito a impadronirsi della bottiglia. Versa un dito di vino al Professore e si riempie il bicchiere, che ingolla. Per il resto della scena il Professore lascerà il bicchiere così a metà, mentre il Maestro continuer a bere e a versarsi vino...)

PROFESSORE : - (professorale) A Benevento e nei dintorni esistono esempi dell'antica scrittura che si chiama appunto Beneventana. Sono qui per studiare uno di quei documenti...

MAESTRO : - (versandosi altro vino e ingollando) Davvero? Una cosa difficile detta cosi'. Come si fa a sapere cosa c'è scritto su un pezzo di carta vecchio di secoli...

PROFESSORE : - Dipende dal pezzo di carta... Comunque sì, in genere non è facile.

MAESTRO : - Mi siete simpatico... (beve e riempie) Perché non cercate di sognarmi?

PROFESSORE : - Prego?

MAESTRO : - Anzi facciamo un patto. Anche perché mi avete offerto da bere e mi sembra giusto ricambiare. Facciamo che chi muore prima appare in sogno all'altro... Siete malato?

PROFESSORE : - Adesso? No. Insomma, un po’ di artrite, ma niente di grave.

MAESTRO : - Pazienza. Allora se morite prima di me, voi mi apparite in sogno. E se muoio prima io, appaio in sogno a voi. D'accordo?

PROFESSORE : - Se vi fa piacere... Ma a che scopo?

MAESTRO : - Intanto si può fare un poco di conversazione. Qua ci si annoia tutto il giorno. Ma forse ci si annoia anche dall'altra parte... E poi se io sono dall'altra parte, nell’altro mondo, è chiaro che vengo a sapere un sacco di cose che in questo mondo non si sanno. Potrei aiutarvi nel lavoro, per esempio.

PROFESSORE : - Volete dire da morto?

MAESTRO : - E certo, e come se no? Mettiamo che c'è che trovate una carta antica tutta macchiata, mezza rotta, che non ci si legge proprio niente. E mettiamo che voi vi state addannando per capire che c'è scritto... Magari  qualcosa di importante, va a sapere mai... Magari è la lettera di Nerone a Seneca dove gli ordina di tagliarsi le vene, eh?

PROFESSORE : - (con un sospiro condiscendente) Magari sì. E allora?

MAESTRO : - Allora io vi appaio in sogno e vi aiuto a decifrare.

PROFESSORE : - (scettico) Voi...?

MAESTRO : - Io! Magari mi faccio aiutare da un angelo. Quelli sanno tutto. Vedrete, se ci mettiamo in tre e ci impegnamo, in cinque minuti è fatto tutto... Poi voi con calma vi svegliate, vi prendete  il vostro caffè e scrivete in bella copia quello che  avete sognato... Vuoi mettere il risparmio di tempo?

PROFESSORE : - Non vi farà male tutto quel vino?

MAESTRO: - (evidentemente ubriaco) Ma no. Io reggo, reggo... Dunque... Ecco: se invece morite prima voi, facciamo le corna...

               (il Professore fa le corna...)

MAESTRO : -  ... voi apparite in sogno a me.

PROFESSORE : - E che faccio quando sto nel vostro sogno?

MAESTRO : - Prima di tutto un po' di conversazione... Poi potreste farmi una cortesia...

PROFESSORE : - (ormai rassegnato alle stranezze del Maestro) Dite pure, se posso... senza complimenti...

MAESTRO : - Dovreste darmi un bel terno secco. Magari una cinquina, già che ci siete. Vedete, vorrei andare in America e mi servono i soldi. Ho un figlio che emigrato a New York e siamo rimasti che lo dovrei raggiungere.

PROFESSORE : - (con l'aria di chi ne ha abbastanza di quella conversazione, ma sempre cortese) Va bene va bene. Restiamo d'accordo così. (si alza) Adesso se permettete sono un poco stanco...

MAESTRO : - Ma certo, e scusatemi eh?

               (il Padrone subito accanto, regge la valigia del Professore)

PADRONE : - ( con un'occhiataccia al Maestro, si rivolge al Professore) Prego, per di qua...

PROFESSORE : - Buonanotte...

MAESTRO : - Buonanotte a voi, e grazie. Ci conto!

               (il  Professore,  preceduto  dal Padrone con la valigia, esce)

MAESTRO : - (solo. Estrae un taccuino e una matita)  Dunque avevamo detto... sei, quattordici e sessantasei. Ruota  di Napoli...

SCENA 2 - CORRIDOIO.

               (Il Padrone e il Professore sbucano nel corridoio su cui si allineano le camere della locanda. Il padrone ha in mano una lampada a petrolio accesa.)

PROFESSORE : - Quanti ospiti avete nella locanda?

PADRONE : - Solo voi e Vincenzo, quello che avete conosciuto da basso. E' il maestro in pensione. Qui non ci viene più nessuno. Da quando hanno fatto la circonvallazione, la gente gira intorno al paese come se avessimo la peste...

PROFESSORE : - Tipo bizzarro, il maestro...

PADRONE : - E' solo... Il figlio andato in America e non ha scritto più... Così lui si  trasferito qui. Ci  teniamo compagnia... Si spende l'intera pensione al lotto. E' nu poco fissato...

        (I due passano difronte a una porta contrassegnata con il numero 12)

PADRONE : - Questa la stanza del Maestro. Vi dovesse servire qualcosa...

               (Intanto il Maestro, che ha seguito i due, sbuca dal fondo del corridoio. E' visibilmente ubriaco e barcolla reggendosi al muro. Giunto vicino al Professore, saluta rispettosamente con un inchino che rischia di farlo cadere a terra. Ma si riprende, ed entra nella propria stanza, la numero 12, richiudendosi la porta alle spalle.)

PROFESSORE : - L’ha presa tosta, eh? Non è che poi sta male stanotte?

PADRONE : - Ma no, non si preoccupi. Dormirà come un ghiro. E anche lei.

               (Intanto  i due  sono  arrivati difronte alla stanza N. 14, successiva alla N. 12. Fra le due porta c' un largo pezzo di muro)

PADRONE : - Ecco il 14, la vostra stanza.

               (Infila la chiave e apre. Entra seguito dal Professore.)

PROFESSORE : - E la stanza numero 13 non c'è'?

SCENA 3 - INTERNO STANZA NUMERO 14

               (La stanza ha due finestre, un letto, un lavandino, un armadio e un cassettone. Non è  lussuosa ma ha l'aria pulita.)

PADRONE - (continuando il dialogo) Una volta c'era, ma nessuno voleva abitarci. Vecchie superstizioni, come il monacello e la strega di Benevento. Così la stanza numero 13 l'ho eliminata. Ho buttato giù il muro e ho ingrandito questa stanza qui. Per questo costa di più... Ci starete benissimo, Professore. Avete due belle finestre e di giorno è piena di luce.

               (Il  PADRONE  apre  una  delle finestre. Il temporale cessato. Da fuori arriva il rumore di una fontana.)

PADRONE - La sentite la vostra fontana? Concilia il sonno... Bene, ecco qui la chiave...(gli dà la chiave) Buonanotte.

PROFESSORE - Buonanotte.

               (Il PADRONE esce, lasciando nella stanza la lampada a petrolio. Il PROFESSORE rimasto solo apre la valigia, ne estrae una papalina e una lunga camicia da notte che depone sul letto. Quindi si toglie la giacca e si slaccia la camicia, si avvicina al lavandino, apre il rubinetto e si appresta a lavarsi il viso...

LA LUCE SI ABBASSA LENTAMENTE FINO AL...

BUIO.

DA UN CAMPANILE LONTANO RINTOCCA LA MEZZANOTTE.

LUCE che sale poco a poco. L' ambiente è in penombra.

Ma ora la stanza ha un aspetto diverso: IL MURO DIVISORIO DI FONDO E' ORA MOLTO PIU' VICINO AL LETTO. E INVECE DI DUE FINESTRE C'E' N'E' SOLTANTO PIU' UNA. IL MURO SI E' FRAPPOSTO FRA LE DUE FINESTRE E LA STANZA APPARE DIMEZZATA.

Il PROFESSORE giace addormentato nel letto. Ma non ha un sonno tranquillo.

Poco a poco dalla finestra aperta sale una strana luce, mentre, come se provenissero dalla camera accanto, arrivano RUMORI COME DI UNA FESTA, che si fanno sempre via più forti.

Voci allegre, risate, il suono di una chitarra...

Il PROFESSORE si gira e rigira nel letto, finché un rumore più forte degli altri, come il botto di un tappo di spumante che salta, non lo risveglia di soprassalto.

Cercando a tentoni i fiammiferi accende la lampada a petrolio accanto al letto.)

  

PROFESSORE - (tra sè) Quello sciagurato ubriacone di un Maestro!

(Il RUMORE della festa non accenna a diminuire. Anzi pare che le chitarre si siano ora triplicate nel suono di un'indiavolata tarantella.

Il PROFESSORE scende dal letto in camicia da notte e papalina. Ha il lume a petrolio in mano. Si avvicina al muro divisorio, con aria molto seccata.

Quindi, imprecando fra sè, apre la porta della propria stanza ed esce verso il corridoio...).

SCENA 4 - CORRIDOIO

Il corridoio della locanda è immerso nel buio.

Il PROFESSORE, reggendo la lampada, percorre i pochi metri che lo separano dalla porta accanto.Non si accorge che la porta accanto ora MOLTO PIU' VICINA DI PRIMA. In pratica, una nuova porta comparsa fra le due viste nella scena 2.

Dietro la porta il FRACASSO della festa al massimo.

Il PROFESSORE alza il pugno e fa per abbatterlo con forza. Ma prima che possa percuotere la porta OGNI RUMORE CESSA COME D'INCANTO.

L'ambiente cade nel silenzio più totale. Tanto che, per lo stupore, l'uomo resta con la mano sollevata a mezz'aria.

Bofonchiando a mezza voce, Il PROFESSORE fa per ritirarsi in camera sua, quando un RUMORE lo fa voltare.

Dalla porta della stanza accanto, la N. 13 che non dovrebbe esistere più, ESCE UNA FIGURA VESTITA DI BIANCO.

E' una donna giovane (ANGELICA) che, dando le spalle all'uomo che la sta osservando, si allontana per il corridoio fino ad essere inghiottita dal buio...

Il Professore resta perplesso a guardare il buio davanti a sè.

LE LUCI CALANO LENTAMENTE.

FINE ATTO PRIMO

                                                     ATTO II

SCENA 1- INGRESSO LOCANDA

(Nell'ingresso della locanda, disposti fra bancone e tavolini, ci sono il

PADRONE, il MAESTRO e il PROFESSORE.

L'atto si apre a dialogo iniziato. C'è concitazione, come nel bel mezzo di un litigio...)

MAESTRO - (indignato) Io? Feste da ballo? Mi cascassero gli occhi...

PADRONE - (arrabbiato) Ti sei portato un'altra volta il vino in camera e hai fatto ‘nu bordello, eh?

PROFESSORE - (rincara, indignato) E pure le ragazze! Ma non vi vergognate, alla vostra età?

MAESTRO - Ragazze? Quali ragazze?... Chist'è pazzo!...

PADRONE  -  (al Maestro, arrabbiato) Avete di nuovo chiamato Nina in camera vostra, come l'anno scorso, eh?

MAESTRO - Nina? Ma no!

PADRONE - Dite la verità!

MAESTRO - Ma vi dico di no, quant’è vero Iddio!

               (il Padrone ha preso il Maestro per la giacca e lo scuote con forza. Tanto che il Professore, ora più calmo, cerca di intervenire).

PROFESSORE - Via, su! Non è poi una cosa così grave...

PADRONE - (inviperito) Non è grave? Questo lo dite voi! L'avete mai vista Nina, la sguattera?

PROFESSORE - No.

PADRONE - (chiamando forte) Nina! Nina!

               (dall'uscio che dà sulla cucina si affaccia NINA, una donna sui 50 anni, con un cappone mezzo spiumato in mano. E' quasi calva, ha gli occhi strabici, grassa come un baule e con pochi denti in bocca. Insomma un mostro.

NOTA: Nina dev’essere molto caratterizzata e ridicola. Può essere la stessa attrice che interpreta Angelica, qui truccata in modo grottesco.) 

L'apparizione lascia il Professore stupefatto.)

PADRONE - (a Nina) Niente, potete andare...

               (Nina esce)

PADRONE - (al Professore) Visto, se non è grave?

PROFESSORE - (titubante, un po' sognante) Ma no... Non può essere questa la ragazza... Quella era...bella, bellissima… aveva un vestito bianco… e leggero... come una nuvola...

               (Il tono un po' esitante, quasi sognante del Professore, lascia perplessi gli altri due.)

MAESTRO - (tra sè) Mo' si vede chi è l'ubriaco...

PADRONE - (paziente, al Professore) Una ragazza così, qua dentro io non l'ho vista mai, neanche prima della guerra...

MAESTRO - (al Professore, complice) Avete poco poco bevuto un bicchierino di troppo, eh?

PROFESSORE - (indignato) Io non bevo mai!

MAESTRO – Neanche a Natale? Magari un bicchierino a Natale...

PROFESSORE - Mai!... Va bene, non parliamone più...

         (Il Professore tende la mano al Maestro, che gliela scuote con vigore.

               RUMORE di carrozza. Entra il COCCHIERE).

COCCHIERE - Buongiorno a tutti. (al Professore) Io sono qua. Vogliamo andare?

               (Il Professore si alza dal tavolo, Regge una borsa.)

MAESTRO - (al Professore) Ve ne andate per colpa mia?

PROFESSORE - Ma no. Vado a Benevento. Devo studiare dei documenti antichi. tornerò tardi... Potete lasciarmi la porta aperta?

PADRONE - Certo. Vi lascio pure la candela e i fiammiferi sul bancone.

               (Il Professore e il Cocchiere escono. Rumore di carrozza in allontanamento... Una voce femminile e popolaresca, fuori sulla strada, intona una antica canzone napoletana...

Nella locanda sono rimasti il Padrone e il Maestro).

MAESTRO - Credete che sia una cosa grave?

               (Il Padrone ha ripreso a sciacquare bicchieri con indolenza)

PADRONE - No. Anche a me capita di sognare e poi di non sapere bene se è stato un sogno... E' una cosa normale.

MAESTRO - Mi togliete un peso dal cuore... Perchè, vedete, ieri sera prima di addormentarmi c'era un nano in camera mia...

PADRONE - (sbalordito) Cosa c’era?!

MAESTRO - Un nano. Che saltava sul letto. E non mi faceva prendere sonno... Tre giorni fa, con la grappa, c'era la gallina. La grappa porta sempre la gallina. Invece il Malvasia porta il nano... Allora il nano fa Quindici...

PADRONE - (automaticamente) Quindici...

MAESTRO - La gallina fa Cinquantasette...

PADRONE - (c.s.) Cinquantasette...

MAESTRO – Però, dato che mi ha fatto pure un uovo sul letto, diciamo che fa Settantaquattro... Poi ho sognato mia moglie buonanima...

PADRONE - (le mani fra i capelli) Gesummarìa!...

MAESTRO - (imperterrito) Uno che non sa, direbbe: Moglie quindi Undici. Io invece ci penso. Studio. Approfondisco. E dico Pietra Preziosa. Mia moglie si chiamava Agata... E Pietra Preziosa fa Cinquantotto. E' una scienza, c’è poco da fare. Bisogna esserci tagliati...

       (Sulle ultime parole del Maestro, la luce di scena cala poco a poco fino al

BUIO.

               Nel BUIO: Stacco Musicale. E’ notte.

Ora l'ingresso della locanda è immerso nel buio. Solo un debole chiarore proviene dalla strada attraverso i vetri opachi della porta.

   RINTOCCHI DI CAMPANILE: LE UNDICI E TRE QUARTI

Sui vetri dell'ingresso si profila un'ombra. Poi, cautamente, la porta si apre.

È il Professore che, come annunciato, ritorna tardi dalla vicina città. Cerca di fare meno rumore possibile.

Sul bancone trova una candela e dei fiammiferi. La accende per farsi luce nell'attraversare l'ingresso.

Ma uno strano rumore lo blocca.

E' come un RANTOLO CON FISCHI E BORBOTTII, che nel buio hanno qualcosa di terrificante.

La sorpresa e forse la paura fanno tremare la mano dell'anziano signore.

La candela gli sfugge di mano e cade a terra, spegnendosi.

Il rantolo si fa più forte. Il Professore è preso da una punta di panico...)

PROFESSORE – Chi c’è là?!

               (Gli risponde un sibilo più forte. Con mano tremante l'uomo riaccende la candela. La luce si spande fino a illuminare uno dei tavoli.

Con la testa riversa sul tavolo e una serie di quartini vuoti di fronte, c'è il Maestro. Sta russando e sibilando, chiaramente ubriaco. Per di più, immerso in un qualche suo incubo, smozzica qua e là parole con voce cavernosa.)

              

PROFESSORE - (tra sé irritato, ma anche sollevato) Vecchio ubriacone!

            

  (Un poco rinfrancato, il Professore si dirige al piano di sopra, verso le camere. Il sonoro e buffo russare del Maestro continua, finché la scena ripiomba nel

BUIO.)

SCENA 2 - CORRIDOIO

               (Il  Professore  percorre  il corridoio alla debole luce della candela, e si dirige verso la propria stanza.

Ma, prima di arrivare, attratto dai rumori che si sentono oltre la porta accanto alla sua. Qualcuno, dietro l'uscio,  sta piangendo. Sono disperati singhiozzi e sospiri di dolore. Il vecchio si sofferma incuriosito davanti alla porta. Sull'uscio è scritto ben visibile il numero 13.

L'uomo, perplesso, si gratta la nuca. Quindi, stringendosi nelle spalle, rinuncia a meditare oltre sul piccolo mistero. Va oltre, fino alla porta del 14, la sua stanza, ed entra...

SCENA 3 - INGRESSO LOCANDA

(NOTA : a questa scena deve in qualche modo preludere al tono magico del finale ed equilibrarlo, preparando il pubblico a quel tanto di fantastico che avverrà nell'epilogo).

               (Nell’ingresso locanda, il Maestro è rimasto addormentato e ubriaco. Sospira e rantola, con gli stessi rumori che tanta paura hanno messo addosso al Professore che entrava di notte.

Ma poco a poco rumori e sospiri si risolvono in qualcosa di più chiaro. Il Maestro, in sogno, sta parlando con la moglie morta, Agata...)

MAESTRO - (come parlasse con un sogno che vede solo lui) Agata, moglie mia... Come sarebbe che non fai cinquantotto? Agata, pietra preziosa, cinquantotto... Ah, l’agata è una pietra semipreziosa? Non preziosa, semi. Quindi invece di cinquantotto fa la metà. La metà di cinquantotto, allora ventinove. Agata, da viva sapevi poco, ma da morta le sai tutte tu.

Domani cambio il terno e gioco il ventinove. Giusto.

Senti, già che ci sei, notizie di Filippuccio nostro?

Sta in America? Sì lo so che sta in America, a Little Italy, ma perché non si fa vivo. Ah, è stato malato... Gli hanno sparato? Ma è vivo si?...Ah meno male. E si ricorda di me, in America?

Dici che devo avere pazienza. Ah, lui adesso è americano e si deve sistemare?... Ma se ti sogna... ti può sognare in America?... ah, è difficile? Beh, se capita digli che io sono qui che aspetto sue notizie, digli che aspetto notizie dall'America... Che sono tanti anni che aspetto. Digli che papà aspetta, Agata... Papà aspetta, aspetta…

              

(Il monologo del Maestro dovrebbe costituire un piccolo momento "lirico", magari sottolineato da una musica adatta, magari napoletana e in tema con l'emigrazione. Alla fine la MUSICA di questa scena sfuma nell'inizio della MUSICA della scena successiva, che sarà un suono di spinetta)...

BUIO.

SCENA 4 - STANZA DEL PROFESSORE

               (MUSICA: un SUONO DI SPINETTA in lontananza, che si innesta alla fine della canzone della scena precedente. Il Professore ha indossato camicia e berretta da notte. Sta dormendo infilato sotto le coperte.

NOTA: LA STANZA ORA SI E' DI NUOVO RIMPICCIOLITA. C'E' UNA FINESTRA SOLA, COME SE IL MURO SI FOSSE SPOSTATO FINO A COPRIRE L'ALTRA. Ma la stanza non oscura del tutto. Dalla finestra aperta una luce esterna illumina l'ambiente.

Prima sommessa, poi sempre più  chiara, una voce dolcissima si leva nella notte.

E' una voce di donna, che canta una vecchia canzone d'amore napoletana, accompagnata da una spinetta.

               (CANZONE NAPOLETANA ANTICA)

Il Professore si agita. Si sveglia.

La luce strana che proviene dalla finestra, o la canzone, a quell'ora della notte gli sembrano, e sono, fatti piuttosto strani.

Scende dal letto. Non si accorge che ora la sua stanza  più  piccola. Accende il lume da notte. Si avvicina alla finestra aperta. Scosta le leggere tende di mussola.

Oltre la finestra, a pochi metri di distanza, sul muro imbiancato a calce della casa di fronte, si staglia la sua ombra illuminata alle spalle dalla lampada a petrolio.

Ma accanto alla sua, un'altra finestra illuminata, e un'altra ombra si staglia sul muro bianco, vicino alla sua.

E' quella di una giovane donna, dal profilo puro e regolare. Si suppone sia seduta alla spinetta. La ragazza canta con bella voce l'antica canzone.

L'anziano Professore resta a guardare e ascoltare affascinato...

Poi la canzone finisce, poco a poco, lentamente, la luce svanisce, l'ombra sul muro sbiadisce fino a sparire...

Unico RUMORE resta quello della fontana nel cortile.

Il Professore si scuote, richiude le tende della finestra e si rimette a letto.

Abbassa il lume, ma resta ad occhi aperti.

Poi, come se d'improvviso gli venisse in mente  qualcosa, riaccende il lume e si guarda intorno.

Ora la parete ha ripreso il suo posto normale. Le finestre sono due. La camera accanto, abitata dalla fanciulla dalla bella voce non c' più.

Pensieroso, il Professore rispegne la lampada...)

BUIO.

SCENA 5 - INGRESSO LOCANDA

              

               (E'  MATTINO  PRESTO.  Il  sole dell'alba sembra entrare lentamente dalle finestre della locanda a illuminare l'ambiente. La luce scopre il Maestro, ancora addormentato sul tavolo dalla sera prima, fra quartini  e bicchieri.

Entra  il Padrone. E' ancora assonnato. Vede  il  Maestro addormentato. Gli si avvicina, lo scuote.)

PADRONE - Ehi, Maestro! Svegliatevi che è giorno fatto!

MAESTRO - (si scuote borbottando) Mmmm... Cosa c'è?...

PADRONE - Ma vi pare il modo alla vostra età? Dormire tutta la notte su una sedia...

MAESTRO - Potevate portarmi a letto ieri sera... (si stira) Ahi, che mal di schiena!

PADRONE - Sì, e magari cantarvi anche la ninnananna... Se non sapete governarvi da voi!... (verso la cucina) Nina! Prepara il caffè!

  

               (Entra  il Professore, con  una cartella da lavoro in mano, come proveniente dalla propria camera).

PADRONE - Buongiorno professore. Avete dormito bene?

PROFESSORE - Sì... no... così così, insomma.

MAESTRO - (ironico) Questa notte feste da ballo in camera mia non ne ho date.

PROFESSORE - Lo so. Vi ho visto qui, ieri notte. Mi avete anche fatto prendere un bello spavento.

MAESTRO - Sono mortificato... La volete 'na tazzulilla 'e cafè?

PROFESSORE - (sedendosi e posando la borsa) Grazie.

               (Entra Nina col vassoio e  due caffè).

PADRONE - Nina, un altro caffè per il Professore.

               (Nina esce.)

MAESTRO - (porgendo la propria tazza al Professore) Intanto prendete questo, fatemi la cortesia...

PROFESSORE - Ma no, grazie. Posso aspettare.

MAESTRO - Per carità, voi siete l'ospite. Mi offendete...

               (Il Professore si stringe nelle spalle e  prende la tazzina)

PROFESSORE – Quand’è così...Grazie.

MAESTRO - Ma vi pare.

               (Nina rientra col terzo caffè. Lo posa sul tavolo e esce.)

PADRONE - (al Professore) Così oggi ci lasciate...

PROFESSORE - Veramente... stavo pensando di fermarmi ancora un poco... se non avete altri clienti per la mia stanza, beninteso.

PADRONE - Nessun cliente. Potete fermarvi quanto volete... Vi piace il posto?

PROFESSORE - Mi ricorda il passato...Tanti anni fa, quando ero ancora studente, passai qualche mese proprio qui... Allora la stanza numero 13 c'era. Ci abitavo io. (al Padrone) Per questo mi ricordo di voi ragazzino che mi rubavate le penne... Saranno cinquant’anni fa... Avevate una sorella più grande, se non sbaglio...

PADRONE - Due. Felicita, che sta a Napoli dalle monache. Ormai è  vecchierella...

PROFESSORE - (con un filo di emozione) E... l'altra?

PADRONE - Angelica... Me la ricordo appena. E' morta giovane. Era debole di petto, poverella. E' vissuta sempre qui, dovete averla conosciuta.

PROFESSORE - (lo sguardo assorto, lontano) Sì, l'ho conosciuta.

               (Il Padrone indica un quadro appeso alla parete. E' il ritratto di una ragazza, eseguito con tecnica approssimativa).

PADRONE - Quello un suo ritratto. E' di un pittore senza soldi che l'ha fatto per pagarsi i pasti qui... Almeno cos ho saputo. Ero ragazzino, allora.

PROFESSORE - (guarda turbato il quadro) Sì...sì...adesso mi sembra di ricordarla.

MAESTRO - (alzandosi) Bene, io vado a fare la mia passeggiata in piazza... (al Professore) Volete venire con me?

       (Il Professore non risponde. Sembra assorto in profondi pensieri)

MAESTRO - Dico a voi, professore!

PROFESSORE - (scuotendosi) Come?... No, no grazie. Resto qui un altro poco.

MAESTRO - Come volete. Arrivederci.

               (Il Maestro esce.)

PROFESSORE - Quanti anni avete?

PADRONE - Sessantuno

PROFESSORE - Io quasi settanta.

PADRONE - Complimenti. Ve li portate bene.

PROFESSORE - Invece me li sento proprio tutti.

               (Qualche istante di silenzio. Il Professore è sempre più pensieroso.)

PROFESSORE - (quasi tra sè) "Dàctilos eméra"...

PADRONE - Che?

PROFESSORE - "Il giorno è solo un attimo"... E' greco antico...

Vi sembro un po' matto?

PADRONE - Voi? Ma no, che dite mai.

PROFESSORE - Io invece credo di esserlo. Alla mia età è facile non starci più tanto col cervello.

PADRONE - Ma se sembrate un ragazzino!

               (Una lunga pausa. Il Professore fissa il vuoto).

PROFESSORE - Credete che quando uno sta per morire abbia dei presentimenti?

PADRONE - Che dite?

PROFESSORE - Niente, niente. Lasciate perdere...

              

               (Una lunga pausa. Poi il Professore parla come se qualcosa di confuso si fosse improvvisamente schiarito nella sua mente).

PROFESSORE - Forse resterò qui ancora una notte...

BUIO               

                                              FINE SECONDO ATTO

ATTO III

SCENA 1 - INGRESSO LOCANDA

        (MUSICA molto tenue, evocativa, un po' dolente. Le luci, dal BUIO iniziale, salgono poco a poco a illuminare dapprima l'INGRESSO LOCANDA. Si capisce che siamo a notte inoltrata anche per alcuni dettagli: le sedie rivoltate sui tavoli, e soprattutto l'assenza totale di personaggi.

Poi la LUCE si abbassa lentamente fino al BUIO...

Dal BUIO si alza la LUCE a illuminare l'ambiente CORRIDOIO, anch'esso deserto. Di nuovo la luce si abbassa fino al BUIO.

Dal BUIO ancora sale la LUCE a illuminare la STANZA DEL PROFESSORE.

Nella sua stanza, il Professore difronte al lavandino. Ha appena finito di lavarsi il viso. Prende un asciugamano bianco. Si asciuga.

Poi va davanti allo specchio. Si pettina accuratamente.

Sul letto, la sua valigia aperta. Sceglie con cura una camicia pulita, la spiega e la indossa con gesti lenti, QUASI RITUALI.

Ha addosso un paio di pantaloni bianchi, e ora, aperto l'armadio, ne estrae una giacca bianca e una cravatta chiara.

Si annoda con cura la cravatta e si infila la giacca.

Quindi si siede sulla poltrona accanto al letto.

Chiude gli occhi.

E' importante che questo inizio scena, muto, abbia l'andamento di un rito, come fosse la preparazione di qualcosa che il Professore ha già capito e che fatalmente avverrà.

Il campanile batte lentamente la mezzanotte.

D'un tratto IL MURO DI FRONTE AL LETTO COMINCIA A MUOVERSI SILENZIOSAMENTE, LENTAMENTE. AVANZA FINO A META' STANZA, SUPERANDO E NASCONDENDO OLTRE SE' UNA DELLE DUE FINESTRE.

E, come la sera precedente, una LUCE "d'effetto" penetra dalla finestra nella stanza.

Quindi nell'aria si leva un CANTO DI DONNA, sottile e puro come un sospiro. E' lo stesso della sera precedente, ma adesso è più vicino, a pochi passi dal Professore seduto sul letto con gli occhi chiusi, vestito del suo abito bianco, la valigia posata accanto.

Al suono, il Professore apre gli occhi.

La LUCE, salendo poco a poco, illumina una figura vestita di bianco. E' una ragazza, seduta sul cassettone, che indossa un vaporoso abito, i lunghi capelli sparsi sulle spalle. E' la stessa ragazza ritratta nel quadro che sta nell'ingresso della locanda da basso.

E' Angelica, la giovane morta quasi cinquant'anni prima.

Il Professore guarda l'apparizione, lei gli risponde con un sorriso.)

PROFESSORE - Angelica...

ANGELICA - (contenta) Allora ti ricordi di me!...

PROFESSORE - Ti aspettavo...

        (il sorriso della ragazza si fa più tenero).

ANGELICA - Credevo che mi avessi dimenticata... Allora la sorpresa che ti avevo preparato non serve più... Ma te la voglio far vedere lo stesso...

        (La ragazza indica la parete difronte al letto, la parete che si magicamente spostata).

ANGELICA - Guarda...

        (Quasi a comando della ragazza, LA PARETE DIVENTA TRASPARENTE, come se fosse fatta di garza sottile.

Dall'altra parte compare una stanzetta, poveramente arredata, un lettino, un tavolo con una lampada a petrolio, molti vecchi libri sparsi intorno.

Al tavolo, un RAGAZZO (il Professore da ragazzo) di circa vent'anni. Sta studiando e scrivendo al lume della lampada.

Le luci della stanza del Professore sono ora bassissime. Solo un riflettore che lo inquadra, seduto sul bordo del letto.

Più alte le luci dietro la parete di garza, che illuminano la stanza dove il RAGAZZO sta studiando.

Anche Angelica è sparita. Si sente solo la sua voce Fuori Scena.

Dall'esterno proviene un RUMORE DI PIOGGIA BATTENTE, COME SE DILUVIASSE.

ANGELICA - (voce Fuori Scena, parlando del Ragazzo che sta studiando ma rivolta al Professore) Sei tu. Ricordi? Sono passati tanti anni... Questa la sera in cui ci siamo salutati per l'ultima volta. Faceva freddo. Pioveva forte. Io ero stata nei campi con le altre ragazze del paese a fare la cicoria, poi ci sorprese la pioggia . Scappavamo tutte. Ma le altre erano allegre, ridevano e ballavano sotto l'acqua , si facevano scherzi.

Io invece ero triste. Sapevo che era la nostra ultima sera insieme.

Ho fatto tutta la strada fino al paese con lo scialle in testa, per ripararmi dalla pioggia. E sono corsa su da te...

        (La porta della stanzetta del Ragazzo si apre, ed entra Angelica. Ha un sopra-abito scuro difoggia semplice, uno scialle in testa, i capelli sulla fronte bagnati di pioggia. E' ansimante, come se avesse corso sotto un acquazzone. Il ragazzo si alza, va verso di lei, la abbraccia.

ANGELICA - (voce Fuori Scena) Avrei voluto morire quella sera stessa... Vedi come piangevo? E tu mi consolavi, dicevi che mi amavi, che saresti tornato presto. E mi abbracciavi stretta stretta stretta.

        (Poi la scena oltre il muro poco a poco si oscura fino al BUIO. La povera stanzetta del Ragazzo

ripiomba nell'oscurità. La parete della camera N. 14 riassume il

suo aspetto di parete qualsiasi. Il Professore rimasto in proscenio, di spalle al pubblico, ed ha osservato l'intera scena come lo spettatore di un film muto. Ora Angelica, vestita di bianco, nuovamente accanto a lui. La ragazza gli sorride. )

PROFESSORE - Perché sei qui?

ANGELICA - Ci abito... Ci abitavo. E da quando sei partito ci

ritorno sempre. (sorride) Ci ritornano anche gli amici. Ti ricordi Peppino, e Giovanni, e Totò, che ci giocavi a carte la sera?

PROFESSORE - (dopo una pausa) Sì... Dove sono?

ANGELICA - (indica il muro, ridendo) Ma dall'altra parte! Sai, facciamo le feste come allora. L'altra notte, quando ti abbiamo svegliato con tutto quel fracasso, facevamo la tua festa d'addio, quella di cinquant'anni fa, quando sei partito.

PROFESSORE - Per questo piangevi?

ANGELICA – Sì, ero tanto triste. (sorride) Poi mi sono consolata, e ti ho cantato quella canzone che ti piaceva tanto.

PROFESSORE - L'ho riconosciuta.

ANGELICA - E poi sapevo che saresti tornato. L'avevi promesso, ti ricordi?

PROFESSORE - Mi avevi scritto tante lettere...

ANGELICA - Io conservavo le tue in una scatola foderata di rosso... Ma poi si fecero sempre più rare. Poi le lettere non sono arrivate più. Ho pianto tanto... Poi mi sono ammalata...

        (Il professore stende la mano verso la ragazza, come per una carezza)

PROFESSORE - Perdonami. Ti volevo rispondere. Ma in città studiavo, e lavoravo, e la vita era triste. Ero povero e niente mi sembrava valesse la pena. Neppure il tuo amore, allora... Non sempre le difficoltà della vita rendono forti. A volte induriscono il cuore, e non si può più cambiare... Eppure ti volevo bene, sai. Ma è vero, ti avevo dimenticata... E solo oggi ho saputo che... (esita) della tua malattia.

ANGELICA - (ride) Di’ pure che ero morta. Non è mica una vergogna. Capita a tutti.

PROFESSORE - Hai sofferto?

ANGELICA - Solo quando mi hai lasciata. Tutti i giorni all'ufficio postale aspettando le tue lettere. E piangere, poi, tornando a casa, quando non arrivavano. Mi prendevano in giro... (sorride) Ma io lo sapevo che un giorno saresti tornato.

PROFESSORE - (dopo una pausa, un sospiro) Forse era meglio che non fossi mai partito. Sarei stato un buon fabbro, come mio padre. Forse ci saremmo sposati, e ora avrei dei figli e dei nipoti intorno a me... E non mi sentirei così solo.

ANGELICA - Ma hai studiato. Hai imparato tante cose. Sai decifrare iscrizioni antiche, è come parlare con gli uomini dei secoli passati. Se i morti sono ancora vivi, se i vivi hanno memoria è perché tu e quelli come te hanno fatto tanta fatica sui libri. Dovresti essere contento. Dovresti essere amato da quelli che ancora sono vivi...

PROFESSORE - Non sono amato da nessuno. Perché non sono stato capace di trattenere nessuno accanto a me. Sai, una volta mi hanno chiamato in Messico. Un posto chiamato Yucatan, dove ci sono i resti delle antiche città del popolo Maya. C'era un villaggio, Merìda, uguale ai paesini qui intorno. Il mercato, la piazza, i venditori ambulanti. Le facce erano quelle dei loro antenati, quelle scolpite sulle pietre delle grandi piramidi che io dovevo studiare. E su quelle piramidi i Maya facevano sacrifici umani per avere il favore dei loro dèi. E le vittime erano felici di morire, perché credevano che il loro sangue sarebbe servito a far crescere il grano più rigoglioso. E i loro figli avrebbero mangiato almeno per una stagione ancora... L'abitudine alla morte... I piccoli teschi di zucchero che i bambini messicani comprano il giorno dei morti, e li mangiano golosi, ridendo e rubandoseli fra loro... E i teschi allineati nelle nostre cripte, e sopra splende il sole che profuma di vita... Abituarsi alla morte. Ho passato la vita su vecchi papiri, a decifrare antiche scritture, trovate in tombe di gente scomparsa da secoli. Ho creduto di far rivivere uomini morti traducendo le parole di lingue morte,. E mi sono dimenticato che invece sopra c'era il sole, che anche io stavo vivendo, e che la vita passava, che la gente intorno a me amava e soffriva... e magari moriva… (la guarda) per amore. Sono stato egoista e meschino, e ora sono un vecchio solo... La mia vita l'ho spesa, e un'altra non c'è, per ricominciare da capo.

ANGELICA – Chi ti ha detto che non c’è? Non essere triste. Adesso tutto questo non è più importante.

PROFESSORE - (dopo una lunga pausa) Com’è la morte, Angelica?

        (La ragazza sorride. Un sorriso radioso. Si avvicina al vecchio Professore. Gli tende la mano).

ANGELICA - Alzati su, vieni...

PROFESSORE - (alzandosi dal bordo del letto e prendendo la borsa con sè) Dove andiamo?

ANGELICA - Di là, dall'altra parte. La borsa la puoi lasciare, non serve più.

PROFESSORE – ( posa la borsa) Che cosa c’è di là?

ANGELICA - Ci sono tutti...

        (La ragazza prende il Professore per mano. Quindi fa un ampio gesto nell'aria. E ancora una volta la parete della stanza diventa trasparente.

Dall'altra parte, ora la stanza numero tredici rischiarata da eleganti doppieri, su cui brillano le luci di decine di candele.

Disposti su vari livelli, come una classica foto di gruppo, ora la piccola stanza appare affollata da molte persone, uomini e donne di ogni età, tutti vestiti di bianco. Sorridono.

Hanno in mano coppe di cristallo sollevate in gesto di brindisi verso il Professore. E' come una foto di famiglia, dove non c' traccia di dolore n di angoscia.

Il Professore scruta quei volti con un sorriso.)

PROFESSORE - (riconoscendo i volti) Peppino!...e Totò!... e mio fratello Domenico!... La mamma... e Flag, il mio cane!

        (Dall'altra parte gli rispondono sorrisi, strizzate d'occhio, cenni di saluto. Flag, un cane bianco, risponde con un latrato di gioia))

ANGELICA - (dolcemente) Andiamo?

        (La ragazza porge la mano all'anziano Professore. L'uomo la stringe.

PROFESSORE - (ironico) Sei sicura che non un posto per vecchi, dove mi fanno fare la calza o intrecciare canestri?

ANGELICA - (ride) Sicura... Andiamo?

PROFESSORE - Sì...

        (Angelica e il Professore, a passi lenti, si avviano verso la parete trasparente, dove i morti sorridenti sembrano attenderli.

LE LUCI CALANO LENTAMENTE FINO AL

BUIO.

     

ATTO 3 - SCENA 2

        (INGRESSO LOCANDA. Il Maestro solo, seduto al tavolo. Contrariamente al solito, ora appare sobrio, sbarbato e vestito con giacca e cravatta. Insomma elegantissimo, per le sue possibilità. Sul tavolo ci sono bottiglia e bicchiere. Non il solito quartino di vino, ma aranciata. Posata a terra una grande valigia.

Entra un ragazzo, che chiameremo il GIOVANE STUDENTE. È ovviamente lo stesso attore che ha interpretato il Professore da giovane, magari con un altro colore di capelli. Ha una grossa valigia, gli abiti un po' stazzonati come chi arriva dopo un lungo viaggio.)

GIOVANE STUDENTE - Buonasera...

MAESTRO - Buonasera.

GIOVANE STUDENTE - Cerco una stanza.

MAESTRO - E' il posto giusto. Ma il padrone non c'è... sedetevi giovanotto. Avete l'aria stanca...

GIOVANE STUDENTE - (sedendosi) Grazie, ho fatto molte ore di viaggio...

MAESTRO - (porgendo la bottiglia) Un po' di aranciata?

GIOVANE STUDENTE - (porgendo un bicchiere che sta sul tavolo, e controllando se è pulito) "Mais oui, d'accord!".

        (Il Maestro lo guarda perplesso, poi gli versa l'aranciata).

GIOVANE STUDENTE - "Merci".

MAESTRO - (dopo una pausa, illuminandosi) Ho capito: siete francese!

GIOVANE STUDENTE - Veramente no. Però lo studio.

MAESTRO - Ah... E venite a studiarlo qua?

GIOVANE STUDENTE - Qui c'erano i Francesi che comandavano, parlo di tanti anni fa... In municipio ci sono ancora dei documenti storici. E' per l'Università...

MAESTRO - E vi fermerete molto?

GIOVANE STUDENTE - Ancora non so... (guardando la valigia del Maestro) Anche voi siete appena arrivato?

MAESTRO - No, io parto. Vado in America.

GIOVANE STUDENTE - In America? Siete emigrante?

MAESTRO - No, vado da mio figlio, a New York... (pausa) Sapete, è successa una cosa strana... Non avevo notizie di mio figlio da molto tempo. Poi la con l'immigrazione, e poi tutta una storia di whisky che non ho capito. Pare che laggiù fosse proibito… Insomma, non mi scriveva per non darmi un dispiacere.

Pare che non sia poi tutto rose e fiori, laggiù, specie per chi emigra...Ma va beh, insomma: alla fine si è sistemato e adesso mi manda a chiamare...

GIOVANE STUDENTE - E qual è la cosa strana?...

MAESTRO - Scrive che gli apparso un sogno un vecchio tutto vestito di bianco, che gli ha dato i numeri di una lotteria che c'è là in America, un po' come il lotto da noi. Otto, sedici ventiquattro e trentadue. Bingo!, così scrive. E ha vinto un mucchio di dollari. Così si è sistemato e mi ha mandato a chiamare...

GIOVANE STUDENTE - Bella fortuna!

MAESTRO - Il fatto è che ho sognato anch'io...

GIOVANE STUDENTE - Ah...

MAESTRO - Un vecchio vestito di bianco... Nel sogno la faccia non si vedeva, ma mi sembrava di conoscerlo. Insomma, anche lui mi ha dato i numeri: nove, diciotto, ventisette, trentasei, quarantacinque. Li ho giocati al Lotto e ho fatto cinquina. Ho vinto abbastanza da pagarmi il viaggio sul bastimento, e me ne avanzano ancora abbastanza per vivere tranquillo in America.

GIOVANE STUDENTE - Sono contento per voi...

        (Durante il monologo del Maestro, si è sentito, come proveniente da fuori, il rumore di una carrozza in arrivo. Ora si apre la porta della locanda e entra il Padrone. E' ben vestito e ha l'aria allegra.)

PADRONE - Per una volta il treno era in orario. Eccola qui la mia bella nipotina, fresca fresca da Napoli...

        (Il Padrone si scosta dalla porta per lasciare entrare una ragazza in abito da viaggio con una valigia in mano. E' la stessa attrice che recita la parte di Angelica.)

PADRONE - Questa è Angelica.

        (La ragazza, timidamente, entra.

Il Maestro, sorridendo, prende la propria valigia e le va incontro)

MAESTRO - Bene arrivata, bella signorina...

        (Angelica china il capo, timida, con un mezzo sorriso).

MAESTRO - (al Padrone) Avete detto alla carrozza che mi aspetti?

PADRONE - Certo. Vincenzo ha messo i fiocchi rossi al cavallo e anche le sonagliere. Ci sarà tutto il paese a salutarvi. C'è perfino la banda.

MAESTRO - (commosso) Bene... allora io vado... (al Giovane Studente) Auguri per i vostri studi.

GIOVANE STUDENTE - Grazie. Buon viaggio.

MAESTRO - (ad Angelica) Sono sicuro che sarete molto felice, qui, signorina.

        (Il commiato fra il Padrone e il Maestro, sulla soglia della locanda, è affettuoso, commosso. Intanto i due giovani cominciano a notarsi l'un l'altra, con sguardi interessati).

PADRONE - Mi avete fatto dannare, ma adesso mi dispiace vedervi partire... Lo volete l'ultimo bicchiere di vino?

MAESTRO - Lo sapete che ho smesso di bere. Non devo più bere per dimenticare... Anzi, da adesso in poi voglio ricordarmi di tutto...

PADRONE - Venite, vi accompagno alla carrozza...

        (Il Padrone e il Maestro escono.

Angelica e il Giovane Studente restano soli. Si guardano a lungo, fra timidezza ed imbarazzo. La LUCE li isola in mezzo alla scena.

Poi, da fuori, improvviso un ATTACCO DI BANDA DI PAESE, e in sottofondo un vocìo di gente festosa. La banda potrebbe suonare "Santa Lucia luntana".

I due giovani si avvicinano lentamente l’uno all’altra come attratti da uno strano magnetismo. Quando stanno per troccarsi, Angelica ha uno scarto improvviso. Ridendo, fugge dietro le quinte. Il Giovane Studente resta solo, in centro scena. La musica della banda si fa più forte, fino a un...

FORTISSIMO.

CAMBIO LUCE. Dalle spalle del Giovane Studente, emergendo dal buio, come un benevolo fantasma sorridente, entra il PROFESSORE.

La MUSICA di banda sfuma in altra musica.

Il Professore, col suo vestito bianco, avanza fino a portarsi alle spalle del

GIOVANE STUDENTE, immobile in proscenio...

Sulla musica allegra dell banda, la LUCE scende lentamente fino al

BUIO

DALL'ALTRA PARTE

FINE