D’amore si muore

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Commedia in tre parti

diGiuseppe PATRONI GRIFFI

da IL DRAMMA n. 263-264 - Agosto-Settembre 1958

Rappresentata dalla Compagnia

Giorgio De Lullo-Rosella Falk-Annamaria Guarnieri-Romolo Valli

al Teatro La Fenice di Venezia il 25 Giugno 1958

in Occasione del XVII Festival Internazionale Del Teatro  Di Prosa.

LE PERSONE

RENATO

EDUARDO, detto Eddy

ENZO, un attore preso dalla strada

TEODORA, detta Tea

LEILA MARE', diva del disco

IPPOLITO MERCURIO, detto Mercurio

TRILLINI, cronista mondano

IL  BARMAN

GINA, cameriera a mezzo servizio

UNA CAMERIERA in cerca di lavoro

LA  MADRE  DI EDUARDO

ELENA  DAVIDSON

FAZIO, produttore cinematografico

LA SIGNORINA, amica di Fazio

Coppie che ballano, due facchini.


PARTE PRIMA

« Ma signor, perché si scalda?

Ma signor, perché s'infiamma?

Sceglier voglio per un dramma

l'argomento  che  mi par..

(Felice Romani - Gioacchino Rossini: Il turco in Italia)

Ciascuna delle tre parti si compone di vari quadri che si susseguono senza la minima pausa, anzi direi che si procede a dissolvenze incrociate: un quadro non è ancora finito che quello che segue già prende consistenza, con le sue luci, il suo ambiente, i suoi personaggi. Le luci e i colori sono fondamentali nell'allestimento sce­nico. Non v'è nulla di sfumato o di tenue: le lampade squarciano il buio, i paralumi colorati spiccano nell'om­bra delle stanze, le luci talvolta accecano, le luci e lampade sono sparse un po' dappertutto. Si passa da un angolo all'altro del palcoscenico nel frastaglio del chiaro e scuro. Ma quando è solamente chiaro la luce è decisamente bianca. Il tono generale è crudo e aggressivo.

La musica è presente come un personaggio. Quando c'è si fa sentire: non è mai un sottofondo.

La ribalta serve a vari paesaggi nell'azione. In angolo, in alto, a destra e a sinistra, sono poste le insegne che si illumineranno, una per volta o tutt'e due insieme, quando la ribalta fungerà da strada e secondo le indi­cazioni del teste.

Soggiorno di un moderno attico costruito su un vecchio palazzo romano. In fondo una veranda con persiane scorrevoli. Ambiente comodo, giovanile; quasi nessun mobile, tranne poltrone, divano-letto, un lungo tavolo da lavoro, scaffali di libri alle pareti, un grosso grammofono, e lumi un po' da per tutto.

La camera è costantemente in disordine: libri sul tavolo, a terra o su poltrone. Dischi long-playing, abiti, oggetti inutili, plaids sono sparsi per la stan­za. Ogni volta che ci si muove bisogna compiere una serie di gesti preliminari. Se vuoi sederti devi sgomberare la poltrona dai dischi, se ti metti al tavolo per fare spazio bisogna che scosti pile di libri e bottiglie di whisky e cognac. Se hai necessità di telefonare, o devi andare a prenderti il telefono alla spina nell'altra stanza (e così dall'altra stanza ven­gono a prendersi il telefono quando è nel soggiorno), o se è rimasto nel soggiorno, per lo meno lo si rin­viene aggrovigliato tra le coperte del letto. Quando cammini, niente di più facile che trovarsi un paio di bicchieri o qualche bottiglia tra i piedi. Questa è la casa di due giovani benestanti, Renato e Eduardo, che fanno del cinema a Roma. La stanza è al buio, le persiane chiuse. Soltanto una lampada colorata sul grammofono accanto al letto e un'altra bianca sul tavolino ai piedi del letto - dove c'è il telefono, portacenere e un vaso di fiori rove­sciato - gettano luce su questo angolo e schiari­scono qua e là la camera. Per quello che si vede, ci dovrebbe essere un gran disordine di cose; per di più alcuni indumenti, calzoni, camicia, slip, canot­tiera, pullover e giacca sono gettati a terra conte scagliati, e le scarpe sono finite in proscenio.

Il grammofono, altissimo, suona un brano violento di cool-jazz.

Renato, in pigiama, è supino sul letto, la testa verso il tavolino, i piedi sui cuscini, immobile: un braccio, con una sigaretta accesa nella mano, penzola. Dopo un poco egli lo solleva lentamente, aspira una boc­cata e lo lascia ricadere.

Se non fosse per quelle boccate di fumo che egli di tanto in tanto aspira, nella stanza, tranne il suono assordante del grammofono, non vi sarebbe altro segno di vita.

Ma ecco che Renato, con un movimento che riflette una certa decisione presa, si rivolta sul letto, a ven­tre sotto, il viso penzoloni e allunga il braccio sino al tavolino per spegnervi nel portacenere la siga­retta. Con un gesto malsicuro fa rotolare definiti­vamente a terra il portafiori già rovesciato e ac­chiappa il cornetto del telefono; nel portarselo all’orecchio, solleva la testa.

Investita dalla luce violenta del lume sul tavolino, vediamo la sua faccia: è rigata dal pianto; le labbra semiaperte, il respiro pesante rivelano un'agitazione interna difficile da contenersi. Sta per comporre un numero, esita, fa per rimettere a posto il cornetto, infine si decide e chiama. Evi­dentemente riceve un rapido quanto inaspettato « pronto », perché stacca dall'orecchio il microfono come colpito da una scarica elettrica, ed emozionato lo tiene a una certa distanza dal viso. Dall'apparec­chio giunge il suono d'una voce femminile che con­tinua a ripetere: « Pronto? Pronto!? Proonto?! ». Egli non risponde. Ancora un « pronto », poi più nulla. Renato riaggancia il ricevitore, accende una siga­retta e si rivolta supino. Ma si alza di scatto, va al grammofono, toglie il disco e lo scaglia nel buio della camera. Ne cerca un altro fra alcuni poggiati su di una poltrona. Si porta nel cerchio di luce per distinguere meglio le copertine dei microsolchi, e trovato quello che gli va, rimette in moto il gram­mofono. È ancora cool-jazz e il volume del suono è sempre forzatissimo.

Si butta nuovamente sul letto, bocconi. Si perde dietro ai suoi pensieri, e con la sigaretta traccia distratti geroglifici nell'aria.

Ma ormai non gli è possibile evitare di fare ciò che non vorrebbe; vi è portato fatalmente. Si decide, si sporge a prendere il telefono e si siede in mezzo al letto. Incastra l'apparecchio fra le gambe e forma il numero. Nell'attesa che gli rispondano, con am­bedue le mani tiene stretto il cornetto all'orecchio: un ennesimo gesto rivelatore del suo nervosismo.

Renato           (senza avvedersene attacca ad alta voce per superare il suono del grammofono)  Pronto?! Pron­to?! Sì, pronto, son io, son io... Eh! Chi vuoi che sia! Sìii!? (Urla) Come? Non capisci?... Aspetta... Non si sente un... Aspetta, ho detto aspetta!!!

(Balza a capo del letto e senza scendere a terra stacca la presa. Il disco rallenta e muore distorcendo il suono)

Mi senti ora?... Certo! Sempre lo stesso vizio. Che mi rompe le orecchie, proprio. Per farmela entrare fin nello stomaco. Altissima!... E me lo chiedi? Che roba. Si vede che per te è come l'acqua fresca... Ro­ba che scivola... T'eri messa l'anima in pace, dillo... Ah, credevi!... Sei al punto che mi fai capace di prendere delle decisioni, o per lo meno di rispet­tarle... Ma cosa hai capito tu di me, che cosa?... Ne avessi avuto mai una prova, sarei pronto a ricono­scerlo, ma dov'è, qual è?... Pensi che io ti tormenti, che ci goda a... (incalza) e non sai renderti conto con quale diritto io... no cara... con quale diritto... se tu... no cara, il fatto è che vorresti metterti l'ani­ma in pace perché hai detto sempre la verità. Credi che basti... la verità, me la sbatto sai dove?... Che ne so? (Borbotta mentre ascolta la donna che parla)  Che ne so, che ne so, che ne so... M'immagino, sì... l'immagino... Ma se neppure te ne sarai accorta... I tuoi pomeriggi... desolati, senti, come suona bene: desolati... Non turbare, già questo è il tuo ritor­nello preferito, rispettare la decisione, la decisione sai di che! Proprio non m'importa, figurati! Questo poi... È un guaio che hai passato... Sarebbe comodo che all'inferno ci stessi io solo! (Con foga) E poi che inferno! Son nove giorni che mi sto torcendo - e tu lo sai - e non m'è venuta da te una parola, un gesto...  Ma  che coltello e  manico,  tu   non   hai nessun coltello... Dovresti essermi vicina, addosso. Dovresti riempirmi di tenerezza. Io devo essere il tuo primo pensiero appena apri gli occhi : « Cosa faccio stamattina per lui, per renderlo allegro, devi dire, per curarlo, per farlo felice », di' quello che vuoi, ma non lasciarmi così, e credere che io abbia cessato... perché non me lo merito... (Dicendo « non me lo merito » si mette a piangere. È uno sfogo improvviso e necessario) Non me lo merito... (Con­tinua a singhiozzare)  La mia vita senza di te non ha più senso... (Piange nel telefono. Evidentemente dall'altro capo la dotino sta dicendo qualcosa) Co­me?... era una esclamazione?... Una frase d'ango­scia? Così per dire?!... (Ha cessato di piangere. S'è ripreso. È di nuovo violento) Non puoi usare frasi così per dire, no, cara, in questa situazione!... Nooo! Non è così per dire, in questo momento io non dico così per dire. Le parole hanno il loro peso! A chi per nove giorni è morto ventiquattro ore al gior­no non puoi dire parole, così per dire... Che tor­mento, vuol dire che tormento... basta sì! Sì! Hai ragione, non voglio più tormentarti! Sappi solo una cosa, cara, solo questa: io non ti amo, ti adoro! E sarò felice solo quando sarai morta!

(Sbatte il mi­crofono sull'apparecchio e come catapultato salta in piedi in mezzo alla stanza. Resta così come se fosse stato sbattuto là dal caso. Infine va a rimettere la spina del grammofono. La musica esplode altissima. Nel ritornare sui suoi passi inciampa in un indumento. Lo raccoglie, un gesto automatico. Resta fermo in mezzo alla stanza come un sonnambulo. Entra Eduardo. Stringe sotto il braccio due volu­minose sceneggiature. Si arresta di colpo sorpreso. Dietro di lui, vicino alla porta, s'è fermato Enzo).

Eduardo        Ma che fai? Sei pazzo?

(Getta le due sceneggiature da qualche parte e si accosta a Renato. Lo prende per il mento, lo guarda in viso).

Renato          Lasciami stare!

Eduardo        Guarda un po'! (Va a girare la manopola del grammofono. Stop musica) A quest'ora...

(Va alla veranda e tira su tutte le persiane. Il sole di un bel pomeriggio di primavera inoltrata invade la stanza. Due cose si notano immediata­mente: il grande disordine, e la figura popolana e attraente di Enzo in blue-jeans e casacca, appog­giato alla porta, con una valigia in mano, indiffe­rente)

Cosa vuoi fare? Che ti sei ficcato in testa? Sai che ore sono? Le cinque.

Renato          Non voglio più alzarmi, non voglio più uscire... Perché dovrei farlo?

(Eduardo spegne le lampade).

Eduardo        Perché non c'è nessuna ragione di non farlo.

Renato           (con un versaccio)  Ah! Che vuoi ca­pire tu... (Accenna a Enzo)  Che c'è?

Enzo              Ciao.

Eduardo        Lo saprai dopo che c'è. Non sviare. Ora bisogna che noi due... (Si rivolge ad Enzo)  Scusami, Enzo, aspettami un attimo di là, scusa. Ti chiamo io. Grazie.

(Enzo esce. Eduardo gli grida dietro)  Guarda in cucina, ci sarà qualcosa.

(A Renato)  Tu la devi piantare con questa storia. Non avevi deciso di non vederla più?

Renato          Avevo deciso! Come se fossero cose da potersi decidere. Che avete qui (si tocca il pet­to) un muscolo e basta? Tu, lei, vi meravigliate! Come? Non avevi deciso, ecc. Ma c'è qualcuno al mondo che abbia un cuore? Eh? Chi risponde? Silenzio!

Eduardo        Quanto sei idiota! Ma chi ti credi di essere? L'abbiamo tutti un cuore: soltanto che fun­ziona in un modo decente.

Renato          Quando funziona.

Eduardo        Certo. Si può essere civili anche in amore.

Renato          Queste sono parole che dicono gli es­seri aridi come te. (Pausa).

Eduardo        Bella opinione dopo tanti anni di ami­cizia. Quand'è così... (Raccoglie gli indumenti di Renato sparsi per la stanza e li poggia su di una poltrona) Potevi far entrare la Gina a farti la ca­mera... (Renato non risponde. Eduardo raccoglie il portafiori e lo rimette sul tavolino) Non met­terò bocca nei fatti tuoi, nemmeno... (Renato non risponde)  Comportati come un pazzo, fa' quello che vuoi... (Eduardo sta raccogliendo le scarpe. Scocciato) E la tua roba mettila a posto da te! (Ri­butta le scarpe a terra).

Renato          Che ne so io se la Gina è venuta o non è venuta! Se fosse venuta l'avrei fatta en­trare.

Eduardo        Perché la paghiamo allora? La casa fa schifo. È logico! Un giorno viene e dieci no! Io la licenzio. Me ne faccio mandare un'altra dall'agenzia. (Fa per uscire) Non c'è una cosa che vada bene.

Renato          Eddy, Eddy, non te la prendere per quel che dico, Eddy, non riesco a uscirne; mi manca la forza.

Eduardo         (dolce)  Le hai telefonato?  (Renato annuisce)  Accidenti.

Renato          Non ho resistito.

Eduardo        Ero quasi sicuro che stavolta...

Renato          Nove giorni, Eddy, nove giorni... Poi le ho sbattuto il  telefono in faccia.  Pensavo che mi richiamasse, ora; niente.

Eduardo        Ma anche tu... Che cosa vuoi da lei?

Renato          L'amo.

Eduardo        Sì, e lei non t'ama.

Renato          Lo so, lo so, lo so, ma ti prego non ripetermelo.

Eduardo        È così, Renato mio.

Renato          Invece non è esattamente così, te l'ho detto...

Eduardo         (spazientito)  Senti, Renato!

Renato          Amarmi è la cosa che più desidererebbe al mondo... Ma non può.

Eduardo        Allora, se lo vuole, perché non può?

Renato          Perché non m'ama. (Pausa) Eppure, se ci tiene, a un certo punto - sarò un pazzo, ma non credo - perché non abbandonarsi, non fare storie e lasciarsi amare? Se non le sono sgradito... Che ne sa lei, che ne sappiamo noi, di quello che po­trebbe accadere? Forse mi stuferò io - guarda un po' - può darsi  cambierebbe lei... Perché non pro­vare?

Eduardo        Tu credi che in amore ci sia qual­cuno disposto a fare da cavia?

(Silenzio. Eduardo raccoglie le scarpe e le poggia su uno scaffale).

Renato           (cambia discorso)  Oh, c'è Enzo di là.

Eduardo        Da tre giorni non mangia; un caffelatte, figurati, la sera...

Renato          E non poteva dirlo? Io l'ho incontrato... quand'è che l'ho incontrato? In fondo ci si vede, ci si conosce abbastanza...

Eduardo        Me l'ha detto Mercurio su alla Pro­duzione.

Renato          Ah, a proposito...

Eduardo        Basta! Il cinema in Italia è veramente quello delle barzellette, del produttore che rutta e degli sketches di rivista...

Renato          Neppure così gli va?...

Eduardo         (seguitando)  ... non se ne può parlare, sembra finto, mi viene la nausea.

Renato          Se gli abbiamo infilato tutto quello che volevano.

Eduardo        E adesso invece... Tutto cambiato. Il film non si fa più. Praticamente se ne fa un altro.

Renato          E noi?

Eduardo        Niente. Il soggetto non è più quello nostro,  è intervenuto il  solito sceneggiatore prin­cipe, e noi due restiamo i soliti giovani che hanno le idee, ma in fondo quell'altro ha mestiere.

Renato          Chi è?

Eduardo         (non gli viene il nome, si accompagna coi gesti)  Il capoccione, come si chiama?...

Renato          Buono, quello! E non ci pagano:  lo sapevo.

Eduardo        Tiè! Fino all'ultimo centesimo: alle sei e mezza ho preso appuntamento per tutti e due. Perciò sbrigati e ti prego di occuparti an­che delle nostre faccende. Su, Renato, piantala, non puoi continuare a questo modo. (Chiama ver­so l'interno) Enzo! (A Renato) Poveraccio, che bell'accoglienza! Lo metto nella camera della donna.

Renato           (sorpreso)  L'hai invitato a stare da noi?

Eduardo        L'hanno mandato via anche di casa, non pagava l'affitto. La camera della donna, col mezzo servizio è inutilizzata... Almeno per qual­che giorno, poi si vedrà.

Renato          Se ti pare giusto! Un altro fra i piedi. Non ho capito ancora se questa casa è diventata un casino o un ospizio di beneficenza.

Eduardo         (irritato)  L'uno e l'altro. (Va verso la veranda e chiama) Enzo! Vieni!

Renato          Fa' come vuoi... purché non rompano le scatole a me...

Eduardo        Non te le romperà, non ti preoccu­pare.

(Entra Enzo con la valigia in mano. Sta fi­nendo un panino).

Enzo              Dove la poso?

Eduardo        Dove ti pare. Mettila giù. (A Renato) Sai cosa ha avuto il coraggio di dirmi, coso là? « Siete troppo intransigenti, voi due : non avete la mentalità del cinema ». Lo credo, una manica di imbroglioni e... e...

Enzo              Sfruttatori.

Eduardo        Bravo. (A Enzo) Hai trovato qual­cosa?

Enzo              Prosciutto e mozzarella.

Eduardo        Stasera andiamo a cena insieme.

Renato           (come se avesse preso una decisione) Per me, me ne frego del cinema. Meglio così. (Im­provvisamente si mette le mani sul viso e fa un giro per la stanza) Dio! Perché soffrire tanto... Amore mio, impossibile amore mio!...

(Enzo lo segue sba­lordito poi si volta a Eddy che scuote la testa. Renato, risoluto)

No, Eddy no, non ci vengo, sai!

Eduardo        Fa' quello che vuoi! Qui siamo fuori della grazia  di  Dio.  (A Enzo) Prendi la valigia, Enzo, vieni... 

(Appare Tea. Ha un viso ingenuo da bambina. Indossa un vestitino molto semplice e porta una borsa trasparente da bagno).

Tea                 Ciao.

(Espressione di fastidio sia di Eduardo che di Renato).

Eduardo         (scocciato)  Che sei venuta a fare Tea?

Renato           (a Eduardo)  Non lo sai che è venuta a fare?

Tea                 Oh, come siete noiosi! Che ci metto?

Eduardo        Ti pare l'ora?

Tea                 Mi sbrigo prima io che voi a chiacchie­rare. To', chi si vede. (S'è rivolta a Enzo).

Eduardo        Vi conoscete? Teodora...

Enzo              Teodora!

Tea                 Che c'è di buffo?  Un nome bizantino. Molto più significativo di Enzo.

Enzo              A me mi fa ridere. Pensavo che ti chia­mavi Rosa Tea.

Tea                 Dove l'hai letto. Nei fumetti?

Eduardo        Ma dove vi siete visti?

Renato          Se siamo stati tutti insieme ai Nastri d'Argento. Ci siamo incontrati là...

Eduardo        Già, scusatemi.

Renato          Hai la mania di continuare a presen­tare le persone tra loro per dei mesi.

Eduardo        Va bene. Non me lo ricordavo. Sarà mica un delitto!

Renato          Lui continua a presentare, e la gente s'incontra, si accoppia, fa figli...

Tea                 Che atmosfera elettrica! Chi ci resta qui! Mi sbrigo in cinque minuti.

(Tea scompare nell'interno).

Renato           (un po' a bassa voce)  Che questa debba avere la chiave di casa, scusami Eddy, è una cosa assurda.

Eduardo         (idem)  Che tu ogni volta che arriva me lo debba ripetere, perché sai una volta tanto di aver ragione, mi fa impazzire. Come gliela tol­go? Che le dico? Dovrei piantarla, il che sarebbe un bel sollievo; ma è una parola...

Renato          Di' che io non voglio.

Eduardo        Diglielo tu.

Renato          Io? Perché? Gliel'ho data io la chiave? Arrangiati.

Eduardo        Sono stato un idiota, lo so. Ma allora pensavo, sarà per tre o quattro volte...

Renato          Tu hai la tua camera...

Eduardo         (interrompendolo)  Se la vuoi, pren­ditela.

Renato          ... ti puoi isolare quando ti pare. Io, qui, ce li ho tutti fra i piedi.

Enzo              Se è per me, me ne vado.

Renato          Tu che c'entri?

Eduardo        Sta parlando di Tea.

Enzo              Ha detto « ce li ho».

Renato          Mi sono sbagliato!

Eduardo        Per carità. Ci mancano solo le suscet­tibilità offese!

Enzo              Ha detto « ce li ho », ho le orecchie io.

Renato          Uffaaa!

Eduardo        Ma non voleva significare... Andiamo di là, su, prendi la valigia, ti mostro la cameretta, così... (Se ne vanno attraversando la veranda).

Renato          Uffa! Uffa! Uffa!

(Va a guardarsi in uno specchio, cerca per tutta la camera il rasoio elettrico, infine lo trova sul tavolo dietro una pila di libri. Lo attacca alla spina e si accinge a radersi. Squilla il telefono. Renato ha un moto di sorpresa, poi col cuore in gola si precipita sul letto là dove è rimasto l'apparecchio)

Pronto? (Deluso) No! Sono Renato... (Con forzata serenità) Ah, signora, già arrivata? Come va? Ha fatto buon viaggio? Sarà contento Eddy, si trattiene un poco... Domani?... Mm... Mm... Glielo chiamo subito... (Chiama) Eduardooo, Eddy... c'è tua madre. (Al telefono) Viene subito, signora... Sì, signora, sì, grazie, gra­zie, arrivederla.

(Entra Eduardo) È arrivata tua madre. (Gli passa il microfono).

Eduardo        Pronto, mamma cara, come stai? Ti aspettavo stasera. Ah, col treno, oh!

(Eduardo al telefono ha un tono espansivo e tenero, costella le sue parole di risate)

Sei con zia Maria? È stato buono il viaggio? E sì, avevo calcolato con la mac­china... Va benissimo, naturalmente... (Ascolta e ride) La simpatia... cose che capitano solo a te...

(Mentre parla si snoda la cravatta e si sbottona il colletto. Porta l'apparecchio sul tavolo e si siede su di una poltrona. Renato ha attaccato già a farsi la barba. Il ronzio del rasoio fa da sottofondo)

Tutti bene a casa?... E il babbo?... (Ride) Figurati cosa non farebbe quello per te... Ma non sei un po' stanca?... Giorni fa al telefono m'eri parsa raffred­data... Eh! Solo quando ce l'ho io sembra che ca­schi il mondo... (Affettuosamente) Dici anche le bugie... (Ride) ... Qui? (Si guarda istintivamente intorno) Nooo, riposati un po' ora... E poi stiamo lavorando, sai, purtroppo, c'è una gran fretta... Dob­biamo consegnare entro stasera un pezzo di sce­neggiatura... (La rassicura) Va bene, tutto bene, sono soddisfattissimo del nostro lavoro... Ma cam­biano sempre... Sì, ti vengo a prendere all'albergo per cena... Ah, mi stavi dicendo, siete venute... (Ride) ... Una cosa folle... Ah, certo, sarà divertentissimo... (Ride) ... Sì che ci vengo... senz'altro, sarò libero... Domattina, sicuro... Altre novità di casa?...

(Resta ad ascoltare. Rientra Enzo senza la casacca solo in camicia. Si accosta a Renato e fa per to­gliersi la camicia).

Renato           (staccando il ronzio del rasoio. Antipatico)  Che, hai caldo?

Enzo              Volevo lavarmi la testa; posso?

Renato          C'è quella.

Enzo              Chi?

Renato          Tea, no? Non Io sai che viene a sguaz­zare,  a  farsi  le  docce qui?   (Riprende a farsi  la barba)  Non l'hai capito?

Enzo              Va bene, come non detto.

Renato          Aspetta, aspetta: che vuoi che ti dica. Appena avrà fatto il suo comodo, vai tu...

Eduardo        Splendido, avrei voluto vederlo... Sì, va bene mammina cara... va bene... Senti, e erano grosse le ciliege?

Renato           (a Enzo)  Lo vedi? Sono ridotto avanti a questo specchio. Pare impossibile, ma ogni volta che devo farmi la barba, di là c'è Tea!

Enzo              Una bella rottura...  (Completa la frase con un gesto eloquente).

Eduardo        ... D'accordo... Bacioni, e riposati, a più tardi... Sì. (Riaggancia il cornetto. Si rivolge a Renato che continua a sbarbarsi)  Figurati che sono venute - con zia Maria no? - per andare a una di quelle feste al Vaticano. Hanno avuto gli inviti.

Renato           (con indifferenza)  Divertente.

Eduardo        Accidenti! Deve essere una vestizione mi pare, una roba del genere, quelle feste con centinaia di cardinali rossi che si buttano a terra come folli. Un colpo d'occhio! Le accompagno domat­tina. (Risatina. Va alla veranda e si stira).

Enzo              Una volta dovevo fa' su un film la parte d'un santo, san... Come si chiamava? San?... Bah! Poi non ho saputo più niente.

(Eduardo si rivolta verso l'interno).

Eduardo        Ti ricordi il ciliegio che piantarono in giardino? Quest'anno ha fatto i primi frutti... dice ciliege grosse così. Che peccato, non le ho viste.

(Resta per qualche attimo solo il ronzio del rasoio. Poi Renato, terminata la barba, stacca la spina. Silenzio. Eduardo conciliante)

Vestiti, Renato, via, dobbiamo andare a combattere con quelli.

Renato          Mi scoccio Eddy, no! Ancora questioni di soldi. Che strazio!

Eduardo        Facciamo i dilettanti allora; gli assegni da casa ci arrivano, io ho i palazzi di mia madre; e non saremo mai presi per dei professionisti.

Renato          Fatti prendere dalle crisi, adesso.

Eduardo        È la verità: se noi avessimo da por­tare denaro a  casa ogni mese per mangiare, eh, sai da quanto avremmo cambiato... (Si volge d'im­provviso a Enzo) Enzo, accidenti stasera non posso. Devo stare con mia madre. Non ci pensavo. Come facciamo?

Renato           (con tono ovvio a Eddy)  Cena con me. (A Enzo) Ti va?

(Eduardo lo guarda sorpreso per come la fa facile).

Enzo              A me, sì.

(Entra Tea. Ha una cuffia di gomma da mare in testa e si sta allacciando l'abito).

Tea                 Sono stata svelta? (Si toglie la cuffia e scrolla il capo per fare andare i capelli a posto)  Belli e asciutti! (Va allo specchio a ravviarseli).

Renato           (a Enzo)  Tocca a te. Eri il numero due.

(Enzo esce sfilandosi la camicia)

Eddy, vedi se in anticamera c'è qualcun altro a fare la fila! (Prende una camicia pulita da un cassetto e fa per uscire).

Tea                  (continuando a pettinarsi)  Siete diventati veramente antipatici; quanto lo fate pesare un fa­vore.

(Prima di uscire Renato si ferma alle spalle di Tea e fa a Eduardo il gesto di chi giri la chiave nella toppa per ricordargli di farsela resti­tuire. Tea continuando a pettinarsi davanti allo specchio)

Enzo che fa, sta qui ora?

Eduardo        Per qualche giorno.

Tea                  (si volta verso Eduardo)  Ho capito: «nix». (Riprende a pettinarsi)  Credevo che abbandonasse il campo. Ho visto la valigia, ho detto: questo se la batte...

(Renato ripetendo il gesto esce. Tea ha finito di pettinarsi. Si volta)

Spariti tutti? (Infila la cuffia nella borsa da bagno e va ad abbracciare Eddy che la subisce indifferente).

Eduardo         (la palpa)  Ma, non hai niente sotto!

Tea                 Per fare più presto. Adesso vado a vestirmi.

Eduardo        Anche se devi attraversare solo un cortile, non mi pare giusto che te ne vada in giro con una pezza addosso, e basta.

Tea                 Chi se ne accorge?

Eduardo        Si vede!

Tea                 Macché! Non si vede niente.

Eduardo         (cercando di liberarsi dalla stretta)  A me non me ne importa, chiarisco. È che non mi sembra bene.

Tea                 E smettila di spingermi. (Gli si stringe di nuovo) Mi accompagni domattina alla Cinefon? Cercano ragazze per un film su un collegio. Me l'ha detto Mercurio. Mi accompagni, eh?

(Eduardo riprende a svincolarsi).

Eduardo        Non posso, devo accompagnare mia madre in un posto.

Tea                 Quando è arrivata?

Eduardo        Ora.

Tea                  (incredula)  Ora? Bugiardo. Dove sta?

Eduardo        Che noia, Tea! (Si svincola) Mi ha telefonato da  poco;  insomma  quante spiegazioni! Non ci credi? Io domani non posso. (Perdendo la pazienza) E poi, vero?, se una ragazza vuole farsi scegliere da un produttore, non pretende che l'a­mico l'accompagni, ci va da sola.

Tea                  (sbalordita)  Vorresti spingermi nelle braccia di un altro?

Eduardo        Chi ti spinge? (Infastidito si butta a sedere).

Tea                 Me lo avevano detto che gli uomini, più le donne sono doppie e senza scrupoli, più gli piacciono. Ti farebbe comodo sorprendermi con un altro.

Eduardo        Non t'inventare le cose, Tea.

Tea                  (incalzando)  Scherzando, scherzando, la verità salta fuori. Come sfuma presto l'amore, e le promesse...

Eduardo         (seccato e serissimo)  Mai fatto pro­messe.

Tea                 Ah, no?

Eduardo        Fra te e me non si sono mai dette sciocchezze e in quanto all'amore, non usiamo paroloni.

Tea                 Sei proprio un disgraziato.

Eduardo        Tu faresti andare in galera la gente. Ti inventi le cose.

Tea                 È tutta un'invenzione, la mia, secondo te, io non sto qui con te, me lo sto inventando.

Eduardo         (deciso e senza mezzi termini)  D'a­more e promesse, dico, non se n'è parlato. Mi hai mai detto « t'amo »? T'ho mai detto « t'amo »? Ce ne siamo sempre dimenticati: ci piaceva andare a letto, e basta, che è la soluzione migliore.

Tea                 « Ci piaceva ».

Eduardo        Sì... (imbarazzato) ... e... sì (ribadisce), ci piaceva.

Tea                 E se a me piace ancora?

Eduardo        Eeh!... Purtroppo è un contratto bila­terale. Bisogna essere d'accordo in due.

Tea                 Mi fai schifo.

Eduardo         (sfottente)  Molti grandi romanzi d'a­more finiscono con  queste tre singolari  paroline.

Tea                  (sbotta)  Dovresti ricordarti, però, che tu sei stato il primo.

Eduardo        Purtroppo.

Tea                 Purtroppo?

Eduardo        E poi, se lo vuoi sapere, è vero, lo penso: neppure a lavorarti un produttore, sei buona, ma che dico, un produttore, un ispettore di produzione. Eh! Anche per questo ci vuole intel­ligenza.

(Tea sta per piangere).

Tea                 Sono pure una cretina?

Eduardo        Sì!

(Tea tira su col naso. Eduardo, irritato, in fondo dispiaciuto)

Mi ci tiri per i ca­pelli. La colpa è tua; cosa c'entravano, oggi, l'amore e le promesse? Dammi la chiave. C'è quello che fa il pazzo, non gliene va giù una; gli dà fastidio la gente che arriva, apre, entra, esce, nei bagni...

(Si affaccia Enzo con i capelli insaponati a torso nudo. Vede Eduardo che va su e giù per la stanza, Tea che si asciuga gli occhi, resta interdetto).

Enzo              Mi fai telefonare... dovevo chiamare alle tre la Stella Film; mi sono scordato.

Eduardo        Portatelo di là. Nella stanza mia c'è una spina.

(Enzo stacca il telefono e se ne va in fretta)

Ne devo fare mettere un'altra nel bagno. È diventato un albergo diurno, qui, ha ragione Renato.

(Tea s'è ricomposta e ha preso la borsa da bagno. Prende dalla tasca del vestitino la chiave).

Tea                 Tieni. (Gliela porge. Eduardo esita, quindi la prende con un sospiro. Una situazione penosa).

Eduardo        Vieni a farti tutte le docce che vuoi, naturalmente.

Tea                 Preferisco le croste. (Esce).

Eduardo         (chiama)  Renato!

(Prende la bottiglia del whisky, sceglie un bicchiere tra quelli sul ta­volo:  sono tutti sporchi. Si rassegna a versarsi da bere in uno qualsiasi).

Renato           (è in pantaloni e camicia. Si sta aggan­ciando i polsini)  Che è successo?

Eduardo         (gli mostra la chiave)  Niente. (Butta la chiave sul tavolo).

Renato          S'è offesa?

Eduardo        M'ha  rinfacciato che  sono stato  il primo. Tutte a me capitano le fortune!

Renato          T'ha ricattato?

Eduardo        Chi? Tea? Poveretta, ora esageri.

Renato          Che ti frega allora?

Eduardo        Come che mi frega? È sempre uno scrupolo. La colpa è sempre del primo, di fronte al mondo. (Gli indica il whisky)  Ti rimette in sesto.

Renato          No, non ho mangiato.

Eduardo         (affettuoso)  Fai male, fai male, Renato. Non ti posso fare la balia, abbiamo l'età della ragione, dai. Non è questo il modo di prendere la faccenda.

Renato          È un chiodo...

Eduardo        Ti passerà. Passa tutto. Guarda con Tea; va bene che nulla era, ma nulla rimane. Viene, sai, viene quel momento in cui tutto ciò che ti sembrava, incomincerà a non essere. Il bello prima si sfuma, poi si sfilaccia. I tratti essenziali, anche quelli, si scoloriscono; le mani, ti ricordi le mani il cui solo contatto... ridiventano mani e basta. E gli occhi? Non c'è un leggero strabismo? Magari di Venere, ma c'è. Osserva certe sue espressioni, opache, stupide. Forse è meno intelligente di quanto credevi. Come è possibile? Eppure! Elena incomin­cerà a decomporsi; è la prova generale della sua fine terrena, quando per sempre nessuno l'amerà più; nessuno saprà che è mai esistita.

Renato          Smettila, Eddy, per Dio! Non hai amato nessuno, tu?

Eduardo        Non sono stato toccato da tanta grazia, e spero di non esserlo.

Renato          Dammi. (Gli prende dalla mano il bic­chiere di whisky e ne beve un sorso. Poi glielo restituisce) Elena per me è la cosa più bella che abbia mai visto, e se lo è per me lo è per tutti; ecco la grandezza dell'amore. (Cerca qualcosa die­tro al grammofono) Solo un pazzo può credere che nella vita si ami due volte. Guarda. (Ha tirato fuori una busta nascosta in uno scaffale) Gliele feci due mesi fa, quando pareva che tutto dovesse filare. (Estrae alcuni ingrandimenti di Elena) Al Tevere, guarda! (Le osservano spargendole sul tavolo).

Eduardo         (ammirato)  Bella. Davvero splendida: fotogenica anche.

Renato          E questa è carta. (Lirico) È bella per­ché è viva, il bello è che esiste! (Guardano una per una le foto. Entra Enzo con i capelli bagnati e ravviati ma ancora a torso nudo. Riporta il te­lefono).

Enzo              Si sono fatti negare. (Rimette la spina e poggia l'apparecchio sul tavolino. Eduardo si ri­volta a Enzo).

Eduardo        È sistema loro.

(Renato rimette rapido le foto in ordine).

Enzo              Ma chi gli ha chiesto niente? Telefona, telefona, e poi quando gli telefoni...

(Una delle foto che Renato sta infilando nella busta scivola a terra. Enzo la raccoglie servizievole: nel porgerla a Renata la guarda)

Chi è? La Davison? (Pronuncia male il nome).

Renato           (precisando e pronunciando esattamente)  Sì, la signora Davidson.

Enzo               (che non ha capito l'intenzione ribatte di nuovo sbagliando)  La Davison!

Renato          La conosci?

Enzo               Eh!   La   motocicletta,   no?  

(Renato  e Eduardo lo fissano ambedue interrogativi)

La chia­mano così, «la motocicletta».

Renato          Che significa?

Enzo              Le Harley-Davison. Ce le ha la polizia americana...   Si  vedono  in  tutti  i  film...   quelle grosse, belle. Hai visto « Il selvaggio »?

Eduardo        Beh?

Enzo              Quelle si chiamano pure loro Davison. E a lei la chiamano così, « la motocicletta », no?... (Fa il gesto rallentato di chi inforchi una motoci­cletta con quel tanto di equivoco che comporta il doppio senso. Intanto le luci incominciano a dissol­vere. Enzo guarda i due e non comprende il loro silenzio. Crede che non abbiano capito. A Eduardo)  Hai capito?

(Ripete il gesto con maggiore volgarità)

Anch'io ci sono andato su: e come correva!

(Ride forte. La luce rimasta solo su lui che ripete il gesto gli fa brillare il torso nudo ancora bagnato dai capelli che gocciolano. Agli occhi di Renato deve sembrare un atto volgare di possesso.

Dissolvenza.

Siamo in un night club: frastaglio di luci co­lorate. La musica è continua, non smette mai, sol­tanto che a volte è aggressiva altre volte è più som­messa. Le facce di quelli che ballano si distin­guono solo quando passano sotto i fasci di luce. L'atmosfera è quella esasperante dei piccoli locali notturni, dove tutti si pigiano e parlano ad alta voce dei propri fatti, incuranti gli uni degli altri. Dietro il banco il barman ha un lavoro straordi­nario coi varii clienti appollaiati sugli sgabelli. Tra le ombre dell'orchestrina, investita dal raggio di un riflettore, appare Leila Marè - abito vistoso con ampia scollatura - che attacca a cantare. A destra, discosto dagli altri, seduto su uno sgabello, spalle al banco, faccia al pubblico, Renato beve, solo, muto. Una delle lampade gli piove proprio in testa e lo illumina. Le coppie ballano in silenzio, per ora. Fissati dalle luci, restano in evidenza Leila e Renato, mentre gli altri si muovono nel chiaroscuro).

Leila              « Indifferente

indifferente a questo amore

indifferente al mio dolore

indifferente senza cuor

tu non mi vuoi

tu non mi puoi

comprendere,

perché non sai

che per amor si muore.

Indifferente

indifferente alle dolcezze

alle soavi tenerezze

che questo amore ti vuol dar!

Tu te ne andrai

senza di me

mi scorderai

forse perché

tu non lo sai

che per amor si muore ».

(Contemporaneamente  il  barman  si sporge verso Renato, mentre prepara un cocktail).

Barman         Sai chi c'è stata, ieri sera? La signora.

Renato           (si scuote)  Sola?

Barman         Con uno alto. Una bella figura. Par­lavano in inglese. Un signore. (Renato commenta con un mugolio sordo) Stavo a guardà se arrivavi... Mi volevo divertì.

Renato           (tra sé)  Ti volevi divertire...

Barman         Volevo vedé che facevi.

Renato          Che dovevo fare? Quello è il marito.

Barman         Ahhh! Allora sei tu che cerchi rogna. Ah, Renà, questo non me lo devi fare.

Renato          Lasciami stare... Coso, non è serata, come te lo devo dire...

(Qualcuno sollecita il bar­man che si precipita all'altro angolo del banco. Renato resta ad ascoltare la canzone immobile, e quando i consueti radi applausi salutano la fine dell'esibizione, afferra il bicchiere di whisky e lo scaglia a terra. Quelli intorno a lui si voltano. Il barman accorre, guarda, capisce e dice candido)

Barman         Scivolato il bicchiere? Subito un altro.

(Il raggio di luce su Leila s'è spento. Riprende forte il brusio e l'orchestrina riattacca in sotto­fondo. Un inserviente viene a raccattare i cocci, mentre diversi clienti se ne vanno per l'ora tarda. Il barman porge a Renato un altro whisky)

Questo è l'ultimo, Renà: ci siamo capiti?

Renato          Fatti gli affari tuoi.

Barman         Appunto. Proprio per questo.

(Renato beve poi si appoggia al banco con la testa sui pugni chiusi, spalle al pubblico. Sono rimaste un paio di coppie che ballano e un po' di gente al banco. Un tavolo con divanetto è libero, al lato opposto. È apparsa Leila Marè seguita da Mercurio e Trillini - un essere squallido dalla faccia spiritata - con i loro drink in mano. Poggia la borsetta luccicante sul tavolo libero e si siede con i due. Il barman indica a Leila il locale svuotato)

Finiti i canti, finita la festa.

Leila               (ad alta voce)  L'unica attrazione del lo­cale! Hanno perfettamente ragione!

Barman          (a Renato)  So' come le pecore, hai visto? Una prende la via d'andarsene e tutti i caproni dietro. Bee, bee...

(Renato resta immobile, non commenta. Leila nota Renato, si sporge, anzi si storce per guardarlo meglio. Intanto Trillini le parla).

Trillini          Se me li dai ti faccio un bel pezzetto. Non il solito, « Ha debuttato ieri... », ma una spe­cie di biografia brillante. Mi occorrono i dati però. Che guardi?

Leila               (rivoltandosi)  Eh?... Ho fame, non so, voglia...

Trillini          Vuoi che ti ordini qualcosa?

Leila              Nooo. Oh, ma deve essere un pezzo di richiamo.

Trillini          Certo, mica ti farò una stroncatura. O lasciamo passare qualche giorno, invece, e ti farò una cosa più semplice ma decisamente pubbli­citaria : « Ogni sera il miglior pubblico di Roma, per ascoltare Leila Marè, si riversa... ».

(Leila che ha continuato ad osservare Renato, ignorando Tril­lini, si alza).

Leila              Fa' un po' tu. (Va al banco per spiare meglio Renato. Al barman)  Che si pappa qui se si ha fame?

Barman         Dipende che tipo di fame ha.

Leila              Da quali morsi, vuoi dire, uno si sente dilaniato? Fame-fame; stomaco.

Barman         Allora spaghetti.

Leila              Spaghetti! Cucinate gli spaghetti?

Barman         Cinque minuti esatti. A quest'ora c'è sempre qualcuno che ha un buco da riempire.

Leila              Come lo capisco! Non mi dispiace l'idea... Vada per gli spaghetti.

(Il barman si allontana, lei resta a guardare per un attimo l'impassibile Renato) ... Mi sembra una cosa di uno chic...

(Renato non si muove e Leila torna al tavolo. Rivolta a Trillini)  Chi è quella bellezza?

Trillini          Chi?

Leila              Quello al banco.

Trillini           (segue il suo sguardo)  Non so. (Indica Mercurio) Lui lo conosce.

Mercurio      Renato?

Leila              Chi è?

Mercurio      Uno.

Leila              Non sono ubriaca che ne vedo due! Uno, e poi?

Mercurio       (commiserandolo)  Uno... che tenta di fare il cinema.

Leila              Attore?

Mercurio      Sceneggiatore.

(Leila resta a fissarlo poi di scatto si volta a Trillini).

Leila               (a Trillini)  Non  dirmi che non ti sei accorto che quel ragazzo ha  qualcosa.   (Continua a sbirciarlo).

Trillini           (con doppio senso)  Lo spero per lui.

Mercurio      Soffre perché gli hanno rifiutata l'ul­tima sceneggiatura. È tutta la sera che soffre.

Leila              Ha sbagliato mestiere. Per me doveva fare l'attore.

Mercurio       (a Trillini)  Anche Pietroboni in persona gliene ha sbattuto in faccia una, perfino lui, quel cervello in vacanza, sai, quando volevano lanciare la Jardin... quella che non si lavava. Leila Che lingue, ragazzi! Mi dispiace per voi, quel ragazzo mi nasconde qualcosa che mi appar­tiene. Nessuna delle vostre cretinaggini, l'istinto femminile le avverte subito certe cose... Miei cari, lì c'è sotto una donna!

Trillini          Leila, chi oserebbe contraddire il tuo istinto femminile, ma a noi non ce ne frega pro­prio niente di quello che ha sotto.

Leila              Come sono fraintesa, povera me! Insomma me lo presentate o no questo Renato, dico bene?

Mercurio      Mi sta antipatico.

Leila              È antipatico? Non ne ha l'aria.

Trillini           (a Mercurio)  Su, Mercurio, non fare lo schifiltoso, vallo a invitare. Digli che venga a bere con noi.

Mercurio      Gli gira male stasera.

Trillini          E fallo per lei.

(Mercurio, scocciato, si alza e va al banco da Renato, rimasto sempre impassibile nella stessa posizione).

Mercurio      Renato... (Renato risponde con un grugnito)  Che fai tutto solo; dovresti venire a bere con noi.

Renato           (tono scostante)  Perché dovrei?

Mercurio      Così... Invece di stare qua, zitto e muto...

Renato          No, voglio sapere perché dovrei.

Mercurio      Che significa. Si dice, fra amici, no?

Renato          Noi non siamo affatto amici. Ci cono­sciamo. E poi mi dài fastidio.

Mercurio      Senti, se la prendi così... Sono ve­nuto  perché quella   (accenna con un movimento del capo a Leila) mi sta rompendo l'anima che ti vuol conoscere.

Renato           (sbirciando)  Chi? Quella che canta quelle belle canzoni?

Mercurio      Sì, Leila Mare. Dice che canta qui, ora. Me l'ha presentata Trillini, stasera. (Fa per allontanarsi).

Renato          Che vuole da me?

Mercurio      Che ne so io, se non l'immagini tu! (Con intenzione sapendo di fargli dispetto) Sta di­cendo che tu stai così per via d'una donna, e che lei ci ha l'istinto e che tu hai bisogno di lei. Se vuoi venire, a me, vero?... (Se ne torna al tavolo).

Leila               (a Mercurio)  Beh?

Mercurio      L'avevo detto io. È un villano ma­leducato. « Perché dovrei venire a bere con voi? ».

Trillini          Chi lo vuole?

Leila               (sospirando)  Ho capito. Devo fare tutto con le mie mani. È destino, nella mia vita ogni piccola cosa deve venire da me. (Si alza).

Trillini          Che vuoi fare. Sta' buona.

Leila              Quando una cosa la sento, la porto fino in fondo.

Mercurio       (a Trillini)  Mò, ci escono i numeri del lotto, vedrai.

Leila               (dal tavolo al barman)  E gli spaghetti?

Barman         Pronti!

(Il barman si allontana nel fondo mentre Leila va al banco. Vi si appoggia e con aria di sfida verso l'impassibile Renato, can­ticchia a mezza voce il ritornello « D'amore si muo­re » che l'orchestrina sta ripetendo per le solite due coppie).

Leila              « Mmm...

indifferente a questo amore

indifferente al mio dolore

indifferente senza cuor

Mmm...

Mmm...

perché non sai

che per amor si muore ».

(Appare dietro il banco il barman con l'appetitoso piatto di spaghetti. Leila al barman, ad alta voce)

Che meraviglia! Questa è un'idea azzeccata! Dài, li mangio qui.

(Il barman poggia il piatto sul banco accanto a Renato. Leila attacca con una bella for­chettata)

Gli spaghetti migliori della mia vita.

(Si volta verso Renato e lo guarda come se lo vedesse ora per la prima volta. Gli si rivolge con tono disin­volto)

Ne mangi pure lei. Sono grandiosi.

Barman         Dài Renà. Attacca... Aspetta ci so' pronti gli altri, li vuoi?

Leila               (col boccone in bocca)  Mm, mm, mm! Prenda, prenda qui. (Gli porge la forchetta) Sono troppi per la mia linea.

Renato           (villanamente respinge il piatto e la for­chetta e le si rivolge con arroganza)  Che fa lei quando non canta, l'indovina, la chiromante?

Leila               (molto abile al gioco e quindi coriacea) Mangio gli spaghetti.

Renato          E quando non mangia gli spaghetti, dico? La visionaria?

Leila              La palla di vetro, dice?

Renato          Sì, credo che l'adoperi abbastanza indi­scretamente.  Perché non ci guarda dentro i fatti suoi, anziché quelli degli altri?

Leila              Ma che c'è? Il telegrafo senza fili qui dentro? Non mi sembra però che bisogna essere una chiromante per capire la sua situazione. Non sente come è acido? In questi posti si viene o per divertirsi o, come si dice, per dimenticare; e non mi pare che lei si stia divertendo.

Renato          E invece si sbaglia. Vuol sapere a che cosa penso io? A una motocicletta.

Leila              A una che?

Renato          Motocicletta!

Leila              Se lo diverte...

Renato          Altro che! Sa lei cos'è una motocicletta?

Leila              Credo di sì.

Renato          E si sbaglia. La motocicletta non è una macchina come finora io avevo creduto e lei an­cora crede. La motocicletta... (si mette a girare in­torno a Leila scrutandola) ... è una macchina come lei, con un serbatoio, un bel serbatoio... (Le dà una pacca sul sedere).

Leila              Carina questa!

Renato          ...Chi ci mette le proprie ambizioni, chi gli spaghetti, chi quello che gli pare e piace. L'importante è che vada. Quando c'è il carburante, corre, e come corre... Prrr, prrr...

(Rifà con rabbia il verso di una motocicletta in corsa, poi imperioso si rivolta al barman sbattendo il bicchiere vuoto sul banco)

Dammi da bere!

Barman         È un pezzo che è passato l'ultimo, Renà, mi dispiace...

Renato           (sporgendosi sul banco)  Senti, cretino, tu sei pagato per servire i clienti e non per...

Leila               (lo tira giù)  Ma mangi  qualcosa; non gridi, dopo beviamo insieme. Si riempie lo stomaco e starà meglio. Faccia il bravo.

Renato          E lei non assuma atteggiamenti da crocerossina, tanto il termometro non me lo metto!

Barman          (a Renato)  Che vuoi insomma, stasera che intenzioni hai?

Renato          Mi voglio divertire! Pare che questi deficienti (con un gesto comprende tutto il locale) si divertano tutti. E chi sono io che non posso farlo?

Leila              Ha ragione.

(Renato afferra il piatto, si porta in mezzo alla sala, prende l'ultima forchet­tata di spaghetti e tenendola alta sulla testa si mette a mangiarla all'estremità. Trillini e Mercurio sono ora in piedi pronti ad intervenire, gli altri, pur continuando a ballare, guardano)

Venga. Facciamo una gara a chi mangia più svelto.

(Tenta anche lei di mangiare gli spaghetti appesi alla forchetta che Renato tiene alto).

Renato          Questi spaghetti sono schifosi. (Sbatte la forchetta sul piatto e le picchia la mano sullo stomaco) Ascolti me, ci butti dentro un bel litro di benzina, vedrà...

Leila              Così divento una macchina accendisigari. Accendo le sigarette con la bocca. (Soffia col gesto dei mangiatori di fuoco. Ride)  Non funziono, guardi Renato, mi ci vuole la pietrina.

Renato           (dandole ancora una pacca sul sedere)  E il bollo delle Finanza...

(Ridono sguaiati. Trillini e Mercurio si avvicinano).

Trillini           (a Leila)  Leila, smettetela!

Leila               (seccata)  Che vuoi? Si ride, no!

Mercurio      Ma non vede che è ubriaco!

Renato            Chi è ubriaco? Ubriaco sarai tu e tua madre...

(Fa per sbattergli il piatto in faccia. In effetti Renato non è ubriaco. Nella sua voce, nei suoi gesti non vi è nulla che denunci lo stato di ebbrezza. La sua è una reazione eccitata allo stato di depressione. La gente ridacchia, il barman esce dal banco).

Barman          (cercando di portarlo verso il banco) Vieni Renà; non volevi bere?

Renato          Voglio ballare, tieni. (Gli consegna piatto e forchetta. A Leila) Balliamo?

Leila               (al barman)  Sta' tranquillo; questo ra­gazzo me lo curo io!

(Si abbraccia a Renato per ballare mentre il barman si ritira per nulla con­vinto. I due si mettono a ballare : il pezzo è veloce).

Renato           (stringendola)  Mi faccia sentire il rumore che fa quando è in corsa.

(Leila canta forte il motivo che l'orchestrina sta suonando)

No, no, no... Prrrr, Prrrr, Prrrr. Ma che crede? Di non essere anche lei una motocicletta? Mi faccia sentire la sua voce!

Leila               (divertita di questo stupido gioco ignara del suo significato)  Prrr, Prrr, Prrr, Prrr... (Ride)  Che cretino...

Renato          Bene, benissimo, Prrr, Prrr, Prrr...

Leila              Prrr, Prrr, Prrr. (Ridendo)  Che stupido...

Renato          Sempre più veloce... sempre più ve­loce... Prrr!

Leila              Un momento, perdo la scarpa. Prrr, Prrr... Che scemo!

(Ride. I due piroettano e saltano prolun­gando il rumore onomatopeico fra l'imbarazzo degli altri. Entra Eduardo, si guarda in giro, afferra la situazione, mette una mano sul braccio di Renato e ferma la coppia).

Eduardo        Andiamo, Renato.

(Renato lo guarda, Leila non sa che cosa dire)

... Andiamo su. È tardi.

(Renato perde tutta la sua forza nervosa. È come una cosa che si lascia portar via docilmente. Trillini si avvicina a Leila per accompagnarla al tavolo. Eduardo prima di uscire con Renato fa un cenno al barman per il conto).

Leila               (lasciandosi cadere sul divanetto)  Ah! Chi era quello?

Barman          Un amico suo.

Trillini          Leila? E il tuo istinto femminile? (Tutti ridono).

Leila               (al barman)  Tu, dammi l'indirizzo di quel Renato... Quando il destino bussa, avverto subito i colpi, io.

(Dissolvenza).

(Si illumina lentamente la stanza di soggiorno della casa di Renato ed Eduardo. È mattina. C'è il sole, Gina, cameriera a mezzo servizio, capelli grigi, d'a­spetto certo più vecchio della sua reale età, sta ras­settando. Sul letto di Renato scopriamo Enzo, in pantaloni, a torso nudo, comodamente sdraiato, con le braccia piegate sotto il capo).

Gina                (spazza, spolvera e mette in ordine la stanza) Fate anche voi il cinematografo?

Enzo              Lo facevo!

Gina               Perché, non lo fate più?

Enzo              Non mi vogliono.

Gina               Eeeh! Un bel ragazzo come voi... C'è la pupa mia, tiene dieci anni, e sta sempre in mezzo ai giornaletti del cinema - li sapete? - i fumetti diciamo... Ma quanti ce n'ha, non ne avete l'idea; sempre con la testa là dentro. « Tu ti stanchi, bella di mammà » - perché, poveretta, è nata con la vista un poco deboluccia: le ho dovuto mettere pure gli occhiali, un'altra spesa, eh... ma niente, non la togliete, proprio non ce la fate... Ma quanti ce n'ha!... E sa tutti i nomi, i nomi a memoria, ogni tanto vuole giocare con me: indovina chi è questo, indovina chi è quello. Io non so niente, non ci vado mai al cinematografo - né il tempo né il denaro, si dice così? - Alle cinque di mattina, io signor... Co­me vi chiamate?

Enzo              Enzo.

Gina               ... Signor Enzo - d'inverno e che fred­do! - sto a pulire un ufficio intero. La Tessilcom: dodici stanze. Alle sette incominciano ad arrivare uscieri, impiegati e tutto deve essere a posto. Poi ho un mezzo servizio da una maestra che alle nove va a scuola, poi qua - mo' 'sti giorni ci ho avuta la pupa co' 'la bronchite, m'è dispiaciuto di non venì - e poi... Una volta ce l'ho portata a vedé ai signorini la pupa; come sono stati contenti! Eh! Il signorino Renato le ha regalato una macchina accendisigari - che non accendeva, è vero - ma faceva la scintilla però. Non se lo può scordà, gli vuole bene al signorino Renato : « com'è bello, com'è bello », fa sempre « è vero mammà che il signo­rino Renato è bello? ».

Enzo              Da mangiare lo fate voi?

Gina               Io? I signorini pranzano fuori. Ma voi da quanti giorni state qua?

Enzo              Da ieri.

Gina               Ahhh! Noo, in questa casa non si mangia.

Enzo              Questo l'ho capito.

Gina               Volete che scendo a comprarvi una cosa giù.

Enzo              Noo. Tanto fra poco torneranno. È che ieri non ho mangiato.

Gina               E perché?

Enzo              Non lo so neppure io. Dovevo andare a cena co' Eduardo, poi dovevo andare con Renato; a quello gli è venuta la madre, a quell'altro le con­vulsioni, aveva i nervi per tutto un fatto che è successo... (minimizzando) così mi seccava di andare solo e ho saltato. (Prende una sigaretta da una sca­tola e l'accende).

Gina                (lo rimprovera agitando una mano)  Pure gli amici vostri! Siete fatti tutti così! Non l'ho ca­pito, più ci stanno i soldi più si saltano i pasti : anche i signorini Eduardo e Renato, come voi, ogni tanto: « ci secchiamo, non vogliamo mangiare ». A casa mia, per far saltare un pasto - che mi farebbe tanto comodo - dovrei crollare io e la Tessilcom. Sono solo io che lavoro, signor Enzo; mio marito, tre anni che sta in un letto; il più grande è andato dentro - non s'è mai capito il perché, che ha fatto di male! Io sono la mamma, lo so se è un bravo ragazzo, gliel'ho detto. Niente! - Noi mamme, sia­mo sempre poverelle, ricche e no. Anche la mamma vostra, coi soldi che vi manda...

Enzo               (sorpreso)  Quali soldi?

Gina                (alludendo agli altri due)  Perché la mam­ma vostra non vi manda i vaglia pure a voi? Anche lei si metterebbe in un brutto pensiero a sapere che voi non mangiate! E no?

Enzo               (allusivo)  Certo. Se lo sapesse, poveretta... (Squilla il campanello della porta. Gina abbandona straccio e piumino e s'avvia, ma prima di uscire si rivolta ancora una volta ad Enzo).

Gina               Se uno non ha bisogno di lavorare per mangiare, dico io, che lavora a fa... Non l'ho ca­pito. (Esce).

(Poco dopo si sentono due voci parlare concitatamente. Entra Leila seguita da Gina)

Gina             Ma se vi dico che non c'è!!!

(Leila si ferma, colpita da Enzo, che fuma placidamente sdraiato, semisvestito, in atteggiamento da bell'animale in riposo. Enzo si volta appena, senza dare alcun rilievo alla presenza di lei).

Leila              Credevo che si facesse negare: è così strano quel ragazzo! (Rivolgendosi a Enzo)  Allora veramente Renato non c'è?

(Enzo la guarda ma non le risponde).

Gina               Ma come ve lo devo ripetere?

Leila              Lei non si alteri, stia al suo posto.

(Offesa Gina afferra piumino e straccio e dà gli ultimi ri­tocchi alla stanza. Leila, secondo il suo tempera­mento, cerca pretesti per restare là, intrigata dalla presenza di  Enzo.  Sempre riferendosi a Renato)

Mattiniero il ragazzo!

(Dopo una pausa)

Allora, nessuno sa dirmi dov'è quel Renato?

Gina               Signor Enzo, diteglielo voi.

Enzo              Dal Papa.

Leila              È andato a farsi benedire! Fa bene, biso­gnerebbe pensare, ogni tanto alla nostra anima.

(Gina le lancia un'occhiataccia).

Gina               Signor Enzo, qua ho finito. Vado a ras­settare le altre stanze, io.

(Enzo annuisce).

Leila               (decisa)  Lo aspetterò.

(Gina esce. Leila fa un mezzo giro per la stanza poi va al grammofono vicino al letto e si mette a guardare i dischi sullo scaffale, imbarazzando Enzo che se la sente ad­dosso, in testa)

Neppure un disco mio in questa casa.

Enzo               (si decide e l'attacca direttamente)  Ma lei chi è?

Leila              Non mi conosci?

Enzo              Mai vista.

Leila              E sentita? Leila Marè.

Enzo               (ci riflette sopra. Dopo un poco)  Ah, una che canta, mi pare che l'ho intesa alla radio.

Leila              Proprio...

Enzo               (la considera per la prima volta come donna)  Umh, la facevo più brutta.

Leila               Cos'è? Un complimento?

Enzo              Quelle della radio m'hanno sempre detto che cantano perché non si vedono, so' tutte brutte.

Leila               Carina questa! Bello, comunque io non sono della radio, alla radio mi ci hai sentito in disco, perché quei fetenti, i dischi miei li tra­smettono, e invece un contratto fisso - che m'inte­resserebbe per la pubblicità - non son riuscita ad averlo, mai.

Enzo              Insomma, o dentro al disco o dentro alla radio (passa anche lui naturalmente al tu) io non t'avevo mai vista.

Leila              Noi cantanti, viviamo per la voce. Il no­stro aspetto fisico non ha importanza!

(Enzo la guarda indifferente)

Senti un po', tu chi sei, carino? (Enzo, ride, Leila ha un'espressione interrogativa e vezzosa).

Enzo              Ma come parli!

Leila              Non ti va? Che sei un rude tu?

Enzo              A me, carino, non me l'aveva detto nes­suno.

Leila              Male, molto male. (Gira per la stanza guardando e toccando tutto) Che ci fai qui?

Enzo              Sono ospite.

Leila              Di Renato?

Enzo              E di Eddy.

Leila              Chi è Eddy?

Enzo              Eduardo. Renato e Eddy abitano insieme, non lo sai?

Leila              Ho capito, quello che è venuto sta­notte a prenderselo...

Enzo              Come?

Leila              No, niente, realizzavo... ho capito ora... (Lo scruta) Che razza di ospitalità?

Enzo              Come, che razza di ospitalità?

Leila              Al giorno d'oggi, quando ti scontri con una congrega d'uomini non sai mai dove metti i piedi.

Enzo               (serio)  Parli proprio a vanvera, si vede che non sai niente. Ma lo conosci davvero Renato?

Leila              L'ho conosciuto ieri sera.

Enzo              Ah! Lo vedi? Informati, lo avresti saputo che se ne muore per una...

Leila              Questo l'avevo capito.

Enzo              Allora? Che sei venuta a cercare in questa casa? Amica mia, non c'è niente da fare, levatelo dalla testa.

Leila              E chi ce l'ha in testa? Sono venuta qui per... carità cristiana; visto che stava male. E poi, il destino! Per me tutto è destino! (Fissa Enzo) Spesso il destino ti fa incontrare una persona solo per farte­ne conoscere un'altra. Ti pare?

Enzo               (puttanescamente)  Sì... e no.

(Leila si ferma e gli si sporge addosso).

Leila              Perché sì e no, me lo dici?

(Enzo le sguscia di sotto e si ferma in mezzo alla stanza stirando le braccia. Leila s'è seduta sul letto, e lo ammira rapita).

Enzo              E tu, lo sai io chi sono?

Leila              Signor Enzo, ha detto la serva.

Enzo              E poi?

Leila              Poi basta. Che vuoi che m'importi? Un nome per chiamarti, il resto è inutile.

Enzo              Hai intenzione di chiamarmi?

Leila              Se t'incontro per la strada, mettiamo...

Enzo               (a mezza voce, leggero)  Enzoo...

Leila               (c. s.) Enzoo...

Enzo              Ma, un nome che per aver il diritto di chia­marlo, bisogna...

Leila              Meritarselo??

Enzo              Quasi... Non sono mica uno qualsiasi.

Leila              Me ne rendo conto.

Enzo              Valgo molto.

Leila              Beh, bisogna trovare l'amatore, diciamo.

Enzo               (cambiando tono)  Sono conosciuto in tutto il mondo io! Adesso ti faccio vedere... (Esce).

(Leila gira la manopola del grammofono: viene fuori il duetto del quarto atto del « Trovatore ». Sorpresa guarda la busta del microsolco lasciata là vicino. Enzo rientra con la valigia con la quale è arrivato il giorno prima).

Leila              Che cos'è, il « Trovatore »?

Enzo              Non lo so.

Leila              E sì, c'è scritto qui!

Enzo              Inutile che cerchi, tanto non riesci a tro­vare una canzonetta o un ballabile là dentro.

(Apre la valigia, tira fuori una camicia stirata e uno slip, quindi la rovescia: ne cadono una quantità di lettere e ritagli di giornali: è piena solo di questo)

Guarda, guarda le ammiratrici...

(Leila spegne il grammofono).

Leila               (tenera)  Dovevo immaginarlo che facevi il cinema.

Enzo              Non hai visto « Il sole sull'asfalto»?

Leila              No. È una cosa neorealista, se non mi sbaglio...

Enzo              E che campi a fà? Il protagonista, il benzinaro famoso, ero io.

Leila              Ne ho sentito parlare di questo benzi­naio, che non so che faceva...

Enzo              « ...che non so che faceva... »! L'hanno visto tutti; un capolavoro. A me, per questa parte, mi conoscono tutti; se vado all'estero mi fermano per la strada, m'hanno detto...

Leila              Mica mi vorrai far venire i rimorsi. Le cose del neorealismo, non mi soddisfano, dico la ve­rità.  I guai veri non  mi piacciono, mi piacciono quelli a colori, e possibilmente in cinemascope.

Enzo              Sta' a sentire che critiche. (Prende alcuni ritagli) Questa è inglese, tre mesi fa l'hanno dato; dove sta?, non è questo... (Prende un altro ritaglio) Lo conosci l'inglese?

Leila              No.

Enzo              Neppure io. Qui dice... dov'è?... Il signor Enzo Cicelli, great actor, leggi dice proprio così, eh? (Si vede che non legge ma sa a memoria il pezzo in una approssimativa traduzione italiana)

Superando le intenzioni del regista è diventata l'anima del film stesso; fra le creature della costellazione fil­mica chi potrà dimenticare il... il... benzinaro in­somma, del « Sole sull'asfalto »? E le donne che mi scrivono! Vogliono fotografie e autografi... e chi ce li ha i soldi per farsi le foto? Oh, so' due anni che è uscito, va ancora in giro, premi a Cannes, a Berlino, in Svizzera - mo' gli danno pure l'Oscar, m'hanno detto, al miglior film straniero - e io non faccio più un film. Uno m'ha detto: « Lei è un attore preso dalla strada, lei non è più lei, è il per­sonaggio di quel film », « Mbeh », guarda 'sta faccia di cretino, « e che vuol dire? » « Dovrebbe diventare un altro, la gente se lo deve dimenticare, e poi... ».

Leila               (ha capito la verità della situazione più di Enzo)  Il cinema è una brutta bestia. Non è meglio tentare un altro mestiere?

Enzo              Tu, dopo che hai avuto questa fortuna, molli? Noo. Tutto sta a resistere, secondo me. Leila(non è convinta. Dopo una pausa)  Io lo co­nosco un tale che produce dei film; ma niente capo­lavori, film di canzonette : ti ci posso accompagnare, vediamo un po'!

Enzo              Per il momento qualunque cosa! Da casa mi scrivono « figlio ingrato » credono che ho i mi­lioni - a Roma, il cinema - mi scrivono che me li spendo con le donne e loro non li aiuto. Hai ca­pito?

(Squilla il telefono. Enzo si getta sul letto per prendere il ricevitore e risponde. Resta così sdraiato accanto a Leila che è seduta)

Pronto?... No, non c'è... credo tra poco, è uscito presto stamattina...  dal Papa... sì dal Papa!...

(Mentre parla fa dei gesti languidi a Leila come a fare la caricatura del suo interlocutore: Leila se lo mangia con gli occhi)

... Appena viene... ho capito... ho capito... Davison. Buongiorno. (Riaggancia il ricevitore) Colei che non si deve amare, la Davison, quella di Renato.

(Leila fa un gesto addirittura di disgusto. Gli si butta addosso).

Leila              Ti fidi di me? (Enzo dondola la testa) Sì e no?... E fermala. (Lo prende per i capelli e gli tiene ferma la testa) Ti voglio aiutare. So che mi farai soffrire, so già tutto, ma ti voglio aiutare...

(Eddy, sua madre e Renato sono entrati di ritorno dal Vaticano. Renato è vestito di grigio scuro, Eddy e la madre, un'austera signora dal viso dolce con appena qualcosa di grigio nei capelli, in abito nero. I tre sostano sorpresi. Il tempo che Leila ed Enzo si accorgano della loro presenza. Imbarazzo generale).

Renato          La possiamo affittare a ore, questa stanza!

Leila               (alzandosi dal letto, si scaglia con violenza contro Renato)  Cosa vuol dire quel cretino! Eduardo(a Leila)  La prego, signorina... (Alla madre)  Scusa, mamma, sono davvero confuso.

(La madre è restata impietrita).

Leila              A che cosa vuole alludere quel villano, mi dispiace che c'è una signora, me l'avevano detto che era un villano!

Renato          Che ci sta facendo in casa mia?

Eduardo         (alla madre)  Ti accompagno in al­bergo, mamma, vieni... (Fa per uscire e intanto dice a Enzo) Credevo che tu fossi più discreto, Enzo!

(Enzo china il capo e ficca tutta la sua roba in va­ligia).

Renato           (a Eduardo)  Te l'avevo detto che non ce Io volevo in casa!

(Richiamata dal chiasso entra Gina).

Gina                (a Eduardo)  Io non la volevo far entrare signorino, è stata lei, è stata lei...

Eduardo         (a  Gina)   Finalmente vi  fate viva? Dopo tanti giorni. Troppo tardi.

Leila               (a Enzo)  E tu prendi la valigia, su. Andiamocene.

Eduardo         (seguitando a Gina)  Mi dispiace, mi sono già rivolto all'agenzia, c'è un limite al proprio comodo! Passate più tardi per gli otto giorni.

Enzo               (a Leila, ricordandosi di stare a torso nudo)  Il giubbotto!

Leila              Io scendo. Ti aspetto giù. A casa mia c'è tutto il posto che vuoi.

(Enzo va nella sua stanza. Gina togliendosi il grembiule scompare in casa a testa bassa).

La Madre       (intervenendo)  Ma Eddy...

Eduardo        Andiamo, mamma...

Leila               (tagliandogli il passo per uscire)  Prego, tolgo io il disturbo... (A Renato)  Sono venuta a pren­dermi quello che mi  nascondeva,  signor  Renato! Alle persone sensibili accadono cose molto strane. Signora, tante buone cose.

(Esce. Renato e Eddy si guardano).

Eduardo        È la tua di ieri sera? Non ci capisco niente.

Renato          È proprio vero che Dio li fa e poi li accoppia... (Alla madre) Ci scusi, signora, ma non potevamo immaginare.

La Madre        (dolcissima, alludendo a Gina)  Eddy, perché hai trattato così quella povera donna?

Eduardo        Non ti preoccupare, mamma... è meglio che ti accompagni in albergo, non mi piace questa aria, non voglio che resti qui.

La Madre      Sì, andiamo, andiamo, tesoro... Non vorrei, ecco, che per me, aveste fatto questo... Im­maginavo sai, che in una casa di scapoli, accades­sero di queste scene...

(Escono nel vestibolo. Riap­pare Enzo con indosso camicia e casacca, prende la valigia e si avvia. Rientra Renato che gli passa accanto come se non esistesse).

Enzo               (fermandosi sotto l'uscio)  Ha telefonato la Davison. Chiamala, sta a casa.

(Esce. Renato si butta sul telefono e forma il numero).

Renato          Pronto? Amore! Pensavo che non mi avresti più chiamato. Sì, è vero, mi ci ha trascinato Eduardo... la madre è venuta apposta da fuori. Dimmi Elena, allora? (Ascolta ansioso, il suo viso si rischiara sensibilmente) Bene, benissimo... Son pronto... Te ne stavi andando? Non mi aspettavi?... No, no, scusa, tra un quarto d'ora. Preciso. Volo. Ciao.

(Riaggancia. Il suo tono è mutato: allegro, delizioso a vedersi. Danzando per la stanza tira fuori una camicia stiratissima, intanto si toglie la cravatta nera, la giacca e la camicia che ha indosso. Entra Gina pronta per andarsene).

Renato          Amore mio! (L'abbraccia e canta) « Co­noscete la bella Gina, conoscete la bella Gina ».

Gina               C'è la signorina Scorza.

Renato          Chi?

Gina               Scorza, Scorza.

Renato          Ma chi è? Tea?

Gina               Sì. Vi deve dire una cosa urgente.

Renato           (divertito)  Fino a ieri aveva la chiave di casa, oggi si fa annunciare col cognome! (Ur­lando verso la porta) Tea! Entra, entra!

Gina               Arrivederci, signorino Renato.

Renato           (parlando  alla  maniera  di  un  recitativo liturgico)  Non te la prendere, Gina, aggiustiamo tutto:   ti riassumo io. 

(Entra Tea,  il suo aspetto fresco, pulito,  è velato da un'ombra di mestizia) Ti fai annunciare adesso? Sei impazzita?

(Le volta le spalle per infilarsi la camicia nei pantaloni).

Tea                 Ti devo parlare, Renato, una cosa impor­tante.

Renato           (di spalle continuando il canto liturgico)  Sono a tua disposizione...

(Tea è stupefatta dal tono cordiale di Renato).

Gina               Passo domani per gli otto giorni. Non c'è niente da fare. Il signorino Eduardo già ha parlato con l'agenzia, non avete inteso?

Renato           (voltandosi sicuro di quello che dice)  Domani aggiustiamo tutto! (Fissa Tea e indicandole Gina riprende) «Ci vuol lasciare la bella Gina, ci vuol lasciare la bella Gina »...

Gina               Gli va di scherzare al signorino Renato... Arrivederci, signorina Tea.

Tea                 Ciao, Gina.

Gina                (a Renato)  Sai come le dispiace alla pupa, che non vengo più da voi.

Renato          Ha ragione!

Gina               Ma io ve la porto a vedere, ogni tanto.

Renato           (indifferente)  Brava, brava.

(Gina esce. A Tea)

È successa una scena! Siamo rientrati con la mamma di Eddy e abbiamo trovato Enzo che si rotolava con una donna; qui sul mio letto. Che figura, che figura. Cosa avrà pensato la signora!

Tea                 Renato, mi stai a sentire?

Renato          Sono  tutto orecchie.   Eduardo  torna a momenti:   terrorizzato è andato a  chiudere la madre in albergo.

Tea                 Non lo voglio vedere. Ti devo parlare pri­ma che torni. Ho visto che non c'era la macchina giù e sono salita.

Renato          Che c'è? (Prende da una rastrelliera un paio di scarpe di camoscio e le calza al posto di quelle nere).

Tea                 Sono incinta.

Renato          Beh?

Tea                 Ma ti rendi conto che fra me e Eddy è tutto finito? E proprio ieri che ero venuta per par­largliene.

Renato          Perché non gliene hai parlato?

Tea                 Sì, nel momento in cui mi stava mollando!

Renato           (alludendo alla sua situazione)  Quando una cosa è finita, non è mai finita.  Una cosa è finita, quando si vuole che sia veramente finita.

Tea                 Domani! Come faccio?! Pare studiato, fat­to apposta, crederà che lo voglia tenere a forza, o che io me ne serva per tenerlo.

Renato          Ma che ragionamenti! A un certo mo­mento constaterà con gli occhi che non si tratta di un giuoco.

Tea                 Già. Io aspetto che cresca tutto qua, senza sapere come la prende...

Renato          Come vuoi che la prenda? Prendimi piuttosto una cravatta là dentro. Scegli: con che cravatta vorresti vedermi arrivare a un appunta­mento? (Tea va a scegliere la cravatta) Vorresti che gliene parlassi io?

Tea                 Sì. Dovresti spiegargli la mia situazione. Io non ci riuscirei mai. (Gli mostra la cravatta scelta).

Renato          No. Non è quella che ci vuole. (Ne prende una a righe, classica, e se la annoda).

Tea                 Farò tutto quello che volete per togliere il fastidio, ma mi dovete aiutare, sono sola, e non so come regolarmi.

Renato           (passandole una mano in testa)  Sta' tranquilla. Devo scappare. Ho un appuntamento. Domani, domani, aggiustiamo tutto... (Elencando) Gli parlerò della Gina, di te e... (si accorge della gaffe) di te, della Gina... non ti preoccupare. Eddy è un uomo, non è un ragazzino.

Eduardo         (dall'interno)  Renato, ci sei?

Renato          Sii.

Tea                 Non lo voglio vedere, non voglio che mi veda...

Renato          Esci con me.

Tea                 No, no, no, no... (Fugge verso la veranda).

Renato          Dove vai?

Tea.                 Quando va a colazione, esco.

Renato          Va' nella camera della donna.

(Scompaiono attraverso la veranda. Eduardo entra seguito da una giovane vestita in maniera volgare, d'aspetto straordinariamente provocante).

Eduardo        Dove sei, Renato?

Renato           (dal di dentro)  Eccomi. (Nell'entrare vede la giovane e si arresta sulla soglia. Eduardo assume subito un'aria divertita).

Eduardo        La signorina viene da parte dell'Agen­zia. Che ne dici?

Renato           (vorrebbe rispondere a tono ma ha un atti­mo di esitazione)  È un lungo discorso. Ne par­liamo stasera, devo scappare. (Sincero felice) Ab­bracciami: Elena mi vuole vedere, oggi vuole stare con me. (Si abbracciano) Ciao, ho fatto tardi, ciao. Eddy, come sono felice! Buongiorno, signorina. (A bassa voce) Sei sicuro di esserti rivolto a un'Agen­zia?

(Esce. Eduardo lo segue con sguardo affettuoso. Una pausa).

Eduardo        Oh, prego, si accomodi.

(La giovane, camminata e movimenti torpidi, si siede. Eduardo è fortemente imbarazzato dal modo di guardarlo fisso che ha la ragazza, dal tono per nulla di dome­stica, dal suo mutismo: non ha capito ancora come si deve comportare)

Non vorrei che si fosse sbagliata.

La Cameriera           No.

Eduardo        È il nostro indirizzo che le ha for­nito l'Agenzia?

La Cameriera           Sì.

(Prende dalla borsa la bol­letta dell'Agenzia e gliela porge, Eduardo legge e annuisce).

Eduardo        Noi cercavamo una... una (non osa dire « cameriera»)  governante.

La Cameriera           Una donna a mezzo servizio...

Eduardo         (ridendo)  Sì, appunto.

(Pausa - Silenzio)

Siamo io e il mio amico, soli.

(La cameriera annuisce. Con un moto di risoluzione)

Beve qualcosa? (Va al tavolo).

La Cameriera           Se ha un succo di frutta...

Eduardo         (con disappunto cortese)  Ah, questo no! Mi dispiace.

La Cameriera            Fa niente. Tanto non ho sete. (Pausa - Silenzio).

Eduardo        Che facciamo?

La Cameriera            Faccia lei.

(Pausa - Silenzio).

Eduardo         (ha una seconda risoluzione)  Balliamo?

La Cameriera            Come vuole. 

(Si alza e resta ferma. Eduardo guarda lei, guarda il grammofono poi va al grammofono e avvia il motore. Dopo un attimo parte « il Trovatore » dal punto dove era stato interrotto: « M'avrai ma fredda, esanime spo­glia »).

Eduardo        Oh, scusi, è il « Trovatore ».

La Cameriera           Lasci pure, se è per me non importa, sa.

(È in piedi in attesa che lui l'abbracci per ballare. Eduardo la fissa e comprende che non deve fare altro. La prende tra le braccia e iniziano a ballare cercando di concordare i passi sul duetto finale del conte e Leonora. La cameriera gli si stringe con molta intenzione sicché Eduardo bal­lando la porta nella sua stanza. La scena resta vuota, solo il duetto che riempie delle sue note l'ambiente. Sul finale passa Tea in punta di piedi che se ne va: il suo viso ha perso quell'ombra di tristezza. È preoccupata soltanto di non farsi vedere).


PARTE SECONDA

La scena è costituita dagli elementi di alcuni am­bienti che si susseguiranno nell'azione: una trattoria romana, un angolo di cabina al mare, una stanza in casa di Elena.

Il tavolo di una trattoria all'aperto. Il sole terso e caldo della primavera romana scintilla fra le foglie delle piante. Elena e Renato hanno terminato la loro colazione: il tavolo è ingombro e disordinato. Fumano. Elena è una donna bella, sportiva, ele­gante sino alla ricercatezza. Ha l'aria di chi sa il fatto suo. Renato, accanto a lei, sminuisce di peso, perde aggressività. Ma tutto sommato, il tono dei due è piuttosto festoso.

Elena              (a Renato che stringe ben forte il piatto col conto)  Ma no, no, ti ho invitato io...

Renato          Che stupidaggine è questa!

Elena             Lascia fare a me.

Renato          Ho detto di no!

Elena             Non vuoi che ti mantenga, eh?

Renato          Magari!

Elena             Ti piacerebbe?

Renato          Sarei tuo.

Elena             Ti piacerebbe che ti comprassi? Io ti com­prerei, ma...

Renato          Quel famoso, « ma »...

Elena              (subito tergiversando)  E poi sono più vecchia di te.

Renato          Ecco, hai trovata la ragione sufficiente... (Tira dalla tasca delle banconote e le mette sul piatto).

Elena             Non hai un portafogli?

Renato          No eh? Non regalarmene uno, li odio. Gonfiano le giacche, qui, in petto.

Elena              (stuzzicandolo)  Non ti si può far nulla, nemmeno invitarti a pranzo! Non vuoi niente! Hai paura di impegnarti con me?

Renato          Spudorata.

Elena             Ah! A proposito di spudorati. (Apre la borsa e vi cerca delle fotografie che mostra a Renato).

Renato           (vivamente sorpreso)  Cos'è? Chi te le ha date?

Elena              (ride)  C'è scritto dietro: nome, cognome e indirizzo. Nessun mistero!

Renato           (voltando le foto e riguardandole)  Ormai il cinema dà alla testa! Guarda un po' se uno si fa fotografare così, senza esitazioni...

Elena             Ho trovata la busta in portineria, uscen­do; l'ho aperta tranquilla... M'è venuto talmente da ridere, da sola, per strada, che la gente mi guar­dava: un'idiota.

Renato          Il coraggio di mandare a una signora...

Elena             Figurati! Questo è sicuro che l'Agenzia Davidson, dal momento che le ha ricevute, s'è messa in moto per lanciare il nuovo fusto.

Renato          E tu, intanto, te lo porti appresso il fusto.

Elena             Ma pensa! Un accidente per la strada, e mi trovano nella borsa le fotografie di un giovane nudo. (Ride).

Renato          Bella cosa!

Elena              (ricordandosi)  Aspetta, c'è anche un'altra delizia... (Fruga nella busta che conteneva le foto­grafie)  Un biglietto di accompagnamento... Sta' a sentire: (tira fuori il biglietto e legge) «... reputo di essere un elemento particolarmente adatto per film di ambiente antico-romano e di carattere biblico ». (Ridono).

Renato           (facendo il gesto)  Strappo?

Elena             Dài, dài, queste vanno schedate e messe nel catalogo. Che credi? Se viene un regista per un film storico, lo sceglie sicuro; capirai! E il dieci per cento sul contratto, è per me. (Prende le fotogra­fie. Guardandole)  Niente male, comunque, devo dire!

Renato           (fulminandola)  Elena!

Elena             È mio mestiere giudicare delle attitudini di un uomo o di una donna aspiranti divi.

Renato          Che poi sul set non aprono bocca.

Elena             Farli recitare è compito dei registi, non mio.

Renato           (improvvisamente a Elena che sta rimet­tendo le foto in borsa)  Ti sono mancato?

Elena              (concentrandosi, seria)  Sì.

Renato          Perché mi hai telefonato?

Elena             Perché volevo stare con te. Lo sai che mi piace stare con te. Passerei un giorno dopo l'al­tro, uno dopo l'altro...

Renato          Sei un mostro.

Elena             Non credo. (Si appoggia allo schienale della sedia e si sposta leggermente perché i raggi le battono sul viso)  Ah, la meraviglia! (Silenzio)  Ma le sere sono ancora fredde, ci vuole sempre una pel­liccia.

Renato          Vuoi un altro caffè?

Elena              (fa con la mano segno di no)  Voglio sol­tanto godermi questo sole, poi andiamo.

(Si distende meglio sulla sedia. Renato resta a guardarla come incantato, e prende a tamburellare con le dita sul tavolo. Incomincia a canticchiare qualcosa senza parole e piano piano viene fuori il motivo del « Tro­vatore »: «  Ma nell'alma dell'ingrato non parlò del cielo il detto »).

Renato           (alla fine)  Che cos'è?

Elena             Ripeti un momento. (Renato ripete) Ver­di, sicuro.

Renato           (interrompendosi)   Sì.  Ma che cosa? (Accenna di nuovo un poco).

Elena             Lo so, Dio che rabbia... no, non dir nulla, aspetta :  il « Rigoletto »?

Renato          Noo. Ignorante!

Elena               Verdi l'ho azzeccato subito, intanto.

Renato          Ne abbiamo parlato poco fa. Ti voglio aiutare. Un microsolco che m'ha regalato Eduardo ultimamente.

Elena             « Il Trovatore ».

Renato          Già! (Cantando con le parole) « Ma nell'alma dell'ingrato - non parlò del cielo il detto ». Non sai niente.

Elena             Troppo difficile. Poi non ho molto orec­chio. E in che occasione Eddy te lo ha regalato?

Renato          È necessaria un'occasione tra amici per farsi un regalo?

Elena             No, ma immagino...

Renato          Per il mio compleanno.

Elena             È stato il tuo compleanno? Che male­detto, e io non ne so niente! (Sporgendosi sul ta­volo gli fa una specie di carezza, che è un po' uno schiaffo un po' un pugno).

Renato          Come facevo a dirtelo? Eri così occu­pata a non turbare la mia decisione!

Elena             Scemo...

Renato          E poi lo sai; da te non voglio niente, nessun regalo. O tutto o niente.

Elena             Va bene. Ti regalerò tutta la serie di opere registrate che ci sono al mondo.

Renato          Scherza, scherza...

Elena             La vostra però, dovete ammetterlo, è una  fissazione,  siete malati,  un  cancro musicale. Quel grammofono non ce la farà più, un giorno esploderà.

Renato          Come me. Esploderemo insieme, e le schegge del mio cuore ti feriranno a morte.

Elena             Morte eccentrica! (Ripensandoci)  A te piacerebbe vedermi morire! Sì, perché non perdi un'occasione per - zac - buttare la cosa, là! Anche al telefono: sarò felice solo quando sarai morta!

Renato           (tranquillo)    Certo. Non capisco il sui­cidio per amore; dopo qualche mese m'avresti di­menticato. Un anno, un altro anno e sarei un epi­sodio. È una punizione dubbia. Uccidere sì: ti ucciderei.

Elena             Mi uccideresti?

Renato          Non ne ho il coraggio, che peccato! Ma se un medico, ecco, mi dicesse che entro un mese, metti, dovessi  morire,  allora  ti  ucciderei.

Elena             Mi uccideresti?!

Renato          Sì. Cosa potrebbe importarmi che tu continuassi a vivere? Per gli altri? Noo.

Elena             Un amore generoso!

Renato          Non mi credi?

Elena             Quando ti vedrò salire le scale d'un me­dico, dovrò tremare, vuoi dire.

Renato          Scherza tu, continua...

Elena              (crogiolandosi al sole)    Pensa invece che tra poco sarà estate:  voglio fare tanto mare, que­st'anno.

Renato          Che fai oggi?

Elena             Il solito.

Renato          Molto da lavorare?

Elena             Più o meno... Perché?

Renato          Portami in qualche posto.

Elena             Dove?

Renato          Al mare.

Elena             Al mare? Non mi tentare, devo sbrigare un sacco di cose, oggi...

Renato          Eeeeh! Telefona, di' che non ci vai; sei la padrona... È festa.

Elena             Non significa che possa fare il mio co­modo, Renato, anzi...

Renato          Ci vai più tardi... ci godiamo l'ultimo sole... Mmh?... Andiamo su, mi piace farmi con­durre in macchina da te: (incalzando tenero) sbagli tutte le strade, non ne azzecchi una, sempre la direzione opposta a quella indicata dalle frecce...

Elena              (sorride)    Ma scusa, le piazzano tutte oblique...

Renato          Sei tu che sei negata...

Elena             No, non posso, davvero Renato, oggi...

Renato           (scuro)    Oggi, domani, e dopodomani! Ti faccio comodo solo quando pare a te: mi usi per riempire le tue pause.

Elena              (con un sospiro)    Che essere insopporta­bile... (Ci pensa e decide)  Andiamo al mare! Va bene? Sei contento?

Renato          Mm! In fondo lo fai perché ti piace startene al sole e non hai nessuna voglia di andare a lavorare.

Elena             Ora ti dò uno schiaffo.

(Si guardano. A Renato viene da ridere. Elena si sporge attraverso il tavolo e lo carezza con delle moine)

Dio!!! Non si resiste!!!

(Renato le prende la mano e gliela bacia nel palmo).

Renato           (occhi negli occhi)  Che donna incan­tevole dovevo conoscere nella mia vita!

(Elena sor­ride tenera. Renato con tutta spontaneità approfitta di questo momento di dolcezza per perorare la sua causa)

Elena, ma tu te la immagini una vita senza di me? Non vedermi più, per esempio, mai più; non sapere niente di me, dove sono andato a finire, che faccio! Non potresti sopportarlo, è vero?

(Elena non risponde)

È vero?

(Elena tace ancora)

Dillo che è vero.

Elena             È vero, sì. Ma non vuoi dire quello che tu...

Renato           (seccato)  E sta' zitta una volta. (Chiama)  Cameriere! (A Elena)  Perché metti sempre i pun­tini sugli « i »? Ti odio.

Elena             Non andiamo al mare? (Renato si mette a picchiare con le posate sui bicchieri. Alzandosi) Si sono dimenticati di noi. (Anche Renato si alza) Tanto il conto è lì, andiamo. (La luce incomincia a dissolvere, i due si avviano) Una volta che avevo fretta, me ne andai da un ristorante e lasciai i soldi così come ora; non feci in tempo a uscire, che erano già spariti. Non ho mai capito chi fu: un secondo! Dovetti ripagare. Tutti nella sala mangia­vano, compiti, con le teste nei piatti, nessuno s'era accorto di niente. Deve essere stato...

Renato           (interrompendola)    Ti sono mancato?

Elena              (sorpresa per la ripetizione della domanda)    Sì.

Renato          Non ci credo! 

(Dissolvenza. Cambia­mento di luce a  vista.   Un  angolo  di cabina al mare.  Il rosso del tramonto  e poi  il crepuscolo. Lontani, di tanto in tanto, rumori di automobili in corsa. Quando Elena e Renato vi arrivano, ci accorgiamo subito che il loro umore è cambiato)

Al­meno mi concedessi lo sfogo di parlarne. Niente! Sfuggi, tergiversi o non  rispondi.  Ho certe cose sullo stomaco che ti vorrei... Lasciamo perdere, va'!

Elena             Di', di', se qualcosa ti pesa, dillo.

Renato          Tu mi ascolti quel tanto che ti basta per escogitare una scappatoia, e senza che io me ne accorga hai cambiato discorso.

Elena             Ma se non tocchi altro argomento!

Renato           (afferrandola per un braccio)  E tu mi stai a sentire?  Di che cosa vorresti che parlassi?

Elena              (liberandosi, dura)    È un pomeriggio in­tero che stiamo insieme, non ti pare?

Renato          Avresti dovuto richiamarmi subito ieri, quando ti ho sbattuto il telefono in faccia.

Elena             Può darsi! Ma con te, se lo vuoi sapere, non so mai quale atteggiamento prendere! Mi sem­bra sempre di sbagliare. Se faccio tanto, penso a chissà come verrà interpretato. Ho paura d'ingan­narti poi deluderti. Perché ti sei innamorato di me?

Renato          È una frase, questa, che mi fa impaz­zire dalla rabbia! Che senso ha? Puoi distruggere Paride e Elena, la guerra di Troia, l'Iliade e l'Odis­sea, con un'idiozia simile; e anche l'Eneide.

(A Elena viene da ridere)

Ridi?

Elena             Mi fa ridere l'Eneide.

Renato           (senza accorgersi del ridicolo)    Perché?

Elena              (scoraggiata)    Così, Renato!

(Dopo una pausa)

Renato, non roviniamo quei pochi momenti che ci capita di passare insieme.

(Elena si appoggia a una cabina. Pausa. Guardando il cielo)

Continuerà il bel tempo, che gioia... guarda quant'è rosso stasera.

Renato          Sembri un barometro parlante! Non me frega niente del tramonto. Non mi piace! (Pausa) La bellezza della natura mi mette l'angoscia, mi fa morire di malinconia. Mi piace la città, almeno...

Elena             Sei stato tu a voler venire al mare.

Renato          E ora mi piace la città.

Elena              (cercando di essere carina)    Renato, su!... (Si ode lontano ma ben distinto il rumore di una motocicletta che passa).

Renato           (aggressivo)    Con chi hai parlato stamat­tina al telefono?

Elena             Con chi mi ha risposto.

Renato          E chi era?

Elena             Che ne so. La vostra casa è sempre piena di gente.

Renato          Che vi siete detti?

Elena             Ma se non so chi fosse! Che dovevamo dirci?

Renato          Non lo conosci? Non ti ha detto chi era?

Elena             No! Lo vedi? Lo vedi, Renato? Tu sei un pazzo. Io lo so: se potessi mi chiuderesti fra quattro mura per non farmi vedere e parlare con nessuno. Ti piacerebbe? Ti piacerebbe, eh?

Renato          Almeno non riceveresti fotografie osce­ne! Sai perché te le mandano? Perché sanno che se lo possono permettere; perché hanno una bella opi­nione di te, nell'ambiente!

Elena             Quello che pensa l'ambiente di me, non sarà mai quello che penso io dell'ambiente! Ma io non ho mai fatto altro che quello che ho voluto; ricordatelo, Renato, e nessuno mi farà fare una cosa che io non voglia! Ti ho detto di lasciarmi perdere, sono quella che sono, però non è onesto che tu vo­glia farmi credere peggio. Lascia stare le faccende del lavoro, fotografie, opinioni e cretinate simili, sai benissimo che non c'entrano per niente!

Renato          Molte cose nella tua vita non dovreb­bero entrarci per niente.

Elena             Chi potrebbe giudicarlo?

Renato          Io, per esempio. Coraggio, su. Parlami un po' di tuo marito!

Elena             Non tirare in ballo chi non c'entra, t'ho detto.

Renato          Ma se sta sempre tra i piedi! Che ci fa lui, nello sfondo di tutte le tue libere storie di donna libera?

Elena             Cosa vuoi dire?

Renato          Sono io o è lui che ti fa apparire peg­gio di quella che sei...

Elena             Lascia stare David...

Renato          Perché vi siete divisi? Riprendetevi la casa  insieme;  ma forse  sarebbe più  imbarazzante combinare quello che combinate!

Elena             Tu sei un pazzo, hai la mente inalata...

Renato           (sgradevole)    Coraggio su, dillo che ti procura le tue avventure.

Elena             Renato!

Renato          Allora che fate? Gli racconti come vanno le storie con me? Ti consiglia? Ti ricatta! Ti co­stringe, ecco...

Elena             Non mi costringe!

Renato          Sì è questo...

Elena             No!

Renato          È un porco che approfitta di te, che ti costringe...

Elena              (esasperata)    Non mi costringe... sono io! Perché è l'unico uomo che avrei voluto amare nella mia vita!

(Renato ammutolisce)

Io ho sposato David che m'amava e credevo di innamorarmi di lui; gli volevo molto bene ma non ci sono riuscita. Ecco la mia disgrazia. Quando l'ho lasciato, e mi sono messa a lavorare - perché David che m'adorava s'è visto rifiutare tutto quello che m'offriva, ancora oggi - ho distrutto tutta una cosa che lui aveva costruito su di me. Meravigliosa! È stato un disastro. Le sue convinzioni sono andate a gambe all'aria. Ma non era possibile continuare. E non m'ha compresa quando me ne sono andata, e non mi comprende tutto sommato. « Che cosa è successo? Non stavamo bene insieme? ». Nooo, mi sentivo in colpa, lo tro­vavo umiliante, per lui. Tre anni; ho provato con tutte le mie forze a far diventare sincero ciò che non era. Per un'altra donna forse questo è l'amore, per me no; come il fatto che nella mia vita ci siano altri uomini non ha nulla a che vedere con l'amore. Non ho mai amato nessuno, Renato, questo è tutto. Eppure io so, pensa, che a vivere ho incominciato sotto lo sguardo tenero di David. Perciò il ricordo della sua tenerezza, anche lontano, riempie le mie giornate con tanta costanza che alla fine - lo vuoi sapere? - provo la necessità fisica, di sentirmelo accanto. Ho ancora bisogno di lui. David non mi ha mai costretta... Purtroppo così so vivere. Senza impegnarmi. Tu fai scenate, insulti; credi che ti tor­menti solo tu. Che io, per esempio, abbia da combattere con me stessa per trovare una specie di since­rità, non lo sospetti neanche.

Renato           (seguendo un suo pensiero)    Sicché è lui l'unico uomo che vorresti amare?

Elena             Penso che sarebbe giusto. Questo non significa che non potrebbe piacermi - anche di più forse - amare te: se avessimo il potere di deciderle noi queste cose.

(La luce incomincia a dissolvere)

S'è fatto buio. Ho freddo.

(Elena si avvia seguita da Renato. Dissolvenza. È notte. Si accende l'insegna luminosa a sinistra e dall'angolo di ribalta escono Elena e Renato. Decisa)

Ciao, Renato.

Renato          No, Elena...

Elena             Ciao, sii buono...

Renato          No, non ti lascio andar via così.

Elena             Non ce l'ho con te, te lo giuro. Ho pas­sato una magnifica giornata.

Renato          Proprio ci credo.

Elena             Magnifica con te.

Renato          Fammi venire su. Cinque minuti. In macchina non hai detto una parola.

Elena             Ero un po' stanca, sono un po' stanca.

Renato            È necessario Elena, per tranquillizzarmi. Cinque minuti ancora insieme.

Elena              (stanca)    Noo, Renato...

Renato          Lo so, tu non mi vuoi più vedere.

Elena             Non è vero. Non è successo niente che già non sapessimo, non ti pare?

Renato           (con maggiore ansia)    Va bene. Ma devo parlarti.

Elena              (sconfortata)    Ancora, Renato!

Renato          Cinque minuti.

Elena             È peggio.

Renato          Lo vedi che ce l'hai con me? Ho ra­gione io!

Elena             Ti dico no, no... È che lo so come vanno a finire queste cose.

Renato          Che significa, come vanno a finire queste cose?

Elena             Ma via, lo sai benissimo...

Renato          Non possiamo salutarci così. Io ti devo delle spiegazioni.

Elena             Non mi devi nessuna spiegazione. Ti ca­pisco perfettamente. Guarda, te lo giuro, ti assicuro, fra noi due, sono io che vorrei essere al tuo posto. Ciao.

(Gli tende la mano. Renato non la prende).

Renato          Non me ne vado. Resto qui sotto tutta la sera, la notte, finché tu non scendi, finché non mi dirai che mi vuoi bene.

Elena             Se non fosse così, Renato, non ci trove­remmo in questa situazione.

Renato          Ma perché non fai qualcosa, perché non decidi, perché non vieni dalla mia parte?

Elena             Ricominci?

(S'incamminano lentamente senza accorgersene).

Renato          Hai ragione, hai ragione, cara, sono uno stupido, rovino tutto...

Elena              (più a se stessa che a lui)    Non so che dire, io non so cosa non farei...

Renato           (continuando)    ... ma preferisco averti vi­cina e non aver niente, che lontana e nemica...

Elena              (c. s.)    Forse un giorno cambierò, cambie­remo, ci sarà una soluzione, o bisognerà avere il coraggio...

Renato           (continuando)    Il fatto è che tu sei en­trata nella mia vita, ma io nella tua...

Elena              (c. s.)  Il coraggio di sparire l'uno dalla vita dell'altro.

Renato           (spaventato)    No, amore, non farlo mai. Lascia che ti ami, e che io faccia e disfaccia questo groviglio. Sarebbe la peggiore soluzione! Sopporta­mi, è il sacrificio che ti chiedo. È un guaio che tutti e due abbiamo passato.

Elena             Mi sento così colpevole...

Renato          No!

Elena             Allora, devo lasciarti perdere! Come ti saltò in testa?

(Intanto prende dalla borsa la chiave di casa).

(La luce incomincia a dissolvere)

Era un bel po' che ci conoscevamo, oh, sì, più di un anno che ci si frequentava, e ti accorgesti improvvisamente che eri innamorato di me! Non l'ho mai capita bene! Ma non ti ero antipatica, mi dicesti una volta?

(I due escono dalla destra).

(Dissolvenza. Cambia­mento di luci a vista. Un divano ampio e comodo, in casa di Elena. Un candelabro d'argento montato con lampadine. Un carrello pieno di bottiglie e bicchieri. Il dialogo fra Elena e Renato continua, ma agli spettatori forse potrà sembrare, fino a un certo momento, la rievocazione del loro primo dialogo d'amore. Renato è seduto, Elena gli risponde dall’altra statua).

Voce di Elena          E quando te ne sei accorto?

Renato          Non so spiegarlo. Prima, non ci ho mai pensato, quando invece l'ho scoperto, m'è parso di essere stato innamorato di te da sempre.

Voce di Elena          Io cado ancora dalle nuvole.

Renato          Perchééé?

Voce di Elena          Versati da bere, non far com­plimenti...

(Renato si versa qualcosa, accende una sigaretta. Pausa)

E l'antipatia? Dove l'hai messa?

Renato          Una cosa vecchia...

Voce di Elena          Ma c'è stata!

Renato          Te l'ho detto: un periodo... Senza una ragione.

Voce di Elena          Mm!

Renato          Come?

Voce di Elena          Ho detto: Mm!

Renato           Che scema. Sì, ragioni ce n'erano, ma banali.

Voce di Elena          C'è sempre qualcosa di vero.

Renato          Innanzi tutto ci hanno presentati tre mila volte, e tu hai finto sempre di non conoscermi.

Voce di Elena          Figurati!

Renato          No, no, è esatto. La signora Davidson, ti presentavano, e io dicevo: già ci conosciamo; tu invece zitta, senza confermare col minimo gesto quello che asserivo io.

Voce di Elena          Quante sottigliezze.

Renato          Poi, un'aria frettolosa, non so dirti - ma tu capisci - da non destare simpatia.

Voce di Elena          Può darsi...

(Elena entra. Ha in­dosso una specie di camice da casa di fattura e colore molto ricercati. Ai piedi un paio di scarpe co­mode di pelliccia)

Elena             Non riesco simpatica in genere. Le donne indipendenti che non si appoggiano a nes­sun uomo, non sono mai simpatiche; agli uomini soprattutto. (Si siede accanto a Renato e si versa da bere) Loro amano quelle che se ne stanno appollaiate sulla spalla, come le scimmie. Che si fanno portare a spasso da loro per il divertimento degli altri.

Renato          E alle donne? Credi di essere simpatica?

Elena             Quelle, poi, non ne parliamo. Non ho un'amica, solo uomini...

Renato          Pure troppi.

Elena              (guardandolo compiaciuta, in questo momen­to di distensione)   E così, improvvisamente, hai scoperto...

Renato          ... che la mia era una difesa. È la verità. Ti trovavo scostante per non trovarmi ai tuoi piedi. È chiaro adesso?

Elena             Chiarissimo. Sono tutte cose che uno s'in­venta, dopo, per giustificare...

Renato          Ma  io sono felice di essere ai  tuoi piedi.

Elena             Lo credo. Due piedi come i miei! (Si sfila una pantofola e spinge il piede in alto).

Renato          Con un paio di pantofole da rintontire! Bellissime. (Sospettoso) Chi te le ha regalate?

Elena             Indiscreto. Cosa vuoi sapere?

Renato          Te le hanno regalate, no?

Elena             Sì.

Renato          Che c'è di male se mi dici chi te le ha regalate?

Elena             Perché dovrei dirtelo?

Renato          Potevi dirmi che le avevi comprate allora.

Elena             Se me le hanno regalate, perché dovrei dire che le ho comprate?

Renato          Ma per farmi stare in pace!

Elena             Tu prova a starci ugualmente. Non c'è nessuna ragione che ti agiti.

Renato          Elena, se tu sapessi quanto ti amo!

(Im­provvisamente l'afferra e la bacia, lei si lascia ba­ciare).

Elena              (a bassa voce)  Mi fai tanta tenerezza... (Anche Renato abbassa il tono di voce).

Renato           (tenendola abbracciata, sul divano, sempre più stretti)   Vogliamoci bene... non pensiamo a niente... né a me né a nessuno... usciamo da noi stessi.. E tu lasciati andare, come farai quest'estate, sul mare... io sono un piccolo mare, una onda sola... e tu ci stai sopra...

(Le passa una mano sugli occhi per farle abbassare le palpebre)

... Ti amo tanto, tanto, tanto... (La bacia ancora)... Amore senza amore, mio impossibile amore... provaci, non parlare, non sono da buttar via...

(La carezza con desiderio, le dà baci. Elena non ha reazioni.

Poi come facendo un grande sforzo, si libera dalla stretta, si alza, mentre Renato resta ripiegato su se stesso sul divano, capendo che tutto gli è sfuggito).

Elena              (fredda)    No, non è possibile. Te l'ho detto che era peggio se venivi su. È sba-glia-to. Siamo su una falsa strada, ci stiamo ingannando a vicenda. (Con un moto di esasperazione) Io non posso ripe­tere con te l'esperienza di David. Allora ci ho cre­duto, ma oggi, come faccio a crederci? (Di nuovo fredda) Renato, vattene. Decidi tu quello che si deve fare. Se mi vuoi vedere io ti vedo, me lo dirai. Se non dobbiamo vederci, è meglio.

(Renato si sol­leva dal divano. È chiuso e arido come una pietra).

Renato           (ha un incredibile tono razionale)  Hai ragione. È finita, è vero, è finita; devo convincermi che è finita.

Elena             Sono pronta a fare tutto quello che vuoi, per aiutarti a uscirne. Basta che mi dici che cosa.

Renato          Sì, hai ragione, me ne vado. Non ci pensiamo. Con calma si vedrà.

Elena             Sono sfinita, non ce la faccio.

Renato          Vado via. Ciao.

Elena             Fammi avere... fammi sapere, qualcosa di te. Anche se non ci vedremo.

Renato          Eeeh! Ci vedremo! Sai quante volte tra amici. Passerà.

Elena             Passerà. T'ho sempre pensato come uno dei miei più cari...

Renato          Lo so. Ciao. Dammi un bacio... per sa­pere che è l'ultimo. Clinico.

(Le si accosta. Le ap­poggia le labbra sulle labbra, un attimo, e la sua testa scivola sul collo di Elena. Piange in silenzio. Elena resta muta, ferma)

Scusa. Non potrò mai superare il rimpianto: quello che avrebbe potuto essere... Sapessi la calma che l'amore regala: non desiderare più alcun incontro, nessuna donna. È molto importante per un uomo. È la pace, dentro, il lavoro, fuori: la vita.

Elena              (commossa)    Renato...

Renato          Sta' tranquilla. Appena riuscirò a ragio­nare, non t'amerò più.

Elena             Che farai allora?                            

Renato          Sarò molto triste. (Pausa)  E tu?

Elena             Anch'io.

Renato          Perché tutto questo, se è così?

Elena             Non te lo so dire... Perché di uno si diventa amante e di un altro no. Magari di uno che non vale niente, del quale poco dopo ti annoi; e gli hai già dato tutto.

Renato           (con improvvisa cattiveria)    Come Enzo, per esempio.

Elena             Chi è Enzo?

Renato          Quell'attore preso dalla strada. Enzo Cicelli. Parli di lui? (Lei non risponde) Di lui?

Elena              (spietata)    Perché di lui soltanto? Potrei parlare di Gino, Alberto, di non so chi?... Un nu­mero tra gli altri!

Renato          Un numero, sì, ma un numero parlante. Sai come ti chiama, sai come ti chiamano i numeri? Prima che te lo vengano a dire gli altri, te lo voglio dire io, io che ti amo!!! « La motocicletta »! La signo­ra Elena Davidson è detta volgarmente « la motoci­cletta »!!! Non puoi sapere il dolore... (si tocca il punto del cuore) qui, qui... la vergogna, l'umilia­zione... il dolore qui, qui, qui...

(Scappa via. Elena resta inebetita. Si ravvia i capelli pensandoci. Si versa da bere. La mano le trema perché la bottiglia tintinna contro il vetro del bicchiere. Si accendono le due réclames luminose ai lati della ribalta. Passa Renato di corsa, tenendo il fazzoletto sugli occhi per trattenere le lacrime. Arrivato all'angolo opposto si ferma contro il muro a piangere. Elena beve. Ha il viso rigato di lacrime).


PARTE TERZA

Salotto in casa di Leila. Pretenzioso e di cattivo gusto. Fotografie di Leila e di altri cantanti con dedica.

C'è gente stasera da Leila. Una riunione tra amici. Ma il vero scopo di essa è palesato dalla presenza di Fazio, il produttore cinematografico che dovrà far lavorare Enzo. Con lui è la sua amica, una simpatica cretina, che ha tutta l'aria di non essere affatto una cretina.

Su poltrone e a terra su cuscini, Leila, Fazio, l'ami­ca, Eduardo, Trillini, Tea, Enzo sono seduti in cir­colo a fare un gioco di società: quello della « po­sta ». Unico in piedi è Mercurio che estrae da un vaso e distribuisce i bigliettini precedentemente scritti.

Mercurio       (leggendo sul bigliettino)    Sei... o nove? Uffa. S'è detto che il sei e il nove devono essere sottolineati altrimenti non si sa a chi recapi­tare la posta! Questo a chi lo consegno ora, al sei o...

Leila              Ma scusa, il nove non esiste; siamo in otto. (Prende a contare a voce alta).

Fazio              (si unisce a lei indicando con la mano i presenti)    Uno, due, tre, quattro, cinque, sei... Ma sono io il sei!

Tea                 Si meraviglia? Non ha ancora capito che il suo numero è il sei? (Mercurio consegna il biglietto e distribuisce gli altri ad alta voce « Tre, sette, uno, uno, sei, quattro... » ecc.).

Fazio             Non ci pensavo. Ho badato a indirizzare le mie domande ai numeri...

Leila e altri              Ah, ah, ah... Zitto!

Leila              Non li devi dire Fazio: te l'ho spiegato! Chi  riceve  non  deve  sapere chi  gli  ha  fatto la domanda.

Fazio             Che gusto c'è!

Mercurio      Vedrà quando leggerà le domande!

Trillini          Ci scateniamo tutti.

Eduardo        L'anonimo ha un coraggio da leoni. Tutti eroi.

Fazio             Ho capito. È un gioco senza ricavato. A che serve allora?

Eduardo        A insultarsi gli uni con gli altri.

Leila              Non è vero! Sta' tranquillo, Fazio, che il ricavato c'è. Si indovina sempre chi ti ha rivolto una domanda.

(La signorina amica del produttore scop­pia in una clamorosa risata leggendo un biglietto ricevuto).

Trillini          È proibito leggere e rispondere prima che sia terminata la consegna della posta.

Tea                 Chi l'ha detto?

Trillini          È la regola.

Tutti              Eeeh!!!

(Si stanno muovendo tutti: chi si appoggia a un mobile, o si mette una rivista sulle ginocchia per scrivere meglio, chi scansa i bicchieri, lasciati a terra; commentano con esclamazioni e risa­te quello che leggono, e intanto rispondono).

Mercurio       (consegnando a Fazio altri due biglietti)  Sei, e sei. Finito. (Poggia il vaso in terra al centro).

Trillini          Ah! Non mi ha scritto nessuno.

Mercurio      Non interessi. Rassegnati.

Leila               (a Trillini)  Neppure io, consolati. Un solo biglietto, e che domanda travolgente!

Mercurio       (a tutti)    Mi raccomando, prima di rimetterli nel vaso (rivolto particolarmente a Fazio) scancellare bene il numero in modo che non si sap­pia da chi proviene la risposta.

Tea                  (trascinando Mercurio in disparte)    Senti, spiegami una cosa.

Eduardo        Non si può, si deve rispondere perso­nalmente.

Tea                 Ma sta' zitto, per una parola... poi è un gioco, non è una testimonianza in tribunale. (A Mercurio) Non ti far vedere da Eddy. (Fingendo di scrivere) Questo cretino del produttore non ha capito niente. Scrive le cose così : « Le piacerebbe, piccola, fare una  parte  nel  mio  film?».  Come gli rispondo? Quando li leggeranno, si capirà subito chi è la pic­cola qua in mezzo.

Mercurio      Che t'importa, è un gioco!

Tea                 Già, e Eduardo? È tutta la sera che quello ammicca. Prima mi ha pure toccata.

Mercurio      Ma tu che gli vuoi dire?

Trillini          Voi due, che fate le risposte in società?

Tea                 Che noia! Un momento! (A Mercurio) Sì che mi piacerebbe.

Mercurio      Com'è il biglietto? (Lo rilegge) « Le piacerebbe, piccola, fare una parte nel mio film? ». Fa' una cosa:   cancella bene il resto, così rimane « Le piacerebbe? » e tu ci metti « Sì ». Lui che l'ha scritto, capisce. Gli altri, niente.

Leila               (gettando il fogliolino ripiegato nel vaso)  Fatto.

(Anche Eduardo getta il suo e non sapendo cosa fare va in giro per la stanza a leggere le dediche delle fotografie. Trillini si annoia e gioca batten­dosi il lapis sul bordo delle suole).

Fazio             Accidenti, qui mi chiedono addirittura scritture.

Mercurio       (a voce piuttosto alta)    Più pulito di quello che chiede lui!

Tea                  (fulminandolo)    Ma sei scemo!

(Leila si avvicina a Enzo che subito copre con una mano il fogliettino sul quale sta rispondendo).

Leila              Non si può? (Gli fa una mezza carezza sulla testa)  Attento alla grammatica!

(Enzo le dà una occhiataccia).

Trillini           (impaziente)    Avete finito? Su...

Enzo ed altri          Un momento. Un attimo. Ecco.

Trillini          Troppo per le lunghe, non diverte!

(Si alza, raccoglie il vaso da terra e passa in giro perché vi versino i biglietti).

Leila               (chinandosi su Enzo) Ti piace quella? (Accenna alla signorina) Prima ti guardava, e tu sotto, sotto...

Enzo               (provocatorio)    Che cosa sotto, sotto?

Leila              Mi sa che il film con Fazio tu non lo fai!

Enzo              Davvero?

Leila              Perché la guardavi?

Enzo              È bona.

Leila              Ah sì, è bona? Sta attento che te la faccio diventare cattiva.

Enzo              Non fare la cretina.

Trillini           (porgendo il vaso a Enzo che ha ripiegato il biglietto)    Chi è che è cretina?

Leila              Io, è chiaro! (Si allontana).

(Enzo depone il suo biglietto).

Trillini          Hanno consegnato tutti?

(Coro generale di « sì »).

Mercurio      Vieni a sedere, Eddy.

Tea                 Non fare la resistenza passiva.

Eduardo        Siamo pronti?

Trillini          Pronti. È venuto il momento di rifarmi! Tutti seduti!

(Si seggono in circolo come prima e Trillini dà inizio alla lettura, estraendo i biglietti dal vaso)

Attenzione, la voce della verità: domanda « Lo sa che i suoi film fanno schifo? ». Risposta: « Invece lei, pure ». Incominciamo bene.

(La lettura di ogni bigliettino diverte molto i presenti, tranne Eduardo che si immalinconisce sempre di più. La signorina invece riderà comunque a voce alta anche se ci sarebbe da piangere).

Fazio              (a Leila)  Cosa dovevo rispondere?

Trillini          Silenzio che  proseguo.  Domanda: « Come fece il primo passo della sua carriera arti­stica? »  Risposta: « Inciampai e caddi ».

Mercurio       (ironico)    Chi è questa non s'è capito!

Fazio             Mica male.

Leila               (guardando dalla parte della signorina)    Onesta per lo meno!

Trillini          Sbalorditevi! Tra noi c'è una persona seria. Domanda : « Che cosa ne pensi della questio­ne di Suez? »

(Mugolii ironici).

Mercurio       (rivolto a Eddy)    Spiritoso!

Trillini           (calcando la voce per farli star zitti)  Risposta:  « Perché non pensi alle questioni di Tuez? ».

Eduardo         (con un risolino singhiozzante)    Dio, che tristezza!

Leila              A una domanda così cretina (a Eduardo) come se la sarebbe cavata?

(Trillini, Mercurio, Enzo, Fazio applaudono a Leila).

Trillini          Risposta azzeccatissima. Eccone un altro: « Le piacerebbe? - Sì ». Come, come? Aspet­tate. « Le piacerebbe? - Sì ». Mah! Laconica, la cosa.

C'è una cancellatura, però; si vede che prima ha scritto e poi si è pentito.

Fazio             Com'è il biglietto?

Trillini          « Le piacerebbe? »  indi cancellatura, risposta « Sì ». Fatti loro.

Tea                  (per stornare un eventuale sospetto dalla sua persona)    Questi si sono capiti!

(Fazio la guarda, poi ride).

Leila               (seccata)    Incominciamo coi misteri!

Eduardo        Tanto si sa, è un gioco inventato per questo.

Trillini           (leggendo con lo sguardo)   E dàgli! Mi è toccata la sorte del ruffiano: « Va bene domani? - Sì. Domani alle tre ».

(Commenti adeguati).

Leila               (irritata, fissando Enzo, e poi la signorina)  Sarei tanto curiosa di sapere questo appuntamento chi se l'è dato!  (Si solleva per sbirciare sul foglietto).

Trillini          Ah, no. Non si può controllare la calli­grafia.  (Strappa subito il biglietto gettandolo nel mucchio degli altri).

Mercurio      Domani, alle tre, metto un piantone sotto ogni casa.

La Signorina           Io ho un appuntamento alle tre. (Ride) Dalla sarta!

Eduardo        La rapidità con cui combinano, mi sba­lordisce.

Trillini          Procediamo. Silenzio!

Leila              Quando diventa personale, questa roba non mi diverte affatto!

Enzo              A me mi diverte solo per questo.

(Leila lo  fulmina).

Trillini          Posso andare avanti? Oh! « Lo fa per amore o per interesse? » (Mugola qualcosa leggendo il  seguito) E qui la risposta non lega, ve la leggo: « È vero che gallina vecchia fa buon brodo? ».

Mercurio       (tra il clamore)    Accidenti non lega! Gioco pesante, vuoi dire!

Leila               (perdendo il controllo, con violenza, alla signorina)   E la gallina giovane che brodo fa?

La Signorina            (indispettita)    Meglio giovane che troppo vecchia.

(Tutti tacciono imbarazzati. Leila si alza offesa come se volesse sbottare).

Enzo               (dispiaciuto)    Leila...

Leila              Che c'è? Devo andare, no? (Guarda l'oro­logio) È l'ora. Devo andare a vestirmi.

Fazio              (si alza deciso. Alla signorina)   È questa la maniera, cretina? (Fa la mossa di mollarle un cef­fone).

La Signorina           Cos'ho detto? (Ride alzando le spalle).

Fazio              (prendendola per il braccio)    Andiamo, an­diamo, mezzacalzetta!

Eduardo         (per minimizzare)    Via, stiamo giocan­do, si sa...

Fazio              (continuando)    Ignorante! Sai chi me li ha fatti fare i primi milioni col cinema? Non voi quat­tro straccione, ma la sua voce messa in bocca a quelle... come te. (Fa un versaccio muovendo le lab­bra a vuoto) La gente va a sentire lei che canta -nei paesetti, là dove si fanno veramente i soldi - di voialtre se ne frega!

Leila              Sei un amico, Fazio.

Fazio              (continuando)    Tu o un'altra, è lo stesso. Due cose (con le mani fa il gesto dei seni) si tro­vano sempre.

Tea                 È stato un malinteso...

Fazio             Quando ci vuole ci vuole.

La Signorina            (sorridendo)    Quel che sarà sarà.

Fazio             Che significa?

La Signorina            Niente. Quando ci vuole ci vuole, quel che sarà sarà.

(Nessuno comprende lo spirito della battuta e infatti è una battuta senza senso).

Fazio             Andiamo, andiamo!

(La spinge verso la porta. Fa un segno di saluto agli uomini e tende la mano a Tea, con intenzione)

Ma fra noi nessun malinteso.

Leila              Ora non esagerare, Fazio...

(Escono tutti seguiti da Leila e da Enzo).

Mercurio       (alludendo a Leila)    Questa è sfrenata, non sa stare al gioco...

Eduardo        Tea (fa il gesto d'andarsene) via! che etichetta!

Tea                  (a Eduardo)    Quanto sei fasullo! Almeno fossi divertente tu!

Eduardo        Sono divertenti loro! Non capisco la simpatia che ora ti ha preso per Leila.

(Mercurio e Trillini ricacciano i bigliettini nel vaso e gli dànno fuoco con un cerino)

Che intendeva dirti, col « nessun malinteso », quel gentiluomo?

Tea                 A suo modo, invece, un gentiluomo! Nien­te, un complimento, credo.

Eduardo        Devo dirti una cosa.

(Mentre stanno per uscire rientrano Leila ed Enzo).

Leila              Sono mortificata, la colpa è mia.

Eduardo        No. È che è tardi, anche per lei è ora d'andare... (Strette di mano e saluti).

Leila              Mi dispiace per quel Renato, che non sia venuto. Volevo fare la pace con lui.

Eduardo        Davvero non ha potuto.

Leila              Sarà per un'altra volta. (A Trillini) Sto aspettando ancora il pezzo sul giornale!

Trillini          Non me lo passano ancora...

Leila              E quando? È un mese che mi porti in giro...

(Trillini fa un viso costernato. Enzo borbotta dei cupi « Arrivederci ». A Mercurio)

Ciao, caro... (Gli  ospiti  escono  accompagnati  da  Enzo.  Leila rimasta sola mette a posto la roba)

A trentasei anni, sei già una vecchia, per queste schifosette. Grazie, incominciano a dodici, loro...

(Rientra Enzo)

E io domani ti chiudo dentro a chiave!

Enzo              Non l'ho scritto io, non sono io quello delle tre!

Leila              Noo? E lo scambio di occhiate, gli sguardi d'intesa, che io ho visto, non mentire, ho visto?!

Enzo              Ci hai le visioni, tu.

Leila              Sì, Bernadette!

Enzo              Te la rifai con me, non per l'appunta­mento, ma perché t'ha chiamato vecchia!

Leila              Sei un morto di fame.

(Gli sgancia uno schiaffo. Enzo esce a testa bassa. Leila rimane sola. La luce si spegne del tutto. Si accende l'insegna luminosa a destra. Eduardo sta accompagnando a casa Tea).

Tea                 Che mi dovevi dire?

Eduardo        Una cosa bellissima.

(Eduardo sorride tenendola in sospeso. Tea non è affatto divertita ma piuttosto preoccupata per quello che Eduardo sta per dire).

Tea                 Cioè?

Eduardo         (la incastra al muro, tra le sue braccia allargate, le palme contro la parete)    Sposiamoci.

Tea                  (colpita)    Ma tu sei pazzo!

Eduardo         (meravigliato)    Pazzo?

Tea                  (con un tono sbrigativo, incredibile: un'altra)  Andiamo, andiamo, Eddy, non fare lo strampalato... Facciamo quello che si deve fare. Siamo troppo gio­vani per immalinconirci con le cose serie...

Eduardo        Tu sì, io non sono più tanto giovane.

Tea                 Ma come ti salta in mente? Quando tutto è deciso. Non mi devi neanche accompagnare. Tu non ne sai niente. Mi devi solo dare i soldi, quelli sì, non ce li ho purtroppo, se no neppure te l'avrei detto...

Eduardo        Tea, ma hai perso la testa! Come parli?

Tea                 Dico cose che non si sono, forse, dette e ridette in questo mese?

Eduardo        L'importante, è che non si dicano più, che uno se ne accorga. E soprattutto che non si fac­ciano! Un figlio, Tea, abbiamo un figlio noi.

Tea                 Lo chiami figlio? Una roba fatta per caso.

Eduardo         (con un sentimento di umiliazione) Fatto per caso...  Che brutta espressione... Non la ripetere Tea.

Tea                 Perché mi vuoi sposare? Avanti, di'.

Eduardo        Perché è giusto.

Tea                 E questo basta per inventare un matrimonio?

Eduardo        Tu non ti rendi conto di che stiamo parlando, o io non capisco. Qui la situazione è rove­sciata, ti voglio sposare, Tea, e ti offendi?

Tea                 E non dovrei offendermi? Mi ami? Rispon­di, mi ami? Lo vedi? L'hai detto tu stesso, fra noi due non si è mai parlato d'amore...

Eduardo        Ma adesso abbiamo un figlio: è di più. (Pausa) Ma tu scherzi. No, anzi hai diritto a una spiegazione, è vero. Sei ancora offesa, bisogna che noi ci chiariamo...

Tea                 Sì, è meglio, ma un altro giorno, stasera non ne ho voglia. (Cercando di controllarsi) Insomma, Eddy, qui si parla delle nostre vite, bisogna decidere con calma.

Eduardo         (dopo una pausa)   Hai ragione.  (Pren­dendola sottobraccio)  È strano, come certe decisioni, d'importanza capitale, ti vengano in mente nei posti più impensati. Stasera là, durante quel gioco igno­bile, io li guardavo: volgari, senza eleganza, intri­ganti, senza rispetto l'uno per l'altro e tutti amici. Sempre amici siamo. Come vedi non mi escludo - non prendiamo mai posizione, diciamo parole grosse, creiamo delle situazioni che sembrano definitive, - sì, io, tu, Renato... e poi ricominciamo, e tutto ritor­na come prima, neppure scalfiti - io li guardavo, e a un dato momento, mi sono ritrovato a pensare che almeno una volta nella vita, una decisione bisogna saperla prendere. E distinguere. Scendi a compro­messi con chi vuoi, col cinema, le sceneggiature...

Tea                 Non se n'è saputo niente, poi?

Eduardo        Mm? No, no; spariti tutti. Hai capito quello che dicevo? Bisogna distinguere: c'è una decisione, nella vita, una, che devi saper prendere...

Tea                  (inadeguata al tono)    Sì, appunto, si deve saper prendere.

Eduardo         (scoraggiato, amaro)    Essendo nell'or­dine naturale delle cose, credevo che sarebbe stata per lo meno ovvia per te!

Tea                 Ma fa' il piacere! Non farmi venire i nervi. Ti atteggi a nobile cuore tu che con la prima serva che ti arriva in casa, fai...

Eduardo        Cosa c'entra, cosa c'entra! Segui degli stimoli inconsulti, meschini, di vendetta... Tea Insomma ho anch'io le mie ragioni. Sono troppo giovane, per esempio, per sposarmi, e voglio anch'io avere una mia vita, una carriera, il cine­matografo...

Eduardo         (con un versaccio)    Aahh! Quale av­venire!

Tea                 Tu ce l'hai col cinema, sì, e ti fa rabbia che io...

Eduardo        Sì, e mi fa rabbia che tu... Riusciresti a banalizzare anche la Bibbia...

Tea                 E allora, convincimi. Provati a convincermi! Trova una ragione per cui mi vuoi sposare!

Eduardo        Perché voglio mio figlio. E basta! E me lo darai. Non credo che dalla mia tasca usciranno quei soldi, e non tentare altre strade. Mi conosci, so essere cattivo, se mi ci trascini... e poi che mi fai dire! Cattivo! Cattiva sei tu...

Tea                 Cattiva? Mi vuoi mollare mi molli, mi vuoi sposare mi sposi? Fai tutto da solo!

Eduardo        In che maniera tratti una parte tanto delicata di noi stessi! Mi dispiace. Da quando ho saputo del bambino, ho scoperto che ti voglio bene, forse ti voglio bene per il bambino, non so, ma sono sincero, Tea, sincero.

(La luce dissolve. Si illumina fiocamente la stanza di soggiorno di Renato. Il suono malinconico di un microsolco di cool-jazz. La luce che finisce sul letto ci lascia intravedere Renato in camicia, scompostamente vestito, gettato sulle coperte come una cosa finita e abbandonata. Chinata su di lui, in sottoveste con un plaid addosso, sta la giovane cameriera che abbiamo conosciuta precedentemente con Eduardo).

La Cameriera           Ehi! Sei morto? Che succede, perché non parli? E di' qualcosa. Ti senti male? lo chiamo gente se non ti muovi... Conto fino a tre : uno, due...

Renato           (senza muovere)    Ti odio...

La Cameriera           Mi fai paura! Smettila.

Renato          Sta' zitta.

La Cameriera           Vuoi che me ne vada? Mica mi devi accompagnare, me ne vado sola.

Renato          Vattene.

(La cameriera con un sospiro di sollievo va a prendere l'abito abbandonato su una poltrona)

No!

(La ragazza resta immobile. Si rivolta verso Renato che non s'è mosso buttato là sul letto in maniera sconcertante).

La Cameriera           Che devo fare?

Renato          Sta' zitta!

La Cameriera           Guarda che non ci vengo più. Quando mi telefoni mi faccio negare.

Renato          Ti pago, io.

La Cameriera           Per quello che servo.

Renato          Sta' zitta!

La Cameriera           Ora mi metto a piangere.

Renato          Io vorrei morire.

La Cameriera            (con curiosità infantile, sedendogli accanto)  Sempre per quella signora che m'hai detto? Non ti passa?

Renato          No.

La Cameriera           Ti ha preso male.

Renato           (sollevandosi)    Malissimo.

La Cameriera           Io t'aiuterei: faccio quello che posso ma più di quello che faccio non posso.

Renato          Come te la immagini? Eh? Secondo te come credi che sia?

La Cameriera           Non lo so.

Renato          « Non lo so »? Non hai fantasia? Te ne ho parlato tanto!

La Cameriera           Una signora... Così, (si butta il plaid intorno alle spalle) con una pelliccia...

Renato           (ha un riso di tenerezza)    Non una, due, tre pellicce. Ha molti soldi.

La Cameriera           Beata lei.

Renato          Ed è molto infelice. Vorrebbe amarmi e non può.

La Cameriera           È malata.

Renato          Idiota. Io che perdo pure il tempo a parlare con te.

La Cameriera           Una mia cugina non poteva fare l'amore col marito - gli voleva un sacco di bene - perché era malata! Lui la piantò, poveraccia.

Renato           (con rinnovato sconforto e abbattimento)  È molto difficile morire, lo sai?

La Cameriera           Eh! Tu sei giovane!

Renato          Già abbastanza vecchio per farlo. Devo cogliere il momento. L'abilità è tutta lì, non lasciarsi sfuggire l'attimo. Da giorni e giorni sto in agguato: ci riuscirò. Tu piangerai, quando sarò morto?

La Cameriera           Non mi far paura, smettila. Scri­vile, di tornare.

Renato          Dove le scrivo?

La Cameriera           Dove sta.

Renato          Elena Davidson, Mondo. Dice che è partita per farsi dimenticare, Eduardo lo dice, io dico solo per affari, solo per i suoi affari, i suoi sporchi commerci. Se n'è andata! Hai capito? Sarà un mese. Se n'è andata senza una parola! Per fare i fatti suoi se n'è andata. A me neppure ci pensa! Sai, quante occasioni all'estero! E io e te a picchiarci la testa nel muro di queste quattro pareti!

(La ragazza si allontana impaurita)

Già tu che c'entri! Hai ragione.

(Renato va al tavolo a versarsi da bere) Bevi.

La Cameriera           No.

Renato          Bevi che ti fa bene.

La Cameriera           No, no. Lasciami andare... (Presa dall'atmosfera)  Questa musica! Mi mette una ma­linconia!!!

Renato           (secco)    Spegni.

La Cameriera            (andando a spegnere il grammofono)   Che brutta musica avete in questa casa...

(Grammofono stop).

Renato           (porgendole del whisky)    Non farmi ar­rabbiare, bevi!

La Cameriera           No, liquori no! Se c'è, un succo di frutta.

Renato           (gridando)    Non ce l'abbiamo! Te l'ho detto mille volte, non ce l'abbiamo, a noi non piac­ciono questi succhi di frutta! Devo anche ricor­darmi di comprare un succo di frutta per quando vieni?!

La Cameriera           E non t'arrabbiare; sei tu che mi vuoi far bere. (Risoluta) Io me ne voglio andare.

Renato          No, tu resti qui.

(Le strappa di mano l'abito che la ragazza ha preso per indossare)

Credi di poter fare quello che vuoi? Quella si può per­mettere ciò che vuole. Vedi come m'ha ridotto? Non ha bisogno di niente e di nessuno. Non la puoi comprare! Tu no. Perché credi che ti sia venuto a pescare, perda il tempo con te? Perché sei una disgraziata. Per quei quat­tro soldi che ti do, sei pronta come un cane a prenderti una carezza o un calcio. Se questi occhi potessero vederti come vedo lei, ah!

(L'afferra la stringe a sé le parla faccia sulla faccia. Spaventatissima la ragazza ha perso la voce per reagire). Non dico che sei da buttar via, ma di fronte a lei fai pietà.

(La ragazza cerca di svincolarsi)

E io dovrei darmi a te? Mi fai ridere!

La Cameriera           Lasciami!

Renato          Forse tu hai un cuore sotto tutta questa carne...

La Cameriera           Lasciami, lasciami!

Renato          ... ma sepolto da strati orribili di grasso, chi può ferire?

(Squilla il telefono).

La Cameriera           Cattivo sei, cattivo... (Si libera e si mette a piangere).

Renato           (alzando il cornetto per rispondere)    Guardati, guardati!

(La ragazza ha un forte impeto di pianto. Al microfono)

Eeh? (Ascolta poi secco) No. Mmh? (Ascolta)  Niente, niente! (Secco)  No, Eddy, non puoi rientrare ancora!

(Riaggancia il ricevitore. Si avventa di nuovo sulla ragazza)

Credi di poterti sostituire a lei? Deficiente! È la cosa più bella che ho visto al mondo! E tu che sei? Una miseria. (Pausa) Piangi? Stupida. Non è vero: è peggio di te, una schifosa peggio di te... (Lirico) Crudele, crudele, non ha capito niente... La mia vita senza lei non ha più senso! (Alla ragazza) Per­donami! Scusa. (Le si getta ai piedi) Scusami, tu non c'entri. Che cosa son diventato! Aiutami: forse è il momento, aiutami...

(La ragazza fugge terrorizzata) ... Superare quell'attimo... (La raggiunge) ... Non aver paura, tu non c'entri. (La spinge verso la ve­randa) ... Prendo la bottiglia (infatti prende la botti­glia di whisky) bevo, mi affaccio al parapetto della terrazza - la bevo tutta a occhi chiusi - barcollo, certamente barcollerò, tu m'aiuti, m'aiuti... un atti­mo... come si dice, una... se sto per esitare...

(La ragazza gli sfugge).

La Cameriera           Sei pazzo, sei impazzito, o Dio...

(Renato cerca di riprenderla).

Renato          Non devi aver paura... te lo chiedo per favore, ma forse non ce n'è bisogno...

(L'agguanta di nuovo e la tiene per il collo)

Guarda...

(Si scola mezza bottiglia mentre con una mano continua a tenerla ben stretta per il collo)

Te lo metto per iscritto... tu non c'entri.

(La spinge verso il tavolo) ... Quattro parole...

(Cerca una penna. Si sporge a prenderla).

La Cameriera            (gli dà uno spintone che lo fa cadere sul tavolo, afferra l'abito dalla poltrona e senza infilarlo in preda a una sorta di pianto isterico scappa dalla porta gridando) O Dio, o Dio...

Renato         Cretina... una povera stupida... Ma ce la farò lo stesso.

(Un'altra sorsata. La luce incomincia a dissolvere)

Coraggio! Andiamo...

(Esce a tentoni con la bottiglia in mano sulla veranda e scompare).

(Dis­solvenza. La camera s'abbuia. Poi attraverso le tap­parelle della veranda prende a filtrare il sole che invade la stanza con luce segmentata. Entra Gina a mettere ordine e a fare il letto. Mentre sbriga le faccende macchinalmente canticchia « Stride la vampa» dal « Trovatore ». Ed ecco apparire Eduardo pronto per uscire).

Eduardo        Gina! È questa l'ora di venire a fare i servizi?

Gina               Signorino, sono dovuta andare a prendere la pupa a scuola...

Eduardo        Sempre la pupa. Ogni osservazione, c'è la scusa della pupa, pronta.

Gina               E mia sorella oggi non ci poteva andare, l'hanno sfrattata. Abita nelle case abusive a Monte Mario, e 'ste carogne le stanno demolendo: la povera gente dove deve andà?

Eduardo        Avanti così non è possibile.

Gina               Lo dico pure io.

Eduardo        Sto parlando della nostra casa, Gina! Mi dispiace, ma lei è troppo... ha troppi pensieri. E qui ci vuole una donna che s'occupi di tutto. C'è il signorino Renato che parte, deve ancora fare la valigia, mangiare un boccone, correre alla stazione...

Gina               Me lo poteva dire il signorino, ieri, che partiva...

Eduardo        Ieri non lo sapevamo. Per fare il bagno abbiamo dovuto aspettare ore: stamattina il boiler nessuno l'ha acceso, lei non è venuta, e quindi...

(Entra Renato con una grossa valigia nella quale è poggiato un mucchio di camicie non stirate. Ha la mano destra fasciata. Il suo viso è scavato e pallido. Anche lui è pronto per uscire)

...La roba non stirata, guardi là quante camicie...

Gina               Subito, subito, le stiro, che ci metto.

Eduardo        Sì, adesso.

Renato           (parla  stancamente e  lento)   Non  fa niente... Me le preparano a casa.

Gina               Così la mamma vostra chissà che sciagu­rata dirà che sono!

Eduardo        Gina mia, non sarà mica colpa nostra se la sua reputazione ne soffrirà. (A Renato che s'è messo a fare la valigia)  Ti aiuto.

Renato           (articola la mano fasciata per mostrare che funziona)    Non ce n'è bisogno. 

(Prende della roba dai cassetti e raccoglie cose sparse qua e là, mentre Eduardo cerca di piegare le camicie).

Gina               E che vi devo dire, signorino. Cercatevene un'altra. Ma avete visto che « prostitudine »va in giro...

Eduardo        La « prostitudine », adesso!

Gina               Voi me l'avete raccontato, a voi v'è capi­tato:  quella si piazzava qua dentro, e un giorno manco i mobili trovavate più. Eh Gina, Gina! È meglio che uno se la tiene cara 'a Gina!

(Renato prendendo della roba da uno scaffale s'è trovato in mano la busta con le fotografie di Elena).

Renato           (porgendole a Eddy)    Non  le voglio. Tienile tu.

(Eduardo le prende, guarda di che si tratta, fissa Renato che china il capo stilla valigia).

Eduardo         (a Gina che ha terminato di fare il letto)   

Vada a fare la mia stanza. (Le dà la busta) Per favore nel tiretto del comò. Dobbiamo andare...

Gina                (a Renato)    Buon viaggio, signorino. Quan­do tornate?

Renato           (dandole la mano)    Questo proprio non lo so.

Gina               Tornate presto che vi porto a rivedere la pupa. È cresciuta!

(Renato abbozza un sorriso, la Gina esce, Eduardo sbuffa).

Renato           (osservando la valigia)    Basta così, se mi occorre altra roba me la manderai.

(Eduardo gli prende il viso tra le mani).

Eduardo        È meglio. È meglio. Curati. Hai una faccia! Star tranquilli e non pensare a niente. Mi mancherai molto, lo sai? Ma voglio sapere che guarisci.

Renato          Mah!

Eduardo        Se parti maldisposto, è inutile. Tua madre, all'idea di averti di nuovo tutto per sé, ti colmerà di amore, sarai coccolato come...

Renato            Non ho voglia di vederla.

Eduardo         (apprensivo)    Perché?

Renato          Non lo so, incontrarla mi dà fastidio... proprio perché mi starà addosso con le sue tene­rezze.

Eduardo         (sfiduciato)    Renato, e beh?

Renato          No, parto, parto: qui non ci posso più stare.

Eduardo        Io ti capisco, sapessi come ti capisco, non è la soluzione migliore andare a casa nello stato in cui tu sei. Ma dove vai, fuori, solo? Qui non puoi restare... stanotte m'hai fatto paura.

Renato          Dovevo farti ridere! Svenuto per terra, la bottiglia rotta in mano...

Eduardo        Disprezzati pure! Avanti...

Renato          Certo : caduto dentro, anziché fuori! Che pagliacciata da quattro soldi...

Eduardo        Stupido, non è questo il punto: è che in dati momenti bisogna sapere qual è la decisione giusta da prendere. Io, ho preso la mia : sposerò Tea.

Renato          La sposi?

Eduardo        Un figlio non si butta via: e lui può essere la soluzione del mio caso.

Renato          E così sposi Tea, senz'amore.

Eduardo        Con affetto e con un figlio mio: qualcosa di costruito. Credimi, per me, è la deci­sione giusta come per te è giusto sradicare tutto. Non ne vale la pena.

Renato          Ti sbagli, vale sempre la pena.

Eduardo        Secondo te.

Renato          Nel presente caso (prende a chiudere la valigia) è la mia opinione che conta. (Si sforza per chiudere) Sto malissimo...

Eduardo         (premuroso come a volerlo sorreggere)  Forse è meglio che tu parta più in là...

Renato          No, no... mi sento come distrutto den­tro... andiamo...

(Eduardo riesce a chiudere la valigia)

Ah, il « Trovatore »...  (Prende il disco) Me lo porto.  « Prima che d'altri vivere - io volli tua morir ».

Eduardo        Eh?

Renato          Come capisco Leonora...

(Eduardo prende la valigia. Nell'uscire dalla stanza Renato si fer­ma e dà un'occhiata in giro)

Se torno, non voglio più mettere piede qua dentro. In questa stanza ho amato e sofferto come un cane.

(Escono. Le luci si abbassano. Dissolvenza. Dalle persiane incomincia a filtrare il rosso di un tramonto di fuoco che da alla stanza un tono cupo e sinistro. Dalla strada sale il canto di una giovane mendicante che si ac­compagna con la fisarmonica. Eduardo ritorna con Tea. È giù di corda. Ha comprato dei libri che poggia sul tavolo. Tea si siede in silenzio).

Eduardo         (va meccanicamente alla veranda)    Uh! Ogni pomeriggio questa cantilena. Ma che vuole? (Pausa) Ho comprato quei libri, non so neppure perché. (Apre i vetri e rientra nella stanza.)  Mi sento una malinconia addosso! (A Tea)  Dove sei stata? Ti ho cercata. (Svolge il pacco che contiene i libri)  Quando ho visto scomparire il treno, m'è parso di sentire la sua voce che gridava qualcosa... Ma forse non era lui.

(Cerca di leggere a caso nelle pagine di un libro, ma è troppo buio per vederci)  Accendi, stai al buio?

Tea                 Preferisco.

Eduardo         (lascia andare i libri)    Le giornate si sono allungate.

(Toglie la giacca poi la riprende subito per cercarvi le sigarette. Ne offre a Tea che fa un cenno di diniego, ne accende una)

Ti dico che ho avuto paura ieri sera. Un miracolo!... Meglio che sia tornato a casa, una responsabilità, oltretutto... Come s'è ridotto quel ragazzo!

Tea                 Non lo capisco.

Eduardo        Possiamo non capirlo nessuno, ma è così.

(La mendicante smette di cantare. Al suo indirizzo)

Ah! Ciao, bella, ciao!

(Pausa).

Tea                 S'è saputo lei dove sta?

Eduardo        Boh! Dicono sempre che deve ritor­nare...

(Le si avvicina tenero. Tea è a disagio, lo scansa)

Tho cercata... Avevo bisogno di... mi sentivo abbandonato anch'io: che hai fatto?

(Tea non risponde)

Ti secca che ti ho trascinata qui?

(Tea è imbarazzata dal tono affettuoso di Eduardo: que­sto proprio non ci vorrebbe).

Tea                 No, volevo andarmi a cambiare, ripulirmi, da oggi pomeriggio...

Eduardo        Vatti a fare un bagno! Aspetta...

(Prende dalla tasca della giacca le chiavi di casa e le butta in grembo a Tea)

Sono quelle di Renato. Tienile tu.

Tea                  (prendendole)    No, Eddy.

Eduardo        Via!

Tea                  (innervosita)    Ma noo.

(Eduardo le fa una carezza sul ventre. Colpita inaspettatamente Tea gli toglie la mano)

Sta' fermo!

Eduardo        Esagerata! Vieni a stare qui, anzi. Hai tutte le comodità; là in quel buco... Che t'importa se viviamo insieme fin da ora.

Tea                  (seccamente)    Eduardo io non ti sposo.

Eduardo         (dolce e sfottente)    Che testolina biz­zarra: stasera scrivo a mia madre.

Tea                 No, Eduardo, te l'ho detto. Una volta che ci siamo, meglio chiarire. (Si alza e gli si mette ferma innanzi) Ho firmato.

Eduardo         (severo)    Cos'hai firmato?

Tea                 Il film con Enzo. Quello di Fazio.

Eduardo        Hai firmato! E quando?

Tea                 Oggi.

Eduardo        E come è successo questo?

Tea                 Ha intenzione di lanciare una nuova coppia dello schermo. Fazio cercava un volto nuovo. Ha scelto me.

Eduardo        E vorresti farmi credere, come se io non fossi dell'ambiente, che in un giorno hai com­binato un film...

Tea                  (dura)    Abbiamo combinato oggi, alle tre. (Scandendo)  Alle tre.

Eduardo         (non capisce)    Perché alle tre?

Tea                 Ti sei dimenticato? Ieri sera da Leila: la posta. Quel biglietto ce lo siamo scambiati Fazio ed io.

Eduardo        Sei stata tu?

Tea                 Sì.

Eduardo        Per un filmaccio di canzonette...

Tea                 Si comincia così.

Eduardo        E alle tre hai firmato? (Silenzio).

Tea                  (tranquilla)    È come se lo avessi fatto.

Eduardo        Che vuoi dire?

Tea                 Esattamente quello che hai capito, e non ti azzardare a darmi degli attributi. Mi hai insultato un giorno per non averlo già fatto.

Eduardo        Tu sei una criminale, o una inco­sciente, meschina, vendicativa... Arrivi a compren­dere che fra te e me è successo qualcosa di nuovo? Abbiamo un figlio, Tea, i nostri rapporti sono mu­tati, devono mutare, siamo legati, siamo marito e moglie, lo dobbiamo essere, dobbiamo uscire da que­sto spappolamento, al quale, tutti, noi per primi, stiamo contribuendo.

Tea                  (calma e cosciente di quello che dice)    Io non sto contribuendo a niente, devo ancora inco­minciare.

Eduardo        Incominciava a fare la...

Tea                  (interrompendolo)   T'ho pregato di non insultarmi. È facile cambiare d'opinione secondo il pro­prio comodo. Ma qui ti volevo! Non mi dispiace affatto aver seguito i tuoi consigli: li trovo utilissimi.

Eduardo         (con odio)    Tu non sei una incosciente, sei una criminale.

Tea                 Una che si vuole liberare di te, come tu volevi liberarti di me un mese fa.

Eduardo        Va bene; volevo liberarmi di te, è vero. Ma oggi con tutta coscienza ti ho offerto il matrimonio.

Tea                 Troppo tardi. Ho trovato la mia strada. Voglio arrivare, Eddy, voglio arrivare. Di te, e degli altri non me ne importa niente.

Eduardo        D'accordo allora. Non ci amiamo, non ci sposiamo! Però mio figlio vivrà. Tu me lo fai: non c'è film che tenga. E se osi... ti mando in galera. Giuro. Ne farai un altro di film! Per forza: tra poco, ti verrà una pancia così!

Tea                  (freddissima)    Non mi verrà niente.

Eduardo        Ti mando in galera.

Tea                 Non ce n'è bisogno. Il bambino non ce l'ho. Non c'è. Lo vuoi sapere? Non esiste. È un'inven­zione. Sei sempre stato un ragazzo serio del quale ci si poteva fidare.

(Lungo silenzio. Eduardo è distrutto).

Eduardo        Perché l'hai fatto?

Tea                 Per tenerti.

Eduardo        E il resto?...

Tea                 Tutta una finta: non l'avresti mai saputo.

Eduardo        Non arrivo a capire. E in che speravi, nel rimorso?

Tea                 Non esattamente. In una specie di legame di colpa che t'avrebbe impedito di abbandonarmi fin quando non avrebbe fatto comodo a me, questa volta. La situazione è precipitata, per mezzo di Enzo e Leila ho conosciuto Fazio... E poi non avevo previsto che ti saresti affezionato alla cosa.

Eduardo        Che idee lucide. Puoi andare, Tea.

Tea                 Sì, caro...

(Posa le chiavi sul tavolo e fa per uscire)

Sarebbe stato troppo facile trovarti padrone di una cosa che non hai mai voluto.

Eduardo        Aspetta! (Si alza di scatto e accende tutte le luci così che la stanza si illumina in pieno)  Ti voglio guardare bene. Voglio ricordarmi che esse­re mostruoso tu sei. Sapessi che concetto banale avevo di te.

(Sotto quello sguardo fisso, Tea esce, senza replicare. Eduardo va al tavolo, si mette a sfogliare i libri che ha acquistato poi si sofferma a scorrere una pagina, ma si vede che non capisce una sillaba di quanto legge. Entra Gina senza che egli se ne avveda).

Gina                (lo chiama)    Signorino!

Eduardo        Ah! Che fa qui?

Gina               Ho stirato tutto. Una pila di roba.

Eduardo        Brava. (Riprende a sfogliare i libri).

Gina               Signorino!

Eduardo        Che c'è?

Gina               Mi servirebbe un anticipo sul mensile... Mille lire mi bastano...

(Eduardo prende la giacca cava fuori il portafogli e le dà alcuni biglietti da mille)

Solo mille lire, signorino, se no alla fine del mese non mi trovo niente...

(Eduardo fa un gesto come a dire « tira a campare »).

Eduardo        Si cerchi un altro posto, Gina. Me ne andrò anch'io, non so quando, cambierò mestiere...

(La pianta e se ne va nella sua stanza strascicando la giacca. Le luci si sano affievolite. Dissolvenza. Luce piena di mezzogiorno. Sotto una delle réclames al neon, i tavolini di un piccolo bar. C'è una musica nell'aria che viene da qualche parte ad arricchire la bella mattinata estiva. Dal bar, mangiando un toast, esce Enzo, in maniche di camicia, allegro, spavaldo, abbronzatissimo. Poggia su un tavolo l'accappatoio colorato e un costume da bagno che ha con sé.  Aspetta   qualcuno,   perché  guarda   l'orologio,  poi guarda in giro. Infine si siede allungando le gambe su un'altra sedia. Sopraggiunge Trillini, anch'egli in abiti estivi, ma bianco come la cera).

Trillini          Uè.

Enzo               (festoso)    Ciao.

Trillini          Che fai?

Enzo              Aspetto Tea.

Trillini          Dove andate?

Enzo              A fare il bagno. Siediti.  (Trillini siede)  Vieni con noi, cadavere.

Trillini          Mi fa male il mare.

Enzo              Macché, è tutta salute, vieni, che fai schifo.

Trillini          Io resto rosso non divento mai nero.

Enzo               (picchiandosi su un braccio)    Che tinta eh? Abbiamo girato sempre in esterni.

Trillini          Avete finito il film!

Enzo              Ieri.

Trillini          E quanto è durato?

Enzo              Un mese, e che ci vuole! Vuoi un toast?

Trillini          No. Bel mestiere, beati voi.

Enzo              E gli obblighi dove li metti? Lo sai che ogni giorno dobbiamo continuare a restare appiccicati io e Tea, i fidanzati dello schermo?... Ce l'ha messo in contratto, hai capito?

Trillini          Uè, fammi ordinare qualche pezzo a pagamento... se questo ha intenzione di buttare soldi per il lancio, che mi guadagno una cosetta pure io...

Enzo              Lo devi dire a Tea. Ha fatto entrà anche Mercurio.

Trillini          Che sbruffone! Dice che l'hanno pre­gato, per una particina.

Enzo              Sì, come i Re Magi a Gesù Bambino! Sapessi che ha dovuto fà Tea per farlo prendere!

(Arrivano di corsa Tea e Mercurio, lei scollatissima, lui in pullover, anch'essi con una bella abbronza­tura da sfoggiare, carichi di borse e spugne colorate. Si salutano clamorosamente, si abbracciano, si strin­gono, si baciano. Tea si butta a sedere).

Mercurio      Andiamo, su, che si fa tardi. (Allu­dendo a Tea) Mi ha fatto aspettare tre ore.

Tea                  (strappa di bocca a Enzo un pezzo del toast)   

Non ho neppure fatto colazione.

Mercurio      Mangiamo allo stabilimento.

Trillini          Io non ho una lira.

Enzo               (si alza)    Sei invitato. (A Tea)  Gli devi fà guadagnà un po' di soldi...

Tea                 Un momento. Dobbiamo aspettare Fazio: ha telefonato, ci raggiunge qua con la macchina. Ci porta lui.

Mercurio       (interrompendo con faccia di circostanza, a Enzo e Trillini)    Ah, lo sapete di Renato?

Tea                  (facendosi seria)    Poveraccio.

Trillini e Enzo        Che è successo?

Mercurio      Eh! (Fa con due dita il gesto che allude alla morte)  Eddy è andato su. Me l'ha detto la Gina...

Enzo              Ma come è stato?

Mercurio      Non si sa. Ho telefonato per caso...

Trillini           (ripensandoci)    O disgraziato!

Tea                  (precisando)    Stava già male.

Enzo              Sì, ma chi... chi pensava a... a...

Trillini          Ma di che cosa era ammalato si sa?

Mercurio      Non s'è mai saputo bene...

Trillini          Chi se l'aspettava.

Enzo              Quanto mi dispiace. Anche se non ci avevo una gran simpatia, però così giovane...

Tea                 Che pena! (Si fa un momento di silenzio. Nessuno sa che cosa dire: chi borbotta qualcosa, chi scuote la testa) Sarà stata anche la storia con quella...

Enzo              Ma va! Uno se la prende per la Davison? È mai possibile? La conosco bene quella!

Trillini          Lì c'entra di mezzo il cervello che non funziona, altro che!

Enzo              Doveva essere malato in corpo.

(Ecco Fazio vestito di bianco con l'amica anch'essa molto scol­lata, brunita dal sole).

Fazio             Scusatemi, scusatemi, ma all'ultimo mo­mento... (Saluta dando la mano ai due) I nostri inna­morati! (Sghignazza)  La storia incomincia a pren­dere piede!... « Chiesetta del mio paese », sarà ser­vito più a voi che a me!

Mercurio       (a Fazio)    Ma lo sa di Renato?

Fazio             Chi è Renato?

Mercurio      Quel nostro amico... Come? Quella sera da Leila...

Tea                 Non c'era Renato, quella sera con noi.

Mercurio       (deluso)    Ah, già.

Fazio             Beh, che è successo?

Mercurio      Poveretto, è...

Tea                 Che glielo dici, via, se non lo conosce che vuoi che gliene possa importare! Mi dispiace, per il povero Renato, ma se Fazio non sa chi sia!

Fazio              (gioviale)    Andiamo, andiamo, ragazzi, niente malinconie...

(Si avviano rumorosamente. Enzo e Trillini restano qualche passo indietro. Con­tinuando)

Qui, bisogna farsi vedere da per tutto...

Trillini           (a Enzo accennando all'amica di Fazio)   Però quella di prima non l'ha mica mollata!

Enzo              Quella se la porta per paravento, e grazie!... se noi dobbiamo fare i fidanzati! Senti se non è divertente: (si accompagna coi gesti delle mani) lui con Tea, e io con la cretina!  (Continua a parlar­gli all'orecchio).

(Escono mentre la luce si affievo­lisce. Dissolvenza. La stanza di soggiorno di Renato invasa dalla luce calda del mattino d'estate. Spalancate le porte e finestre, l'arredamento quasi del tutto sbaraccato. Scaffali vuoti, il tavolo comple­tamente sgombero, il letto portato via.  Squallido, isolato alla farete rimane il grammofono, e in mezzo alla camera le poltrone, il tavolino col telefono e alcune casse piene di libri e dischi. Altre file di libri giacciono sul pavimento. Seduta su una poltro­na, quasi di spalle, Leila, la borsetta aperta sulle ginocchio, si asciuga gli occhi col fazzoletto. Eduardo sta completando una cassa colmandola coi libri che prende da terra. Entrano due facchini, Eduardo indica una delle casse già pronte, i due la sollevano a quattro mani ed escono).

Leila               (ancora con voce di pianto)    Lo dicevo io che quel ragazzo aveva qualcosa... appena lo vidi... La prima impressione. Ora capisco: aveva la fac­cia di chi non avrebbe campato a lungo... Ci sono dei predestinati... - è vero sa - come nei film; quan­do ti presentano il personaggio più giovane, alle­grone, fiducioso, bello, capisci subito che quello sarà il primo a morire nella battaglia... il primo. Ma i medici, i medici non hanno potuto niente? Un organismo giovane...

Eduardo        Che  potevano fare  i medici contro un organismo che si rifiutava?

Leila               (con un sospiro)    Purtroppo. Ci voleva qual­cuno che se ne occupasse con l'anima. Io non l'ho più  visto da quella  volta, non  abbiamo neanche fatto la pace dopo quella litigata. Se me ne fossi occupata, chissà. Riesco: m'è capitato spesso... Porto fortuna io a chi sta con me, e a me invece... Il nostro incontro è servito a mettermi sulla strada di Enzo: ecco la malasorte.

Eduardo         (gentile)    Non va con Enzo?

Leila              C'è troppa cattiveria in giro, caro amico. È uno stupido ragazzo. E poi il cinema, il cinema, il cinema! È una parola che riempie la bocca, il cuore e...

Eduardo        Tutto va male.

(Pausa).

Leila              Quel Renato! Non l'ho quasi conosciuto! Ho conosciuto Tea, ho conosciuto lei, che credo sia una cara persona, ma lui, lui... Nessuno di noi ha fatto niente per quel Renato.

Eduardo        Nessuno di noi poteva aiutarlo. 

(In silenzio, lentamente, entra Elena, vestita d'estate, bruna di sole. Si guarda intorno. Eduardo solleva il capo dalla cassa, la fissa; Leila resta incerta senza comprendere  di chi si tratti.  Infine,  intuendolo, ficca il fazzoletto nella borsa, la chiude facendo scattare la serratura e si alza).

Leila              Mi scusi. È una notizia che mi ha davvero scossa.

Eduardo        È stata molto cara a venire. (L'accom­pagna alla porta).

Leila              Quando ritorna a Roma?

Eduardo        Quest'inverno.

Leila              Si faccia vivo.

Eduardo        Ci conti.

(Leila esce. Eduardo ritorna sui suoi passi verso Elena. Stanno in silenzio).

Elena             Lei è stato su? (Eduardo annuisce)  L'ha visto? (Eduardo annuisce)  Com'era?

Eduardo        Morto.

Elena             Non l'ha visto prima? Non gli ha par­lato?

Eduardo        Sua madre l'ha isolato; non ha fatto avvicinare nessuno. Come un rancore verso tutti i suoi amici...

Elena             Solo! Nemmeno lei?!

Eduardo        Gli ultimi due giorni aveva perso la conoscenza.

Elena             Forse non ha capito, allora...

Eduardo        Che cosa non ha capito, signora? La notte prima di lasciare Roma, ha cercato di morire, lo sa lei? S'era ubriacato per trovare il coraggio.

(Ritornano i due facchini. Eduardo gli indica la cassa che ha terminato di riempire)

Questa.

(I due la sollevano ed escono voltandosi a guardare Elena)

Diciamo che Renato non ha voluto vivere. Oggi i me­dici si affannano a dare nomi tecnici a malattie che hanno un'unica e antica origine... Ci sono tanti modi di morire, signora.

Elena             Non l'amavo, gli ho voluto, gli voglio - oggi più che mai, e per sempre - molto bene. Io sono partita, me ne sono andata per aiutarlo; credevo che le cose si mettessero per il meglio.

Eduardo        L'onestà con gli esseri innamorati, è un'inutile crudeltà. Bisogna mentire.

Elena             Avrei dovuto mentire a Renato?

Eduardo        Sì, signora. Non si può assistere alla distruzione che una persona, giorno per giorno, fa di se stessa, e non soccorrerla. Mi creda, sono il tipo meno adatto a dirle questo, io sono più dalla parte sua. Sì, ho intuito che abbiamo molti punti in comune: incapaci d'amare, terrorizzati dall'amo­re. E non riusciamo a concepire che per loro che ci amano le cose volgono al peggio; è così poco impegnativo aver fiducia nel lieto fine! Sì, doveva mentire!

Elena             Quello che dice è assurdo.

Eduardo        Non è più assurdo di quello che lei ha fatto.

Elena             Ma io gli volevo bene, lo stimavo infini­tamente. Il suo amore era vero. Come ricambiarlo? Con un sorso d'acqua e fargli credere che fosse amore?

Eduardo        Renato non desiderava né il suo bene né la sua stima, voleva soltanto essere ingannato.

Elena             Crede che l'avrei salvato?

Eduardo        Sì. Ma non vede che cos'è quello che diciamo amore? Un impasto di errori, intuizioni, ignoranza... Accomodamenti! Il vero amore lo si raggiunge per disperazione, in solitudine. Povero Renato! Può gloriarsi di avergli dato la possibilità di attingere a questa vetta!

Elena             Io non mi glorio di nulla, so soltanto che l'idea che Renato non ci sia più mi fa impazzire.

Eduardo        Allora ho ragione io. Lei crede al destino, alla fortuna? Io no. Come ci costruiamo con le nostre mani il lavoro, gli interessi, una persona­lità, perché non dovremmo costruirci un sentimen­to? Se c'è un materiale magnifico, a disposizione, non lo si butta via. È prezioso. Ci manca l'educa­zione del cuore, signora. Dovrebbero mandarci a scuola da bambini, a educarci i sentimenti.

Elena             È troppo tardi, ormai, per imparare.

Eduardo        Accontentiamoci di capire.

Elena             Non riesco a interessarmi a quello che avrei dovuto fare o che potrò fare; so soltanto che sono molto infelice e continuerò ad esserlo. Ero ve­nuta a chiederle calma e pace.

Eduardo        Mi dispiace. Questo è tutto. Aspetti, devo darle qualcosa.

(Eduardo va nella sua stanza. Rientrano i facchini e non potendo prendere l'altra cassa perché non è completata, rimuovono il gram­mofono, l'ultima presenza fisica di Renato, e se lo portano via. Sulla loro uscita rientra Eduardo con la busta delle fotografie).

Elena              (a Eduardo)  Come vorrei risentire dal mio telefono, quel grammofono strepitare...

Eduardo         (dandole la busta)    Me le consegnò Renato prima di partire.

(Nell'andar via Elena apre la busta e guarda la prima foto che le viene sotto occhio).

Elena             Non sapevo che si potesse mettere tanto amore in una fotografia.

(Escono. Resta un gran vuoto e un gran silenzio).

Copyright Giuseppe  Patroni-Griffi 1958.

                       

Questa commedia è stata rappresenta la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia, il 25 giugno 1958, dalla Compagnia Giorgio De Lullo-Rossella Falk-Annamaria Guarnieri-Romolo Valli, con la regia di Giorgio De Lullo, in occasione del XVII Festival Internazionale del Teatro di Prosa. Le parti sono state così distribuite: Renato (Giorgio De Lullo); Edoardo, detto Eddy (Romolo Valli); Enzo (Umberto Orsini); Teodora, detta Tea (Annamaria Guarnieri); Leila Marè (Elsa Albani); Ippolito Mercurio, detto Mercurio (Gino Pernice); Trillini (Ferruccio De Ceresa); Il Barman (Corrado Nardi); Gina (Italia Marchesini); Una Cameriera in cerca di lavoro  (Niky De Fernex); La madre di Edoardo (Gabriella Gabrielli); Elena Davidson (Rossella Falk); Fazio  (Mario Maranzana); La Signorina (Cristina Grado).

Scene di Pier Luigi Pizzi; la canzone « D'amore si muore » è del Maestro Lelio Luttazzi.