De porcellanae fragilitate

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De Porcellanae Fragilitate

Federico Caramadre  Ronconi

Personaggi:

Una ronconiana Duse — Luca

Una donna sui trent’anni dai modi raffinati, quasi stucchevole — Clelia

Hermes

Una Narratrice

Un Narratore

Un mimo donna, corporatura esile

            Musicisti:         un efebico cantante violinista; un percussionista

            Strumenti:        una fisarmonica o un organetto; un fagotto; un contrabbasso

Figurazioni scelte

LUCA

Romantica e sognatrice. Incline alla pazzia.

Introspettiva e malinconica Ofelia che sogna di fare l’attrice per autoaffermarsi.

Alterna momenti di VERITÀ a VOLI PINDARICI nel suo arcobaleno di sentimenti contrastanti. Esistenzialista e critica osservatrice della realtà, è caratterizzata da una forte malinconia che parte dai suoi ricordi di una vita più idealizzata che vissuta pienamente. Tende al disfattismo ma si oppone all’intorno che la disturba con una lucida e rigorosa analisi.

Una “paranoico-schizofrenica” con forti accenti di chiusura.

CLELIA

Disincantata intellettuale. Incline alla follia. Maniaca dell’eccesso e della frivolezza.

Una snob che ostenta cultura e opulenza, vorrebbe fare l’attrice per il gusto estetico, tutto mentale, di essere parte fondante di un “processo artistico”. Non avendo capacità particolare recita un ruolo nella vita reale.

Alterna momenti di MANIERA estrema a momenti di VERITÀ. Una verità tutta sua, e apertamente dichiarata, quasi fosse il suo personalissimo “manifesto” estetico e comportamentale con cui farsi scudo contro gli attentati del mondo.

Una logorroica ossessivo-compulsiva tendente alla nevrosi.

Premessa

Il testo qui di seguito è il risultato di un’incursione diurna, meglio, di molte incursioni, laddove parti significanti di due romanzi e di due testi teatrali sono state reimpaginate per comporsi in gioco drammaturgico.

Da "Il Mosaico dell’insofferenza" e "La dance de l’araignée", attraverso "Il Bastone e le scatole cinesi" e "De Comoedia", nasce “De Porcellanae Fragilitate” (Porcellana): qui ancora un dramma surreale attraverso un testo a tappe scandite su più tessiture ritrovabili in differenti composizioni.

Per la serie "De Arachnes lessellato opere": Trattato sul Conte di Pontecorvo e sui Nobili del Colore o sulle virtù ermetiche.

Avviso per il lettore: il lavoro è sicuramente pensato, e dunque scritto, per essere rappresentato; taciuti i riferimenti significativi agli ambienti, alle azioni simultanee, alle proiezioni, alle registrazioni, alle luci, al taglio dei dialoghi, alle musiche e ai movimenti. Volendo li si potrà ritrovare nella mia testa.

APPUNTI: Stereofonia, proiezioni, coreografie (a fine lavoro, prima del sipario, molto movimento di mani, polsi e mimica facciale / durante il racconto di Hermes e il suo passaggio tra il pubblico, trasformare i movimenti dei subnormali in una coreografia / durante le pause, i silenzi e i momenti di imbarazzo le attrici riprenderanno l’altalenare tipico degli autistici e le nevrosi comportamentali / Pause di dialogo ripetute, buio “Film blu” con ripresa medesimo punto interruzione / Torcia passaggio tra il pubblico / Dopo H su luce da buio una coppia in effusioni esce dalla platea).

De Porcellanæ Fragilitate

Commedia di due atti contratti in un atto unico inseparabile


PORCELLANA

(De porcellanae fragilitate)

di

Federico Caramadre Ronconi

Prologo

Il Violinista:    (Si alza dalla platea iniziando a suonare e cantare, cammina verso il palco e, una volta sul proscenio, interrompendo la canzone, come se raccontasse una favola ad un bambino:)

D’inverno viaggeremo in un vagone rosa

con dei cuscini blu.

Staremo bene. Un nido di baci folli si nasconde

in ogni morbido angolino,

Tu chiuderai gli occhi per non vedere, dal vetro,

ghignare le ombre della sera,

mostruosità colleriche, nera plebaglia

di demoni e lupi tetri.

Poi ti sentirai graffiare lieve la guancia...

un breve bacio, un ragno folle,

Ti correrà sul collo...

– Cercalo! – Tu mi dirai, chinando un poco

a me la testa

– prenderemo tempo a scovar la bestia

– che corre senza posa...

(Rimbaud, 1870)

BUIO

SIPARIO

Un tavolino da salotto con una scacchiera. Una specchiera con dei candelabri dalle strane forme di cui uno acceso. Un pappagallo di legno su di un ripiano. Un flauto. Rose essiccate. Una riproduzione in grandi dimensioni della tela "Hermes Atto II" o telo nero. Due leggii.


C'è un uomo, di lato, intento a prepararsi un'insalata: lo farà con cura e la mangerà durante il corso dello spettacolo senza mai curarsi di quanto accade intorno, ringraziamenti inclusi (possibilmente bulgaro di rito bizantino).

Un uomo anziano, alto, con cilindro e mantello grava di lato immobile come un pipistrello (Angelo Necessario).

Una minima parte del pubblico (scelta e avveduta) potrebbe essere sistemata sul palco, seduti a terra, sul fondo.

NARRATORE (su nastro o dal vivo):            Carissimo amico,

il gioco sta per iniziare. Solo da qualche giorno, dopo aver tanto osservato e riflettuto poco, subisco continui e rapidi attacchi della mia fantasia, ossessive incursioni dell’immaginario che mi assalgono nei momenti più impensati, e in ogni dove.

La strada, gli sguardi fugaci e imprevisti, i corridoi della metro, la regione sconosciuta tra veglia e sonno, i riflessi di volti anonimi sui finestrini dei vagoni, un sorriso sulle scale mobili, una voce alla segreteria, la confusione nei bistrot, sono tutte componenti decisive e ineludibili di questo mio piccolo viaggio attraverso le illusioni del mondo. Vedo nette e distinte, dinanzi, le immagini di quel piccolo sogno che vorrei incastonare nella pellicola, brevi fotogrammi della mente che invadono anche i miei pensieri più banali. Sento chiaramente la presenza-assenza della lunga ala che mi sovrasta leggera e mi accompagna lungo il quotidiano peregrinare nei sotterranei di queste genti. L’Angelo Necessario sparge le sue piume come ad indicare la via ed ogni volta una folgorazione viene prontamente annotata sul piccolo vademecum dei desideri, dove la mia compagna stilografica depone instancabile la sua firma.

Hermes

NARRATRICE (su nastro o dal vivo):                       Hermes caro,

ti scrivo per ringraziarti per la bella serata di ieri. Ti ho trovato, oltre che Signore delle Tenebre come sempre, e bello, elegantemente caldo di idee e di affetti e vorrei augurarti buona fortuna per il tuo soggiorno a Parigi. Non so se ci sarà il modo di incontrarci prima della tua partenza, ma in ogni caso rimaniamo con la conferma di un invito a cena in terra di Francia; credo che possa essere una gustosa prospettiva. Abbi cura di te.

Ti lasci abbracciare?


NARRATRICE (leggendo da un libro):          Amico caro, al di là dei numerosi tracciati che sono stati imposti alla città di Parigi, ti spedisco la chiave per ricavarne uno nuovo e tutto tuo, itinerario discontinuo, duplice e sotterraneo, che potrai decidere o meno di seguire. Fra te e Breton ci sono delle affinità: i vostri "pomeriggi completamente inoperosi e piuttosto tetri" di cui avete il segreto, le vostre case che trascendono quelle nelle quali si vive di solito, di vetro la sua, di latta la tua, e poi quel dondolare privo di finalità che ti accomuna a lui, certi che sarà il caso a portarvi incontri che alla sua logica appartengono. Troverai nel libro molte foto; Breton è così, partecipa di una visione distorta del reale, fornendone poi, come consolazione, una talmente lucida da suscitare diffidenza. Ed io sono diffidente. Lo sono nei tuoi confronti. Qualcosa, comunque, mi lega a te. Prova a leggere dietro le foto. Fammi sapere. Ti bacio.

NARRATORE (leggendo da un libro):                       Scritto sulla scorta di un incontro realmente avvenuto nel 1926 e pubblicato nel 1928, Nadja costituisce per Breton la prima manifestazione di un passaggio basilare nell’ambito del discorso fra caso e scrittura. Ma al di là del suo valore nei confronti del Surrealismo e della singolarità della posizione che occupa questo testo nella letteratura europea, resta imprescindibile nel suo scorrere la presenza di 48 illustrazioni, ovvero fotografie, che recano talvolta come didascalia brani rapidamente risolti del libro. Hermes, nel corso di un soggiorno a Parigi, fonte di stimoli già parzialmente rielaborati e di altri dei quali attendiamo lo sviluppo, ha, vorremmo dire semplicemente ma è un avverbio troppo riduttivo, ripercorso tutte le tracce e fotografato i luoghi. Il risultato è assai meno sfuggente del testo scritto, ma di esso conserva il senso dell’enigma e del doppio. Incantatori i risultati di Breton. Intriganti quelli di Hermes. Fra i due il legame è così prepotente da annullare in un affascinante omaggio i 70 anni che li separano.

Il testo del narratore potrà essere interrotto in qualsivoglia momento. In crescendo, durante la lettura dei narratori Luca, seduta, avanza e indietreggia con il corpo come farebbe un autistico, mentre Clelia trema e si infila le mani dappertutto.

CLELIA:         Sì, va bene, va bene così.

LUCA:            Va bene? Dici che va bene?

CLELIA:         Certo che va bene, ce la faremo. Credo, in tal modo, dico, di aver recuperato sarcasticamente, penso, le tematiche iniziali, credo, senza per altro averle deprezzate, dichiaro, e mi sento perciò, sento, di poter tuttora recitare, all’interno di questo balletto, il minuetto è la polka del re ricordo, danza di significati e significanti, che "Elle me parle: Lei mi parla attraverso gli occhi di felce d’Hélène per condurmi, all’interno di una danza di ragno... ...Fino allo sguardo melanconico di Hermes", dinanzi alle molte prede che sono finite sulla tela di un ragno inopportuno e solo intravisto. Una battaglia mai dichiarata con dei mulini a vento. La qual cosa, ripeto, cosa, quale, penso, questa, suppongo, la quale, certifico, cosa, aggiungo, mi spinge, spingo, a considerare, considero, penso, molto gradita la rassegna d’arte contemporanea, rassegnata, penso, arte rassegnata, penso, contemporaneità rassegnata, penso, contemporaneità rassegnata alle rassegne d’arte, penso, rassegnata contemporaneità rassegnata alle rassegne d’arte rassegnata, penso, continuo, penso, dico: ce ne fossero occasioni tanto preziose di discussione, critica e autocritica, riconquista del proprio operare se è vero che la via al Sublime passa attraverso la condizione di Bathos, farnetico.

SI SENTONO UNA QUANTITÀ DI TELEFONI PORTATILI SQUILLARE tra il pubblico DOPO UN MINIMO INTERVALLO DAL PRIMO TRILLO

Luca risponde.

LUCA:            Sì? Sì! Sì, ce la faremo, siamo brave, le più brave. Andremo in scena presto, anche se ancora non abbiamo le idee chiare. Lei vuole fare un Amleto al femminile ambientato in un nosocomio o in una galleria d’arte.

CLELIA (al pubblico):                        Potremmo organizzare uno spettacolo di teatro minimo, oppure una esibizione di danza butoh, o altrimenti non saprei, (va a sedersi, a Luca:) mi piacerebbe fare il mimo, sì ma non cose che due palle, che la gente dice che è bellissimo e invece non ha capito niente dello spettacolo perché non c'è niente da capire, potremmo portare il vino alle prove, che ne so, potrei ballare con i trampoli e tutti starebbero a guardarmi perché sarei altissima e bellissima e sarebbe impossibile non notarmi, ma per poter far questo dovrei allenarmi, oramai il mio corpo è qualcosa di completamente scisso dalla mia volontà...

LUCA:            Non riusciremo mai a mettere in piedi questo spettacolo. Siamo incastrate tra le pretese dei neoregisti e i vagheggiamenti del pubblico. Se nel giro di un anno non cambierà qualcosa aprirò una merceria in provincia.

CLELIA:         Ma sì, datti pure un anno di tempo, magari lo ritrovi prima il tuo Hermes, e se così non fosse voilà, risolverò tutti i problemi con un'invenzione che lascerà il segno: un talk-show di metateatro con ospiti illustri, perfomers, semiologi, mimi, porchettari e tersicorei. Lo chiamerò "Figurazione di un'immagine perpetua"; pensa: l'arte che invade lo spazio in un simposio dove tutte le forme creative si ritrovano sinergicamente a lavorare per una causa comune.

LUCA:            Forse dovresti pensare a qualcosa di più comprensibile.

BUIO

LUCA:            Forse dovresti pensare a qualcosa di più comprensibile.

CLELIA:         ...Preferisco tentare di educare il pubblico più che corteggiarlo, avrei bisogno che so, di qualche ora al giorno per fare stretching di modo che le mie gambe, qualora io volessi portarmele al collo, non decidessero di tradirmi senza che io possa intervenire in alcun modo...

LUCA:            Ho voglia di un tè (si alza).

CLELIA:         ...E in ogni caso immagino un violino, ballerini e mimi - attenta a non camminare scalza, potresti ferirti - ma sì, uno spettacolo pirotecnico, torniamo pure all'abbonamento alle feste di contrada, molto meglio di tanto teatro, preferisco decisamente un bicchiere di buon vino alla seduzione serpeggiante di un testo che ammicca, se voglio conquistare con gli scarti lo dichiaro apertamente, preferisco pensare di immaginarmi sul palco, io di fronte a cinquecento persone, e tutti lì ad ascoltarmi, a guardare le mie gambe squarciare il piccolo cielo contenuto dalle quinte, anche questo è cielo sai (fa un gesto con le dita parallele), solo che non lo chiamiamo così perché non ci vola niente...

LUCA (guardando l'orologio, ancora seduta al suo posto):    Debbo portare il mio curriculum all'Eliseo, che noia!

CLELIA:         ...O se vuoi uno spaccato della società che va sempre di moda e funziona comunque, che so, ragazzi fuori di testa, fuori dal giro, fuori dal mondo, comunque fuori, funziona sempre, cinema verità, televisione verità e teatro verità fatto di personaggi ai limiti, umanoidi borderline dai risvolti personali tristi e violenti, successo garantito...

LUCA:            Sarebbe un gas asfissiante, troppo facile, no grazie, un elefante in un negozio di porcellana, però se ci fosse nello spettacolo qualche bel ragazzo...

CLELIA:         Gli uomini mi annoiano, li trovo estremamente ripetitivi... È sconsolante accorgersi come certi uomini siano attratti dalla gravità di certe donne, da come esse gravitino intorno e gravino su di loro in maniera imprescindibile da qualsiasi altro intendimento... ...Ci sarebbe qualcosa nell'aria, uno spettacolo di un mio amico, porcellana, ma voglio prima sapere che è sta' porcellana, perché magari ce 'stanno duemila rose secche e non ce la faccio a reggere quindici giorni di rose secche...

LUCA:            Non seppellire i morti che non hai ancora ucciso. Chi mai saprà quanti fiumi di parole ho versato nel ricordo di un amore che non ho mai vissuto...

CLELIA:         (Sollevando un fumetto dal tavolino) Sai che da bambina adoravo leggere "Topolino"...

BUIO

CLELIA:         (Sollevando un fumetto dal tavolino) Sai che da bambina adoravo leggere "Topolino" e mi incuriosiva ed ero divertita da come i nomi dei personaggi minori assomigliassero in maniera imprescindibile al tipo di attività che svolgevano o a caratteristiche somatiche intrinseche alla loro immagine; il commissario "Basettoni" per esempio, con le sue belle zazzere tipo anni '70 o il gioielliere "Argenti" o il cantante "Ugolini" e via così, così via, via dicendo; poi da ragazza mi sono edotta che nella vita reale questo piccolo paradosso è totalmente amplificato a livelli che rasentano il grottesco, anzi peggio, e piace pure alla gente per cui è cosa assolutamente normale se uno che si chiama "Zucchero" canta "Menta e Rosmarino" o che un commerciante si chiami "Ladroni" o un bancario "Cassa" o che un capo di gabinetto abbia un nome che non è un nome ma uno slogan, ecco sì, slogan al posto dei nomi, tanto si commercializza tutto e in prima battuta noi stessi, siamo invasi e pervasi di kitsch, il kitsch non è solo l'anima del commercio ma il palcoscenico del mondo...

LUCA:            Allora chiameremo "Battaglia" qualcuno che dovrebbe occuparsi dei diritti sociali e "Penna" uno scrittore di successo. Ma come fai ad essere così?

CLELIA:         Ma cara, dovresti sapere che sono completamente proiettata verso il futuro. Non posso fermarmi a guardare indietro, chi si ferma è perduto, il passato è dolore e l'unica via di salvezza è la fuga.

LUCA:            Per carità non preoccuparti, non sono allergica alle frasi fatte e ai luoghi comuni, dopotutto se è vero che dobbiamo sguazzare nel kitsch facciamolo a modo. Potresti inventare slogan pubblicitari: in Africa ogni giorno un leone si alza e sa che se vorrà mangiare dovrà correre...

CLELIA:         ...In Africa ogni giorno una gazzella si sveglia e sa che se vorrà sopravvivere dovrà correre...

LUCA:            ...Non importa che tu sia leone o gazzella...

CLELIA:         ...Comincia a correre (ridono). Sai cosa è riportato a caratteri cubitali nella hall degli uffici di una delle più importanti multinazionali di gestione di prodotti tecnologici? Il calabrone è l'esempio vivente che tutto è possibile: secondo le leggi della fisica non potrebbe volare, solo che lui non lo sa...

Ovviamente un errore di valutazione di qualche perdigiorno, però un errore che si è trasformato in sogno...

LUCA:            Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle?

BUIO

Coreografia su brano musicale dedicato cantato dal vivo.

LUCA:            Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo?

Mi piacerebbe rivedere Hermes, questo sì. Peccato tu non l'abbia frequentato molto, avresti cambiato idea sugli uomini.

CLELIA:         Devo assolutamente ricordarmi di prendere un appuntamento con il mio amico sommelier, gli scriverò un biglietto: Signore delle baccanti mio dolce, non dimentico mai il primo sorriso che mi hai rivolto, odore di more nel mio profumo, avevo portato tre bottiglie di ottimo vino, tu occhi morbidi – “Lei, lei, lei. Anche lei? ...Toccami. Occhi morbidi. Mano morbida, morbida, morbida. Mi sento solo qui. Oh, toccami presto, ora qual è la parola nota a tutti gli uomini? Sono tranquillo qui solo. E triste. Toccami, toccami”. Questo è Joyce, Ulisse, uno dei miei amori più caldi – mi piacciono gli occhi scuri, la linea della tua bocca, trasparenza delle tue labbra, ieri avevi due anelli, e un mucchio di materiale fotografato nei tuoi vagabondaggi, ti scrivo per invitarti a cena, ci faremo accompagnare da un delizioso Sauternes che tengo in serbo per l'occasione, oro fuso, tu dovrai occuparti del foie-gras, e la notte sarà una puttana ai nostri piedi...

Invitante non trovi?

LUCA:            Troppe orecchie legano la mia lingua, se penso a come tutti basino le loro scelte lavorative e le collaborazioni secondo criteri pervicacemente connessi alla sessualità: mi basterebbe un uomo con cui andare a prendere un tè di tanto in tanto...

CLELIA:         Ma sì, omosessuali con omosessuali e marpioni con ninfomani, è semplicemente grottesco.

BUIO

Motivo ricorrente dal vivo.

CLELIA:         Ma sì, omosessuali con omosessuali e marpioni con ninfomani, è semplicemente grottesco. Dove pensi siano finiti i perdigiorno di un tempo? ...L’arte del Settecento ha sottratto i piaceri alla brume dei divieti morali, dando origine al cosiddetto atteggiamento libertino, quello che emana dai dipinti di Fragonard e di Watteau, dalle pagine di Sade. Potremmo lavorare sui due spagnoli per esempio, nobiltà decaduta, quelli che stavano attenti a tutto quello che dicevano altrimenti Goldoni li metteva in scena. Una volta frequentavo un giovane, un folle suppongo, che aveva un’eccentrica bellezza, sessanta trecce bionde ed un cerchio fatato. Era un vagabondo, un imbroglione, una canaglia perfino. D’inverno viaggiava in un vagoncino rosa con dei cuscini blu, andava in giro a reinventare il mondo, e a conquistarlo.

Il pittore - narratore diventa statua.

LUCA:            Don Pedro e Don Fulgenzio, padre e figlio innamorati della stessa donna, Nicoletta, moglie prudente di Goldoni, storie d'altri tempi, teatro del settecento, intrighi del sentimento allora, intrighi sessuali adesso; andromani, pansessuali, erotomani ossessivo-compulsivi, se sei disponibile e procace lavori con gli assatanati, se sei gay con i gay, non c'è più spazio per i sognatori, quelli che credono fermamente nelle affinità elettive a prescindere dai branchi...

CLELIA:         L'erotismo ci risucchia nel suo caos senza remore, senza commenti o avvertenze, sappilo mia cara, sappilo, sappi che in luna calante correremo a rifarci il seno, le tette, la bocca, i fianchi e le zampe di gallina, sappilo, un salto dall'ortodermista ogni tre mesi e dall'estetista ogni settimana, sarò una meravigliosa sgallettata cinquantenne strafatta di sentimento per i neofiti. Niente più noiosissimi maschi con ansia da prestazione e sindrome della pillola virile mezz'ora prima dell'angusto travaglio.

LUCA:            Una volta conoscevo un uomo, scaldava con un sorriso, gelava con uno sguardo. Lo incontrai ad una cena. Entrò ad un certo punto della serata con il suo mantello di tenebre, un giovane sconosciuto, un folle suppongo, di eccentrica bellezza. Aveva in mano una rosa nera, seccata a testa in giù: la lasciò cadere e si frantumò in cento pezzi. Fu così che da quei petali privi di Rosso, ma dall’anima nostalgica e Nera, si levò uno strano odore che suscitò in tutti i presenti, fino ad allora distratti, come un’ebbrezza, uno stordimento...

(Si alza di scatto urlando come se avesse visto un topo, poi basita:) Ho dimenticato lo zucchero.

CLELIA:         Oh, per tanto poco, useremo del latte.

LUCA:            Era un signore nei modi e un nobile nell'aspetto, un principe, il mio principe, un uomo sempre straordinario, spesso geniale, un uomo dai modi delicati ma anche crudele, a volte un bambino impacciato il cui volto esplodeva in quel sorriso, raro quanto bello, che bastava a giustificargli qualsiasi goffaggine. Un uomo arguto, fine, capace nelle digressioni e nei silenzi, a volte timido, altre deciso, con lo sguardo dritto nel tuo, imbarazzante, tanto da apparire cinico, insensibile.

(Si alza di nuovo  urlando come un’ossessa, poi un cambio rapido:) Il latte mi è indigesto.

CLELIA:         Ancora cara? Ti prenderanno per pazza. Non ti crucciare, risolverò tutto io, io. Dimmi ancora di lui te ne prego, sono così rari ormai.

LUCA:            Era un uomo motivato dalla gioia di vivere e vessato da tanto piccole incombenze, inafferrabile e desiderato, ricco d'intenti e povero di falsa modestia, dolce e gentile, deciso e castrante, mio inconcludente Amleto, mio Hermes (Clelia accende il gas). Forse un principe sognatore, un principe che s'aggirava di notte tra la folla a socchiudere sguardi; accompagnato dai suoi pensieri si fermava in un angolo, o in un altro, ad osservare storie, i piccoli romanzi che vestono i passanti, le piccole commedie messe in scena dalla gente tra le quinte inesistenti di un teatro non-teatro, vicoli e ritrovi di una grande città...

Tutti diventano meccanicamente statue, la luce è data dalla fiammella blu del fornelletto da campeggio su cui bolle l’acqua del tè (musica Trenet).

H ( Il Principe, tra sé, entra leggendo per poi abbandonarsi al racconto;motivo ricorrente -  organetto):                  Il plumbeo manto, avvolto di stoffe rosate, di velluti viola e di perlacei broccati, grondava incessante sudore di stelle. Il tramonto era più lento a coprire il volo di corvi sul bosco di aceri e platani e ippocastani e faggi del cimitero intitolato al gesuita père Lachaise che a distendersi sulla immobile vegetazione del Pincio affacciato a protezione della grossa e rumorosa piazza sottostante della Roma capitolina e vie adiacenti.

Più a Nord, ancora più a Nord e non avrebbe fatto mai notte. Oppure non sarebbe stato mai defini­tivamente giorno.

Il sole di mezzanotte.

CORO H, CLELIA e LUCA:              Wolfi, il gatto austriaco del mio ospite parigino, solitamente al telefono in discussione con una nera della Guinea africana, figlio di una irlandese e di un marocchino stabilitisi in Normandia e innamo­rato di una ragazza della Guinea Conakry, mi osservava con ostinazione serrando di quando in quando le grosse palpebre con elegante noncuranza, così abituato a estranee presenze nel suo piccolo dominio, così indifferente alle alterità dei suoi coinquilini.

H:                    Sembrava accorgersi della mia presenza solo verso l’aurora quando, immancabilmente, mi destavo nervoso con l’ingombro di la­sciar andare i liquidi accumulatisi dalla sera precedente per poter finalmente tornare ad annullarmi sul mio cuscino. Solo allora, liberato dalle eccedenze del tè alla menta e rinfrancato dal gâteau al cioccolato, potevo udire il suo miagolio famelico curioso ed incessante. Solo allora, stordito, potevo avere la sensazione di essere utile e necessariamente presente ma Wolfi, nel pasto cui con voluttà sembrava concedersi, non avrebbe distinto altre mani dalle mie.

Pensavo di sovente, nel giornaliero peregrinare da una stazione metrò all’altra, o vagabondando tra i due piani del treno di latta delle linee R.E.R., alla vita di quel gatto scandita e celebrata tra otto porte di cui quattro a lui interdette e due senza alcun interesse. Una vita giocata in una scatola di legno e mattoni che mi scorreva davanti come un film, a me, inscatolato tra i corridoi delle corrispondenze e le scale mobili, alcuni interdetti, altre senza alcun interesse...

Inversione di ruolo (Luca diventa Clelia e viceversa; sottolineato da un passaggio di testimone - accessorio costumi).

CLELIA:                     Come cazzo scrivi! Hermes, forse piace anche a me costui. A pensarci quando l’ho veduto, splendidi regali, il totem delle scatole del mio profumo e poi anche la collana, è bellissima, l’ho messa di nuovo oggi al collo con altri orecchini, mi piace da morire, brilla, grazie per la serata, vorrei dirgli questo, e poi anche altre chiacchiere, ti ho visto meno di dieci volte ma ho sentito tanto parlare di te che quando non ci sei ho nostalgia e poi l’impressione di un ago di bussola, ti chiedo e tu mi rispondi in modo coerente, riesco a pianificare un progetto, si allunga il tempo in modo più saldo, non per questo non vedo la tua perfidia, la leggo nei tuoi sorrisi, ma, in sostanza mi fido, ti percepisco come affine ed alleato, credo che insieme faremo delle cose e che i risultati saranno positivi. Sì, sarà così che gli risponderò con un espresso. Del resto i vostri talenti sono fuori discussione (a Luca), esplodono in molte direzioni, diciamo che io vi guardo incuriosita, sono capitata in mezzo a voi per caso, ero dolorosamente distratta e l’estate cominciava, ho l’abitudine alla frequentazione di artisti, ho già chiarito che li preferisco morti e sepolti, li vedo meglio, sono un inizio e una fine, gli altri chissà dove vogliono andare, più ossessionati di me ed ossessivi in tutto quello che fanno, però è vita che scorre ed io sono consapevole del ruolo della mia scrittura, per lui preparerò il più bello dei testi, dammi un po' di materiale e comincio da subito a cercare la soluzione migliore, e poi torniamo a vederci; (tra sé) Hermes, mi piace ascoltarti, alla tua voce di prima ­ che sentivo a tratti dura e spezzata ­ si è sovrapposta quella di oggi, più fluida e avvolgente, si dice in qualche modo, rompere il ghiaccio, fare amicizia, un insieme di concetti che assimilo al calore del vino, al momento in cui la serata si innalza, prende il volo, fluiscono in una sola direzione gli umori, la data diventa una tessera di mosaico che aspetta le altre e tu sai che alla successiva si vedrà già il disegno. Alla prossima allora, caro Hermes.

Contemporaneamente Luca si alza, si stende, compie esercizi ginnici, si lamenta ­ Ah, Ah, Ahi... ­ si distende, torna a sollevare le gambe: ­ Ahi, Ahi, Ahi... ­, si stende: ­ Debbo andare da un ortopedico ­, si dirige fuori scena, rumore di sciacquone del water, rientra cantando. Oppure coreografia su sottofondo musicale davanti a uno specchio.

H:                    La stazione di Père Lachaise, crocevia giallo di sole al vecchio neon delle linee metrò sei e tre, non tardò a presentarsi attraverso il finestrino da cui osservavo fisso seduto per ozio, come ero uso fare, sullo strapontin, e la discesa di un nutrito gruppo di giovani per lo più vestiti di nero e pellami, con i capelli lunghi e poco curati, mi diede conferma che ero giunto alla conclusione del breve viaggio sotterraneo.

Fondu lento a BUIO

PAUSA

Squarcia il buio con una torcia illuminando la sola bocca intenta a parlare; in platea

Rimasi un poco nel tunnel della stazione per incrociare sguardi che non avrei più incontrato mentre la penombra delle scale d’acceso ai binari lasciava luccicare il freddo metallo di un’asta zoppicante, carica del peso di un clochard di cui tacerò la menomazione fisica, bisunto e lento nel suo approssimarsi alla parete dove un canaletto lungomuro, colmo di acqua corrente, avrebbe trasportato chissà dove le feci di quel barbone così assurdo e libero di spogliarsi tra la folla finto indifferente e di gridare lentamente e gemere accovacciato di voce sommessa il suo sforzo.

(Intervento Mimo) All’aperto non trovai molta più luce. Una scia mista di bagliori gialli e bianchi mi disorientò oltre­modo. Sedetti ai dieci gradi di un tavolo all’aperto di una brasserie che faceva angolo su di un cro­cevia rosso dal sole in declino dipinto di smog. La tenda lunga sulla testa bastava ad evitare che i miei pensieri prendessero acqua. Perché ero lì? Il luogo più romantico, più sinistro e il più visitato tra le terre dei Parisi, vecchio popolo a ridosso dell’antica città di Lutèce, fondata dai condottieri romani, con tutti i suoi illustri ospiti dell’eternità, avrebbe pur suscitato in me qualche emozione. Era chiuso...

CORO (tutti; come una eco, a semicerchio alternando le torce, H al centro):                        (Intervento Mimo descrizione barbone) Solo allora, confuso dalle immagini nella memoria dell’odore acre e caldo del metrò, del caotico tintinnio delle stoviglierie nei bistrot, delle grida sotterranee e delle nenie tra i corridoi delle stazioni, del vasto formicaio umano visibile dalla scalinata de La Grande Arche accompagnato dal rumorio ovattato del traffico soffocato nel cemento, del suono avvolgente delle porte dei vagoni delle innu­merevoli linee di talpa, dei moltissimi mimi, musicanti, poveri e questuanti ad ogni passo, dei tanti colori di queste genti, dell’aria sapida di zuppe e cipolla nelle trombe dalle scale di legno dei palazzi seriosi dalle innumerevoli combinazioni d’ingresso a piombo sulle strade di sassi dagli stretti trottoir di periferia continuamente innaffiati da un incessante rivolo d’acqua nucleare...

Organetto e videofoto su seconda parte coro.

H:                    ...Dalle maestose pian­te incastonate con grate di ferro circolari all’elsa, dalle poetiche radici sulle cappelle del cimitero e dagli alberi nati nelle tombe divelte che mi venne in mente di inventare delle storie, verosimili foto­grafie della fantasia da spedire agli amici, idea di scrivere una serie di racconti che sapevo final­mente come iniziare, così (esce).

VOCE NARRANTE (femminile, madrelingua, su nastro o attraversando lo spazio):

                        (Intervento violinista) Elle me parle. Elle me parle à travers le regard de fougère d’Hélène pour me conduire dans la dance de l’araignée, et ensuite reconnaitre, dans les rêveries d’un Don Quichotte qui erre solitaire la nuit de Saint Laurent, balancé entre le surréalisme de Breton et le décadentisme de Wilde, le coup d’oeil mélancolique dans les yeux du Noir d’Hermes...

LUCA (continua):                   ...(Hermes) Era innamorato di un'altra donna, forse una creatura della sua fantasia, il suo fantasma personale, ma era uso accogliermi con la luce negli occhi e con la stessa luce rischiararmi la strada. Nei giri notturni per la città parlava raccontando d'altri tempi e d'altre genti: benvenuta nel girone dei sogni, mi diceva, itinerario turistico discontinuo e meraviglioso fuori da qualsiasi circuito. Passeggiate tra il giardino delle rose e quello degli aranci, l'icona di S.Pietro in una serratura, solo di notte, il nero bambagia fatto di ombre panoramiche visto dai fori, quegli stessi fori interdetti al pubblico e a questa magica visione, brulicanti di giorno, esclusivi al suo fianco durante quelle notti incantate, gli ambra della città grande e lontana lì tutt'intorno, il rito della beva alla ricerca di ingredienti tra i vicoli di ciottoli e mondanità o la stradina ottica, pronta a dipingere la cupola nell'aria all'inverso delle tue intenzioni, il camminamento nella nera galleria romana e l'uscita all'aperto in una piazza con una  palma circondata da un giardino all'italiana e intravista giusto tra i bagliori estivi della città e la luce diretta di questa luna ballerina...

CLELIA (cambio di testimone e cambio atmosfera): Passeggiate tra il giardino delle rose e quello degli aranci, l'icona di S.Pietro in una serratura, solo di notte, il nero bambagia fatto di ombre panoramiche visto dai fori, quegli stessi fori interdetti al pubblico e a questa magica visione, brulicanti di giorno, esclusivi al suo fianco durante quelle notti incantate, gli ambra della città grande e lontana lì tutt'intorno, il rito della beva alla ricerca di ingredienti tra i vicoli di ciottoli e mondanità o la stradina ottica, pronta a dipingere la cupola nell'aria all'inverso delle tue intenzioni, il camminamento nella nera galleria romana e l'uscita all'aperto in una piazza con una  palma circondata da un giardino all'italiana e intravista giusto tra i bagliori estivi della città e la luce diretta di  questa luna ballerina, seguitemi, seguitemi pure in silenzio, diceva, attraverso il ponte degli angeli arriveremo a castello sul tracciato del barroccio, il selciato risuonerà di secoli di carrozze mentre il fiume sarà il riflesso di questa notte barbona...

LUCA (continua):       ...Seguitemi, seguitemi pure in silenzio, diceva, attraverso il ponte degli angeli arriveremo a castello sul tracciato del barroccio, il selciato risuonerà di secoli di carrozze mentre il fiume sarà il riflesso di questa notte barbona, seguitemi, seguitemi pure per le larghe scalinate di travertino ammantato di bronzi...

CORO H (di seguito, su nastro o dalla quinta) e LUCA:        ...Faremo l'amore in qualche vicolo tra il silenzio e i rumori di questa città ricca e barbina e guardandoci intorno nella notte giungeremo a porta per un vino tra le azalee in fiore sulla torre di destra...

LUCA:            ...La serratura ci farà da campanello segreto e ad un cenno il guardiano ci pregherà d'entrare tra queste mura gonfie di storia, seguitemi, seguitemi pure in questo giro improbabile e tutto mio, al suono di questi vagheggiamenti declamerò versi intorno a voi e alla notte, venite, venite pure, l'ingresso è libero, ma non sempre, e non per tutti, teatro magico, soltanto per pazzi. Aveva cura dei miei sogni, e con essi del mio sonno. “Dormi bene”, soleva dirmi, e aveva a cuore il buon sonno di tutti coloro che amava augurando loro, sempre, prima di addormentarsi, “Buonanotte” (sussurrato). Buonanotte ai nonni, templi del mio amore passato, e alle nonne, uniche testimoni della tenerezza del mio futuro, buonanotte a mia madre, instancabile sognatrice del mio destino, e a mia sorella, piccolo infinito amore dei giochi d’infanzia e testimone attenta del nostro dolore, e buonanotte a te, padre mio, unica speranza di salvezza in un letto di morte con cuscini di rose e corone di sorrisi, e infine buonanotte a te, amata mia, dormi bene occhi d’acqua, mi sveglierò con il tuo sguardo impresso nel sonno e farò un tuffo dal greto di fiume che sono le tue ciglia, sperando di riaddormentarmi in un sogno erotico che allontani questa lacerante passione di te. Dormi bene dunque, alito caldo dei miei sospiri, buonanotte a te, mia religiosa icona, a te che mi ridesti dal torpore quando sono affranto e che d’un colpo solo annichilisci le volgarità del mondo attraversandole distratta con passo elegante, a te, che concupisci i miei tremori facendone seta con la musica dei tuoi pensieri, dormi bene allora, cuore mio (Una coppia in effusioni tra il pubblico - narratori).

COREOGRAFIA SU TANGO DEDICATO (Luca e Clelia)

CLELIA:         Intrigante il tuo amichetto, mi fa tornare all’inizio del secolo, o alla fine del precedente. Decadente, surrealista, un po’ sopra le righe.

LUCA:            Una volta eravamo andati insieme a vedere uno spettacolo, c’era una ragazza bionda sul palco, appariscente, come molte attrici del resto. Le contrazioni del ventre di quella donna gli facevano impressione, quasi come gli orologi sui polsi degli intellettuali, mi disse; « Chissà come gira il tempo nelle loro cervellotiche menti », indicando quell’orgia disumana di lancette e ori.

CLELIA:         Guarda qui, le ho rubate al bar della mensa.

LUCA:            Io gli passai delicatamente una mano sulla coscia nel buio della platea: « È una dimostrazione di come il sesso condizioni i nostri comportamenti ».

CLELIA:         « Il sesso? Dipende forse dal sesso indossare un costoso orologio? ».

LUCA:            « Di certo dipende dal sesso notare i movimenti del corpo d’una donna e poi chiedersi quale sia il rapporto tra una mente ed un oggetto che quella stessa mente ha scelto; ho notato come guardavi quella ragazza », gli dissi. Lui non replicò, il nostro brusio iniziava ad indispettire le persone vicine così riprendemmo ad osservare lo spettacolo.

CLELIA:         Geniale non trovi? Zucchero di canna, va di moda.

LUCA:            La scenografia si presentava alquanto scarna, come gli abiti degli attori. In compenso tra le vezzose capigliature della sala gli sembrava d’essere capitato in un défilé di moda e modi, dove tutti facevano bella mostra di sé e dei loro forzati atteggiamenti.

CLELIA:         Lo usano le persone trendy.

LUCA:            Rimase perplesso, un po' per quello che gli avevo fatto notare e un po' perché non riusciva più a capire chi stesse veramente reci­tando, se il pubblico o gli attori.

CLELIA:         Dio, che uomo altero, come vorrei averne uno così per me tutta una notte.

LUCA:            Non vedeva più i confini tra realtà e finzione, tra la vita reale e lo spettacolo teatrale. Forse in quell’am­biente, come del resto anche fuori, eravamo noi i veri commedianti.

CLELIA:         Ma sì, è sempre tutta una recita, dello spettacolo se ne infischiano, vengono per vedere le gaffe dell’amichetta o per criticare la regia dell’antagonista.

LUCA:            Non male questo zucchero.

CLELIA:         Dovrebbero vergognarsi, altro che arte, gli artisti sono altrove, restate a casa, perché venite, dovreste essere a casa a rovistare tra quel che resta del vostro compagno dico io, oramai è così, i teatranti a teatro per non perdere l’occasione di farsi vedere...

LUCA:            Normale come il pane scuro.

CLELIA:         I pittori in galleria per simulare adulazione al fortunato che espone o per agganciare l’organizzatore...

LUCA:            Non c’è da stupirsi.

CLELIA:         I musicisti nei locali a seguire i concerti degli amici nella speranza di sostituirli...

LUCA:            È solo che abbiamo perso l’abitudine alle cose normali, integre.

CLELIA:         Normale certo, ma non mi si venga a parlare di interesse per l’arte, per il successo semmai, la fama, restate a casa, a casa, sarebbe meglio, oppure aprite una merceria in provincia. Potremmo ingaggiare un figlio d’arte.

LUCA:            Davvero non male. Oh, l’integrità delle cose semplici.

CLELIA:         Sì. So che era tutto un recitare, tutto un forzare la propria natura per proporsi al meglio al giudizio degli altri, un modo per essere comuni e nascondersi tra la folla o mettersi in evidenza proponendo la propria merce, seni procaci affacciati su sguardi ammiccanti e sorrisi a trentasei denti allungati sul successo dei protagonisti, che schifo, sì, ma noi potremmo fregarcene capisci?

LUCA:            Sì. No. Non lo so.

PAUSA - VIDEO Angelo Necessario

CLELIA:         Penserò a uno spettacolo che non ammicca, questo sì, poi passeremo agli elogi, alla fine pregherò quelli che vogliano farmi dei complimenti di avvicinarmi e quelli che volessero muovermi delle critiche di tenersele per loro.

LUCA:            Già, è vero, a sentire Hermes gli unici che sembravano essere naturali erano gli attori.

CLELIA (eccitata):                  Hermes, che bel nome. I figli d’arte sono una specie in via di sviluppo, propaganda indotta.

LUCA:            Avevano abbandonato le loro vesti comuni impersonando al meglio la propria anima; quella di essere sul palco, almeno nel loro caso, era una scelta ben definita.

CLELIA (nevrotica):               Ho bisogno di una sigaretta.

LUCA:            Avresti dovuto sentire la sua descrizione: nella sala c’era di tutto, era uno spettacolo a tratti esilarante, a tratti patetico: chi s’accasciava lentamente sulla poltrona noncurante della commedia cercando di poggiare la testa da qualche parte senza fare troppi movimenti...

CLELIA:         È una strage cara.

LUCA:            Chi escogitava i modi più strani per potersi tran­quillamente infilare le dita nel naso senza essere notato...

CLELIA:         In giro non c’è più un maschietto funzionante.

LUCA:            Chi giocava a fare l’interessato scuotendo la testa al cambio battuta o gestico­lando con fare sommesso ma evidente...

CLELIA:         Neanche a pagarli oro colato.

LUCA:            Chi faceva scivolare a peso morto le mani sul posto accanto per saggiare l’altrui disponibilità...

CLELIA:         Tutta colpa delle mucche assassine.

LUCA:            Chi tentava di grattarsi la testa, chi di svegliare le gambe, chi di frenare lo sbadiglio, chi di deglutire morbido senza far rumore per non indispettire o non essere notato.

CLELIA:         Sì, e magari qualcuno tentava addirittura di controllare il proprio respiro o limitare in qual­che modo la sudorazione, un’ipotesi che ritengo papabile, e poi i bruschi movimenti a copertura di borbottii di stomaci a digiuno o di intestini nervosi. Ogni tanto qualche lieve commento e qualche costruito colpo di tosse per spez­zare la tensione che regnava nella sala. Hai una sigaretta cara?

LUCA:            E pensare che si era quasi al buio.

CLELIA:         Immagino che con la luce poi tutto fu diverso, vediamo se indovino: molti giocarono a fare gli ar­tisti o i critici dotti della situazione, altrettanti, dall’alto delle loro lo­gorroiche cianfrusaglie di esautorazione mentale esprimevano catte­dralmente tutti gli espedienti futilmente dialettici a loro disposizione per impressionare l’amica dell’amico o il tipo appena arrivato da fuori.

LUCA:            Già.

CLELIA:         Infine gli attori a parlar male degli attori, i registi dei registi e i tecnici a lavorare tra le minigonne della prima fila, quelle dei posti riser­vati, a dire il vero, molto poco. Così no?

LUCA:            Esattamente. Fu allora che Hermes scoppiò di nuovo a ridere.

CLELIA:                     Ora vorrei la mia sigaretta. Credo d’averla meritata.

LUCA:            Con mio estremo imbarazzo si era prodotto in una sonora risata che per un attimo mise a disagio pure la rappresentazione, era un momento drammatico, lei aveva perso l’amore del compagno che si era invaghito di un’altra, una sua vecchia amica sposata con un uomo perdutamente innamorato di lei, o no, forse era lui ad aver perso la condiscendenza della compagna che aveva deciso di vivere la sua vita a prescindere dalle pretese di lui...

CLELIA:         Secondo me era lui che si era innamorato dell’altro e non aveva il coraggio di dirlo a lei.

LUCA:            O forse c’era di mezzo un tradimento, presunto chiaramente, insomma non ho ben capito, comunque lui rideva di quel dramma, di quelle forzature, di quei castelli in aria fatti di niente.

CLELIA:         Costruiti con tanta abilità e cementati con uno sforzo di eccessiva salivazione.

LUCA:            Già. “Se que­sta è l’intelligenza”, mi disse o forse lo disse per sentirselo dire, “allora preferirei essere una bestia”.

CLELIA:         Capisco che abbiano voglia di provare a fare sesso tra di loro, oramai il mondo le ha viste tutte, ma non uno che ritorni dalla nostra parte.

LUCA:            Era forse un caso? Si verifica soltanto a teatro quel gioco continuo d’apparenze e inganni, di bassa ipocrisia e malcostume?

CLELIA:         Certo che no, un’ecatombe. È così anche alle fermate dei tram, dal panet­tiere o in aula, in auto, per strada o tra quattro mura. Ma non esserne troppo sicura.

LUCA:            Istintivamente si rivolse a me e disse: « Ma cacano tutti qui? ».

CLELIA:         Poco originale il ragazzo, vediamo, io ti avrei detto: “Chissà se anche loro contraggono i maleodoranti sfinteri eiaculando merda come fanno le bestie”.

LUCA:            Sempre la solita. D’altronde diversamente non saresti tu. Comunque lui riprese a ridere con gusto e disappunto a causa di ciò che la mente non riesce ad evitare di proporsi.

CLELIA:         Proprio. È una strage cara, ti assicuro, una strage. Non funziona più a nessuno, hai una sigaretta? Qualcuno ha una sigaretta? Ci sarà pure un fumatore igienicamente anti-salutista, possibile che nulla funzioni più come una volta?

LUCA:            Era un’altra domanda ma quella non esigeva risposta. Io lo guardai con aria complice. "Davanti a Dio e alla tazza gli uomini son tutti uguali", mi disse, ma non ebbi il coraggio di chie­dermi che differenza passasse tra le due cose.

CLELIA:         Neanch’io ne sarei capace, serva come so di essere anch’io della mia arte e di quelle convenzioni che mi consentono di portare avanti le mie artistiche pippe mentali. Un’epidemia, una congiuntura astrale, non lo so, questi gay sono dappertutto, li trovi al cinema, a teatro, in palestra, dal fornaio, anche dal mio parrucchiere sapessi, e mi danno pure consigli su come acconciarmi, che volgarità...

LUCA:            Non posso far altro che pensare a lui.

CLELIA:         A pensarci bene forse anche lui...

LUCA:            Chi?

CLELIA:         Il parrucchiere no? La tragedia è che sono di moda, capisci? I gay vanno di moda. E stanno facendo piazza pulita. Finirà che gli uomini si autoriprodurranno. Un po’ come i figli d’arte, è l’invasione.

LUCA:            Ma certo, una volta la gente si tramandava il nome, il casato, i beni; ora il lavoro, l’“accasamento”. Solo che il talento non è questione di genetica, o forse sì, ma sarebbe come dire che il figlio di un artista farebbe il lavoro del padre come farebbe la calce il figlio di un muratore, senza amore, senza ispirazione divina, senza l’ardere del Sacro Fuoco.

CLELIA:         Donna: sontuosa impalcatura volta a sostenere il monumento ambulante del bello effimero.

LUCA:            Come?

CLELIA:         Sì, hai mai pensato alla bellezza maschile vicino a quella femminile?

LUCA:            E allora?

CLELIA:         Credo che, verosimilmente, da questo punto di vista sia la donna a subire. Vedo un uomo e una donna, stanno passeggiando. Sono curati, entrambi. Sono ben vestiti, entrambi. Sono belli a vedersi, entrambi. Mi chiedo quanto tempo abbiano impiegato nel prepararsi prima di uscire. Lui si sarà lavato accuratamente, avrà usato i suoi attrezzi da barba, le sue creme per il viso e per le mani, le sue acque di colonia, il suo affidabile pettine d’osso. Lei avrà passato lo stesso tempo nella sala da bagno, ma ne è uscita trasformata, una bellezza acqua e sapone divenuta d’un’avvenenza imbarazzante. Voglio dire che l’uomo, per essere piacente fisicamente può restare grosso modo così com’è: un po' d’esercizio, un po' di cura per il corpo e un po' di buon gusto. Stop. Fondamentalmente non è poi così diverso da come sia stato concepito.

LUCA:            Ebbene?

CLELIA:         Ebbene la donna no. La donna in fondo è costretta a proporre una versione alterata del proprio corpo, depauperata dalla primaria invenzione della natura. Pensa al trucco, alla depilazione, al tipo di abbigliamento, le calze ad esempio, o tutti i vari sostegni che presentano il corpo diverso da quello che realmente è. Non so, la biancheria intima, la lingerie, i décolleté. È una specie di sapiente impalcatura ambulante volta a sostenere il monumento ambiguo della bellezza effimera. Se le togli tutto cosa le resta?

LUCA:            A me le donne piacciono così - risponderebbe Hermes.

CLELIA:         Come così?

LUCA:            Senza quei profumati fiocchi di stoffe che incorniciano una delle creazioni più armoniose e sublimi mai concepite: noi nude.

Rapida inversione di ruolo. Testimone.

CLELIA:         Sono perfettamente d’accordo. Devi convenire che regaliamo un’immagine alquanto precostituita, fuorviante. Forse a beneficio di quel famoso "richiamo frontale", forse per pura vanità, o forse le cose collimano. Siamo molto più costruite di un uomo in ogni caso, e questa è la nostra unica fortuna, mia cara.

LUCA:            Che in compenso deve ostentare i mezzi e guadagnarsi la condizione di uomo, il ruolo. Comunque hai formulato una definizione interessante. Donna: sontuosa impalcatura volta a sostenere il monumento ambulante del bello effimero.

CLELIA:         Non facciamoci sentire.

LUCA:            Magari è per questo che vanno tanto di moda “gli altri”. Vorrei l’altra metà della mela, magari il mio Hermes.

CLELIA:                     Io dico che sarebbe opportuno mangiarsela. Anzi, meglio cercare l’altra metà della mela e gustare fino in fondo l’aroma della completezza. Anche se questo viene definito peccato.

LUCA:            Ma sì, uniamo l’utero al dilettevole!

Il testo di seguito potrà essere attribuito ad ambo i ruoli intendendo la cesura come un cambio battutta; a partire da Clelia.

CLELIA:         Tu scherzi. / Finirà che ci catalogheranno, / sì, / come portatrici di handicap, / apparterremo anche noi ad una categoria... / – il che è di per sé disdicevole – / a quel tanto o tanto poco di società che le targhette sugli autobus, / sui treni, / nei pubblici domini, / che l’etimologia dello stato disastrato / da sedicenti linguisti / chiama invalidi civili, / di guerra o del lavoro, / raggruppandoli civilmente in una barbara casbah della fratellanza. / Persone che / in effetti, / proprio perché versanti nelle già citate condizioni, / Io / non ho mai visto occupare i pochi posti riservatigli all’interno di vetture o spazi poco praticabili anche per un bradipodide tridattilo che non avesse limiti di tempo nell’affrancarsi dall’intrusione nell’insano ambiente. / Così si potrebbe dedurre / e quantunque concludere / che a nulla varrebbero neppure le rimostranze stridenti di un galago senegalense per umanizzare le misure di quei luoghi preposti alla categoria degli aventi diritto anche se, / giustamente, / si coglierebbe consona istanza / nell’eccepire un delato compito per un loriside che nulla abbia a guadagnarvi nel rendere più umano il contesto della querelle / dato che il primate umano non è: / è primate ma – / ancora incongruamente assolta dal dolce avverbio dubitativo / che afferma congiunzioni astruse di un lessico figlio illegittimo / di quella sintassi epidemiologica tesa a perorare i nostri travagliatamente navigati concetti di cui sopra / – dato che l’uomo sarebbe il fruitore delle nomee adottate – / mi si permetta di fare uso di queste astruse congiunzioni, / almeno sulla carta, / a mio completo credito, / senza comunque sottintendere / per puro vezzo d’umile capestro / che neppure un macaco nero avrebbe nei siti decantati degna collocazione, / se non altro poiché, / nonostante sia vistosamente degno del dimorfismo sessuale come l’uomo – / nulla a che vedere con la malizia bensì con pure costanti cromatiche –, / ritengo il lemuride in questione più atto a frequentare il Madagascar o tutt’al più le Comore che gli autobus o i pubblici uffici.

LUCA:            Vorrei rivederlo. Senza la sua presunta amante magari.

CLELIA:         Chi, il lemuride? Ah, che rarità, un vero maschio, fiore del deserto, una specie in via di estinzione. Proponiamo una riserva per la loro conservazione. Tutta la città.

LUCA:            Eh?

CLELIA:         Sì, dei pochi rimasti. Ci farei l’amore pure sulle impalcature.

LUCA:            Dove?

Inversione di ruolo: domanda e risposta.

CLELIA:         Non lo immagini? Settecento cantieri aperti. Saltellerei da un ponteggio all’altro, tutta vestita di bianco.

Opp.: inversione di ruolo con cambio in doppia voce come coro.

LUCA:            Tu sei folle.

CLELIA:         Andrei a sposarmi con l’amore amato, col sesso praticato, copulerei sulle impalcature come una vergine pronta al martirio per caso lì di passaggio di ritorno al focolare domestico da un pellegrinaggio domenicale in un convento di stretta osservanza da raggiungere scalza subito fuori porta come un fioretto al fine di far avverare un desiderio, questo. Diavolo, ho bisogno di fumare. Ha una sigaretta? E lei?

LUCA:            Potrei fare a meno di tutto se potessi rivederlo.

CLELIA:         E ora, dov'è?

LUCA:            Con un'altra. O da solo, magari dietro i suoi pensieri, o forse con lei, chissà.

CLELIA:         " « ...Allora è partito, lei non lo ha più visto? Tanto meglio ».

LUCA:            Mi ha detto il suo nome, quello che si è scelto lei: « Nadja, perché in russo è l’inizio della parola speranza e perché è soltanto l’inizio » ".

BUIO

SIPARIO

Entrano il Narratore e la Narratrice come per raccogliere l’applauso che ignorano chinandosi a prendere delle pasticche contenute in una scatola per andare a distribuirle ai personaggi sul palco (poco dopo Hermes attraverserà lo spazio con un malato a braccetto), prima il bulgaro, poi l’Angelo Necessario, infine, somministrandole con un bicchiere d’acqua, propineranno le pasticche alle due donne dicendo:

NARRATRICE:                      Ma queste due non si sono ancora stancate di giocare a fare le attrici?

NARRATORE:                       E quell’altro allora? Sai che è convinto di essere un angelo?

(Eventuale appendice: NARRATORE:           ...E questi, che credono di essere il pubblico?            NARRATRICE:            Ma almeno loro si renderanno conto che sono tutti sotto la nostra sorveglianza e che li riprendiamo ogni volta.            NARRATORE:           Non credo. Il narratore accende una telecamera puntata sulla platea).

La narratrice raccoglie un libro, “Nadja”, che l’altro si avvicina a guardare. Questi a sua volta prende un testo, “La dance de l’araignée”. I due si ritrovano nella posizione della lettura iniziale (“Guarda, leggi qui - Hermes atto primo, Hermes atto secondo...”); pure gli attori riprendono le posizioni e i movimenti d’apertura.

Iniziano a leggere davanti ai posti dei narratori come all’inizio. Un calando interrotto dal sipario.

BUIO

SIPARIO

Il Violinista (entra cantando sul proscenio a sipario chiuso, si interrompe):              È un piacere vedere, odorare e gustare come quest’epoca moderna si sia trasformata ai suoi occhi in un caos. L’età delle scienze esatte, della statistica, della prigione della disciplina scolastica e dell’assenza di Dio viene mutata dalle sue idee geniali in un benefico luogo selvaggio, e il misticismo, il gigantesco ragno calpestato fino alla morte, scende dalle pareti come un’ombra inafferrabile sul tavolo anatomico tra pinzette e microscopi (Da una lettera del poeta Max Dauthendey ad Alfred Kubin, 1909 ca.).

Esce cantando.

BUIO