Dedalo e fuga

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DEDALO E FUGA

Commedia in tre atti

di ELIO TALARICO

PERSONAGGI

FEDERICO MARTELLI, inge­gnere

ROSSANA MARTEL­LI, sua moglie

ADRIANA TURRI

Signorina ODILE

SERGIO PIOVATI

MARCO GRATI

CLAUDIO PAREN­TI, medico

PAOLO CO­RALLI, avvocato

FRANCE­SCA, cameriera di casa Mar­telli

GIUSEPPE, cameriere di casa Piovati

In una qualunque città moderna, Tempi nostri.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 (Lo studio di Ser­gio Piovati: sul fon­do, a sinistra, una grande finestra che occupa i due terzi della parete; sempre sul fondo, ma a de­stra, la porta di in­gresso. Un'altra por­ta ad angolo immette nel resto dell’appartamento).

Giuseppe                       - E se qualcuno chiedesse del signore? Posso dire che il signore...

Sergio                            - (in abito da sera, indossando il soprabito) « Sono dolente; ma il signore è partito per... ».

Giuseppe                       - ...per Capri...

Sergio                            - Per l'appunto. « E' partito per Capri e non tornerà prima della settimana prossima ». Non c'è da sba­gliare, caro Giuseppe; d'inverno mi rifugio a Capri e d'estate me ne vado...

Giuseppe                       - In Val d'Aosta. Mi permetto di dirvi, però, che sarebbe forse necessario cambiare ogni tanto: gli amici del signore incominciano a non crederci più...

Sergio                            - Ma intanto capiscono che, almeno per qual­che giorno, devono lasciarmi in pace: e questo è l'im­portante.

Giuseppe                       - Sembra anche a me. Posso consigliarvi d'indos9are la sciarpa di seta bianca? Stanotte farà molto freddo, signore...

Sergio                            - E va bene, Giuseppe, come vuoi tu: indos­siamo anche la sciarpa.

Giuseppe                       - (dignitoso) Vi ringrazio. E, scusatemi, se la signorina Odile chiedesse del signore...

Sergio                            - Non capiterà, stai tranquillo; la signorina Odile passa la notte dell'ultimo dell'anno insieme con me.

Giuseppe                       - Ne ho molto piacere per la signorina Odile...

Sergio                            - (scherzando) Mi sembra, giovanotto, che ab­biate un debole per quella signora : non è vero, forse?

Giuseppe                       - Ho sempre avuto un debole per le donne che potrebbero diventare un giorno le mie padrone...

Sergio                            - Credi? (Il campanello d'ingresso squilla fu­riosamente) Chi potrà mai essere, Giuseppe?

 Giuseppe                      - Non certo la signorina Odile: non è un modo di bussare adatto al suo temperamento.

Sergio                            - Sei psicologo. Sbrigati, e cerca di liberarmi da questo energumeno. (Il campanello continua a squil­lare).

Giuseppe                       - Farò del mio meglio, signore. (Via).

Sergio                            - Speriamo che...

Giuseppe                       - (di dentro) « Sono dolente, signor avvo­cato, ma il signore è partito per... ».

Paolo                             - (entrando rumoroso) ...per Capri... e va bene : ma ho bisogno di vederlo ugualmente. (Scorgendo Ser­gio) Oh, meno male! Credevo proprio che te la fossi svignata.

Sergio                            - Con te, mio caro, non ci riesco mai... ma che diamine succede?

Paolo                             - Una grande novità! E’ inutile sforzarti, non riuscirai mai a indovinarla.

Sergio                            - Donne?

Paolo                             - Ma che donne! C'è di là una persona che desi­dera ardentemente riabbracciarti.

Sergio                            - Una persona che... desidera riabbracciarmi... e non è una donna: mi rifiuto di capire.

Paolo                             - Benissimo: questa è l'unica volta in cui di­mostri, al contrario, di non essere completamente fuori strada.

Sergio                            - Vuoi spiegarti, sì o no? Ho fretta d'uscire...

Paolo                             - Non avrai più nessuna fretta appena tra un attimo. (A Giuseppe, che ha richiuso] dietro di sé la porta d'ingresso) Vuoi toglierti di lì, per cortesia? Grazie. (A Sergio) Attento al miracolo da «Mille e una notte ». (Con voce ispirata) « Sesamo, apriti! ». (La porta si apre la­sciando scorgere Claudio sorridente).

Sergio                            - (correndogli incontro) Claudio, tu?! Ma come può essere?!... Se l'altro giorno eri ancora in Africa!...

Claudio                         - Proprio io. L'altro giorno, no: la mia ulti­ma lettera è - credo - del luglio o agosto. (Si abbracciano affettuosamente).

'Sergio                           - Non avrei davvero potuto supporre... Ma sei tu? Autentico? Io ancora non riesco a crederci...

Paolo                             - Oh! Di questo eravamo più che sicuri...

Claudio                         - Disturbo? Anche se disturbo, però, non me ne vado: fuori si muore dal freddo.

Sergio                            - Ma che cosa dici? Neanche per scherzo... Quando sei arrivato?

Claudio                         - Tre ore fa. Mi sono precipitato a casa di Paolo e poi, immediatamente, da te...

Sergio                            - Bravo, bravissimo! E ti trattieni?... Ma non devi essere tu!...

Paolo                             - Sei mesi, si trattiene sei mesi: avremo tutto il tempo di annoiarci di lui...

Claudio                         - Paolo è sempre il solito... ma anche tu... fatti vedere: soltanto un po' invecchiato... sì... e i tuoi? Oh! scusami, Sergio... ebbi la notizia che mi sembrò falsa, allora, e oggi - vicino a te - maggiormente as­surda. Perdonami...

Sergio                            - Non pensarci... s'invecchia, caro Claudio...

Claudio                         - Per non invecchiare, invece, bisogna vivere da noi... oh! Laggiù il tempo passa così serenamente che davvero non si ha nessuna possibilità d'invecchiare, come fate voi... (Guardando Sergio) Toh! Ma esistono ancora questi strani indumenti che si chiamano abiti da sera? !

Paolo                             - Patti chiari! Qualunque impegno tu abbia, non uscirai: non capita tutti i giorni di riavere con noi Claudio, «retour du Congo...», d'accordo?

Sergio                            - Ma certo! Non penso neanche lontanamente di uscire, oramai. (Togliendosi il soprabito) Vieni qui, Claudio, vicino a me. Raccontami... Quanti anni sono passati dal giorno della tua partenza? Due?

Claudio                         - Tre, esattamente...

Paolo                             - E ritornerai in Africa? Qual'è il tuo pro­gramma? Come? Quando? Nella stessa residenza?

Claudio                         - Questo ancora non lo so e - se permettete non voglio saperlo, datemi almeno il tempo di ar­rivare, diciamo così, definitivamente. Che furia, anche tu! Non faccio che viaggiare da ventidue giorni precisi...

Paolo                             - Hai sempre quelle due p tre donne per le mani? Si potrebbe convocarle.

Sergio                            - No: a quest'ora poi! Non è possibile.

Paolo                             - Ho capito. Non aggiungere altro: si tratta di «una donna»... male, male, amico mio!

Giuseppe                       - (entrando, a Sergio) Signore!

Sergio                            - Che cos'hai, Giuseppe? (Agli altri) Non ho mai visto il mio cameriere così impacciato...

Giuseppe                       - Volevo dirvi che, forse, la gioia per l'im­provviso arrivo del signor dottore deve avervi fatto di­menticare l'appuntamento con la signorina...

Paolo                             - La signorina? Che cosa vi avevo detto?! Fuori il nome, Giuseppe.

Giuseppe                       - lo non oserei mai, signor avvocato.

Sergio                            - Grazie, Giuseppe; ma non ho dimenticato: pregherai la signorina

Odile                             - (a Paolo) eccoti accon­tentato - di restare con noi: guarda, piuttosto, se ti riesce di trovare qualche bottiglia di spumante, un po' di cena... così all'improvviso...

Paolo                             - A questo ho già provveduto; lo spumante è già stato consegnato a Giuseppe che farà bene a met­terlo in ghiaccio; le carte da giuoco novissime e pronte... per la cena ci arrangeremo...

Claudio                         - Lo sai che Paolo non le un avvocato, ma una perfetta massaia? Ha messo sottosopra due o tre negozi!: caricandosi di pacchi pacchetti e pacchettini...

Sergio                            - E com'è logico, non poteva dimenticare le carte!

Claudio                         - Si ricomincia subito?

Paolo                             - Ma certo... (Pensieroso) E dire che durante la tua assenza, credo di non aver mai toccato una carta. Noi tre ci contagiamo a vicenda: potremmo anche met­tere in piedi un'associazione per delinquere, immagino.

Sergio                            - Questi avvocati! Dio mio, esagerano sempre! Andiamo di là, piuttosto: staremo molto meglio.

 Claudio                        - Hai sempre una bella casa, tu, Sergio. Dovrò raccontarti un'infinità di cose...

Paolo                             - E noi te ne domanderemo altrettante...

Sergio                            - Tre anni della nostra esistenza: non sono pochi per gente ch'era abituata a stare tutto il giorno insieme.

Paolo                             - Vi faccio strada io: di qua, prego. (Escono. In questo momento squilla il campanello).

Giuseppe                       - (introducendo Odile) Accomodatevi, si­gnorina, posso permettermi di augurarvi buon anno?

Odile                             - Ma certo, Giuseppe: anche a voi, natural­mente.

Giuseppe                       - Grazie; chiamo subito il signore.

Sergio                            - (entrando) Non c'è bisogno, come vedi. Ec­comi iqua. Buona sera, Odile.

Odile                             - Addio, Sergio... sono proprio mortificata, ma...

Sergio                            - Anche tu? Di che cosa?...

Odile                             - Hai detto: anche tu? (Non capisco: io sono mortificata perché, malgrado l'impegno preso, non posso uscire con te, stasera.

Sergio                            - Benissimo, neanche io. Indovina un po' chi c'è di là?

Odile                             - Come faccio a indovinare?

Sergio                            - E' impossibile, bai ragione... il mio amico Claudio Parenti, quel medico che vive al Congo...

Odile                             - Davvero? Sarai felice, penso!

Sergio                            - Felicissimo... e naturalmente non manca quel simpatico scocciatore di Coralli: già, tu non conosci nem­meno lui. (Prendendole una mano) Ma che cos'hai? Perché dici di non poter uscire? Eh!, sai, si rimedia subito: resti anche tu, con noi, già stabilito, non dire di no. E passeremo un'allegra notte di San Silvestro.

Odile                             - Non posso, Sergio; non avertene a male: ma ho promesso di stare a casa; ti prego di scusarmi, tu sai quanto sarei contenta di stare vicino a te... Ma ho promesso... non insistere, te ne prego.

Sergio                            - Finirai col farmi diventare geloso. A chi hai promesso, scusa? !

Odile                             - A Graziella... è così strana, da stamattina, Sergio...

Sergio                            - In verità, in verità io ti dico che, malgrado le buone intenzioni, non mi riesce di essere geloso di una bimba di cinque anni...

Odile                             - Tu non sai quant'è graziosa, affezionata, sen­sibile; mi ha preso in un angolo, quando non c'era nes­suno, e mi ha detto : « Signorina, mi prometti di restare con me, tutta la notte, accanto a me? ». Era cerea, con gli occhi sperduti: ho avuto paura; sembra così fragile e irreale, certe volte... ho promesso...

Sergio                            - Hai fatto bene, Odile...

Odile                             - Sapevo anche che tu non m'avresti disappro­vata e ringrazio il cielo che ti abbia procurato, all'ultimo momento, una compagnia così piacevole... (Gettandosi a sedere su di una poltrona) Oh! scusami, Sergio.

Sergio                            - (preoccupato) Ti senti male?

Odile                             - (riprendendosi) No, niente, grazie; è già passato: un capogiro...

Sergio                            - Hai bisogno di qualche cosa?

Odile                             - No : sei molto caro; non è niente. Pensa, non volevo neanche scendere, sia pure per qualche minuto: basta una telefonata, pensavo. E invece...

Sergio                            - E invece...

Odile                             - Avrei tanto bisogno di parlarti, di farti capire alcune cose, magari senza parole... (Sospirando) Sono così stanca e avvilita, Sergio.

Sergio                            - Certo, sei molto strana...

Odile                             - Vorrei avere la forza di spiegarti; ma non oso, non ho il coraggio...

Sergio                            - Mettiti calma, adesso... (Accarezzandola) Non ti sembra che basterebbe soltanto essere sincera? Non ti sembra che puoi parlare serenamente con me, sicura d'es­sere compresa?!

Odile                             - Non inquietarti, Sergio; ma è proprio questa sicurezza che mi manca.

Sergio                            - Ti ringrazio.

Odile                             - Ma no... tu non puoi comprendere, oggi... perdonami, Sergio, sono una sciocca... ero venuta proprio convinta che avrei saputo dirti tutto quanto con una sola parola... ma mi accorgo che è così difficile poter dire le parole che si sono tanto pensate.

Sergio                            - Si tratta allora di una cosa molto grave?

Odile                             - Forse, non so...

Sergio                            - Non mi vuoi più bene, Odile?

Odile                             - Come fai a pensare una simile assurdità? Oh! Sergio: forse perché ti amo troppo, mi è così diffi­cile dirti quello che vorrei.

Sergio                            - Vuoi che ti aiuti? Che t'interroghi? Che ti legga in viso?

Odile                             - Ancora e sempre non so da quale parte inco­minciare... ma adesso me ne vado... la bambina m'aspet­ta; se non mi vede si agita, s'immusonisce, diventa triste e s'abbatte... mi fa una pena immensa...

Sergio                            - Ma tu non puoi andartene senza prima avermi detto...

Odile                             - Sii buono. Sergio, abbi pazienza. Troverò una giorno la maniera...

Sergio                            - Un giorno... dovrò restare sino a quel giorno con il dubbio che tu possa pensare di me: «Sergio non mi capisce?! ». Ma tutto ciò è inverosimile, mia cara.

Odile                             - Hai ragione, gioia mia, hai ragione: ma -vedi - cercherò... sì, voglio essere coraggiosa... guardami bene negli occhi, Sergio: voglio vedere il tuo sguardo mentre parlo... e ascoltami... e non inquietarti per nessuna ragione al mondo. Me lo prometti?

Sergio                            - Te lo prometto.

Odile                             - Sergio, e se ti dicessi che...

Paolo                             - (entrando) Ma non si fa così, non si agisce cosi... Oh! scusate, signorina.

Claudio                         - (c. s.) Naturalmente, Paolo ne avrà fatta un'altra delle sue.

Paolo                             - Domando perdono... io non sapevo.

Sergio                            - Naturalmente... ma ormai siete qui e non posso certo cacciarvi via. Permettete che vi presenti alla signorina. L'avvocato Paolo Coralli.

Paolo                             - Fortunatissimo.

Sergio                            - (presentando ancora) E il dottor Claudio Pa­renti che viene dal Congo, i miei più cari amici.

Odile                             - Lo so.

Sergio                            - (c. s.) La signorina Odile, di cui vi parlavo prima; ma che non vuole accettare la mostra ospitalità.

Odile                             - Non posso, Sergio... ho detto... non posso...

Sergio                            - Scherzavo.

 Paolo                            - Noi vi chiediamo davvero scusa, signorina, se – involontariamente - abbiamo guastato la vostra serata.

Odile                             - Non datevi pensiero, Ve ne prego: ero pro­prio venuta per dire al vostro amico che mi sarebbe stato impossibile accettare il suo invito.

Claudio                         - Questo ci fa piacere e ci dispiace nello stesso tempo...

Odile                             - Siete molto gentile... Scusatemi; ma devo an­darmene sul serio...

Sergio                            - Proprio adesso che avevi preso il coraggio a due mani...

Odile                             - Lo ritroverò ben presto, vedrai... buona sera, signori. Mi auguro di rivedervi e buon anno.

Claudio                         - Buona fortuna, signorina.

Sergio                            - Ti accompagno, cara. (Via i due).

Paolo                             - Graziosa, la brunetta.

Claudio                         - Non è bruna: è bionda.

Paolo                             - Ma è graziosa lo stesso. Ho l'impressione che, questa volta, il caro Sergio sia rimasto mezzo « inca­strato », se non del tutto...

Claudio                         - Che strana maniera d'esprimerti.

Paolo                             - Ecco il congolese che si mette a fare il cru­scante...

Sergio                            - (rientrando) Ed ecco gli inseparabili che trovano subito il modo di bisticciare...

Paolo                             - Segno di giovinezza, Sergio, nostro caro vec­chietto precoce...

Sergio                            - Va' al diavolo... Vogliamo giocare, dunque?

Claudio                         - Io, se dobbiamo essere sinceri, non ne avrei una voglia eccessiva. (Si mette a sedere).

Paolo                             - Neanche io, se proprio non dobbiamo men­tire. (Siede davanti alla scrivania).

Sergio                            - (sprofondando in una poltrona) Come vo­lete... Raccontaci di te, Claudio.

Claudio                         - Più tardi; è buffo: niente è cambiato, in fondo; come tanti anni fa. Voi, forse, non potete accor­gervene, vivendo sempre qui; ma per me che arrivo adesso, è come una specie di viaggio nel tempo.

Paolo                             - Stupido sentimentale, smettila!

Sergio                            - Ma lascialo parlare: m'interessa.

Paolo                             - Perché sei un romanticone anche tu... gente fuori tempo.

Sergio                            - Silenzio!

Claudio                         - Non vi sembra di essere qui riuniti come allora, per esempio, quando Paolo e io studiavamo in­sieme le famigerate dispense di medicina legale? Io non capivo niente di legge e di « de cuius »; lui non poteva supporre che esistessero delle strane parole come paren­chima o - che so io? - sella turcica. E tu, Sergio, non si sapeva bene perché, venivi ad annoiarti con noi...

Paolo                             - A quei tempi studiava Storia dell'Arte.

Claudio                         - Più tardi, voleva fare il regista cinemato­grafico...

Sergio                            - O magari scrivere romanzi: ho finito col non fare proprio niente.

Paolo                             - Eh si sa, beati i ricchi...

Claudio                         - Quando eravamo tutti e tre amici di Adria­na, ricordate? (Come colto da un'idea! A proposito, amici, adesso possiamo confessarcelo: chi, di voi, è stato l'amante di quella ragazza? Io no, mai: non avrei saputo con lei, così affettuosa, così cara...

Sergio                            - Nemmeno io... neanche pensato lontanamente.

Paolo                             - Tutto ciò è probabilmente ridicolo; ma nean­che io... debbo giurarlo? Immagino che non sia neces­sario. La vedo spesso, sapete? E' sempre bella... ingras­sata, non molto... adesso è l'amante del figlio scioperato di un severissimo senatore; ma tanto cara... A proposito: l'ho incontrata anche oggi; le' ho detto dell'arrivo di Claudio: saltava dalla gioia. Le ho detto anche che sa­remmo venuti a passare l'ultimo dell'anno da te...

Claudio                         - Mi piacerebbe rivederla.

Sergio                            - Povera Adriana, era nata per essere un'otti­ma madre di famiglia. Ha sbagliato... che cosa vuoi farci?

Claudio                         - Press'a poco eravamo situati quasi sempre cosi: io qua e voi due sprofondati nelle sedie...

Paolo                             - Ma ti ricordi, sì o no, che straordinaria ma­teria d'esami?!

Sergio                            - Lo ricordo anch'io! Le discussioni, le risate, le liti...

Claudio                         - (come se interrogasse davvero) Paolo, sai dirmi quali sono le lesioni che conducono a morte un paziente?

Paolo                             - Aspetta: le lesioni che conducono a morte nn paziente... dunque... non possono essere che quelle gravissime.

Claudio                         - Neanche per sogno: sono invece quelle gravi.

Paolo                             - E le gravissime, allora?

Claudio                         - Mai capito niente.

Sergio                            - (ridendo) In compenso non avevate neanche capito che cosa fossero quelle maledette concause che si trovavano a ogni pie' sospinto.

Claudio                         - Per fortuna, sul più bello - quando già stavamo per addormentarci dalla noia - si sentiva una voce squillante: «E' permesso? » entrava Adriana, fresca e sorridente.

Adrlana                         - (sulla porta) E' permesso?

Sergio                            - Ma questa è la serata dei miracoli... avanti, avanti, Adriana, benvenuta.

Paolo                             - (recitando) Adrianuccia, leggiadra belluccia...

Adriana                         - Non fare lo spiritoso. Sarà inutile scac­ciarmi: sono venuta per abbracciare Claudio e nessuno potrà impedirmelo.

Claudio                         - (andandole incontro) Cara, carissima Adria­na. (Si baciano).

Paolo                             - Ehi! Basta, dico...

Adriana                         - Povero amore mio diventato mezzo negro... come stai? Benissimo, mi sembra... oh! Ecco la fami­gliola finalmente riunita. (A Sergio) A proposito: puoi dire al tuo cameriere, che con me la storiella di Capri non attacca, hai capito?

Sergio                            - Va bene: darò ordini in proposito.

Adriana                         - Bene. Che cosa fate? Vi divertite?

Paolo                             - No, grazie: ci annoiamo.

Adriana                         - Almeno lo confessate, che Dio sia lodato; ma se sapeste quanta gente c'è in giro, stasera, che s'an­noia e che crede di divertirsi: ho lasciato il mio amico ho un amico ricco e influente, sapete? non fate compli­menti - in uno dei soliti locali notturni: io non capisco perché non se ne vanno a dormire tutti quanti.

Paolo                             - Sante parole: anch'io, per esempio, ho un sonno tremendo...

 Sergio                           - Mi meravigliavo che ancora non lo dicessi...

Adriana                         - E allora, dimmi, Claudio: sono belle le congolesi?

Claudio                         - Meglio non parlarne.

Adriana                         - Se non ti piacciono le negre, ti sarai al­meno innamorato di qualche bianca.

Paolo                             - Meglio non parlarne, anche di queste: non si parla di corda in casa dell'impiccato.

Adriana                         - Povero impiccatine mio! Rallegramenti. Si tratta di una cosa seria?

Sergio                            - Non si può dire fino a che...

Adriana                         - Fino a che?...

Paolo                             - ... fino a che tutto non è finito. Il giudizio dei nostri amori non può essere che retrospettivo.

Adriana                         - Sei difficile e malinconico: perché soffri tanto, amico mio?

Paolo                             - Perché vedo che non ti occupi per niente di me; ed io mi struggo d'amore per quella fragile creatura che tu sei.

Adriana                         - Buffone!

Sergio                            - Resti con noi, Adriana?

Adriana                         - Soltanto pochi minuti e scappo via: se no, rischio di perdere l'impiego. (Sospira) Che malinconia! Ma come mai non giocate, stasera? Siete diventati im­provvisamente dei bravi bambini? Voglio sperare di no.

Paolo                             - Mai, te lo giuriamo.

Claudio                         - Anche le carte ci annoiano, ecco.

Adriana                         - Ancora non m'avete offerto una sigaretta... Oh! bravi... grazie... Ma una volta, quando vi annoiavate, si tiravano fuori un'infinità di scherzi.. ricordate quella famosa telefonata al professore d'anatomia? « Venite su­bito, maestro, voleva essere chiamato maestro - c'è una salma illustre da imbalsamare... ».

Paolo                             - Già, il povero diavolo aveva inventato un suo sistema « marmoreo » d'imbalsamazione...

Sergio                            - E quando arrivò a casa tua, mi sembra...

Adriana                         - Proprio a casa mia, si... cercava il morto, da per tutto, e io, con aria di grande tragica, gli dissi roteando gli occhi -: « Di morto, qui, non c'è che il mio ideale! ». Bestemmiava come un turco, andandosene.

Claudio                         - Lo credo bene...

Adriana                         - Telefoniamo a qualcuno?

Sergio                            - Ma no: sono delle ragazzate...

Adriana                         - Che importa? Divertiamoci un poco: dam­mi la tua rubrica telefonica.

Paolo                             - Eccola qui.

Adriana                         - Vediamo un poco: Almari, Alterelli, Al­vise... 581690. Silenzio, per piacere. Non risponde nes­suno.

Claudio                         - Formate un numero qualunque, a caso...

Paolo                             - Ti servo subito... ecco qua.

Adriana                         - Silenzio, mi raccomando. (Ali'apparecchio) Pronto? Sì, pronto. Chi parla? E' in casa, il signore? No? Che peccato! Parlo con la signora? Ah! Bene. Vo­lete dirgli, appena ritorna, di telefonare a Emily, sì, Emily... come? Vostro marito non conosce nessuna donna che si chiami Emily? Lo credete voi, certo... ma... a ogni modo, non dimenticatevi di dirglielo. Sì, Emily: il numero non occorre. Lo sa a memoria. Buona notte, si­gnora. (Riattacca).

Sergio                            - Ecco la pace di una famiglia rovinata.

Adriana                         - Ma via, non esagerare: capiranno subito che si tratta di uno scherzo, se non sono stupidi: e, se lo 6ono, tanto peggio per loro...

Paolo                             - Adesso chiamiamo un mio amico: vi assicuro che ci sarà da ridere.

Claudio                         - Non vi correggerete mai.

Odile                             - (entrando, esterrefatta) Sergio, Sergio... aiu­tami tu.

Sergio                            - Odile... ma che cosa succede?

Odile                             - La bambina... Graziella...

Sergio                            - Ebbene?

Odile                             - Non posso parlare: ho fatto le scale di corsa... All'improvviso - subito dopo il mio arrivo - è stata presa da un tremito... Gridava... ha le convulsioni, adesso non parla più... gli occhi fuori delle orbite, smorti...

Sergio                            - Povera Odile!

Odile                             - Non è di me che si tratta... il tuo amico... il dottore... se potesse fare un salto...

Sergio                            - Ma certo...

Claudio                         - Vengo subito. Dov'è?

Odile                             - All'altra scala. Vi accompagno. Venite con me.

Sergio                            - Tu devi restare qui.

Odile                             - E' impossibile, Sergio... (Sta per cadere).

Claudio                         - (sulla porta) Andiamo?

Odile                             - (piano a Sergio) Ho tanta paura... paura...

Sergio                            - Ma di che cosa, Odile?

Odile                             - (con un filo di voce) Sai, Sergio... (in un sof­fio) sono incinta.

Claudio                         - Non perdiamo tempo. (Via).

Odile                             - Eccomi, eccomi... (Esce come allucinata).

Paolo                             - Così, quando uno meno se l'aspetta... com'è strana la vita!

Adriana                         - Senti, Paolo, vorrei dirti una parola.

Paolo                             - Di' pure, ti ascolto.

Adriana                         - Non qui: aspettami in sala da pranzo; ti raggiungo subito. Ti dispiace?

Paolo                             - Anzi ne approfitto per prendere un po' d'aria: qui dentro si soffoca.

Sergio                            - E' vero, si soffoca.

Adriana                         - Fra due minuti sarò da te.

Paolo                             - Quando vorrai... (Esce).

Adriana                         - (si avvicina a Sergio, vorrebbe parlare, non osa: gli fa una fraterna carezza sulla fronte).

Sergio                            - (cupo) Perché hai mandato via Paolo?

Adriana                         - (con voce dolce) Te ne sei accorto subito?

Sergio                            - Ci vuol poco a capire: perché l'hai mandato via, dunque?

Adriana                         - Pensavo che tu preferissi restare solo un poco.

Sergio                            - E' vero...

Adriana                         - Ma se tu vuoi, me ne vado... subito.

Sergio                            - Tu no, devi restare, Adriana... (Improvvisa­mente) Che cosa hai capito? Che cosa sai tu?

Adriana                         - Non agitarti, te ne prego.

Sergio                            - Rispondimi, insomma. Che cosa sai, Adriana?!

Adriana                         - (con uno sforzo palese) Ho inteso quello che ha confessato la tua donna, poco fa.

Sergio                            - (bestiale, urlando) Perché hai inteso? Chi ti dava il diritto?... (Si riprende) Scusami, cara: non so più quello che dico. Sei pregata di perdonarmi, tu non hai colpa.

 Adriana                        - Adesso posso dirtelo: ho voluto restare sola con te perché pensavo tu avessi bisogno di sfogarti con qualcuno. Ma se ti dò fastidio, sono pronta ad an­darmene.

Sergio                            - No, no, che cosa dici? (Si prende la testa fra le mani) E' terribile... Siedi vicino a me, Adriana.

Adriana                         - Eccomi, Sergio.

Sergio                            - Hai inteso, dunque? Che te ne pare?

Adriana                         - Certo, la notizia è stata data un po' bru­scamente; ma la piccina soffriva, la piccina soffre; è logico...

Sergio                            - Com'è logico che io... ammetterai, Adriana, che un colpo di fulmine, così, a ciel sereno, debba tro­varmi impreparato...

Adriana                         - Sentì...

Sergio                            - E ammetterai, anche, che certe confessioni -come dici - non siano le più adatte a mettermi in allegria.

Adriana                         - Una domanda, scusa.

Sergio                            - Dimmi.

Adrlana                         - Le vuoi bene?

Sergio                            - Credo di si. Si, si, si: l'adoro, ecco.

Adriana                         - E lei?

Sergio                            - Pazza - un delirio - tanto pazza che... hai inteso bene, non è vero? Ma non è possibile, non può essere possibile...

Adriana                         - Che cosa è che ti spaventa in questo modo? L'idea di avere un figlio?

Sergio                            - Non so...

Adriana                         - O il timore di poterlo perdere?

Sergio                            - Forse... ma perché non ha voluto rimanere? (SI alza di scatto) Forse io perdo la ragione, Adriana, ma mi sembra di essere felice.

Adriana                         - Lo vedi, Io vedi? Come sono contenta, Sergio.

Sergio                            - Ma c'è una tristezza sotterranea che non mi riesce di allontanare da me...

Adriana                         - Non è tristezza, Sergio: ma forse la co­scienza di incominciare a valere qualche cosa nella vita, di riattaccarci all'albero da cui nascemmo, di ritornare alla terra. (Piange).

Sergio                            - Ma tu piangi, Adriana?

Adriana                         - Sì; ma non farci caso: in fondo sono abba­stanza serena, malgrado tutto... oh! ecco Paolo...

Paolo                             - (entrando) Evidentemente ti sei dimenticata della mia esistenza.

Adriana                         - Stavo per raggiungerti: un attimo solo e vengo.

Paolo                             - Ti aspetto. (Via).

Adriana                         - E' molto tempo che la conosci?

Sergio                            - Chi? Odile?

Adriana                         - Sì, la ragazza: come si chiama?

Sergio                            - Odile.

Adriana                         - Che nome strano!

Sergio                            - E' un amore.

Adriana                         - Già, dimenticavo... la corda...

Sergio                            - (sorridendo) L'autentica corda al collo...

Adriana                         - Cattivo... come l'hai conosciuta?

Sergio                            - Abita nell'altra scala... per caso... è istitutrice in casa di un ingegnere...

Adriana                         - Giovanissima, mi sembra.

Sergio                            - Ventidue anni.

Paolo                             - (rientrando) Questa volta non mi rimandi via neanche con le cannonate: ciò si chiama prendere in giro la gente.

Sergio                            - Sei me che devi perdonare, Paolo... la colpa è soltanto mia.

Paolo                             - Insomma in questa casa si muore dalla noia: non si gioca, non si mangia, non si beve... per fortuna ho trovato dei liquori...

Adriana                         - Ti pare di essere molto opportuno? Dopo quello che è successo?!

Paolo                             - Insomma, la vogliamo smettere di dramma­tizzare, sì o no? Perché una sciocca ragazzina si sente poco bene e fa i capricci, dobbiamo - tutti quanti - fare il muso nero? Ma neppure per sogno! Allegria, su, op­pure vi faccio assistere al drammaticissimo suicidio -questo sì - del giovane ma valente avvocato Paolo Co­ralli: apro una finestra e mi butto di sotto.

Adriana                         - (per burla, tragicissima) No, fermo, ti scongiuro, aiutatemi, non darmi questo dispiacere.

Paolo                             - Proprio perché sei tu a chiedermelo con tanto amore...

Sergio                            - Appena arrivi tu, la tristezza se ne va. Bravo, Paolo.

Paolo                             - Avevamo incominciato tanto bene a diver­tirci, da veri ragazzacci... A te il telefono, Adriana.

Adriana                         - Ecco, intanto sfoglio la rubrica...

Paolo                             - Benissimo.

Adriana                         - Malesi. Marelli. Marzotto. Eccoci arrivati a un numero simpatico... (Forma un numero).

Paolo                             - (passando il microfono a Sergio) La prece­denza a te, Sergio, che fosti nominato un giorno re delle burle telefoniche...

Adriana                         - Fa onore alla tua firma, maestà.

Sergio                            - Zitti, adesso. Non risponde nessuno. Formate un altro numero.

Paolo                             - Aspetta: abbi pazienza un attimo solo.

Adriana                         - Vuoi cambiare?

Sergio                            - No, silenzio. (Nel microfono) Pronti? Sì? Pronti. Ascoltatemi bene: vostra moglie vi tradisce. Un amico.

Paolo                             - Ben detto: lo scherzo riesce nove volte su dieci.

Adriana                         - (a Sergio, che si allontana dall'apparecchio) Che cosa ti succede, Sergio?

Paolo                             - Sei pallido come un cencio.

Sergio                            - (balbettando) Dico... dico... mi ha risposto una stranissima voce, soffocata dapprima, poi bestiale; come uccisa nella stessa gola dal dolore.

Adriana                         - Che cosa ha detto?

Sergio                            - Ha detto... ha detto: « Smettetela, per Dio! ». Ecco una voce che non dimenticherò mai più. (Come preso da una subita idea) Adriana, te ne scongiuro, che numero hai chiamato?

Adriana                         - Ma perché?

Sergio                            - Sbrigati... guarda...

Adriana                         - C'è ancora il segno... 392...

Sergio                            - Il nome... voglio sapere il monte...

Adriana                         - Martelli, ingegner Federico Martelli...

Sergio                            - (con un grido) Lui?

Paolo                             - M'hai messo spavento... che cosa succede? Di chi si tratta? Parla.

 Sergio                           - E'... il padre... di quella bambina che... sta tanto male.

Adriana                         - Lui?

Claudio                         - (appare sulla porta, sfatto).

Paolo                             - Eccolo...

Sergio                            - La bambina, dimmi, la bambina...

Claudio                         - (allargando le braccia) Troppo tardi, sono arrivato troppo tardi.

Adriana                         - Morta?

Claudio                         - ... come un uccellino.

Adriana                         - (scoppia in singhiozzi irrefrenabili).

Paolo                             - (a Sergio) E tu, Sergio, sei il solito delin­quente!

                                             Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(Un ampia salone da ricevimento in casa Martelli. In fondo, una grande veranda: ancora al di là s'intravede il giardino. Buon gusto moderno: si deve avere l'impres­sione di ricchezza e di tono sociale elevato).

Odile                             - Buon giorno, ingegnere.

Federico                        - (entrando, cupo, nervoso) Buon giorno, signorina. Nessuno ha cercato di me, signorina, non è vero?

Odile                             - Nessuno, ch'io sappia... Volete dare uno sguardo alla posta?

Federico                        - E d'altronde, non voglio vedere nessuno... no, grazie... la sbrigheremo un altro giorno. E' tutto a posto?

Odile                             - Tutto come avete detto.

Federico                        - Vi ringrazio. Anche in questa tremenda oc­casione vi siete mostrata veramente preziosa... io non so...

Odile                             - Oh! ingegnere, ve ne prego...

Federico                        - Tutto a posto, com'era?...

Odile                             - Nella stessa maniera... non ho raccolto nem­meno un giocattolo che era finito in terra.

Federico                        - Tutto ciò è molto penoso; ma voglio che la « sua » stanza, la stanza dei « suoi » giuochi e della « sua » spensieratissima giornata conservi ancora la voce di Graziella, il profumo di Graziella, il ricordo dei gesti di Graziella... Pensate, signorina, l'aria di là dentro è ancora in parte la medesima aria che la povera piccola respirava.

Odile                             - Come sapete essere forte, voi! Io sono piena d'ammirazione per il vostro dolore così sereno...

Federico                        - Dicono che bisogna farsi una ragione di certe disgrazie, come se fosse facile! Io credo, anzi, che non sia neppure lontanamente possibile... Ditemi; là dentro, là...

Odile                             - Volete che vi ci accompagni?

Federico                        - Oh! no, non adesso: avrei paura di non resistere.

Odile                             - Povero ingegnere!

Federico                        - Voglio sapere soltanto se qualche cosa di «lei» c'è rimasto... che so?!... l'eco di una risata... l'im­magine di un sorriso... Avete guardato nel suo specchio?

 Odile                            - No.

Federico                        - Non guardateci, non guardateci: chissà che non ci sia rimasta la sua immagine, fresca e ridente... oh! signorina, la testa mi scoppia: non burlatevi di me... Voi non ne sareste capace - lo so - ma certe volte mi sembra d'impazzire, di fare un sogno terribile, di non vivere... Avete mai notato come nelle stanze, quando sono vuote, continui a vibrare la voce di chi le abitò per tanto tempo? E' forse, anche questo, uno dei motivi per cui le camere d'albergo sono sempre così estranee : troppe voci diverse s'intersecano ancora fra di loro, e di tutte le razze, di tutte le tonalità, di tutte le più assurde persone, spiac­cicandosi contro le pareti, illuminando gli angoli bui, creando sempre - un tormentoso silenzio che nulla basta a infrangere. Ho divagato, ancora una volta: da qualche giorno non mi riesce neanche di pensare.

Odile                             - Non credete che fareste bene a muovervi, a viaggiare, per qualche tempo?

Federico                        - No, non è possibile, cara signorina... per tante ragioni. Mah, bisogna essere uomini, dicono: e non si poteva inventare una frase più assurda di questa.

Odile                             - Permettete che mi ritiri?

Federico                        - Certo... signorina volete darmi quella chiave?

Odile                             - Veramente l'ho consegnata a Francesca.

Federico                        - (cambiando tono) Francesca?... E che cosa c'entra Francesca ?

Odile                             - E' stata la signora a chiederla: pensavo che non ci fosse niente di straordinario...

Federico                        - Vi ho detto e vi ripeto che quella chiave devo averla io e soltanto io: siamo intesi?

Odile                             - Va bene ingegnere... e vi domando scusa se... Meno male, viene Francesca.

Francesca                      - (portando il telefono) Signor ingegnere, è all'apparecchio il commendatore Ranieri... dice che si tratta di cosa urgente.

Federico                        - Non voglio parlare con nessuno, non esi­stono cose urgenti, non voglio parlare al telefono, non sono in casa... capito? Datemi la chiave di quella stanza, Francesca... Non l'avete più?

Francesca                      - Sì, signor ingegnere. (Gli consegna la chiave. Via).

Federico                        - (come tra se) Anche il microfono conserva il suono di tante voci sgradevoli...

Odile                             - Se avrete bisogno di me...

Federico                        - - Chiamatemi non appena verrà il signor Grati.

Odile                             - Ma è già venuto...

Federico                        - Quando?

Odile                             - E più di mezz'ora... io credevo che la came­riera vi avesse avvisato...

Federico                        - Dov'è?

Odile                             - Credo che sia in biblioteca a sfogliare i soliti libri...

Federico                        - Fatelo avvisare, per cortesia : che mi rag­giunga di qua.

Odile                             - Subito, vado io stessa... con permesso. (Esce).

Federico                        - (rimasto solo si avvicina alla porta della stanza di Graziella; si assicura che sia stata ben chiusa, poi si spinge fin verso la veranda: sospira).

Marco                            - (entrando) Mio caro Federico!

 Federico                       - Buon giorno, Marco; ero ansioso di vederti. (Si stringono cordialmente la mano).

Marco                            - Ci sono novità?

Federico                        - No, che novità ci potrebbero essere?

Marco                            - Pensavo, data l'urgenza con la quale mi hai fatto chiamare...

Federico                        - No, niente di nuovo: a questo mondo non c'è mai niente di nuovo: e tutto quello che ci sembra imprevisto, covava dentro di noi, forse, chissà da quanto tempo...

Marco                            - Sei nervoso.

Federico                        - Moltissimo; ma non farci caso, te ne prego.

Marco                            - Come sta tua moglie?

Federico                        - E come vuoi che stia? Già, d'altronde io non la vedo mai... Ma preferisco non parlarne - almeno per adesso dopo... invece, più tardi, te ne parlerò anche troppo a lungo... anche per questo ho chiesto che tu venissi...

Marco                            - Non ti capisco.

Federico                        - Non c'è niente da capire... ma poi, non è necessario. (Offrendo) Una sigaretta?

Marco                            - Grazie.

Federico                        - Dunque, veniamo al fatto.

Marco                            - Ti ascolto.

Federico                        - Ho licenziato Giovanni. Ne eri già in­formato?

Marco                            - (indeciso) No... ma come farai adesso, per la macchina?

Federico                        - La vendo. E poi voglio vendere anche la casa.

Marco                            - Ma è assurdo... come dici, scusa? Vuoi ven­dere anche la casa? Passi per la macchina, via... è legata a troppi ricordi della piccina; ma la casa...

Federico                        - E la casa no, eh? Senti, Marco: io t'ho chiamato perché tu m'aiutassi : e non fai altro che crearmi delle difficoltà.

Marco                            - Non pensavo... forse sono stato sconveniente...

Federico                        - Ma no, perdonami tu, amico mio : approfitto della tua bontà, come sempre... sono, però, fermamente deciso.

Marco                            - Come vorrai, allora.

Federico                        - Voglio vendere tutto, mobili, aggeggi, tutto, tranne quella lì. (Accenna alla camera di Graziella) Fran­cesca se ne va, anche la governante non ha più motivo di restare...

Marco                            - Purtroppo!

Federico                        - In breve: si ricomincia da capo. Poi... ma di questo parleremo più tardi... voglio dividermi da mia moglie.

Marco                            - Ho inteso bene, Federico?

Feberico                        - Se ti meravigli, vuol dire di sì: hai inteso benissimo.

Marco                            - Impazzisci?

Federico                        - Può darsi: ma ti ho detto che ne parle­remo un'altra volta.

Marco                            - E la signora Rossana? Sa già che...

Federico                        - Non sa nulla... almeno credo... purché non l'abbia già immaginato.

Marco                            - Tu sei troppo eccitato... rimanda certe deci­sioni ad altra epoca.

Federico                        - Sono eccitato, è giusto; ma non sragiono: se tu non m'aiuterai, mi rivolgerò a un altro.

Marco                            - Non ti rendi conto dell'assurda, dolorosa, inumana bestialità che vorresti commettere?

Federico                        - Che « voglio » commettere, devi dire...

Marco                            - Io non pensavo davvero che il dolore potesse renderti così cattivo... scusami, Federico...

Federico                        - Ma no, ma no... dillo pure interamente il tuo pensiero. Sono cattivo, è vero: ma, soprattutto, sono cattivo con me stesso.

Marco                            - E perché, allora, perché non cerchi di farti violenza? Se ragioni così, se capisci il male che rechi a te stesso prima ancora che agli altri? Rispondi, Federico.

Federico                        - (lentamente) Forse perché sono stanco di dover « essere uomo »; vorrei gettarmi in un canto e piangere tutte le mie lagrime, disfarmi nel dolore, annien­tarmi nell'abbandono di tutte le mie energie. Come dici? Sono un vigliacco?! Hai ragione, Marco; ma non ce la faccio più.

Marco                            - Mio caro Federico, che pena vederti soffrire in codesta maniera!

Federico                        - Non parliamone più, Marco; è l'unico modo di reagire : in fondo ho sempre invidiato lo struzzo che chiude gli occhi davanti al cacciatore che gli spara addosso. Anch'io, vedi? Chiudo gli occhi.

Marco                            - Concludendo... (Guardando verso la comune) Andiamo, fatti coraggio, ecco tua moglie. Buon giorno, signora Rossana.

Rossana                         - (entrando) Oh, Grati? (Al marito) Addio, Federico, avrei bisogno di parlarti, un solo momento: voi (a Grati) permettete, non è vero?

Marco                            - Ma certo, signora. Federico, io vado in bi­blioteca; non darti pena per me: non ho fretta. Con permesso. (Esce).

Federico                        - (a Rossana) Di' pure: so già quello che tu vuoi chiedermi.

Rossana                         - E allora? Meno male... ciò eviterà molte parole inutili. Non è vero, Federico?

Federico                        - Così spero anche io...

Rossana                         - Il tuo atteggiamento mi sembra tanto ine­splicabile che ho voluto domandarti io stessa le ragioni di tale puntiglio...

Federico                        - Non si tratta di un puntiglio... ma, ti prego, mettiti a sedere; credo che dovremo parlare a lungo.

Rossana                         - Grazie. (Improvvisamente) Perché mi sfug­gi, Federico?

Federico                        - Non è vero, io non sfuggo nessuno.

Rossana                         - Le tue parole sono molto diverse dal tono con cui le pronunci : sì, tu mi sfuggi. Esci, rientri, non so più niente di te; quando non ti nascondi con la persona, ti nascondi dietro uno sguardo strano, dietro una fredda cortesia che non so e che non voglio riconoscerti. Che cosa ti ho fatto? Di che cosa m'incolpi? Sì, è vero, quando perdiamo una persona cara, tutti quelli che l'a­mavano hanno l'impressione d'essere- almeno in parte -colpevoli di quella perdita... (Singhiozzando) Ma tu mi tratti, Federico, come «e io stessa... Abbi pietà di me, caro.

Federico                        - (inquieto, passeggiando su e giù) Lo sa­pevo, lo sapevo benissimo che saremmo arrivati a questo punto. (Si ferma) Senti, Rossana, non parliamo più di questo argomento, vuoi?

Rossana                         - Ma io ho il diritto di sapere perché tu continui, sadicamente, a inasprire il mio dolore, a umi­liarlo, a mortificarlo, a torturarmi i nervi e l'esistenza... O credi, forse, che il tuo «tesso dolore sia sufficiente a spiegare l'egoismo dentro il quale ti rifugi?

Federico                        - Il diritto, il diritto... Voialtre donne non sapete parlare che di diritto. E io, dunque? E io che mi macero, da due settimane, alla ricerca di una ragione, di una causa, di un principio... già, ma tu non puoi capire...

Rossana                         - E' la prima volta che mi parli in codesta maniera, dopo dieci anni...

Federico                        - E anche adesso sono sincero, ti assicuro... per la prima volta, hai ragione, sento ch'è necessario par­larti chiaramente...

Rossana                         - Forse hai ragione tu... io non posso capirti...

Federico                        - (fremente, come uno che sta per scoppiare) Perché... se tu mi capissi, se tu capissi almeno qualche cosa - vedi - mi lasceresti in pace, solo, senza pretendere nulla e senza indagare... (Si riprende) Rossana, devi riu­scire ancora a perdonarmi...

Rossana                         - Ma certo, Federico..., in tutti questi giorni non ho cercato altro che di rispettare il tuo dolore. Voi uomini (materna) avete tanto bisogno di essere lasciati a voi stessi!

Federico                        - (come una furia) Non sono un uomo, no... sono una bestia che vuole vivere alla giornata tutta la sua stupida ridicola assurda vita! Sono uno sciagurato che non riesce a trovare neppure la forza di piangere.

Rossana                         - Calmati, caro... (Gli si avvicina) Come soffri!

Federico                        - Oh sì, Rossana...

Rossana                         - Povero caro. (Accarezzandolo sul capo) Vuoi che t'accompagni nella stanza della bambina? Adesso, guarda: non c'è nessun indiscreto. Ci sosterremo a vi­cenda, ci faremo coraggio l'un con l'altro... vieni. Fede­rico... sarà una dolorosissima prova d'amore...

Federico                        - (basito) Hai ragione, mammina, hai ra­gione, mammetta... ricordi con quale voce ti chiamava « mammetta » ? (Scattando) Tu, no... devo essere solo... non voglio che nessuno profani i miei ricordi... tu no, Rossana, anche se dovessi impedirtelo con la violenza... lasciami in pace, te ne prego.

Rossana                         - (cadendo a sedere sopra una poltrona) Che strazio, mio Dio, che martirio! Ma questa vita mi logora l'anima !

Federico t                      - Vattene, non voglio più vederti, vattene.

Rossana                         - No, Federico: questa volta sono ai limiti della mia resistenza! Questa volta dovrai spiegarmi, se non vuoi uccidermi...

Federico                        - Vattene, vattene... tu non sai, tu non com­prendi...

Rossana                         - Ma che cosa devo comprendere, in nome di Dio!?

Federico                        - Quello che non oso dirti... eppure sono certo che se trovassi il coraggio di parlare, sarei salvo... o rovinato per sempre.

Rossana                         - Ma parla, dunque: prendimi per mano e fammi fare questo pauroso salto nel vuoto... ma vivere così, non è più possibile... Parla, Federico.

Federico                        - Dopo, quando sarò più calmo... Dio! Sento le arterie, sotto il palmo della mano, tese come corde d'acciaio... (Fa di no con il capo, di no, di no).

 Rossana                        - (avvicinandosi di nuovo, affettuosamente) Non pensiamoci più, caro, non pensiamoci più, per adesso... vedi, lo faccio per te, per il tuo bene, per la tua serenità... avvicinati a me. Non aver paura di me, mi guardi con gli occhi spiritati come se fossi una tua nemica... perché, Federico?

Federico                        - Le tue parole mi fanno ancora bene, cara: ingannano la mia angoscia, per un attimo... ma poi sarà più viva...

Rossana                         - Distraiti... guarda... ( Ridicolmente civetta nella sua severa maschera di dolore). Lo «ai che non mi hai fatto più nemmeno una carezza?

Federico                        - (tace).

Rossana                         - Che non parli, quasi!? Non mi guardi?... (Chinandosi su di lui) Che ho dimenticato il sapore delle tue labbra?!

Federico                        - (alzandosi, scacciandola) Tu non sai che pensare a te stessa. Vattene! (La respinge con brutalità) Mi fai schifo!

Rossana                         - Federico!

Federico                        - Vattene, ti ripeto. O vuoi che ti butti, con le mie mani, fuori della porta?

Rossana                         - Federico, ti scongiuro, calmati, non sai più quel che dici...

Federico                        - Va' via...

Rossana                         - Un giorno ti pentirai...

Federico                        - Non ho paura di minacce. Esci!

Rossana                         - (piangendo) Vado, vado... me ne vado dav­vero! (Via).

Federico                        - (si affaccia alla porta, chiama concitato) Marco! (Poi fa uno sforzo palese, si riprende, con voce più calma) Marco! (Una pausa) Vieni qui, subito.

Marco                            - (di dentro, avvicinandosi) Vengo, vengo. (En­trando) Che cosa ti succede? Sei tutto sconvolto.

Federico                        - Niente, Marco, proprio niente... ma non farmi domande...

Marco                            - Forse, Rossana...

Federico                        - Lei non c'entra... oppure, sì... ma non è questo... Dopo tutto, a quest'ora, sa benissimo quali sono i miei pensieri a suo riguardo...

Marco                            - Insisti?

Federico                        - Insisto.

Marco                            - E tua moglie, che dice?

Federico                        - Non capisce, dice di non capire... nessuno capisce, tutti dicono di non capire...

Marco                            - Perché a te, forse, sembra facile orientarsi in questo labirinto di sensazioni malate e di idee fisse?

Federico                        - Io mi ci trovo benissimo. Ma smettiamola di polemizzare: la polemica non serve che a esasperarci, ambedue.

Marco                            - Questa è l'unica cosa vera che hai detta da quando ci siamo veduti. Le hai confessato la tua inten­zione di separarti legalmente?

Federico                        - No; ma credo che l'abbia capito...

Marco                            - Il suo dolore non t'interessa, dunque?

Federico                        - A me interessa soltanto il « mio » dolore.

Marco                            - Invece di esserle più vicino, invece di farle dimenticare col tuo affetto la tragedia di pochi giorni fa...

Federico                        - Perché tu credi che il dolore possa sof­frirsi insieme, collettivamente, come una gioia? Ma non c'è niente di più individuale, di più egoista del dolore, Marco.

Marco                            - Lo ammetto, riesco ad ammettere quanto tu mi dici. Ma essa è tua moglie...

Federico                        - « Era » mia moglie, fino a quando è stata la madre della mia bambina...

Marco                            - Ma non t'accorgi di bestemmiare?

Federico                        - Adesso è una donna qualunque, è una donna come ce ne sono tante altre... Rossana è un'estra­nea per me...

Mahco                           - E non senti nemmeno l'assurdità delle teorie che ti sforzi d'imbastire? E non capisci che nessuno potrà darti ragione?

Federico                        - Me ne infischio.

Marco                            - Ma la vita è fatta di sopportazioni reciproche, di aiuti, di mani tese, di buone parole... Come puoi pen­sare, sia pure per un attimo, di sottrarti alla tua respon­sabilità di uomo?

Federico                        - Io sono già fuori della vita, al disopra di essa, dentro la mia sola realtà che mi tiene imprigionato, ma saldo...

Marco                            - Imprigionato, dici bene. E fino a quando riu­scirai a sopportare una simile schiavitù?

Federico                        - Sempre.

Marco                            - Sei un illuso.

Federico                        - E allora lasciatemi illudere! E' così bello potersi illudere ogni tanto, e vivere a proprio piaci­mento!

Marco                            - Ascoltami, Federico. Tu devi promettermi di dire la verità. Me lo prometti?

Federico                        - Sentiamo...

Marco                            - No, devi prima promettermelo.

Federico                        - D'accordo. Promesso.

Marco                            - Quali sono le vere ragioni per cui vuoi la­sciare tua moglie? Che cosa si nasconde dietro tutta que­sta girandola di parole assolutamente fuori tono?

Federico i                      - Niente.

Marco                            - Che cos'è che non vuoi dirmi, a ogni costo?

Federico                        - E perché tu pensi che debba nasconderti un segreto? (Improvvisamente, afferrando Vomico per un braccio) Che cosa sai, tu? !

Marco                            - Federico!

Federico                        - Che cosa sospetti? Che cosa vuoi sapere, insomma? ^

Marco                            - Ma, Federico, lasciami... io veramente non ti capisco...

Federico                        - (lasciandolo) Non c'è niente - m'intendi? -assolutamente niente di quanto tu potresti immaginare...

Marco                            - Ne sono felice... per te... per Rossana...

Federico                        - (incuriosito, fermandosi davanti a Marco) Chi ti ha detto? Quando?

Marco                            - Ma io non so nulla: era una semplice sup­posizione...

Federico                        - Non farne più.

Marco                            - Come vuoi.

Federico                        - Perché, a volte, non volendo, gli uomini riescono a crearsi una propria atroce realtà di cui non sapranno liberarsi mai.

Marco                            - Come hai detto?

Federico                        - Vedo che l'asserzione t'ha colpito... che cosa volete, Francesca?

Francesca                      - (entrando) C'è un signore che desidera parlarvi. (Gli consegna un biglietto da visita) Gli ho detto che non eravate in casa; ma continua a insistere, dice che aspetterà magari fino a domani; ma che deve parlarvi, assolutamente.

Federico                        - E chi sarà mai? (Leggendo) Sergio Piovati. Non lo conosco. Ditegli che ritorni un altro giorno.

Francesca                      - Vi assicuro, signor ingegnere...

Marco                            - Se è per me; non fare complimenti...

Federico                        - No, rimani. (Alla cameriera) Fate entrare.

Francesca                      - Va bene, signore. (Via).

Marco                            - Una distrazione imprevista può sempre gio­varti.

Federico                        - Credi?

Sergio                            - (entrando, è pallidissimo, serio in volto e digni­toso) Permesso?

Federico                        - Vi prego, accomodatevi.

Sergio                            - L'ingegnere Federico Martelli?

Federico                        - Sono io... desiderate?...

Sergio                            - Io sono Sergio Piovati, e vi domando scusa se oso disturbarvi...

Federico                        - (presentando) Permettete? Il mio amico Marco Grati, il signor Piovati.

Marco                            - Fortunatissimo.

Sergio                            - Piacere.

Federico                        - Parlate pure: non ho segreti per il mio amico...

Sergio                            - So che è molto antipatico insistere, soprat­tutto dopo la vostra dichiarazione... ma ho bisogno di parlarvi da solo. (A Grati) Perdonatemi, signore.

Marco                            - Prego.

Federico                        - Aspettami, devo dirti ancora qualche cosa...

Marco                            - Va benissimo. Ciao. (Esce).

Federico                        - Dunque, signor...

Sergio r                         - Cercherò di essere molto breve... per quanto, vi assicuro, è molto difficile, per me, tentare di spie­garvi...

Federico                        - Ancora non mi rendo conto...

Sergio                            - Avete ragione; sarebbe, d'altronde, impos­sibile...

Federico                        - Spiegatevi.

Sergio                            - Subito. Ingegnere, la notte dell'ultimo dell'anno - notte particolarmente tragica per voi - avete ricevuto una sciocca telefonata...

Federico                        - (scattando in piedi, livido) Come sapete? Come potete sapere, voi?

Sergio                            - Abbiate pazienza un attimo, ve ne prego... ricordate le parole che vi furono dette attraverso il mi­crofono?

Federico                        - Se le ricordo... ma perché vi trovate immi­schiato in questa faccenda?

Sergio                            - Ve lo dirò immediatamente. Fu uno scherzo, come certo avrete capito, uno stupido scherzo fatto da nomini - a voi completamente sconosciuti e che non ave­vano, del resto, la ventura di conoscervi - che si erano illusi, per qualche secondo, di poter ritornare ragazzi.

Federico                        - Come sapete questo, voi?

Sergio                            - Questi ragazzi, meglio, questi uomini, hanno a lungo ripensato allo scherzo . capitato, oltre tutto, in un momento così drammatico della vostra esistenza - a un tratto hanno avuto il rimorso, non dico di aver smosso le acque del dubbio, tanto facili a intorbidarsi, ma certo di avervi dato un dolore...

Federico                        - (interrompendolo) Voi non sapete nem­meno in quale misura...

Sergio                            - Da quindici giorni non penso ad altro... scu­satemi: forse vengo a far sanguinare una ferita ancora troppo recente... ma come gentiluomo sentivo, e sento il dovere di chiedervi perdono e di chiedere perdono, pri­ma che a voi, alla vostra signora...

Federico                        - Così che... voi?!

Sergio                            - Proprio io... è un avvenimento che mi umi­lia, mi mortifica, mi rende nervoso... ho incominciato molto male il mio anno, ingegnere... stupidamente, diso­nestamente, come può essere stupido e disonesto soltanto un fanciullo.

Federico                        - Ma voi?!

Sergio                            - Io vi chiedo, signore, di dimenticare del tutto quella sciocca telefonata. A volte - mi son detto -basta un piccolo ciottolo a provocare una valanga... e non è forse così anche per i sentimenti?

Federico                        - Voi, proprio voi?!

Sergio                            - (alzandosi) Ingegnere, vi prego... mi guar­date con certi occhi!

Federico                        - (scoppiando a ridere) Oh! Questa, sì, che è buffa davvero... e ingenua, poi, ingenua come neanche un bambino - l'avete detto voi - riuscirebbe a pensarla.

Sergio                            - Non vedo il motivo perché...

Federico                        - State zitto, per carità... (Sempre ridendo) Voglio farvi anch'io uno scherzo abbastanza ridicolo, per lo meno altrettanto ridicolo come il vostro...

Sergio                            - Io credevo, venendo qui, di essermi umiliato abbastanza perché voi sapeste essere generoso...

Federico                        - Ma certo, ma certo... (s'affaccia alla porta, chiama) Rossana... Rossana... vieni qui, te ne prego. Ros­sana! E anche tu, Marco, vieni anche tu...

Sergio                            - Che cosa volete fare, dunque? Io sono venuto per parlare con voi da uomo a uomo e vi avverto che non potrei tollerare...

Federico                        - Vi ho pregato di tacere, amico mio...

Marco                            - (entrando) Mi hai chiamato?

Federico                        - Naturalmente, caro, e aspetta: adesso ci divertiremo per davvero!

Marco                            - (lo'vede molto eccitato, cercando di calmarlo) Sei allegro, mi sembra!

Federico                        - Tremendamente allegro. (S'affaccia di nuo­vo alla porta) Francesca, dite alla signorina Odile di ve­nire subito qui... e poi... lasciateci in pace. (Agli altri) Accomodatevi, ve ne prego: prendete posto dove vi sembrerà più opportuno. Ma dove sta mia moglie?

Rossana                         - (entrando) Eccomi. Che cosa succede?

Odile                             - (c. s.) Ho inteso fare il mio nome... mi cer­cavate?

Federico                        - Sì, sì, sì. Ho bisogno di testimoni, di molti testimoni... (Ferocemente, a Rossana, indicandogli Sergio) Riconosci quest'uomo?

Sergio                            - Ingegnere!

Odile                             - Mi sembra di vivere dentro un incubo.

Marco                            - Tacete: noi dobbiamo soltanto tacere.

Federico                        - (a Rossana, stupefatta) Riconosci quest'uo­mo? Conosci questo signore, chi è? Puoi dirlo con tutta franchezza: non ho segreti per nessuno, voglio – anzi -che tutti sappiano e possano giudicare... andiamo, parla: chi è, dunque?

Rossana                         - Io non capisco il motivo per cui tu mi fai una simile domanda... ma ti posso assicurare che è la prima volta che vedo questo signore.

Federico                        - Ah! sì, eh? (A Sergio) E anche voi, com'è logico, non conoscete la signora? E' questo che vorreste rispondere ?

Sergio                            - Per l'appunto. Ma vi prego, ancora una volta...

Federico                        - (terribile) Tacete, ho detto. (Agli altri) Mi spiego in un attimo. Voi siete qui come testimoni come giudici; ci sbrigheremo presto. Il processo inco­mincia... Dio, non ce la faccio proprio a continuare.

Rossana                         - Federico, è la prima volta che ti vedo così fuori di te.

Federico                        - No, non spaventarti, niente tragedie, nes­suna pazzia... ho la testa sul collo, io! Ebbene, bisogna decidersi a iniziare dalla fine: signori, vi presento... (A Sergio) Il vostro nome, scusate?

Sergio                            - Sergio Piovati... ma...

Federico                        - Sergio Piovati, Sergio Piovati e cioè... l'amante di mia moglie!

Rossana                         - Federico, impazzisci? (Urlando).

Odile                             - (avvicinandosi a Sergio) Sergio, è vero quello che ho inteso?

Sergio                            - Lasciami, Odile, o commetto davvero qual­che grossa bestialità...

Marco                            - Federico, ma sei pazzo ! !

Federico                        - Basta, basta, lasciatemi tutti solo! (S'ac­cascia su di un divano) Non è umano continuare così...

Sergio                            - Qui c'è indubbiamente un equivoco da chia­rire... e non permetto - capite anche voi, signore? che davanti a me e, per colpa mia, venga offesa una signora... io chiedo di spiegare...

Rossana                         - Che cosa volete spiegare, che cosa potete spiegare, voi? Quando siamo davanti a un uomo che s'è fitto in testa di portarmi alla disperazione o al suicidio! (A Federico) Non è vero, forse? Ma è troppo vile per agire apertamente contro di me... a colpi di spillo mi tortura, da quindici giorni, a piccoli ripetuti colpi di spillo! E adesso, la scenata, com'è nel suo carattere, con le più assurde invenzioni, con le più illogiche fantasie! Adesso mi spiego tutto: adesso capisco anche tanti episodi della nostra vita in comune...

Federico                        - Smettila, Rossana!...

Rossana                         - No, voglio continuare... dieci anni fa, un giorno, prima di sposare, sembrava che morisse... Ci preoccupammo tutti... caduto per terra, privo di sensi... Il medico parlò d'isterismo... eravamo esterrefatti. Poi mi confessò d'aver scherzato, perché voleva « rompere la monotonia della sua piatta esistenza ». E adesso ci risiamo: non sa reggere al dolore, lui! E allora si na­sconde dietro una teatrale ipocrisia che, in qualche mo­do, serve ad acquetarlo... sei mostruoso, Federico.

Marco                            - Anche voi, adesso, anche voi?!

Odile                             - Ma Sergio è il mio fidanzato ! (Piange).

Federico                        - Hai udito, Rossana? Hai udito? Questo non lo sapevi, ci scommetto! (Ride fragorosamente).

Sergio                            - Ma voi m'insultate atrocemente; e io vi chiederò ragione...

Federico                        - Di che cosa? Della mia felicità rubata, forse? Della mia vita sconvolta? Che cosa pretendete? Battervi? Uccidermi? Liberarvi di me? Se non è che per questo, io sono pronto a scomparire...

Rossana                         - Io chiedo a tutti il permesso di allonta­narmi...

Federico                        - No, no... non prima ch'io t'abbia detto...

Marco                            - (a Rossana) Fatevi animo, signora...

Odile                             - (a Marco) Reggetemi, credo che sto per svenire...

Federico                        - Vi siete accorti tutti, non è vero, che c'era in me qualche cosa di strano, d'insolito, qualche cosa che covava sotto la cenere? Ebbene, ora ne sapete il motivo-mentre Graziella moriva, mentre la mia bambina, il mio angelo ritornava al cielo, sua madre - dico sua madre -si andava consolando col suo amante!

Rossana                         - Ma questo è un sacrilegio...

Federico                        - Il tuo, sì, il tuo è un sacrilegio... mi avver­tono per telefono che mia moglie ha un amante, una voce sconosciuta, fredda, glaciale... (A Roisgana e a Ser­gio) Come avete saputo che la vostra tresca era stata scoperta? Forse Odile? Questa povera Odile che si vede anche lei tradita e allora corre ai ripari... stanno così le cose? Il giuoco è scoperto, dunque. Avete paura di quello che può accadere... ch'io indaghi, ch'io sappia, ch'io mi vendichi... e allora - con un supremo sdegno delle soffe­renze altrui - il gioco si complica ancora: si fingerà uno scherzo, si fingerà d'essere stati, loro stessi, le vit­time di uno scherzo malvagio...

Rossana                         - Sei pazzo, pazzo, pazzo!.,.

Sergio                            - Ma fate parlare anche me, ve ne scongiuro... ch'io possa almeno discolparmi, visto e considerato che mi trattate come un colpevole...

Federico                        - Assassino, assassino: perché avete ucciso tutto quanto di più caro conservava il mio cuore! E come un assassino che ritorni sul luogo del delitto, eccovi ora ipocritamente a costruire tutta un'invenzione ridicola, fanciullesca, ingenua...

Sergio                            - Io vi giuro, al contrario...

Federico                        - Ma che volete giurare!?

Sergio                            - Dovrò, allora, rimanere qui perché voi mi insultiate a vostro piacimento? Odile, ma perché non parli tu? Perché non dici all'ingegnere che tutto questo è un sogno, uno spaventoso sogno assolutamente al di fuori della realtà?

Odile                             - Ho paura, Sergio, che non mi crederebbe, tanto più che anche io non so...

Federico                        - Ben detto, la piccina! E come potrebbe essere in modo diverso?

Marco                            - Scusami, Federico; ma è necessario che il signore abbia la possibilità di spiegarsi...

Federico                        - Più tardi, più tardi...

Rossana                         - No, subito, ve ne prego, signore... fatelo per me.

Sergio                            - Subito, certo.

Odile                             - Anch'io te ne prego, Sergio...

Sergio                            - Ecco: la notte dell'ultimo dell'anno eravamo tra amici: s'incominciò a fare degli stupidi scherzi; si telefonava in giro : telefonammo, telefonai anche qui...

Rossana                         - Chi vi rispose?

Sergio                            - Vostro marito.

Rossana                         - Che cosa gli diceste?

Federico                        - Mi disse: «Vostra moglie ha un amante». Ma non era lui, non era lui, credetemi!

Marco                            - (a Federico) Lascialo parlare.

Odile ------------------ - Perché non m'hai detto niente, almeno a me?

Sergio                            - Mi vergognavo, mi vergognavo come un la­dro... voi vi rendete conto... uno sciaguratissimo scherzo capitato proprio in quella notte...

Marco                            - Andate avanti!

Rossana                         - Io mi sento morire. Che cosa vi rispose mio marito?

Sergio                            - Un urlo, soltanto con un urlo...

Rossana                         - E voi?

Sergio                            - Seppi come stavano le cose: poi, preso dal rimorso, dal rimorso d'aver offeso una povera madre ad­dolorata, vinto il mio stupido orgoglio di uomo, ho pre­ferito - oggi - confessare la mia piccola colpa... non vo­levo pensare, neanche lontanamente, che...

Rossana                         - E poi, signore?

Sergio                            - Più niente: la tempesta è scoppiata all'im­provviso, non appena mezza parola di verità è balenata come un lampo nel cervello di vostro marito.

Federico                        - Vi osservo da qualche minuto... siete molto divertenti: non mi sono mai divertito tanto in vita mia.

Marco                            - Si ricomincia daccapo, forse?

Odile                             - Oh! no, non potrei più sopportarlo...

Federico                        - (a Rossana) Avvicinati, cara, avvicinati al tuo uomo... smettetela, anche voi, con questa stupida ipo­crita freddezza. Andiamo, parlate: voglio sentire il vostro colloquio, come se io non ci fossi, come se io fossi na­scosto dietro una porta, all'insaputa di voi...

Sergio                            - Signora, io non saprò mai chiedervi perdono abbastanza...

Federico                        - « Signora ». Chiamatela Rossana: è più dolce, non trovate?

Rossana                         - Non ascoltatelo, signore...

Federico                        - Signore? Sergio, Sergio... hai forse dimen­ticato il suo nome?

Marco                            - Basta, Federico, che fai?

Federico                        - Voglio vederli al naturale, una volta per sempre: via, Piovati, raccontate a mia moglie: spiega­tele...

Sergio                            - Signora... credo...

Federico                        - (urlando) Rossana, vi ho detto... e datele anche del tu... ve lo ordino, capite?

Sergio                            - Io non ricevo ordini da nessuno...

Federico                        - (a Rossana) Ma tu, sì, non è vero? Tu mi conosci: o volete assistere sul serio a una tragedia?

Marco                            - Ve ne prego, assecondatelo.

Odile                             - Sergio, sii buono... ho tanta paura...

Sergio                            - Rossana: avrai capito, spero...

Rossana                         - Sergio... (Scoppia in singhiozzi) Ma io non sono una marionetta nelle sue mani!

Federico                        - E' inutile, è inutile, voi non sapete essere sinceri: sapete soltanto mentire... sapete soltanto met­tervi la vostra solita maschera di gente per bene...

Rossana                         - Federico, ascoltami...

Federico                        - Non più, mia cara... non più (Avvicinan­dosi alla porta) ... ma avrete presto mie notizie. Guai a te! Guai a voi! (Esce, ridendo. Sergio e Rossana si guardano inebititi, poi...).

Rossana                         - (a Sergio, prendendolo per un braccio) Svegliatemi voi, svegliami, tu... Sono stata davvero la tua amante?

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(La stessa scena del primo atto: verso il tramonto).

Adriana                         - Ma no, Sergio: tu non puoi partire, così, all'improvviso, senza dirle nemmeno una parola... E' atroce, soltanto il pensarlo... e, soprattutto, inspiegabile... lei non ha fatto niente per meritarsi quest'altra sofferenza... e tu, che cosa puoi risolvere tu con una fuga?

Sergio                            - Finirai con l'accusarmi di cattiveria, Adriana... non fuggo, no, non fuggo davanti a nessuno; ma cerco di liberarmi, di respirare... basta, lasciamo questo di­scorso... Intanto sarei curioso 'di sapere come hai fatto a diventare amica di quella donna...

Adriana                         - Parli di Odile?

Sergio                            - Già...

Adriana                         - E allora non dire « quella donna » : è una frase antipatica, prima di ogni cosa, e poi stona male­dettamente col tuo carattere... una volta non perdevi mai la linea, Sergio...

Sergio                            - Però non m'hai ancora risposto...

Adriana                         - Ripetimi la domanda: non ricordo più.

Sergio                            - (sorridendo) Sei prepotente. Dicevo: come hai fatto a diventare amica di Odile?

Adriana                         - Adesso andiamo d'accordo. E' una cara bambina, lei: non è proprio, ancora, una donna. Mi sono avvicinata a lei molto semplicemente: ritornando anche io alla felice età delle trecce sul collo e dei ginocchi scoperti...

Sergio                            - (canzonando) « Bambina, vuoi giocare con me? ».

Adriana                         - E perché no? Qualche cosa di simile... inutile fare gli scettici... noi grandi abbiamo complicato stupidamente la nostra esistenza...

Sergio                            - Che buffo. Noi grandi!...

Adriana                         - Sì, e non c'è niente da ridere. Abbiamo bisogno di presentazioni di smorfie, di inchini, di false intimità, d'ipocrisie convenzionali... e, dopo tutto que­sto, gli uomini arrivano all'ineffabile sincerità di nascon­dere a tutti gli altri il meglio di loro stessi...

Sergio                            - Stai diventando amara... forse la colpa è mia, perdonami.

Adriana                         - Se mi conoscessi meglio, sapresti che lo sono sempre stata, almeno in parte.

Sergio                            - Dunque?

Adriana                         - Dunque... è stato facilissimo, te l'ho detto... incontro Odile in un negozio, qualche giorno fa: lei non m'ha visto. Io l'osservo: era immusonita, triste, abbat­tuta, proprio come una bambina che si senta esclusa dal giuoco. E allora, in questo giuoco più falso e banale che si chiama la vita, sono andata vicino a lei, l'ho presa «otto braccio, le ho sorriso, le ho detto : « Buon giorno, Odile. Come stai? Vieni a fare due passi con me?...

Sergio                            - E' inutile, l'ho sempre detto, sei una donna intelligente !

Adriana                         - Grazie. Ma fammi continuare, possibilmente senza adularmi. Odile...

Sergio                            - Dimmi, sì, che cosa disse Odile?...

Adriana                         - Mi cadde piangendo Ira le braccia come se io fossi stata una sua vecchia amica: le sue ultime la­grime; poi, t'assicuro, non ha pianto più.

Sergio                            - Sentiamo, adesso, la cronaca dei due passi...

Adriana                         - Incominci a interessarti? Meno male... i soliti due passi della disperazione che a poco a poco si stempera e cade. Credo che la prigione sia terribile proprio per questo: perché i prigionieri non hanno più la possibilità di fare due passi...

Sergio                            - Diventi acuta, anche... dove hai letto queste storie?

Adriana                         - Come? Nella « Storia della mia vita » di Adriana Turri: un libro interessantissimo. (Ironica, can­zonando) Voi lo sapete, o signore; la mia vita è un romanzo.

Sergio i                          - Cosa ti disse?

Adriana                         - Odile?

Sergio                            - Sì, Odile: è di lei che stiamo parlando.

Adriana                         - Mi raccontò tutto... con calma, con serenità, quasi con gioia... ma certo che il tuo tempestoso collo­quio in casa Martelli l'aveva sconvolta da cima a fondo...

Sergio                            - Perché non ha fede, ecco!

Adriana »                      - Non diciamo cose grosse, piuttosto... si riap­pacificò subito, con se stessa e con gli altri... la sua voce tremava, quando disse... « Sergio, forse, non vorrà più vedermi... ».

Sergi»                            - Ma perché?!

Adriana                         - E' quello che le dissi anch'io... « tu non co­nosci quell'uomo - le dissi - ma è il miglior uomo che esista nel mondo... ».

Sergio                            - Non scherzare, Adriana... non scherzare, te ne prego...

Adriana                         - I tuoi complimenti mi pesavano... non aspettavo che la buona occasione per restituirteli al più presto...

Sergio                            - E di lei, di lei che cosa mi dici?

Adriana                         - (diventando seria) Puoi credermi, Sergio: quando una donna come me dà certi giudizi di una donna come lei, puoi stare tranquillo: non sbaglia mai.

Sergio                            - Ebbene?

Adriana                         - E' un'ottima ragazza, giudiziosa, intelli­gente, seria, veramente capace di renderti felice...

Sergio                            - Credi? Credi ancora a queste cose? Credi davvero a certe inutili ridicole cose?

Adriana                         - Ne sono convinta. Il suo unico torto è stato quello di fare delle pazzie per un tipo come te...

Sergio                            - Che cosa ha 'detto? Che avrebbe voluto ve­dermi? Sii sincera...

Adriana                         - No, al contrario: ha detto che non voleva vederti più.

Sergio                            - Scherzi?

Adriana                         - No, dico sul serio: allora l'ho pregata di venire con me.

Sergio                            - E lei? Ma perché hai fatto questo? Perché... forse era meglio lasciare che il tempo...

Adriana                         - Lei mi ha risposto, testualmente: «Non verrò per tutto l'oro del mondo ».

Sergio                            - E allora? Lo vedi... avevo ragione io.

Adriana                         - (sorridendo) E allora è venuta, tranquilla­mente, serenamente, innamoratamente.

Sergio                            - Odile? Invece di...?

Adriana                         - Ma certo... è di là... e non aspetta che di sentire la tua voce...

 Sergio                           - Odile, Odile... (Sta per avviarsi verso la porta).

Adriana                         - (trattenendolo) Aspetta, Sergio: sei sicuro, anche adesso, di volerle ancora bene? Di non darle, poi, una delusione che sarebbe peggiore di qualsiasi abban­dono? Pensaci, Sergio...

Sergio                            - Io non capisco; ma perché mi fai certe do­mande? Spiegati, Adriana...

Adriana                         - Forse non tocca a me... voglio credere nella tua sincerità... Ma bada... Odile non riuscirebbe a sop­portarlo.

Sergio                            - Ma che cosa, Adriana?!

Odile                             - (sulla porta) Buon giorno, Sergio.

Sergio                            - (parlando molto, per nascondere il suo turba­mento) Mia cara, mia buona, mia piccola Odile... (La bacia).

Adriana                         - (infilandosi i guanti) Questi spettacoli sono particolarmente sgradevoli, per me... io vi saluto...

Sergio                            - Adriana, devi restare, preferisco che tu stia con noi... Anche Odile te ne prega.

Odile                             - Naturalmente. C'è forse bisogno di dirlo? Resta, Adriana, ho ancora tante cose da raccontarti.

Adriana                         - (sorridendo) Raccontale a lui, ora: sarà molto meglio. Io vi ringrazio, amici; ma ho molta fretta. Con voi si perde un sacco di tempo prezioso.

Sergio                            - Ritornerai presto, almeno?

Adriana                         - Non lo so, Sergio: ci telefoneremo. Mi te­lefonerai, almeno, prima di partire...

Odile                             - Partire? Chi è che parte?... Ma io voglio rivederti, ancora, Adriana... spero che diventeremo ami­che... lo desidero.

Adriana                         - Grazie, cara... ma forse sarà meglio la­sciare le cose al punto in cui si trovano. Oh! immagina, tu mi rendi felice soltanto a propormi, così sinceramente, la tua amicizia: ma ho paura, vedi, ho paura che tu non potresti giovarti in nessun modo dell'amicizia di questa povera Adriana, sbagliata dal principio alla fine...

Sergio                            - (annoiato) Adriana, in casa mia non ti per­metto, davvero, certi discorsi...

Adriana                         - (con le lagrime agli occhi) Ed è per questo che me ne vado via; voglio rimuginarmeli da sola a sola...

Odile                             - Che donna impagabile!

Adriana                         - Non è mica vero, sai? Anzi... scusami, Odile. E arrivederci. Qua un bacio.

Odile                             - Molto volentieri. (S'abbracciano).

Adriana                         - Arrivederci anche a te, Sergio... e buona fortuna !

Sergio                            - (accompagnandola alla porta) Questa è la medesima frase che mi dicesti tre anni fa... da allora non t'ho più riveduta... vuol significare un addio, anche questa volta?

Adriana                         - Chissà. (Uscendo) Arrivederci, amici...

Odile                             - Non so perché, Adriana mi commuove...

Sergio                            - Perché è una donna che agisce e parla sem­pre col cuore in mano... una cara ragazza!

Odile                             - Intelligente, umana...

Sergio                            - E soprattutto di una tenerezza fraterna. Sei contenta, Odile?

Odile                             - Felice.

Sergio                            - Che cos'è la felicità?

Odile                             - Quella che io sto provando fra le tue braccia... (Sospirando) Se tu sapessi quanto ho sofferto, Sergio?

Sergio                            - L'immagino; ma non parliamone più.

Odile                             - No, Sergio: mancherei alla mia sincerità se non ti domandassi... Posso? Posso domandarti qualunque cosa?

Sergio                            - Ma certo... non esistono, non devono esistere segreti fra noi due... di qualunque cosa si tratti... te ne prego, anzi...

Odile                             - Dimmi, allora... la signora Martelli...

Sergio                            - Ancora lei!...

Odile                             - Non interrompermi... non saprei più conti­nuare: mi risponderai alla fine... la conoscevi davvero? E' stata davvero la tua amante? Non mentire, Sergio... guarda... preferisco che tu mi dica la verità... ma non saprei resistere a un'altra menzogna...

Sergio                            - Tu... mi parli così... proprio tu! Ma di quale menzogna mi accusi?

Odile                             - Non inquietarti, Sergio... rispondimi, piut­tosto; perché sei rimasto perplesso? Perché pensi ancora alle parole che dovrai dirmi? Rispondimi, su: che cosa c'è stato fra te e lei?

Sergio                            - Ma niente, niente, capisci? Come devo fare perché tu non abbia più dubbi? Che cosa devo dirti per essere credulo?

Odile                             - La verità, Sergio, soltanto la verità...

Sergio                            - Ebbene : è questa la verità... questa sola­mente... quella donna non è niente per me, io non la conosco... non voglio nemmeno pensarci più... A tradi­mento è penetrata dentro la mia vita... Ma io, Odile (credo di non avertelo mai detto in questo modo)... ma io li amo...

Odile                             - Ne sei sicuro?

Sergio                            - Non mi credi, non mi credi più... ebbene... guarda... se te ne do una prova mi crederai? Se riesco a farti dimenticare... tutto quanto... noti avrai più dubbi? D'accordo?

Odile                             - D'accordo.

Sergio                            - (con sforzo) Facciamo, allora, che so? Ecco qui: un programma di viaggio.

Odile                             - Vuoi fuggire?

Sergio                            - Sì, voglio sottrarmi a questo stato di cose... e allora... si parte.

Odile                             - Quando?

Sergio                            - Al più presto.

Odile i                           - Insieme?

Sergio                            - Solo un minuto fa avrei giurato di voler partire da solo... ma, invece, insieme, naturalmente...

Odile                             - Per dove?

Sergio                            - A te la scelta: dove vorrai.

Odile                             - (civettuola) Capri?

Sergio                            - No, no...

Odile                             - (c. s.) Val d'Aosta?

Sergio                            - No, no, più lontano: questa volta si parte davvero. Non indovini?

Odile                             - E come potrei?

Sergio                            - Non indovini davvero? Vorrei accompagnarli a casa tua...

Odile                             - A casa mia?!...

Sergio                            - Sì, a casa tua!...

Odile                             - ...dai miei... e poi, lasciarmi lassù?

Sergio                            - Io invece stavo pensando... guarda che idea!...

Odile                             - Sentiamo.

Sergio                            - Qua! è il miglior albergo del tuo paese, Odile?

Odile                             - Mah! Il Grande Albergo, credo...

Sergio                            - Benissimo. Ascoltami, allora: si scende al Grande Albergo, non appena arrivati. Il tempo di cam­biar d'abito e poi tu telefoni a casa: «Pronto, pronto. Parla la signora Piovati...

Odile                             - Come hai detto?

Sergio                            - Lasciami parlare. «Sì, la signora Piovati. Come? Non la conosci? Ma sono io, mamma, la tua Odile... ». La povera donna resterà sbalordita.

Odile >                         - Più di me in questo momento?

Sergio                            - Non so : può darsi.

Odile                             - Non credo: sento la terra aprirsi sotto i miei piedi.

Sergio                            - Non temere. Sei fra le mie braccia: resterai sospesa nell'aria, come per miracolo.

Odile                             - Oh! Sergio, questo mi ripaga 'di tutte le la­grime versate!

Sergio                            - Lagrime? Lagrime? Esistono forse ancora delle lagrime?

Odile                             - Ci sono rimaste soltanto quelle di gioia, or­mai. Amore! (Lo bacia).

Sergio                            - (pensieroso) Tutto questo è così strano! Così indipendente dalla mia volontà! Così ridicolo!... (Ripren­dendosi) Scusa... ma bisognerà che tu lasci immediata­mente casa Martelli, non è vero? Subito, al più presto...

Odile                             - (sospirando) Certo... oh! T'assicuro che non ne vedevo l'ora!

Sergio                            - (ridiventando serio) Come vanno le cose lassù?

Odile                             - Male.

Sergio                            - Sempre peggio?

Odile                             - Sempre peggio, se ciò è ancora possibile: pensa che l'ingegnere non è mai in casa...

Sergio                            - Dove va?

Odile                             - Nessuno può saperne niente: entra, riesce, si assenta per delle giornate intere. Non parla con anima viva... figurati, nemmeno con me...

Sergio                            - E la signora?

Odile                             - La signora mi fa una pena infinita: come quando, per isbaglio, si arresta un innocente, e allora, questi, tanto si macera nel dubbio e nella sofferenza dell'ingiustizia patita che alla fine, certe volte, confessa al giudice: «Ebbene, sì, sono stato io». Credo che se la lasciassero parlare, la signora Martelli si comporterebbe in egual modo...

Sergio                            - Forse sei eccessiva...

Odile                             - Ma no, sono convinta di quello che dico... la signora Rossana è ridotta l'ombra di se stessa... prima era così serena, affabile, felice... adesso scontrosa, impe­netrabile, tormentata come se davvero avesse qualche grosso peccato sulla coscienza...

Sergio                            - Ciò che mi dici m'intristisce enormemente... se penso che per colpa mia...

Odile                             - Andiamo, smettila ora con questi rimorsi del tutto fuori posto... o almeno fuori tempo...

Giuseppe                       - (entrando) E' permesso?

Sergio                            - Avanti, Giuseppe. Che cosa c'è di nuovo?

Giuseppe                       - C'è di là l'avvocato Paolo Coralli. Debbo farlo aspettare?

Sergio                            - No: digli che venga subito.

Giuseppe                       - Va bene, signore. (Esce).

Odile                             - Io me ne vado.

Sergio                            - Non vedo la ragione di tanta fretta.

Odile                             - Si vede che non sei stato mai tanto felice come me: ho proprio bisogno di sentirmi sola.

Paolo                             - (entrando) Caro Sergio. Buon giorno, signo­rina.

Odile                             - Buon giorno, avvocato. Mi trovate sempre Che sto per fuggire, non è vero?

Paolo                             - (galante) Colpa del mio amico, mi sembra, che non sa conservare in luogo sicuro simili tesori...

Odile                             - Se incominciate a farmi dei complimenti sono costretta ad andarmene anche prima del previsto... Ciao, Sergio; ti telefonerò nel pomeriggio, va bene?

Sergio                            - D'accordo.

Odile                             - Arrivederci, avvocato.

Paolo                             - Arrivederci, signorina. Buone cose.

Odile                             - Grazie. (Esce).

Sergio                            - Come mai da queste parti e a quest'ora?

Paolo                             - Esco dal tribunale... ho inteso strane chiac­chiere sul tuo conto e allora ho pensato che forse sarebbe stato opportuno metterti al corrente.

Sergio                            - Di che cosa?

Paolo                             - La solita storia.

Sergio                            - Martelli? La signora Martelli? La famiglia Martelli? II «caso» Martelli?

Paolo                             - Per l'appunto: l'ingegnere fa causa di sepa­razione legale. S'è rivolto a un mio amico - ma tu devi conoscerlo, credo: ma sì, lo conosci - è l'avvocato Benso...

Sergio                            - Ebbene? Che cosa c'entro io?

Paolo                             - Oh! Dal punto di vista giuridico, diciamo così, proprio niente: sei al di fuori della legge; non ci sono prove contro di te...

Sergio                            - E allora? Ah! Ma solamente perché non ci sono delle prove?! Siamo a questo?

Paolo                             - Purtroppo... Martelli ha tirato fuori una lunga sequela di motivi... ma poi va dicendo a tutti che la vera causa sei tu, proprio tu, Sergio Piovati, in quanto ria­matissimo amante di sua moglie, la bella signora Ros­sana!

Sergio                            - Dica quello che vuole... sono cose che non mi riguardano...

Paolo                             - Intendiamoci... bisogna distinguere...

Sergio                            - Scusami... sono o non sono, io, l'amante della signora Martelli?

Paolo                             - Chi lo sa? Questo è l'unico problema da dimostrare. Tu potresti dirmi che anche io ero presente la sera famosa dell'ultimo dell'anno... ma io ti rispondo: « Sì, è vero, t'ho visto sbiancare in volto proprio quando hai saputo che si trattava di casa Martelli... ». E con questo? Che valore può avere tutto ciò?

Sergio                            - Incominci ad avere dei dubbi anche tu?

Paolo                             - Non dico questo; ma - in ogni caso - il più piccolo dei dubbi o anche il più grosso sarebbe legit­timo e lecitamente autorizzato.

Sergio                            - Credi?

Paolo                             - Ne sono convinto... come ne sono convinti tutti quelli che stamattina, in tribunale e fuori, parlavano «dell'elegante questione giuridica ».

Sergio                            - Elegante un corno.

 Paolo                            - Sono modi di dire... anche Claudio - Ilio visto ieri sera mi domandava : « Ma siamo sicuri noi che Sergio?... ».

Sergio                            - Ma perché non se ne ritorna al Congo quell'idiota? Lo sai che cosa ti dico, Paolo? Lo sai che cosa penso?

Paolo                             - No.

Sergio                            - Ebbene: stammi a sentire. Che sono stufo e arcistufo di tutta questa ridicola storia e che se non la smettono di darmi noia, sarò io a querelare l'ineffabile ingegner Martelli per diffamazione: mi capisci?

Paolo                             - Oh! per capirti, ti capisco, stai tranquillo; ma capisco anche che questo sarebbe il modo meno ac­concio per salvare la reputazione di quella povera si­gnora che tu, c'è poco da dire, amante o no, hai fatto trovare in questo ginepraio...

Sergio                            - Sei venuto per offendermi?

Paolo                             - Non prenderla su questo tono, Sergio; ma esiste un'opinione pubblica alla quale noi dobbiamo pure rendere conto...

Sergio                            - (interrompendolo) Di che cosa? Dei nostri scherzi? Dei nostri sogni? Dei nostri pensieri? Delle nostre idee fisse? E che cosa posso saperne, adesso, io se la signora Martelli non ha davvero un amante? E si giova di me, si nasconde dietro di me, inganna il marito con la scusa di questo imprevisto Sergio Piovati?

Paolo                             - Non sei un gentiluomo, mio caro : non ti riconosco più. Soltanto una grande eccitazione può farti pensare simili assurdità.,

Sergio                            - E allora? Dovrò aspettare che tutti m'insul­tino per dimostrare d'essere un gentiluomo? Ma fatemi il piacere, Paolo, tu e gli altri...

Paolo                             - Come vorrai, Sergio...

Giuseppe                       - (entrando) Scusatemi, signore.

Sergio                            - Di' pure.

Giuseppe                       - Il signor Marco Grati desidera parlarvi.

Paolo                             - Marco Grati? E chi è?

Sergio                            - So ben io chi è questo tipo. Ma che cosa può volere da me? Digli che favorisca, Giuseppe... (Giu­seppe via).

Paolo                             - Io me ne vado.

Sergio                            - Ma nemmeno per sogno : devi essere pre­sente al colloquio; questo signore - indovina chi è? è quel famoso amico dell'ingegner Martelli...

Paolo                             - Ah!

Sergio                            - Dunque, non muoverti.

Marco                            - (entrando) E' permesso?

Sergio                            - Avanti, avanti, signor Grati... a che cosa debbo l'onore? Permettete che vi presenti l'avvocato Paolo Co­ralli...

Paolo                             - Piacere.

Marco                            - Fortunatissimo. Non so se 'debbo parlare da­vanti all'avvocato...

Sergio                            - Ma certo: è il mio migliore amico e - da questo momento - anche il mio legale.

Marco                            - Ah! Benissimo, signor Piovati.

Paolo                             - Accomodatevi.

Marco                            - Grazie.

Sergio                            - Vi ascolto.

Marco                            - Ecco, signor Piovati: mi accade una cosa molto buffa. Sempre per quanto riguarda le famigerate fantasie di casa Martelli.

Sergio                            - E allora, scusatemi se v'interrompo, ma noti m'interessano per niente...

Marco                            - V'interessano, invece, v'interessano e come! Devono interessarvi per forza... voi siete stato - vorreste negarlo? - e continuate a essere la causa principale, l'unica causa - direi - di tutto questo imbroglio...

Sergio                            - Siete venuto per mettermi a parte di una così brillante scoperta? Ve ne dispenso.

Marco                            - No. E l'ironia è del tutto inutile. Ma per dirvi, piuttosto, che non mi sembra giusto che altri ci vadano di mezzo, quando una vostra parola sincera...

Sergio                            - Anche voi, dunque, mi accusate di ipocrisia?

Marco                            - Non dico questo... capisco, capisco che un gentiluomo, in certi casi senta il dovere nobilissimo -di tacere e negare... ma ormai il giuoco è scoperto, la signora Martelli - il suo nome, per meglio dire - messo sulla piazza, discusso, commentato, ridicolizzato... E voi, dunque, che cosa aspettate a confessare?

Sergio                            - (alzandosi in piedi) Signor Grati, vi ricordo che siete a casa mia...

Marco                            - Sta a voi di non farmelo dimenticare...

Paolo                             - Permettete, forse io non c'entro... ma d'al­tronde il mio amico ha preteso ch'io fossi presente al colloquio e non, almeno immagino, per stare zitto come una mummia. (A Grati) Dicevate al principio, signor Grati - se non ho mal compreso - che eravate venuto per raccontare una buffa avventura nella quale vi trove­reste o temereste di trovarvi, invischiato... Ma ora, invece, si divaga maledettamente: e non so con quanto equilibrio di questa straordinaria conversazione. Veniamo ai fatti, prego.

Sergio                            - E forse sarà molto meglio; ma vi prevengo che non voglio udire ulteriori apprezzamenti sul mio conto. Vi va?

Marco                            - Volentieri. Dunque: due ore fa vado a tro­vare Martelli. Mi riceve cortesemente, affettuosamente, come il solito.

Paolo                             - Concludere, concludere, prego.

Marco                            - Era necessaria anche la premessa della cor­tesia iniziale.

Paolo                             - Perché? Più tardi - forse - vi trattò in ma­niera poco cordiale?

Marco                            - Bestiale, addirittura, dovete dire bestiale... con urli strepiti, minacce, occhi roteanti e accorrere di gente...

Sergio                            - Ma perché non raccontate?

Marco                            - Subito. Gli annuncio la mia partenza, decisa per domani mattina. Tra parentesi, ho alcuni affari molto urgenti da sbrigare, di natura commerciale. Mi fa : « E quanto tempo resterai fuori? ». «Non so - dico - due, tre, al massimo quattro mesi... ». Mi guarda, sogghigna, si mette a ridere, mi afferra per un braccio, mi dice, ma urlando, proprio come un pazzo: «Dunque, mi sfuggi? Te ne vai anche tu? Hai paura, anche tu, della mia vendetta? E Rossana dove, quando, come ti raggiungerà, allora? ». Io naturalmente, cado dalle nuvole: e Federico approfittava del mio stordimento.

Paolo                             - In che modo? Su, raccontate, sbrigatevi: tutto ciò è molto interessante.

Marco                            - Vi sembra?

Sergio                            - Interessantissimo.

Marco                            - Mi -dice a un tratto - ma con gli occhi fuori delle orbite, vi assicuro, da mettere spavento - e con una voce che non gli conoscevo: «Dimmi, confessa, sei stato tu, sei tu l'amante di Rossana? ». Che cosa avreste fatto al mio posto, signori?

Paolo                             - Voglio sperare che avrete negato, almeno.

Marco                            - Certo. Ma lui, invece di calmarsi, incalzava: « confessa, confessa ripeteva -, lei, magari, non avrà voluto; ma tu, dimmi... ma tu, vecchio mascalzone, quanto tempo l'hai insidiata, e come, e forse lei ne soffriva? E allora la telefonata è stata un'idea tua, una tua sudicia vendetta?! Confessa».

Sergio                            - Anche questa volta, penso, avrete detto di no.

Marco                            - - Naturalmente; ma era tutto inutile. A poco a poco, si calma; scoppia in una grassa risata e mi dice: «Vattene, vattene, puoi partire; ma io, capisci?, non voglio vederti più ». Mi ha scacciato di casa come un ladro.

Paolo                             - Molto strano, in verità. Ricapitoliamo: l'idea, la notizia improvvisa della vostra partenza, fa entrare quell'uomo in un nuovo ordine di idee: che voi siate, proprio voi, l'amante di sua moglie e che vi disponiate a sfuggire le sue vendette. Non è così, forse?

Marco                            - Esattamente così.

Sergio                            - Ma allora, scusatemi, che cosa c'entro più io in questa losca faccenda di agitati e di irrecuperabili?

Marco                            - C'entrate, c'entrate e come... io mi son detto: « Sergio Piovati, s'è un gentiluomo... ».

Sergio                            - Lo mettete in dubbio, allora?

Marco                            - Scusatemi, mi correggo. Siccome Sergio Pio­vati è un gentiluomo...

Sergio                            - Meno male, grazie.

Marco                            - Non potrà certo permettere che, al suo posto, venga adesso a trovarsi un innocente. Se ha qualche cosa da confessare, confesserà.

Paolo                             - E invece...

Sergio                            - E invece, purtroppo, dico pur-trop-po, non ho niente da confessare: questa è la tragedia. Sentite, Grati: non voglio più farmi sangue cattivo... non voglio nem­meno offendermi per quanto avete avuto l'amabilità di dirmi...

Marco                            - Nella foga del discorso, forse...

Sergio                            - Niente, niente... ma vi assicuro, vi giuro sulla mia parola d'onore, che io, prima di quel giorno fatale, non avevo mai visto la signora Martelli, non avevo mai parlato con la signora Martelli, e la signora Martelli ignorava la mia esistenza.

Paolo                             - In tribunale si mormorava che la signora Martelli frequentasse con eccessiva assiduità la tua casa...

Sergio                            - Menzogne: la signora Martelli non è mai stata in questa casa...

Giuseppe                       - (entrando) Signore, la signora Martelli desidera parlarvi.

Sergio                            - Lei? Proprio adesso? Un momento, Giu­seppe.

Giuseppe                       - Bene, signore. (Via).

Marco                            - (ironico) Quando è così, io me ne vado, Piovati.

Paolo                             - Anch'io, naturalmente...

Sergio                            - Sì, sì, sì,... vi spiegherò poi... Che strana coincidenza!

Paolo                             - Ciao, Sergio.

Marco                            - I miei ossequi.

Sergio                            - Addio, addio... (Via i due) Però... (Affaccian­dosi alla porta) Avanti, avanti, signora... (A Rossana che entra) Non ci mancavate che voi... avanti... scusa­temi, sono aggressivo; ma il fatto che tutta casa Mar­telli, a poco a poco, si stia trasferendo dentro queste mura, vi assicuro, mi riempie di terrore... entrate, en­trate... non ho più segreti per nessuno... sono limpido e trasparente... io sono entrato improvvisamente nella vostra vita, per un attimo... e, improvvisamente, voi tutti, entrate a mano a mano nella mia esistenza per non lasciarmi più... è giusto, è umano, è necessario, è soprattutto esasperante... sì, esasperante... Ma parlate, ve ne prego, non fate caso a me, alla mia agitazione... voi avete qualche cosa da dirmi, non è vero? Parlate...

Rossana                         - Oh!, sì, tante cose da dirvi... ma così diffi­cili, così mie, personali, eppure - nel medesimo istante già un po' vostre... Come spiegarvi? Non riuscirò mai a ricordare le semplici parole che ho tanto rimuginato den­tro me stessa in tutti questi ultimi giorni...

Sergio                            - Anche voi? Anche voi siete schiava di pen­sieri e di parole che vi sfuggono dalla mente all'improv­viso, come se qualcuno vi passasse un rapido colpo di spugna? Anche voi andate vagando in un labirinto di specchi che riflettono da tutte le parti - ossessionata-mente la vostra infinita stanchezza? Non è vero, forse? Non è così, signora? Ma perché non parlate?

Rossana                         - Tutto quello che mi sale alle labbra - ve­dete - mi sembra che non abbia nessuna importanza, nessuna affinità con quello che invece, dovrebbe essere il nostro colloquio...

Sergio                            - Dovrebbe? Perché dovrebbe? Chi può volere e pretendere che noi diciamo - contro la nostra precisa volontà - le parole e le frasi che andiamo pronunciando?

Rossana                         - Non so... vedete... io sapevo, sapevo perfet­tamente che la mia visita - dopo un primo attimo di smarrimento la mia visita qui, in questa casa, non vi avrebbe recato nessuna meraviglia...

Sergio                            - Temevo, piuttosto, temevo la vostra visita... questo, sì... oscuramente temevo qualche cosa... presentivo che qualcuno sarebbe venuto, inatteso, a districare l'im­broglio di parole e di pensieri che, dentro di me, cercano di nascondersi a vicenda... e, a un tratto, siete venuta voi...

Rossana                         - Ma è come se mi svelaste a me stessa... oppure, come se i miei pensieri si proiettassero miraco­losamente dentro di voi a trovarvi una forma e una voce definitiva... dite, ve ne prego, ditemi ancora...

Sergio                            - Se non pensassi di sembrare ridicolo vi direi, sì, che avete dato un volto al mio rimorso... ma è troppo tardi, ormai... vi ascolto... il vedervi qui, davanti a me, con questi vostri occhi opachi dal dolore, mi mette addosso un tale nervosismo...

Rossana                         - Capisco : avete ragione, ma era necessario ch'io avessi parlato con voi. Ho cercato di resistere, non volevo venire; pensavo che fosse inutile: ma poi, in­vece... voi solo potete aiutarmi, Piovati.

Sergio                            - Io lo vorrei davvero... ma non vedo ancora la maniera vi giuro - di venirvi incontro... di poter dissi­pare... di rompere questo cerchio che ci brucia attorno...

Rossana                         - (improvvisamente) Lo sapete, Piovati, lo sapete - voi dovete saperlo - che 'da quel giorno io mi sento veramente colpevole? Come se tutte le accuse cadute sulle mie povere spalle avessero un fondamento reale, come se - da quel giorno - io avessi incominciato a peccare...

Sergio                            - E' strano tutto ciò...

Rossana -                      - Non so spiegarvi, non so spiegare neanche a me stessa. Non come se avessi incominciato a peccare, no; ma, ecco, come se l'accusa, a un tratto, per inspie­gabile prodigio, m'avesse resa - come dire? - peccatrice di un peccato che io forse andavo commettendo senza rendermene conto, senza averne coscienza... come se io avessi - fino allora - peccato in sogno e poi, d'improvviso sveglia, mi accorgevo che quel sogno si traduceva in una immediata, brutale realtà. Da qui il mio grido - ricor­date? - da qui il mio spasimo interiore per cui ho perduto la calma, la serenità, la fiducia nella mia vita e nei miei atti normali. Adesso - vedete? - non sono più nemmeno certa d'essere stata o di continuare a essere una donna onesta. Forse ha ragione Federico, forse hanno ragione tutti gli altri : e la mia innocenza, allora, non sarebbe che una tremenda forma d'ipocrisia.

Sergio                            - Ma tutto questo è assurdo: ognuno di noi deve vivere la propria vita, senza curarsi degli estranei alla nostra esistenza. Noi non possiamo fare il giuoco, lecito o illecito, del primo Che passa o della persona - magari - che ci sta più vicina; ognuno di noi deve proseguire per la propria strada, incorruttibilmente.

Rossana                         - Parole, parole, caro amico... Anch'io seguivo la mia strada, tranquilla, fiduciosa, sorridente... ma siete stato voi a farmi deviare, siete stato voi - all'improvviso -a farmi trovare dentro un incubo. E adesso?

Sergio                            - Avete ragione, avete ragione! Chissà che cosa farei, ve lo giuro, per togliervi di nuovo dall’incubo in cui siete caduta, e riportarvi alla luce delle vostre più chiare esperienze di donna... ma ditemi, venendo qui avevate, forse, un'idea, un progetto da sottopormi, un programma da realizzare? Perché siete venuta, dunque? Che cosa volete da me?

Rossana                         - Non so, Piovati... non riesco a capirlo... ma sento - con una estrema sensibilità - che voi dovete risolvere tutta questa faccenda. Senza il vostro intervento io vivrei oggi serena nel mio dolore che gli altri non mi permettono neanche di vivere come vorrei... per colpa vostra io mi trovo così disperata, esasperata, avvilita, in­quieta con me stessa. Sta a voi a riparare; riparate, dunque!

Sergio                            - Tutto mi sarei aspettato, signora, tranne che voi insorgeste - così all'improvviso - a chiedere da voi stessa vendetta per il male che vi ho arrecato. Ma che cosa posso io che mi trovo - senza volontà e senza freni -insieme con voi e più di voi, forse?, a brancolare in un sogno tremendo che ha il solo torto di non finire mai? In quale maniera posso risolvere il vostro dolore e la vostra angoscia? Chiedete, obbedirò: più di questo non so dirvi, vi giuro.

Rossana                         - E credete che non capisca anche il vostro tormento? Che non ci abbia pensato e che - avendoci pensato - io possa ignorarlo? Dio, come sono infelice! (Piange).

Sergio                            - Non piangete, adesso... ve ne prego... (Le si accosta, sono mollo vicini).

Rossana                         - E come si fa a non piangere?

Sergio                            - E' vero. (L'accarezza fraternamente).

Odile                             - (entrando) Credo d'aver dimenticato qui il u mio libro. (Vede i due, resta interdetta) Scusami, Sergio: non sapevo che tu fossi in compagnia...

Rossana                         - Buon giorno, signorina.

Odile                             - Buon giorno, signora.

Sergio                            - Di quale libro parli, Odile?

Odile                             - Oh!, non fa niente, non ha importanza... credevo...

Sergio                            - Ma dimmi... lo cercheremo insieme... ,

Odile                             - Grazie, non vorrei disturbare...

Rossana                         - Vi accorgete d'essere tanto aggressiva, signorina? Che cosa avete potuto credere, dunque?

Odile                             - Non vale la pena di fare delle supposizioni, signora, quando ci si trova di fronte all'evidenza...

Rossana                         - Adesso m'offendete...

Odile                             - L'offesa, caso mai, non è nelle mie parole; ma nella vostra coscienza, piuttosto...

Sergio                            - Odile, io non ti permetto...

Odile                             - Che cosa? Che cosa? Ch'io venga a dire sul più bello la verità? E' questo che tu non permetti?

Rossana                         - Signorina, siate ragionevole...

Odile                             - Lo sono stata anche troppo: adesso, basta: qualche volta è preferibile affidarsi all'istinto...

Sergio                            - Odile, di quale verità tu parli? Anche tu, adesso? Anche tu a imbrogliare le acque? Anche tu ad esasperarci?

Odile                             - Non temere, non temere... io me ne vado, subito... però, Sergio...

Sergio                            - Però?!

Odile                             - E anche voi, signora, ascoltatemi bene...

Rossana                         - Signorina, farneticate, forse?

Odile                             - (scoppiando in singhiozzi) Però... sentite... io saprò vendicarmi, ve lo giuro. (Esce).

Sergio                            - Odile, Odile!

Rossana                         - Lasciatela stare, adesso : non riuscireste mai a convincerla del contrario. (Sospirando) E tutto è più buio...

Sergio                            - S'è lasciata ingannare, anche lei, dalle appa­renze.

Rossana                         - Al suo posto, forse, si sarebbe lasciato ingannare ognuno di noi...

Sergio                            - Ma allora, santo Dio, qual'è il limite tra il falso e il vero? Tra quello che vogliamo dire di noi e quello che al contrario, di noi stessi risulta, ma defor­mato?! Sapete 'dirmelo, voi?!

Rossana                         - Che domande angosciose! E forse questo limite di cui parlate nemmeno esiste... ma si continuano l'uno nell'altro, il vero e il falso, e si mescolano insieme aformare tutto quello che noi siamo: pensieri, senti­menti, sensazioni, atti, errori, parole sbagliate...

Sergio                            - E' tremendo, mio Dio!

Rossana                         - E' tremendo, sì; e noi siamo ossessionati da questa ridicola struttura dentro cui annaspiamo come dentro una prigione...

Sergio                            - Ma io voglio capire, voglio liberarmi.

Rossana                         - Volete soprattutto convincere Odile...

Sergio                            - Certamente. (Diventando nervoso) ...No, no, ma voglio evadere da questo tranello odioso... a costo di qualunque sacrificio « devo » ritrovare la mia libertà... capite?

 

Rossana                         - Io non capisco più niente, non ho più forza, non ho più pensieri: mi sembra di essere come uno schiavo al remo.

Sergio                            - E non vi ribellate? Non date sfogo alla vo­stra esasperazione?

Rossana                         - In che modo?... Perché non parlate? Perché non m'insegnate, voi?

Sergio                            - Io - vedete - lascerei le mie unghie lacerarsi contro qualunque barriera... ma che s'infranga questa muraglia di fumo al di là della quale ci agitiamo come marionette. (Improvvisamente, impetuoso) Che cosa volete da me, voi? Perché siete venuta, vi ripeto?! E che cosa vogliono tutti gli altri? Ucciderci, rovinarci, renderci pazzi? Ma la nostra tragedia, allora non ha nessun valore?!...

Rossana                         - La nostra tragedia... quale tragedia?!

Sergio                            - La tragedia per cui non possiamo più muoverci senza il loro consenso, senza il loro beneplacito egoista... ma vi accorgete, sì o no, che non siamo più noi - Rossana Martelli e Sergio Piovati - ma la Rossana e il Sergio che tutti si son messi in testa di manovrare?!...

Rossana                         - Tacete, per carità: quello che voi dite è mostruoso...

Sergio                            - Ah! no, signora: è ancora un residuo dì fede che vi fa parlare in questo modo... quello che « loro » fanno è mostruoso, sì; quello che «loro» vorrebbero fare... ma io - ascoltatemi a rischio di scatenare vera­mente una tragedia... io...

Rossana                         - Fermo, Piovati... che cosa volete fare, adesso?

Sergio                            - Lo vedrete... basta con le fantasie... qualche cosa succederà... anche se dovessi rovinarmi per sempre...

Rossana                         - Dove andate, 'dunque?

Sergio                            - Costringerò vostro marito ad aprire gli oc­chi... ve lo giuro... costringerò quel povero folle a ren­dersi conto della sua miseria...

Rossana                         - (con un grido) No, Piovati, per carità: ve lo scongiuro... voi non potreste dirgli una verità di­versa dalla « sua » verità...

Sergio                            - E di che cosa avete paura? Che lo uccida?!... No, no, state tranquilla... saprò prenderlo per il suo verso : non gli farò del male...

Rossana                         - Fermatevi... fermatevi... guardate... volete che ve lo chieda in ginocchio?...

Sergio                            - (alla donna che gli si avvicina) Volete la­sciarmi? E' necessario un atto di coraggio... ma lascia­temi... le vostre mani stringono disperatamente...

Rossana                         - Non andate, non andate, vi dico... voi non lo conoscete, egli vi ucciderebbe...

Sergio                            - Credete che lo tema?... Lasciatemi...

Rossana                         - (supplicando) No, no, sono io che non voglio, sono io che non ve lo permetto... sono certa che egli vi ucciderebbe...

Sergio                            - Delirate, voi delirate...

Rossana                         - No, no, sentite: è un presentimento che me Io dice... qualche cosa, qui dentro...

Sergio                            - Siete agitata...

Rossana                         - E' vero, sì, sono agitata... ma so quello che dico...

Sergio                            - Non è possibile... voi...

Rossana                         - Credete, allora, che il cuore di una donna possa sbagliare in simili casi?

Sergio                            - Il cuore... di una donna... Siete voi a mettermi paura, adesso... (Si ripren­de) Lasciatemi, ormai ho deciso.

Rossana                         - (sbarrandogli la strada) No, no... non passerai, non voglio... io sono fuori 'di me, vedi... ma non voglio, non voglio che ti facciano del male...

Sergio                            - Perché parlate così, signora? Perché questa voce così?... irreale?... Ma perché, dunque?

Rossana                         - Non so, non so»., ma se ti facessero del male. Sergio, io te lo giuro -morrei dal dolore...

Sergio                            - Rossana, che cosa dici?

Rossana                         - Sergio, non abbandonarmi, anche tu... difendimi, difendimi: ho biso­gno di essere difesa contro tutti quanti... d'essere con te... 'di difenderti anche io, quando sarà giunto il momento;... le nostre vite, ormai, sono agganciate...

Sergio                            - Ma non t'accorgi che stiamo recitando le parole di una parte che gli altri vogliono farci dire? E’ possibile che non t'accorga già più che questo è un sogno?

Rossana                         - Forse... ma, dentro il sogno, l'eco di così strane parole ci fa diversi, felici...

Sergio                            - Dolorosamente felici... non ho fatto in tempo a fuggire... volevo fuggire lontano da te... volevo toglierti la possibi­lità di arrivare al punto...

Rossana                         - ... dove gli altri, crudelmente, hanno voluto...

Sergio                            - Fuggire, fuggire...

Rossana                         - Ho paura, tanta paura. (Si prendono per mano, sono uno di fronte all'altro, estatici) Non abbandonarmi, ti sup­plico... sei la mia unica forza...

Sergio                            - ...e la tua voce un'ancora in questo naufragio disperato...

Rossana                         - Fuggiremo insieme, Sergio, ci rifriggeremo in questo rovinare ch'è la nostra pace. (Si tengono sempre per mano, immobili).

Sergio                            - Sento il cuore battere il tempo con una spaventosa regolarità... taci, Ros­sana, taci... non dobbiamo risvegliarci... C'è l'abisso, sotto di noi. (Restano fermi come statue. Una pausa).

                                                                                                                

FINE