Delirio a due

Stampa questo copione

Delirio a due

Delirio a due

di

Eugenio Pochini

PERSONAGGI

L’uomo con bombetta ed ombrello

La donna con la cesta dei fiori

1.

In primo piano, al centro della scena, una scrivania. Seduto al tavolo, rivolto verso il pubblico, l’uomo con bombetta ed ombrello. Sul tavolo, alcune scatole di cartone che contengono pile di fogli. Luce al quadro, la scrivania e la zona immediata­mente circostante immerse in una forte luce. Il resto della scena è in penombra.

L’uomo con bombetta ed ombrello, che per tutto il resto della scena avrà l’ombrello aperto, resta un momento immobile, emettendo un profondo sospiro. Inizialmente si fruga in tasca, estraendo una chiave: la fissa, per poi rimettersela dentro il panciotto, dopodiché inizia a scartabellare con i fogli dentro le scatole di cartone poste sulla scrivania. Silenzio. Si alza, viene sul proscenio, si ferma, estrae nuovamente la chiave e alza lo sguardo, rimanendo immobile, gli oc­chi fissi nel vuoto. Sorride compiaciuto, cominciando a camminare avan­ti e indietro sul proscenio ma sempre restan­do nella zona illuminata. Si ferma. Pausa. Riprende il suo andirivieni, rimette la chiave nella tasca e torna alla scrivania, si risiede, resta un momento immobile, emet­tendo un profondo sospiro.

Trae nuovamente di tasca la chiave, se l’avvicina agli occhi, la esamina, e se la rimette nel panciotto. Pausa. Lentamente, anche la zona in penombra inizia ad illuminarsi, mostrando il resto della scena, invasa da altre centinaia di scatole di cartone, riposte in maniera confusa le une sulle altre. Entra la donna con il cesto dei fiori. Silenzio.

LA DONNA. (immobile) Pensavo stessi riposando.

L’UOMO. Chi? Io?

LA DONNA. Sì.

L’UOMO. Io?

LA DONNA. Sì, tu.

Pausa. L’uomo con la bombetta e l’ombrello non risponde.

LA DONNA. Non ti stavi riposando?

L’UOMO. No.

LA DONNA. Dovresti riposarti.

L’UOMO. Non sono stanco.

LA DONNA. Non lo sei?

L’UOMO. No, non lo sono.

LA DONNA. Beh, comunque dovresti riposarti.

L’UOMO. Quando sarò stanco, mi riposerò.

LA DONNA. E cosa stavi facendo?

L’UOMO. Controllavo alcune cose.

LA DONNA. Che cosa?

L’UOMO. (sbuffa) Niente di importante.

LA DONNA. Niente di importante?

L’UOMO. Sì.

LA DONNA. Se non è niente di importante, allora che cosa controllavi a fare?

L’UOMO. Mi assicuravo, appunto, che non fossero importanti.

LA DONNA. Mi pare giusto.

L’UOMO. E tu?

LA DONNA. (si avvicina lentamente alla scrivania) Io?

L’UOMO. Sei stata in paese?

LA DONNA. Sì.

L’UOMO. Venduto qualche fiore?

LA DONNA. Qualcuno, ma oramai la gente ne compra così di rado. È un vero peccato.

L’UOMO. (riprendendo a scartabellare i fogli sulla scrivania) Già, un vero peccato. (Pausa) Questa mattina non ti ho sentita uscire.

LA DONNA. Ti stavo chiamando.

L’UOMO. (c. s.) Cosa?

LA DONNA. Non mi ha sentita? Ti chiamavo da sopra.

L’UOMO. Non me ne sono accorto.

LA DONNA. (ride) Vorrei ben vedere: sei sempre così impegnato con quelle carte. (Inizia a passeggiare sul fondo, controllando le scatole poste alla rinfusa)

L’UOMO. Faccio il mio lavoro.

LA DONNA. Lavori troppo.

L’UOMO. Non è vero.

LA DONNA. Dovresti riposarti

L’UOMO. Te l’ho detto: quando sarò stanco mi riposerò.

Pausa.

LA DONNA. Ho raggiunto la signora… quella con il cane, questa mattina, per bere un aperitivo.

L’UOMO. (continua a stare sui fogli) Ma non eri scesa in paese?

LA DONNA. Sì, ma prima sono passata dalla signora con il cane a bere qualcosa. Mi ha parlato della sua gioventù. “Ero un bel bocconcino”, mi ha detto. “Un vero zuccherino”. Ci provavano tutti, sai?

L’UOMO. Non sembrerebbe.

LA DONNA. Perché?

L’UOMO. (si volta verso di lei) È strana.

LA DONNA. Strana?

L’UOMO. Sì.

LA DONNA. Come sarebbe a dire strana?

L’UOMO. Non lo so. Mi da l’idea di essere un po’ fuori di testa. Sempre con quel suo cane. Se lo porta dietro… sempre… dappertutto. Una volta l’hanno vista, giù in piazza, che ci ballava.

LA DONNA. Ballava con il cane?

L’UOMO. Sì. L’aveva preso per le zampette davanti e lo faceva girare a suon di musica.

LA DONNA. Impossibile.

L’UOMO. Ti dico che è vero.

LA DONNA. Non ci credo.

L’UOMO. (china il capo sui fogli) Va bene, come vuoi.

LA DONNA. (tra sé) Impossibile. (Pausa) Dovresti riposarti.

L’UOMO. Io sto benissimo.

LA DONNA. Dovremmo uscire, non ti pare?

L’UOMO. Io qui sto benissimo.

LA DONNA. (continuando a passeggiare avanti e indietro) Il tempo è variabile, ma fa molto caldo. Dovresti mettere via quell’ombrello. Non credo che pioverà.

L’UOMO. Non pensi che pioverà?

LA DONNA. No, non credo.

L’UOMO. Meglio non rischiare.

LA DONNA. Ti tieni l’ombrello?

L’UOMO. Credo proprio di sì.

LA DONNA. Meglio non rischiare?

L’UOMO. Esatto. Poi, se dovesse venire a piovere?

LA DONNA. Tu hai il tuo ombrello.

L’UOMO. Esatto.

LA DONNA. Ed io non ho niente.

L’UOMO. Comprati un ombrello.

LA DONNA. (si avvicina alla scrivania) Non potresti prestarmene uno dei tuoi?

L’UOMO. Ho solo questo.

LA DONNA. (lo guarda) Non è vero.

L’UOMO. Sì.

LA DONNA. Hai solo quello?

L’UOMO. Sì.

LA DONNA. Pensavo ne avessi più di uno.

L’UOMO. No, ho solo questo… e mi basta.

Pausa.

LA DONNA. (guarda il cesto dei fiori) La gente non compra più i miei fiori. È un vero peccato.

L’UOMO. E cosa c’entra questo, con l’ombrello?

LA DONNA. Niente. Era solo per parlare.

L’UOMO. Mi spiace che nessuno compri più i tuoi fiori.

LA DONNA. Anche a me.

L’UOMO. Vedrai che domani qualcuno te li comprerà.

LA DONNA. Dici?

L’UOMO. Ne sono sicuro.

LA DONNA. Sarebbe bello.

La donna con il cesto dei fiori va nuovamente verso il fondo, spalle rivolte al pubblico, come a voler controllare le scatole piene di fogli. L’uomo con la bombetta e l’ombrello si alza, viene sul proscenio, si ferma, estrae per l’ennesima volta la chiave e alza lo sguardo, rimanendo immobile. Di nuovo sorride compiaciuto, cominciando a camminare avan­ti e indietro sul proscenio. Ad un tratto si ferma, pensieroso. Pausa.

L’UOMO. (mostrandole la chiave) Sai che cos’è?

LA DONNA. (avvicinandosi) Cosa?

L’UOMO. Questa chiave. Sai che cos’è?

LA DONNA. Sembrerebbe una chiave.

L’UOMO. Questo lo vedo anche io.

LA DONNA Cosa te ne fai di una vecchia chiave come quella? Non serve a niente.

L’UOMO. (indicando al di là del proscenio, verso il pubblico) Apre uno di quei cassetti sul muro.

LA DONNA. (lo sguardo fisso, nel punto indicato dall’uomo) Quale muro?

L’UOMO. Quello lì.

LA DONNA. Ah, non l’avevo notato… uh, guarda quanti cassetti. (Ride) E quella chiave apre uno di quelli?

L’UOMO. Certo.

LA DONNA. E allora?

L’UOMO. E allora… allora, il problema è che… non ricordo più quale apra.

LA DONNA. (rammaricata) Che peccato.

L’UOMO. Già, un vero peccato. Guarda quanti sono.

LA DONNA. (sbalordita) Sono proprio tanti.

L’UOMO. Ed io ho una chiave sola.

LA DONNA. E non ti ricordi quale cassetto apra…

L’UOMO. Esatto.

LA DONNA. Ti serve per il lavoro che stavi facendo?

L’UOMO. Credo di sì.

LA DONNA. Credi?

L’UOMO. Cosa?

LA DONNA. C’entra o non c’entra con il tuo lavoro?

L’UOMO. Non lo so.

LA DONNA. Come non lo sai?

L’UOMO. Se ti ho detto che non lo so… vuol dire che non lo so.

LA DONNA. Scusa, abbi pazienza, ma cosa c’è nel cassetto che apre questa chiave?

L’UOMO. Non ne ho la più pallida idea.

Buio.

2.

Subito dopo: la stessa scena di prima, come l’abbiamo lasciata. Seduta al tavolo, questa volta, rivolta verso il pubblico, la donna con il cestino dei fiori. Sul proscenio, seduto, l’uomo con la bombetta e l’ombrello, sempre aperto, intento a controllare un grande anello pieno di chiavi. Questa prima parte si svolgerà al buio.

L’UOMO. (irritato) Non si vede niente.

LA DONNA. Per forza, è buio.

L’UOMO. La vita è già difficile così com’è. Hai dei fiammiferi?

LA DONNA. No, non… non credo di averne.

L’UOMO. Cristo, nemmeno i fiammiferi.

LA DONNA. (stizzita) Vendo fiori, non fiammiferi.

L’UOMO. Non è una buona scusa.

LA DONNA. Infatti non è una scusa.

L’UOMO. Lasciamo stare.

LA DONNA. Qui è saltato tutto.

L’UOMO. Colpa del generatore. È troppo vecchio, l’avevo detto di cambiarlo. (Impreca sottovoce)

LA DONNA. (brusca) Non bestemmiare, per favore!

L’UOMO. Non ho…

LA DONNA. Ti ho sentito bestemmiare.

L’UOMO. È perché non si vede niente.

LA DONNA. Lo sai che non sopporto le bestemmie. È… più forte di me.

L’UOMO. Scusami.

LA DONNA. Va bene. È che… sono fatta così.

L’UOMO. Ma quando torna questa luce?

LA DONNA. Hai trovato le altre chiavi?

L’UOMO. (scuote l’anello) Eccole qua.

LA DONNA. C’è quella…

L’UOMO. No, non c’è.

LA DONNA. Uffa. (Pausa) Sai, stavo pensando ad una cosa?

L’UOMO. Che cosa?

LA DONNA. Ma io, ti piaccio?

L’UOMO. Eh?

LA DONNA. Ho chiesto se ti piaccio.

L’UOMO. Scusa, ma questo che c’entra con…

LA DONNA. (stizzita) Niente, dai, lascia perdere.

L’UOMO. Va bene, va bene. Parliamone.

LA DONNA. Parliamone.

L’UOMO. E cosa vuoi che ti dica?

LA DONNA. Non saprei.

L’UOMO. Vuoi davvero parlarne?

LA DONNA. Sì.

L’UOMO. Non ti farò del male?

LA DONNA. No.

L’UOMO. Devo dirti una bugia o la verità?

LA DONNA. Tutte e due.

L’UOMO. D’accordo.

Pausa.

LA DONNA. Sai cosa mi piace di te?

L’UOMO. Cosa?

LA DONNA. Sei uno che si accontenta di tutto. A te non importa nulla di cosa ti dica, vero? No, a te non importa nulla. Mi piace questo di te. Ti accontenti. Sei un tipo che si accontenta. Non batti ciglio. Mai. Sei sempre chiuso qui dentro, a lavorare, sempre con quel tuo ombrello… sempre… sempre – e non ti importa nulla di quello che io ti dico – sei fatto così, non posso farci niente.

L’UOMO. Ti piace questo, di me?

LA DONNA. Certamente, ma è anche la cosa che mi manda in bestia. Odio quando fai così.

L’UOMO. Che vuoi farci, è il prezzo dell’amore.

La luce si riaccende di colpo: la scena, come l’abbiamo lasciata.

L’UOMO. Oh, finalmente è tornata.

LA DONNA. (guardando l’anello delle chiavi) Non l’hai trovata?

L’UOMO. No.

LA DONNA. (pronta) Insomma sarebbe il prezzo dell’amore?

L’UOMO. Scusa?

LA DONNA. Stavi parlando del prezzo dell’amore.

L’UOMO. (si alza) Ah sì, giusto. (Sorride) Di cui non esiste prezzo più alto.

LA DONNA. Di cui?

L’UOMO. Di cui. (Pausa. Si guardano) Dell’amore.

LA DONNA. Un prezzo molto alto.

L’UOMO. (si avvicina alla scrivania e ci si appoggia, lasciando l’anello delle chiavi) Conforme alla volontà di Dio.

LA DONNA. Beh… sì. Credo di sì.

L’UOMO. E comunque non è facile rispondere alla tua domanda.

LA DONNA. Quale?

L’UOMO. Se mi piaci, oppure no.

LA DONNA. Non capisco.

L’UOMO. (sbuffa) Neppure io.

Rimangono immobili, lo sguardo fisso verso il proscenio. Pausa.

LA DONNA. (si alza) Senti. Pensavo a tutto quanto. E ho capito di cosa abbiamo bisogno. Di riposo.

L’UOMO. Forse non hai tutti i torti

LA DONNA. E per il tuo lavoro?

L’UOMO. La chiave non l’ho trovata, quindi non posso aprire il cassetto. In quei fogli c’era qualcosa di interessante?

LA DONNA. Niente.

L’UOMO. E allora, per oggi, il mio lavoro l’ho fatto. Se vuoi potrei accompagnarti in paese. Magari incontriamo qualcuno che voglia comprare i tuoi fiori.

LA DONNA. È tardi.

L’UOMO. Dici che non c’è più nessuno in giro?

LA DONNA. A quest’ora non credo proprio.

L’UOMO. Peccato.

LA DONNA. Già.

L’UOMO. Tutto sommato meglio così.

LA DONNA. Che vuoi dire?

L’UOMO. (le si avvicina, abbracciandola) Avremmo modo di stare un po’ da soli.

LA DONNA. (si allontana) Aspetta… aspetta… non precipitiamo le cose.

L’UOMO. Che c’è?

LA DONNA. La fai facile adesso, vero? Vuoi uomini, sempre così… pensate che sia sempre tutto facile.

L’UOMO. Ma… non capisco, io…

LA DONNA. Eh no, caro mio, ti avevo chiesto di parlarne prima e tu cosa hai fatto?

L’UOMO. (non capendo) Niente.

LA DONNA. Appunto. Eri troppo preso dal tuo lavoro. E adesso… adesso lui vuole stare da solo, con me.

L’UOMO. Lui chi?

LA DONNA. Tu!

L’UOMO. (teso) Senti, volevi parlare di una cosa. Bene, eccomi qua. Parliamone. Non mi sembra il caso di farne un dramma.

LA DONNA. (lo fissa) Io ti piaccio?

L’UOMO. (a denti stretti) No.

LA DONNA. No?

L’UOMO. No… o almeno, non come prima.

LA DONNA. Ti riferisci a quella volta…

L’UOMO. (grida, esasperato) Sì!

LA DONNA. E non gridare! Non c’è bisogno di far sapere a… di far sapere a tutti cosa è successo. Insomma, dico, non mi sembra il caso.

L’UOMO. E invece, a me, sembra il caso di parlarne.

LA DONNA. Suvvia.

L’UOMO. Ah no. Adesso ne parliamo. Hai tirato tu fuori questa storia e adesso ne parliamo e che diamine! Mi piaci? Sì, forse sì, ma non come una volta.

LA DONNA. Piantala!

L’UOMO. Ma si facciamolo sapere a tutti, non ti pare?

LA DONNA. No, non mi pare.

L’UOMO. (con cattiveria, afferrandola per il polso) Pensi di poter fare tutto quello che vuoi solo perché sei una donna? Ma chi ti credi di essere?

LA DONNA. Ma cosa vuoi…?

L’UOMO. (diventando più imponente ed esaltato) Facciamolo sapere a tutti che ti porti dietro altri due uomini.

LA DONNA. (cercando di liberarsi) Mi fai male!

L’UOMO. Non devo far altro che stringere più forte.

LA DONNA. (senza fiato) Non devo far altro che gridare più forte.

Silenzio. Lui le lascia il braccio. Lei si allontana, in un angolo. Pausa. L’uomo con la bombetta e l’ombrello emette un profondo sospiro poi si fruga in tasca: non trova la chiave. Fissa la donna con il cesto dei fiori, per poi andare a sedersi dietro la scrivania, controllando l’anello. Lei lo segue con lo sguardo.

Buio.

3.

La stessa scena, descritta in precedenza. Seduto al tavolo, l’uomo con bombetta ed ombrello, controlla le carte dentro le scatole di cartone: nel frattempo la donna con il cesto dei fiori si è alzata ma è rimasta immobile.

L’UOMO. (come per caso) Credo che resterò qua, a finire di lavorare. Tu, se vuoi, puoi andartene in paese. È inutile che resti.

LA DONNA. (appena udibile) E la chiave?

L’UOMO. La cercherò in un secondo momento. Prima finisco di sistemare questi fogli.

LA DONNA. Quindi i cassetti non ti interessano?

L’UOMO. No.

LA DONNA. Capisco.

Pausa.

LA DONNA. Io scendo in paese.

L’UOMO. Bene.

LA DONNA. Credo che farò una passeggiata.

L’UOMO. Vai a trovare gli altri due?

LA DONNA. Chi?

L’UOMO. Tu. Vai a trovare gli altri due uomini?

LA DONNA. Credo di sì.

L’UOMO. Non penso di conoscerli?

LA DONNA. No.

L’UOMO. Lo sospettavo.

LA DONNA. (lo guarda) Sei sicuro di non voler venire con me?

L’UOMO. Devo finire di lavorare.

LA DONNA. Ma dovresti riposarti.

L’UOMO. Mi riposerò quando sarò stanco.

LA DONNA. Come vuoi.

La donna con il cesto di fiori si allontana lentamente: la luce va diminuendo lasciando tutta la scena in penombra, tranne la scrivania e la zona circostante. L’uomo con bombetta ed ombrello resta un momento immobile, fissando il proscenio con sguardo vacuo. Silenzio. Si tasta il panciotto ed estrae la chiave: sorride compiaciuto, nell’averla ritrovata. La infila nella serratura di un cassetto dietro la scrivania e ne estrae una pistola. Nel mentre, dalla penombra, si ode la voce della donna, in lontananza.

VOCE DELLA DONNA. E in tutto questo rovello non c’era più risentimento contro di lei, ma solo il rimorso per averla perduta, per non aver saputo tenerla legata a sé, per averla ferita con un ingiusto e sciocco orgoglio. Perché, ora lo capiva, lei gli era sempre stata fedele e se si portava dietro altri due uomini era per significare che stimava solo lui degno di essere il suo unico amante, e tutte le sue insoddisfazioni non erano che la smania insaziabile di far crescere il loro innamoramento, non ammettendo che toccasse un culmine. E lui… lui, non aveva capito nulla di questo e l’aveva inasprita fino a perderla.

Pausa. L’uomo con la bombetta e l’ombrello, sorridendo, continua a fissare la pistola, poi chiude l’ombrello sopra la sua testa.

Buio.

Si sente uno sparo.

SIPARIO.

20 luglio 2007