Disonora il Padre e la Madre
di
Eduardo Fiorito
SIAE 2002
al mio amico
Marco
Personaggi
Alberto Ventitre anni.
Camilla Ventidue anni
Laureen Ventidue anni
Gaetano Trent’anni. Albanese. Trapiantato a Napoli sin dalla prima età
L’azione si svolge ai giorni nostri.
Atto I
Scena I
(Camilla e Laureen sono nella toilette di una grande villa patrizia, vestite da
sera con un bicchiere di champagne in mano. La bottiglia è per terra accanto al
lavandino. Dal vociare e dalla musica in sottofondo si intuisce che, nel resto
della casa, sta avendo luogo una festa.).
Laureen: Perché non ti rilassi?
Camilla: Non ho nessuna voglia di rilassarmi in questo posto!
Laureen: Camilla, se esci, succede un casino.
Camilla: Non è colpa mia!
Laureen: Vuoi farmi fare la dog-sitter a vita? Lo sai che appena ti vedono
camminare da sola…
Camilla: Chi?! Chi ti vede qui, Laureen! Ci sono mille e duecento invitati lì
fuori. Se ti capita, per caso, di parlare con qualcuno, quello non fa che
guardare gli altri mille e centonovantanove!
Laureen: Se è per questo io e te fra gli invitati non ci siamo proprio, a noi
c’ha imbucato Giorgio come le migliori amiche di Stella Paganini. Ora, dal
momento che io, a Stella Paganini, le porto solo a spasso il barboncino, e per
due lire, se quella ci vede, ci sputtana davanti a tutti!
Camilla: Non poteva trovare una scusa migliore quell’idiota?
Laureen: Ma è stato contro ogni previsione medica che quella donna stasera si
sia alzata dal letto e sia venuta proprio a questa festa del cavolo!
Camilla: Bene! Bene, allora stiamo qui, che problema c’è, è un posto
meraviglioso! Poi quando Giorgio avrà finito con il suo boy ci dà una voce e
noi ce ne torniamo a casa! Laureen…
Laureen: Va bene, basta! Non voglio più sentirti, vado a vedere se lo trovo.
Aspettami qui (Va per uscire, poi si volta) A proposito, ti ha detto anche come
si chiama?
Camilla: Chi?
Laureen: Il suo boy? Giorgio…
Camilla: Cosa vuoi che…
Laureen: Torno subito (esce. Il vociare, a seguito dell'apertura della porta è
diventato più forte. Entra Alberto di soppiatto, in smoking, la porta si
richiude, il vociare diminuisce al minimo. Lui ha l’aria di chi è scappato da
qualcuno. Si volta e, vedendo Camilla, sobbalza).
Camilla: Il bagno degli uomini è dall’altra parte.
Alberto: Lo so.
Camilla: E allora?
Alberto: (Esitante) Posso restare?
Camilla: Prego…
Alberto: Fa fresco qui.
Camilla: Meglio non spargere la voce.
Alberto: Ci siamo già visti da qualche parte?
Camilla: Non mi pare.
Alberto: Ah, e chi ti ha invitato allora?
Camilla: (Fra se) Oh, caz…
Alberto: Mah, per avere un viso familiare… sei sicura di non riconoscermi?
Camilla: Bah, adesso che ti guardo…
Alberto: Magari era da… Gianlorenzo, il mese scorso… (lei fa per assentire, lui
la previene) O forse era dai Damiani-Ottolenghi, quella specie di ricevimento…
(idem) aspetta, aspetta… shh!… Giorgio!
Camilla: (Incredula) Melchiorri? (Lui spalanca le braccia come a dire – Ti
ricordi? – lei aggiunge incerta, con un filo di voce) è vero…
Alberto: Quella grande festa che fece a Marzo. Che notte, ragazzi!
Camilla: (Idem) E’ vero…
Alberto: Quanto sarà passato?
Camilla: A Marzo…
Alberto: No, dico da quando sono entrato nella toilette.
Camilla: Mah, forse un minuto.
Alberto: E in un minuto abbiamo già trovato una cosa in comune...
Camilla: Vale a dire?
Alberto: Raccontiamo le bugie. (Pausa, cambia tono) sono un plebeo imbucato
come te, sai? E chi l’ha mai vista tutta questa gente (si può sentire il
“Concerto de Aranjuez” provenire dall’esterno) Aspetta, aspetta…
Camilla: Chi è?
Alberto: Ascolta… no, non è possibile, l’hanno messo per davvero, glil’ho dato
io il cd… dai, dai, vieni! (Le tende la mano)
Camilla: Ma dove vieni?
Alberto: A ballare.
Camilla: Per carità… (imbarazzata) non posso…
Alberto: Come non puoi?
Camilla: Devo restare qui… non farmi domande
Alberto: Va bene, balliamo qui. (Camilla rimane interdetta) Nel cesso, si!
Camilla: Qui? E se entra qualcuno?
Alberto: Siamo invisibili noi bugiardi.
Camilla: Ripeti.
Alberto: Ho detto che siamo invisibili noi bugiardi, sai le menzogne non si
vedono, se…
Camilla: Ho sentito una sola persona dire quella frase in vita mia.
Alberto: (Pausa) Vieni allora.
Camilla: Non so neanche come si balla...
Alberto: Il “Concerto de Aranjuez” ? Non è un ballo. E’ una storia d’amore di
dieci minuti.
Camilla: Non possiamo ballare qui dentro.
Alberto: Perché?
Camilla: Perché è un bagno!
Alberto: No. Lo senti questo vociare in sottofondo?
Camilla: E allora?
Alberto: E’ il pubblico di una balera.Stanno aspettando che noi cominciamo.
Camilla: E allora stanno freschi…
Alberto: Poi non sentirai più volare una mosca.
Camilla: Ma io non so…
Alberto: Shhh… Immagina di sapere. Immagina di essere una grande ballerina. Lo
senti, il vento che tira di notte a Madrid.
Camilla: (Colpita) Madrid?
Alberto: Si (indicando i fari del teatro) quelli sono i lampioncini intorno
alla pista. Poco più in là ci sta il pubblico, poi la spiaggia, poi…
Camilla: Madrid…
Alberto: Non pensare a ballare. Te l’ho già detto, non è un ballo. (lei si
lascia andare, poi al centro del palco, comincia a ballare da sola) brava. Ti
guardano tutti.
Camilla: Che sto facendo? (lei continua a ballare in silenzio)
Alberto: (In spagnolo) Me gustas cuando callas porque estàs como ausente,/ y me
oyes desde lejos, y mi voz no te toca./ Parece que los ojos se te hubieran
volado/ y parece que un beso te cerara la boca (Si avvicina come per
baciarla)
Camilla: (Allontanandosi ridendo) Basta, basta… guarda chi sono andata a
beccare. Continuiamo un’altra volta (Alberto apre le braccia) E così sei venuto
fuori dal nulla. Un nome ce l’hai, almeno?
Alberto: Alberto.
Camilla: Piacere, io sono Camilla. Dunque sei un imbucato anche tu. Giorgio
però lo conoscevi?
Alberto: Chi, quello che chiamano il vizietto?
Camilla: Allora conosci anche i suoi amichetti.
Alberto: Mai andati oltre la stretta di mano.
Camilla: E che ci facevi nel bagno delle signore.
Alberto: C’è un caldo tropicale di là… e poi onestamente, quando non ne puoi
più, l’unico posto dove c’è ancora una via di scampo è il bagno.
Metaforicamente parlando… intendo dire…
Camilla: Basta con le bugie.
Alberto: No, è la verità! Quando ero piccolo, a Natale, mio zio napoletano
comprava il capitone, hai presente? Quel pesce lungo… lo metteva nella vasca
piena d’acqua. La sera del ventiquattro andavo al bagno per giocarci e la vasca
era vuota. Mio zio diceva che era scappato dal buco dello scolo. Se n’era
tornato in mare. E’ questo che cercavo di dire.
Camilla: Non capisco?
Alberto: “Trova una maglia rotta nella rete che ti stringe, va, fuggi, per te
l’ho pregato”… è Montale, non ti piace la poesia?
Camilla: Si che mi piace.
Alberto: Di là ormai i pesci sono tutti nella rete, vedi, basta che sale ancora
un po’ la temperatura poi ce li facciamo tutti fritti. (Vede la bottiglia per
terra) Oh, hanno lasciato anche lo champagne…
Camilla: E’ vuota... (Alberto va a constatare che effettivamente è vuota. Poi
prende il suo bicchiere e quello che aveva lasciato Laureen e li riempie con
acqua di rubinetto, Camilla, pensando che li stia lavando) ti dà noia la roba
sporca?
Alberto: (le porge il bicchiere) Cin cin. (Camilla lo guarda sconcertata) Se
non ha le bollicine non lo bevi?
Camilla: E’ acqua.
Alberto: E’ un brindisi.
Camilla: Alla follia allora!
Alberto: Alla follia! (Bevono)
Camilla: E’ così sei un imbucato. Pure qualcuno conoscerai...
Alberto: Tra i pesci? Soltanto quelli piccoli. E’ così importante?
Camilla: No, ma sei venuto qui da solo?
Alberto: Con un amico.
Camilla: In macchina?
Alberto: Perché queste domande?
Camilla: E’ che sto cercando un modo per tornare a casa.
Alberto: Ah,sei già un passo avanti rispetto a me.
Camilla: Cioè?
Alberto: Io non ho neanche più quella.
Camilla: Cioè?
Alberto: Sai, la figlia di quella che m’affittava l’appartamento s’è sposata,
la madre ha dovuto trovarle un posto…
Camilla: Capisco.
Laureen: (Da fuori) Camy!
Alberto: Anzi, se conosci uno…
Laureen: (Entra, non nota Alberto) Possiamo andare, pare che il suo boy l’abbia
piantato. Vieni!
Camilla: Ti raggiungo.
Laureen: Come “Ti raggiungo”? (vede Alberto) Ti aspetto fuori. Fai presto
(esce)
Camilla: Andiamo.
Alberto: Dove?
Camilla: Cercavi una casa, no! (Buio)
Scena II
(Casa di Camilla. Alberto si leva il cappotto e lo getta sul divano. Dalla
tasca ne cade una piccola agenda in pelle. Ha due valigie accanto a se. Si
guarda attorno incuriosito, gira per la stanza, che ha un arredamento molto
particolare, con quadri e strutture che rimandano all'arte contemporanea. Si
sofferma a guardare con trasporto un quadro a parete che crea una specie di
quinta con la parte posteriore della stanza)
Alberto: Dio…
Camilla: Cos’hai?
Alberto: E’ bellissimo (indicando un’ombra al centro della ridda di colori) è
un ballerino questo…
Camilla: Non lo so…
Alberto: Lo è.
Camilla: Sei strano, che c’hai?
Alberto: E’ la prima volta che entro in una rivista d’arte contemporanea. E’
qui che vivi,no?
Camilla: Da poco, comunque si. E’ un po’ in disordine.
Alberto: E’ uno studio di pittura, dev’essere in disordine.
Camilla: Mi fa un certo effetto vedere un uomo qui dentro.
Alberto: Si?
Camilla: Dopo mio padre non c’è più entrato nessuno.
Alberto: Tuo padre? (Con un interesse mal celato) e dov’è adesso? (suona il
citofono) E’ Giorgio, ce lo siamo dimenticati. Lascia, vado giù a dargli una
mano. (esce, dopo pochi secondi si sente Alberto e Giorgio discutere da dietro
le quinte a mezza voce, si decifrano solo alcune parole…)
- Voci off
Alberto: Non rompere i coglioni!
Giorgio: ... Sei un egoista! Ipocrita! Mi hai preso per il culo tutto il
giorno!
Alberto: Abbassa la voce! Vuoi fare una scenata qui fuori?!
Giorgio: Non mi frega niente, sei venuto con me solo perché volevi conoscere i
miei amici, ma io ti sputtano, sai? Davanti a tutti ti sputt…! (Si sente lo
schiocco di uno schiaffo) Ahi!
Alberto: Non ti azzardare… No t’azzardare.
Alberto: (Entra con due valigie, gaio) Eccoci qui.
Camilla: Che è successo?
Alberto: (Cadendo dalle nuvole) Cosa?
Camilla: Vi ho sentito litigare.
Alberto: No, era arrabbiato per cavoli suoi. Lo stavo facendo sfogare
Camilla: Non ha parlato per tutto il viaggio, è strano, mi è sembrato un tipo
espansivo quel poco che ci ho parlato alla festa.
Alberto: Era stanco… (Si sofferma su un angolo dove ci sono e degli stracci
unti d’olio e dei pennelli sporchi di colore) Stefano lavora ancora qui?
Camilla: Come fai a sapere il suo nome?
Alberto: Ho letto la firma sul quadro. Sono tutti di tuo padre,no?
Camilla: Si.
Alberto: Bè, non abita più qui.
Camilla: No… un mese fa una talent scout ha visto i suoi lavori da allora se lo
sta portando in giro per l’Europa.
Alberto: Cosa?
Camilla: Vuole fare di lui il nuovo Tolouse.
Alberto: Fammi capire…
Camilla: Ah, devo aver fatto più o meno quella faccia quando lo dissero a me.
Praticamente l’ho saputo quando era già partito. Sono quelle cose che succedono
in venitquattr’ore. Sai le occasioni, se vacilli le perdi. Non ho avuto nemmeno
il tempo di dargli un bacio. (Alberto rimane in silenzio pensieroso) Hey, stai
bene?
Alberto: Oh, si certo, stavo pensando. Ma tua madre in tutto questo.
Camilla: Un paio di giorni ed è partita anche lei. Prima stavamo tutti a Via
della Conciliazione, ma se restavo lì da sola un altro giorno impazzivo, per
farmi compagnia avevo cominciato a parlare da sola. Ho preso quelle quattro
cose che mi servivano e sono venuta qui. In fondo questi quadri… mi pare di
essere meno sola.
Alberto: Tu cosa fai, lavori?
Camilla: Oh, no, mi sto laureando.
Alberto: Ah… e partirai anche tu?
Camilla: No. (Cambia tono) Vieni, tu in fondo potresti dormire di là, perché
no.
Alberto: Dove?
Camilla: Nella sua stanza.
Alberto: Se per te va bene.
Camilla: Ti do una mano a portare le valigie.
Alberto: (Prende le valigie) Lascia, faccio io… (uscendo) se mi prendi
quell’agenda intanto, è caduta guarda…(esce)
Camilla: (Camilla raccoglie l’agenda prima caduta dal cappotto di lui, la
sfoglia, fra se) Che cavolo…
Alberto: (off) Ci si è proprio divertito qui tuo padre… s’è messo a dipingere
anche il pavimento …
Camilla: (A voce) La stanza è quella sulla destra.
Alberto: Si, l’avevo capito! (Comincia a suonare il telefono)
Camilla: (Risponde. Man mano che Camilla parlerà al ricevitore si isolerà in un
cono di luce, precipitando nell’ombra tutto il resto della scena) Pronto? Papà
dimmi?…Si, sto bene, che è successo?… alle quattro del mattino?! E’ notte qui
papà, non puoi essertelo dimenticato, comunque no, non stavo dormendo… ma si che
sono sola… perché non vieni qui a vedere se non ti fidi… certo, siamo
invisibili noi bugiardi. L’hai venduto qualche quadro… certo, eh beh! Madrid è
tutto un altro mercato che qui, evidentemente tua figlia ha un valore di
scambio sempre più basso… è vero, sono le solite chiacchere che mi racconti, ci
sentiamo… (taglia corto) ciao… ciao. (Attacca. Rimasta sola nel cono di luce,
si guarda attorno, dopo qualche secondo) Alberto... Alberto, sei ancora di là?…
Alberto…
Alberto: Non mi vedi? (Si riaccendono le luci, Alberto è seduto sul
divano)
Camilla: Ah, eccoti qui.
Alberto: E’ bellissima la stanza.
Camilla: Spero che ti troverai bene. Perché non mi dai una mano a levare questa
roba così facciamo finalmente un po’ d’ordine. Mettiamo tutto lì.
Alberto: Dove?
Camilla: In quella cassa, lì. (Mettono tutto in una cassapanca sul fondo-scena)
insomma, raccontami un po’, finora ho parlato solo io.
Alberto: Chiedimi pure.
Camilla: Che fai per vivere?
Alberto: Io? Ballo.
Camilla: Ah, per questo hai riconosciuto la figura sulla tela.
Alberto: Ah, già, forse è per qesto.
Camilla: E in quale teatro lavori?
Alberto: Mah, è in un posto fuori Roma. Per il momento un buco. Il prossimo
mese contiamo di venire qui, eh.
Camilla: Ah, allora ti vengo a vedere.
Alberto: Chissà, magari ti piace…
Camilla: (gli leva una piuma dai capelli) Avevi una piuma fra i capelli, deve
essere stato il cuscino, per caso ti eri steso?
Alberto: Ho solo provato il letto.
Camilla: Si, è piena di cose vecchie quella stanza, più ne butti e più ce ne
sono, non si finisce mai. (lui soffia la piuma via dalle sue mani, lei ride)
sei scemo… andiamo a vedere cosa manca. (si avvia, poi si volta) Oh, scusa
Alberto, ehm… per l’affitto, com’eravamo rimasti?
Alberto: Possiamo risolvere anche adesso.
Camilla: No, non intendevo…
Alberto: Perché, ce li ho qui tra l’altro (Alberto tira fuori un rotolo di
biglietti da centomila)
Camilla: Giri leggero, non ti piacciono i portafogli…
Alberto: Settecento, no? (glieli dà) Non li conti?
Camilla: Perché dovrei? Quella tela non è stata mai finita, non l’hai letta lì
la firma?
Scena III
(Casa di Camilla. Una grassa risata invade la scena ancora buia. E’ la voce di
Gaetano che, seduto sul divano, fuma uno spinello, ha la camicia lercia di
pomodoro e altro. Si accendono le luci)
Gaetano: Ahahahah! Comme si tuosto guagliò! Ma che sì cresciuto, co curtiello
arinte ‘a sacca? (Spegne lo spinello nel portacenere) Siente ‘nu poco, ma ce
sta coccosa ‘a spizzichìà?
Alberto: Ah già, a te, a quest’ora viene fame …
Gaetano: Comm’o ssaie però, ah?
Alberto: Il solito allora?
Gaetano: Bravo piccerì! Con te manco bisogno ‘e parlà ce stà cchiù, mi
anticipi, mi anticipi! (Alberto esce) Ma dimme nu poc’… come ci sì arrivato
acca’dinte, hai fatto qualche servizio alla padroncina?
Alberto: Le devo montare il barboncino ogni pomeriggio.
Gaetano: Nun fà 'o 'ntellettuale, ià... (Si guarda attorno, più tra se) azze,
arint' a fetenzia stave chill’ate mese, e mò t’arritruovo inte a ‘stu’ddio ‘e
posto. (A voce) Me vuò fa fesso a mme? C’a cammisa sì nnate, piccerì…
Alberto: (Entra Alberto con un piatto per Gaetano, una pappa informe dal colore
scuro) Eh già.
Gaetano: Piano piano, ‘o vvì, te ne stai tornando ‘ncoppe addò te n’eri sceso.
Alberto: Cioè?
Gaetano: Eh, fa ‘o finte scemo… chesta casa, chistu posto, a guaglioncella…
tiene i soldi, nun è accussì?
Alberto: Non lo so?
Gaetano: Non lo so! Azze, “Non lo so”! E allora tua madre non teneva i soldi,
la casa al centro non la teneva, gli uomini ‘ncoppe non se li portava? Certo,
certo, lo faceva solo se ce stava cocchecosa ‘a guadagnà… e chelle che me
chiedo è che ce trova chella bella guagliona inte a nu fetuse comm’a tte,
ahahaha! (Continua a mangiare) Stavo pazziando, stavo pazziando.
Alberto: E’ uno studio di pittura questo. Ci viveva un artista, puzza di colore,
di sudore, è un posto vivo, non come la casa di mia madre!
Gaetano: (Come ricordando) Ah, ah, ah… come ti disse una volta, quell’amico
tuo, ce stavo pure io presente, quello che veniva sempe ‘o locale (Alberto si
rabbuia), iamme chillu ca pittava, eh… ‘o fatto d’Ulisse, ca torna a Ischia…
Alberto: A Itaca…
Gaetano: Bravo! A Itaca, ca “Pure Ulisse alla fine torna ad Itaca” è vero, o
no?
Alberto: Ma io starei dalla parte dei Proci.
Gaetano: E ‘o sapimmo ‘ca tu sì ‘nu frocio, nun te preoccupà!
Alberto: Mangia, che si fredda, l’ho riscaldato nel microonde.
Gaetano: Ah, e a roba c’o microonde nun me piace, se fa tosta, comme te l’aggia
dicere. A proposito di quell’amico tuo, ma è nu poco ca non se vede, addò è
finito?
Alberto: A Madrid è finito.
Gaetano: ‘O vero? E che è iuto a ffà?
Alberto: A vendere quadri, pare.
Gaetano: Uuuhhh, e me dispiace. Era ‘na brava persona. Tu ce teneve tanto. Era
diventato nu cliente, peccato, peccato… (Con la bocca piena di cibo, si guarda
intorno) Albè, ma… stavo penzando, mò nun c’entra niente ma… ‘o ssaie ca c’o
putimmo cumprà ‘sto scantinato?
Alberto: Si, e poi?
Gaetano: Uè, guagliò, tu non tieni proprio l’occhio per gli affari. Buttiamo
giù queste quattro mondezze, io faccio un paio di telefonate e tu, in mezza
giornata, hai chistu posto chinne ‘e guaglione, belle, ‘e chelle ca sacc’io, co
le tette grosse come due angurie, con le cosce come due colonne, qui mettiamo i
divani, di pelle naturalmente, rossa, allà dereto ‘a sala, e senza niente
c’arritruvamme ‘nu belle burdello in miezo a P.za di Spagna, eh? O’ ssaie a
ggente ‘ca ce vene?
Alberto: E’ bello vedere un uomo che sogna…
Gaetano: Noi la dobbiamo finire di fare questa vita da pezzenti, non ci
appartiene, possiamo essere dei signori noi, Albè! … Albè, ma pecchè fai quella
faccia? Madonna aiutami tu, questo non capisce le cose basilari… ma che ce sta
‘e male, tu ti fai dare due, trecento milioni da quella santa donna di tua
madre, che per lei è un’elemosina, e ‘ncoppe a due mesi mettiamo su un bordello
di quelli che fanno storia!... Albè, ‘ca te pare? Ah, ‘ca te pare!… (Si leva un
pezzo di cibo rimastogli fra i denti) Ma ‚ca te pare Albè? (Riferendosi al
cibo) Che è 'sta cosa?
Alberto: Il solito, me l’hai chiesto tu.
Gaetano: E nun me pare.
Alberto: Perché non te ne accorgi più, mangi sempre lo stesso, sei diventato
una mosca ormai…
Gaetano: Una mosca?
Alberto: Com’è che dite dalle vostre parti?
Gaetano: E chi ssape niente.
Alberto: La vie est une tartine de merde, mas taillemant douce... (Suona il
citofono)
Gaetano: Chi è?
Alberto: Shh! (Risponde) Si? Camilla… certo, ora ti apro… (Attacca, a Gaetano)
fai presto a finire!
Gaetano: (Velocissimo finisce di mangiare, fa anche la scarpetta) Albè, ma
pecchè tutta sta fretta?
(Bussano alla porta. Alberto apre, entra Camilla)
Alberto: Non ti sei portata le chiavi?
Camilla: (Sta un attimo sulla porta, poi vedendo che tutto è pressochè in
ordine...) No, che stavi facendo?
Alberto: Mah, due chiacchere …
Camilla: Alle quattro del mattino?
Alberto: Perché no?
Gaetano: Piacere signurì (si stringono la mano)
Camilla: Laureen, vieni dai! (entra Laureen)
Laureen: A me questa casa ha sempre dato un senso d’angoscia… perché non torni
a “Via della Conciliazione” invece di stare in questo scantinato (prende un
mazzo di chiavi da un mobile) Ah, guarda un po’ qui che c’è …
Camilla: Ah, ecco dov’erano finite!
Laureen: E dove vuoi che finiscano le chiavi, insieme alle altre chiavi, no?
Certo che da qualche giorno sei strana, mi dici che fine hai fatto per sette
giorni?
Camilla: Laureen, ti prego, non ricominciamo …
Laureen: Come no? Al circolo nessuno t’ha visto, a lezione non c’eri, in questo
buco nessuno rispondeva…
Gaetano: “Buco”, sempre al centro sta…
Laureen: Allora?…
Camilla: (A Laureen) Non vedi che ci sono delle persone? Ne parliamo un’altra
volta (Ad Alberto) Cos’è quest’odore?
Alberto: Quale odore?
Camilla: Avete fumato?
Gaetano: Una sigaretta prima.
Laureen: E’ odore di canna questo.
Gaetano: Ma qua’ canna… è ‘o pasticcio, Alberto c’ha messo ‘o basilic ‘ncoppe,
hai capì, ‘o basilic. S’a bruciate tutt'cose, ‘stu cape ‘e provola! Passa
comunque mò, non vi preoccupate. (Dà uno scapaccione amichevole ad Alberto)
Ehy!
Laureen: Non ho capito niente, ma di dove sei?
Gaetano: (Orgoglioso) Song Napulitano!
Alberto: Ma quale napoletano, è di Argirocastro.
Laureen: E dove sta?
Gaetano: (Guardando male Alberto) In Albania… ma ‘o core mio è napulitano,
aggia sempe vissuto là, ‘a quando ero piccirillo e m’andavo a rubare i supplì a
Furcella!
Laureen: (A Gaetano) Lei è un amico di Alberto?
Gaetano: Bebè? Comme no!
Laureen: Crede che si tratterrà qui anche stanotte?
Gaetano: Perché, ti trattieni pure tu?
Alberto: (Interrompendolo) No, Laureen, stava andando via.
Laureen: Era solo per capire… io vado a…
Camilla: Vai, vai.
Laureen: Arrivederci.
Gaetano: Te ne vai a cuccà? (Laureen interdetta esce) E’ gentile…
Alberto: (Ironico) Assaie!
Camilla: (ad Alberto) Oggi niente spettacolo?
Alberto: E’ lunedì, il teatro è chiuso.
Camilla: Già… senti, io vorrei venire una sera di queste, dov’è di preciso?
Gaetano: Accà dereto…
Alberto: Fuori Roma, te l’ho detto. Aspetta il prossimo mese che lo portiamo
qui.
Gaetano: Ma che sta dicendo… (Alberto gli fa segno di tacere, Gaetano, privato
della parola comincia a fare dei segni strani interrogativi, cercando di non
essere notato da Camilla)
Camilla: (A Gaetano) Anche tu balli?
Gaetano: Io? Chi, io? Nooo… io gestisco il locale… è isso l’artista.
Camilla: Ah… ed è bravo?
Gaetano: Azze, tiene ‘nu… (accortosi della gaffe che stava per fare) ‘nu
grosso… ‘nu grosso talento tiene.
Camilla: Ma c’è qualcuno che lo viene a vedere questo grosso talento lì
giù...
Gaetano: Ah, ah, ah, è spiritosa ‘a guagliona, è spiritosa... (un po’ in
imbarazzo) Ah ah… (tossisce) uè, Camì, ce stai cocche cosa ‘a bere? Mi s’è un
po’ seccata la gola...
Camilla: Certo, lo sai dove sono le bottiglie?
Gaetano: ‘O saccio, ‘o saccio… (esce)
Laureen: (da fuori) Camy!
Camilla: Si, dimmi!
Laureen: A posto di là?
Camilla: (non capendo a cosa si riferisca) Bah, mi pare di si.
Laureen: (Entra in salone con un mascherone da notte bianco con delle zucchine
sugli occhi che le impediscono di vedere) Ah, è tutto il giorno che aspetto
questo momento, dovresti provare. Alla fine ti rilassi a tal punto che senti
persino il canto delle cicale dal fondo della notte...
Gaetano: (Entra con una bottiglia di rum, con una voce grevissima a Laureen)
Hai messo a faccia arint' a'nzalata?
Laureen: (Sussulta) Cos’era questo?
Alberto: Il canto delle cicale.
Camilla: Non avevo capito che mettevi la maschera...
Laureen: Ma sono tutti qui? (Cerca di levarsela alla meno peggio)?! Che
diamine… (Gaetano si avvicina e le dà una leccata) Ahhh! Che era? Che era?
Gaetano: (Ridendo) Troppa maionese…
Camilla: Vieni… (prende Laureen per un braccio)
Laureen: Ho la crema negli occhi.
Camilla: Andiamo, ti aiuto io…
Laureen: Cos’era quella cosa?
Camilla: Un fazzoletto bagnato.
Laureen: (Infantile) No… era un lingua!
Camilla: Sei stressata, cosa vai a pensare.
Laureen: Stressata un corno (la porta fuori scena)
Gaetano: (Ridacchia, ad alta voce) Un corno, 'e corna... tiene 'e corna
stressate, ma che va dicendo. I’, femmene come a chelle, manco le gazzose ‘e
faccio purtà. Arete 'o siparietto, ampresse ampresse!
Alberto: Perchè non vai a dirglielo direttamente in camera?
Gaetano: E vuoi che non lo sanno? Arete ‘o siparietto, chillo sotto ‘a scala,
o' cchiù stretto ‘e tutte quante, ‘o cchiù fetuse... lì ci vanno i peggiori...
chille ca c’abbrucia talmente assaie che non ce la fanno manco a camminare.
Comme me piacisse, eh... a vedilla cantà ‘mmiezzo a quattro animali... non sono
mica tutti artisti comm’a tte allà derinto, ah ah!
(Entra Laureen con una vestaglia addosso, guardando con deciso sospetto gli
altri due pare cercare qualcosa).
Alberto: Tutto bene. Hai perso qualcosa? (non risponde) Laureen…
Laureen: La trousse...
Alberto: E' quella sul comò, per caso?
Laureen: (La vede, va a prenderla, sta per uscire)
Alberto: Ah, Laureen... (Laureen si volta) scusa per poco fa. (Laureen esce)
Gaetano: Pare fatta apposta. Arete siparietto...
Alberto: Non la tiri mai la catena?
Gaetano: Come?
Alberto: Non la tiri mai la catena? Hai un cesso nel cervello, tira che fa
bene, ogni tanto, tira, tira!
Gaetano: (Molto deciso, con l’aria da padrone) Ma pecchè? ‘O cesso arinte ‘o
cervello nunn è pure ‘o tuoie? Nun sì tu chille c ‘a notte fa chello che
addic’io, addò dich’io?
Alberto: Certo. Certo è così.
Gaetano: E allora?
Scena IV
(Casa di Camilla. Nella scena c'è Gaetano che fa colazione inzuppando un
cornetto nel caffellatte. Dopo poco entra Laureen, ancora assonnata. Lo guarda
con ripugnanza. E' mattina inoltrata).
Gaetano: Uè Lory, Come Lory del Santo… ti senti meglio?
Laureen: Sei ancora qui? (Si tocca la fronte in preda ad un forte malditesta)
Gaetano: Te fa male ‘a capa?
Laureen: Si...
Gaetano: Devi mangiarti qualche cosa, perché non vai…
Laureen: Shhh…
Gaetano: (Continua a voce più bassa) Perché non vai in cucina prenderti i
cornetti (riprende con il tono consueto) ‘o caffellatte t’o prepar’io.
Laureen: (Guardandolo) Mi dai… ho un po’ di nausea.
Gaetano: Ah…
Laureen: Dove sta Camilla?
Gaetano: E’ uscita mezz’ora fa.
Laureen: Come è uscita, e con chi?
Gaetano: Eh... da sola.
Laureen: Alberto.
Gaetano: Eh, praticamente è uscito subito prima di lei.
Laureen: Ma che cavolo…? Da quando ha fatto venire quello…
Gaetano: Chi, Alberto?
Laureen: Non sto parlando con te! (ha un giramento di testa)
Gaetano: Uè, ma che stai male? Stenditi, vieni qui, mettiti un po’ sul divano…
(Va verso di lei)
Laureen: Grazie, faccio da sola. (si stende)
Gaetano: Metti su quei piedi, se no ‘o ssangue arinte a cervella nun ce trase
(Le mette il cuscino sotto i piedi) accussì, ah, ebbì. Con permesso signurì, ma
si tutti facessero chelle c’addich’io addà vede comme facessero belle. Sei
stressata, hai capì… dà qui le scarpe! (Gliele toglie) Appoggia, tu… (lei alza
la testa per guardare che sta facendo) …nunn’aizà ‘a capa, che te fa male. Ecco
qua (si allontana) ecco qua…
Laureen: Vorrei…
Gaetano: Dice?
Laureen: Vorrei che sparisse tutto, tutto... tutte quelle faccie, quei sorrisi
idioti, quelle valanghe di ammiccamenti che non portano a nulla, mai. Quel
gioco sfibrante per dover piacere per forza, piacere... ma a chi poi. E’ tutto
questo, questo... (non riesce a concettualizzare)
Gaetano: Pechè non vieni un poco ‘o locale mio?
Laureen: Ah?
Gaetano: E’ da quando t’ho visto che te lo voglio dire. Io tengo ‘nu locale,
vieni che ti rilassi. Vieni…
Laureen: Un pub è l’ultima cosa che mi ci vuole.
Gaetano: Ma quaaa pub! ‘O pub! Ehy! T’o desso ‘nu pacchere!
Laureen: Eh? Cos’è?
Gaetano: Ahh… che t’aggia dìcere? Ce viene gente. Chinne 'e gente, accussì!
Gente famosi, gente sconosciuta, ce stanno tutti… l'ata vota, per dirti, ce
stava… comme se chiama... chille ca fa ‘o senatore, comme se chiama...
Laureen: (Interessata) Il senatore?
Gaetano: Eh, non me arricuordo, chille vene sempe, sai? Comme se chiama? Ogni
mercoledì, quello, alle undici e mezza sta lì. (Laureen lo guarda diffidente)
Ah, ma aspetta, aspetta, ‘o tengo, eh... (Si mette una mano nella tasca, ne
estrare il portafoglio e ne tira fuori una foto tutta stropicciata) Oiccanne,
‘o vvì! Oiccanne! ‘O tenevo arinte ‘a sacca! Pare scemo… (gliela mostra)
Laureen: (Lei quasi si alza dal divano) Ma questo è…
Gaetano: E capito? Ehhh…
Laureen: Fai vedere… (gli riprende la foto e se la mette davanti al viso) E chi
sono tutte queste donne qui dietro...
Gaetano: (Le leva subito la foto di mano) Niente, niente, era ‘o compleanno
suoie…
Laureen: E viene da te a festeggiarlo?
Gaetano: Viene ogni mercoledì, te l’aggia ritte, è fisso. ‘O buò sapè comme me
chiamme?
Laureen: Come.
Gaetano: “Capo”, hai capì? Mi chiama “C A P O”… Nun saccio si me spiego.
Laureen: Ma, fammi capire bene… cos’è, un ristorante?
Gaetano: ‘Na sera, forse… n’ate sera è ‘nu pub, comme addicevi tu… chell’ate
chi ‘o ssape… se fa burdello…
Laureen: E’ un posto di un certo tono, immagino...
Gaetano: Azze, ci sono certi toni...
Laureen: E dov’è che resta?
Gaetano: Cosa?
Laureen: Il tuo locale, dove resta…
Gaetano: Per il momento dov’è… ma giusto dicevo con Alberto come starebbe bene
da queste parti.
Laureen: Beh, qui è proprio il centro!
Gaetano: Beh, Per il momento stiamo a Piazza della Repubblica.
Laureen: Non è male!
Gaetano: No.
Laureen: Ma se volessi venire occorre il vestito lungo?
Gaetano: Dove corre?
Laureen: No, dicevo…
Gaetano: Ma dove corre! Con questo caldo, dove corre! Ci vuole qualcosa di
leggero, di scollato, che lasci respirare la pelle…
Laureen: Credo di avere in mente qualcosa.
Gaetano: Qualcosa che si lasci guardare, ecco… ma non si lasci vedere. Qualcosa
che si lasci guardare ma non si lasci vedere, ricorda!
Laureen: Che si lasci guardare ma non si lasci vedere.
Gaetano: (Da adesso comincia ad essere sempre più losco, e Laureen sempre più
complice) Guagliuncè, sient’a mme. Lì ci incontri di tutto, dal senatore al
regista, allo sbruffone certo, c’è pure qualche sbruffone.
Laureen: (Comprensiva) Quelli sono dappertutto.
Gaetano: Hai capì! Il resto sta a te.
Laureen: Ovvio.
Gaetano: Che si lasci guardare ma non si lasci vedere.
Laureen: Che si lasci… ho capito.
Gaetano: La fortuna, ricorda, è un vecchio con un ciuffo solo, e tu per dove lo
devi prendere?
Laureen: Per quel ciuffo.
Gaetano: Brava!
Laureen: Mi ha fatto bene parlare con te.
Gaetano: Posso farti pure meglio.
Lauren: Ah, scusa, non vorrei m’avessi frainteso, prima quando sono stata un pò
chiusa con te...
Gaetano: L'importante è aprirsi al momento giusto.
Scena V
(Camilla ascolta la segreteria telefonica, è la voce del padre, esitante)
Segreteria: Camy, sono papà. Come stai? E’ un mese che non ti fai viva... io…vorrei
che... non posso parlare con una segreteria, capisci? Vorrei che per una volta
non fossi io a cercarti! (riavvolge il nastro e lo riascolta una prima, una
seconda volta)Vorrei che per una volta non fossi io a cercarti! (lo riavvolge
una terza volta) Vorrei che per una volta non fossi io a cercarti… (idem)
Vorrei… (entra Alberto e lei subito blocca la riproduzione)
Alberto: Messaggi?
Camilla: No, non per te.
Alberto: Fa vedere... (Va per andare a controllare)
Camilla: No. (Alberto fa per andarsene) Alberto... (Alberto si volta) scusami,
sono un po’ nervosa, ti va di mangiare una cosa assieme stasera?
Alberto: (Sorpreso) Qui a casa?
Camilla: Ho preparato della carne, ti piace lo sformato?
Alberto: Si, non so bene cosa sia lo sformato, comunque si.
Camilla: Vado a prenderlo.
(Camilla esce. Lui va alla segreteria, l’aziona)
Segreteria: Non ci sono messaggi.
(Camilla entra con lo sformato).
Alberto: L’hai fatto tu?
Camilla: Ti meraviglia?
Alberto: Non t’ho mai visto cucinare prima d’ora.
Camilla: Sei qui solo da una settimana.
Alberto: L’odore è buono.
Camilla: Devi lavorare anche stasera?
Alberto: (Incerto) No… ora chiamo… comunque no. (Camilla comincia a tagliarlo)
Vuoi una mano?
Camilla: Si, magari, aiutami a tenerlo fermo (Sono molto vicini, Alberto la
aiuta)
Alberto: Ti sei messa il profumo.
Camilla: Lo metto sempre. Non te ne eri accorto? (Ultimando le porzioni) Ecco
fatto. Passami il piatto… (lui glielo passa, lei fa le porzioni) ecco. Grazie
(si siedono) Finalmente ceniamo assieme.
Alberto: Buon appetito.
Camilla: Buon appetito. (Cominciano a mangiare) Non t’ho chiesto se ti trovi
bene in quella stanza, se è troppo piccola…
Alberto: In realtà ci vado solo a dormire.
Camilla: Ah… l’hai tappezzata di fotografie però.
Alberto: Qualcuna, si, ti ‘spiace?
Camilla: Figurati. Mi ci è caduto l’occhio ieri e… non c’è n’è una sana…
Alberto: Come, sana?
Camilla: Le hai tagliate tutte.
Alberto: Oh, si, era il mio album di famiglia.
Camilla: Ma così ci stai solo tu.
Alberto: Il buco è la presenza più interessante.
Camilla: (cambia discorso) Ci metto delle spezie di solito, per dargli sapore,
tu ne vuoi?
Alberto: Perchè no… (Camilla sta per alzarsi) lascia, vado io. (si alza)
Camilla: E’ quel barattolino là. dietro la credenza. (Alberto lo prende). Ah,
ho comprato un cd oggi, sta sempre da quelle parti.
Alberto: (prende un cd) Brahms?
Camilla: Ti va di metterlo?
Alberto: (esegue).
Camilla: La terza traccia, metti la tre, l’ho comprato apposta per fartelo
sentire.
Alberto: (Esegue. E’ il terzo movimento della “Sinfonie F-dur Nr. 3, op
90)
Camilla: E’ meravigliosa. (Alberto sta per tornare a sedersi) No resta lì…
quando ero piccola e venivo qui a guardare mio padre dipingere lui la metteva
sempre… per me. Aveva una radietta lì sopra, l’accendeva solo quando venivo io.
Stavo lì per terra a guardarlo, vedevo il mondo nei suoi occhi. Rimaneva lì per
ore, proprio dove stai tu, aveva un basco in testa…
Alberto: (Vede un basco lì per terra e lo prende) Era per caso questo?
Camilla: Si, bravo! Era proprio quello! Mettilo! (Lui lo indossa) No, non così,
mettilo un po’ alle ventitré! (Alberto esegue, lei ride) si così, bravo, ahah!
Bravo! Ci sono dei pennelli in quella cassa, prendili! (Alberto si cerca nella
cassa)
Alberto: Non li trovo…
Camilla: Dovrebbero essere in una specie di anforetta in cotto.
Alberto: Ah, si, eccola (Tira fuori da un cassa un barattolino con dei pennelli
sporchi, lei ride sempre più felice, anche lui è emozionato)
Camilla: Erano proprio quelli… erano proprio quelli. Fermo.
Alberto: Sono belli.
Camilla: Tu sei bello. Restava dietro quel cavalletto per ore. Poi la luce, i
rumori, svaniva tutto… restava solo il suono delle setole sulla tela. Si
sporcava viso, barba, diventava tutt’uno col quadro, poi veniva da me…
Alberto: E cosa faceva?
Camilla: Sporcava di colori anche me. Bastava una carezza, un bacio bastava e
mi faceva venir la faccia come quella di un pagliaccetto!
Alberto: Vorresti che ci fosse lui al mio posto?… hm?
Camilla: (Pausa) Non ho più sette anni. Magari ha trovato anche lui la strada
giusta…
Alberto: Andiamo…
Camilla: Cosa?
Alberto: Non è possibile che di punto in bianco abbia abbandonato tutto.
Camilla: (spiazzata) Avrà trovato altre motivazioni…
Alberto: Ah, vuoi dire che non sono i quadri la ragione per la quale è partito.
Camilla: Non ho detto questo.
Alberto: Sai, quando ti sento parlare di lui, vedo questo posto, mi sembra
quasi di conoscerlo… doveva essere un tipo strano.
Camilla: Eh?… Si, certo.
Alberto: Le ragioni dell’arte sono nella vita
Camilla: (Ironica) Sarà diventato ‘amante della sua gallerista?
Alberto: C’è già tua madre che lo controlla.
Camilla: Non c’è mai riuscita.
Alberto: Come, scusa, ma quando è partito…
Camilla: E’ partito, basta. Non sapevo niente. L’ultima volta che lo vidi fu la
sera prima. Ci fu un incidente…
Alberto: Che incidente?
Camilla: Successe qualcosa che non doveva accadere.
Alberto: Cosa? Cosa è successo?
Camilla: Alberto, perché mi stai facendo ricordare questa storia?
Alberto: Andiamo Camilla, non prendiamoci in giro.
Camilla: Che vuoi dire?
Alberto: Guardami, con i suoi pennelli in mano, mi fai dormire nella sua
stanza! M’hai fatto indossare il suo cappello, mi hai fatto mettere
Brahms!
Camilla: Era soltanto un gioco.
Alberto: Non è un gioco Camilla.
Camilla: (Fa per andarsene) E’ ridicolo!
Alberto: (La trattiene per un braccio) Cos’è successo quella notte, Perché non
ti ha portato con lui? (suona il telefono)
Camilla: (risponde) Pronto? Laureen… si, tutto a posto, dì… L’ho sentito
stamattina, tu sei passata a studio?… Hai portato la lettera? Ok… è ovvio che
la firmerà lui ma tu intanto ti sei fatta vedere. Stasera? Dove… ma te l’ha
chiesto lui? Mah… (Alberto trovatosi vicino ad una statuina di legno, la prende
e la esamina. E' una figura stilizzata, dalla posa stranamente sensuale, senza
un braccio) Se te l’ha chiesto lui… va bene, tra mezz’ora al bambus?… si, ciao…
ciao. (attacca, vede Alberto)
Alberto: L’ha fatta lui?
Camilla: Posala.
Alberto: L’aveva appena cominciata, che peccato.
Camilla: Forse non gli interessa finirla.
Alberto: Questa è cera sintetica, sai quanto ci avrà messo a trovarla di questo
colore?
Camilla: Alberto, io ho da fare…
Alberto: A capire da un campione così che da lì sarebbe potuto uscire
questo…
Camilla: (tagliando corto) So solo che un giorno l’ha portata a casa e lì è rimasta.
Alberto: Non hai mai visto qualcuno modellare la cera? Deve levare tutte le
parti che sono in più con delicatezza, se no si sfalda tutto. E’ come
accarezzare un viso che ancora non esiste. Vederlo formarsi fra le proprie
mani. Sentirlo quasi respirare. Adesso respira a metà. Vive a metà.
Camilla: Perché parli di quello che non conosci?
Alberto: Non è di te che stavo parlando.
Camilla: Vuoi sapere come sono andate veramente le cose, eh? Vuoi saperlo? Mi
stava sempre tra i piedi, ultimamente, soprattutto quest’anno. Aveva da dire su
tutto, tutto. I miei amici li detestava dal primo all’ultimo. Ragazzi, ragazze,
chiunque avesse visto vicino a me una volta, prima o poi lo avrebbe trattato
come una pezza da piedi. Era morboso fino alla malattia. E sai qual è la cosa
che non capirò mai di tutto questo? Che più lui faceva così e più io ci stavo
bene, più terra bruciata c’era intorno a me e più mi ci impegnavo a diventare
quella che detestava… frequentavo la gente che canzonava, credevo in ciò che
combatteva, cominciai ad andare persino in chiesa quando capii che lo ripugnava
qualsiasi cosa avesse a che fare con la religione.
Alberto: Allora questo è il motivo.
Camilla: Per il quale è partito? Era solo un modo per farlo interessare a me.
E’ sempre mio padre.
Alberto: Ma così l’hai soltanto fatto andare via.
Camilla: Non per colpa mia.
Alberto: Ne sei così sicura?
Camilla: Non ho mai pensato che potessi capire. (Va per uscire)
Alberto: E’ così.
Camilla: Non hai mai conosciuto quell’uomo. Senti, io devo andare.
Alberto: E dove? Che senso ha continuare ad incontrare le stesse persone dal
momento che non c’è più la ragione per la quale lo fai?
Camilla: Devo vedere Laureen.
Alberto: E magari qualcuno che dopo averti ripassato ti offra un bel lavoro, è
così?
Camilla: Me lo devi anche chiedere? E’ così, è così che va il mondo?
Alberto: E’ sempre lo stesso film, è da quando ho sette anni che me lo fanno
vedere. Mia madre, i suoi contratti di lavoro, li firmava fra le lenzuola.
Camilla: E allora…
Alberto: E allora sei come lei! Hai ragione, ci voleva niente a capirlo. E’
merito tuo allora se quella scultura non è finita, complimenti… se resterà
sempre a metà fra un blocco di cera e una persona.
Camilla: Non è un problema che mi riguarda.
Alberto: Non ne avevo dubbi!
Camilla: Forse la cosa riguarda te. Tutte queste mezze frasi, eh? Vogliono dire
qualcos’altro. E dillo, dillo cos’è che ti rode. Cos’è, non parli più. L’amore
per la verità ti prende solo quando parli degli altri. Oh, che stupida! E’
vero! Come ho fatto?! (guarda l’orologio) tu da quest’ora tu parli a pagamento,
non è così? E quant’è, quant’è che prendi? Un teatrino piccolo fuori Roma,
macchè alla “Roulette rouge”! E’ un nome raffinato per un bordello. E poi che
numero, che eleganza!
Alberto: Ti è piaciuto?
Camilla: Molto. Molto squallido. E dopo, per il dopo quant’è che prendi, tre
quattrocento mila lire?
Alberto: Siamo tutti in vendita.
Camilla: E’ solo una questione di prezzo.
Alberto: Camilla, tanto di lì, prima o poi, ci passate tutti.
Camilla: Ma tu ci resti. (Lui fa per andarsene) Dove vai?
Alberto: (fa per andarsene) Mi ‘spiace per la cena, davvero. Poteva essere…
Camilla: Non abbiamo ancora finito di parlare.
Alberto: Non abbiamo più molto da dirci mi sembra.
Camilla: (aggiunge senza guardarlo) Sul mobile… hai lasciato una cosa, non te
la scordare (Alberto controlla, ci sono quattrocentomilalire, le prende)
- II Atto -
Scena I
(Cono su Gaetano)
Gaetano: Uè uè, uè uè… e qui v’aspettavo… ‘o ssapite, si, chi ci sta mò?
Brusio: Muoviti dai…
Gaetano: Una chicca…
Voce Gay: Una checca?
Gaetano: E’ per signorine di un certo tono…
Voce Gay: Una checca per signorini di un certo tono??!
Gaetano: A te ho pensato quando c’aggia fatto ‘o contratto.
Voce Gay: E chi t’ha mai visto?
Gaetano: …ma soprattutto alle signore che aggia penzato stasera (Buttando uno
sguardo in platea) ca pure ce stanno me pare!
Voci femminili: (In romano) Te stai a levà o te ce dobbiamo buttà noi fori?
Gaetano: Maronna, che ddio ‘e famme ca tenite…
Voce Gay: Ma che lingua parli, l’albanese, il napoletano, il russo, lo
slovacco?
Gaetano: La lingua ‘e mammete, và bbuò? ‘O faccio trasì, mò! Ca non ze po’
campà… Julien, signori e signore!
(Scatto del bip della segreteria, la voce di Camilla pronuncia il consueto
messaggio, nel silenzio)
Voce Camilla: Momentaneamente non posso rispondere, se lasciate un messaggio
sarete richiamati al più presto, Grazie.
(Parte la musica. Deliri di donne e uomini, che sfumano quando la madre parla.
Nel frattempo un controluce illumina la tela grande che fa da quinta. Dietro di
essa Alberto, del quale quindi si vede solo l’ombra, fa lo spogliarello. In
sottofondo “The feeling begins” di Peter Gabriel.)
Voci: Ohhh! / Fatti vedere/ Vai bello de zia, vai!
Voce della madre: Alberto, Alberto sei in casa? Sono mamma, rispondi, per
favore.
Voci: Alza la luce!
Voce Madre: Va bene, forse è meglio così, ti lascio un messaggio.
Voci: De che te preoccupi, ninè, voi nun fatte véde?
Voce Madre: (Ha una voce calma ma drammatica) Volevo soltanto dirti che, anche
se è lontano il giorno te ne andasti... se in fondo riesco a parlarti solo
così... ogni istante... ogni momento che hai passato lontano da me, ho fatto in
modo di sapere dov’eri... e sentire da altri come ti sei ridotto... (si
riprende) sarai felice almeno, hai avuto ciò che cercavi... umiliato me e tutto
quello che ho costruito...
Voci: Togliti quella roba, dai/ Nun ce la tirà tanto pè’lle lunghe
Voce Madre: Ti avrei dato tutto, tutto quello che potevi ricevere. A te non
restava che cercare quel po' di felicità nelle cose, neanche, quel po' di
serenità che rende una vita sorridente... no, tu, fin da piccolo, hai soffocato
ogni sentimento verso di me… perchè non ti ho dato un padre. Sei riuscito a
pervertire tutto, anche le cose più belle che io ho fatto per te, hai un’anima
marcia... (in lacrime) Dio! Perchè non mi hai dato un altro figlio!
Voci: Vai/ Così/ Così!
Voce Madre: Cosa ne sai tu di come sia crescere nella povertà, di avere un
padre e una madre che le trovano tutte per umiliarti?
Voci: Fammi toccare!
Voce Madre: Tu sei cresciuto in una delle case più belle di Roma, hai
conosciuto le famiglie più importanti del paese, hai visitato luoghi che da
bambina io neanche potevo sognare... hai degenerato tutto. Cosa hai dato tu,
Alberto, alla vita che lei non ti abbia offerto?
Voci: Tutto, togliti pure la carne!
Voce Madre: La prostituzione, la vergogna… Dio Santo, è tua madre che ti
parla!
Voce: Si sapevo che a ffà figli venivano fora come a te, ne facevo diesci!
Voce Madre: Sai cosa avrebbero dato tanti bambini per stare al tuo posto?
Voce Gay: Ma il culo! Facci vedere il culo!
Voce Madre: Mi fai schifo… sono felice di ammettere che in nulla, è vero, mi
somigli. Non ti ho dato un padre, ma ho provato, ti giuro, con tutte le mie
forze, a farti diventare un uomo degno del rispetto della gente, ma mai, ne
devo prendere atto, potrai diventarlo. Devo dirti che… è vero, l'amore che
provavo per te un tempo è secco ormai, che hai vinto, sei contento, che ho
fatto un figlio che mi vergogno sia carne della mia carne.
Scena II
Laureen e Camilla sono in casa. Laureen accarezza, esaminandolo, il viso di
Camilla.
Laureen: Ma come ti ha ridotta? Sei pallida, hai gli occhi gonfi…
Camilla: Ma che c’entra lui?
Laureen: E allora che cavolo ti è successo?
Camilla: Lasciami (Discosta il volto dalle sue mani)
Laureen: M’hai fatto stare tre ore sul pianerottolo, non sentivi bussare?
Camilla: Ero di là.
Laureen: Sono dieci giorni che non ti vedo. A telefono non rispondi mai, c’è
sempre quella cavolo di segreteria, al circolo nessuno t’ha visto.
Camilla: Ero qui.
Laureen: (Spazientendosi) Eri qui…
Camilla: Ero qui, davvero.
Laureen: E la macchina distrutta, qui sotto, te l’hanno fatta qui?
Camilla: Solo ieri sono uscita.
Laureen: Ti prego Camilla, dimmi la verità, di che hai da preoccuparti con me?
Dove sei stata ieri notte?
Camilla: Non lo so.
Laureen: Come non lo sai.
Camilla: L’ho seguito.
Laureen: Alberto? C’avrei giurato che la colpa era sua. E dove l’hai seguito?
Camilla!
Camilla: Alla casa.
Laureen: Quale casa?
Camilla: Quella dove va quando viene rimorchiato da qualcuna alla “Roulette
rouge”.
Laureen: E tu sei andata lì con lui?
Camilla: Non credo che mi abbia visto.
Laureen: Che vuol dire?
Camilla: L’ho seguito con la mia macchina fin sotto il portone. Ho aspettato
finchè non riuscisse.
Laureen: Stai scherzando, vero? Camilla, ma che ti è preso?!
Camilla: Ho paura.
Laureen: Paura? Paura di che? Ti ha messo le mani addosso?
Camilla: Ho paura che vada via senza che io faccia nulla.
Laureen: Dì la verità, ti picchia?
Camilla: No. La notte lo guardo dormire.
Laureen: Camilla, non capisco.
Camilla: Ho paura di svegliarmi, una mattina, e scoprire ce se n’è andato senza
che abbia potuto trattenerlo.
Laureen: Questo sarebbe soltanto un bene, te ne rendi conto?
Camilla: Non per me.
Laureen: Ma lui non è una persona adatta a te.
Camilla: C’è qualcosa di bello in quello che dice, nella sua voce. Mi è
diventata subito familiare, come se la ascoltassi da anni.
Laureen: Camilla, pensa a quello che stai facendo.
Camilla: C’è qualcosa di tranquillizzante in fondo alla sua crudeltà.
Laureen: Vieni!
Camilla: Dove?
Laureen: Usciamo un po’, hai bisogno di un po’ d’aria … (Suona un cellulare sul
tavolo, Camilla lo guarda) Lo prendo io quello, non ti preoccupare.
Camilla: Non è mio. E’ quello d’Alberto, l’ha dimenticato. (Laureen va a
rispondere)
Laureen: Meglio così.
Camilla: Magari è lui. (Laureen va a rispondere) Dove vai?
Laureen: (A telefono) Pronto? Ah… no Alberto non è in casa, lei chi è?… Ah,
capisco… si, c’è stato… va bene, glielo riferirò… buona sera. (Attacca)
Camilla: Chi era?
Laureen: Era l’avvocato della madre.
Camilla: Chi?
Laureen: Ha esposto denuncia contro il figlio. Alberto dovrebbe aver ricevuto
delle lettere molto importanti dalla signora, ha detto che deve rispedirle al
mittente. Non sai niente?
Camilla: No.
Laureen: Non le hai mai viste queste lettere? (Camilla scuote la testa) Se è
uno psicopatico?
Camilla: Non penso…
Laureen: Tu denunceresti tuo figlio? (Va verso la quinta)
Camilla: Dove vai?
Laureen: Devono stare in camera sua, vieni.
Scena III
Gaetano e Alberto mettono a posto il locale
Gaetano: Guagliò, fa’ ampresse, ca ce ne iamme ‘a casa!? ‘O saccio ca tu sì
n’artista, peccarità… ma, si nunn’o fai tu, facimme arimmane matina. Tanto,
come esci, trovi a chella ca te porta ‘a casa. Ma che vene a ffà chella femmena
tutta ‘a notte innanzi ‘o portone? Si vò entrà m’o ddice, ‘i ce faccio
conoscere qualche bello guaglione, a vedè comme s’addiverte, magari la pagano
pure… chella ca ce trova inte ‘a nu fetuse comme a tte, mò, ià…? Stavo
pazziando, stavo pazziando… anche se, aggia dicere ‘a verità, s’io fosse a
essa, nunn’o ssaccio si me ce facisse vedè appresse a uno ca... ca…
Alberto: Ca fa la puttana.
Gaetano: Eh!
Alberto: Perché, le vecchie sono peggio dei senatori? Uno che dà il listino
prezzi è peggio di una che, se non passano a prenderla in jaguar, neanche li
guarda?
Gaetano: No, e che, a me lo dici? Mo’ è meglio chi… no, qua meglio! Ah, ah, a
proposito, ‘o vuò sapè chi vene adimmane? Laureen, l’amica di Camilla.
Alberto: Che dici?
Gaetano: M’ha chiamato oggi al cellulare. Alle nove sta qua.
Alberto: Figurati!
Gaetano: Adda vede comme m’ha figuro, arete ‘o siparietto, tu nun me cride...
comme aggia tirato fore la fotografia del senatore ‘e se so appizzate ‘e
rrecchie... da sola vene: “Camilla ha da fare” dice “è mica un problema?”, ‘a
verità è che ‘a piccerille non vuole la concorrenza, hai capito che femmina?
Alberto: La piccerilla, come vede il posticino, le viene un’ attacco epilettico
Gaetano: Pecchè, che ce sta ‘e strano? Domani gli spettacoli cominciano a
l’una, quella viene alle nove… io chiamo a uno di quei vecchiacci qua fuori,
gli metto una giacca ‘ncoppe, e gli dico che c'è una che se giochi al senatore
o all’avvocato fa la porca...
Alberto: Però…
Gaetano: E’ diec’anni che faccio chistu mestiere, Bebè, comm’è fatta ‘a gente
‘o saccio, è fatta tutt’o stesso. Va buò, poi lo dico proprio a te, ca ‘o mese
primma ‘o pate e ‘o mese doppo ‘a figlia.
Alberto: No.
Gaetano: Come no?
Alberto: Con Stefano era solo un’amicizia.
Gaetano: Ehhh…
Alberto: Gaetano...
Gaetano: Ma se dopo due minuti che ci parlavi gli hai chiesto di andare nella
casa.
Alberto: Si finisce sempre per parlare del proprio lavoro prima o poi, comunque
lui non era venuto per quello.
Gaetano: No? E per che era venuto?
Alberto: Avrà fatto una ventina di tele da quando frequenta questo posto, è una
risposta, no? Sono quelle che gli hanno fatto prendere il volo.
Gaetano: Ma tu ci sei stato o no?
Alberto: No!
Gaetano: E che facevate?
Alberto: Ma per te due persone insieme possono solo scopare?
Gaetano: No, per carità…
Alberto: Uscivamo qualche volta, di notte, andavamo a bere. Mi raccontava della
pittura, mi raccontava di me, si di me. Riusciva a guardare con più chiarezza
lui dentro la mia mente di quanto io sia mai riuscito a fare. In fondo è questo
che fa un pittore, è sempre un nudo che dipinge (si tocca la fronte) questo
nudo qui. Vedeva quello che avevo vissuto prima che glielo raccontassi. Così,
senza farmene accorgere, mi stava tirando fuori dal mio inferno. Uno non si
rende conto che quello che fa è per dimenticare qualcosa che invece è sempre
lì, che ti guarda anche se non si vede e sceglie tutto al posto tuo. Uno vuole
dimenticare quando era povero, uno suo padre, uno sua madre… e si passa la vita
così, senza capire mai, senza volere altro che dimenticare.
Gaetano: (Sempre mettendo a posto il locale) Mi passi quelle sedie,
scusa…continua. Eh… poi come hai fatto a beccare Camilla?
Alberto: Quando ero troppo ubriaco per tornare a casa mi dava le chiavi del suo
studio, all’epoca non c’abitava nessuno. E’ lì che sono andato a cercarlo
quando erano una decina di giorni che non si faceva più vedere, vidi Camilla
per la prima volta. Stava uscendo dalla porta un attimo prima che io suonassi.
Non mi sono fatto vedere. L’ ho seguita, ho visto dove andava, con chi stava.
Persone che uno dalla figlia di Stefano non si aspetterebbe mai, le più
ipocrite, le più snob. Uno sembrava gay, c’ ho scambiato due chiacchere e mi
sono fatto portare ad una festa, la sera stessa, dove c’era lei.
Gaetano: Un caso…
Alberto: Erano giorni che mi chiedevo che cavolo era successo.
Gaetano: E allora?
Alberto: Ancora non l’ho capito.
Gaetano: Ti offro qualcosa da bere, vieni… (Alberto si siede. Gaetano va a
preparare del whiskey, mette una musica tranquilla)
Alberto: Dev’essere stato per via di Camilla, forse non è colpa sua, ma deve
essere successo qualcosa, qualcosa di grave.
Gaetano: Ghiaccio?
Alberto: No.
Gaetano: (Gli porta il bicchiere) spiegame… che ce stai a ffà accà?
Alberto: Hm?
Gaetano: Tieni una madre ca, in mezza giornata, ti trova ‘nu posto ‘a venti
milioni ‘o mese, ‘na guagliona che, pur di starti vicino, ti aspetta tutta la
notte là de fore, perché non fai qualcosa di più tranquillo?
Alberto: Più tranquillo, dici? Mah, a doverlo spiegare non so se sono capace.
Tu mi sapresti dire perché fai questo lavoro? (Gaetano gli dà il Whiskey) Bè,
io comunque credo sia per una cosa successa nove o dieci anni fa, credo… avrò
avuto quattordic’anni. Mia madre mi beccò che baciavo un tipo nel suo letto.
Era tornata prima per fare l’amore con un tizio, era quello che doveva darle
lavoro.
Gaetano: Ah…
Alberto: Immagina la figura. Mi sbatte fuori la porta e mi ci lascia tutta la
notte. Io non sapevo più che fare. S’è fatta subito sera. Ho camminato, ho
preso autobus a caso tanto per stare in un luogo chiuso, in mezz’ora m’ero
perso. Stavo camminando per una stradina quando mi sento chiamare, un gruppo di
coatti. Questi cominciano a venirmi sotto, a darmi qualche ceffone, mi chiamano
femminella, sai, le solite cose. Alla fine mi prendono e mi sbattono in un
portone lì dietro. Mi violentano uno per uno. (Pausa) Dopo qualche ora apro gli
occhi, e vedo un poliziotto che mi chiede dove abito, deve aver visto le ferite
sulle gambe perché ad un certo punto ha cambiato espressione e m’ha fatto
salire sulla volante. Fa un paio di telefonate e mi porta dritto alla banca di
mia madre, ero uno straccio di fango e sangue. Lì mi prende per mano e
attraversiamo così, tutto quello splendido corridoio di marmo azzurro che porta
proprio alla porta del suo ufficio, sotto il vociare allibito di tutti i suoi
dipendenti. Gaetà, quel giorno, quel corridoio faceva schifo, era coperto di
fango dall’inizio alla fine. Da allora non faccio che questo, è uno stupro continuo
pur di camminare ancora su quel corridoio di marmo azzurro… ogni cosa, ogni
gesto che ho fatto, è stato per coprire di merda quella donna. Ho fatto in modo
che sapesse di ogni gradino che scendevo. Ho cercato di cancellarla in ogni
modo. Non è servito a niente. Ora sto cercando di capirla. (Pausa)
Gaetano: Uè, tutto bene?
Alberto: (Come ridestandosi) Si, certo… si.
Gaetano: Sei strano.
Alberto: E’ un po’ che te lo volevo dire, è l‘ultimo mese che sto qui, domani
mi cerco un altro lavoro.
Gaetano: Cosa?
Alberto: (Alzandosi) Ci sentiamo.
Gaetano: Un altro bicchiere non te lo pigli?
Alberto: (Gaetano sta per mettergli altro whiskey) Un’altra volta.
Scena IV
Camilla e Laureen nell’appartamento. Laureen sfoglia un’agenda.
Laureen: Guarda, Guarda! Ogni giorno c’è un nome diverso! E sono tutti dopo le
due di notte.
Camilla: L’agenda di mio padre non sarà stata molto diversa.
Laureen: Queste non sono semplici amanti, Camilla. (Accorgendosi della gaffe)
Oh, scusami amore… comunque c’è la via e l’orario accanto ad ogni nome, tutte
strade diverse, a parte questa “Via degli… (non riesce a leggere)
Camilla: (Legge) Degli Argonauti, ci sono stata ieri. E’ dove va con…
Laureen: Sei andata a letto con quest’uomo? (Camilla non risponde) Camilla, è
importante!
Camilla: (Prendendo l’agenda) Non voglio che la guardiamo.
Laureen: (Trattenendola) Camilla!
Camilla: Non abbiamo il diritto di guardarla!
Laureen: Hai il diritto di sapere chi abita a casa tua! (Laureen tira più forte
e le strappa l’agenda di mano, ne cadono delle lettere) Ancora lettere… (le
prende, le apre) sono della madre.
Camilla: Laureen, mi sento uno schifo…
Laureen: Controlla il mittente
Camilla: Controllatelo da sola!
Laureen: E’ Viale Parioli, 306… 306, è una delle ville, Balbi è 302.
L’indirizzo di destinazione è sempre diverso. Via dei Giubbonari, Vicolo della
Renella. Con questa ha cambiato tre case in un mese, lei sapeva sempre il nuovo
indirizzo (Apre l’ultima lettera, tira fuori un assegno) Ma questa chi cazzo è?
Camilla: (Prende l’assegno) Cinquanta milioni?!
Laureen. (Controlla la busta) Non c’è neanche un biglietto. Non ti ha mai
parlato di sua madre?
Camilla: Forse qualcosa, di sfuggita.
Laureen: Cerca di ricordare!
Camilla: Non lo so, stavamo litigando…
Laureen: Noi magari stiamo lì a perdere tempo con il figlio di Balbi e tu tieni
in casa...
(la porta si apre, entra Alberto)
Laureen: Alberto…
Alberto: Che state facendo?
Laureen: Siediti, vieni un attimo qui…
Alberto: Che state facendo?
Camilla: Aspetta…
Alberto: Dove le avete prese?
Camilla: Alberto…
Alberto: Chi vi ha dato il permesso di guardare queste lettere?
Laureen: Hai ragione, questa, Alberto, è stata una situazione poco chiara
dall’inizio, ora però…
Alberto: Cosa?
Camilla: Di chi sono queste lettere?
Alberto: Tue! Sono tue! Le hai scritte tu, non le vedi?
Camilla: Ma che dici?
Alberto: Che differenza fa? L’hai scritte ora, le scriverai fra trent’anni ad
un figlio come me. Non mi capisci? E per forza, tra i vari errori del
padreterno c’è quello di averci fatto con gli occhi che vedono solo al di fuori
di noi, mi segui, leggi le mie lettere, mi chiedi, un occhio girato verso le
budella te l’ha messo mica.
Laureen: Alberto, calmati, così non si risolve niente…
Alberto: (riferendosi a Laureen) E lei, ma chi è lei, perchè te la porti sempre
appresso?
Laureen: Ascoltami… vuoi ascoltarmi per un minuto? Se tu le avessi detto un po’
di te non saremmo arrivati a questo, è così quando non si parla. Non bisogna
temere di aprirsi al momento giusto (con l’assegno in mano) Camilla ti vuole
bene davvero.
Alberto: (Le prende l’assegno, vi legge l’importo e poi lo getta in faccia a
Laureen) Mi fai schifo.
Laureen: (Imbarazzata) avrete bisogno di parlare da soli.
Camilla: Laureen!
Laureen: Non preoccuparti, amore, ci sentiamo più tardi. (ad Alberto) Allora
ciao (esce)
Alberto: Una sera, una di quelle in cui era tutto morto, i piatti morti, le
persone morte, le sedie morte, i vetri morti, l’aria morta… lui è venuto con
cavalletto e tela. In mezzo a tutta quella gente che vomitava, scopava, beveva,
si rivoltava lo stomaco ai cessi… lui ha cominciato a dipingere, capisci? In
quella pattumiera del mondo lui c’aveva visto qualcosa… qualcosa.
Camilla: Che stai dicendo?
Alberto: Ti voleva bene, lo sai?
Camilla: Basta adesso!
Alberto: Ne voleva anche a me. (lei si volta scioccata verso di lui che va
verso il quadro) Non ti sei mai chiesta cosa rappresenti? Guardalo bene… devi
guardare! (Lei guarda. Lui indica una figura che pare danzare) Non vedi niente?
Niente? (Pausa) E’ un ballerino, è un ragazzo che danza. Sono io. Stefano ha
dipinto me quella notte.
Camilla: (Va verso di lui) Vattene…
Alberto: Lo vedi adesso?
Camilla: (Lo prende per un braccio) Vattene!
Alberto: Non ti ha detto niente di me? (si divincola, Camilla va a prendere dal
mobile un coltello) Io ti conoscevo già prima di incontrarti invece, Camilla.
Io t’ho seguito quella sera…
Camilla: (Va verso il quadro, alza il braccio per distruggerlo ma Alberto lo
blocca) Lasciami! Lasciami! (Alberto le tira giù bruscamente il polso) Ah!
Alberto: Non puoi distruggere quello che hai già distrutto! (Lei si divincola
ed esce correndo in lacrime dalla porta)
Scena V
(Alla Roulette Rouge. Gaetano in scena ancora a sistemare tavoli e sedie.
Bussano alla porta)
Gaetano: Chi è? Chi è, madonna mia… (Apre) Uè, e tu che ci fai qua?
Camilla: Non c’è nessuno?
Gaetano: Alberto se n’è andato.
Camilla: (entra) Non è per Alberto che sono venuta.
Gaetano: Ah, no…
Camilla: (Urta un bicchiere sul tavolo e la fa cadere, rompendolo) Ah!
Gaetano: Uè, ti sei fatta male?
Camilla: Mi ‘spiace… (Si affanna a riordinare i pezzi con le mani)
Gaetano: Lascia fottere, ca t’amporta! Vieni, ferma! (le ferma un polso, lei lo
ritrae)
Camilla: Ah!
Gaetano: Fai vedere… fa vedere. (Prendendole il polso) Che ti sei fatta? E’
stato Alberto? (lei si allontana)
Camilla: (Si guarda attorno) E qui che veniva?
Gaetano: E’ andato via mezz’ora fa.
Camilla: Non Alberto, mio padre.
Gaetano: Ah, si.
Camilla: E dove si metteva?
Gaetano: Lì, in fondo, sulla sinistra.
Camilla: (va nel luogo indicato) Qui?
Gaetano: Ah…
Camilla: Non si vede niente, da qui. Le persone, non gli passano davanti?
Gaetano: Lì non ci passa nessuno.
Camilla: E Alberto, dove balla, lì sopra?
Gaetano: Puoi salire, se vuoi… (Camilla si alza e va verso il palchetto, ne
sfiora la pedana con una mano) Te piace? L’aggia fatt’io. Sali, sali… (Camilla
ci sale) Come ci si sente?
Camilla: (sta male) E la musica… quando inizia, da dove entra?
Gaetano: Ebbì quella tenda, allà derete… vai… (Camilla ci si dirige e la tocca)
Dietro ci sono i camerini, vuoi entrare?
Camilla: Le persone che fanno, rimangono al tavolo, si alzano, vengono qui
sotto?
Gaetano: Vuoi provare, ti abbasso le luci? Aspetta… (Va un attimo dietro le
quinte e si abbassano le luci) Ecco qua, stai bella, stai… (Si avvicina, sale sul
palco)
Camilla: Perché la gente vieni qui?
Gaetano: Perché la gente viene qui? Ognuno per un motivo diverso. Tu perché sei
venuta? (Camilla sta guardando insistentemente il luogo dove Gaetano le ha
detto che si metteva suo padre) Forse tu vuoi sapere perché ci veniva tuo
padre, è così o no? (Non risponde. Lui la costringe a guardarlo scostandole il
viso con una mano) E’ così o no?
Camilla: Si.
Gaetano: Veniva per Alberto. Stava ad ascoltarlo per ore ‘o guaglione. Come
finiva ‘o nummero si cambiava e se ne ieva a ‘ssettà proprio lì, dove stai
guardando tu. Parlavano per tutta la notte. Erano belli (Camilla comincia a
stringersi il polso) Uè e che fai? Ma t’o sì fatta tu allora? (Le separa le
braccia) ti fai male, vieni qui, calmati (si avvicina e comincia a baciarle il
collo) sta tranquilla, ci sono io, statte quieta (Le infila una mano sotto la
camicia, le ha gli occhi sgranati e trema) shh… ci penso io a te mò (la sdraia
sul palchetto, lei pur nell’abbraccio di Gaetano cerca sempre di guardare il
posto dove stava il padre) Vieni, vieni (Lui è in mezzo alle sue gambe, scende
il buio).
Scena VI
(Casa. Alberto si accende una sigaretta per calmarsi. Dopo poco entra Camilla.
Restano qualche secondo senza parlare).
Camilla: Non puoi più restare qui. Ti prego di andar via, ora.
Alberto: Non puoi cacciarmi.
Camilla: E’ casa mia.
Alberto: Ma ho pagato (Camilla apre un cofanetto, ne prende dei soldi e glieli
getta addosso) dove vuoi che vada adesso? Sono le quattro del mattino.
Camilla: Hai cambiato tre case in un mese, lo troverai un buco per dormire.
Male che vada hai sempre la strada, in fondo è quello il tuo posto.
Alberto: (Alberto si alza e si volta verso di lei) Camilla, perché non… ma che
hai fatto?
Camilla: (Come vedendo uno sconosciuto, molto turbata) Non ti avvicinare.
Alberto: (Vedendo la camicia semistrappata si avvicina) Che t’è successo, fatti
vedere!
Camilla: (allontanandosi) Stammi lontano!
Alberto: Oddio, non è possibile…
Camilla: Cos’è, ti ricorda qualcosa, eh? E’ stato così anche per te?
Alberto: Smettila…
Camilla: Abbiamo in comune anche questo ora…
Alberto: Chi è stato? Dimmi chi è stato!
Camilla: Chi è stato? Chi è stato?! Non li riconosci questi segni?! Non li vedi
più?!
Alberto: Io chiamo la polizia.
Camilla: Un drogato…
Alberto: (Mentre compone il numero) Vieni qui.
Camilla: Puttana, era una puttana… chi è stato… (va verso il mobile)
Alberto: Pronto, sono Alberto Martini…
Camilla: S’è messo fra me e la porta, non ho potuta fare niente
Alberto: …abito in Piazza di Spagna numero…
Camilla: Sei stato tu, chi dev’essere stato? (Apre il cassetto e ne estrae una
rivoltella). Tu mi hai violentato, tu mi hai ridotto così … (la punta verso di
lui)
Alberto: Che numero è questo? (voltandosi verso di lei vede che gli ha puntato
contro la rivoltella, abbassa la cornetta, non riesce a parlare)
Camilla: Non ho potuto difendermi. Gli ho aperto senza guardare chi fosse, di
solito a quell’ora torna…
Alberto: Dove hai preso quella pistola?
Camilla: Aveva una maschera!
Alberto: Camilla, posala.
Camilla: Non ho avuto scelta! (si avvicina incalzandolo) Non è vero, non è veri
che avevi una maschera, eh? Non è una maschera questa…
Alberto: Si, è vero, è vero, è una maschera… ma l’hai fatta tu.
Camilla: Stai zitto!
Alberto: L’hai fatta tu, sei tu che per parlarmi ha bisogno di vedere in me
qualcun altro…
Camilla: Non capisco più nemmeno quello che dici
Alberto: Io non sono tuo padre Camilla!
Camilla: No, tu non sei nessuno. Non c’è nessuno dietro la maschera. Ti ho
lasciato entrare in questa casa perché era vuota e tu mi davi la sensazione di
riempire questo silenzio. Ma… (gli punta la rivoltella, aggiunge con disprezzo)
tu sei quello che sei. Io devo farlo, lo devo fare, per cancellare quello che
ho fatto.
Alberto: Ma cosa hai fatto, Camilla, dimmelo! Cosa è successo quella notte?
Camilla: Non capisci.
Alberto: Non ti abbandonerà, non ti lascerà andare via, non puoi rigettartelo
dentro ogni volta. Te lo troverai davanti sempre, quando esci di casa, quando
fai l’amore, quando prendi…
Camilla: Sta zitto! Sta zitto… (Abbassa la pistola e si allontana da lui.
Pausa) Era una notte qualsiasi. Ero a letto con un ragazzo… c’è stato un rumore
alla porta, un’ombra. Non ero sicura d’averla vista davvero, non riuscivo a
capire, avevo anche fumato. Sarà passato un secondo, un minuto… uno sguardo
addosso. Il giorno dopo l’ho seguito dappertutto, ha incontrato la sua amante e
l’ha portata qui, qui in questo posto dove stavo io il giorno prima. Ho fatto
lo stesso e lui deve aver avvertito la mia presenza. Il giorno dopo è partito
per Madrid… da allora si fa finta di niente.
Alberto: Non capisco. Stefano… tuo padre...
Camilla: Era sempre meno mio padre, ero sempre meno sua figlia (Lungo silenzio.
Poi lui va dietro di lei che è seduta sul divano con lo sguardo perso nel
vuoto. Le fa una carezza fra i capelli).
Alberto: Ho una cosa per te (Va e prende un cd dal tavolo, lo mette nello
stereo) Te la ricordi? E’ la musica che abbiamo ballato quando ci siamo
incontrati (è la stessa ballata della prima scena). E’ stato come essersi incontrati
in quei momenti in cui sta per piovere, quando le foglie scivolano
sull’asfalto, senza vento, senza freddo… per un momento, le persone si vedono
per quello che sono. Poi tornerà tutto come prima, con la pioggia i nostri
occhi si riempiranno ancora di fantasmi, non ci vedremo più… però ci saremo
presi per mano nel frattempo (le tende la mano, Camilla lo guarda) vieni…
vieni, balliamo (Lei si alza ma ha ancora la pistola in mano) Non saremo più
soli di quanto siamo se spariranno tutte quelle voci nella nostra testa, se non
vedremo null’altro che noi (Alberto comincia ad accennare i primi passi, lei
pare seguirlo) semplicemente noi.
(la luce sfuma, nel buio si sente il colpo sordo della pistola).
FINE