DISPERATO
IL VIOLINO
di
Nini Ferrara
(Premio "Anticoli Corrado - Studio 12" 1994)
Al mio maestro:
ad Aldo Nicolaj
Personaggi:
Giulian
Bruno
L’Ambiente
Una stanza.
A sinistra la porta di casa, a destra una di accesso ad un’altra stanza.
Sul fondo una finestra con le ante chiuse, serrate a non lasciar filtrare alcun
raggio di luce.
Un tavolo, due sedie, un telefono, bottiglie, lattine, un fornelletto da
campeggio, stoviglie, un materasso, lenzuola attorcigliate, una valigia
aperta.
Dal soffitto pende un filo elettrico alla cui estremità è collegata una
lampadina.
Scena Prima
Nel buio Giulian accende un fiammifero, e con quello una candela poggiata a
terra.
La fiamma del fiammifero si consuma fino a spengersi tra le sue dita. Poi prende
la candela e comincia a muoversi piano per la stanza.
Si ode la musica di un violino che qualcuno suona al piano di sopra: un
girotondo o una melodia per bambini.
Giulian siede in terra e beve della birra, direttamente dalla bottiglia. Ha
indosso soltanto un paio di jeans sdruciti. E` scalzo, sudato, l’aspetto
disfatto.
Dopo qualche istante consulta l’ora da una piccola sveglia posata lì
accanto.
Si alza, si avvicina alla finestra. Perde per un attimo l’equilibrio: ha bevuto
molto.
Qualche istante ancora ed il violino smette di suonare.
Giulian guarda verso il soffitto, in attesa, per un attimo. Quindi, lentamente,
riabbassa lo sguardo.
Per qualche secondo rimane immobile, accanto alla finestra, compreso nell’esile
alone di luce proveniente dalla candela. Poi, come avesse percepito
l’avvicinarsi di qualcuno che attendeva, si scosta dalla finestra e va alla
porta, aprendola in maniera da lasciarla socchiusa. Dall’esterno della porta
penetra ancora un po’ di luce, rivelando altri dettagli della camera.
C’è molto disordine.
Giulian va a sedersi contro la parete di fronte alla porta.
Bruno: (Si arresta sulla soglia. In una mano regge una borsa di plastica
contenente del cibo ed una stecca di sigarette) Giulian?... C’è nessuno?...
Giulian...Sei qui Giulian?
Giulian: C’era un violino che suonava... L’hai sentito?
Poco fa.
Forse per le scale l’avrai sentito...
Bruno: Sei tu Giulian?
Giulian: Era una melodia... Molto dolce, sai? Molto.
Bruno: Non ci ho fatto caso.
Giulian: Adesso ha smesso.
Bruno: Non si sente nulla.
Giulian: No... Non suona più adesso.
Bruno: Sei tu?
Giulian: Sì, io. Interamente io.
Bruno: Senti è troppo buio qui... Non riesco a vederti.
Giulian: Grazie d’essere venuto.
Bruno: Dov’è l’interruttore?
Giulian: Ci hai messo poco a venire.
Bruno: Il tempo che ci voleva.
Giulian: No. Ci hai messo meno.
Bruno: Non trovo l’interruttore.
Giulian: Non c’era traffico?
Bruno: No. Non molto. (cominciando ad avvertire un po’ d’inquietudine) Non lo
trovo.
Giulian: Non accendere.
Bruno: Non ti vedo!
Giulian: Lascia, ti dico.
Bruno: Ma dove sei?
Giulian: (una breve pausa) Basta abituarsi. Così senza luce. Basta abituarsi.
Tutti quei rumorini che si sentono al buio... Non li senti più... Che ci sono
di quelle volte che li senti uno per uno, invece. Sono passi, rumori di chiavi.
Le sedie... Scricchiolano. (una pausa) Sta’ tranquillo! L’accendo la luce...
(sale rapidamente sul tavolo)
Tu chiudi quella porta. (dà una stretta alla lampadina che subito si illumina.)
Hai preso tutto?
Bruno: ...
Giulian: Quello che t’ho chiesto?
Bruno: Quello che m’hai chiesto.
Giulian: Sei stato gentile. Grazie. Puoi pure posarla quella busta... E le
sigarette? Di’, le sigarette le hai prese?
Bruno: Una stecca. Ne volevi una stecca.
Giulian: Grazie! (Bruno gliele passa) Senza filtro t’avevo detto! Va bene
uguale. Si toglie via, il filtro...
Bruno: Senti, io lascio qui, va bene?
Giulian: Ti va della birra.
Bruno: No, grazie.
Giulian: Calda come il piscio.
Bruno: Beh, non mi pare ci sia altro... (fa per andare via)
Giulian: Di’, t’ha visto qualcuno?
Bruno: Scusa?
Giulian: Questo. T’ha visto qualcuno?
Bruno: Quando?
Giulian: Qui. Venire qui. T’ha visto qualcuno?
Bruno: Chi doveva vedermi?
Giulian: Non lo so... Qualcuno.
Bruno: Io vado.
Giulian: T’ha visto qualcuno?!
Bruno: Qualcuno chi?!
Giulian: Qualcuno chiunque!
Bruno: Va bene. Giulian...? No, non m’ha visto nessuno. Anzi, meglio: m’hanno
visto tutti. Tutti quelli che ho incrociato per strada, m’hanno visto! Uno m’ha
pure sorriso; e anche una donna m’ha sorriso, che lava le scale, qua sotto...
Giulian: Di quella non ti fidare! Il lordume di quei suoi strofinacci lo
trascina fin dietro la porta di tutti. E si ferma, quand’è lì dietro...
Origlia.
Bruno: Dio, ma cosa vuoi che...
Giulian: Parla! Quella parla. Ci stavano due tunisini qui prima di me. Li ha
fatti mandare via - lo sapevi? - mandare via! Quelli pregavano e lei andava a
dire in giro che ci facevano delle strane cose qua dentro. Pregavano. Soltanto.
Una che parla di tutto. Con tutti. E io non voglio. Nessuno deve saperlo dove
sto.
Bruno: Guarda, per me...
Giulian: Già, per te! Anche tu - hai capito? - anche tu. Non deve saperlo
nessuno.
Bruno: D’accordo. Io - per me- non mi ricordo neanche più di te. M’hai
chiamato. Ti sei presentato per telefono. Giulian che t’ho visto chissàddio
quando! E m’hai dato un indirizzo. E m’hai chiesto il favore di portarti della
roba da mangiare. E le sigarette. Va bene, fatto!... Guarda, non voglio neanche
i soldi e... (lo guarda) Dio, tu sei completamente...Passa una buona giornata,
Giulian... O come cazzo ti chiami...
Giulian: Giulian! Mi chiamo Giulian. Tu Bruno, giusto?
Bruno: Mi stai prendendo per il culo?
Giulian: Senti, Bruno... Aspetta! Devo ancora darti i soldi di tutta questa
roba...
Bruno: Lascia andare. Stammi bene, d’accordo? (fa per uscire)
Giulian: Siediti un po’ almeno...
Bruno: No, scusami, non posso proprio.
Giulian: Dieci minuti, eh? Solo dieci minuti...
Bruno: Non ho tempo.
Giulian: Sara. Sara - sai? - mi ha parlato bene di te.
Bruno: Sara?
Giulian: Solo un po’. Che ti costa?
Bruno: Va bene... Va bene: due minuti, va bene.
(una pausa)
Giulian: E` un po’ di casino qui, vero?
Bruno: (con un certo disagio) Un po’.
Giulian: Trovi?
Bruno: Un po’.
Giulian: Ci sto da poco.
Bruno: Oh, da poco.
Giulian: Qualche giorno - mi pare - e allora... Ma tra un po’, non appena mi
sistemo... D’altronde - te ne accorgi anche tu, no? - qui basta niente, un
tocco.
Bruno: Certo. Un tocco.
Giulian: Potrebbe diventare...
Bruno: Abbastanza.
Giulian: Sì... Molto...
Bruno: Molto. Forse.
(una pausa)
Giulian: Sicuro che non vuoi bere?
Bruno: Non voglio bere.
Giulian: Vuoi una sigaretta?
Bruno: No.
Giulian: Ce n’è una stecca intera...
Bruno: No.
Giulian: Qualunque cosa tu voglia...
Bruno: Grazie.
(una pausa)
Giulian: Io mi ricordo di te, sai? Bene. Ci saremo incontrati un paio di volte
in quel locale... Oddio, come si chiamava quel locale? Un nome francese...
Cafè... Cafè... Cafè... Cafè qualcosa. Tu eri con Sara quel giorno. Ti ricordi?
Io benissimo... O forse no... Che - capisci? - il posto - e te, anche! - io ce
l’ho proprio davanti, è il nome che... Ma era un nome francese. E` vero che era
un nome francese?
Bruno: Sì. Può darsi.
Giulian: Sì, sì, sì, francese...
Bruno: Senti, Giulian, io... Apriamo un po’ la finestra, va bene?
Giulian: Sta’ fermo!
Bruno: Scusa?
Giulian: Non aprire quella finestra!
Bruno: Ma che ti prende? Soltanto un attimo, giusto per...
Giulian: Non t’azzardare!
Bruno: Cristo, ma non lo senti? C’è odore qui. Odore di culo!
Giulian: Di culo. Esatto. C’è odore di culo. Quando le case stanno chiuse poi
c’è odore di culo.
Bruno: Puzza!
Giulian: Tu annusa! (avvicinandosi a Bruno) Annusa!... E` forte, vero?
Penetrante, vero? Come se fosse una cosa... olio! Si spande... ti avvolge...
(toccandosi) Viene da te... Viene da te proprio, da te che ci stai, qui
dentro... La senti. E io ci ho bisogno di sentirle le cose. Fisicamente
bisogno.
Bruno: E` solo puzza, questa!
Giulian: ( mette le mani dentro le tasche dei jeans, così da toccarsi
nervosamente tra i genitali) Purché sia forte abbastanza da continuare a
sentirla! Da non lasciare che le narici s’abituino! Così! Capisci?...
Capisci?... ( porta violentemente le mani sul volto di Bruno) Annusa! Odori
forti da poterli toccare!
(Bruno si libera dalla presa e fa cadere Giulian in terra. Sta per colpirlo ma
desiste)
Bruno: Tu - pazzo! - da me, che vuoi?
(Un silenzio. Giulian allunga la mano verso Bruno, che lo aiuta a sollevarsi e
lo fa sedere.)
Bruno: Caffè. E` ancora caldo.
Giulian: Io... Mi dispiace.
Bruno: Adesso bevilo.
Giulian: Amaro.
Bruno: Bevilo così.
Giulian: Come un cane... Credimi, come un cane, mi dispiace come un
cane...
Bruno: Non ci pensare.
Giulian: Io forse ho... Troppa birra... E tu... Va via, vattene via
adesso.
Bruno: Prima bevi ancora del caffè. Va meglio?
Giulian: Mmmm...
Bruno: Va meglio?
Giulian: Un po’, grazie.
(una pausa)
Bruno: Dormi sul duro.
Giulian: Sì.
Bruno: Non dev’essere il massimo della comodità.
Giulian: Io ci sto benissimo.
Bruno: Sul duro?
Giulian: Sì. Sul duro.
(una pausa)
Bruno: Come hai fatto a trovarmi?
Giulian: Sara.
Bruno: Non la vedo da tempo, ormai.
Giulian: Io e lei eravamo amici... E noi - io e te, dico -... Sapevo chi eri:
nome e cognome. Poi, sull’elenco, quel numero... Era il tuo proprio.
(Una pausa)
Bruno: Giulian, non posso restare molto.
Giulian: Va bene.
Bruno: Il tuo orologio deve essersi fermato.
Giulian: Che fai? Sta’ fermo! Non toccare nulla. Non toccare.
Bruno: Non volevo altro che...
Giulian: Non voglio saperlo che ora è!
(Una pausa)
Bruno: Sembra un sogno, guarda... Però io ho solo voglia di svegliarmi, adesso.
Va bene? Voglio capire.
Giulian: Non c’è niente da capire.
Bruno: Va bene. Allora adesso tu mi dici cosa vuoi.
Giulian: Cosa voglio?
Bruno: Ti serve qualcosa?
Giulian: No, nulla.
Bruno: Ti fai?
Giulian: No.
Bruno: E` questo?
Giulian: No ti dico.
Bruno: Hai bisogno di soldi?
Giulian: Soldi?
Bruno: Sì, soldi.
Giulian: Non voglio soldi.
Bruno: Allora dimmi che vuoi?
Giulian: Niente.
Bruno: Cos’era?
Giulian: Tu scusami.
Bruno: Di’, era un pretesto?
Giulian: Cosa?
Bruno: La spesa, le sigarette...
Giulian: No. Avevo bisogno.
Bruno: E cosa era, allora?
Giulian: O sì, forse una scusa. Tu non chiedermi.
Bruno: Capisci che qualunque cosa sia io non posso fare niente per te?
Giulian: Hai già fatto tantissimo.
Bruno: Niente!
Giulian: Tantissimo. Giuro.
Bruno: Lo capisci questo?
Giulian: Sì, sì, certo.
Bruno: Io non so che hai. Non posso aiutarti.
Giulian: Tu non devi.
Bruno: Stai male?
Giulian: No. Niente.
Bruno: Fossi un medico...
Giulian: Non voglio medici.
Bruno: E il lavoro poi... Ho poco tempo.
Giulian: Figurati.
Bruno: Anche per me, dico.
Giulian: Tu non devi spiegarmi nulla.
Bruno: No, io voglio che tu sappia che è stato un caso...
Giulian: Sì, lo so questo.
Bruno: ...Dico, soltanto un caso se io, oggi...
Giulian: T’assicuro che non voglio.
Bruno: Non vuoi! Non vuoi nulla? E allora perché proprio me, qui?
(una pausa)
Giulian: Tu non sai niente di me, vero?
Bruno: Cosa dovrei sapere?
Giulian: Niente. Così niente. E’ questo. Forse è proprio questo, capisci? Tu
per me... Io per te... Niente. Niente. Tu adesso apri quella porta, esci da qua
dentro, e quella porta la richiudi alle tue spalle. Me con lei. Tutto
qui.
Bruno: Tu però...
Giulian: Io non esisto. Dimenticare. Una cosa che non interessa... Dimenticarla
da subito, capisci?... (toccandosi la testa) Qua dentro. Tutto dietro una
porticina. Serrato! E la chiave gettata via.
Bruno: D’accordo - Esco. Via. Fuori. - E d’altronde - credimi! - anche se lo
volessi, non potrebbe essere altrimenti. Va bene?
Giulian: Bene.
Bruno: Va bene. Ma tu devi dirmelo.
Giulian: Cosa?
Bruno: Se questa non è tutta una presa per il culo, tu devi dirmelo che è?
Quello che vuoi. Che hai. Voglio saperlo! Voglio saperlo!
Giulian: Non lo so. (Una breve pausa) Cioè me l’hanno detto come si chiama.
Però adesso... Uno di quei nomi... - (portandosi la mano alla nuca) E` proprio
qua dietro. Non è normale... Dico dovrei ricordarmi - vero? - che uno sa di...
E poi si scorda di cosa. No, non è normale. Ma poi... poi che importa sapere
quello che ci ho: il nome.
Da qui in avanti: che cambia?
(una breve pausa)
Bruno: Cioè, tu...
Giulian: Io!
Bruno: Ma è...
Giulian: Proprio così: “ è ”.
Bruno: Ma t’avranno detto qualcosa.
Giulian: Tante cose... Niente.
Bruno: Cosa?
Giulian: In Francia. In Francia stanno provando... Cioè, ci provano. Poi una su
mille che uno... Ci vogliono cinquanta milioni. E chi non può comprarseli
cinque giorni di più?
Bruno: Ma esattamente.
Giulian: Che dipende da me. Cinque mesi se cominciassi a fare... Quelle cose...
terapia, terapia, terapia, terapia, terapia, terapia... Come dire? Più o meno
un tribunale. Che a pensarci, però, pure la galera una volta dentro non ti
rimane che attendere, aspettare, contare... Ma io? Sai a cosa arrivo, io, se mi
metto a contare?
Bruno: Merda!
Giulian: Stessa cosa l’ho già detta anch’io!
Bruno: Io...
Giulian: Dispiace anche a me, t’assicuro!
(una breve pausa)
Bruno: Senti, intanto adesso non puoi restare così.
Giulian: Non posso?
Bruno: Non così! Fa’ qualcosa, qualunque cosa, ma da subito. Esci. Vengo io con
te. Oggi ci vengo io con te. Va bene? Facciamo due passi.
Giulian: Perché?
Bruno: Cristo, non c’è un perché!
Giulian: Va bene. Non c’è.
Bruno: Che ne so...E poi qua dentro è...
Giulian: Qua dentro cosa?... “ E’ ” cosa?... Qua dentro è tempo mio. Solo mio.
Ogni minuto, ogni ora - qua dentro! - è un’ora, un minuto che tolgo a questa
merda che mi porto in corpo!
Bruno: Ma non t’accorgi? Non t’accorgi dove stai? Non c’è luce, non c’è aria.
E’ già una...
Giulian: Tomba? Questo vuoi dire? Potrebbe! Perché no? Non c’è luce, non c’è
aria, sa di culo... Secondo te le tombe sanno di culo? Beh, questa sa di culo.
Bruno: Piantala!
(La sveglia, poggiata sul tavolo, suona. Giulian si precipita a fermarla)
Giulian: Tu - adesso - vattene!
Scena Seconda
Durante questa scena prenderanno lentamente corpo, sviluppandosi poi fino a
distorcersi, dei piccoli rumori ambientali: dal ticchettio della sveglia fino
ad un confuso vocio di strada.
Giulian si siede guardando fissamente la sveglia.
Squilla il telefono. Tutti i rumori improvvisamente tacciono.
Silenzio. Poi il telefono squilla di nuovo. Di nuovo si sente il ticchettio
della sveglia.
Si ode lo stesso motivo della Prima Scena. Il suono del violino prende vigore.
Scena Terza
Bruno tiene un pacchetto sotto un braccio.
Bruno: Ho bussato.
Giulian: Che vuoi?
Bruno: Non hai sentito?
Giulian: Non ho sentito.
Bruno: Non mi ci trovavo per caso, a passare qua sotto.
Giulian: Non t’aspettavo.
Bruno: Lo so.
Giulian: Non dico "oggi".
Bruno: Lo so.
Giulian: Che vuoi?
Bruno: Ti ho telefonato.
Giulian: Mi hai telefonato?
Bruno: Più di una volta.
Giulian: Quando?
Bruno: Stavi in casa, non è così?
Giulian: Forse.
Bruno: Stavi in casa.
Giulian: Cambia qualcosa?
Bruno: Perché non hai risposto?
Giulian: Come hai avuto il numero?
Bruno: Perché non hai risposto?
Giulian: Stronzo.
Bruno: Perché non hai risposto?
Giulian: Non m’andava. O devo spiegarti qualcosa?
Bruno: Non devi.
Giulian: Che ci sei venuto a fare, qui?
Bruno: Ti scosti o mi rimani di fronte? Ti ho portato delle sigarette.
Giulian: Ne ho ancora.
Bruno: Te ne ho portate.
Giulian: (indicando l’involucro che Bruno tiene in mano) Anche quello è per me?
(Bruno non risponde. S’avvicina al letto e tira via le lenzuola. Quindi scarta
l’involucro che portava con sé: sono delle lenzuola pulite con le quali
comincia ad apparecchiare il letto di Giulian)
Giulian: E adesso? Cosa fai?
Bruno: Non lo vedi?
Giulian: Potevi almeno portarle a fiori. Oppure a righe, o pois...
Bruno: Tinta unita costano meno.
Giulian: Ti prendi cura di me?
Bruno: Hai un sacchetto?
Giulian: Tu rispondimi: ti prendi cura di me?
Bruno: Fatto. (esce)
Giulian: Stronzo! Ti prendi cura di me. Stronzo, dimmelo se ti prendi cura di
me. Rispondimi! Torna qui! Ti prendi cura di me? Ti prendi cura di me?...
(Si odono le note del violino: lo stesso brano della Prima Scena)
Scena Quarta
Giulian: (guardando verso il soffitto)
Sei tornato. Sei di nuovo. Qui. Allora:..
Mi sei mancato sai? A dirle certe cose viene un po’ da ridere, però credimi che
te lo giuro se vuoi, mi sei mancato.
Ti sto dando del tu. Non ti dispiace - vero? - se ti do del tu?
Suoni bene, sai? Bene. Ma dove sei stato? Vorrei che tu mi raccontassi...
Tutto.
Voglia di sapere.
Sei stato via per lavoro, ecco è così. Uno come te, certo, t’avranno chiamato.
Un concerto. Una cosa... grande, vero? Era una cosa importante. Vero?
E io pensavo. In giro per i locali. La notte. A suonare. Adesso in quei
ristorantini lungo il fiume... Ma t’hanno mai davvero ascoltato?
Oh no, ti prego... Tu non puoi sentirmi, e parlarti così è un po’...
"Buffo"?
C’era della bella gente in sala. Delle "prime". Pellicce, gioielli,
orologi d’oro... E parole. Da nuotarci dentro.
Driin! Via la luce... Buio...
Un attimo. Adesso è solo il violino a parlare. T’ascolto.
(una breve pausa)
Ma non è silenzio.
E lo stronzo seduto in prima fila che sfoglia di continuo il programma e mette
su gli occhialini che non li legge quei caratteri piccoli e tu ce l’hai proprio
là sotto gli occhi e riesci quasi a sentirlo quel fruscio di pagine e quella
carta lucida che ci scrivono i nomi e la pubblicità colorata dall’altra parte e
occhietti di miope che fanno rumore pure quando si muovono e in terza fila uno
con un attacco di tosse e la signora che ascolta ad occhi chiusi e continua
ancora a giocare con la collana di perle che sembra voglia dirti "ci
vediamo alla fine" e se ci ha caldo là in sesta fila perché non la
lasciava in armadio quella sua pelliccia di merda e "Perché non sta
fermo!" quello giù in fondo che l’hanno fatto entrare che tu già
suonavi...
Tu chiudili! Gli occhi!
Continua a suonare...
Continua.
Ancora.
A suonare.
Per me.
(una breve pausa)
Mi ricordo una donna. Suonava il violino.
Le sue mani.
Anche tu. Come tocchi le corde.
(una breve pausa)
Non lasciare il violino in casa! Ho sentito della gente gridare, stanotte...
Io...
Li ho sentiti...
Gridare.
Cosa suoni adesso? Come conosci questa musica?
Chi sei?
Smettila di suonare!
Nient’altro che l’accattone che sapevo che eri, sei! Uno che suona per strada...
In quelle più luride... che dalle altre t’hanno già cacciato da un pezzo!
Che cosa ti mettono in tasca quando hai finito e comincia la pena del giro dei
tavoli?
Smetti!
Te lo do io quello stesso tozzo di pane... E croste ti darei, invece.
(Il violino tace.)
Cosa fai?
Hai il letto qui? Un tavolo?
Chi sei?
Cos’è pranzo o cena?
Dove vai? Esci? Dove vai?
Scendi le scale. Li sento... I tuoi passi. Ti fermi:
Va avanti! Va!
Che vuoi?
Va su... Oppure vattene via! Ci hai ancora tre rampe di scale da fare... Non
restare qua fuori! Non farlo... Non t’avvicinare alla mia porta...
Vattene!
(si sente bussare alla porta)
Una voce di uomo: Controllo gas, signore.
Scena Quinta
Bruno: Posso entrare?
Giulian: Che cosa vuoi, tu, qui?
Bruno: Entrare.
Giulian: No, tu dimmi che cosa vuoi? Che cosa ci vieni a fare, tu, qui? Sei
venuto per ricambiare da capo le lenzuola?
Bruno: (alzando le mani come ad indicare di non avere nulla con sé) Guarda...
Giulian: Che cosa vuoi?
Bruno: Entrare. Nient’altro.
Giulian: Perché?
Bruno: Non parlo. Non ti disturbo.
Giulian: Perché?
Bruno: Mi siedo da una parte. Sto zitto.
Giulian: Perché?
Bruno: Io non lo so...
Giulian: Perché?
Bruno: E` una cosa che devo farla. So che devo farla. Non lo so perché.
Giulian: Questo sì è un buon motivo...
Bruno: Lasciami entrare!
Giulian: Qui? Davvero?
Bruno: Adesso piantala.
Giulian: E pensi che basti? Per tornare qui, per entrare qua dentro, pensi che
basti?
Bruno: Che te ne importa?
(Una pausa)
Giulian: Tu lo sai dove sei? Di’, tu lo sai dove sei? No, che non lo sai dove
sei.
Bruno: So che dovevo tornare. Tornare qui. Nient’altro.
Giulian: ...Non puoi saperlo...
Bruno: Tornarci....
Giulian: ...Nulla tu puoi sapere...
Bruno: Ancora una volta.
Giulian: ...Nulla...
Bruno: Rientrarci in questa "cosa"!
Giulian: E di me? Che ne sai, tu, di me?
Bruno: E te...
Giulian: Chi sono io? Questo lo sai?
Bruno: ...te pure, dovevo rivederti...
Giulian: ...Neanche questo sai.
Bruno: ... per ancora una volta!...
Giulian: ...Che se tu lo sapessi...
Bruno: ... una volta!...
Giulian: ... io, chi sono,...
Bruno: ...Quelle cose che le senti...
Giulian: ...di me...
Bruno: ... che le devi fare le senti.
Giulian: ...di me paura ci avresti!
(una pausa)
Bruno: La mia non è paura.
Giulian: Chi sono io?
Bruno: (lo guarda per un attimo, poi) Dimmelo tu chi sei?
Giulian: Io sono l’Imperatore dell’Isola di Cloaca.
Bruno: Giulian...
Giulian: E tu invece: chi sei?
Bruno: Ascoltami!
Giulian: Tu che chiedi d’entrare nella mia reggia?
Bruno: Sono cresciuto un po’ troppo per giocare!
Giulian: Inginocchiati!...
Bruno: Giulian...
Giulian: Inginocchiati! O le mie guardie ti cacceranno a vita!
Bruno: Suddito vostro, "Mio Signore"!
Giulian: Che doni mi rechi, stavolta?
Bruno: Non ho nulla "Mio Signore".
Giulian: Vedo le tue mani: vuote! I tuoi omaggi, sempre, al mio cospetto,
appaiono ben miserevoli! I fagioli che t’ho fatto l’onore di donarmi erano di
una qualità scadente, e il mais - meschino! - era poco.
Bruno: Cristo, proprio un bel giochetto!
Giulian: E invochi divinità! Innanzi a me! che sono di natura divina!
Bruno: C’è qualcosa, lo capisci? Qualcosa... Che m’attrae: qui: da te.
(una breve pausa)
Giulian: Guardati... Guardati attorno...E` la mia isola... La mia reggia... Un
luogo incantato... Le immagini... Saziano. Più dei tuoi fagioli e del mais.
Bruno: No! Oggi è ottobre! Il diciotto di ottobre! E sono le nove e un quarto
di sera!...
Giulian: Zitto zitto!
Bruno: E sono trascorsi quindici giorni...
Giulian: Zitto!
Bruno: Quindici maledetti giorni da quando ho messo piede qui dentro per la
prima volta...
Giulian: Zitto!
Bruno: E tu - oggi! - ci hai quindici giorni di meno...
Giulian: Zitto!
Bruno: ...quindici giorni, Giulian! Quindici giorni!
Giulian: (portandogli le mani alla gola) Zitto! Perché parli?!
Bruno: ...Perché ho mangiato dei dolci alla crema, prima di venire qui. E
perché avevano una pasta friabile,... e perché la crema era allo zabaione... E
aveva il colore, e il gusto dello zabaione... E perché... Perché le mie scarpe
sono di pelle, e di cuoio... Perché...
Giulian: Bruno...Non lo vedi? Io sono scalzo...
(un silenzio)
Bruno: Capire... Questo... Perché - io - qui?... Questo... Perché monto in
auto, guido fin quaggiù e le salgo le scale qua fuori, le salgo fin dietro
quella porta, e alla fine lo suono quel campanello lì dietro... E non so più
chi, che cosa sono, quando varco quella soglia... Questo. Come se io non fossi
più. E so - non lo capisco perché, ma lo so che è così - che adesso potrei
ugualmente sparire. Ora. Subito.
(una pausa)
Giulian: Chi sei? Tu, chi sei. Un volto, un tratto, una voce.
Sei.
Piccoli segni - nient’altro - incisi leggeri.
Una ruga. Ecco, come una ruga. Un graffio nella memoria.
Poi, all’improvviso, quel volto, quella voce, ti ritornano in mente di
nuovo...
Ed eccoti che appari volto e voce.
Quel nessuno che - unico - vorresti per un attimo avere accanto comincia a
prendere contorni...
Delinearsi.
Tu, qui:... nessuno. Sei.
Tu qui... Non devi chiedere. Oppure, se lo vuoi... sparire?
Bruno: Adesso? Adesso che m’hai attaccato addosso questo straccio di vita che
ti rimane? Tu dimmi: che diritto ci avevi di farlo? Chi te l’ha chiesto?...
D’entrarmi dentro - così! - chi te l’ha chiesto? Si può combattere, lottare,
tentare almeno! Ma un pensiero? Il pensiero di te, qui, solo... Il pensiero di me,
che so, che non posso fingere di non sapere... Non con me... Un pensiero che
m’insegue fin dentro al sonno. Io non c’entravo nulla. E` la tua morte, questa.
Giulian: (come se sentisse queste parole per la prima volta) La ...mia...
Bruno: Tu non sei più niente. Non appartieni a nulla. Non ci sono
"isole", né regge. Bendati gli occhi! Almeno smetterai di sapere
anche questo buco dentro il quale ti sei già seppellito!
Guardami! Toccami!... Io sono vivo. Io! Sono vivo! Io! Vivo! Qui dentro, unico
vivo!
(una pausa)
Giulian: Diversamente, Bruno... Diversamente. Una è la morte.
Coscientemente.
Una. Per tutti.
Una.
Non così quella che chiamiamo... Vita? Per ciascuno di noi... Non una...
Infernalmente infinite... A tal punto da scoprirlo non appena scopri...
Che cosa, Bruno? Tu sai che cosa
Ma c’è...
(una pausa)
Bruno: E io? Imperatore, io tuo suddito?
Giulian: No, adesso no... Tu sei tornato. Tu sei mia madre. (indicando intorno)
Questa la tua pancia. Ed io, qui.
Così - vivo! - ti voglio.
Così - vivo! - mi sei necessario.
Bruno: Che cosa vuoi dire?
(una pausa)
Giulian: Non lo so... Il miele.
Bruno: Che miele?
Giulian: Il miele... Miele... Quello delle api. Non ho mai mangiato il miele. E
tu?
Bruno: Giulian, io non...
Giulian: Rispondi: l’hai mai mangiato?
Bruno: Sì che l’ho mangiato.
Giulian: Io non l’ho mai assaggiato. Lo sapevi?
Bruno: Come facevo? Chi avrebbe dovuto dirmelo?
Giulian: Io, Bruno. Soltanto io.
(La sveglia suona)
Scena Sesta
Giulian è disteso a letto. Bruno, seduto accanto a lui.
Giulian: Li leggo i tuoi pensieri e non mi serve guardarti per farlo. Se
preferisci non dire nulla, va bene. (una breve pausa) Ti ascolterei, se tu
volessi parlare.
Bruno: Parlare? Parlare di cosa? "Parlarti" di cosa? Cosa vuoi che ti
dica?
Cosa ho fatto ieri? Il giorno prima?
(Una pausa)
Giulian: Adesso è già buio, fuori?
Bruno: Sì.
Giulian: E` sera.
Bruno: Sì. E` sera.
Giulian: Com’è?
Bruno: Freddo.
Giulian: La gente cammina di fretta?
Bruno: Come sempre.
Giulian: Tutti con le mani in tasca, o i guanti.
Bruno: Sì.
Giulian: Le sciarpe o il bavero del cappotto tirato su.
Bruno: Sì. Qualcuno.
(una breve pausa)
Giulian: Qui non fa freddo - vero?
Bruno: No. Qui no.
Giulian: Si sta bene, qui.
E` sera... poi notte... Poi sera. Perché tutto quello che mi è accaduto...
sempre la sera?... O la notte? Poi soli, noi nudi, la notte uno specchio.
Il giorno è come... come fatto per le cose del giorno. Cazzo, c’è molta
polvere. Dovrei pulire.
Bruno: Ti do una mano.
Giulian: Non ho voglia. Non mi ero mai accorto della polvere. Adesso mi dà
fastidio. La vedo. E più: la maniera di come la vedo. S’accumula.
Ce l’ho fin dentro le unghie. Come la sabbia: te la ritrovi addosso.
D’estate... D’estate s’andava in un paesino di mare.
Bruno: Quando?
Giulian: Tanti anni fa.
Bruno: Da bambino?
Giulian: Fino a dieci anni.
Bruno: Com’era?
Giulian: Mi ricordo poco. I pescatori.
Bruno: Cioè?
Giulian: Mio padre mi portava con sé. Non mi teneva per mano. Io non cercavo la
sua. Loro rientravano dal mare. Arrivavano al mattino, i pescatori.
Bruno: Presto?
Giulian: Avevo freddo alle mani.
Bruno: Era molto presto?
Giulian: Sì. Non era ancora giorno.
Bruno: Era buio...
Giulian: Ancora buio.
Bruno: Com’erano?
Giulian: Chi?
Bruno: I pescatori.
Giulian: Gente di mare.
Bruno: Come?
Giulian: La pelle bruciata dal sole. E dal sale.
Bruno: Il volto?
Giulian: Sì.
Bruno: Le braccia?
Giulian: Sì.
Bruno: E poi?
Giulian: Arrivavano fin sulla battigia...
Bruno: Buio. Era ancora buio.
Giulian: Saltavano giù dalle barche... E le spingevano su, le barche, sulla
sabbia...
Bruno: Gridavano?
Giulian: ...e accendevano un fuoco.
Bruno: Gridavano?
Giulian: Avevo freddo. Alle mani.
Bruno: Gridavano?
Giulian: Gridavano in coro. Poi nuovamente tacevano. Poi gridavano ancora.
Bruno: E spingevano...
Giulian: Sì... Quattro per parte... Spingevano... Le mani strette agli
scalmi... Ossa. Ossa diverse di un unico scheletro...
Bruno: Scrrr...spingevano...
Giulian: Le barche scivolavano sulla chiglia... Scrrr...
Sulle traverse di legno... Scrrr...
Legno di tutti, lasciato lì, sulla spiaggia...Marcio: Di salsedine. Scrrr...
Bruno: Le barche ci scivolavano sopra... Scrrr...
Giulian: Sì. Ci scivolavano sopra... Scrrr...
Ne spremevano il mare...
Bruno: Va’ avanti...
Giulian: Dalle case venivano ragazzini... Correndo... Gli stessi con cui ci
giocavo,... ci avrei continuato a giocare. Avevo freddo. Alle mani. Guardavo.
Bruno: Cosa facevano?
Giulian: Portavano ghiaccio...
Bruno: Ridevano?
Giulian: ...a scaglie...
Bruno: Ridevano?
Giulian: ...e scaricavano il pesce...
Bruno: Ridevano?
Giulian: Sì. Ridevano.
Bruno: Mentre scaricavano il pesce...
Giulian: ...dentro cassette di legno, tra scaglie di ghiaccio... E ci
spruzzavano sopra acqua di mare...
Bruno: E le donne?
Giulian: Anche loro... Sulla spiaggia... Guardavano. Avevano occhi diversi.
Occhi che avevano atteso...Uguali. A com’erano il giorno. Erano uguali. Avevo
freddo. Alle mani.
Bruno: Guardavano...
Giulian: Guardavano solo. In silenzio. Guardavano.
(una pausa)
Bruno: Devo andare.
Giulian: Bruno!
Bruno: Sì?
Giulian: Tu ci credi alle favole?
Bruno: No. (esce)
Giulian prende un registratore dal quale proviene musica di violino:
l’incisione di qualcuno che prova. Il pezzo registrato s’interrompe. Poi
riparte da qualche battuta precedente.
Giulian è come in attesa di qualcosa. Poi, col nastro in una mano, rivolgendosi
al "violinista".
Giulian: La vuoi?...Una donna...
Scena Settima
Giulian sta sistemando ginocchioni delle magliette alla porta di casa.
Giulian: Non mi guardare in quel modo. Non sono matto. Non ancora.
Bruno: Non penso niente di simile.
Giulian: Lo devo fare. Sento i loro odori, il loro sudore, quasi... Riesco a
sentirlo. Odori che penetrano qui da ogni spiraglio.
Non roba mia. Roba loro!
Bruno: Qualunque cosa tu metta l’odore ci rimane attaccato.
Giulian: Tu non te ne accorgi! Non te ne puoi accorgere. Ma bisogna cacciarli
via... Bisogna farlo.
Bruno: Chi bisogna cacciare via?
Giulian: Tutti.
Bruno: Non puoi cacciare nessuno...
Giulian: Difendermi, però! Questo posso! Devo!
Bruno: Non c’è nessuno da cacciare, Giulian!
Giulian: Li ho sentiti. E non erano mica fantasmi...
Qui dentro si sente. Di più. Ogni sussurro diventa urlo.
Bruno: Sono i palazzi... Hanno le pareti sottili...
Giulian: Sono arrivati fino qua dietro. Camminavano piano, ma io li ho sentiti arrivare...
Qua dietro la porta!... E hanno cominciato.
Bruno: Che hanno cominciato?
Giulian: Prima piano, a baciarsi, dietro la mia porta!... No, prima ridevano.
Risate soffocate, mezze parole... E li ho sentiti, io, comunque. Loro non me.
Poi hanno preso a baciarsi. Hanno cominciato. Qua dietro, capisci?... Qua
dietro lo facevano... Li sentivo... Sentivo le parole... che se le...
alitavano... l’uno sulle labbra dell’altra...
Sei volte. Lui le ha detto “ti amo” sei volte.
Come ansimavano... E si muovevano. I gesti... Quelli di lui... E quelli di
lei...
Lei... lei che non ha risposto una volta soltanto ad uno solo di quei ti amo.
Lei non parlava... Non ha parlato una volta.
Ed io volevo urlare, invece... Cacciarli via... Picchiarli anche! Avessi potuto
picchiarli, io l’avrei fatto!
Ma non potevo... Non potevo aprirla la porta, non potevo.
Come legato, lì a terra... Non un muscolo: niente potevo muovere... Come
legato. Capisci?... E poi - dopo, alla fine - si sono fermati ancora... Ancora
un po’. Hanno acceso una sigaretta... Li sentivo. Come tiravano... La voglia
che ancora bruciava il tabacco... - gli umori di entrambi...sul filtro... e il
fumo. Anch’io ne ho accesa una. Adesso tacevano: tacevamo: tutti e tre
tacevamo.
Guarda le mani. Io. Con loro. Io. Capisci che m’hanno fatto?... Io con loro...
Questo m’hanno fatto. Questo.
Come loro. Come loro s’amavano, così io avrei voluto amare. E se un male è
stato, questo è stato il male!
Bruno: Ma quale male, Giulian?
Giulian: Da non riuscire a vedere nient’altro che lei.
Come quando tu guardi fisso una cosa, e poi devi toglierlo lo sguardo ché dopo
un po’ quella cosa la vedi sfocata... E io non l’ho capito... che non la vedevo
più. Non farli tornare, Bruno, non farli tornare... Sento che premono ancora...
Contro quella porta, contro la finestra... Contro le pareti... Come comprimere,
schiacciare... E me dentro.
Non s’accorgono che ci sono io, qua dentro
Anche lui, qua sopra... Perché non va via? Lo sento... Anche se non suona... Io
lo so che lui c’è.
Bruno: Ancora col violinista?
Giulian: Sì. Lui.
Bruno: Ma non ci avrà voglia,... magari non ci sarà neppure.
Giulian: Aspetta.
Bruno: Che cosa, Giulian?
Giulian: Lui aspetta.
Bruno: Hai solo bisogno di riposare, adesso.
Giulian: E` un vecchio, Bruno! Lo vedo. Io lo vedo. E la sua musica... Stride!
Non è una musica, Bruno! Soltanto il suo volto mi sfugge. Come se mi desse le
spalle e poi, lentamente, cominciasse a voltarsi verso di me... Ma poi una
mano. Una mano lo copre, mi nasconde il suo viso.
Bruno: Fantasie, Giulian! Fantasie! Basta fantasie!
Oddio! Ma va’ su, allora! Per te, per nessun altro...
Giulian: Shhh! Eccolo, lo senti?... E` tornato... E` entrato in casa. Perché
non apre quella porta? Perché non la apre stavolta? E se avesse capito? Se
avesse capito qualcosa?
Bruno: Cosa?
Giulian: Me. Qui.
Bruno: Non c’è differenza...
Giulian: Che ne sai? Tutto cambierebbe, invece!
Bruno: E` casa sua, qui sopra!
Giulian: E perché proprio qui? Sopra?
Bruno: Tutto sta diventando impossibile...
Giulian: Non fare rumore!
Bruno: Ehi, tu, di sopra? Mi senti?! Vuoi sapere il mio nome? Mi chiamo Bruno!
Sentito? Bruno!... E qui con me...
Giulian: (tappandogli la bocca. Con freddezza) Niente che è niente, ad
ammazzarti, io perdo.
(una pausa. Giulian lascia la stretta. Bruno, senza alcuna reazione, fa per
andare via)
Giulian: Quando ritorni?
Bruno: Non chiedermi quando. Non farlo! Non chiederlo mai.
Anzi, dammi le chiavi.
Giulian: Che chiavi?
Bruno: Di qui!
(Una pausa. Poi lentamente Giulian, guardando Bruno, inizia a sorridere. Bruno
ha un attimo di imbarazzo. Poi anche lui, pian piano, comincia a sorridere)
Bruno: Ché ridi?
Giulian: Niente.
Bruno: Come niente?
Giulian: Pensavo.
Bruno: Pensavi cosa?
Giulian: Cosa fai tu nella vita?
Bruno: Cioè?
Giulian: Il tuo lavoro... Non lo so che fai... Non te l’ho mai chiesto.
Bruno: E’ vero.
Giulian: E’ vero.
Bruno: Sono fotografo.
Giulian: Sei fotografo?
Bruno: Sì. Fotografo.
Giulian: Fotografi?
Bruno: Fotografo.
Giulian: E’ bello?
Bruno: Sì. Bello.
(Giulian prende una bomboletta di schiuma da barba e inizia a insaponarsi il
viso.)
Bruno: ...Tutto cominciato come ogni cosa - un gioco! - ma le mie fotografie
piacevano... E così - Oddio! quasi un caso, se vuoi - senza nemmeno accorgermi
ho lasciato l’università e iniziato a lavorare.
Giulian: Raccontami.
Bruno: Avevo qualcosa di mio. Per la prima volta. Non solo il lavoro... La
casa, poi...
Giulian: Le tue foto.
Bruno: Forse. Poi in camera oscura m’accorgevo che erano facce. Perlopiù.
Nient’altro che facce. Però erano mie... Rubate mie.
Giulian: Ma facce di che genere?
Bruno: Di quelle che si vendono meglio.
Giulian: E quali sono quelle che si vendono meglio?
Bruno: Non l’ho ancora capito.
Giulian: Allora non fai il fotografo. Sei un ladro di facce? (Giulian passa un
rasoio a Bruno per farsi sbarbare)
Bruno: (inizia a radere Giulian) Non è un furto. Ognuno si porta a spasso la
sua. Io le guardo, e quelle che mi piacciono le prendo via.
Giulian: Ma poi ci parli un po’?
Bruno: No. Non ci parlo. Io no.
Giulian: Sei sicuro?
Bruno: Loro. Loro forse. Ogni tanto provano a dirmi qualcosa, magari quando
sono appese ad asciugare, però... Non riesco a sentirle.
Giulian: Ed io? Me in bianco e nero o a colori?
Bruno: (una breve pausa) Adesso fotografo matrimoni. Battesimi. Lauree.
(Bruno, senza volere, fa un taglietto col rasoio a Giulian)
Giulian: Ahi!
Bruno: Oddio, t’ho tagliato...
Giulian: E` nulla, una sciocchezza...
Bruno: Mi dispiace, parlavamo.
Giulian: T’ho detto che è niente... (Guarda le dita macchiate da una goccia di
sangue) Mi faceva impressione, sai. Adesso invece... Sai cosa pensavo? Che ora
non fosse più... Non lo so: il colore... E invece no... Non è cambiato.
(Lentamente avvicina le dita macchiate di sangue alle labbra, chiudendo gli
occhi come ne volesse gustare il sapore. Bruno lo blocca, afferrandogli il
polso. Quindi, lentamente, Bruno lascia scivolare la sua mano in quella di
Giulian, stringendola forte.)
Scena Ottava
La sveglia suona. Giulian lascia che la suoneria si consumi. Poi, con calma,
prende la sveglia tra le mani. La osserva. Quindi, con un improvviso scatto di
violenza, la scaglia contro la finestra alle sue spalle.
Inizia a respirare affannosamente, come fosse preda di un ascesso febbrile.
Dal fondo entra Bruno.
Bruno: Giulian?
Giulian: Vattene via!
Bruno: Giulian?... Bruno.
Giulian: Attento! Eccolo di nuovo.
Bruno: Cosa?
Giulian: Lui.
Bruno: Hai la febbre, Giulian.
Giulian: Sono ore che fa così. Suona, poi smette, poi suona ancora.
Bruno: Non sta suonando nessuno!
Giulian: Non lo senti?... Come stridono quelle corde... Ride anche. Lo senti?
E’ un ghigno.
Digli di smettere!
Bruno: Non c’è niente, Giulian!
Giulian: Qualcuno l’ha detto che sto qui. Tu, Bruno?
Bruno: No, Giulian... Non ho detto nulla...
Giulian: E` per me che suona! Mi vuole... Anni che mi cerca, m’insegue...
Bruno: Sta’ fermo!
Giulian: Non gli è ancora bastato. Portarmela via non gli è ancora bastato.
Bruno: Chi ha portato via, Giulian?
Giulian: Suona di nuovo! Lui lo sapeva e nessuno...
Bruno: Cosa?
Giulian: Suonava il violino.
Bruno: Chi?
Giulian: Anche lei... Era ogni cosa. Ma io non dovevo, non potevo... Di ciò che
era giusto, poi la cosa più ingiusta lui ha fatto.
Bruno: Cos’è che vuoi dire, Giulian? Cosa?
Giulian: Lo stesso suo male, Bruno! Lui l’ha uccisa. Qua dietro, alla nuca...
Lo stesso suo male. Con la sua musica!
Bruno: Sta' fermo!
Giulian: E questa musica... Come impazzire!
Bruno: Non sta suonando nessuno.
Giulian: Non mentire!
Bruno: Chi era, Giulian!
Giulian: Fallo tacere! Fallo tacere! Fallo tacere!
Bruno: Dimmelo!
(una pausa)
Bruno: Chi era, Giulian? Lei, chi era?
(una pausa)
Giulian: Mia... madre.
Bruno: Giulian!
Giulian: Una cosa che è stata da sempre... Una cosa che è cresciuta con me.
Uomo io ero, e "uomo"...
A cercarle più vicine le labbra ad ogni suo bacio... Che era di madre, che non
è mai stato diverso...
E non riuscire a sfuggire l’incubo: di me, di nuovo, dentro di lei.
Amarla, ogni notte, da solo.
Odiarla, poi. Ogni giorno
E la morte, senza preavviso... E le ultime ore... Che mio padre -
l’indifferenza, mio padre - mi chiuse in una stanza di sopra, ché non dovevo
vederla morire.
E poi questa musica... La stessa di adesso.
Le finestre chiuse, sprangate, e questa musica, ogni minuto, più forte,
incessante, passava tra i muri...
E solo dopo...
Soltanto dopo venne il silenzio, a gridare l’angoscia.
Soltanto dopo.
Quando mia madre divenne... Il dolore.
Da allora il buio - capisci? - il buio.
Lui vuole tutto. Tutto! E` così. E` scritto.
Io come avrei potuto invecchiare?
E` qui! Caccialo via! Caccialo via!
Bruno: Fantasmi, Giulian! (strattonandolo) Giulian! Fantasmi, Giulian! Non c’è
nessuno!
Giulian... L’altro giorno, io... Io l’ho visto!
(una pausa)
Bruno: E` una donna, Giulian... Una donna.
(una breve pausa)
Giulian: (con molta calma prendendogli il volto tra le mani) Bruno, è un
trucco.
Ammazzalo tu.
Scena Nona
Giulian: Da non credere quanta roba ho portato.
Bruno: Potresti iniziare a indossarla.
Giulian: Già. E` vero.
Giulian: (prende un maglione dalla valigia e glielo offre) Volevo che questo lo
avessi tu. Bruno: Io...
Giulian: Prendilo.
Bruno: Sei una testa di cazzo. Va bene. Lo prendo.
(Una breve pausa)
Bruno: Un tappo. - Sai com’è, adesso? - come quando uno ci ha un tappo e
all’improvviso sente che quello sta per scoppiare...
Ma tu poi mi prenderesti un po’ in giro.
E non dire di no, non ci provare nemmeno! Che tanto lo so che è così!...
(una pausa)
Giulian: Fa freddo, fuori?
Bruno: Un po’.
Giulian: La gente cammina di fretta, vero?
Bruno: Tutti con le mani in tasca, o i guanti.
Giulian: La sciarpa... O il bavero del cappotto tirato su.
Bruno: Sì.. Qualcuno.
(una pausa)
Giulian: Adesso è già tardi.
Bruno: Lo so.
(una pausa)
Giulian: Era naturale che te lo chiedessi.
Bruno: Lo so.
Giulian: Naturale.
Bruno: Lo so.
Giulian: E` una cosa mia, adesso. Soltanto mia. Voglio immagini, ricordi che ho
già.
Bruno: Io che ti lascio?... Dimmelo, Giulian?... E a me che rimane?...
Io, adesso...
Io, domani...
Le cose che ho sempre fatto... Le cose di prima, Giulian... Le cose di
prima...
Le cose di prima... Giulian... Giulian...
(si ode la musica del violino) Giulian... Le cose di prima... Le cose di
prima...
(Giulian lentamente si alza, e si volge in alto come a protendersi verso la
musica)
Le cose di prima, Giulian... Le cose di prima... GIULIAN!
( la musica esplode).
Scena Decima
Bruno: Ciao Giulian...
Non importa se io, adesso, non riesco a sentirti. Ci sono le cose tue, ancora.
Ho rincontrato Sara, sai? In quel caffè dal nome francese... "Mon
Cher"... "Mon Cher" si chiamava, Giulian...
Io non dovevo tornarci qui. L’avevo giurato.
Ma quanta gente c’è per strada? Alla fermata dell’autobus, almeno in settanta
su appena un metro di marciapiede.
( Una pausa)
T’ho portato un regalo.
Miele, Giulian... Miele...
"Quello delle api"...
(lentamente indietreggia verso il fondo, ma si odono improvvisamente, lente, le
note di un pianoforte. Un attimo. Poi
B U I O
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