Ditegli sempre di sì

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ATTO PRIMO

(1927)

Due atti di Eduardo De Filippo

da I capolavori di Eduardo - Vol. I

Giulio Einaudi Editore - Torino

1974

PERSONAGGI

Teresa Lo Giudice

Michele Murri, fratello di Teresa

Luigi Strada

Don Giovanni Altamura

Evelina, figlia di don Giovanni

Ettore de Stefani, amico di Luigi

Vincenzo Gallucci, amico di famiglia

Saveria Gallucci, moglie di Vincenzo

Olga, fidanzata di Ettore

Croce, medico

Attilio Gallucci

Checchina, cameriera

Nicola, cameriere

Un fioraio

ATTO PRIMO

In casa della vedova Lo Giudice. Mobilia semplice; un salotti-no della borghesia media napoletana; un gran balcone ad an­golo della scena a sinistra. Dal centro pende un vaso grezzo di terracotta con una pianta da camera. Nel mezzo in fondo vi sa­rà un divano letto. In fondo a destra una porta, e un'altra a si­nistra. All'alzarsi del sipario il divano letto ha funzionato da letto ed è in disordine; accanto, una sedia con sopra cuscini in seta di colori diversi. Alle pareti qualche quadro, qualche foto­grafia, ecc. Checchina, la cameriera, sta rifacendo il letto.

SCENA PRIMA

Teresa e Checchina.

Teresa            (è una donna piacente, di circa quarant'anni, ma i suoi gesti a scatti, gli occhi troppo lucidi e troppo irrequieti, fanno capire che qualche rotella le manca) Checchina! E tu staie ancora a chesto? È possibile che all'una meno nu quarto tu nun he' miso ancora a posto sta cammera?

Checchina    Signo', ma vuie sapite a che ora me jette a cuccà aie-ressera? Era 'a mezza passata!

Teresa             E pecché?

Checchina    Quando s'è ritirato don Luigino 'o studente, tanno me cuccaie, e pirciò stamatina l'aggio fatto nu poco tarde.

Teresa            S'adda vede' comme s'adda fa'... ma tu nun può durmi' ccà fore... na camera 'e passaggio! Né pozzo dicere niente a Don Luigino... Chillo me po' risponnere: « Io m'aggio affitta­to sta cammera e me voglio ritira' quanno me pare e piace». (Campanello interno). Vedi chi è.

Checchina    Subito. (Esce, poi torna e annunzio) Signo', è don Giovanni, 'o padrone 'e casa.

Teresa            Meno male, 'o padrone 'e casa. Fallo trasi'.

SCENA SECONDA

Giovanni Altamura e detti.

Giovanni        (tipo di vecchietto sui sessantaquattro anni, ancora arzil­lo, in giacca da camera; entrando) Buongiorno, donna Teresi'! Come vedete, sono ai vostri ordini... Di che si tratta?

Teresa            (si avvicina, mentre Checchina esce) M'avita scusa'... Io nun v'avarria incomodato, ma l'inquiline d' 'o secondo piano se so' lagnate pecché 'o tubo 'e l'acqua che s'è rutto for' 'o bal­cone scorre abbascio addu loro e ha nfuso tutto 'o muro. Veni­telo a vede'.

Giovanni        (sporgendosi fuori al balcone e guardando insù) Ah, va bene, e chella è na sciocchezza da niente... In giornata vi mando l'operaio e s'aggiusta tutte cose. Vi serve altro? Io ve l'ho detto, qualunque accomodo, qualunque cosa, potete di­sporre liberamente: stammo a porte 'e casa.

Teresa             Grazie, siete troppo buono.

Giovanni        Che c'entra, è dovere. Vuie state 'a dodici anni dint' 'a casa mia, sapete che stima avevo per la buon'anima di vo­stro marito, e quella che tengo per voi. Vi ripeto: qualunque cosa, a vostra disposizione.

Teresa            Grazie, don Giuva'.

(L'accompagna alla comune, men­tre la porta di destra si apre e compare Luigi).

Luigi               (un giovane sui venticinque anni, vestito un poco strava­gante) Permesso... Signora Teresa... Carissimo don Giovan­ni!

Giovanni        (seccato del tono confidenziale) Buongiorno, buon­giorno.

Luigi               Don Giuva', 'a figlia vostra sta bene?

Giovanni       E mammeta, comme sta?

Luigi               E che c'entra mammà? Io ho domandato innocentemen­te.

Giovanni        Vuie è meglio che Evelina nun 'a guardate manco. Ve l'aggiu ditto nu sacco 'e volte: voglio vede' se 'a vulite ferni'. Scusate, donna Teresi'.

Teresa            No, fate, fate. (A Luigi) Avetecapito?

Luigi                E va bene, è inutile che gridate, non ne parliamo più, giacché vi secca tanto.

Giovanni       Me secca. Campanello interno.             

Luigi               E va bene...                                                                 

Checchina    (entrando)    Signo', fore ce sta 'o dottore Croce.

Teresa            'O dottore? Fallo trasi'. Scusate se vi trascuro nu mumento, ma è una cosa importante.

Giovanni       Fate il vostro comodo, io me ne vaco... Per venire da voi ho lasciato 'o latte e cafè a tavola: me stevo facenno 'a zuppetella.

Luigi                Io pure vi lascio, tengo appuntamento cu n'amico mio.

Checchina    (introducendo Croce)    Favorite, favorite.

SCENA TERZA

Croce e detti.

Croce             Buongiorno.

Teresa            Carissimo dottore! (Presentando) Il mio padrone di ca­sa, il mio inquilino.

Giovanni       Altamura. (Stretta di mano).

Croce             Croce.

Luigi               Strada, studente. (Stretta di mano). E pensa' che pur'io ho studiato medicina.

Croce              Overo?

Luigi                Papà era medico. Aggiu fatto fino 'o secondo anno.

Croce              Siete medico?

Luigi               Sì e no. Lasciaie 'a medicina p' 'o teatro, ma non sono riuscito a sfondare. Ho fatto pure il generico in qualche com­pagnia, ma guadagnavo poco. E così lasciaie 'o teatro per la letteratura.

Croce              Siete scrittore?

Luigi               Sì e no. Ho scritto qualche poesia, ma non me l'hanno mai voluta pubblicare. Appena esce il volume e faccio soldi mi dedico a 'o teatro n'ata vota. La strada mia è quella, lo sento. Sta ncapa a me ca diventerò una celebrità. Sapete che cosa ve­ramente è difficile per un attore? Il riso! Ridere e piangere in scena. Quando un individuo arriva a perfezionarsi nel pianto e nel riso può dire di essere diventato qualche cosa di buono. Io, per esempio, sentite come rido.

Croce              Mo'?

Luigi               Cinque minuti... un piccolo saggio. La risata grassa (ride), la risata ironica (ride), quella amara (ride), l'idiota (ride).

Croce             (indifferente)    Bravo.                                          

Luigi                E sentite se riesco a commuovervi con il pianto. 

Teresa             Ma 'o dottore nun tene tempo da perdere...      

Luigi                Un momento solo. C'è chi lo fa c' 'a cipolla.          

Croce              'A cipolla?                               

Luigi               Gli artisti antichi, nell'Ottocento, se mettevano na meza cipolla dint' 'o fazzuletto e al momento opportuno provocava­no l'arrossamento degli occhi e le lacrime. Io no, io piango o-veramente. Mi bastano pochi istanti di raccoglimento. (Si co­pre la faccia con le mani).

Croce              Siccome tengo fretta...

Luigi               E no, per favore! Se parlate rovinate tutte cose. (Si copre la faccia con le mani, poi comincia a piangere) Eccolo, arriva! Aggia penza' cose tristi. (Singhiozza) Songo nu povero disgra­ziato... nun tengo pate, nun tengo madre... Nun tengo 'e solde pe' pava' a padrona 'e casa... 'A miseria, 'e guaie... (Piange a dirotto; di colpo sorride tutto soddisfatto) Che ne dite? Io tengo un singhiozzo straordinario.

Giovanni       V'avita vevere unnice surze d'acqua.

Luigi               Il mio pianto smuove anche le pietre. Don Giuva', dite la verità, vi ho commosso?

Giovanni       M'he' fatto avutà 'o stommaco.

Luigi                Seh, va bene!

Si avviano insieme verso la comune, con altre parole a sogget­to, e escono.

Croce             (a Teresa)    Ma chi è quello?

Teresa             È uno stravagante, nun ce badate. Basta, che mi dite di mio fratello?

Croce              Fra venti minuti sta qua.

Teresa             Vuie che dicite? Che piacere!

Croce              Riceveste il mio biglietto?  

Teresa            Sicuro.            

Croce             Vi davo una speranza. Oggi ve ne dò la certezza. Dopo l'ultimo consulto avvenuto ieri, venimmo alla decisione che Michele Murri, vostro fratello, è in grado di uscire dal mani­comio.

Teresa             È stata na grazia d' 'a Madonna! Ma quanno vène?

Croce             Aspetta a me, sta nel caffè sull'angolo, con un mio colle­ga. Sono venuto prima io per prevenirvi di tante cose. Vostro fratello, si, è guarito, ma intendiamoci: là non si trattava di pazzia vera e propria, si no steva frisco! Ma di uno squilibrio mentale dovuto alla paralisi progressiva che finì vostro padre. In altri termini: atavismo. In quest'anno che è stato al mani­comio sotto la mia cura, posso dire che si è calmato alquanto: non più scatti nervosi come per il passato...

Teresa             Che m'ha fatto passa'...

Croce             La mia cura lo ha calmato, modificato alquanto. Alquan­to, ma mai una persona normale vi restituisco... Miracoli la scienza non ne po' ffa': 'o sango d' 'o pate chi nce 'o leva? Voi mi pregaste di interessarmi per farlo tornare a casa sua, e io ci sono riuscito. Pensate però che mo' vostro fratello Michele è sotto la vostra responsabilità.

Teresa            Io so' sola, so' vedova, a chi aggia da' cunto? Mi dedi­cherò completamente a lui.

Croce             Secondandolo, trattandolo con gentilezza, facendolo con­tento in tutto vivrà tranquillo e non vi darà nessun grattacapo.

Teresa            Ah, chesto se capisce! (Chiama) Checchina! (A Croce) Mo' vi faccio fare una bella tazza 'e cafè.

Croce              Non v'incomodate, l'ho già preso.                  

Checchina    (da dentro)    Subito vengo.                       

Teresa             Dotto', non dite niente nnanz' 'a cammarera...   

Croce             Ma vi pare!                                                    

Teresa             E nun fate cerimonie.

Croce             Non ne faccio, l'ho già preso e poi ho premura di andar­mene: vostro fratello mi sta aspettando.

Checchina    (entrando)    Signo ', che comandate ?

Teresa            No, niente. Scusa, vattenne. (Checchina esce). Io non ho mai fatto sapere che Michele è stato 'o manicomio. Capirete, so' malatie che dolorosamente nun se ponno nemmeno cunfi-da'... E po', Michele faceva 'o cummerciante, e se è guarito perfettamente può ripiglia' pure gli affari.

Croce              Avete fatto bene.

Teresa             E isso è cuntento ca esce d' 'o manicomio?

Croce             Nun ce sta dint' 'e panne. Ha ditto ca appena esce s'ad­da nzura'.

Teresa            Overo?

Croce             Mette degli altri infelici sulla terra. Io me ne vado, signo'. Fra dieci minuti sarò qua co' vostro fratello.

Teresa            (accompagnando Croce) Arrivederci, dotto'. (Esce con lui, poi ritorna chiamando) Checchina!

Checchina    (entrando)    Comandate?

Teresa            Cagna 'e lenzole dint' 'a cammera 'e don Luigino 'o studente, leva 'a robba soia e miette tutte cose a posto, pecché mo' arriva fràteme 'a fore e s'adda cucca' là.

Checchina    E don Luigino arò se cocca?

Teresa            Arò vo' isso. Se ne va. Chisto fuie 'o patto. Io nce 'o dicette: quanno arriva mio fratello ve ne jate. Va', nun perde­re tiempo.

Checchina    Va bene. 'E lenzole pulite addo' 'e tenite?

Teresa             'O sicondo tiretto d' 'o cumò dint' 'a camera mia.

Checchina esce.              

SCENA QUARTA

Luigino e detti, poi Michele e Croce.

Luigino entra, senza parlare.

Teresa             A proposito, don Luigi', dàteme 'o chiavino d' 'a porta.

Luigi                Vi serve? Eccolo qua.

Checchina rientra con del vestiario di Luigino e pochi libri e mette tutto su una sedia.

Teresa            Don Luigi', llà sta tutta 'a robba vostra: siccome oggi arriva mio fratello Michele ve n'avita 'i, pecché 'a cammera me serve pe' isso. Vuie m'avita paga' quindici giorni ancora: m' 'e date e me lasciate 'a cammera oggi stesso.

Luigi                Signo', e io addo' vaco?                                              

Teresa            E che ve pozzo dicere, 'o patto chisto fuie. A fràteme addò 'o metto?                                                                    

Checchina    (mostrando diversi colletti e una mutanda rotta) Chesta ve serve?

Luigi                E c'è bisogno 'e fa' sta reclame?

Checchina    (a Teresa) Mena tutta 'a robba ncoppa l'armadio e pe' sotto 'o lietto!

Luigi                Pecché sei così spiritosa?

Teresa            Mo' è fernuto, mo' chella cammera s'adda pulizza' tut­te 'e juorne. S'hann'arapi' 'e feneste tutt' 'e matine, adda trasi' l'aria, 'o sole. Pe' mo', batte 'e materasse, poi scosti i mobili e nce fai na bella scenata co' 'a soda e 'a varichina...

Luigi               (risentito)   Ma che, nce steva 'o coleroso, loco dinto?

Teresa             Ce steva un signore ca durmiva tutto il santo giorno.

Luigi                Durmiva pecché 'a notte scriveva, componeva.

Teresa            E fumava! 'E mure, 'e tende so' mpregnate 'e fummo fumato. Don Luigi', truvateve n'ata cammera.

Luigi               Signo', io mo' vaco a vede' si me pozzo arrangia' con qual­che amico; se no me fate 'o favore pe' stanotte me sto ancora qua. Me metto ncopp' 'o divano letto.

Checchina    E già, e io po' arò me cocco?

Luigi               Llà stesso. Io me metto appiere, a nu pizzetiello, e nun mena' cauce, 'a notte, pecché aggia durmi'.

Checchina    È pazzo! (A Teresa) Signo', ma chisto fa overamente? Io me cuccavo cu isso!

Luigi               Troppo onore putive ricevere! Vuo' sape' a verità? Sta­notte dormi sola, ci ho pensato meglio. Sta robba m' 'a vengo a piglia' cchiù tarde. Cercherò, vedrò... Uno si vede in mezzo a una strada da un momento all'altro... senza fuoco, senza tetto, come un cane rognoso... (Piange).

Teresa            E su, nun fate accussi'... V'aggio trattato cumm'a nu figlio...

Luigi               (Si soffia forte il naso) 'O saccio... mammà... Nun è colpa vostra, è 'o destino mio ca me vuo' vede' distrutto...

Teresa             Non esagerate, mo'!

Checchina    Site giuvanotto...

Luigi               (singhiozzando)   Nun tengo a nisciuno... Orfano di ambo-due i genitori... questo è il guaio! Ho lottato, ho combattuto, ma 'a sciorta crudele accussì m'ha vuluto: distrutto! Aiutàteme, me sento affuca'...

Teresa            (corre al suo fianco con Checchina)    Calmatevi, p' 'ammore 'e Dio!

Checchina    'On Luigi', mo' me fate chiagnere pure a me!

Luigi               (singhiozza fino a che le due donne si mettono a piangere,: poi cambia faccia e sorride) Eh, l'arte... l'arte! Vuie mo' ve site creduto che io chiagnevo overamente. No! Ho piangiuto apposta, è l'artista che ha voluto dare un saggio dell'arte sua! Aggio perza 'a cammera, e che me ne importa? L'artista deve soffrire tutto, anche la fame. E io la proverò: state sicure che la fame la proverò... (Esce).

Checchina    Signori', ma chillo è proprio nu bello tipo !

Teresa            È stato buono ca se n'è ghiuto. (Va al balcone) Chec-chi', levala st'arecheta 'a miezo: si vène quaccheduno...

Checchina    Ce steva nu poco 'e sole, pirciò l'aggio miso lloco, tanto chella n'ato ppoco s'adda secca'. Po' 'a passo p' 'o setaccio e 'a llevo 'a miezo.

(Campanello interno; Checchina esce, poi torna, precedendo Croce)

Favorite, favorite.

(Attraversa il fondo e se ne va in cucina).

Croce             (appare sulla porta di fondo)   Ecco qua.    

Teresa             Dotto', e fràteme?

Croce              Eccolo qua.

Sulla porta appare Michele.

Teresa             Miche', Miche'...!

Michele         (apre le braccia, raggiante di gioia; vuole sembrare nor­male a tutti i costi, ma proprio i gesti precisi e il controllo osti­nato che esercita sulla sua voce denunziano la grave malattia che l'affligge; un attimo di esitazione, poi)    Teresi'!

Teresa            Miche'!                                                       

Si abbracciano.

Michele         E chiagne? Tu invece 'e sta cuntenta ca so' turnato guarito, sano, forte comm'a primma, tu chiagne?    

Croce              Di gioia, è pianto di gioia.                                

Teresa             Assèttate.

Michele         (a Croce)    Accomodatevi, prego.

Croce             Io vi lascio, ho tante cose da fare, tante visite. A ben ri­vederci, signora. Statte buono, Miche', ti auguro di non avere più bisogno di me. Ricordati di tutte le raccomandazioni e nun te scurda' 'e gocce, ogni mattina.

Michele          Nun dubitate, dotto'.

Croce             Io verrò a trovarti un paio di volte alla settimana. Di nuovo. (Esce).

Michele          E questa è la vita! N'anno 'e manicomio: addio commercio, addio affari, addio tutto! Ma mo' basta, mo' comincia una vita nuova. Dimme na cosa: tu 'e cagnato tutta 'a disposizione d' 'a casa? Ccà era cammera 'e lietto.

Teresa             Te ricuorde, te ricuorde?

Michele          Stu divano a letto steva dint' 'a cammera mia, eh,  chella llà.

Teresa            Te ricuorde pure 'a cammera toia?

Michele         Comme nun me ricordo? Quanta vote m'aggio chiagnuta sta cammera!

Teresa            Miche', mo' assiettate vicino a me e parlammo seria­mente.

Michele         Sentiamo che me vuo' dicere, ca doppo io pure aggia parla'.

Teresa            Miche', io e te simmo tutt' 'a famiglia, e saie che dispia­cere avette io 'o juorno ca p' 'e stravaganze ca facive avista trasi' in manicomio.

Michele         Una cosa, si vulimm' i' d'accordo, nun me parla' cchiu 'e stu fatto.

Teresa            Mo' fortunatamente ssi' guarito e primma 'e veni' tu 'o dottore proprio chesto m'ha ditto. Pe' tutto 'o tiempo ca ssi' stato... llà, io nun aggio fatto sape' niente a nisciuno. Tutte quante sanno ca tu 'e viaggiato per affari di commercio. Tu nun dicere a nisciuno 'a verità, sarria nu discredito pe' te, si vuo' seguità a ffa' 'o commerciante.

Michele         E se capisce... Vi' che dice chella! Ho intenzione di ripigliare i miei affari, ma te vulevo dicere che io nun so' cchiù nu guaglione e quindi, per la mia tranquillità, per la mia vera sistemazione, me voglio nzurà.

Teresa            E ci ho pensato io... Te ricuorde 'a figlia 'e don Gio­vanni Altamura?

Michele          'O padrone 'e casa nuosto?

Teresa             Bravo, comme se ricorda! Essa, comm' 'a tutte quante, sape ca ssi' stato in viaggio e tutto stu tiempo ha sempe addi mandato 'e te. 'O pate, don Giovanni, sta buono. È vedovo, quindi nun tenarisse nemmeno suocera. Haie ditto niente!

Michele         Ma guardate nu poco 'e cumbinazione! Io proprio di Evelina te vulevo parla'... Fra me e lei c'è sempre stata una simpatia.

Teresa            Ma allora va bene, l'affare è fatto. (Chiamando) Checchina! Mo' 'a manno a chiamma', tanto stammo a porte 'e casa, e cumbinammo lesto lesto tutte cose.

Checchina    (entrando)    Comandate...

Teresa            Va' nu mumento 'a porta affianco a nuie, addu 'o padro­ne 'e casa; addimanna d' 'a signurina Evelina: si nce sta, dille che venesse nu mumento pecché c'aggia parla'.

Checchina    Subito. (Esce).

Michele         Ce parlo mo'?

Teresa             E si capisce: la tua sistemazione mi preme assaie.

Michele          E tu che faie? Vuo' rimane' vedova?

Teresa            Pe' me è nu poco difficile... Pe' me nce vularria n'om-mo 'e na mezza età... anziano... L'età 'e don Giuvanne, 'o pate d'Evelina. Avarria essere pure nu bell'ommo: allora me mare-tasse n'ata vota. Si, proprio nu don Giuvanni Altamura.

Michele resta come preso da riflessione.                       

Checchina    (entrando)    La signorina Evelina.

Teresa            Io vaco a ricevere Evelina, po' ve lascio sule e tu ce parle, te miette d'accordo e po' avimma parla' pure cu don Giu­vanne Altamura. (Esce).

Michele          Soprattutto cu isso...

Teresa            (entra con Evelina)    Trase Eveli', trase!

Evelina          Grazie.

Checchina traversa in fondo da destra a sinistra.

Michele         Signorina Evelina...

Evelina           Finalmente siete ritornato.

Teresa            T'aggio mannata a chiammà per... Mo' te spiega tutte cose Michele, tu po' nce 'o dice a papà e me faie sape' na rispo­sta. Io mo' vengo.

(Fa dei segni a Michele e via a destra).

Michele         Accomodatevi, signorina. Ecco qua, Teresina forse non ha avuto il coraggio di dire niente... In breve, signorì, mia sorella si vorrebbe sposare a papà vostro.

Evelina          (meravigliatissima)    A papà?

Michele         Sicuro. Non credo che troverà difficoltà. Voi special­mente troverete una seconda madre: Teresina è buona come il pane.

Evelina           Va bene, ma io che c'entro? Tutto al più papà...

Michele         E ci dovete parlare voi. Facciamo in modo che stu matrimonio se fa. Mia sorella ha pigliato proprio una cotta per don Giuvanne.

Evelina           Veramente? Io nun me ne so' maie accorta.  

Michele          E site cecata.

Evelina          Voi come siete scustumato!                         

Michele         Grazie! Del resto, nenne', si nun ve fa piacere, non fa niente: a mia sorella nun le preme.

Evelina           Se po' sape': le preme o nun le preme?

Michele          Le preme, perciò vediamo di concludere.

Evelina           Io, da parte mia, faccio tutto il possibile.

Michele          Ecco, brava. (Chiamando) Teresina, Teresi'!   

Teresa            (entra)    Dunque?                                             

Michele          Siamo d'accordo.                          

Evelina           Mo' vaco dinto e ce 'o dico a papà.

Teresa            Brava, vide d' 'o ffa' accunsenti', pecché me pareno mill'anne che succede stu matrimonio.

Evelina           Ve pare, cu tutt' 'o piacere.

Checchina    (dal fondo) Fore ce sta uno che va truvanno a don Luigino. Io c'aggio ditto ca nun ce sta, ma isso ha ditto che l'aspetta.

Teresa            E fallo trasi'.                                               

Evelina          Allora io vado, e più tardi ve porto 'a risposta.

Teresa             Favorevole, speriamo...

Evelina          Speriamo! Con permesso.

Michele          Prego.

Evelina via.                                                               

Teresa            E chesto pure è fatto.                            

Checchina    (introducendo Ettore)    Favorite.

SCENA QUINTA

Ettore e detti poi Luigino.

Ettore           Grazie. (Pallidissimo e nervosissimo) Signori...

Checchina    (a Teresa)    Vulite veni' a vede' si 'o rraù 'o pozzo leva' 'a copp' 'o ffuoco?

Teresa             Sì, iammo. (Via con Checchina).

Ettore           (riconoscendo Michele)    Ma sicuro... Michele Murri?

Michele          Ettore De Stefano? Amico mio, e tu comme te truove ccà?

Ettore            Ccà sta 'e casa Luigino Strada, n'amico mio. Tene affittata na cammera ammobigliata. Chesta 'e 'a casa d' 'a signora Lo Giudice.

Michele         Vedova Lo Giudice, ma è mia sorella.

Ettore           Ah, nun 'o sapevo! Allora tu conosci stu Luigino Strada?

Michele         No, pecché so' arrivato 'a na mez'ora.

Ettore           Ah, già, tu hai viaggiato. È quase n'anno ca nun ce vediamo.

Michele          N'anno preciso. Ma tu che hai? Tiene na faccia pallida, pare ch'he' passato nu guaio.

Ettore            Io ti dico tutto, ma per carità...          

Michele          Io? Ti pare...                                           

Ettore            Da nu mumento a n'ato m'arrestano.  

Michele         E comme?

Ettore           Tu saie che faccio l'agente di assicurazione. Voglio be­ne a na guagliona, na certa Olga. Povera figlia, nun tene né mamma né pate.

Michele          E chi l'ha fatta?                                               

Ettore            Come, chi l'ha fatta?                                              

Michele         Tu hai detto: « Povera figlia, nun tène né mamma né pate ». La mia domanda è precisa: « E chi l'ha fatta? »

Ettore            Miche', il padre e la madre.

Michele          Allora li tiene i genitori.                                    

Ettore            Sono morti.

Michele         Oh! Allora si dice: « È orfana ». C'è la parola adatta, perché non la dobbiamo usare? Parliamo co' 'e parole iuste ca si no m'imbroglio.

Ettore           Come vuoi tu... È orfana. Io le spendo parecchi soldi. E tieni presente che io aggia mantene' pure 'a famiglia mia, e mo' mi trovo con un vuoto di trentamila lire. Capisci? Me so' servito dei depositi dei miei clienti.

Michele          'A sotto! E pecché nun vaie in Questura?

Ettore            In Questura?

Michele         Ettore bello, io nun te pozzo cunziglia', pecché di que­ste cose me ne intendo poco. Sopra alla Questura troverai gen­te pratica. Tu chiedi, dici: « Mi trovo in queste condizioni, co­sì e così... come mi devo regolare? »

Ettore            E quelli m'arrestano immediatamente.

Michele         Ma io dicevo in linea amichevole.

Ettore            Vogliamo scherzare...                              

Michele          E allora che pienze 'e fa', mo'?             

Ettore            L'unica speranza è st'amico mio.       

Michele         È ricco?

Ettore            Addo'! È nu disperatone qualunque, però è nu miezo mbruglione, conosce tanta usuraie, voglio vede' si isso me po' fa' presta' sta somma, accussì metto a posto tutte cose.

SCENA SESTA

Luigino e detti.

Luigi               (ride dall'interno, poi entra sempre ridendo, teatralmente) Ah, ah, ah, ah, ah, ah, «fa, ah, ah...!

Michele è turbato.

                                

Ettore           Luigi'!                                                    

Luigi               Ettore bello! Pare impossibile: nun aggiu truvato addo' i' a durmi'.

Michele          Perché ridete?

Luigi                Mi esercito, mi tengo in allenamento.

Michele          Nun l'avita ffa'.

Luigi                E pecché?

Michele         Mi dà fastidio. Finalmente abbiamo capito chi si di­vertiva... (A Ettore) 'A matina, sta resata rimbombava p' 'o corridoio.

Luigi                Qua' corridoio?

Michele          E pure dint' 'o curtile. (Agitatissimo) Nun l'avita ffa'.

Luigi                E nun 'o faccio, non v'arrabbiate. (A Ettore) Ma chi è?

Ettore           Già, tu non conosci... Michele Murri, fratello d' 'a pa­drona 'e casa.

Luigi               (a parte) Chist'è chillo ca m'ha fatto perdere 'a camme­ra... (A Michele) Tanto piacere.

Michele          Fortunato. Qua l'amico ha passato nu guaio.

Luigi               Che guaio?                                                   

Michele          Ha rubato trentamila lire.                    

Ettore           Rubato, mo'... che c'entra? Mi sono servito dei depositi dei miei clienti.                                                    

Michele         Ma 'e solde erano d' 'e tuoie?             

Ettore           No...

Michele          E allora li hai rubati. C'è la parola adatta, perché non la dobbiamo usare?

Luigi                Guarda che guaio...

Michele         (a Luigi)    Voi siete tanto buono: prestategli la som­ma, lui poi ve la restituisce.

 Luigi              (ironico)   E certo! (Batte sulle tasche della giacca) Teh, qua ci stanno cientomila lire, e qua ce ne stanno ate cientomila... E se ve servono quacche decine 'e migliara 'e lire... eccole (batte sulla tasca di petto) stanno qua.

Michele         Bravo! M'è piaciuto il gesto spontaneo. (A Ettore) E pigliatille, 'e solde. (Ettore si stringe nelle spalle). Ma pecché fai cerimonie? L'amico s'è messo a disposizione tanto bello! (A Luigi) Dategli 'e solde: s' 'e piglia, s' 'e piglia!

Luigi                Quali soldi?                                                     

Michele          Mo' nun nce 'e vulite da' cchiù?

Luigi               (con santa pazienza)   Nun 'e tengo.                     

Michele         Mo' nun 'e tenite?

Luigi               Nun 'e tengo mo' e nun 'e tenevo manco primma.

Michele          Sentite, non glieli volete dare, non glieli date... ma negare l'evidenza, no! Vi ho visto io che cacciavate dalla tasca nu pacco 'e bigliette da mille lire.

Luigi               Volete scherzare...

Michele         (offeso)    Io sono una persona seria. 'E bigliette l'aggiu vistu cu st'uocchie mieie.

Luigi               (speranzoso fruga in tutte le tasche, senza trovare niente) Ma vuie che vulite 'a me? Io dieci lire tenevo, e manco chelle ce stanno cchiù...

Campanello interno.

Michele          'A porta. Mo' vene quaccheduno:  trasimmencenne dint' 'a cammera mia.

Checchina attraversa il fondo da sinistra a destra.

Luigino          (amaro)   E già, pecche chella è 'a cammera vosta...

Michele          Se capisce. (Fa passare Ettore, trattiene Luigi sulla porta) L'amicizia è amicizia.

Luigi                E allora?                                                     

Michele         Si 'e solde nun'e tène uno,'e tène l'atu.

Luigi               Amico, lasciatemi stare... (Esce seguito da Michele).

SCENA SETTIMA

Checchina, poi Giovanni poi Vincenzo, indi Teresa.

Checchina    Favorite. Mo' vaco a chiamma' 'a signora. (Via).

Giovanni       Trasite, don Vicie'.

Vincenzo       (da dentro) Mo', quanno chiudo 'a porta! Chella, 'a cammarera, l'ha rimasta aperta. (Entra) Eccomi qua.

Giovanni       Come va da queste parti?

Vincenzo       Siccome la mia famiglia e la famiglia Murri sono in grande intimità... Ogni anno, quando andiamo in villeggiatura, veneno a passa' na quindicina 'e giorne cu nuie. Dimane nce ne saglimmo 'o Casino a Bellavista, cosi io so' venuto per in­vitarli.

Giovanni        Ah, ecco. E la signora vostra comme sta?

Vincenzo       Bene, grazie.

Giovanni       Sapete che mo' me nzoro n'ata vota?

Vincenzo       Bravo.

Giovanni       Me sposo la signora Teresina. Essa stessa m'ha man-nato 'a mmasciata: s'è innamorata di me pazzamente.

Vincenzo       Allora auguri.

Giovanni       Grazie.

Teresa            (entrando) Carissimo don Vincenzo! Auguri per doma­ni: è 'a nascita vosta.

Vincenzo       Vi ringrazio e mi fa piacere che ve ne ricordate.

Teresa            E già, comme si nce cunoscissemo 'a poco! Vuie me sapite piccerella. (Giovanni guarda Teresa languidamente: Teresa a parte) Chillo che vo' 'a me?

Vincenzo       Io so' venuto per dirvi, anche a nome di Saveria mia moglie, che domani in occasione d' 'a nascita mia, nce ne sa­glimmo 'o Casino a Bellavista e voi, come tutti gli anni, avita veni' a passa' quindici giorni cu nnuie.

Teresa            Ma con piacere, tanto più che st'anno ce sta pure Michele.

Vincenzo        È tornato d' 'o viaggio?                               

Teresa             Sì... è tornato.

Vincenzo       Don Giuvanne m'ha parlato pure d' 'o prossimo matrimonio.                                                                    

Giovanni       Io ho accettato con tutto il cuore.                  

Teresa            E non potete credere quanto m'avete fatta contenta.

Vincenzo       Allora, me raccumanno: non mancate, dimane.

Teresa            Dimane è nu poco difficile: si aggia lassa' 'a casa pe' quindici giorni, voglio mettere primma tutte cose a posto.

Vincenzo       No, e chillo 'o sfizio è dimane, è 'a nascita mia. Aggio fatto prepara' nu pranzo cu 'e fiocchi, ma senza persone estra­nei, tutti in famiglia. Mangiammo e po' facimmo nu poco d'al­legria dint' 'o ciardino.

Teresa             Allora va bene.

Vincenzo       Verrete?

Teresa             Sissignora.

Giovanni        (languidamente guarda Teresina) Pur'io voglio passa­re quindici giorni a Bellavista. Dimane me vaco a affitta' ddoie cammere.

Vincenzo       Na vota ca ve truvate, venite a mangia' cu nuie. 

Giovanni       Con tutto il cuore.           

SCENA OTTAVA

Michele, Luigi e detti, poi Ettore.

Michele         (entrando) Carissimo Don Vincenzo!

Vincenzo       Michele bello, finalmente sei tornato!

Michele          Mezz'ora fa.                                         

Strette di mano.                

Giovanni       Michele caro!                  

Michele          Don Giovanni...                 

Stretta di mano.

Vincenzo       Dimane ve ne venite a Bellavista: 'e cammere voste so' già pronte.

Luigi               (che sta dietro a Michele, prende l'invito per sé) Benissi­mo: iusto iusto! Io stavo senza casa. Luigi Strada, studente. Con entusiasmo accetto il vostro invito: figuratevi, io nun te­nevo addo' durmi'...

Vincenzo       Ma io non l'avevo con voi, parlavo a Michele. Due camere per lui e la sorella. A vuie addò ve metto? E poi, non vi conosco.

Michele         È n'amico nuosto.

Vincenzo       E va bene, come amico ve pozzo invita' a pranzo di­mane, ma pe' durmi' è impossibile. Venite a pranzo?

Luigi                Solo a pranzo? Va bene... verrò, verrò...

Michele         Don Vicie', state sempre in urto cu chillo frate vuosto?

Vincenzo       Sempre, sempre. Isso nun cerca 'e vede' a nuie, né io piglio notizie soie, e so' diece anne.

Michele          Attilio, me pare.

Vincenzo       Attilio, Attilio! Doppo tanta stravaganza, all'ultimo all'ultimo me truffaie cinquantamila franche e se ne jette a Ro­ma a ffa' 'o scultore.

Teresa            Già, è scultore.

Vincenzo       Qua scultore? Chillo nun sape fa' manch' 'e pasture p' 'o presepio.

Giovanni       E sta ancora a Roma?

Vincenzo       Già... S'è nzurato, ma sempe 'a capa pazza tene. Tant'è vero che vive all'Albergo Tordelli: marito e mugliera che vivono in albergo, figuratevi che spese.

Michele         Ma vuie proprio nun nce vulite fa' pace?

Vincenzo       Io? Manco si me tagliano 'a capa! A me nun me vede cchiù. Basta, io me ne vaco: aggia fa' cierti spese, se no a muglièrema chi 'a sente, aggia accatta' parecchia robba. Nuie nce vedimmo dimane senza meno.

Teresa            Nun dubitate. Primmo che ve ne jate, ve voglio da' nu vasettiello 'e marmellata ch'aggio fatt'io stessa. Nce 'o purtate 'a mugliera vosta, io nce 'o prumettette.

Vincenzo       Grazie.

Teresa            Venite, ve faccio assaggia' nu bicchierino 'e rosolio. Ve­nite vuie pure, don Giuva'.

Giovanni       Il rosolio è pure di fabbricazione vostra?

Teresa             Tutto: io me faccio uno 'e tutto.                       

Giovanni       Allora l'accetto con più piacere.         

Escono seconda quinta a destra.                     

Luigi               (apre la porta della camera di Michele)    Ettore, se te ne devi andare questo è il momento: stanno tutti dint' 'a cucina.

Ettore           (entrando)    'A coppa 'a fenesta 'e chella cammera aggio visto 'e trasi dint' 'o purtone a Olga. (A Luigi) Va vide si vène ccà.

Luigi esce fondo a destra.

Michele         Chi è Olga?                   

Ettore            'A nnammurata mia.

Michele          E che venarria a ffa' ccà?

Ettore            A truva' a donna Teresina: sono amiche.

Luigi               (entrando, tutto eccitato) Guè, chist'è 'o mumento pe' te ne i'. Olga nun veniva ccà: è trasuta 'a porta affianco. Iammuncenne, va': conosco una persona ricca ca forse te po' aiu­ta'. (A Michele) Quanto mi piacciono sti colpi di scena improvvisi ca sembrano trovate da teatro, ma che invece succedo­no nella vita vera... Io che ho fatto l'attore m'entusiasmo! Lui non si vuole fare vedere dalla fidanzata, la fidanzata arriva im­provvisamente... Lui dice: « Vai a vedere se viene qua ». « No, Olga non viene qua »... Sembra proprio il momento saliente di una farsa. (A Ettore) Andiamo.

Michele          Fate n'ata vota.

Luigi               Ho detto che adoro questi colpi di scena. Certe concomi­tanze volute da un autore di teatro per ottenere un determina­to effetto, si verificano veramente nella vita. Secondo me, quel­lo che succede nel teatro può succedere nella vita, e viceversa. Nelle vecchie farse, per esempio, tutti i personaggi si trovano nello stesso ambiente: un ristorante, un albergo... Non so, due amanti si dànno appuntamento in un albergo, credendo di sta­re tranquilli, e invece là sopra capita il marito tradito, la mo­glie informata... « Vieni, amore, qui staremo tranquilli ». Ar­riva il marito tradito. « Che, mia moglie? », « Mio marito! », « Traditori! ». L'amante scappa, la moglie sviene, il marito tra­dito spara: pam, pam... La polizia... « In nome della legge, sie­te tutti in arresto! »

Michele          Fate n'ata vota.

Luigi                Ma mi state pigliando in giro?

Michele         No.

Luigi               Ho detto che la vita assomiglia al teatro e il teatro asso­miglia alla vita e questo è tutto. E si ve credite 'e me sfrocolia' 'o pasticciotto, avite sbagliato palazzo. Iammuncenne, va'.

(Esce).

Michele          Ma a me me pare ca quello non ragiona.   

Ettore            È nu poco stravagante.                        

Michele          Tu pure.            

Ettore            So' stravagante?                                              

Michele          Scusa, noi dobbiamo ragionare.

Ettore            Certo.

Michele          Tu hai detto che Olga è la tua fidanzata: è vero?

Ettore           Sì.

Michele         E allora perché scappi? Pecché nun te vuo' fa' vede' da Olga?

Ettore           Pe' nun le dicere d' 'o guaio c'aggio passato, pe' nun le da' dispiacere. Che, se tratta 'e niente? 'O guaio è gruosso, pe' l'appara' nce vularria nu terno. Nu terno 'e duicientocinquantamila lire. Allora sì, allora venesse ccà e te diciarria: « Miche'! Michele mio! So' ricco: aggio pigliato 'o terno! Ag-i gio vinciuto duicientocinquantamila lire. Mo' me piglio a Olga e m' 'a sposo, pecche so' ricco! Guarda, guarda quanta bigliette 'e mille lire... So' d' 'e mieie, so' tutte d' 'e mieie! » Chistu sarria nu bello colpo! (Esce correndo).

Michele         Bravo! M'ha fatto piacere. Proprio nu bello colpo. Quello mo' aggiusta tutti i fatti suoi...

Olga               (sulla porta, esita) Scusate... Steva 'a porta aperta: ci sta la signora Teresina?

Michele          Sicuro. Io sono il fratello.

Olga               Piacere. Io sono Olga, n'amica sua. 'A vularria vede' nu mumento.

Michele         Ah, voi siete la signorina Olga... Tenite nu fidanzato che si chiama Ettore...

Olga                Sicuro.

Michele         Brava, mi congratulo: 'o nnammurato vuosto ha pi­gliato 'o terno: s'ha pezzecato ducentocinquantamila lire.

Olga                Vuie che dicite?

Michele         Mo' proprio se n'è ghiuto, tutto cuntento. Diceva: « So' ricco, so' ricco! Aggio pigliato 'o terno, aggio vinciuto duecentocinquantamila lire! Guarda, guarda quanta denare », e m'ha fatto vede' nu sacco 'e carte 'e mille lire.

Olga               Ma allora è overo? È overo? Che piacere! Io aggia fa' co­se 'e pazze, aggia fa' arrevuta' Napule... Mamma mia, aiutàteme!

Teresa            (entra seguita da Vincenzo, Giovanni e Checchina) Che è stato, neh?

Olga               È stato, amica mia, che 'o nnnammurato mio ha pigliato 'o terno: ha vinciuto duecentocinquantamila lire.

Teresa             Veramente?

Olga               Tere', io nun me sento bona... l'emozione è stata troppo forte.

Teresa            Viene dint' 'a camera mia, te piglie na presa 'e cognac, quacche cosa...

Olga               Sì, grazie, ma po' me ne vaco subbito: aggia truva' a Ettore,  voglio dividere con lui tutta la gioia.

Teresa            Don Vincenzi', allora ce vedimmo dimane, permettete. (Esce con Olga).

Giovanni        Cheste so' fortune... Uno che può dire: « Ho vinto duecentocinquantamila lire ».

Michele          Pure voi?                                                         

Giovanni       No, io no... (Esce appresso alle donne).               

Vincenzo       Basta, io me ne vaco, statte buono, Miche'.          

Michele         Sicché con vostro fratello Attilio nun ce vulite fa' pa­ce 'e nisciuna manera?

Vincenzo       Niente. L'aggio ditto e basta. Allora 'ave 'o piacere 'e me vede', quanno le mannano a dicere ca so' muorto. E io, quanno dico na cosa, chell'è. Sulo muorto! Statte buono, ce ve­dimmo dimane. (Sulla porta si gira) Miche', so' muorto! (Esce).

Michele         Ah, quanto mi dispiace! Chello mo' steva cca'! (Chia­ma) Checchina, Checchina! (Siede al tavolino e scrive).

Checchina    (entra)    Comandate.

Michele          Aspetta. (Finito di scrivere) Tiene solde?

Checchina    Sissignore.

Michele         E va' fa' subito stu telegramma urgente, nun perdere tiempo.

Checchina    Va bene.

Michele          Pace all'anima sua!


ATTO SECONDO

A Bellavista, in casa Gallucci. Una camera da pranzo arrangia­ta per la villeggiatura. Due porte laterali. In fondo tre vani; dal centro si accede nel giardino. Nel mezzo vi è imbandita una tavola.

SCENA PRIMA

Intorno alla tavola sono seduti Vincenzo, Saveria, Michele, Giovanni, Luigino, Evelina. Filomena, la cameriera, serve in tavola. Il pranzo è finito, sono al dolce.

Vincenzo        Tengo nu buono cuoco, o no?                      

Michele          Voi che dite! Io me so' cumulato.

Giovanni        I polli erano squisiti.

Luigi                E chillu fritto 'e pesce!

Michele         Vuie ve l'avite magnate cu tutte 'e ccape e co' 'e spine.

Evelina           Veramente magnifico.

Vincenzo        Nè, ma nun facite cerimonie, vuie sentite che caldo!

Giovanni        'O mmena, 'o mmena! (Vede Luigino che chiacchiera con Evelina e lo guarda minaccioso) Mo' vedimmo... mo' ve­dimmo!

Vincenzo       Cca' stammo in villeggiatura, levateve 'e giacchette tutte quante. Mo' dò io l'esempio. (Si toglie la giacca).

Giovanni        Vuo' sape' 'a verità... (Si toglie la giacca).

Michele          Allora per imitarvi... (Si toglie la giacca).   

Vincenzo        Don Luigi', e voi?                               

Luigino           No, io preferisco tenerla.                    

Giovanni        E vuie squagliate d' 'o calore.

Luigi                Io non soffro il caldo.                                     

Michele         Ma si 'o facite pe' cerimonia...                            

Luigi               Niente affatto. (A Michele, in disparte) Stornate, storna­te. Nun m' 'a pozzo luva', tengo 'a camicia rotta.            

Michele          Nun s' 'a po' luva': tène 'a cammisa rotta.

Tutti ridono.

Luigi                Avimmo fatto 'a trummetta 'a Vicaria.

Vincenzo        Qua siamo tutti amici, levatavella.

Luigi                Lasciamo stare.                                   

Saveria           E lasciat' 'o i', nun s' 'a vo' leva'!   

Luigi               Ecco fatto. (Si toglie la giacca).                             

Saveria           'A vulimmo arapi' sta butteglia 'e sciampagna?   

Giovanni        Un brindisi ci vuole.

Michele         (si alza)    Se permettete, 'a butteglia l'apro io.

Luigi               (si avvicina a Michele)    Adesso è 'o mumento buono,

Michele          Per che cosa?

Luigi                Come, ve l'ho detto prima!                                    

Michele         Non mi ricordo.                                               

Luigi                Al momento dello spumante: « Adesso don Luigino ci farà sentire una sua poesia».                                            

Michele         Ah, sì.

Luigi                Ci sta l'innamorata mia... la voglio dire una poesia.

Michele          È naturale.

Luigi                Ve ne sarò grato.

Michele         (tornando al suo posto a tavola)    Ecco lo sciampagna. È gelato. Ma prima di aprire la bottiglia don Luigino ci deve fare sentire una sua poesia.

Luigi               (con falsa modestia)    No, non cominciamo. Di solito non mi faccio pregare, ma oggi nun tengo genio.

Michele          Non la volete dire?

Luigi                Francamente e sinceramente: no.

Michele          Come, voi adesso mi avete detto: al momento dello sciampagne fatemi dire una poesia... la voglio dire una poesia.

Luigi                Quando mai? Avete capito male. Ho detto: non mettete in mezzo il fatto delle poesie, perché non sono in vena.

Michele          Come? Me l'avete detto pure prima del pranzo... E che, io sapevo che voi scrivete poesie?

Evelina           Nun ve facite prega'.

Luigi                Lo volete voi? Per voi tutto. Vi farò sentire una mia poesia.

tutti               Sentiamo, sentiamo.

Luigi               « Ora mistica ». Ho immaginato due distese di cipressi in conversazione notturna. Un lungo viale che conduce al cimite­ro. Avverto subito l'uditorio che, mentre la tematica delle mie composizioni è un fatto tutto personale, il ritmo, al contrario, si stacca, è vero, dalla formula ermetica, ma si aggancia alla corrente realistica e impressionistica, fatta di chiazze opache e di spiragli allucinanti, il cui filone trova larvati riscontri in tut­ta la letteratura valida avanguardistica degli ultimi vent'anni. Dunque : « Ora mistica »...

Buio nel cimitero.                 

Gelo di marmo,                    

Sagome di tombe,        

Loculi disadorni.

Erbetta. Erbette.                                     

Gira il custode                         

E non gli sembra vero

Di udire il chiacchierio

Delle civette.

Lento e pesante il passo

Del custode: cra, cra           

Si sente e riconosci quello.

Michele          Quella...                     

Luigi                Quella chi?

Michele          La rana.

Luigi                Che ce trase 'a rana?

Michele          Voi avete detto che si sente: cra, cra.

Luigi                Cra, cra: il passo del custode. Lo stridio dei piedi sui ciottoli dei viali.

Michele          Fino a prova contraria so' sempre state 'e rane che hanno fatto: cra, cra.

Luigi                Già, ma diversamente come avrei potuto descrivere il ru­more di quei passi?

Dunque:

cra, cra

Si sente, e riconosci quello.   

Fiero, impettito e con le mani sode   

Chiude con due mandate quel cancello.

Ecco quel cubo grigio:                          

È la sua casa.                                         

Ora dorme pesante.   

Ulula il vento.                               

Dorme il custode ignaro,

Dorme nella sua tomba di cemento. 

Chi è? Chi vedo?                                  

Pallido e disfatto                                    

S'incammina ed avanza Sergio Pròculo.

Michele          Chi è Sergio Pròculo?

Luigi                È nu signore ca trase dint' 'o cimitero.

Michele          'E notte?

Luigi                'E notte!                                              

Chi è? Chi vedo?

Michele          È un proconsole romano?

Luigi                No, è nu signore qualunque.

Michele          E perché si chiama Pròculo?

Luigi               Io mi chiamo Strada? Voi vi chiamate Murri? Uh, mam­ma mia... E stu signore si chiama Pròculo. Jamme nnanze... I' si m' 'o facite fa'! Chi è? Chi vedo?

Michele          Ma chi è che dice: « Chi è? Chi vedo? »

Luigi               Ma se m'interrompete continuatamente non lo arriverete a sapere mai.

Michele         Ma allora ci sta un'altra persona dentro al cimitero?

Luigi               Niente affatto, non ci sta nessuno.

Michele          Allora chi è che dice: «Chi è? Chi vedo? »      

Luigi                'O dich'io.

Michele         Allora nel cimitero ci stai pure tu?

Luigi               Io stongo 'a casa mia... È il poeta che parla. Sono visioni, allucinazioni che riceve lo scrittore nel momento della creazione.

Chi è? Chi vedo?

Pallido e disfatto

S'incammina e avanza Sergio Pròculo.

Michele         Scusate, ma il custode è andato a dormire nel cubo di cemento... Va bene?

Luigi                Sì...

Michele          E ha chiuso il cancello con due mandate?

Luigi                Sissignore.

Michele         E allora come entra Sergio Pròculo? Non si puòen­trare col cancello chiuso.

Luigi                Ma non bisogna sofisticare.

Michele         Sentite, per me non si può entrare da nessuna parte quando ci sta un cancello chiuso.

Luigi                E va bene: era entrato 'a sera primma.           

Michele          Allora il cancello si chiude una sera sì e una sera no? O si chiude tutte le sere o non si chiude mai.          

Luigi                Se mi volete prendere in giro, io 'a fernisco e nunse ne parla cchiù.                                                            

Tutti               Ma no, andate avanti.                        

Michele          Andiamo avanti.                                               

Luigi                Dunque:                                                    

S'incammina e avanza Sergio Pròculo.

Stanco si ferma,                                     

Geme e di soppiatto                                  

Si china                                                                            

E poggia il capo su di un loculo.

Michele          Ah, ecco! Abbiamo capito perché si chiama Sergio Pròculo!

Luigi                E sì, per la rima...

Un gufo veglia, ride una civetta.

E piove, piove. Il fiume s'è ingrossato.

Tatatatà! Strombazza

Una saetta

E uccide Sergio Pròculo

Chinato.                                                   

Ecco l'alba.

Ecco il sole.                                           

Ecco il sereno.

Che vedo intorno al loculo?

Un pezzetto di camicia

Un fazzoletto

Un bottoncino

Una scarpa slacciata

Un pedalino                       

Una matita rotta      

Un portachiavi

Una tessera stinta:

Non si capisce il nome.                                                   

Età: ventuno.                     

Altezza: un metro e ottanta.      

Colorito: olivastro.                                                        

Disoccupato.                  

Tutti               Bravo, bravo!             

Evelina           Complimenti.                           

Michele          Ionon ho capito niente.      

Vincenzo       (a parte)   Chisto è proprio nu saponaro,Filume',  stappe stu sciampagna. (a tutti) ‘E bicchiere, ognuno se pigliasse ‘o bicchiere suio.

Saveria          Peccato che Teresina vostra sorella non ha potuto veni’.

Michele         Ve l’ho detto, teneva tanta cose ‘a fa’. So’ venuto io primma, ma essa o stasera o dimane al massimo sta ccà.

Giovanni       Peccato, io pe’ essa ero venuto. (Vede Luigino che chiacchiera con Evelina e s’arrabbia)

Filumena       (ha sturato la bottiglia e versa lo champagne nei bicchieri) Ecco servito.

Michele         Né, permettete nu mumento. Alla salute di donna Saveria e di don Vincenzo Gallucci, al quale auguriamo cento anni di vita e di felicità!

Tutti              Alla salute!

Giovanni       (a parte, alludendo alla figlia e a Luigi) Ah, se so’ messi vicino!

SCENA SECONDA

Il fioraio e detti.

Fioraio          (avvicinandosi a Filumena che sta sul fondo, da dove si accede al giardino) Scusate, chesta è villa Gallucci?

Filumena       (chiamando versi il fondo) A te! Tràse.

                        Entra un facchino con corona di fiori per morto; sul nastro c’è scritto: « A Vincenzo Gallucci. L’inconsolabile fratello Attilio »

Saveria          Che d’è chella corona ‘e muorto?

Vincenzo       E pecché stu malaurio?

Michele         ‘On Vicie’, vène a vuie.

Vincenzo       A me?

Michele         Sicuro, a Vincenzo Gallucci.

Vincenzo       Ma che so’ cose ‘e pazze.

Saveria          L’inconsolabile fratello Attilio…

Vincenzo       Attilio? E bravo, m’ha fatto ‘o scherzetto.

Evelina          E nun ve pigliate collera, don Vicie’,

Vincenzo       Vedite, nun me piglio collera! ‘O juorno d’ ‘a nascita mia me veco arriva’ na corona ‘e muorto…

Saveria          Chella è ‘a mmiria… ma tu ‘e vvide ‘e scapezza’ a tutte quante. (Al fioraio) Diciate a chi v’ha ordinato sta corona che Vincenzo Gallucci tène ‘a saluta ‘e fierro e sta pronto p’atterra’ tutte ‘e nemice.

Michele         Ma vedite che specie ‘e scherze che vanno facendo! (Al fioraio) Chi te l’ha ordinato sta corona?

Fioraio          Nu signore: m’ha dato l’indirizzo, m’ha pagato e se n’è ghiuto.

Giovanni       Vattenne, ca ccà  ce stanne tutte gente vive.

Fioraio          Va bene, io sapevo chesto? Mi dispiace ch’aggio perza ‘a fatica pe’ ve fa’ na cosa a regola… Basta, non mancherà tempo per servirvi come meritate.

Vincenzo       Tu he’ ‘a nuri’ ‘e subbeto lloco fore.

Fioraio          No, io dico per qualche onomastico, qualche matrimonio.

Saveria          Nun ce serve niente, nun ce serve niente. Vedete che modo di esprimersi!

                        (Il fioraio se ne va con corona e facchino)

                        Io vularria sape’ proprio chi è stato.

Vincenzo       E ce vo’ tanta a capi’? È stato il mio diletto fratello.

Saveria          Ma si chilo sta a Roma?

Vincenzo       Come si ce vulisse tanto a incarica’ n’amico a Napoli… E bravo Attilio!

Saveria          Basta, nun ne parlammo cchiù. Don Giuva’, ve voglio fa’ vede’ ‘o regalo c’aggio  fatto a mio marito: nu taglio ‘è vestito bello sul’isso.

Vincenzo       Veramente bello: ‘o tenevo uganno nu vestito comme a chilo. Venite a vede’.

Giovanni       Con piacere. Viene pure tu, Eveli’. Mo’ vedimmo si ‘a fernisci tu e chillu pezzentone.

                        (Viano con Vincenzo e Saveria)

Michele         Vedete che scherzi…

Luigi               È stata graziosa ‘a combinazione… ‘A nascita co’ ‘a corona ‘e muorto! Io ne so’ fatto nu sacco ‘e risate…

(Intanto Filumena ha sparecchiato la tavola a grande velocità, e ha portato via tutto).

Ah, ah, ah! Tengo sete… Giesù, chella ha levato tutte cose a miezo, pure l’acqua! Tengo na sete… Permettete.

Michele         E dove andate a bere?

Luigi               Mah… in cucina.

Michele         In cucina non c’è acqua.

Luigi               No?

Michele          È na casa antica.                      

Luigi                Ci sarà il pozzo.                                             

Michele         S'è seccato.                             

Luigi                Nemmeno in giardino ce ne sta?                 

Michele          Niente, nemmeno na goccia. 

Luigi                E comme arracquano?

Michele          Viene l'autobotte. Vene 'a sera e s'arracqua 'a terra. Per la casa ogni mattina vengono gli asinelli e portano i barili. Se volete l'acqua, avita cammina' nu poco.

Luigi                Sì, faccio quattro passi. Addo' sta 'a funtana?

Michele         Uscite dal cancello e girate a destra. Doppo cinque mi-nuti 'e cammino trovate una scalinata rustica. Statevi attento ca si ruciulèa. Sott' 'a scalinata trovate nu viale 'e ficurinie. Camminando camminando, 'e fficurinie s'astregneno, ma non vi preoccupate perché lo spazio per passare ci sta. Passato 'o viale truvate 'a fontana.

Luigi                Vado subito: permesso e grazie.                        

Michele          Ci vediamo stasera.                    

Luigi                Ma io vado e torno.                          

Michele          So' quattordici chilometri.

Luigi                Quattordici chilometri?

Michele          Se volete bere acqua corrente. Se no, dovete bere quella che abbiamo bevuto a tavola. Questa, vedete... (Prende un secchio dietro un vaso di fiorì) Bevete.

Luigi                Ma è pulita?

Michele          È quella che hanno portato gli asinelli stamattina. È gelata. Bevete, bevete...

Luigi                Grazie. (Beve).

Michele          Bevete...

Luigi                Ho bevuto.                     

Michele          Ce ne sta ancora.                           

Luigi                Lo so, ma non posso bere tutto il secchio d'acqua.

Michele          Ma poi se la bevono gli altri. 

Luigi                E che me ne importa?

Michele         (minaccioso)    Bevi!

Luigi                Ma...

Michele          Bevi!

Luigi beve qualche sorso; entra Filumena, va verso il giardino, da dove compare Attilio, vestito a lutto; Michele lascia Luigi per guardare Attilio.

SCENA TERZA

Filumena, Michele, Luigino, Attilio.

Attilio           (a Filumena)    Scusa, bella figlio', Villa Gallucci?

Filumena        È ccà, trasite.

Attilio           Grazie. Io so' Attilio Gallucci, fratello di Vincenzo. Appena ho saputa la disgrazia mi so' messo dint' 'o treno ed eccomi qua con tutto che erano dieci anni che stavamo in urto.

Filumena        Ma qua' disgrazia?

Attilio           (vedendo Michele)    Guè, Miche'!                     

Michele          Don Attilio... E quanno site arrivato?

Attilio           Na mezz'ora fa.

Michele         E comme va, vuie state in urto cu 'o frate vuosto.

Attilio           Ma di fronte alla morte cessa qualunque odio.

Michele          Pecché, chi v'è mmuorto?

Luigi                A lui, naturalmente.

Michele          Si capisce: chi l'è mmuorto a isso?       

Attilio           Comme, Miche': fràtemo Vincenzino.                       

Michele          Voi che dite? Chillo sta meglio 'e me!                 

Attilio           Nun è muorto?

Luigi                Quando mai?

Attilio           E stu telegramma? (Legge) Avvenuto decesso vostro fratello venite subito vederlo ultima volta.

Luigi                Mo' si spiega 'o fatto d' 'a curona: l'avite mannata vuie.

Attilio           Sicuro. E chi s'è permesso 'e mandarme stu telegram­ma?

Luigi               Qualche amico che per farvi fare pace ha truvato stu mezzo.

Michele         Certo, na vota ca ve truvate ccà, mo' ve facimmo fa' pace.

Luigi               Bravo, portatelo dentro. Voi siete amico intimo, ci riusci­rete certamente.

Michele         Venite, venite. (Viano, con Filumena)

SCENA QUARTA

Luigi e Evelina.

Evelina          (entrando)    Dunque, io sto qua: che m'avita dicere?

Luigi               Io me l'aspettavo sta domanda vostra: è quella di tutte le altre donne. «Che m'avita dicere? » Siate diversa dalle altre... « Che m'avita dicere? » E voi non 'o sapite? Tutte 'e guardate che v'aggio fatto, tutte 'e suspire c'aggio jettate, nun v'hanno fatto capi' niente? Vuie m'avita dicere: «Sì, io pure te voglio bene comme me ne vuo' tu ». (L'abbraccia).

Evelina          Ma vuie jate troppo 'e pressa!

Luigi                Io ti voglio bene e ti voglio sposare.

Evelina          È na parola... Chillo papà chesto vo' sèntere! Vuie sta­te nu poco disperato.

Luigi               Ma chi le mette in giro ste dicerie? Vedete, nu poco di­sperato! Assai, assaie... vuie dite « poco »!

Evelina           Dunque vedite ca nun è cosa.

Luigi               Ma in compenso sono giovane e tengo buona la volontà di lavorare.

Evelina           Tutto questo ce lo dovete dire a papà.

Luigi               Io? Chillo già ha detto che mi piglia a cauce... Ci vorreb­be una persona che le facesse capi' che tengo veramente inten­zione di lavorare, e quanno me so' fatto na posizione ce spusammo.

Evelina          Allora sapite chi ce po' parla'? Donna Saveria, 'a mu-gliera 'e don Vicienzo.

Luigi               Brava, quella è l'unica. (Fa per abbracciarla) Simpaticona mia! (Sentendo arrivare gente escono insieme).

SCENA QUINTA

Vincenzo, Michele, Attilio.

Vincenzo        È stato nu scherzo, nun ne parlammo cchiù.

Michele          Nu scherzo, però, che è riuscito a farvi fare pace. Die­ci anni in urto pe' na sciocchezza.

Attilio           Sempre così succede. Pe' nu niente se strascinano 'e malummore pe' tutta 'a vita...

Vincenzo       (al fratello) Però m'haie fa' nu piacere: lievate sta giacca nera perché mi fa nu certo effetto.

Attilio           Hai ragione. (Si toglie la giacca).

Vincenzo       Vieni in camera mia. Te sceglie nu vestito e stasera t' 'o miette.

Attilio           Grazie. A parte l'impressione che può fare un vestito nero... ma mi sento imprigionato. Avete mai fatto caso a quan­ti bottoni portiamo addosso noi? La quantità e la varietà... Non hanno ancora trovato un sistema per elimina' 'e buttone. (A Michele) Io, mi dovete credere, i bottoni li odio.

Vincenzo        Vieni, Atti'.

Attilio           Vengo.

Viano; rimasto solo, Michele stacca i bottoni di tutte le giac­che che trova appese sulle sedie; arrivato alla sua, la guarda, riflette, la indossa senza toglierci i bottoni, poi se ne va in giar­dino.

SCENA SESTA

Saveria, Giovanni, Evelina e poi Michele.

Saveria          (entrando con Giovanni)    Don Giuva', io v'aggia cerca' nu favore.

Giovanni        Dite, signo': sono a vostra completa disposizione.

Saveria           Ecco qua:   don Luigino, povero giovane, s'è miso scuorno 'e v' 'o dicere e ha pregato me.

Giovanni        Ma 'e che se tratta?

Saveria           Vo' bene a Evelina. Evelina vo' bene a isso e se vonno spusa'.

Giovanni        Donna Save', ma vuie dicite overamente? Chillo è nu disperatone! Cercateme chillo ca vulite, ma chesto è impossibile. Io 'a nu piezzo l'avevo capito 'o suonno ca s'era fatto don Luigino! Ma 'a miseria sarria niente: chillo è nu stravagante, chiagne, ride... (Entra Evelina). Dice che vo' fa' l'artista! Chillo se n'adda i' 'o manicomio! (Vede Evelina) Ah, tu staie lloco! E tu 'e potuto immagina' che io dicevo sì? Jesce, vattenne 'a via 'e dinto, e miettete ncapo che a nu scupatore te faccio spu-sa', ma no a chillo!

Evelina          Ma io 'o voglio bene:..

Giovanni        Tu devi fare chello ca dico io. Trase dinto, trase. (Evelina si nasconde dietro Saveria). Mo' me faccio veni' 'e capil-le mmano!

Evelina           'Onna Save', chillo me vatte! (Via a sinistra).

Saveria          'OnGiuva', 'a verità è inutile tutta st'ammuina. Nun vulite da' 'o cunsenso, sta bene! Ma nun 'a facite mettere pau­ra, povera guagliona. (Via appresso a Evelina).

Michele         (entrando)    Che è stato, neh?

Giovanni        Sia fatta 'a vuluntà d'o cielo! Don Luigino se vuleva spusa' a figliema, chillu stravagante. Quello è pazzo! Ma io primma che succede na cosa 'e chesta l'accido: meglio che muore, cento volte! Io lle facevo spusa' a isso! Vo' fa' l'artista, invece e se ne adda i' 'o manicomio! È pazzo, è pazzo! (Via).

Saveria          (rientra) Va buono, calmateve mo'. (A Michele) Vedi-te chillo che s'ha fatto afferra' pecché don Luigino se vo' spo­sa' 'a figlia.

Michele         Ma si capisce, signora mia! Vuie forse non sapete niente: Don Luigino è pazzo.

Saveria           Vuie che dicite?

Michele         È stato n'anno 'o manicomio. 'A famiglia nun ha fat­to sape' niente per non discreditarlo in commercio, sperando che doppo tanto tempo se fosse guarito... ma arò? Chillo sta peggio 'e primma! Io, per me, non l'accosto più: mi metto paura. (Vede Luigi che si avvicina) Eccolo qua. Io me ne va­do, ma voi statevi attenta: non lo contraddite, assecondate­lo. (Via).

SCENA SETTIMA

Luigino e detta, poi Giovanni, Evelina, Vincenzo e Attilio.

                                                                                             

Luigi               (entra) Signo', che risposta v'ha dato don Giovanni? Ac­consente?

Saveria          (appaurata)    Ah... ecco qua.

Luigi               Ha detto di no, io 'o sapevo! Mannaggia... (Dà in escandescenze a soggetto).

Saveria          No... no... calmatevi, calmatevi: ha detto di sì, accunsente cu tutto 'o piacere.

Luigi               Ma come, era tanto contrario... Com'è che ha fatto que­sto cambiamento?

Saveria          (sempre appaurata) Ha detto: « Mi sono sbagliato... Don Luigino Strada diventerà un grande poeta »...

Luigi                « Ora Mistica », eh?

Saveria           Come...?

Luigi               La poesia che ho detto dopo pranzo ha fatto effetto! Donna Saveria mia, che gioia che m'avete dato! Voi mi avete fatto l'uomo più felice del mondo. Vi debbo baciare la mano.

Saveria          Nun v'accustate ca io strillo! (Via a destra come in concerto).

Giovanni        (entrando con Evelina) 'O vi' canno, stu bello mobi­le! Nun 'o guarda', ca si no so' schiaffune.

Luigi                Caro suocero! Evelina mia bella. (Soggetto).

Giovanni        (al colmo dell'ira) Ma insomma, tu nun 'a vuo' ferni'! Mo' m'hai seccato, mo'! (Gli dà due schiaffi).

Evelina           Aiuto, aiuto!

Luigino rimane come di sasso, mentre Giovanni continua a in­veire a soggetto e entrano Saveria, Vincenzo e Attilio.

Saveria          Nu momento! Che state facendo? Lassat' 'o i', venite ccà.

Saveria fa gruppo con tutti gli altri compreso Giovanni, al lato opposto di Luigino che si comprime il viso con le mani. Tutti ascoltano Saveria e guardano con compassione e appaurati Luigino che non capisce che sta succedendo; poi tutti scappano da sinistra come in concerto.

Filumena       (entrando)    Signuri', che è stato? Aggio ntiso certi remmore!

Luigi                Io aggio ntiso cierte sapure! Aggio avuto duie schiaffe tremende. Per lo meno ci stesse l'acqua...

Filumena        'A funtanella sta lla.                                       

Luigi                Seh, a quattordici chilometri!                           

Filumena        No, sta llà, sotto 'o gesummino.            

Luigi               Ma so' cose 'e pazzi! Mo' ce vaco a mettere 'a capa sotto. (Via).

SCENA OTTAVA

Teresa e detti, poi Luigino e Saveria.

Teresa            (dal fondo, preoccupata) Buongiorno, Filume’. Sai si ccà è venuto fràtemo Michele?

Filumena        Gnorsì, signuri’.

Teresa            E io me l’ero immaginato.

Filumena        ‘A padrona aspettava pure a vuie.

Teresa            Sicuro, nun aggio potuto veni’. Famm’asci’ nu mumento a donna Saveria, scusa.

Filumena        Subito. (Via).

Luigi               (entra con un fazzoletto legato in fronte)Uh, donna Teresina… Siete donna Teresina?

Teresa            E che site cecato?

Luigi               Io ve veco celeste, scusate tanto.

Teresa            E che facite cu stu fazzoletto fronte? Tenite dolore ‘e capa?

Luigi               Dolore ‘e capa? Io, ncapa, me sento ‘e granate. Pum, pam, pom! Aggio avute dduie schiaffe terribile, ca solamente ‘a faccia tosta mia l’hammo potuto ricevere.

Teresa            E da chi?

Luigi               Da don Giovanni, ‘o padrone ‘e casa vuosto.

Teresa            Pe’ causa d’ a’ figlia! Io ‘o sapevo che jeva a ferni’ a mazzate!

Saveria          (entrando) Carissima Teresina, comme staie?

Teresa            Così, nun c’è male.

Filumena traversa la scena.

Saveria          (a bassa voce) Iammuncenne ‘a ccà. Ce sta don Luigino. Chilo è pazzo.

Teresa            Don Luigino? Quanno maie.

Saveria          L’ha ditto Michele fràteto.

Teresa            Michele… Don Luigi’, voi sentite? Mio fratello ha detto a tutti quanti che voi siete pazzo:

Luigi               Overamente? Ma pecché?

Teresa            (a Saverio) Chilo è stato inquilino mio, m’ ‘o vulite mparà a me? Cca ce sta nu pazze, ma nun è don Luigino… è proprio Michele.

Saveria          Michele?

Teresa            E sì! Nun me pozzo sta cchiù zitta e po’ è inutile, tanto me so’ convinta chiaramente ca Michele nun se po’ sana’… Aiere ascette ‘e bello, senza dirmi niente, e nun ‘o truvaie cchiù. Stanotte nun s’è ritirato, e immaginate cu che pensiero so’ stata: chilo aiere ascette d’ ‘o manicomio! Io, povera disgraziata, so’ ghiuta currenno pe’ tutta Papule p’ ‘o truva’, e perciò nun so’ venuta p’ ‘a nascita ‘e don Vicienzo.

Luigi               Ma è proprio pazzo?

Teresa            Se io v’ ‘o sto dicenno. Nun aggio fatto sape’ mai niente a nisciuno per non discreditarlo in commercio.

Saveria          Quanto me dispiace! Ma mo’ jammo addu lloto a chiari’ stu fatto: chille stanno cu ‘a capa che ‘o pazzo è don Luigino.

Teresa            E ghiammo. Voi venite?

Luigi               No grazie, io nun voglio vede’ a nisciuno.

                        Saveria e Teresa via.

SCENA ULTIMA

Michele e detto poi Teresa e tutti gli altri.

                                                                            .

Luigino, appaurato, si gira da tutte le parti, sentendo la presenza di Michele; infatti il pazzo ci sta, ma, come da concerto, è invisibile perché ogni volta che Luigino si gira verso di lui sparisce dietro una porta o un vano. Scena di paura a soggetto. Poi Luigino vorrebbe scappare ma le gambe non l’aiutano.

Michele         Povero giovane, sei pazzo… Ma adesso ti aiuto io. (Lo fa alzare, lo porta vicino alla credenza) La malattia tua addo’ sta? Nella testa. E quindi, se ti taglio la testa elimino ‘a malatia. Giusto?

                        Ha preso un coltello da un cassetto e si prepara a tagliare la testa di Luigino; impietrito dalla paura Luigino non può articolare le parole; in quel momento entra Teresa seguita dagli altri.

Teresa             Che stai facendo? Lassa 'o curtiello!

Michele         (tutto contento obbedisce; Luigino crolla come un pu­po rotto)   Uh, Teresi', tu stive ccà!

Teresa            Sì, so' arrivata poco primma.

Michele         (indicando Luigi) Lo vedi? Quello è pazzo, è pericoloso.

Teresa            E va bene, quann'è oggi don Luigino se ne va 'o mani­comio. (Fa dei segni a Luigino) È vero, don Luigino?

Luigino          (appaurato)    Sicuro, quann'è ogge me ne vaco.

Teresa            (a Michele) Va' te piglia 'o cappiello e ghiammuncenne, togliamo il fastidio a questi signori.

Michele         Aspettami qua. Ma chillo quanno se ne va' 'o manicomio?                                           

Teresa            Cchiù tarde, cchiù tarde.                                     

Michele esce.

Vincenzo       Donna Teresi', vuie po' me mannate nu pazzo dint' 'a casa.

Teresa            Ma io nun sapevo ch'era venuto ccà.

Giovanni        Donna Teresi'... e il matrimonio nostro? Evelina me dicette che vuie v'ireve nnammurata 'e me.

Teresa            E mo' è pazza pure Evelina.

Evelina          A me m' 'o dicette don Michele.

Teresa            Ah, ecco! Don Giuva', io nun me posso mmaretà... Tengo nu sacro dovere da compiere: mio fratello. Mi devo de­dicare completamente a lui.

Saveria          Ce vo' pacienza...

Michele         (entra con cappello)   Eccomi qua.

Teresa             Signori, arrivederci.

Michele         Arrivederci.

(Saluta tutti, uno per uno a soggetto, facendo impietrire tutti per la paura, poi si avvicina a Luigi che si è rifugiato in un angolino)

Tu qua stai?

(Luigino fa cenno di sì a tutto quello che gli dice Michele). Vattenne 'o manicomio. Tu sei un pericolo per la società. La gente ha paura di te, hai capito? Gli amici, i parenti, 'a famiglia ti possono compatire, ma a un certo punto si rassegnano e ti abbandonano... Vattenne 'o manicomio...

Teresa            Avete capito...! (Via con Michele).   

Vincenzo        Povera femmena.                              

Giovanni        Ha passato buono 'o diciassette!

Attilio           Stammo tutte quante sott' 'o cielo.

Dicendo queste battute ognuno indossa la sua giacca, nota la mancanza di bottoni con reazioni a soggetto e cala il sipario.