Dito di bambino, dito di donna

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DITO DI BAMBINO, DITO DI DONNA

DITO DI BAMBINO, DITO DI DONNA

Due atti di Francesco Principato e Claudio Elliot

Personaggi:

Roberto, il professore 

Gioia, la sua giovane amante

Gemma, la sua ex moglie

Marco Monti, l’avvocato

Il dottore

Il giudice

Il procuratore

Atto I 

Studio-salotto borghese: scrivania, divani, sedie, arredo elegante ma pratico da seconda abitazione. Visibile e comunicante con il salone c’è un cucinino. Su un mobile del salone, in evidenza, una 'rastrelliera' di pipe. Roberto è anziano (50/60 anni) pacato, riflessivo; Gioia è giovane (meno di 30 anni), bella, briosa.

Roberto è seduto alla scrivania, legge alcune cartelle; Gioia è alle sue spalle, lo accarezza.

 Scena I

(Roberto e Gioia)

Roberto: ( finisce di leggere, annuisce) Buona.

Gioia:  Soltanto buona?

Roberto: Mi sembra che tu ecceda nella pratica delle "citazioni faziose"…

Gioia:  Ti riferisci al nostro amato rettore?

Roberto: Mi sembra che tu lo stia incensando troppo. (prende Gioia sulle ginocchia) E anche

qualche altro "amato".

Gioia: Questa volta mi ha incaricato anche della relazione, non solo della parte organizzativa. (Ricambia le carezze) E riguardo all'altro amato… sei tu il luminare in materia, mio dolce professore. Sei tu il grande dottore, il grande tossicologo.

Roberto:  E tu la degna allieva… Però la bibliografia mi sembra che abbia qualche lacuna: non ti sei dimenticata di qualcuno?

Gioia:  (si scoglie dall'abbraccio e gira per la stanza) Se ti riferisci al tuo amico e collega Giunti… No! Lo detesto. Se fosse stato per lui, io all'università non ci sarei rimasta un attimo oltre la proclamazione. Per lui al massimo potevo fare (mima lo scrivere) la ricettatrice, altro che ricercatrice e dottorato. Ma meno male che c'eri tu… E poi non sei tu che mi racconti sempre delle vostre vendette citative?

Roberto: (sorride) Cos'è che hai detto?

Gioia:  Citative. E' un errore, vero? Consideralo un altro mio neologismo. Tu mi capisci. Oh come mi capisci. (sorride) Citative… Però come rende bene l'idea. Viva i neologismi. Rinnovamento, rinnovamento. Anche nel linguaggio.

Roberto: E il nostro magnifico rettore che ne pensa del 'rinnovamento'?

Gioia:      In che senso?

Roberto:   Nel senso che mi sostituisci al convegno annuale…

Gioia:  Che c’è? Mi sta arrivando un soffio di rancore… Sei arrabbiato perché non ci sarai? L’hai detto tu che in questo periodo ti senti stanco, che questa influenza ti ha abbattuto, che avevi bisogno di un paio di settimane lontano dal lavoro, dalle lezioni e dai quei bruti di studenti.

Roberto:  L’ho detto, è vero. Però…

Gioia:    Ti senti messo da parte?

Roberto: (raggiunge Gioia per abbracciarla) No, affatto. Non sono così vecchio. Pensavo che non sono poi così giù… Pensavo che un paio di giorni a Parigi (allusivo) potrebbero rimettermi in forma. In forma: io e te a Parigi…

Gioia:  Io e te? (titubante) E' un seminario! Te lo sei scordato? Guarda che non è una vacanza. Sarà una settimana di duro lavoro.

Roberto: Duro lavoro? (in tono sarcastico) Guarda che l’ambiente lo conosco. Ho un vago sospetto che tu non mi voglia. (torna alla scrivania, raccoglie la relazione). Ma sei sicura che non ti abbia chiesto anche un mio intervento? Il rettore…

Gioia:  Ma che dici. Che ti prende ora? Hai bisogno della tua bella fumata. (raccoglie una pipa). … Caricata bene e con amore. (prende il necessario e comincia a caricare la pipa)

Roberto: (prende il dattiloscritto) Però questa, Marini deve leggerla.

Gioia:  (carica il fornello della pipa schiacciando il tabacco con il mignolo) Dito di bambino… La manderò in allegato con la posta elettronica.

Roberto: Eh no! Non puoi: il progresso ci ha abbandonati per due giorni. Il server è in manutenzione fino a domani.

Gioia:  (continua a caricare il tabacco cambiando dito)… Dito di donna. Non funziona? Due giorni senza e-mail e internet?

Roberto: Non è la fine del mondo… La relazione gliela porto io. Ci devo passare. Dopo.

Gioia:  Pronta! (gli porge le pipa e l'accendino) Caricata come si deve. (annusa con voluttà le dita impregnate dall’odore di tabacco) Dito di bambino e dito di donna… Però dal rettore ci vado io. (ansiosa) Ora! Tieni, tu ti fai una bella fumata. Faccio in fretta…

Roberto: (prende la pipa, l’accende) Come ora? Ti sei dimenticata? A momenti arriva Marco…

Gioia:  Appunto! E anche Gemma.

Roberto: Appunto!

Gioia:  Sono questioni vostre: eredità, separazione, accordi divorziali… Vabbè! Di divorzio. Questioni vostre.

 Roberto: No! Tu stai qua. Ho organizzato qui l'incontro per te: ci volevi essere però ti sembrava antipatico andare nello studio dell’avvocato…

Gioia:  Certo! E te lo immagini? Tu e la tua ex moglie a discutere di pratiche di divorzio e io a presiedere…

Roberto: Appunto! Ma qui in casa… Non è deplorevole se stai ad ascoltare. Così finalmente capisci che non sono io a tirarla per le lunghe. (si guarda intorno) Tutto per questa  villetta e la tua testardaggine…

Gioia:  No! La villa no! Il nostro covo deve rimanere nostro.

Roberto: E allora devi rimanere e lottare con me per mantenerla.

Gioia:  (irosa) Ma non le basta tutto il resto? L'appartamento in centro, la casa al mare… Vuole tutto? No! La villa no.

Roberto: La villa no. Va bene, va bene. E dal rettore ci vado dopo io, o ci andiamo assieme. Dopo.

Gioia:  (nervosa) Dopo, dopo vediamo.

Scena II

            Roberto, Gioia, Marco (giovane avvocato 'di famiglia').

(suona il citofono)

Roberto: Deve essere Marco, rispondi tu?

Gioia:  (soprapensiero) Sì… sì, apro io.

(Gioia aspetta sulla porta l'arrivo dell'avvocato)

Avv.:   (saluta baciando Gioia sulle guance) Ciao Gioia, (si avvicina al professore tendendo la

mano) Professore, come sta?

Roberto: (Ricambiando il saluto) Ciao Marco. Meglio, quasi bene, grazie. E papà?

Avv:    Si difende, come dice sempre lui. Da quei testoni di studenti e dagli assistenti scansafatiche.

A proposito: complimenti Gioia e in bocca al lupo.

Gioia: (nervosamente) Complimenti per cosa?

Avv:    Per… per il convegno…

Roberto: E tu come l'hai saputo?

Avv:    Da… da papà. All'università. Ma… torniamo a noi.

Roberto: Ha ragione tuo padre: basta che uno si allontani qualche giorno… (guarda Gioia) E ti

tagliano subito fuori. Così è la vita. Così è la vita?

Gioia:  Così è l'università…

Avv:    (tira fuori una busta dalla cartella) Fatto. Tutto fatto.

Gioia:  L'accordo? Gemma ha firmato?

Avv:    No! Non deve venire ora?

Roberto: La stiamo aspettando…

Avv:    Appunto. Questa è la successione. (al professore) La sua.

Roberto: Finalmente l'hai chiusa?

Avv:    Sì. Successione, trascrizioni e tasse. Adesso, professore, non è più l'erede. Adesso è lei il     legittimo proprietario dei beni di sua madre, buonanima.

Gioia: Un anno, un anno c'è voluto. A proposito, caro: per l'anniversario? Conti di … di celebrare messa al paese?

Roberto: ( sorride) Non credo che me lo permetteranno. I preti ci tengono a mantenere l'esclusiva.

Gioia:  (infastidita) Uffa! Hai capito che volevo dire.

Roberto: (si avvicina a Gioia che si scosta) Una battuta. Sei permalosa stasera.

Gioia:  Tu, stasera, pare che lo faccia apposta.

Avv:    C'è solo un'ultima incombenza: cancellare alcune ipoteche.

Roberto: Ho ereditato anche dei debiti?

Avv:    No professore. I suoi le hanno lasciato solo capitali. I debiti erano già stati estinti. Ma sul palazzo di via del corso l'ipoteca non è stata ancora cancellata. E' solo un fatto burocratico…

Roberto: Che ti puoi spicciare sempre tu, giusto?

Avv:    Certamente. Però prima dobbiamo sbrigare quest'altra pratica.

Gioia:  Molto più rognosa.

Roberto: (in tono di rimprovero) Gioia. Calma, ti vedo estremamente nervosa. E' per Gemma?

Gioia:  E per chi sennò?

Roberto: (consegna un assegno all'avvocato) E’ per Gemma.

Avv:    (titubante) L’assegno?

Roberto: Questo? No. E’ per te, l’assegno. Per la successione. E per le spese del divorzio. (guarda

l'assegno) O quello che potrebbe coprire… Un acconto.

Avv:    Ma papà mi ha detto…

Roberto: Che ti ha detto? Che devi lavorare gratis? Non ci credo.

Avv:    Per lei…

Roberto: Per me sì? (guarda Gioia) Per me? Prendilo, dai… E adesso parliamo del divorzio.

Gemma dovrebbe essere qua a momenti…

Gioia:  Non devi dargli nient'altro?

Roberto: Ah già! (trae di tasca una busta sigillata) Dimenticavo questa.

Avv:    Cos'è?

Roberto: Adesso che sono il proprietario, e non soltanto l'erede, posso disporre… e queste sono le

mie disposizioni. Le ultime disposizioni, si chiamano così no? Da consegnare al notaio Cesari. Portagli i miei saluti e…

Avv:    E?

Roberto: Niente, niente. (sorride) Anche quelli di tuo padre… Intendo dire i saluti.

Avv:    (perplesso) Va bene, senz’altro. (mette la busta in cartella) E adesso parliamo dell'altra

pratica.

Roberto: Pratica! Pratiche. Pratica la morte di mia madre, pratica anche mia moglie. Non avrei

immaginato che gli affetti, gli amori, si sarebbero infine risolti in pratiche… soltanto in una pratica.

Gioia:  (enfaticamente) L'amore, se si pratica, “è” una bella pratica. (ride)

Roberto: Pratica… (sorride) Se si pratica… (ride sempre più, ride anche l'avvocato)

(suonano alla porta) Pratichi tu? (ridendo) Volevo dire: apri tu?

Gioia:   (perplessa) Io? Devo aprire io?

Roberto:   Grazie.

Scena III

            (Roberto, Gioia, Marco, Gemma).

Gioia:  (fredda, dalla porta) È Gemma. (la fa entrare)

Roberto: (le va incontro) Puntualissima…

Gemma: (entra con fare da padrona, con un bel piglio) Neanche un buonasera?  Non mi pare

un’accoglienza entusiasmante.

Roberto: Infatti. La casa la conosci bene e i convenevoli non li hai mai amati…

Gemma:  La buona educazione sì!

Roberto:  Giusto! (sarcastico) Buona sera Gemma, ti vedo in gran forma…

Gemma:   Non fare lo stupido adesso e andiamo al sodo.

Roberto: (indica l’avvocato che stringe la mano a Gemma) Possiamo subito sbrigare la faccenda.

L’avvocato ha tutto pronto…

Gemma: (guarda Gioia) Avvocato Marco Monti: bello e con un nome famoso. Ed è anche bravo

come il padre.

Roberto: Vogliamo andare al dunque?

Gemma: Non ti ricordavo così sbrigativo.

Roberto: L’hai detto tu di andare al sodo.

Gemma: La ragazza non può servirci un caffè, prima? Giusto per rilassarci un po’…

Roberto: Si chiama Gioia e lo sai benissimo

Gemma: Gioia…

Roberto: (a Gioia, indicando l’altra stanza) Ti dispiace? (Gioia esce) E rilassiamoci. Marco ha già

pensato a tutto.

Avv.: (Sta per tirare fuori dalla borsa dei documenti) Io ho già pronto l’accordo…

Gemma:  (a Roberto, senza guardare l’avv.) Accordo pronto? (indicando l’avvocato) Chi glielo ha

detto che c’è già un ‘accordo’?

Roberto:  Stasera ci sarà.

Avv.:      Mi avete detto che stasera…

Roberto:  (a Gemma) Hai detto che volevi chiuderla con questa storia.

Gemma:  L’ho detto. Chiuderla. Ma non come pensi tu. Ma già: (gira lo sguardo verso il cucinino

dov’è Gioia) tu non sei mai stato molto perspicace. E l’avvocato certe cose non le può capire. (L’avv. si alza, visibilmente offeso ma  imbarazzato,  va a una finestra)

Roberto: Non le capisce? L’avvocato l’hai scelto tu!

Gemma:  (girando ancora lo sguardo) Non solo io…

Roberto:  Non ricordi? Tu lo hai indicato e io ho accettato. E sempre tu hai voluto che fosse qui

stasera. Tu l’hai voluto…

Gemma: Ma va bene anche a te: (indica col dito tutte le stanze) amico di famiglia Ma sì! Forse mi

sono sbagliata. Sì… (sospira, pensa, sorride) Mi sono sbagliata.

Roberto: Sbagliata? (ironico) Hai detto che ti sei sbagliata? Alleluia! Ammissione di colpa. Vera

rarità…

Gemma: Non capita spesso. Sbaglio poco. E questo, lo ammetto, è stato un errore. Ma il primo,

l’errore più importante, sei stato tu.

Roberto: Ammissione numero due. Alé! (Si batte la pipa sulla mano aperta) Marco, vieni. Non fare

l’offeso.

Gemma: Perché? Credi che si sia offeso? (calcando) Credi che si tratti di offesa?

Roberto: Che ci vuoi fare Marco, Gemma è così. Prendere o lasciare. E io ho lasciato. Finalmente

 ho lasciato.

Gemma:  Finalmente?

Roberto:  Finalmente!

Gemma: Finalmente… Però prima mi amavi… o così dicevi. Prima! Quando ti faceva comodo,

quando non eri nessuno, quando scalavi l’università, l’alta società, quando…

Roberto: (all’avvocato, ignorando Gemma, quasi gridando) Allora Marco?

Avv.: (distogliendo l’attenzione da Gemma) Sì. Allora: vogliamo dare un’occhiata approfondita

all’accordo? Mi sembra che sia stato già chiarito tutto in studio…

Gemma: No! Quasi tutto. E’ rimasta da regolare la questione della villa, della nostra villa.

(L’avv. Non parla, Roberto è insofferente e giochicchia con la penna, poi cammina sulla scena per pochi secondi)

Roberto: Nostra? La nostra villa? La villa, caro amore mio, non è più ‘la nostra villa’. Già da un

pezzo. (Rientra Gioia, con le tazze di caffè, Roberto la indica) Un’altra ti ha soppiantata. (Gioia posa il vassoio sul tavolino,  sorride e fa una carezza a Roberto che ricambia) Proprio qui. Nella ‘nostra villa’. (Gemma ha un accenno di rabbia) E smettila di fingere. Lo sai e l’hai sempre saputo. E’ proprio per questo che la vuoi. Ammettilo!

Gemma (guarda nervosa l’ex marito, l’avvocato, Gioia): Vigliacco! Sei un

Bugiardo.  Sì! Bugiardo: “Perdonami. E’ stata solo una cosa passeggera… E’ stata solo una bella scopata… Un’infatuazione senile… L’attrazione momentanea della carne fresca…” Bugiardo. Lo sei sempre stato.

Roberto: L’ho detto! Vero…(guarda Gioia) Ho detto così. Lo ammetto, ma lei (ha un gesto

d’affetto per Gioia) mi perdona, mi ha già perdonato. E poi lei sapeva che non era così. Lo sa che non è così. E’ lei la mia donna, e… se proprio lo vuoi sapere, la sposerò.

Gemma: (a Gioia, con altezzosità; guardandola dall’alto in basso) E tu? Tu te lo sposi? Non sei un

po’ troppo giovane per lui? O miri ad altro?

Gioia: Che vuoi dire?

Roberto: Smettila! Risparmiaci il tuo veleno. Sì, al tuo confronto è una ragazzina. E allora?

Gemma: (a Gioia) Quanti anni hai? Ventuno, ventidue? Che stupida…Stupida lo dico a me stessa,

perché tu di sicuro non lo sei. Dunque… (mimando di far di conto) Lavori all’università già da qualche anno (indica Roberto) …e a meno che non ti sia seduta a giocare sulle ginocchia del professore a quindici anni…devi avere …

Gioia: Ventisei. E non offendere! Sulle ginocchia del professore… Sentitela. E già! Tu non ne hai

avuto bisogno. Tu, la figlia del barone dell’ateneo, non ne avevi bisogno. Anzi! Eri tu la preda ambita. La chiave per aprire le porte della carriera universitaria. Diglielo, Roberto. Diglielo quello che hai sempre detto a me.

Gemma: (guarda Roberto che gira lo sguardo, si allontana) E’ questo che hai raccontato alla

ragazzina? Ragazzina… al mio confronto… (ironica, fa un po’ la scena) Ragazzina… Ventisei anni. Roberto, te li ricordi ancora come sono ventisei anni? Al mio confronto… E al tuo confronto? Quanti anni hai tu? No, fammi ricordare? Non è difficile il conto. Ne hai solo uno meno di me. (guarda Gioia) A lei quanti ne hai confessati? Cinquanta? (sprezzante) Praticamente sei alle soglie della sessantina.

Roberto: Ma in perfetta forma. (a Gioia) Vero tesoro?

Gioia: Certo. In gran forma.

Gemma: In gran forma? (sorride sarcastica) Ma se non sei “in gran forma” da più di dieci anni…

Avv:   (intromettendosi) Se volete rimandare l’accordo…

Roberto: (lo allontana con un braccio) Se non ero in forma, come dici tu, e l’abbiamo capito tutti a

cosa ti riferisci, la colpa era tua, soltanto tua.

Gemma: Mia? Ma se dormivi sempre. (cadenzando) Sempre in viaggio, sempre stanco: lavoro e

stanchezza, stanchezza e lavoro. Eri sempre stanco, sempre in viaggio. Lavoro, lavoro, lavoro. Stanco! Ogni sera. Pensavi sempre e solo alla carriera universitaria…

Roberto:  La carriera che volevate tu e  tuo padre. Non te lo scordare.

Gemma:  Lascia stare mio padre! Tu. Tu… non avevi più un attimo di tenerezza per me. Un briciolo

d’affetto, troppo presto. Non dico amore… 

Roberto: L’amore passa.

Gemma: Sì, lo so. Me lo avevi fatto ben capire già da tanti anni. Con la tua ‘stanchezza’. Ancora

prima. Ancor prima di Gioia.  Però mi bastava l’affetto…

Roberto: (di getto, nervosamente) Mi ero stancato anche della tua semplice presenza (guarda Gioia)

Ero stanco. Di te. Ero! (si avvicina a carezzare Gioia) Ero troppo stanco. E adesso non più…

Gemma: (ironica e nervosa) Cos’è? Adesso la pillola la prendi tu? Non quella. Quella che obbligavi

(calcando) me a prendere…

Roberto:  Io ti obbligavo?

Gemma:  Sì, mi obbligavi. (scimmiottando Roberto) Ero… ero stanco. Non ci posso credere… Ora

 non è più, ora è diventato un superuomo… (ride nervosamente)

Roberto: Non ci credi? (guarda Gioia) E allora apri bene le orecchie: io e Gioia aspettiamo un

bambino.

Gemma:  (E’ sorpresa; aspetta guardando Roberto e Gioia e l’avvocato; irosa, si alza quasi ad

aggredire Roberto) Stronzo! Ti ucciderei…

Roberto: Nascerà. Ora! Nascerà ora il figlio che non abbiamo voluto…

Gemma: Abbiamo? (adirata ma quasi in lacrime) Abbiamo? Io? Io non l’avrei voluto? Tu! Tu non

l’hai voluto. Mai! (piange) Io… io li volevo i figli. Eccome se ne volevo… Tre! Ne volevo tre. Sì, tre. (Roberto e Gioia cercano di estraniarsi dallo sfogo, Gemma si rivolge all’avvocato) Io sono figlia unica. Non mi piaceva stare sola a casa. Andavo dalle amiche, dalle compagne… E mi piaceva restarci a casa… Da quelle amiche che avevano fratelli e sorelle. Dove si stava in tanti. Mi piaceva quell’atmosfera calda, quell’andare e venire, quell’intrecciarsi di chiacchiere, di storie di vicende, di litigi e rappacificamenti…Volevo una famiglia numerosa io, glielo dicevo… a lui. Ma lui… niente. (gridando) Niente!

Roberto: Va bene! Va bene, lo confesso: sono stato io. Ti obbligavo. (Si rivolge all’avvocato e a

Gioia). Ma lei, la figlia unica, la viziata figlia unica del grande professore universitario, quella che programmava ogni cosa … Aveva programmato anche i figli. Tre. E io invece non ne volevo. E’ vero! Va bene? Ma perché non volevo essere il mezzo con cui lei realizzava i suoi progetti. Suoi! Tutta la mia vita è stata un progetto, fin da quando ci siamo conosciuti, studenti. Tutto una programmazione: il cambio della facoltà, il dottorato, la carriera, la casa, la villa, il conto in banca, le vacanze, la barca, la baita… No! La vita no! La vita degli altri, dei figli… No! Non può essere frutto della pianificazione…

Gemma: Pianificazione? E non averne cos’è? Lo sai? No! Tu non lo puoi sapere cos’è. E’… una

frustrazione. Non avere un figlio, per una donna, (gridando) è frustrante. Ma tu non capisci niente. Non ha mai capito niente. Io ti amavo… E tu non hai mai capito niente. Niente… Niente.

Avv: (rompendo una pausa di silenzio fra i  ‘niente’ di Gemma) Che ne dite se torniamo al

motivo del nostro incontro?

Gemma: (riprendendosi e rassettandosi, con decisione) Giusto. Andiamo al sodo: la villa no! La

villa la voglio io. Io l’ho arredata. Io! Io ci ho messo il cuore e l’anima. Diglielo all’avvocato: ne ho studiato io il progetto, io ho disegnato quella veranda …

Roberto: Ma non l’abbiamo mai vissuta! Noi due. Mai! Invece (indica prima Gioia e poi

la veranda) io e Gioia…  Lì!… E’ proprio lì che abbiamo concepito il nostro bambino.

Gemma: (adirata) Bastardo! (indica Gioia) Non il bambino, i bambini non hanno colpe. . Tu! Tu

sei il bastardo. E va bene. Tieniti la villa. Tenetevi la villa. (all’avvocato) Basta! (si avviano alla scrivania) Dove devo firmare? (firma in piedi alcuni fogli che l’avvocato stende sul tavolo). Tenetevi la villa. Tieniti la villa. Ma ti costerà cara. Molto cara. (uscendo) Neanche te lo immagini quanto la pagherai. Come… come la pagherai. (Gemma esce, rimangono immobili per qualche secondo. Gioia si avvicina a Roberto, Roberto guarda l’avvocato)

Avv:     (perplesso) Non… non sapevo del bambino. (trae di tasca la busta) E’… E’  per questo

che ha redatto il testamento?

Roberto: (Ha un sorriso amaro) Non c’è nessun bambino.

Avv: (ancor più perplesso ma sollevato) Come non c’è…

Roberto: Non c’è! (si gira intorno) Era l’unico modo per avere la villa. E io lo sapevo.

Avv.: (scuotendo la busta) Ma allora…

Roberto: (abbraccia Gioia) E’ per Gioia. E’ di Gioia.

Gioia: Però è da rifare. La villa…

Roberto: C’è. C’è compresa pure la villa. Te l’ho detto: sapevo come ottenerla. Bastava rendere  

questa casa una ferita lancinante … per Gemma. I figli appunto. Una ferita sempre sanguinante: il figlio che non ha avuto…

Gioia: Tu l’avevi previsto?

Roberto: E’ facile. Quando conosci le persone… Ma a volte… (pensieroso, si stacca a guardare

meglio Gioia) A volte si crede di conoscerle.

Gioia: Avevi previsto tutto…(si avvicina a baciare Roberto che la evita)

Roberto: E’ facile prevedere. A volte è più difficile “vedere”. Solamente vedere. Molto più difficile.

Avv.: (alzandosi ripone la busta e le altre carte) Però abbiamo concluso. Fatto. Anche questa

pratica è risolta.

Gioia: E l’importante è che sia finita bene.

Roberto: Bene? Mah! (salutando l’avvocato) Ciao Marco e…

Avv.: E?

Roberto: (aspetta, gira lo sguardo sulla casa) E…  (si scuote) E salutami tuo padre.

Gioia: (accompagnando Marco alla porta) Ciao Marco e grazie, grazie tante.

Avv.: Di niente. (sorridendo) Lavoro! In bocca al lupo per il convegno. (esce)

Roberto:  Lavoro… Avvocato civilista: il professionista della lite. Il vampiro delle liti…

Scena IV

            Roberto, Gioia.

Gioia: A proposito di liti… (si avvicina a Roberto) Era proprio fissata con la villa. Eppure ha avuto

tutto da te.

Roberto: (pensieroso) No. Non tutto…

Gioia: E ha insistito fino all’ultimo. Insistente!

Roberto: Resistente! Ha resistito, finché ha potuto. Tutta suo padre. Ce l’ha nel cromosoma, è un

fatto genetico.

Gioia: Così come tu sei un bugiardo, (ridendo) geneticamente.

Roberto: Io un bugiardo? (serio, si sofferma a guardare la casa) Io?

Gioia:   Le hai detto di essere, come dici tu, in perfetta forma …  E che forma! Addirittura un figlio.

Roberto: Era l’unico modo. Un colpo di genio. Però a pensarci… .

Gioia:   Pensarci? Pensare a cosa? Ma se hai sempre avuto l’insofferenza per i marmocchi. (Roberto

si allontana da Gioia) L’ha confermato anche Gemma che…

Roberto:  Lascia stare Gemma!

Gioia: Va bene, va bene… Però lo dici sempre anche a me…  che odi i bambini, che…

Roberto (la interrompe, irritato): No! Questo non l’ho mai detto: odio mai. Mai! E poi con il

tempo… Con il tempo si può anche cambiare.

Gioia:   (rappacificante) Giusto! Giusto: con il tempo. Dopo, con il tempo. Dopo che saremo

sposati. Dopo che la mia carriera di ricercatrice si sarà consolidata, dopo…

Roberto:  (sbuffando) Dopo, dopo, dopo…

Gioia:  (invitante, seducente) Ma intanto possiamo sempre continuare con le prove. (giocosa) Da

quant’è che non facciamo l’amore?

Roberto:  (la interrompe irritato)  Non sono in forma! E non c’entra l’età.

Gemma:  Non ti sto rimproverando di niente…

Roberto:  E la forma non è solo un fatto fisico. E’ uno stato mentale, soprattutto uno stato

mentale.

Gioia: Certo, certo. Mentale. (cerca di calmarlo, di essere seducente) Ma una donna non si

accontenta solo della mente, sai?

Roberto: Ma quando hai accettato di stare con me …

Gioia: Ah sì, eri un vero leone…

Roberto: Vedi? E’ una questione di forma…

Gioia: Mentale! Ho capito. (giocando ad essere seccata) Uffà!

Roberto: Non farmi sentire in colpa ora…

Gioia:   Tu! Tu mi fai sentire in colpa: mi fai sentire poco attraente, mi fai dubitare…

Roberto:  (guarda la porta) Non credo che tu abbia dei dubbi sulle tue capacità… sulle tue qualità.

Gioia:  (pensierosa) Che vuoi dire?

Roberto: Niente. (risoluto a chiudere la discussione) Niente. Dico che devi semplicemente

razionalizzare: con uno più vecchio, molto più vecchio… poco sesso. Punto e basta.

Gioia:  Punto e basta? Che significa?

Roberto:  Punto e basta è punto e basta!

Gioia:  Non è che cominci a… a montare in gelosia? Hai capito benissimo cosa voglio dire. La

gelosia proprio…

Roberto:  Non sono geloso…

Gioia:  (aspetta) Però?

Roberto:  Però cosa?

Gioia:  C’è un però nella tua mente. Però?

Roberto:  Nessun però. Non sono geloso… L’inganno semmai. L’inganno…

Gioia: (irritata) L’inganno? Sei sconvolto. Gemma ti ha sconvolto. Basta! Ora basta. Meglio che

vada a pensare per la cena (si allontana oltre una porta finestra a destra, visibile al pubblico; da qui può dialogare).

Roberto:  Aspetta, vieni qua. Che devi preparare? (non volendo abbandonare il discorso) Che fretta

c’è? Ceniamo dopo.

Gioia: (cercando di cambiare discorso) Dopo? Dopo cosa? Dobbiamo uscire? Dove andiamo?

Roberto: (rassegnandosi ad abbandonare la discussione)  Io… Io devo uscire. La tua relazione. Il

dischetto per il  rettore, il nostro caro Marini. Te ne sei dimenticata? Lo porto io…

Gioia:  Se è per questo, puoi farne a meno. Il nostro rettore può aspettare domani. Glielo porto io…

Roberto: Domattina Marini sarà già in volo per Strasburgo.

Gioia:   Strasburgo?

Roberto:  Non te l’ha detto?

Gioia:  No! E allora… allora gli dici per telefono quello che hai da dirgli e la mia relazione la

mandiamo via internet…

Roberto: Chissà a chi ce l’hai la testa. Ma sei proprio…

Gioia:   Proprio cosa?

Roberto:  Distratta. Distratta, ti ho già detto che la posta elettronica non funziona. E poi…

Gioia:   E poi?

Roberto:  E’ da molto che non lo vedo. Voglio salutarlo… Prima che partiate per Parigi…

Gioia:  (portando qualcosa da mangiare sulla scrivania di Roberto) La cena comunque è già

pronta.

Roberto:  Già pronta? Cos’è: carne lampo?

Gioia:   Il vitello tonnato di oggi. Era già pronto…

Roberto:  E tu non mangi?

Gioia:  Sì! Ma visto che devi per forza uscire… prima ti preparo le cose.. (si muove per la stanza)

Dove hai messo il dischetto? Ah sì. Eccolo: dischetto e stampa… (si avvicina alle pipe) Ti preparo la pipa per il dopo cena.

Roberto:  (mangiando) La Savinelli fiammata…

Gioia:    La fiammata… (prende la pipa e il tabacco)

Roberto: Grazie. Sei infinitamente gentile…

Gioia: (cerca con lo sguardo fra i mobili, si batte la mano sulla fronte) Nella macchina!

Roberto:  Nella macchina cosa?

Gioia:  Ho lasciato un pacchetto in macchina. (posa la pipa) Ti faccio vedere. E già che ci sono la

tiro fuori dal garage.  (esce)

 (Roberto smette di mangiare, telefona da un apparecchio a viva voce. Si sente una musica, un ballo sudamericano)

Roberto: Macarena? Sempre più cretine queste musichette. Dal rettore dell’università poi… mi

aspettavo Bach, Beethoven. No. Una macarena. Mah!

Voce del rettore: Mah cosa?

Roberto: Oh, Magnifico! Sono Roberto….

Voce: Ti avevo riconosciuto. Come stai?

Roberto: Very well, come dite voi anglofoni.

Voce (ridacchia) Bene. Gioia mi aveva detto che stavi ancora male. Dimmi.

Roberto:  Proprio a proposito: volevo parlarti del seminario di Parigi…

Voce:   La tua … Gioia ne è entusiasta.

 Roberto: Sì, è entusiasta…

Voce: Ma tu, sei sicuro che non ce la fai a rimetterti? Avrei voluto anche un tuo intervento

personale… Non te l’ha detto Gioia?

Roberto (si muove  inquieto) Intervento personale… Sicuro, mi ha accennato qualcosa.

Voce: Beh dai, ripensaci. Però domani voglio una risposta definitiva. Dobbiamo chiudere con le

prenotazioni. Ti vogliamo a Parigi, ok?

Roberto:  (pensieroso) Mi volete? Sicuro che mi volete?

Voce: Che domande? Certo che ti voglio. Contatta la mia segreteria o passa a trovarmi domani. So

long.

Roberto: Aspetta! Un’ultima cosa… (esita)

Voce: Allora? Cosa devi dirmi?

Roberto:  Hai parlato del seminario di Parigi con Tullio Monti?

Voce:  Tullio? E che c’entra Tullio, non è un seminario giuridico… Perché?

Roberto:  No… niente. Per Marco.

Voce: Il figlio di Monti? E che c’entra Marco?

Roberto:  (pensando) E che c’entra? (deciso) Rettore? Aspettami, passo stasera. I’m coming, sto

arrivando. Goodbye.  (Chiude il telefono; si alza, cammina sul palco) Che c’entra? Marco Monti che c’entra? Così è la vita? Gioia… com’è che hai detto? No, così è l’università! L’ha detto Gioia. Ah, Gioia... Gioia? O non sarai mica fonte di dolore?

            Scena V

(Roberto, Gioia)

Gioia:       (rientra con un pacco) Parlavi da solo?

Roberto:  (sorpreso) Io? No… Parlavo?

Gioia:     Ho sentito: Gioia…

Roberto:   Ti stavo chiamando.  (indica il pacco) Cos’è?

Gioia:     Una sciarpa. A Parigi fa freddo.

Roberto:    Una sciarpa… Un regalo?

Gioia:     Regalo? E di chi? Ma che dici. Ma forse è proprio un regalo…(apre il pacco e si mette la

sciarpa al collo)   per quello che l’ho pagata… Ti piace?

Roberto:   Bellina…

Gioia:     (Mette la sciarpa al collo di Roberto e lo tira a se) Soltanto ‘bellina’? Soltanto ‘bellina’…

Ma dove è andato a finire tutto lo slancio? (accarezza Roberto) Dov’è andato a finire il mio Roberto? E i suoi pensieri? Dove se ne vanno i suoi pensieri?

Roberto:  (lentamente si scioglie dalla sciarpa e la mette al collo di Gioia, le si avvicina sempre

più) I miei pensieri?

Gioia:  (giocosa, gli tocca la tempia) Sì, i tuoi pensieri.

Roberto:  (stringe la sciarpa attorno al collo di Gioia) I miei pensieri…

Gioia:    Piano… Piano! (con un sorriso nervoso) Mi vuoi strozzare?

Roberto: Pensi che non possa farlo? O che…

Gioia:  (ansimando un po’) E smettila! Basta con questo scherzo stupido…

Roberto:  Chi lo dice che è uno scherzo?

Gioia:  (comincia a divincolarsi) Mi stai…  facendo male.

Roberto:  Male?  E tu? Tu cosa mi stai facendo?

Gioia:   (ansimando di più) Roberto, ti prego… Smettila.

Roberto:  Tu… Il male o il bene?

Gioia:   (cerca di allargare la sciarpa sul collo) Basta…  Non ce la faccio più. Non respiro…

Roberto:  (la bacia sulle labbra) Il bene…  (stringendo un po’ di più) O il male?

Gioia:  Roberto… (supplichevole e quasi piangente) E smettila… Ti prego. Andiamo, smettila…

Roberto:  (lascia la sciarpa di colpo e allarga le braccia) Sì, andiamo… Andiamo dal nostro

magnifico rettore Carlo Maria Marini. (si guarda intorno) Dov’è il tuo dischetto?

Gioia:     (respira; si toglie la sciarpa di dosso, la guarda e guarda Roberto) Ma che ti ha preso?

Ma che hai stasera? Mi fai quasi … paura.

Roberto:   Paura? E di che?

Gioia:    La pipa! Ecco cos’è: ti manca la tua pipa. (si avvicina alla pipa sul tavolo) La Savinelli

fiammata hai detto…  Eccola. (prendere la busta del  tabacco)

Roberto:   Lascia stare ci penso io…

Gioia:    No. Perché?  Tu preparati. (prende la pipa) Il dischetto è lì. Com’è che mi hai sempre

detto? ‘Come le tue mani, nessuno…  (apre la busta di tabacco, comincia a caricare il fornello; Roberto esce di scena in altra stanza) Come mi hai insegnato tu. Dito di bambino:  la pressione leggera dell’innocenza. (Gioia va in cucina mentre finisce di caricare la pipa) Dito di donna: la pressione dell’amore. (rientrano in scena quasi assieme, Roberto con il soprabito; Gioia porge la pipa a Roberto) A te. Il dito dell’uomo: della passione…

Roberto: Il dito della forza. (prende la pipa e cerca i fiammiferi, o l’accendino) Grazie… io vado.

Gioia:    Come vai! Fatti la tua fumata prima. (cerca di togliergli il soprabito) Siediti. Sediamoci.

Togli questo soprabito…

Roberto:  (raccoglie il dischetto) Fumerò in macchina…

Gioia:   (incalzante) Ma è pericoloso!

Roberto:   Pericoloso?

Gioia:    Tu! Tu l’hai sempre detto…

Roberto:  Solo qualche tirata.

Gioia:    Ma aspetta! Siediti, fuma e io…  io intanto mangio un boccone…  pure io… Siediti.

Roberto:   Mangia pure. Io farò in fretta. Sono sicuro che ti ritrovo ancora a tavola.

Gioia:  (in ansia) Non andare. Aspetta!

Roberto:  Quanta insistenza! (allusivo) O c’è qualche motivo particolare per cui non vuoi che

incontri Marini? (si avvicina alla porta)

Gioia:   No! Nessun motivo. Nessuno. Ti chiedo solo di aspettare: fatti la tua bella fumata e dopo

vai. Dopo. (trattiene Roberto per un braccio) Dopo…

Roberto: Nessun motivo? Sicuro? Sicuro Gioia? (si scrolla e girandosi colpisce Gioia al viso)

Gioia:   (cade quasi a terra, si tocca la guancia colpita; grida) Vai! E allora vai.

 Roberto (accende la pipa, fa una smorfia) Ma cosa hai toccato?

Gioia:    Io? (si guarda le mani) Io? La maionese. Solo la maionese…

Roberto:   Maionese? (aspira e sbuffa il fumo, riflette) Scusa… Scusami. Forse è solo la mia

            bocca… che è rimasta amara… troppo amara.

Gioia:     Amara? Forse… Troppo limone nella maionese?

Roberto:  Limone? (aspira e sbuffa ancora) Troppo limone… (sorride) Limone!  (alza le spalle ed

esce ridendo)

Sipario

Fine primo atto

Atto II 

Stanza d'ospedale. Un letto coperto alla vista da un séparé e affiancato da strumentazione  di controllo.  Il professore Roberto è il degente clinicamente morto, ma  interviene nei discorsi dalla platea (all’inizio fra il pubblico). A un certo punto raggiunge e può calcare tutta la scena e commenta, non sentito né visto dagli altri personaggi, tutti i discorsi. E’ la parte ancora viva del ‘morente’ Roberto che viene illuminato personalmente da una luce che diventa sempre più fioca fino a spegnersi un attimo prima del sipario finale.

Scena I

(Dottore, giudice, Roberto)

Dottore: (indica al giudice il monitor di controllo) Vede? Le funzioni vitali sono ormai nulle:

respira perché è la macchina che respira. Encefalogramma piatto. E le pulsazioni sono elettriche. (Roberto si alza dalla sedia in platea e viene illuminato) Non è il cuore che batte. Sono le scariche che fanno muovere il muscolo. Lo vede lei stesso: è clinicamente morto.

Giudice: Lo vedo, lo vedo. Io l’autorizzazione all’espianto la firmerei subito.

Roberto: (alzandosi, fra il pubblico) Espianto?

Dottore: Di solito al giudice si invia il dossier con la richiesta e i referti medici…

Giudice: E mi è sempre bastato… per il nulla osta. E’ sempre bastata la dichiarazione di morte

clinica.

Roberto: Morte? Clinicamente morto?

Giudice: Ma stavolta non è così semplice. Anche il mio collega ha il suo dovere da compiere…

Dottore: Certo, il dovere… Ma ci sono tre équipe mediche già pronte, oltre alla nostra naturalmente.

Pronte per ricevere gli organi dal donatore morto.

Roberto: (forte) E ora come glielo dico che non sono morto?

Giudice: Lo so! Lo so…

Dottore:  Ma lo sa anche il suo collega? Lo sa che dobbiamo fare in fretta?

Giudice: Lo sa, lo sa.

Dottore: Occorre fare molto in fretta. Prima che anche questi minimi segnali di vitalità artificiale

cessino. Prima che cuore, fegato e reni degradino…

Roberto:  E il cervello? Funziona!

Dottore:  I beneficiari sono già in corsia, sono già sotto anestesia.

Roberto: E io che sono? Guardate che io ci sono, sono ancora qui. Io ci sono! Non potete farmi a

pezzi e trasferirmi un po’ di qua e un po’ di là.

Dottore: Per le cornee c’è sempre un po’ più di tempo. Ma per cuore e polmoni no. Per gli organi

vitali no.

Roberto: Vitali appunto. Vitali! Io sono vivo. Sono ancora vivo!

Dottore: Ci sono tre vite che aspettano di essere salvate.

Roberto: Guardate che vi sbagliate. Non per le vite da salvare. Sono d’accordo a salvare le

vite altrui… (si avvia verso la scena) Ma la mia non è ancora finita…

Giudice: (ha sempre annuito al dottore, indica il letto) Un vero altruista: fra i documenti teneva il

tesserino d’assenso all’espianto. Credeva nella donazione degli organi. Persona nobile. Poveraccio, che brutta morte.

Roberto: (quasi gridando) Vi sbagliate! (più calmo) Sì, il tesserino. Va bene. Ma sulla morte…

Sulla morte clinica ci siamo sbagliati. Non sono morto.

Dottore: E sì! Ma comunque non credo che abbia sofferto.

Roberto: Vi sento! Le vostre voci mi giungono… (incerto) seppure ovattate. Ergo: il mio cervello

funziona. Non è piatto. Va bene: l’encefalogramma è piatto. Ma non è detto che questo significa che uno è morto, che sono morto. Un errore! Può essere un errore. Può essere che ci siamo sempre sbagliati. Che c’è una parte del cervello… (pensando) O dell’anima? Vabbè! Una parte di noi che rimane vigile, che non è ancora morta anche se il coso… l’encefalogramma è piatto. Sono vigile! (si sforza di ricordare) O no? (si dà una botta in testa) Ma cosa è successo? Forza muoviti!

Giudice: Secondo lei è’ morto sul colpo? Cioè… non  morto morto.

Dottore: Ho capito cosa vuole dire. Sì. Praticamente è morto sul colpo.

Roberto: Guardate che vi sento… (arriva in scena)

Dottore: Il trauma è stato tremendo. Devastante (indica la parte superiore del letto).

Roberto: (infastidito) Ma che dite… (cerca di ricordare) Va bene: non ricordo niente. (si tocca le

orecchie) Però il mio sistema uditivo è integro e quindi anche il sistema cerebrale e nervoso… Credo.

Giudice: (scopre il lenzuolo all’altezza della testa, fa una smorfia) Credo anch’io che non abbia

sofferto (guarda l’orologio).

Roberto: (si guarda il corpo) Ma dov’è questo trauma devastante? (si avvicina al letto a scrutare)

Dov’è?

Dottore: Ogni minuto è prezioso…

Giudice: Lo so, lo so. Ogni istante può salvare la vita di una persona…

Dottore: Di tre persone. Tre vite!

Roberto: Quattro allora. La mia non conta? Io sono vivo, vivo.

Giudice: E tre vite sono molto più importanti di una inchiesta, è questo che vuole dirmi?

Dottore: Certo! Molto più importanti… Scusi ma… con questo non voglio dire che il mio lavoro lo

sia più del suo.

Giudice: Non deve scusarsi. Sono d’accordo con lei. Condivido. Un’inchiesta non vale una sola vita

umana.

Roberto: Sicuro! (incuriosito) Ma che inchiesta? Quale inchiesta?

Dottore:  Però dovrebbe essere il suo collega, il procuratore, a condividere… e a sbrigarsi!

Giudice: D’accordo, d’accordo. Lo ricorderò al dottor Alessi appena arriva: di fare in fretta, molto

in fretta. Ma anche lui ha il suo dovere da compiere e poi…

Roberto: E poi?

Dottore: E poi?

Giudice: E poi mi è sembrato giusto aspettare sua moglie per farglielo vedere un’ultima volta

(indica la porta) Credo che sia arrivata. (vanno ad aprire la porta)

Roberto: Gemma! (pensa) o Gioia?

Scena II

            Dottore, Giudice, Roberto, Gemma, Gioia)

(Entrano trafelate Gemma e Gioia, cercando di ignorarsi.)

Gioia:   (osserva il lettino) Roberto! Povero Roberto.

Gemma:  (piangendo) Roberto. Oh Roberto…

Giudice:  Scusate… (aspetta che le donne si riprendano) Chi è la moglie?

Gemma e Gioia: (all’unisono) Io.

Giudice:  Forse non sono stato chiaro. Ho chiesto chi è la moglie?

Roberto:  Direi tutte e due…  o nessuna?

Gioia:     Stavamo per sposarci.

Gemma: (fredda) E io sono la moglie da cui stava per divorziare.

Gioia:   Tecnicamente in regime di separazione legale.

Giudice: Tecnicamente quindi, se ho capito bene, non c’è nessuna moglie. E figli?

Gemma:  Nessuno… Da me.

Gioia :  Nessun figlio.

Gemma:   Come nessuno? E quello in arrivo?

Gioia: (Gioia si gira e si allontana) Non c’è nessun nascituro.

Gemma:  Bugiardo! (scoppia in singhiozzi) Fino all’ultimo…

Roberto:  Perdonami Gemma.

Giudice: Comunque i nascituri non contano. Altri parenti in vita?

Gioia:   Nessuno.

Roberto:  Solo…

Gemma:  (sussurra) Solo come un cane. Sei rimasto solo. (risoluta) Come è morto mio marito?

Dottore: Un incidente stradale…

Gemma:  Un incidente d’auto? (Guarda Gioia) Ed era solo? E come è avvenuto?

Roberto:  La macchina! Ora ricordo. Il muro!

Giudice:  Di questo potrà essere più esplicito il mio collega che sta seguendo l’inchiesta. Lui

dovrebbe arrivare a minuti. Io so solo che è andato a sbattere…

Gioia:   Un incidente… Eppure è sempre stato molto prudente, non correva mai.

Gemma:  Avrà imparato ora: vita spericolata!

Gioia:   Vorresti darmi anche questa colpa?

Roberto e Gemma:  Anche?

Roberto: Allora ce l’hai qualche colpa…

Gemma: Tutte! Sono tue tutte le colpe.

Gioia:   L’unica colpa che ho è di averlo amato. Di averlo fatto rivivere. Con te era morto…

Gemma:  Rivivere? Ecco il risultato: sfracellato.

Roberto:  (si sforza di ricordare) L’urto. La botta. Ma perché ricordo così poco? Quasi niente…

Dottore:  Non esageriamo: sfracellato non direi. E neanche parlerei di condotta troppo rischiosa.

L’urto non è stato violentissimo…

Roberto: Non andavo forte. Ma non so come… il muro è arrivato di colpo, la strada è finita

all’improvviso…

Gemma:  Solitamente era prudente, con me. Odiava correre in macchina. (guarda Gioia) Odiava

guidare.

Gioia:    Stava andando da Marini. Aveva fretta di consegnare la relazione…

Dottore:  Vi può sembrare assurdo ma…Il trauma mortale è stato causato dall’air bag.  (indica il

lettino)

Gemma, Gioia e Roberto:  (avvicinandosi al lettino) Dall’air bag?

Dottore:  Indirettamente. E’ stata la pipa ad ucciderlo…

Roberto e Gemma:  La pipa?

Gioia:  Come… la pipa? E’… sicuro?

Dottore:  Sicuramente la teneva in bocca…

Roberto:  Vero! Lo ricordo: stavo fumando.

Dottore:  L’apertura dell’air bag ha spinto tutta la pipa  in bocca e il boccaglio ha perforato il palato 

(si tocca la base della nuca) fino a spezzare l’atlante, la prima vertebra cervicale…

Gemma:  Lo sappiamo cos’è l’atlante.

Roberto:  Mi ha ucciso la mia Savinelli.  La mia amata Savinelli fiammata…

Gioia:   Ah… (allontanandosi) La pipa.

Gemma: Ma l’incidente?

Giudice: L’incidente… E chi lo sa? Stiamo aspettando il procuratore. Mah! Una sbandata… forse

un colpo di sonno.

Roberto:  (concitato) Non dormivo! Non dormivo… (pensando) Però non ero completamente

sveglio. Assonnato…

Dottore:  Oltre alla frattura della cervicale non c’è nessun’altra lesione. Per questo abbiamo deciso

l’espianto.

Gioia:    (riavvicinandosi) E dobbiamo autorizzarlo?

Gemma:  Tu non hai niente da autorizzare: era un donatore d’organi.

Giudice: Sì, non c’è nulla da autorizzare.

Gioia:   Non…  Non lo sapevo.

Gemma:  Ci sono troppe cose che non sai. (insinuante) Ma forse è meglio dire che ci sono troppe cose che non sappiamo… (si avvicina al lettino, ricomincia a piangere piano) Troppe cose che non

sapevi.

Roberto:  Eh sì Gemma, tu sì che mi conosci, tu. Tu  che hai sempre manomesso tutto della mia

vita. Ma che fai? Piangi? Gemma, piangi per me?

Gioia:  Se non occorre nessuna autorizzazione…

Giudice:  Da parte vostra no…

Gioia:   Ma allora perché si aspetta?

Roberto:  E che fretta c’è? Gioia, che fretta!

Dottore:  Noi siamo pronti. La sala operatoria è pronta. E’ tutto pronto.

Roberto:  Io!  Sono io che non sono pronto.

Giudice: E’ quasi tutto pronto. Dobbiamo solo aspettare che il procuratore accerti la natura

dell’incidente…

Roberto e Gemma:  Giusto!

Roberto:  E poi… Come fa la scienza a dire che sono morto? E se gli scienziati si fossero sbagliati?

Io per primo! Ci fossimo sbagliati sulla morte clinica? Io sono ancora vivo. 

Gemma:   Io voglio sapere cosa è successo.

Gioia:    Un incidente d’auto. Cosa vuoi che sia successo.

Gemma:   Io voglio sapere perché è morto.

Gioia:    La pipa…

Gemma:   Quello è il come. Io voglio sapere il perché. (insinuante) Qualcuno mi deve spiegare

perché.

Giudice:  (attento alle parole di Gemma) Le deve spiegare? Cosa vuole dire signora?

Gioia:   (sarcastica) Sì. Cosa vuoi dire, signora?

Roberto :  (avvicinandosi a Gemma) Dillo a me, signora.

Giudice:  Signora, ci sono delle vite da salvare… Ma se lei ha qualche sospetto… Lo dica.

Gemma:  Lo so.  (tormentandosi e singhiozzando) Non lo so…

Gioia:  (con sarcasmo, allontanandosi sollevata) Lo sa… non lo sa…

Gemma:   Io… io capisco… I chirurghi sono di là coi bisturi pronti, delle persone stanno

sperando…  E’ una situazione di sospensione…  Io stessa non riesco a sostenerla ma… Io… dubito. ( si avvicina a Gioia) Io dubito di questo incidente. Ecco: l’ho detto!

Gioia:   Sospetti di me? Ma tu sei pazza!  Qui si tratta di un incidente stradale. Era solo, solo!

Nessuno l’ha tamponato, nessuno l’ha investito, nessuno gli ha tagliato la strada…

Gemma:  E tu come lo sai?

Gioia:  Cioè… non s’è scontrato con nessuno, si sa. Era solo!

Gemma:  E tu dov’eri?

Gioia:     A casa!

Roberto:  A casa. (pensa) Lei era a casa a mangiare… Mi ha preparato la pipa e …

Gioia:  Ero a casa… Ma perché devo giustificarmi? Con te poi…No! E no, Gemma. Non ce

la farai a farmi sentire in colpa. Io non ho rimpianti. Tu ne dovresti avere e ne avrai per sempre. Io no! Io l’ho fatto felice. Con me è stato felice. Con me è morto felice.

Roberto:  (titubante) Insomma… E’ difficile che si muoia felici.

Gemma:  Con te è morto. E’ morto! Con te è morto e basta.

Roberto:  Ma perché sono morto?  Cioè, non sono ancora morto… Mi sono messo in macchina,

andavo anche piano e … Sbam!

Gemma:  Tu… Tu devi spiegarci perché è morto.

Scena III

(giudice, dottore, Roberto, Gemma, Gioia, procuratore)

(Il dottore e il giudice aprono la porta al procuratore che entra, trascurato dalle donne)

Gioia:   Io? No Gemma. No… Non puoi accusarmi. (isterica) Non puoi accusarmi!

Procuratore:  (ha fare sbrigativo, tiene la sua pipa in mano) E’ ancora presto per accusare qualcuno.

E non ci sono gli elementi. Per ora. Buona sera, buona solo per modo di dire naturalmente.

Giudice:  Il sostituto procuratore Alessi. Si occupa lui dell’inchiesta.

Roberto:  Bella pipa!

Procuratore:  (guarda le signore) Sarebbe da stupido dire piacere e soffermarsi sui formalismi…

Dottore:  E dobbiamo fare in fretta.

Procuratore: In fretta?

Giudice:   Per l’espianto.

Dottore:    Il coma profondo potrebbe danneggiare irreparabilmente tutti gli organi. Ormai abbiamo

poco tempo.

Roberto:   Poco quanto? Quanto?  (si guarda intorno, la luce che lo illumina va diventando sempre

più fioca) E parlate più forte!

Procuratore:   In fretta allora.  Allora…  (riflette)

Roberto:   (con un filo di voce) Più forte, vi prego. Comincio a non sentirvi più…

Procuratore:   Allora.  (rivolgendosi alle donne) Credo che i parenti debbano ascoltare attentamente.

Gioia e Gemma:  (Si avvicinano immediatamente entrambe) Sì?

Procuratore:  Moglie e figlia?

Giudice:    (indicando Gemma e Gioia) No. La ex e la futura moglie… Diciamo futura.

Procuratore:  Un futuro ormai… trapassato.

Roberto:  Spiritoso il procuratore.

Procuratore: Scusate. (alza le spalle) Dunque. Ho fatto il sopralluogo personalmente: non c’era

traccia di frenata. Ma neanche di sterzata. (prende un foglio dalla tasca) E qui c’è il rapporto tecnico. Primo rapporto, vero… Però…

Roberto:   (avvicinandosi) Però?

Procuratore:  (agita il foglio) La macchina era a posto. Impianto frenante e direzionale perfetti…

Roberto, Gemma e Gioia:   E allora?

Gioia:   Come è successo?

Gemma:  Perché è successo?

Procuratore:  Appunto. (riflettendo) Come, perché…

Dottore:  Se mi è permesso… Perché, non come. Il come è presto spiegato: frattura della prima

vertebra cervicale.

Procuratore:   Colpo di frusta?

Roberto e dottore:  Colpo di pipa!

Giudice:   Stava fumando mentre guidava… (indica la pipa del procuratore) e l’apertura

dell’airbag…

Procuratore:  (osserva la pipa nella sua  mano) Gliel’ha cacciata in gola.

Dottore:   (indica una scatola vicino al letto) La pipa è lì, quel che ne resta. Assieme a tutti gli altri

effetti personali.

Giudice:   Collega, se non facciamo in fretta, la mia presenza diventa superflua…

Dottore:  Inutile! Come la mia.

Procuratore:  Superflua? Inutile?

Giudice:  Non avrò nessun espianto da autorizzare…

Dottore:  E io nessun espianto da fare.

Gioia:   (indica il letto) Lui! Era lui che lo voleva. Donatore d’organi…

Gemma:  (indicando Gioia) Sì, ma l’ha scoperto solo ora, lei. Ora!

Dottore:  Donatore d’organi. E tre persone sono già in sala operatoria per riceverli.

Procuratore:   Organi sani?

Dottore:   Certo.

Procuratore: Ne è sicuro?

Dottore:  Vuole insegnarmi il mestiere?

Procuratore: No.  Facevo una riflessione. E allora perché è andato a sbattere così? Dottore, rifletta

anche lei: nessuna frenata, nessuna sterzata. Si voleva suicidare?

Roberto e Gemma: Suicidarsi? Ma quando mai!

Gioia:   (di getto) Però aveva appena fatto testamento.  (ripensandoci) Sì… almeno credo, forse.

Può essere.

Roberto, Gemma, procuratore e giudice:  Può essere cosa?

Gioia:   (titubante e intimidita) Il… il suicidio (si allontana dagli altri)

Procuratore:  Ma io dicevo così per dire. (indica il lettino) Tranne che non volesse suicidarsi un po’

alla volta… A quella velocità! Non andava oltre i sessanta…

Gemma:  Lo dicevo io. Odiava correre. Odiava guidare. Guidavo sempre io…

Gioia:  E io no! E con questo? Non ricominciare. (nervosa) Non ricominciare. Va bene? Io non

guidavo. Guidava lui. Aveva cambiato molte abitudini con me. Molte!

Giudice:  Signore, per favore.

Roberto:  E state zitte!

Procuratore: Dunque! Dunque, tolto il suicidio resta solo il malore…

Dottore:  (impaziente e deciso) Lo escludo!

Procuratore e Roberto:  Lo esclude?

Dottore:  Guardi che il mio lavoro lo conosco benissimo. Cosa crede? Che metterei a rischio la vita

            di tre persone? (indica il letto) E’ sano. Sa-no.

Roberto:  Ecco l’unico per cui non sono ancora morto. Ma per suo interesse…

Procuratore:  L’ha accertato?

Dottore:   E cosa crede: che si fa come dallo sfasciacarrozze?

Roberto:   Però mi sta rottamando.

Dottore:  Abbiamo fatto tutti i controlli: analisi, ecografie, lastre, risonanze magnetiche. Tutto. Era

sano come un pesce, stava benissimo.

Roberto: (si sforza sempre più per ascoltare, è sempre peggio illuminato) Ma insomma… (non

convinto) Proprio bene non mi sentivo…

Gioia:   (insinuante)  Proprio bene non direi… Era stato a letto, era stato male…

Dottore:  Lo so! L’ho potuto rilevare dalle analisi virali e batteriologiche: una banale influenza.

Procuratore:  Si rileva anche questo?

Giudice:   Si deve rilevare tutto prima di un espianto. E dichiararlo…

Dottore: Chi riceve un organo, lo deve ricevere sano. E non infetto. Lo ripeto: è sanissimo. 

(scandendo) Sanissimo!

Roberto:  (ricordando all’improvviso) Però mi girava la testa. Dottore, mi girava la testa. (Roberto

tenta di farsi sentire, inutilmente, dal dottore, dal procuratore, dal giudice, da Gemma) Mi girava la testa.

( Tutti restano  pensierosi per qualche secondo)

Procuratore:  E allora? (agita il foglio della perizia, indica Gemma)  Come giustamente chiede la

signora: perché?

Gemma:   Perché?

Dottore:  (spazientito) Perché, perché, perché…

Giudice:  Stiamo perdendo tempo.

Roberto:  Io.  (affaticato) Io… lo sto perdendo… il mio tempo.

Dottore:  Perché no una distrazione?

Gioia:     Una distrazione!

Dottore:   E’ andato a sbattere per una distrazione. E’ morto per distrazione e… (indica la pipa del

procuratore e la scatola) e per la pipa.

 Procuratore:  (guarda la sua pipa, sospira) Già, la pipa.  (pensando si avvicina alla scatola, la

apre; aspira e guarda gli altri; annusa ancora)

Dottore:  (guarda il giudice) Ma che cosa cerca?

Procuratore:  Shhhhh  Silenzio.

Roberto: (si avvicina stancamente al procuratore, guarda dentro la scatola) Fiuta? Che sta

fiutando?

Procuratore:  (rimesta nella scatola, prende il mozzicone di pipa, annusa) Eppure… (scuote la testa

e annusa)

Giudice:    (spazientito) Dottor Alessi, ce lo vuole spiegare che stiamo facendo?

Procuratore:   Venga. Venga. Dottore, venga anche lei. Venite.

Gemma e Gioia: (stanno per muoversi con i due) Cosa c’è?

Procuratore:  No… Voi no. (ai dottori) Venite. (indica la scatola) Notate niente?

Giudice:  Sono gli abiti che indossava il professore, i brandelli…

Procuratore: I brandelli appunto…

Dottore:  Gli abiti non si slacciano, si tagliano…

Procuratore: Gli abiti… (annusa gli abiti, pensando) La pipa… (passa la pipa di Roberto al giudice,

            annusa ancora l’aria)   La pipa!

Giudice:  La pipa?

Procuratore:  (guarda il giudice per qualche secondo, annusa verso la scatola e verso il giudice,

ripete il movimento e poi deciso) Lei ha in mano l’arma del delitto.

Gemma, Gioia e Roberto:  Delitto?

Dottore:  Cosa avrebbe in mano? Ma finiamola…

Procuratore:  La pipa?

Giudice: La pipa arma del delitto?

Dottore:  La pipa è stata la causa del trauma…

Procuratore:  (deciso) La pipa!

Giudice:  Un delitto da pipa…  Ma andiamo, mi sembra proprio un’ipotesi ridicola…

Gioia:    Delitto da pipa. Hahahah  (ha una risata isterica, si allontana ancor di più dagli altri)

Procuratore:  Aspetti, aspettate prima di fare certe affermazioni…

Dottore:(nervoso) Sì, aspettiamo e aspettiamo… E intanto la gente muore. Non si può più aspettare!

Procuratore:  (tira il dottore e il giudice vicino alla scatola) Annusi. Annusate. (pensando e

spiegando) Ipotesi ridicola? Annusate. Sentite? Fumava la pipa. Lo so… ma l’avrei capito ugualmente, io. (annusando) Ma anche voi. Lo si sente. Chi fuma la pipa… (osserva la sua) Va bene, in fretta. Non vi faccio perdere troppo tempo…  Ma devo spiegarvi… Chi fuma la pipa ha un odore addosso… Nei capelli, sui panni, tra le unghie, nell’alito… (indica il lettino) Anche in questo signore qui.  Ho sentito questi odori. (indicando la scatola) Ma vi ho chiamati qui, proprio qui… Sentite? Sentite bene?  Ora annusate l’aria (forzandola muove la mano del giudice che impugna il fornello del pezzo di pipa).

(Medico e giudice annusano la scatola   e la pipa)

Dottore:  E’ vero!

Giudice:   Adoperava un tabacco forte… ora.

Procuratore: Ora! Bravo. Ma adesso lo sapremo (si avvicina alle donne) Adoperava tabacco

speziato, vero?

Gemma: No! Non è vero: tabacchi dolci. Sempre dolci, mai speziati. Diceva che gli lasciavano la

            bocca  amara. ( in tono di sfida, avvicinandosi  a Gioia) O no?

Gioia:  Non… Non lo so. Voglio dire… A volte dolci, a volte meno dolci… Inglesi, danesi…

Gemma:  Non lo sai? Stavi per sposarlo e non lo sai? No. Non ci credo. Conoscevo Roberto. Io!

Figurati se cambiava le sue abitudini. La sua abitudine. La pipa! Si faceva preparare da me la sua pipa. Dopo pranzo e dopo cena. (mima come caricava il fornello della pipa) Dito di bambina, dito di donna, dito di uomo. E tu no? A te non faceva caricare la pipa?

Gioia:  No! No. A me no. (impertinente) A me faceva fare altre cose. Con me faceva altre cose…

Gemma:  Puttana! Ecco cosa sei: una…

Gioia:   Puttana? Perché ho amato un uomo più vecchio? Allora lo siamo tutte. Oppure lo sono solo

perché ho amato tuo marito? Perché io ho amato Roberto. (quasi gridando) L’ho amato! E allora lo sono, sono una puttana. Perché l’ho amato e anche lui mi ha amata. Io l’ho fatto sentire ancora in grado di amare. L’ho fatto sentire ancora uomo. Quello che non sei stata più capace di fare tu. (ironica) Puttana. Sono una puttana… (avvicinandosi di più a Gemma) E tu? Tu cosa sei stata?

Gemma:  Io sono stata sua moglie, io sono sua moglie.

Giudice:  (cercando di interrompere la discussione) Scusate…

Gioia:   Già, la moglie. Quale moglie? Quella che castra il marito con il mal di testa serale? La

moglie che va a letto con la tuta di felpa e il viso imbrattato di crema? E magari pure con i bigodini. La moglie infrigidita dalla meno pausa, la moglie…

Gemma:  Basta putt…

Gioia:   Puttana. L’abbiamo capito. Tu. Tu dovevi esserla, continuare a esserla se mai lo sei stata: la

puttana di tuo marito.

Giudice:  Signore basta! Signore, siamo davanti a un …  (imbarazzato) a un …

Roberto:  Cadavere? (è stanco e provato; cerca un posto per appoggiarsi) Cadavere. (rassegnato)

Giudice:   Stiamo per decidere cose importanti.

Procuratore:   Molto importanti. (indica la pipa rotta) Questo è odore di tabacco speziato…

Gemma:  No! (guarda con rancore Gioia) Avrà magari cambiato anche quell’abitudine (muove le

dita). Ma il tabacco…

Roberto:  (con un filo di voce) No, il tabacco no.

Gemma:    No. Il tabacco no.

Procuratore:  E lo penso anch’io. (alle donne) Venite.  (si avvicinano alla scatola) Sentite l’odore

che emanano gli indumenti? Sentite? Tabacco dolce. (accompagna le donne vicino al giudice, si chinano sul pezzo di pipa) Annusate. Non è lo stesso odore di tabacco. No no. Non è lo stesso tabacco. Sembra un tabacco speziato…  Oppure…

Roberto, Gemma, Gioia:  Oppure?

Procuratore:  C’è qualcos’altro. (indica il camino della pipa) Lì dentro c’è qualcos’altro.

Roberto: (si siede, sfinito) L’avevo sentito. Altro che il limone della maionese…

Giudice:  Qualcos’altro cosa?

Procuratore:  Questo lo dovremo scoprire. (indica il lettino) Dovremo fare qualche altra analisi.

(indica il dottore) E questa volta, dottore,  non dovrà cercherà virus o malattie…

Dottore:   Ma cosa dice! E cosa dovrei cercare?

Procuratore:   Tossine, narcotici, veleni…

Roberto e giudice:  Veleni?

Dottore:   Ma ci vuole tempo! Ci vorrà molto tempo. Come glielo devo dire? Ci sono già quattro,

dico quattro, sale operatorie pronte. Lo vuole capire? Tre pazienti che stanno aspettando di ritornare ad una vita normale. Alla vita! E lei mi chiede di cercare…

Procuratore:  Un assassino!

Giudice: E no, collega! Se c’è un assassino. Se c’è! E intanto c’è chi muore.

Procuratore: E’ la legge.

Dottore:  Legge? Bella legge! Una legge contro la vita, una legge contraria alla vita… che legge è?

Procuratore:  Legge! La legge che garantisce la giustizia, che sia fatta giustizia.

Giudice:  Ne è sicuro? E’ sicuro che sia giustizia? Ne è sicuro che sia giustizia far morire tre

persone? Per tentare di scoprire un ipotetico delitto?

Procuratore: Dura lex…

Giudice: Sed lex. E’ la legge. Ma non parli di giustizia. C’è differenza… A volte c’è molta

Differenza fra legge e giustizia, a volte..

Procuratore:  Vero! A volte legge e giustizia non coincidono.

Dottore:  Io… Io non conosco i vostri codici ma… ma allora che giustizia è questa?

Procuratore: E’ quella che si sono dati gli uomini: la legge.

Giudice:  No! No, caro collega. Gli uomini vogliono la giustizia. La legge è solo un mezzo…

E se qualche volta… Se questa volta legge e giustizia non coincidono… (pensieroso)

Procuratore:  Allora?

Giudice:  Allora… (meditando) Siccome in questa decisione sono io l’uomo che rappresenta la

            giustizia… Dottore?

Dottore:   Sì?

Giudice:  (apre una carpetta posata su un tavolo o sul comodino, appone una firma su un foglio) Se

la vita di tre persone val bene un’illegalità…  E se di illegalità si tratterà… (al procuratore) Ma che giustizia sia!  (da il foglio al dottore) Proceda!

Roberto:  (con fatica) Aspetta, aspettate. Ma siete sicuri che si è morti… (indica il lettino) così?

Quando si è così? Non ancora… C’è ancora… Io ho ancora un po’ di …  di anima.

Giudice:   (rivolto al procuratore, con aria di sfida) E voglio proprio vedere chi oserà querelarmi.

Procuratore:  E va bene. (indica il lettino) Ma l’ingiustizia, per lui, rimane… Un delitto impunito…

(prende dalla mano del giudice il mozzicone di pipa) Tranne che… (osserva le donne e si avvicina a loro) Tranne che…

Gemma:  Tranne che?

Procuratore: (a Gemma ma indicando il lettino) Il professore era un famoso dottore, giusto?

Gemma:  Tossicologo di fama mondiale.

Procuratore: Appunto. Anche lei?

Gemma:  (indica Gioia) Anche noi. Accademiche.

Procuratore: Tranne che… Anche voi specialiste… (mima di caricare la pipa) Tranne

che il dito di bambino… Meglio dire: il dito di  donna!

Gemma:   Non è stato il mio dito. (indica Gioia e si allontana) Ormai era un altro il dito. Io sono la

frigida con la crema e i bigodini: c’eravamo già lasciati da un paio d’anni. (si allontana)

Roberto:  (quasi un lamento) Gioia!

Procuratore: (si avvicina a Gioia) Tranne che…

Gioia:  (nervosa)  No. No… perché poi? Stavamo per sposarci… che motivo avevo…

Procuratore:  Movente! Si chiama movente.

Gioia:   Movente? Movente il matrimonio? Un movente può essere l’abbandono, non il matrimonio.

Procuratore:  Giusto.  Ma lei… lei voleva sposarlo?

Gioia:   Certo! (si avvicina al lettino) Noi lo volevamo…  volevamo anche un figlio

Roberto:  (affaticato) Dopo, dicevi, dopo.

Gemma: (a Gioia) Sì, un figlio! E poi magari indossavi il pigiamone di felpa, la crema per la notte e

i bigodini. Moglie!

Gioia:   Moglie sì! Ma avrei continuato ad amarlo anche da sposata. Avrei continuato a essere la sua

amante anche da madre. L’avrei tenuto legato con l’amore…

Procuratore: Appunto! Legato. O meglio: legata. Non rimanere legata potrebbe essere già un

movente.

Giudice: Dottor Alessi, il tempo…

Dottore:  Di tempo non ce n’è più. Io devo eseguire..

Procuratore:  Va bene, va bene. (alza la pipa davanti al viso di Gioia) Troveremo qui dentro quello

che cerchiamo. Scopriremo anche il movente. (al dottore) Ah dottore, mi basta un prelievo. (mostra anche a lui  la pipa) Per il confronto.

Dottore:  Cosa devo far cercare?

Procuratore:  (annusa la pipa, si avvicina ancora di più a Gioia) Un alcaloide? Qualche sostanza

oppiacea da fumare? (al dottore) Non importa: (indica Gioia) ce lo dirà lei. 

Dottore:  Va bene. Vado a prepararmi.  (esce sventolando il foglio)

Procuratore:   (a Gioia, in un sussurro minaccioso) Le consiglio di parlare. Perché l’ha ucciso?

Gioia:   No! No… (comincia a singhiozzare) Dovevamo sposarci. Stavamo per sposarci… che

motivo… ma quale… quale movente… (piange incontrollata)

Procuratore:  Il matrimonio, appunto. O il testamento?

Roberto: Il testamento?

Procuratore: Dica lei. Ce lo dica lei.

Gioia:  Non volevo… Io non volevo… così…

Roberto:  (allontanandosi dalla scena, verso il pubblico) Il testamento?  Per il testamento? Stupida.

Stupida Gioia. Il testamento… Il testamento è a favore di mia moglie… e tu non lo sei ancora…  Stupida! Per il testamento? Per niente! Per… niente. Stupida Gioia… Tu non eri ancora mia moglie… Per niente. 

Gioia:    Il testamento non c’entra niente.

Roberto e Procuratore: E allora?

Gioia:  (comincia a piangere) Io non volevo… Io non volevo che uscisse. Io volevo sposarlo. Io

volevo che restasse a casa. Volevo che restasse con me. Quella sera era strano. Era strano… Non doveva uscire… Mi stava soffocando con la sciarpa… e con un bacio… Io l’amavo. Non doveva uscire… così. Non doveva uscire. Doveva restare a casa… volevo farlo restare a casa. Doveva restare…

Roberto: Non ce la faccio più a restare… Ancora un minuto, solo un minuto prima che non sia più

io. Perché? Dimmi perché?

Gioia:   Io volevo solo che non uscisse. Volevo solo trattenerlo a casa.

Procuratore:  Voleva solo trattenerlo? (alza la pipa) E con che cosa l’ha trattenuto?

Gioia:   (rassegnata) Anilina… L’anilina non uccide. Volevo solo stordirlo… Si sarebbe svegliato

dopo un’ora… o poco più. Solo… solo con un leggero mal di testa… niente di più. Niente di più di un po’ mal di testa…

Roberto e procuratore:  Perché?

Gioia:   Sospettava…  Sospetti infondati. Sospetti ingiusti… Io non volevo che non mi amasse più.

(si tocca la guancia) Io volevo sposarlo. Io volevo che continuasse ad amarmi… Che continuasse ad amarmi. (si massaggia il collo)  Ma l’amore a volte… a volte fa male. (si tocca la guancia) L’amore a volte fa male.

Roberto:  L’amore a volte… a volte… uccide.   (la luce che illumina Roberto si spegne)                      

Sipario                           FINE