Don Giovanni

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DON GIOVANNI

Riduzione di Bertolt Brecht - Benno Besson- Elìzabeth Hauptmann

Commedia in quattro atti

di MOLIERE

Traduzione di Carlo Formigoni, Giovanna Acampora, Franco Parenti

PERSONAGGI

Sganarello

Gusmano

Don Giovanni

Donna Elvira

Bartolo

Angelo

Turi

Rematori

Don Luis

Carolina

Pietro

CONCETTINA

MENDICANTE

ANGELICA

NUTRICE

DON CARLOS

DON ALONSO

Ragotin

Serafina

La violette

Domenica

Marphurius

le Pescaiole

 

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

L'azione si svolge in Sicilia

Scena Prima

(Sganarello, Gusmano)

Sganarello                        - (cava fuori dal bagaglio di Don Giovanni una tabacchiera e l'osserva) Qualunque cosa dica Aristotele e più ancora tutta la filosofia: non c'è niente di meglio del tabacco! £ la passione dei grandi di questo mondo. Ah, le loro passioni se le scelgono con discerni­mento! Chi oggigiorno vive senza tabacco, non vive. Mi­ca soltanto spurga e inebria il cervello, ma soprattutto con­ferisce quella divina tranquillità senza la quale un uo­mo dì mondo non potrebbe essere un uomo di mondo. Si deve solo al tabacco se ai grandi di questa terra è consentito di dimenticare le sofferenze, specialmente quel­le degli altri. Si perdono un paio di puntate al gioco? Prendiamo un pizzico di tabacco e tutto non appare più cosi triste. Un postulante diviene fastidioso, un credito­re invadente? Prenda un pizzico di tabacco, mio caro, sia filosofo! Una tale azione soddisfa sia colui che of­fre sia colui che accetta. Già il gesto dell'offrire in sé: non si aspetta nemmeno che ce lo chiedano, si preven­gono i desideri del prossimo, "è tabacco al qua! si aspi­ra", lo si soddisfa di cuore. Prendine un pizzico, amico Gusmano, serviti!

Gusmano                         - Tante grazie. Ma torniamo al nostro tema. Forse non mi sono espresso chiaramente...

Sganarello                        - E come no. Donna Elvira si è precipita­ta all'inseguimento. Il suo amore per il mio signore l'ha sopraffatta, senza di lui non può vivere e neppure mori­re, in breve siete qui.

Gusmano                   - Questo io dovrei sapere: su che genere di accoglienza possiamo contare?

Sganarello                        - Vuoi sapere quello che penso? Temo che il suo amore le sarà mal ripagato, che il suo viaggia sa­rà stato inutile e che avrebbe fatto meglio a rimanere a casa.

Gusmano                   - Come mai? Il tuo signore ti ha fatto ca­pire che il suo amore sì è già raffreddato? £ questa la ragione della sua improvvisa partenza?

Sganarello                        - Questo no. Che cosa ti credi? Noi non usiamo confidarci le nostre faccende amorose. Oltretut­to da tempo non ha bisogno di sprecar parole, tanto lo so già dove corre la lepre, a volte lo so meglio di lui. L'esperienza!

Gusmano                         - Come! Questo viaggio imprevedibile non sa­rebbe altro che un indegno tradimento? Don Juan avreb­be abbandonato vergognosamente Donna Elvira, solo da poche settimane sua sposa? Cosi, senza una parola dì spiegazione?

Sganarello                        - (prende un pizzico di tabacco) Ah! Noi siamo giovani e in certi casi non siamo ancora molto coraggiosi.

Gusmano                         - Un uomo del suo rango!

 Sganarello                       - Che c'entra i! rango! Perché lo dovrebbe impedire? Non ha il rango che ha per dover rinunciare a qualcosa!

Gusmano                   - Ma il sacro nodo del matrimonio?

Sganarello                        - Ah, mio povero Gusmano, caro amico! Anche i sacri nodi sono nodi! Voi non conoscete Don Giovanni.

Gusmano                   - Comincio a temere di non conoscerlo. Quegli ardenti giuramenti, quelle ferventi lettere, quell'impazienza, finché non l'ebbe strappata dal pio rifugio del convento di Santa Regina! Come poteva dopo tutto questo abbandonarla, non lo concepisco.

Sganarello                        - Se conoscessi il malandrino, troveresti la cosa abbastanza facile per lui. In ogni caso, io non ho detto niente. Dovetti partire prima di lui, per esegui­re qui alcune sue disposizioni e da quando e arrivato non gli ho ancora parlato. Di certo non so niente. Però per precauzione vorrei farti sapere, internos, che il mio signore, Don Giovanni, è il più gran mascalzone che la terra abbia mai generato, un infoiato, un diavolo, un pagano, che non crede né al ciclo né all'inferno né al lupo mannaro, che conduce una vita da bestia selvaggia, da porcello d'Epicuro, un Sardanapalo! Si, ha sposato la tua padrona. Per arrivare al suo scopo, con lei avrebbe sposato anche te, il parroco, il suo cane e la sua gatta. Che cos'è per lui un matrimonio! Nella trappola ci ca­scano tutte. È il più grande sposatore sotto il sole. Don­na, verginella, nobile, borghese, contessa, e contadina, borgomastra e novizia niente gli è troppo caldo, niente gli è troppo freddo. Se io ti contassi, tutte quelle che lui ha sposato cosi, dappertutto, domani mattina saremmo an­cora qui seduti. Ma una cosa bisogna pur riconoscerglie­la: attira le femmine come l'aceto le mosche. Nessuna, che possa resistere a questo magnete. Il suo vecchio povero padre non sa, come poter superare le sempre nuove ver­gogne! E i debiti! Ma che si può fare... Niente sì può fare. Il cielo adirato un giorno Io schianterà.

Gusmano                         - Taci. Eccolo che viene. Che cosa dico io alla mia signora? (Sganarello alza le spalle, Gusmano esce di­sperato)

Scena Seconda

(Don Giovanni, Sganarello)

Don Giovanni                  - Sganarello.

Sganakello                       - (facendo rapporto) II bagaglio leggero da campo!

Don Giovanni                  - A chi stavi parlando? Non era lo staf­fiere di Donna Elvira? Gusmano?

Sganarello                        - Si, cosi, qualcuno, pressappoco quello.

Don Giovanni                  - (lo minaccia col bastone) Dunque, era lui?

Sganarello                        - Era lui.

Don Giovanni                  - Da quando in questa città?

Sganarello                        - Appena arrivato.

Don Giovanni                  - Cosa l'ha condotto qui?

Sganarello                        - Voi lo dovreste sapere.

Don Giovanni                  - II nostro viaggio?

Sganarello                        - Ne domandava il motivo.

Don Giovanni                  - Gli hai risposto?

Sganarello                        - Che voi non mi avete detto nulla.

Don Giovanni                  - E qual è la tua opinione?

Sganarello                        - La mia? Se voi permettete io penso che stiamo andando dietro a un'altra.

Don Giovanni                  - Lo pensi?

Sganarello                                   - Si.

Don Giovanni                  - Non ti sbagli. £ cosi. Un'altra ha scac­ciato Elvira dai miei pensieri.

Sganasello                       - Eh! Il mio signore io l'ho sulle punte del­le dita. Il vostro cuore è insaziabile.

Don Giovanni                  - Non è bene cosi?

Sganarello                        - Eh, signore...

Don Giovanni                  - Cosa? Parla.

Sganarello                        - Sicuramente è bene cosi, se voi volete cosi. Non ci si può dar contro. Ma se voi voleste diver­samente, allora forse sarebbe diverso.

Don Giovanni                  - Ebbene, io ti dò la libertà di parlare, parla.

Sgamarello                       - Allora, signore, vi dirò francamente. Quest'amare da tutte le parti è qualcosa di terribile.

Don Giovanni                  - Come! Vuoi tu forse che ci si leghi al­la prima venuta e non si abbiano più occhi per tutte le altre? Ridicola ambizione voler esser fedeli! Tutte le bel­le hanno diritto di affascinarci. Se rendo giustizia a una e cedo al suo fascino, non devo per questo diventare in­giusto con tutte le altre. Dovrebbe forse una che ebbe la fortuna di incontrarci per prima, rubare a tutte le altre i legittimi diritti che hanno sul nostro cuore? Io ho sempre occhi per ravvisare il merito di tutte, e rendo a cia­scuna gli omaggi e i tributi ai quali la natura mi obbliga. Sedia! Sia ciò che sia, io non posso rifiutare il mio cuore a tutto ciò che vedo d'amabile; e, dacché un bel viso me lo domanda, se io di cuori ne avessi diecimila, li donerei tut­ti quanti. Quale indicibile piacere, inventare le mille adula­zioni che sottomettono il cuore di una giovane beltà. Segui­re giorno per giorno i piccoli progressi che si fanno. Quale soddisfazione combattere con slanci, lacrime e sospiri una anima pudica che fatica a cedere le armi. A forzare pas­so per passo tutte le piccole resistenze che ella ci oppone, a distruggere gli scrupoli, e condurla dolcemente là, dove noi la vogliamo. E ormai nostra la fortezza, non ci rimane più nulla da dire né da desiderare: ci si addormenta. Si, in questo campo ho l'ambizione dei conquistatori che vo­lano senza tregua di vittoria in vittoria e non possono ri­solversi a porre confini ai loro desideri. Nulla, nulla può arrestare l'impetuosità della mia cupidigia. In me batte un cuore per amare tutto il mondo. Come Alessandro il Macedone, desidererei altri mondi, per sottometterli alla mia potenza amorosa. Che ne dici Sganarello?

Sganarello                        - Eh Signore, io dico... non so che dire. Ma come vivete non mi piace.

Don Giovanni                  - Come vivo?

Sganarello                        - Oh, bene, benissimo. Ma            - per esempio - questo sposarsi ogni mese...

Don Giovanni                  - Non è gradevole?

Sgaxarello                        - Ah, questo si. Mi ci adatterei anch'io, ma è peccato! Signore, beffarsi di una cosi sacra istituzione!

Don Giovanni                  - Va, va, questa me la sbrigo io col cielo.

Sganarello                        - Oh, signore. Si dice che il cielo si vendica orribilmente. "Chi di lui si beffa..."

Don Giovanni                  - Chiudi il becco. Non sai che non sop­porto prediche? Tu balordo!

Sganarello                        - Dio mi protegga. Non alludevo a voi. Voi non avete colpa. Con la vostra forza di attrazione, con il vostro fuoco! Voi avete le vostre ragioni! Ma sfortunata­mente c'è della gente che della morale se ne infischia, senza queste buone ragioni. Se avessi un padrone cosi, gli direi chiaro e tondo guardandolo in faccia: "Voi piccolo verme della terra, voi cimice consunta - parlo al padrone che ho detto, - come potete beffarvi di una cosa che è sa­cra a tutti gli uomini. Voi pensate che perché siete un si­gnore, e portate una parrucca bionda, ben acconciata, del­le piume sul cappello, - non è a voi che parlo è all'altro - pensate che perché avete un abito ricamato d'oro, con gli orli rossi, vi sia permesso tutto?" Questo gli direi.

Don Giovanni                  - (sorridendo) Furfante.

Sganarello                        - Cosi a qualcuno bisognerebbe proprio dir­glielo.

Don Giovanni                  - Basta. II tempo stringe. Dobbiamo par­lare della bella, che ci ha condotti qui...

Sganarello                        - (a parte) Condotti!

Don Giovanni                  - ... essendo qui venuta.

Sganarello                        - Proprio per questo devo ricordarvi, che voi in questa provincia, sei mesi fa, avete ucciso Don Rodrigo, il governatore, dopo avergli sedotta la moglie. Non temete nulla?

Don Giovanni                  - Che cosa devo temere? Non l'ho appun­to ucciso? E a regola d'arte?

Sganarello                        - Certo, certo. In quanto a questo non può lagnarsi.

Don Giovanni            - Chi teme i morti? E poi: il processo mi è stato fatto, mio padre ha intercesso per me alla cor­te, sono stato graziato, la faccenda è sepolta.

Sganarello                        - Sepolta, si! Ma ci sono degli amici, dei parenti stretti, una figlia minorenne     - credete che gli amici e i parenti siano entusiasti di questa grazia?

Don Giovanni                  - Ah! Non andiamo a pensare al male che ci può capitare, pensiamo solamente a ciò che ci può dare piacere. La bella di cui ho parlato è una giovane barn...(Vede Donna Elvira) Donna Elvira! Ah vista somma­mente indesiderata! Farabutto! Traditore! Perché non mi hai detto, che era qui?

Sganarello                        - Signore, non me lo avete chiesto.

Don Giovanni                  - È impazzita? Viaggiare in abito di gala?

Scena Terza

(Don Giovanni, Donna Elvira, Sganarello)

Donna Elvira                   - Don Giovanni! Posso pregarvi di vo­lermi riconoscere? Posso almeno sperare che vi degnate di voltare il viso da questa parte?

Don Giovanni                  - Signora, devo ammettere che sono sorpreso. Qui non vi attendevo.

Donna Elvira                   - Si, lo vedo che qui non mi attende­vate. La vostra sorpresa non è quella che io avevo spe­rato e mi conferma ciò che ripugnavo a credere. Mi mera­viglio della mia ingenuità e del mio folle cuore, che po­tevano dubitare del vostro tradimento, del quale avevo cosi tante prove. Ero talmente buona e benevola, o piut­tosto talmente stupida, da volere ingannare me stessa. Mi sono fabbricata cento buone ragioni per la vostra cosi improvvisa partenza. Per assolverla dalla scelleratezza, di cui la mia ragione vi accusava, prestavo il mio orecchio con piacere ai mille fantastici suggerimenti e alle ri­dicole chimere che vi discolpavano. Ma questa accoglien­za non mi permette più di dubitare; lo sguardo che mi ha accolto, mi ha rivelato molto più di quanto io volessi sapere. Sarei lieta pertanto di udire dalle vostre labbra i motivi della vostra partenza. Parlate, Don Giovanni, vi prego, e vediamo in che maniera vi saprete giustificare.

Don Giovanni                  - Signora, ecco Sganarello. Vi dirà per­ché sono partito.

Sganarello                        - (sottovoce) Io signore? Se mi è permesso dirlo, io non so niente.

Donna Elvira                   - Dunque, Sganarello! Parlate, non mi importa da chi apprenderò la verità.

Don Giovanni                  - (fa cenno a Sganarello di avvicinarsi a Donna Elvira) Avanti, parla alla signora.

Sganarello                        - (sottovoce) Che volete che le dica?

Don Giovanni                  - Parla senza indugio!

Sganarello                        - Signora,..

Donna Elvira                   - Dunque?

Sganarello                        - (a Don Giovanni) Signore... che cosa... (Sguardo severo di Don Giovanni) Dunque... signora. Re­sponsabile della nostra partenza è... sono i grandi con­quistatori... Alessandro il Macedone e gli altri mondi... di più non so.

Donna Elvira                   - Favorireste, Don Giovanni, chiarirci questa enigmatica dichiarazione?

Don Giovanni                  - Signora, a dirvi la verità...

Donna Elvira                   - Ah! Come sapete difendervi male! A corte dovreste aver imparato tal genere di cose. Perché non mi giurate che serbate sempre gli stessi sentimenti per me, che mi amate sempre di un ardore senza pari, e che nulla potrà separarci se non la morte? Perché non mi dite che un affare della più grande importanza vi co­strinse a partire senza darmene avviso, che contro la vostra volontà dovrete rimanere qui qualche tempo; e che io non ho che da tornarmene tranquilla da dove so­no venuta, con la sicurezza che voi seguirete i miei passi il più presto vi sarà possibile e che, lontano da me, voi soffrite ciò che soffre un corpo separato dalla sua ani­ma? Ecco come vi dovreste difendere invece di starvene li cosi.

Don Giovanni                  - Signora, ammetto ; non posso dissimu­lare. Io sono leale. Io non vi dico di nutrire per voi sempre gli stessi sentimenti, e che bramo di riunirmi a voi, è palese: da voi sono fuggito. Non per i motivi che voi supponete, ma per motivi che la mia coscienza, mi prescrive. Prolungare la nostra unione sarebbe peccare. Con gli occhi della mia anima eterna osservo ora, quello che ho commesso. Mi sono reso conto che io, per spo­sarvi, vi ho strappata al sacro ritiro del convento. Che voi dunque avete infranto dei voti che vi legavano al­trove. La gelosia del cielo in queste cose è nota. Il no­stro matrimonio, signora, è, io temo, un adulterio ma­scherato. Temo per noi due l'ira del cielo. Voglio tentare di dimenticarvi. Devo rendervi possibile il ritorno alle vostre primiere catene. Signora, volete opporvi a un moto cosi pio? Volete che restando con voi mi attiri l'ira del cielo sui piedi? Signora, per rendere giustizia al cielo e a tutte le creature, dobbiamo spesso compiere dei dolorosi sacrifizi.

Donna Elvira                   - Ah! Scellerato! Adesso ti conosco tut­to intero! Per mia sfortuna ti conosco troppo tardi. Giac­ché a che mi giova ora questa conoscenza? Non fa che accrescere la mia disperazione. Ma sappi che il tuo cri­mine non rimarrà impunito. Lo stesso cielo, che tu de­ridi, mi vendicherà.

Don Giovanni                  - Sganarello, il cielo!

Sganarello                        - Si proprio! Dì quello che ce ne ineschiamo noi!

Don Giovanni                  - Signora...

Donna Elvira                   - Basta! Non voglio sentire altro. Ho sentito anche troppo. Non attender che io erompa in rim­proveri e ingiurie. Non voglio dissipare la mia ira in parole. Ma ti ripeto, Don Giovanni: il cielo ti punirà. (Esce)

Scena Quarta

(Don Giovanni, Sganarello)

Don Giovanni                  - Dunque, la bella di cui ti volevo par­lare, è una giovane promessa sposa. La scoprii alcuni giorni or sono: la più amabile che occhio abbia mai vi­sto. Passeggiava al braccio del fidanzato. Mai ho visto una coppia d'amanti cosi felici e soddisfatti l'uno dell'al­tra. Che per di più non nascondessero la loro reciproca tenerezza, mi commosse profondamente, si, mi colpi in pieno cuore. Mi era insopportabile vederli cosi felici as­sieme. Distruggere quest'unione, che talmente offendeva il mio sensibile cuore, mi sembrò un voluttuoso dovere.

Sganarello                        - Comprendo.

Don Giovanni                  - Niente comprendi tu. Qualcosa di in­comprensibile è accaduto. La dama non vuoi lasciarsi distogliere dal suo villano.

Sganarello                        - E be'...

Don Giovanni                  - Cosi che mi vedo costretto a ricorrere agli adeguati provvedimenti.

Sganasello                       - E le nostre lettere? E i nostri regali?

Don Giovanni                  - Tutti respinti.

Sganarello                        - Come? La dama vi disprezza?

Don Giovanni                  - Lo suppone. Vuole proprio sposare que­sto ragazzo domani. Ricorrerò all'estremo. Verrà rapita.

Sganarello                        - Oh! No!

Don Giovanni                  - Come? Il ragazzo, che già si atteggia a marito, vuole intrattenerla con una gita in barca sul mare. Io ho noleggiato una barca veloce e alcuni robu­sti barcaiuoli.

Sganarello                        - Uh! Signore! E io ho sognato pesci mor­ti e uova rotte, e la vostra cuoca Seraima dice sempre, che significa... (Don Giovanni lo minaccia) Ah, signore! Questa sarà di nuovo una delle vostre...

Don Giovanni                  - (lo fissa) Delle mie...

Sganarello                        - Grandi avventure!

Don Giovanni                  - Tu naturalmente mi accompagni; Con­trolla accuratamente le armi, ne dipenderà della tua vita. E non dimenticare il vino. (Entrano i pescatori con i remi) Al lavoro.

Scena Quinta

(Don Giovanni, Sganarello, Bartolo, Angelo, Turi)

Don Giovanni                  - Impartisci ai bruti l'insegnamento ne­cessario.

Sganarello                        - II denaro sarebbe il miglior istruttore, si­gnore.

Don Giovanni                  - (gli getta una borsa) Deve bastare.

Sganarello                        - (tasta la borsa) Con venti ducati potre­mo farcela. (Intasca la borsa) Gente qui! Paghiamo ì vo­stri servizi due ducati prò capite. (/ rematori sono più che felici)

Turi                                  - Molte grazie, voscenza   (Bartolo cerca dì ba­ciare la mono a Sganarello)

 Sganarello                       - Alt! Per la straordinaria retribuzione ci attendiamo naturalmente straordinarie prestazioni. Primo: potete maneggiare un remo?

Angelo                             - Eccellenza, su tutta la costa...

Sganarello                        - Non intendo solo cosi (fa il gesto del re­mare) ma anche cosi! (Fa il gesto del colpire)

Turi                          - Ah! Si tratta di questo?

Angelo                             - Noi siamo pacifici pescatori, se si tratta di usare la violenza...

Sganarello                        - (duro) A tirar di scherma dunque non siete buoni. Dovrò istruirvi.

Angelo                      - Istruirci a sfasciar teste? Non c'è più re­ligione.

Bartolo                            - Non ci sarà niente da fare, voscenza. Lo conosco. (Addita Angelo)

Angelo                             - (ai suoi colleghi) Volete ammazzare il pros­simo, per due ducati?

Bartolo                            - Voscenza ha ragione, due ducati per quel servizio son pochini.

Turi                          - (a Angelo) Tu non lo faresti neanche per tre, vero. Angelo? (Angelo scuote il capo)

Bartolo                            - (sottovoce) Per quattro?

Sganarello                        - Tre ducati neanche parlarne.

Angelo                             - Quattro ducati sono una grossa somma! (Pe­rò scuote il capo)

Turi                          - Ha un animo troppo sensibile.

Sganarello                        - Volerci ricattare dì tre ducati, lo chiama­te un animo troppo sensibile?

Bartolo                            - Sotto i cinque, niente da fare.

Don Giovanni                  - (chiama Sganarello) Non hai ancora concluso?

Sganarello                        - (digrignando ì denti) Va bene, vi pagherò il mostruoso prezzo di quattro ducati...

Angelo                             - Cinque.

Sganarello                        - ... cinque ducati. Ma non posso avere più rispetto per voi; amici non lo siamo più. (Spingendo i re­matori verso il fondo) Ma qualificatevi almeno. (Li dispo­ne sempre due contro uno. Vengono esercitati nel colpire con i remi. Sganarello usa la spada. Si sente "parata si­nistra, parata destra, lancio!") Signore, noi non manche­remo il colpo, ma...

Don Giovanni            - (a Angelo) Più alto il remo, bruto!

Angelo                             - Mai e poi mai. La mia coscienza non me lo permette. (Scappa)

Sganarello                        - Va' al diavolo!

Turi                          - Ma in due non ce la facciamo.

Don Giovanni                  - (a Sganarello) Alza il soldo

Turi                                  - (grida a Angelo) Sci ducati! Torna subito in­dietro!

Angelo                             - (torna lentamente indietro) Adesso son già diventati sei. Mi dispiace.

Sganarello                        - Avanti. (A Don Giovanni) Ah, signore, sta venendo vostro padre.

Don Giovanni                  - Tutto congiura contro di me? (Duran­te la scena seguente le esercitazioni infiacchiscono sola­mente quando Sganarello deve servire Don Giovanni)

Scena Sesta

(Don Giovanni, Don Luis, Sganarello, Rematori)

Don Luis                         - So bene dì arrivare inopportuno. Se tu sei stanco della mia vista, io non sono meno stanco delle tue sregolatezze. Come credi tu che ìo possa accettare dopo tutto ciò che mi hai già recato, il tuo nuovo mi­sfatto? Strappare l'unica figlia del nostro nobile amico Don Filippo al sacro ritiro del convento! Che cosa rendi ai miei capelli incanutiti nel servizio del re e della ma­dre patria! Devi tu ammassare misfatto su misfatto? (Sganarello mostra con discrezione due spade a Don Gio­vanni. Don Giovanni ne indica imperiosamente una) Per coprire i tuoi scandali devo logorare l'indulgenza del re. Anche la più benevola clemenza si esaurisce. Perché tu possa soddisfare i tuoi capricci, io devo consumare il credito che i miei meriti mi procurano.

Don Giovanni            - Signore, se voleste sedere, da seduti si parla meglio.

Don Luis                         - No, svergognato, non voglio sedere! Ah, come sappiamo ben poco quello che facciamo, quando generiamo figli! Con quale ardore desideravo un figlio, con quale tenacia lo imploravo    - eccolo, quello per il quale io ho affaticato il cielo con le mie preghiere: un mo­stro! Dei miei ammonimenti si fa scherno e i miei le­gittimi desideri li deride! ( Durante questa tirata Sganarello mostra sorridente l'arte dei rematori-schermidori)

Don Giovanni                  - Tutt'altro, Comunicatemi i vostri desi­deri riguardo alla menzionata signora, e io aspirerò ad adempirli, padre.

Don Luis                         - Taci! Non ricordarmi che sono tuo padre. Troppi lo fanno, per insultarmi. Non ti vergogni proprio? Divenire cosi indegno della tua nascita? Cosa fai tu, per mantenere alto il nome che porti?

Don Giovanni            - (al quale Sganarello mostra una cesta con fiaschi di vino) Più di quello. (Sganarello si ritira in fondo)

Don Luis                   - Tu vivi nella gloria dei tuoi antenati! Ma le loro gesta eroiche non ti serviranno a nulla. Indegno! Anzi, la loro gloria è una fiaccola che illumina la tua onta.

Don Giovanni                  - Signore, non mi troverete cosi disub­bidiente come sembra che presumiate. Ci sono situazioni nelle quali un uomo d'onore non ha scelta. Ci sono dei doveri ai quali si deve adempiere, costi quello che costi.

Sganarello                        - (a parte) Vuoi dire: costi a suo padre quello che costi.

Don Giovanni                  - Non porrò a Donna Elvira alcun osta­colo, cosi che possa tornare a quel luogo tranquillo al quale non l'avrei mai dovuta strappare. Spero che que­sto passo vi renderà incline a non ritrarre da me più oltre la vostra cosi generosa mano. I miei creditori...

Don Luis                         - Non parlarmi dei tuoi creditori, feto sba­gliato! Temi piuttosto l'ira del cielo per i tuoi misfatti! (Esce)

Scena Settima

(Sganarello, Don Giovanni, Rematori)

Don Giovanni                  - (fa cenno a Sganarello di avvicinarsi) Volevo dire, ci deve essere pronta una vettura, quan­do ritorneremo con la barca. È nauseante vedere pa­dri che vivono cosi a lungo quanto i loro figli.

Sganarello                        - (dopo aver allineato i rematori equipag­giati con armi e bagagli) Signore, avreste dovuto but­tar fuori subito il vecchio. Ammiro la vostra pazienza.

Don Giovanni                  - Pazienza? Questo è proprio, quello che non ho. Farabutto, ho trentun anni. Alessandro mori a trentatré. Luì aveva conquistato 618 città, è chiaro, io de­vo affrettarmi. Avanti! In barca! (Esce)

ATTO SECONDO

Scena Prima

(Carolina, Pietro)

(Sulla spiaggia. Gli abiti di Don Giovanni e Sganarello sono appesi ad asciugare)

Carolina                           - Ma che fortuna che ebbero, Pietro, che tu eri proprio là.

Pietro                               - Si, Madonna del Cannine, proprio per un pelo tutti e due non si affogarono.

Carolina                           - Quella piccola burraschetta di stamattina, quella fu che li buttò in acqua?

Pietro                       - Be', Carolina, allora te la conto tutta com'è che andò. Dunque, noi due, io e Luca il grosso, eravamo sulla spiaggia e babbiavamo a tirarci dei gnocchi di ter­ra in testa, là vidi di colpo lontano al largo sbattolare qualcosa nell'acqua. Lo vidi chiarissimo e poi tutt'a un tratto vidi che non vidi più niente. Luca, dissi, là c'è qualcuno che nata, Fissaria, disse, vedi gli spiriti. Scom­mettiamo, dissi, che non sono spiriti e che è gente quella che vedo che sguazza in qua. Maledizione, disse, ci scom­mettessi, che non è nessuno. Bene, dissi, giochiamoci die­ci soldi che c'è qualcuno. Va bene, disse, qui ci sono i soldi. Io non è che sono stupido ci butto sopra cinque soldi e dieci mezzi, sapevo quello che facevo. Be', appena ebbimo scommesso, subito vidimino, chiarissimo, due che si sbracciavano come pazzi, che facevano segno che an­dassimo a prenderli. Prima i piccioli incassai. Andiamo, su, Luca, dissi, lo vedi no, che chiamano aiuto. Forza. No, disse luì, troppi soldi già mi costarono. Allora, per farla breve, tanto lo predicai fin che venne in barca, e li li pescammo subito dall'acqua già mezzi blu, poi li portai tutti e due a casa, accesi un bel fuoco, poi loro si spogliarono nudi per asciuttarsi, e poi venne Concettina, e uno cominciò subito a ronzarle attorno. Cosi fu.

Carolina                           - (molto curiosa) Pietro, non hai detto, che uno è molto più bello dell'altro?

Pietro                               - Quello il signore è. Deve essere una bestia grossa. Ha tutto oro sul suo vestito          - (indica la giacca ad asciugare) dall'alto in basso. E, il suo servo sembra un signore anche lui. E intanto quella bestia grossa che è, dritto dritto si sarebbe affogato.

Carolina                           - Guarda un po'.

Pietro                               - Malannaggia, senza di me, l'avrebbe passata bella.

Carolina                           - (sempre molto curiosa) È sempre là nudo, da te al fuoco è?

Pietro                               - No, no, il servo lo vesti di nuovo, tutti era­vamo là a guardare. Santo Cielo, mai avevo visto come Io vestono uno di quelli. Che bardature appendono a un signore della corte! Pensa, Carolina, hanno dei capelli che non ci crescono in testa, ma se li buttano su, cosi come una grossa berretta di stoffa. Delle camicie con cer­te maniche dove c'entriamo io e tu insieme! Non por­tano delle braghe, portano un grembiale, cosi largo, come da qui a Pasqua. Non portano gilet, portano un corpetto piccolo piccolo che non ci arriva manco all'ombelico. AI posto del colletto, un fazzolettone di pizzo    (indica) gran­de cosi, con quattro fiocchi grossi grossi che ci pen­zolano fin sulla pancia. (Sganarello viene a prendere le due giacché) E in fondo alle braccia hanno ancora di quei colletti, e alle gambe, come fossero imbuti, anche quelli ricamati, e dappertutto nastri, nastri, uno sciupio di nastri che è una cosa che fa pietà.

Carolina                           - Santo cielo, Pietro, bisogna che me lo vada un po' a vedere. (Si alza)

Pietro                               - (la fa sedere di nuovo) Prima ascolta un po', Carolina, devo dirti una cosa.

Carolina                           - (con fretta) E dimmela allora.

Pietro                       - Vedi, Carolina, devo parlarti, come si dice, col cuore in mano. Mi piaci, lo sai, ed è deciso che ti sposo. Ma, accidenti non è che sono completamente con­tento di te.

Carolina                           - Perché, che fu?

Pietro                               - Che fu? Tribolare mi fai.

Carolina                           - Tribolare?

Pietro                       - Madre santissima, non mi vuoi bene.

Carolina                           - Ah! solo questo è?

Pietro                       - Si, solo questo è, ma è abbastanza.

Carolina                           - Dio mio, Pietro, sempre la stessa cosa mi vieni a dire.

Pietro                               - Sempre la stessa cosa ti vengo a dire, perché sempre la stessa cosa è e se non fosse sempre la stessa cosa, non verrei a dirti sempre la stessa cosa.

Carolina                           - Ma allora che vuoi?

Pietro                               - Malannaggia, voglio che tu mi vuoi bene.

Carolina                           - Non ti voglio bene?

Pietro                               - No. Non mi vuoi bene, posso fare pezzi di paradiso per te, niente. Non per rinfacciare, ma ti com­pro nastri da tutti gli ambulanti che passano, mi rompo quasi la noce del collo per andarti a prendere i merli dai nidi, quando viene la tua festa ti faccio suonare l'orga­nino, ed è come sbattere la testa contro il muro.

Carolina                           - Oh Signore, ma ti voglio bene. Che devo fare allora?

Pietro                       - Voglio che tu faccia come si fa, quando si vuoi bene bene.

Carolina                           - Non ti voglio bene bene?

Pietro                               - No. Quando è bene lo si vede. Guarda Tommasina Minazza, come esce pazza per il giovane Calogero. Che tutto il giorno gli combina qualche fastidio e non gli da pace. L'altro giorno era seduto su uno sgabello, lei gli sgattaiola dietro e glielo tira via dal di sotto, cosi che lui cade lungo disteso. Vedi come si fa quando si vuoi bene bene, Ma tu non mi fai mai niente, stai sem­pre piantata li come un palo. Posso passarti vicino venti volte e tu non ti smuovi nemmeno. Che so io, uno sca­paccione, uno zichettone. Malannaggia, questo non è bene. Sei troppo frigida,

Carolina                           - Cosi sono fatta.

Pietro                               - Ma cosi non si dovrebbe essere, quando si volesse bene a qualcuno si dovrebbe fare sentire.

Carolina                           - Insomma, io ti voglio bene cosi come posso. Se non sei contento, non hai che da voler bene a qual­che altra.

Pietro                               - Ecco qua, l'avevo detto, io. Se mi volevi bene questo non me lo dicevi.

Carolina                    - Ma perché mi vieni a stonare la testa?

Pietro                       - Ma non ti domando che un po' di bene.

Carolina                           - Ma lascia perdere, e non mi costringere sempre cosi. Può essere che viene da solo cosi tutto a un tratto.

Pietro                               - Va bene, Carolina. (Le da la mano)

Carolina                           - Va bene. (Gli da pure la mano) Te'.

Pietro                               - Cerca di volermi più bene. Prometti.

Carolina                           - Voglio fare tutto quello che posso, ma da solo deve venire. Pietro, il signore quello è?

Pietro                               - (orgoglioso) Quello è!

Carolina                           - Mamma mia, che bellino! Che peccato se si affogava.

Scena Seconda

(Carolina, Pietro, Don Giovanni, Sganarello)

(Don Giovanni fa cenno a Pietro di avvicinarsi)

Pietro                               - (a Carolina) Lo vedi che mi conosce. (Orgo­glioso si avvicina sorridendo a Don Giovanni)

Don Giovanni                  - Caro ragazzo, certamente tu mi vorrai rendere volentieri un altro piccolo servizio. Corri al vil­laggio e porta alla giovane, credo si chiami Concettina, i miei saluti. Dille che le devo parlare qui urgentemente. Non dirlo a nessun altro. Capito?

Pietro                               - Verrà subito, Eccellenza. Certo, Eccellenza. (A Carolina, correndo) Torno subito, devo fare un piacere al signore.

Scena Terza

(Carolina, Don Giovanni, Sganarello)

Sganarello                        - Signore, dovremmo filarcela al più pre­sto. Non possiamo essere tanto sicuri che quei dannati barcaioli non abbiano raddrizzato di nuovo la barca e raggiunta la riva.

Don Giovanni                  - Silenzio! Sto pensando.

Sganarello                        - E quando è venuta su la burrasca, per indurii ancora ad aspettare gli avete raddoppiato tre vol­te la paga! La nostra cassa però l'hanno ingoiata i flutti.

Don Giovanni                  - Abbiamo avuto scalogna, Sganarello. La burrasca di questa mattina ha gettato a mare non solo noi, ma anche i nostri piani. Ma, per dir la verità, la giovane pescaiola che ci ha accolti, mi risarcisce di ogni danno. Ho scoperto in lei delle attrazioni che mi inden­nizzano ampiamente dello sfortunato incidente. Il suo cuore non deve sfuggirmi! Inoltre l'ho già stretta in un tale assedio, che non può più costarmi che pochi sospiri.

Sganarbllo                       - È inconcepibile: siamo appena sfuggiti co­me per miracolo al pericolo di morte e adesso, invece di ringraziare il cielo per il suo meraviglioso aiuto, vi ac­cingete di nuovo a provocare la sua ira con le vostre solite...

Don Giovanni            - (lo minaccia) Chiudi il becco. Non sai quello che dici, il tuo signore sa ciò che fa. (Nota Carolina) Ah! Ah! Da dove ci arriva quest'altra pescaiola? Sganarello! Hai mai veduto qualcosa di più affa­scinante? Dillo sinceramente, non è forse tanto bella quanto l'altra?

Sganarello                        - Sicuro. (A parte) Ci siamo.

Don Giovanni            - Per quale divino disegno siamo sta­ti condotti sullo stesso cammino? Come? Qui in questi luoghi romiti, tra alberi e rocce, vivono esseri creati come voi?

Carolina                           - Eccellenza si.

Don Giovanni                  - Siete oriunda di questo villaggio?

Carolina                           - Eccellenza si.

Don Giovanni                  - E vi abitate?

Carolina                           - Eccellenza si.

Don Giovanni                  - E vi chiamate?

Carolina                           - Carolina, per servirvi. Eccellenza.

Don Giovanni                  - Ah! Che amabile creatura! E che oc­chi irresistibili!

Carolina                           - Voscenza, mi fate vergognare.

Don Giovanni                  - Ah! Non ci si deve mai vergognare di sentirsi dire la verità. Sganarello, che ne dici? Hai mai visto qualcosa di più amabile? Giratevi su voi stessa, vi prego. Ah! Che vitino delicato! La testa un po' più alta, vi supplico. Ah! Che visetto grazioso! Spalancate gli occhi completamente. Come sono belli! Ch'io veda un po' i vostri denti, prego. Ah! Come sono innamoranti! E quelle labbra appetitose! Sono entusiasta, in tutta la mia vita non ho mai visto una bimba cosi bella!

Carolina                           - Eccellenza, che mi vuoi scherzare?

Don Giovanni                  - Io burlarmi di voi? Dio me ne guardi! Vi amo troppo per questo, e ciò che vi dico, esce da un cuore profondamente colpito, Sganarello, guarda un po' che mani.

Carolina                           - Voscenza che dite? Son tutte sporche di pece!

Don Giovanni                  - Ah! Che dite! Sono le più belle mani del mondo, consentitemi di baciarvele, vi prego.

Carolina                           - Troppo onore mi fate, Voscenza. L'avessi saputo, le avrei stricate con la sabbia!

Don Giovanni                  - Eh! Ditemi un po', bella bambina, non sarete forse già maritata?

Carolina                    - Voscenza no, ma presto mi marito con Pietro, il figlio di Simonetta, la nostra vicina.

Don Giovanni                  - Come! Una creatura come voi in mo­glie a un semplice pescatore? No, no, non si può profa­nare tanta bellezza. Voi non siete nata per rimanere in un villaggio. Voi siete destinata a salire in alto. E il cie­lo, che ne è a conoscenza, m'ha condotto qui espressa­mente per impedire questo matrimonio e rendere giusti­zia alle vostre grazie. Non dipende che da voi, bella bambina, e io vi strapperò a questo miserabile destino; per condurvi là dove noi vi vogliamo e al vostro me­rito si addice. Certo voi potreste obiettare che questo mio amore sia un po' improvviso. Ma è appunto il me­raviglioso effetto della vostra bellezza, Carolina. Vi si ama tanto in un quarto d'ora, quanto un'altra in sei mesi.

Carolina                           - Veramente Eccellenza, io non so cosa dire. Quello che mi dite mi fa piacere e avrei voglia di cre­dervi, ma a me hanno sempre detto, che i gran signori cosi parlano solo per ingannare le ragazze e che non è che ci si deve fidare.

Don Giovanni            - Io non appartengo a uno di quelli.

Sganarello                        - (a parte) Salvati!

Carolina                           - Vede, signore, restarci fregata certo bello non è. Io sono una povera ragazza figlia di pescatori e al mio onore ci tengo, piuttosto vorrei morire che essere disonorata.

Don Giovanni                  - Per mia opera? Io sarei cosi vile da disonorarvi? No, mai, io ho una coscienza troppo sensi­bile per una tale vigliaccheria. Prendete a conoscenza, cara bambina, che io non ho altra intenzione che quella di sposarvi. Sono , pronto, quando vorrete. Quest'uomo è testimone della mia promessa.

Sganarello                        - Si, si, niente paura. Se è per il matri­monio, quello non mancherà.

Don Giovanni                  - Ah, Carolina. Una come voi non la si tradisce, e la vostra bellezza è la vostra difesa più sicura.

Carolina                    - Dio mio, io non so se Voscenza dice il vero o no, ma parla che uno ci crede.

Don Giovanni                  - Volete acconsentire a divenire mia moglie?

Carolina                           - Se mia zia è contenta, si.

Don Giovanni                  - Datemi un bacio in pegno...

Carolina                           - Eccellenza, aspettasse quando siamo spo­sati, poi ci do baci quanti ne vuole.

Don Giovanni            - Ah, bambina, io voglio tutto ciò che tu vuoi, lasciami solo la tua mano, lascia che io con mille baci le esprima l'indicibile delizia che mi colma.

Scena Quarta

(Carolina, Don Giovanni, Sganarello, Pietro)

Pietro                               - (grida da lontano) Eccellenza, Eccellenza, Con­certina viene subito... (Si avvicina e nota le affettuosità di Don Giovanni per Carotina. Spinge Don Giovanni a par­te) Voscenza, non cosi appassionato! Se si riscalda trop­po, poi si può raffreddare.

Don Giovanni            - (lo spinge via) Da dove viene que­sto bruto?

Pietro                               - (si pone tra Don Giovanni e Carolina) Ci dico che stesse buono. E mani al suo posto per piacere.

Don Giovanni                  - (lo spinge via di nuovo) Ah! Quanto chiasso!

Pietro                               - Madre Santa che maniera di spingere la gente. Carolina           - (si intromette) Lascialo fare, Pietro. Pietro         - Cosa! Lascialo fare? Non lascio fare niente! Don Giovanni    - (minaccioso) Ah!

Pietro                               - Malannaggia crede perché è un signore di po­terci sputacchiare le nostre donne sotto il naso? Spu­tacchiatevi le vostre!

Don Giovanni                  - Eh!

Pietro                               - Eh! Cosi. (Don Giovanni gli da uno schiaffo) Non mi toccasse! (Don Giovanni gliene da un altro) Min­chia d'un canchero! Questa è la ricompensa che mi viene per avervi salvato dall'affogare? Carolina. Pietro, non t'arrabbiare.

Pietro                               - Io mi voglio arrabbiare! E tu puttana sei, che ti lasci toccare cosi!

Carolina                    - Oh, Pietro, stupido che sei. Non è per niente come tu pensi. II signore mi vuole sposare; per questo non ti devi arrabbiare.

Pietro                       - Cosa? Minchia! Ma sei la mia promessa!

Carolina                           - Non fa niente, Pietro. Se mi vuoi bene, devi essere contento che io divento madama.

Pietro                               - Malannaggia no, meglio vederti crepata che con un altro.

Carolina                           - Su, su, Pietro. Non te la prendere, quando sono una signora, do solo a te da guadagnare, che al castello ci puoi portare tutti i tuoi gamberi e tutti i tuoi pesci.

Pietro                               - Maledizione ancora! Niente non polito! Manco se me li paghi il doppio. E a quello ci dai ascolto? Por­co cane! Se lo sapevo prima, non è che lo pescavo dall'acqua, gli appioppavo un bel colpo di remo sulla testa. (Don Giovanni si avvicina a Pietro per colpirlo) Santo Dio! Che crede, non mi fa paura proprio!

Don Giovanni                  - (affrontandolo) Lo si vedrà subito.

Formo                       - Ne ho messo sotto di meglio di lei, io.

Don Giovanni                  - Si?

Sganarello                        - Ah, signore, lasciate in pace quel povero diavolo. Ci ha aiutato. (A Pietro) Senti, ragazzo mio, non alzare la voce e sparisci.

Pietro                               - Ma io voglio alzare la voce.

Don Giovanni                  - (alza la mono per dare un altro schiaffo a Pietro) Ah! Ti insegnerò... (Pietro si china e Sgana­rello viene colpito)

Sganarello                        - (furente) La peste ti colga pezzo di... (Si tira da parte)

Don Giovanni                  - (a Sganarello) Eccoti ripagato, tu fi­lantropo!

Pietro                               - (a Carolina) Va bene me ne vado; ma lo vado a dire a tua zia. (Esce)

Don Giovanni                  - (a Carolina) Che gioie divine, quando saremo marito e moglie!

Scena Quinta

(Don Giovanni, Carolina, Sganarello, Concettina)

Sganarello                        - (vede Concettina e ride) Haha!

Concettina                       - (a Don Giovanni) Signore, che fate con Carolina? Parlate d'amore pure con lei?

Don Giovanni                  - (sottovoce a Concettina) No. Al con­trario, è lei che mi dichiara il desiderio di divenire mia moglie. Io le ho appunto detto che sono impegnato con voi.

Carolina                           - (a Don Giovanni) Che vuole Concettina?

Don Giovanni                  - (a Carolina) E gelosa perché vi parlo. Vorrebbe che la sposassi. Ma io le ho detto che sposo voi.

Concettina                       - Non è bello. Carolina, andare a fichi nell'orto del vicino.

Don Giovanni                  - (piano a Concettino) Inutile dirle qualcosa, da questa fantasia non la si distoglie.

Carolina                           - Non è onesto, Concettina, essere gelose, se il signore mi parla.

Don Giovanni                  - (piano a Carolina) Non c'è modo di farle intendere la ragione. Questa idea non gliela si to­glie dal capo.

Carolina                           - Come no. (Si toglie uno zoccolo)

Concettina                       - Ficcanaso!

Don Giovanni                  - (a Concettina) Lasciate perdere; è in­vasa dal demonio.

Concettina                       - Ma quello glielo faccio uscire io. (Si to­glie pure uno zoccolo)

Carolina                           - Carogna!

Don Giovanni                  - (a Carolina) Non irritatela, è perico­losa.

Concettina                       - No, no, le devo parlare.

Carolina                           - E io voglio sentire che cosa pensa.

Coxcettina                       - Che cosa penso io dì te? (Colpisce, e Ca­rolina pure)

Don Giovanni                  - (piano a Concettina) Scommetto, vi dirà che le ho promesso dì sposarla. (Piano a Carolina) Scommettiamo che sosterrà che io le ho dato parola di prenderla in moglie?

Concettina                       - Per prima a me vide!

Carolina                           - E per questo decise di sposare me!

Don Giovanni                  - (a Concettina) Ebbene, che vi avevo detto?

Concettina                       - (a Carolina) A me, non a te, promise di sposare.

Don Giovanni                  - (a Carolina) Non l'avevo indovinato?

Carolina                           - Spaventapasseri! A me vuole, non a te!

Concettina                       - Mostro! A me vuole, non a te!

Carolina                           - Mostro tu! Ecco chi ti può dire che ho ra­gione.

Concettina                       - Eccellenza, vero è che le avete promesso di sposarla? Lei lo sostiene.

Don Giovanni                  - (piano a Carolina) Lasciate pure che lo sostenga.

Concettina                       - Eccellenza, vero è che le avete promesso di essere suo marito? Lei lo dice.

Don Giovanni                  - (piano a Concettina) Lasciateglielo pur dire.

Carolina                           - No, no, vogliamo saper la verità.

Concettina                       - Mettiamolo in chiaro questo.

Carolina                           - (a Concettina) Si, Concettina, voglio che il signore ti mostri che hai ancora il latte in bocca.

Concettina                - Si, e a te voglio che te la chiuda la bocca.

Carolina                           - Eccellenza, metta fine alla lite.

Concettina                       - Pronunziasse la sentenza.

Carolina                           - Sparasse fuori.

Concettina                       - Fuori la voce.

Don Giovanni                  - Che volete che vi dica? Voi entrambe ugualmente sostenete che vi ho promesso di prendervi in moglie. Non sa già forse ognuna di voi come stanno realmente le cose? Devo proprio addentrarmi in dettagli? Tutto è stato detto. Ho promesso il matrimonio, molto bene. E quella che ha la mia promessa, è assicurata e non deve lasciarsi turbare dalle ciarle. Quella a cui l'ho promesso, quella diverrà mia moglie. I fatti decidono, non le parole. Quando mi sposo, allora si vedrà chi sposo. (Pianò a Concettina) Lasciatele credere ciò che vorrà. (Piano a Carolina) Lasciate che si lusinghi con la sua immaginazione. (A Concettina) Vi adoro. (A Carolina) So­no tutto tuo. (A Concettina) Paragonata a voi ogni bel­lezza impallidisce. (A Carotina) Chi ti ha visto, non ha più occhi per le altre. (Ad alta voce) Devo sistemare una piccola faccenda. Tra un momento sarò di ritorno. Sganarello, intrattieni le signore!

Sganarello                        - (preoccupato indica l'unica bottiglia salva­ta) È l'unica che ho salvato.

Don Giovanni                  - Tirale il collo! (Si allontana di alcu­ni passi)

Scena Sesta

(Carolina, Concettina, Sganarello, Don Giovanni)

Concettina                       - (a Carolina) E io ti dico che sposerà me.

Carolina                           - (a Concettina) Ti dico solo: lui ama me,

Sganarello                        - (offrendo del vino) Ah! Poverine. Ma ci volete proprio cascar dentro? Quello! Bella fatica a far­vi girar la testa! (Don Giovanni si avvicina) Datemi la sua giubba, i suoi nastri e le sue piume, e vi seduco in quat­tro e quattr'otto, i cocci poi ve li tenete! Vi do un buon consiglio: guardatevene da quello! (Nota Don Giovanni) Guardatevene da quello che parla male del mio signore...

Don Giovanni                  - Sganarello... (lo prende per l'orecchio)

Sganarello                        - Voi non conoscete il mio signore! (Qual­cuno si avvicina affrettatamente)

Scena Settima

(Carolina, Concettina, Don Giovanni, Sganarello, Marphurius)

Sganarello                        - Cosa c'è? Perché questa fretta?

Marphurius                      - (ansante) è qui dove dovrebbe aver luo­go il duello? (Presentandosi) Io sono il dottor di questa modesta parrocchia. Dottor Marphurius.

Sganarello                        - Che duello?

Marphurius                      - Tra i nobili fratelli Don Alonso e Don Carios e il nobile Don Giovanni Tenorio.

Sganarello                        - I fratelli di Donna Elvira! Sono qui nel villaggio?

Marphurius                      - Non mancherà molto. Da un'ora intera chiedevano invano in tutta la regione di questo nobilis­simo Don Giovanni Tenorio, quando un giovane pesca­tore potè loro confermare che lui è qui. (A Don Gio­vanni) Mio signore, siete voi quello? Io mi sono preci­pitato qui, per mettervi a disposizione i miei servizi nel­l'imminente duello. Signore, curarvi sarà per me un gran­de onore. Si provvede meglio in anticipo. Quando il san­gue scorre, bisogna essere pronti. (Alle ragazze) Portate delle bacinelle e della tela da camicia!

Carolina                           - Dio mio, si scanneranno!

Marphurius                      - Si, sì infilzeranno. (A Don Giovanni) Ah, signore, in queste modeste parrocchie non ci sono quasi più ferite di stoccata. Ah! La grande epoca dei duelli è passata. La chirurgia ha fatto in quel tempo più pro­gressi in dieci anni che non ne aveva fatto prima in tre secoli! La ferita di stoccata, la più elegante, la più per­fetta delle ferite, prosperava. Oggi mi si porta di tanto in tanto un braccio maciullato dai bordi di una barca, non parlo di denaro, parlo dell'arte medicale. I duelli hanno raffinato la mano del chirurgo, perfezionato gli strumenti. Con questa sonda, per esempio, ho trattato Don Malaga dopo il suo decantatissimo duello con il du­ca di Estramadura. Una ferita canale, lunga un braccio! I sopravvissuti mi rimisero questa borsa. Allora conteneva cinquanta ducati, signore. Non parlo di denaro, parlo dell'arte medicale. Quale decadenza dei costumi e delle ar­ti allo stesso tempo! (Mentre conta i passi di distanza a cui i duellanti devono stare) Avverrà che i grandi di questa terra verranno ammazzati con dei secchi da pesce. I loro delicati dissidi verranno risolti a colpi di mazza e le loro dame vendicate con coltelli da cucina!

Don Giovanni                  - Voi, bellezze, uno di quegli affari ai quali noi uomini d'onore siamo obbligati, mi costringe, a rimanere qui solo.

Marphurius                      - O tempora, o mores! O tempi, o costu­mi! La ferita di stoccata sparisce, il cranio fracassato la soppianta.

Don Giovanni                  - Se al cielo piacerà di conservarmi in vita, vi prego, rammentatevi della mia promessa e cre­dete, che prima del calar della notte udrete mie nuove.

Marphurius                      - Una sana, ma incolta popolazione si ac­cinge a imporre alla nazione le sue barbare usanze.

Don Giovanni                  - (a Sganarello) Accompagna le buone ragazze al villaggio e provvedi, che a loro non accada nulla di male.

Marphurius                      - Questi barcaioli, per esempio, che ho appena incontrati...

Sganarello                        - Che barcaioli?

Marphurius                      - Tre barcaioli, che a mala pena si sono salvati dalla burrasca di stamattina. Urlano insolente­mente nei dintorni che un nobile signore deve loro cin­quantaquattro ducati! E agitano in cicca furia i loro re­mi, e proclamano di essere stati istruiti nel maneggiarli.

Sganarello                        - Farabutti! Cinquantaquattro ducati!

Carolina                           - È a Voscenza che danno la caccia? Allora se la svigni!

Sganarello                        - Sì, meglio darsela a gambe, signore.

Marphurius                      - Trafiggete le canaglie al suolo e basta!

Sganarello                        - (alle ragazze) Implorate in ginocchio! Altrimenti siamo tutti perduti.

Marphurius                      - Sterminateli! Spazzateli via dalla faccia della terra!

Concetiina                       - (si inginocchia) Eccellenza, scappasse!

Carolina                           - (si inginocchia) Si, scappasse Eccellenza. Tra quelli c'è di sicuro il terribile Bartolo del villaggio vicino, scappasse via, scappassero, se può.

Marphurius                      - (si inginocchia) E io vi imploro di in­filzarli.

Concettina                       - Eccellenza scappassero! Un signore co­me Voscenza non si può lasciare rompere la faccia.

Sganarello                        - Arrivano, arrivano!

Marphurius                      - Voi indegne, credete che un Don Gio­vanni Tenorio sbrighi i suoi affari come uno dei vostri pescivendoli? (Strappa tela per fasciature e agita gli stru­menti per aria)

Concettina e

Carolina                           - (simultaneamente) Scappas­se eccellenza, se no quelli l'ammazzano!

Don Giovanni                  - Veramente, il gioco sembra troppo disuguale. Con la brutale violenza non voglio aver nulla a che fare. Il destino ci separa. Addio mie belle bambine, non posso rifiutarvi nulla. Sganarello, eccomi nella situa­zione di esaudire un tuo ardente desiderio. Sganarello, tu puoi indossare i miei abiti, da' a me i tuoi stracci.

Sganarello                        - Signore, a voi piace far dello spirito. De­vo morire nei vostri panni?

Don Giovanni                  - No, se non è necessario. Prepara tutto per il viaggio, si ritorna a casa! (Don Giovanni esce con Sganarello. Il medico lì segue affrettatamente)

Marphurius                      - Signore! Signore! Che ne è del duello? (Le ragazze si guardano, cominciano a ridere, la risata è tale che si devono sedere per terra)

ATTO TERZO

Scena Prima

(Don Giovanni, nei panni di Sganarello. Sganarello in quelli di Don Giovanni)

(Un parco. Tra gli alberi una costruzione bianca)

Don Giovanni                  - Dimmi, Sganarello, non siamo già pas­sati di qui? Questi alberi, questi cespugli, questi sentie­ri mi sembra di conoscerli. Questo albero centenario       non fu egli testimone di ardenti giuramenti?

Sganarello                        - C'erano molti alberi, signore, in molti luoghi, io non li distinguo. Permettete, signore, che io mi sieda un poco. L'agitazione, il peso dei vostri vestiti e non per ultimo quello di questa cesta mi hanno mol­to affaticato.

Don Giovanni                  - Sciocco, perché poi trascini questa ce­sta? Ti ho ordinato io di portarla? Don Giovanni non porta ceste.

Sganarello                        - I vostri abiti non mi hanno cosi mutato da trascurare il dovere di prender cura dello stomaco di Don Giovanni. Mangiamo, signore.

Don Giovanni                  - Furfante! Non si addice a un genti­luomo morsicare come un cane al ciglio della via un pezzo di pasticcio. Rendi più onore ai miei abiti. Com­portati come fossi me. Io mi forzerò a imitare le tue maniere. Furfante, non toccar boccone! (Mangia e beve)

Sganarello                        - (mentre Don Giovanni mangia) Io penso ancora sempre al buon dottore. Forse avrei dovuto far­mi curare da lui. Mi sento molto debole, e la mia pan­cia comincia di nuovo a tumultuare stranamente: da sini­stra a destra. La mia salute. Dio lo sa, non è la migliore, signore. (Don Giovanni gli getta un'occhiata severa) Po­trei proprio aver bisogno dì un dottore.

Don Giovanni                  - Per che cosa?

Sganarello                        - Per curarmi.

Don Giovanni            - Prendere un dottore per curarti? Se vuoi morire, prenditi un dottore.

Sganarello                        - Come, voi non credete neanche nella ma­gnesia?

Don Giovanni                  - Perché dovrei crederci?

Sganarello                        - (scuote depresso la testa) Ma lasciamo la medicina in cui voi appunto non credete. Parliamo di qualcosa d'altro. (Gli serve il vino) Direste voi allo stes­so modo: io non credo al cielo?

Don Giovanni                  - Lasciamolo quello.

Sganarello                        - Hm, vuoi dire che non ci credete. E all'inferno?

Don Giovanni                  - Eh!

Sganarello                        - Dunque neanche a quello. Al diavolo?

Don Giovanni                  - Si, si.

Sganarello                        - Neanche a quello. Ma che ne è dell'al­dilà? (Don Giovanni ride fragorosamente) Ma come la mettete con l'uomo nero?

Don Giovanni                  - Ti colga la peste!

Sganarello                        - Vedete, questo non Io sopporto. Questo è un fatto. Altrimenti chi succhierebbe di notte il san­gue ai nati di febbraio? A che cosa credete, se non cre­dete a questo?

Don Giovanni                  - A che cosa credo?

Sganarello                                   - Si?

Don Giovanni            - Che due e due fa quattro.

Sganarello                        - Una bella credenza! Meravigliosi articoli di fede. La vostra religione è dunque l'aritmetica. Quan­to a me, signore, io non ho studiato come voi. Nessuno può vantarsi di avermi insegnato qualcosa. Ma però vedo che tutto questo non è cosi semplice. Per esempio io vor­rei volentieri sapere da voi chi ha fatto quegli alberi e quelle rocce, la terra e il cielo lassù. Si è forse tutto costruito da solo? Voi, per esempio eccovi siete qui! Dunque, vi siete fatto da solo? Non ha dovuto il vo­stro signor padre pregnare la vostra signora madre per farvi? Non ammirate, come tutto nell'uomo funziona, com'è tutto ingranato       - i nervi, gli ossi, le vene, le arte­rie, questi questi polmoni, il cuore, il fegato e tutti gli altri ingredienti?

Don Giovanni                  - Sei quasi alla fine?

Sganarello                        - Dunque, c'è qualcosa di meraviglioso nel­l'uomo, per quanto voi possiate dirne. Non è qualcosa di meraviglioso, che io sia qui? Che io abbia qualche cosa nella mia testa, che pensa cento cose differenti alla vol­ta, e guida il mio corpo, come io voglio. Voglio battere le mani (dimostrando tutto) alzare il braccio, levare gli occhi al cielo, abbassare il capo, muovere i piedi, andare a destra, a sinistra, avanti, indietro, ruotare! (Si gira indietro e cade)

Don Giovanni                  - Bravo. Ma dobbiamo pensare a rag­giungere la città.

Sganarello                        - Guardate, c'è un uomo. Chiediamo a lui la via. (Appare un mendicante) Ho, ho, hou!

 

Sganarello                        - Ho, ho, hou!

Don Giovanni                  - Mangia almeno decentemente. Tu sei me, non dimenticarlo. (Sganarello comincia a mangiare, dilapidando come Don Giovanni)

Scena Seconda

( Don Giovanni, Sganarello, Mendicante)

Sganarello                        - Qual è il cammino più corto per la città?

Mendicante                     - (a Sganarello) Non avete che da seguire questo sentiero e poi a destra. Ma vi avviso, signore, dì stare in guardia. Poco fa è passata della gente dall'aspet­to pericoloso, gesticolava selvaggiamente con lunghi ran­delli e emetteva terribili minacce contro i nobili.

Sganarello                        - Ti sono molto riconoscente, amico mio.

Mendicante                     - (a Sganarello) Signore, un povero men­dicante, prega per una piccola elemosina. (Sganarello si guarda intorno sperduto)

Don Giovanni                  - Ah, a ciò che vedo, il tuo avviso non è stato dato del tutto disinteressatamente.

Mendicante                     - (a Sganarello) Sono un pover'uomo, e non mancherò di pregare il cielo che vi benedica con ogni sorta di beni.

Sganarello                        - Ti ringrazio, amico mio.

Don Giovanni                  - Dovrebbe pregare il cielo che lo be­nedica, che lo benedica con un buon mantello.

Sganarello                        - Buon uomo, voi non conoscete il signore. Lui non crede che a due e due fa quattro.

Don Giovanni                  - Qual è la tua occupazione qui nella foresta?

Mendicante                     - (a Sganarello) Di pregare il cielo tutto il giorno per la prosperità della buona gente che mi da qualcosa.

Don Giovanni            - Ti deve andare dunque bene.

Mendicante                     - (a Sganarello) Ah, signore, mi trovo nella più grande necessità.

Don Giovanni                  - Tu stai scherzando. A uno che prega tutto il giorno, gli affari devono senz'altro prosperare!

Mendicante                     - Vi assicuro, signore, il più sovente non ho una crosta di pane per la bocca senza denti.

Don Giovanni                  - (a Sganarello) Strano, molto strano, signore. (Al mendicante) La tua fatica è ricompensata male. (Ride fragorosamente) II signore ti darà un luigi d'oro, il suo ultimo, a una condizione: che tu bestemmi.

Sganarello                        - No, signore...

Mendicante                     - (a Sganarello) Ah, signore, non mi in­duca in tentazione.

Don Giovanni                  - Non hai che da scegliere: vuoi gua­dagnare un luigi d'oro o no? Eccolo. (a Sganarello) Nella tasca sinistra, furfante. (Prende un luigi d'oro dalla tasca di Sganarello. Al mendicante) Su! Prendilo, ma bestem­mia!

Sganarello                        - Ma, signore...

Don Giovanni                  - A meno di ciò non l'avrai. (A parte a Sganarello, dandogli un colpo) Sganarello!

Sganarello                        - Bestemmia un po'! Non c'è niente di male...

Don Giovanni                  - Prendilo, va', in nome del diavolo, ti dico, bestemmia!

Mendicante                     - No, signore, piuttosto voglio soffrir la fame in nome del cielo.

Don Giovanni                  - (gli da il luigi d'oro) Che balordi! Ec­colo! Te lo do per amore dell'umanità. (Il mendicante prende la moneta e esce spaventato)

Sganarello                        - Signore, dobbiamo proseguire! Sarà su­bito sera.

Scena Terza

(Don Giovanni, Sganarello, Angelica, Nutrice)

(Angelica, una ragazza in lutto, esce dal parco, con un cestino dì fiori sotto al braccio e accompagnata dalla nu­trice. Entrano nel mausoleo)

Don Giovanni                  - Ah! Che celestiale visione!

Sganarello                        - (lo trattiene) Signore, ritornate in voi! Come potreste avventurarvi sul campo dell'amore in que­sto ridicolo abbigliamento?

Don Giovanni                  - Hai perfettamente ragione. Solamente una tale bellezza poteva rendermi immemore del mio tra­vestimento. Presto, i miei abiti! Affrettati, furfante, lei uscirà subito di nuovo!

Sganarello                        - (si appresta a togliersi la giacca, malvolen­tieri) Ah... (Ha solamente slacciato il panciotto, che sì sente un fracasso terribile e i comandi dei rematori. Hanno assalito un giovane nobiluomo)

Don Giovanni                  - Che sta succedendo? Un nobiluomo assalito da tre villani?

Sganarello                        - I barcaioli!

Don Giovanni            - II combattimento è troppo impari; non posso assistere a una tale vigliaccheria. Corriamo­gli in aiuto. Io stesso non mi batto con gente che colpi­sce con travi. Nella battaglia, furfante! (Da a Sgana­rello un calcio che lo promuove sul campo dì battaglia, e si inette in disparte)

Scena Quarta

(Don Giovanni, Sganarello, Don Carlos, Rematori, Ange­lica, Nutrice)

(Pantomima del combattimento. I rematori vengono mes­si in fuga dalle grida di Sganarello non prima che il nobiluomo sia stato colpito e cade svenuto a terra. Ange­lica e la nutrice escono dal mausoleo vedono lo zop­picante gemente e mezzo svestito Sganarello e fuggono. Mentre Sganarello tenta di far rinvenire con del vino il nobiluomo, Don Giovanni indignato insegue la fanciulla fuggente)

Scena Quinta

(Don Giovanni, Sganarello, Don Carlos)

Don Giovanni                  - Presto, furfante, presto! Qui i vestiti! Sta cibando i caprioli nella radura.

Sganarello                        - (vestendo Don Giovanni, si scusa presso il gemente Don Carlos) Pazienza, giovane signore. Quan­do la giubba sarà abbottonata, avrete del vino.

Don Giovanni                  - Abbottonami ammodo, lui rinviene da solo. (La giacca è abbottonata, Sganarello fa per andare da Don Carlos) Sciarpa! (Sganarello gli allaccia la sciar­pa) Cinturone! (Sganarello è ulteriormente occupato con lui)

Sganarello                        - (a Don Carlos, che vacillante si alza) Niente di serio, giovane signore, un colpo di remo. A me m'ha colpito al ginocchio.

Don Giovanni                  - Parrucca!

Don Carlos                      - (a Don Giovanni, al quale Sganarello sta mettendo la parrucca) Signore! (Don Giovanni, il quale non è ancora completamente addobbato, gli fa cenno con un movimento della mono di aspettare)

Don Carlos                      - (una volta che Don Giovanni sarà pronto) Permettetemi, signore, che io vi renda grazie per la vo­stra nobile azione e la vostra...

Don Giovanni                  - (guardandosi attorno impaziente) Io ho solo fatto, signore, quello che anche voi avreste fatto al mio posto.

Sganarello                        - (a parte) Vuoi dire niente.

Don Carlos                      - In verità fu sufficiente il vostro apparire. Il vostro aspetto imperioso, la vostra voce, abituata a comandare... Vi meraviglia, signore, che questi diavoli si siano gettati su di me. Un disgraziato caso mi ha se­parato da mio fratello, assieme al quale questa mattina ero partito a cavallo, per risolvere una faccenda. Duran­te la ricerca mi sono imbattuto in questa banda di ma­snadieri. Non conoscendomi, mi importunarono con la storia di un nobiluomo, il quale affermavano dovesse lo­ro del denaro, e orribilmente lo diffamavano. Come feci loro rimostranze per il vergognoso insulto al nostro ran­go, si abbandonarono a tali ingiurie, tanto che io, non­curante del loro soprannumero, lì volli punire. Erano armati di remi. Ma li maneggiavano con tale abilità         - (Sganarello si inchina compiaciuto) che senza di voi e il vostro valore sarei perito.

Don Giovanni                  - Siete diretto in città?

Don Carlos                      - No. Mio fratello maggiore e io siamo coinvolti in una di quelle vicende che cosi dolorosamen­te funestano le nostre famiglie e che da noi nobili ri­chiedono estremi sacrifizi. Oh, inesorabile severità del nostro onore!

Don Giovanni                  - (a Sganarello) Corri presto! Sorveglia tu la ragazza!

Don Carlos                - Infatti, l'esito di un duello è in ogni caso amaro. Se non ci si lascia la vita, si è costretti a lasciare il regno. Il grado dì nobiluomo è un carico gra­voso. Ai nostri pari non giova né prudenza né un con­tegno irreprensibile. Le leggi del nostro onore ci assog­gettano all'arbitrio del prossimo. La nostra vita, la no­stra tranquillità e i nostri beni dipendono dal capriccio del primo mascalzone, il quale senza alcun motivo ci può infliggere una di quelle ingiurie alle quali un nobiluomo deve rispondere con l'arma.

Don Giovanni                  - Ma abbiamo il vantaggio di poter pro­curare le stesse spiacevolezze a coloro che ci annoiano. Se non è indiscreto: in che vicenda siete voi coinvolto?

DON Carlos                    - La cosa è a tal punto da non farne più un segreto. Dato che l'insulto è notorio, il nostro onore ci impone, non già di celarlo, ma di vendicarlo. Perciò, signore, vi dico senza ambagi che l'onta che noi cerchia­mo di vendicare, è quella di una sorella sedotta e strap­pata dalla sacra clausura del convento. Il malfattore è un certo Don Giovanni Tenorio, figlio dell'onorabile Don Luis Tenorio. Inseguiamo le sue tracce da questa mattina.

Don Giovanni                  - Lo conoscete voi, signore, questo Don Giovanni di cui parlate?

Don Carlos                      - Di persona no. Non l'ho mai visto. Mio fratello maggiore me lo ha descritto. La sua condotta è estremamente...

Don Giovanni                  - Signori, vi prego, non una parola di più. Don Giovanni è il mio migliore, e lo posso ben dire, unico amico. Non voglio sentirne dir male.

Don Carlos                      - Per amor vostro non dirò altro. È il mi­nimo, che possiate pretendere da un uomo, che vi deve la vita. Ma per quanto voi siate amico di questo Don Giovanni, oso sperare, che non approverete le sue azioni e che non troverete strana la nostra intenzione di pren­dere sanguinosa vendetta.

Don Giovanni                  - Io sono l'amico di Don Giovanni, non posso farne a meno, ma anche lui non dovrà ledere im-punemente l'onore del nostro rango. Vi voglio risparmia­re la pena di rintracciarlo, convincendolo a darvi sod­disfazione, dove e quando sempre voi lo desiderate. Ave­te la mia parola d'onore!

Don Carlos                      - Quale meravigliosa speranza risvegliate in noi! Signore, vi siamo molto obbligati, per quanto mi addolorerebbe vedere voi coinvolto in questo affare.

Don Giovanni                  - Sono talmente unito a Don Giovanni, che senza il mio consenso non sì batterebbe mai.

Don Carlos                      - Orribile destino! Perché debbo esservi riconoscente della vita e Don Giovanni essere vostro amico!

Scena Sesta

(Don Giovanni, Don Carlos, Don Alonso)

Don Alonso                     - (parla verso il fondo, senza vedere Don Giovanni e Don Carlos) Abbeverate i cavalli e conduce­teli poi appresso. Io proseguirò un tratto a piedi. (Vede i due) Che vedo? Tu, fratello mio, con il nemico mor­tale della nostra famiglia?

Don Carlos                      - Nemico mortale?

Don Giovanni                  - (la mono alla spada) Si. Don Giovanni sono io. Il vostro soprannumero non mi indurrà, a cela­re il mio nome.

Don Alonso                     - (con la spada sguainata) Ah, farabutto! Ora devi perire!

Don Carlos                      - Alt, fratello mio, alt! Gli sono debitore della vita. Senza di lui dei masnadieri mi avrebbe­ro ammazzato.

Don Alonso                     - E vuoi tu che una simile considerazio­ne paralizzi la nostra vendetta? Tale gratitudine è ridi­cola. E siccome l'onore è infinitamente più prezioso del­la vita, non si è debitori a colui che ci ha salvato la vita e derubato dell'onore. (Sganarello appare tra gli alberi. Con gesti concitati cerca di attirarsi l'attenzione di Don Giovanni)

Don Giovanni            - L'unica cosa di cui vi prego, signori, è che vi vogliate sbrigare nel prender la vostra decisio­ne. Ho fretta.

Don Carlos                      - Conosco, fratello, ciò che debbo al no­stro onore. Ma dovrei permettere, che questo signore porti con sé nell'aldilà una mia cambiale non riscattata?

Don Alonso                     - II cielo ci offre l'occasione di prender vendetta. Se tu non vuoi combattere, vattene. Io solo compirò il santo sacrificio.

Don Carlos                      - Fratello, t'imploro...

Don Alonso                     - No, deve morire...

Don Carlos                      - (sì para davanti a Don Giovanni) Alt, di­co io, fratello mio, alt! Non tollero, che si minacci la sua vita, qui, dove egli ha difeso la mia! Lo difenderò contro chiunque. Chi lo vuole colpire, trafigga prima il mio cuore! (Pausa)

Don Alonso                     - O imperdonabile debolezza!

Don Carlos                      - Concedimi un rinvio, fratello.

Don Alonso                     - Gli interessi della nostra famiglia...

Don Carlos                      - Verranno preservati. Don Giovanni, ve­dete che ho cura di rimettervi ciò di cui vi sono de­bitore. Concludetene, vi prego, che domani sarò ugual­mente esatto, nel rimettere l'ingiuria come oggi l'assi­stenza.

Don Giovanni                  - Signore, vi ho già dato la mia parola. Non crediate che io tema questo incontro. Ammetto che ora mi sarebbe inopportuno. Vi sono grato del rinvio.

Don Carlos                      - Siate oggi a mezzanotte nell'oscuro vi­colo, che conduce al convento.

Don Alonso                     - Là ricupereremo ciò che ora ci è fallito.

Don Carlos                      - Vieni, fratello mio. (Entrambi escono)

Scena Settima

(Don Giovanni, Sganarello)

Don Giovanni                  - Dunque, furfante, dov'è?

Sganarello                        - Signore!

Don Giovanni                  - Parla! Perché te ne stai li come se ti avesse colpito il fulmine?

Sganarello                        - Signore, mi ha colpito. Sapete che cos'è quella costruzione bianca laggiù?

Don Giovanni                  - Testa di capra, che cosa vuoi che me ne importi della costruzione, dov'è la ragazza?

Sganarello                        - Signore, quel bianco là tra gli alberi è... la sua tomba.

Don Giovanni                  - Tomba di chi?

Sganarello                        - Di quello che avete ucciso secondo tutte le regole...

Don Giovanni                  - Cosa! qui giace il governatore?

 

Sganarello                        - Che il cielo vi protegga!

Don Giovanni                  - Ah! torniamo al punto: chi è la ra­gazza?

Sganarello                        - La ragazza è la figlia del governatore.

Don Giovanni                  - La figlia! Guarda un po'.

Sganarello                        - Che voi avete derubato di padre e ma­dre! Signore, vi supplico, fuggiamo da questo luogo mal­sano. Non evocate l'ira dei morti contro di noi coi pro­lungare la nostra permanenza!

Don Giovanni                  - Come, poltrone, temi le pietre in mia presenza? Dovrò cavartela questa paura. Renderemo l'omaggio dì una visita al governatore. E tu mi accom­pagnerai.

Sganarello                        - Signore, vi prego, non entrateci, vi prego.

Don Giovanni            - Io ti comando di non aver paura. È una visita di cui sono debitore a questo signore. E se è cortese, ci accoglierà gentilmente. Vieni. (Entrano nel mausoleo tra gli alberi. Musica. Il mausoleo si apre, Don Giovanni e Sganarello si trovano davanti alla statua del Governatore)

Scena Ottava

(Don Giovanni, Sganarello, La statua del governatore)

Sganarello                        - Là! Eccolo.

Don Giovanni                  - Dio mio... nelle vesti di imperatore romano!

Sganakello                       - Come sembra autentico, signore. Come se vivesse e volesse parlare. Ci manda delle occhiate da rabbrividire... (Don Giovanni gli da un'occhiata minaccio­sa) che farebbe rabbrividire se non ci foste voi. Mi sem­bra che non sia disposto amichevolmente verso di noi, signore.

Don Giovanni                  - Sarebbe molto ingiusto da parte sua. Significherebbe non prender sul serio l'onore che gli si rende. Invitalo a cena da me!

Sganarello                        - È una cosa di cui non ha bisogno, io credo.

Don Giovanni                  - Chiediglielo, ti dico.

Sganarello                        - Voi scherzate signore, una pietra non può udire.

Don Giovanni            - Appunto! Fa', ciò che ti dico.

Sganarello                        - Onoratissimo signor governatore. (A par­te) Che mattana! (Forte) Onoratissimo signor governa­tore. Il mio signore, Don Giovanni Tenorio, vi fa chie­dere se gli volete rendere l'onore di venire a cena da lui. (La statua accenna di si col capo)

Sganarello                                   - Ah!

Don Giovanni                  - Che cos'hai? Vuoi parlare?

Sganarello                        - (limita il cenno della statua) La statua...

Don Giovanni                  - Che vuoi dire, manigoldo?

Sganarello                        - La statua!

Don Giovanni                  - La statua che? Parla altrimenti ti ac­coppo.

Sganarello                        - Ha fatto segno.

Don Giovanni                  - Ti colga la peste!

Sganahello                       - M'ha fatto segno vi dico, non c'è niente di più vero. Parlatele voi stesso!

Don Giovanni                  - Testa di pecora. Signor governatore, mi fareste l'onore di desinare, in piacevole compagnia, questa sera da me? (La statua accenna di si)

Sganasello                       - Ah!

Don Giovanni                  - (prende un pizzico di tabacco) Andia­mocene. (Escono)

ATTO QUARTO

(Castello di Don Giovanni. Terrazza)

Scena Prima

(Sganarello, Ragotin)

Ragotin                            - (con una lettera in mano, passa davanti a Sga­narello, indossa pantaloni e stivali da cavallo) La quar­ta lettera, che le devo portare.

Sganarello                        - Ragotin! Verrà o non verrà?

 Ragotin                           - Si.

Sganarello                        - Cosa si.

Ragotin                            - Verrà o non verrà. E che ne so io? Perché non dovrebbe venire? Uno potrebbe dire: perché è an­cora in lutto per la morte di suo padre il governatore. Ma che importa a me? Ho abbastanza da fare: far fuori un guardiano del suo parco, avvelenare un cane, corrom­pere! a sua governante. Lettere di qua lettere di là. Due cavalli morti per il gran cavalcare, nella stalla non ce ne sono più che tre. E che, sono miei? Dunque. Verrà, non verrà? Io non domando, io non so niente, io cavalco. (Esce)

Scena Seconda

(Sganarello)

Sganarello                        - Fortunato te! Io so troppo. Sento come su questa casa si addensa una terribile tempesta, e temo assai che il fulmine, nel colpire il padrone, colga anche il servo. Voglio che la cuoca mi profetizzi l'avvenire dalla mano. Lo sa far bene. (Chiama) Serafina! Serafina!

Scena Terza

(Sganarello, Serafina)

Serafina                    - Cosa c'è? Ho una grande cena da prepa­rare.

Sganarello                        - Appunto per questo.

Serafina                           - Che ti riguarda la cena?

Sganakello                       - Appunto questo vorrei sapere da te. Se­rafina, ho dei presentimenti, che su questa casa si stia addensando una terribile tempesta, e voglio che tu mi legga la mano. Serafina, il mio destino è incatenato a quello di un grande signore? Fa' attenzione a quello che dici!

Serafina                           - Mostra qui.

Sganarello                        - (esitante) Voglio la piena verità.

Serafina                    - (gli prende la mano) Io dico sempre la piena verità.

Sganarello                        - (ritira la mano) Ma ti puoi sbagliare.

Serafina                           - Se credi che io possa sbagliare, ritorno volentieri ai miei antipasti. Già son stufa di leggervi la mano. L'altro giorno la Giuseppina è svenuta e da allora Ragotin non mi parla più.

Sganarello                        - (tendendo un agguato) Vuoi dunque dire, che se mi dici la piena verità io svengo?

Sekafina                          - Ma se non te l'ho ancor vista.

Sganarello                        - Come no, ci hai dato un'occhiata.

Serafina                           - E io ti dico di no! E adesso ritorno alle mie carpe.

Sganarello                        - Al diavolo le carpe! Non essere sempre cosi sensibile. Eccoti la mano. Il mio destino è incate­nato a quello di un gran signore? Fa' attenzione! (Dopo una pausa) Non è incatenato, eh! (Fa tintinnare delle monete in tasca) Guardaci bene.

Serafina                           - II tuo destino e quello di un gran signore...

Sganarello                        - Fa' attenzione, ti dico.

Serafina                           - ...non sono incatenati!

Sganarello                        - Centrato. Tu leggi la mano in modo eccel­lente, questo lo devo dire. (Improvvisamente sospettoso) Sempre che ci sia scritto proprio cosi... Voglio sapere quello che c'è nella mia mano. Non quello che io deside­ro che ci sia. Vuoi dunque dire, che la mia linea della vita è lunga?

Serafina                           - (osserva la mano un certo tempo) Lunga già...

Sganarello                        - Che vuoi dire "lunga già"? Adesso mi vuoi far paura.

Serafina                    - Te l'ho detto io che voi non sopportate niente. Vado ad arrostire le mie anitre all'arancio, non è che con le chiacchiere nessuno me le riempie.

Sganarello                 - Vuoi andartene quando si parla della mia linea della vita? Quando tutti sanno che non ci si deve fidare della lettura della mano. Se sul futuro si vuoi sapere la verità, bisogna farsi fare l'oroscopo. È ca­ro, ma è sicuro.

Serafina                           - Lo dici solo perché hai paura. Non sei per niente un uomo. Lo dice anche il tuo segno della vita.

 

Sganarello                        - Hai detto tu stessa che è lungo!

Serafina                           - Si, lungo, ma sottile!

Sganarello                        - Bene, allora è sottile.

Serafina                           - Si.

Sganarello                        - Ma lungo!

Serafina                           - Bene.

Sganarello                        - Scranna, perché poi ci litighiamo? Quel­lo che voglio sapere da te è solo da che cosa mi devo guardare in particolare?

Serafina                    - E se te lo dico, poi ti metti a gridare di nuovo.

Sganarello                        - No, te lo prometto.

Serafina                           - Guardati dalle maialate.

Sganarello                        - Sciocchezze, Serafina. Il maiale lo dige­risco benissimo.

Serafina                           - Tu sei un capricorno, nevvero?

Sganarello                        - No, cancro.

Serafina                           - Allora lo digerisci davvero il maiale.

Sganarello                        - Studia bene: devo guardarmi dal pie­trame?

Serafina                           - Dal pietrame?

Sganarello                        - Si o no?

Serafina                           - (sente avvicinarsi Don Giovanni) II signore! (Scappa)

Sganarello                        - (le grida dietro) Da! pietrame? Si o no?

Scena Quarta

(Sganarello, Don Giovanni)

Don Giovanni                  - Perché gridi?

Sganarello                        - Ah, signore, non posso liberarmi dallo sgomento di quella statua parlante.

Don Giovanni                  - Lasciamo perdere. Un giuoco d'ombra può averci ingannato, o un arresto del flusso del sangue offuscato la vista.

Sganarello                        - No, signore, non lo potete negare, quel cenno era genuino. Proprio il cielo ha operato questo miracolo, perché voi con la vostra condotta...

Don Giovanni                  - Ascolta: se non mi risparmi le tue sciocche prediche, chiamo un mozzo con la frusta, ti fac­cio tenere da tre, meglio da quattro uomini, e ti farò pe­stare finché sarai tutto liquefatto. Mi hai capito?

Sganarello                        - Vi capisco, signore. Voi vi esprimete chia­ramente; è quello che c'è di buono in voi, che non an­date a cercare delle circonlocuzioni; voi esponete le cose con meravigliosa acutezza.

Don Giovanni                  - Cosi. Che ne è di Ragotin?

Sganarello                        - Cavalca.

Scena Quinta

(Don Giovanni, Sganarello, La Violette)

La Violette                      - Signore, il vostro fornitore di tessuti, signor Domenica, è qui e chiede di parlarvi.

Sganarello                        - Un creditore! Ci mancava ancor questa. Che cosa gli salta in mente di chiederci del denaro! E perché non gli hai detto che il signore non c'è?

La Violette               - Glielo sto dicendo da tre quarti d'ora, ma non lo vuoi credere. Si è seduto in anticamera e aspetta.

Sganarello                        - E che sieda e aspetti in anticamera quan­to vorrà.

Don Giovanni                  - No. Non deve. Fallo entrare. È una cattiva tattica celarsi ai creditori; conviene molto di più dare loro qualcosa. (La Violette accompagna dentro il signor Domenica)

Scena Sesta

(Sganarello, Don Giovanni, Domenica, La Violette)

Don Giovanni                  - Ma, mio caro Domenica, com'è gentile da parte vostra venirmi a trovare! Siete il primo dopo il mio ritorno. Sono molto adirato con la mia gente per non avervi introdotto subito. Avevo dato l'ordine, che non mi sì facesse parlare con nessuno; una disposi­zione alla quale naturalmente voi fate eccezione. Voi avete il diritto di trovare la mia porta sempre aperta.

Domenica                        - Signore, ve ne sono molto grato.

Don Giovanni                  - (a La Violette e Sganarello) Vi insegne­rò io, canaglie, a lasciar in anticamera il signor Do­menica!

Domenica                        - Signore; non fa niente.

Don Giovanni            - Niente? Vi si dice che io non vi sia, a voi, al mio migliore amico!

Domenica                  - Signore, vostro servitore. Sono venuto, per...

Don Giovanni                  - Presto una poltrona per il signor Do­menica.

Domenica                        - Signore, io rimango anche in piedi, se...

Don Giovanni            - Per niente. Voglio che in casa mia siate seduto.

Domenica                        - Ma non è necessario. ( Fa per sedersi)

Don Giovanni                  - Via quello sgabello! Ho detto una poltrona.

Domenica                        - Signore, voi scherzate, io...

Don Giovanni                  - No, no, io lo so, quanto vi sono debi­tore. Non voglio che si facciano differenze tra noi due.

Domenica                        - Signore...

Don Giovanni                  - Andiamo, accomodatevi.

Domenica                        - Non è proprio necessario, non ho che una parola da dirvi. Sono venuto...

Don Giovanni                  - Accomodatevi dunque, vi dico.

Domenica                        - No, signore, non vi disturbate, volevo solo...

Don Giovanni            - No, se non vi sedete, non vi ascolto.

Domenica                        - Signore, se proprio lo volete. (Si siede) Io...

Don Giovanni                  - Dunque, signor Domenica, avete un aspetto splendido.

Domenica                        - Si, signore, per servirvi. Sono venuto...

Don Giovanni                  - La salute è il vostro miglior capitale labbra fresche, guance rosate, occhi lucenti.

Domenica                        - Io vorrei...

Don Giovanni            - E come sta la signora consorte?

Domenica                        - Discretamente, signore, grazie al cielo. Pensavo.,.

Don Giovanni                  - Una brava donna!

Domenica                        - Per servirvi, signore. Speravo...

Don Giovanni                  - E come va la vostra piccola Claudine?

Domenica                        - Benissimo.

Don Giovanni                  - Ah! La vezzosa, piccola colombella! La trovo incantevole.

Domenica                        - Troppo onore, signore. Volevo...

Don Giovanni                  - E il figlioletto Paolo? Fa ancora sem­pre tanto fracasso con il suo piccolo tamburo?

Domenica                        - Sempre lo stesso, signore... Io...

Don Giovanni                  - E il piccolo cagnolino Pippo, ringhia ancora sempre cosi forte e morde ancora sempre cosi abilmente i vostri clienti nei polpacci?

Domenica                        - Più che mai, signore, non ci si riesce a disabituarlo.

Don Giovanni                  - Non vi dovete meravigliare se io mi informo su tutta la famiglia; mi sta cosi a cuore.

Domenica                        - Vi siamo molto grati, signore. Io...

Don Giovanni                  - Datemi la vostra mano, signor Dome­nica, se io ho un amico siete voi.

Domenica                        - II vostro servitore, signore.

Don Giovanni            - Io sono di tutto il cuore il vostro.

Domenica                        - Troppo onore, io...

Don Giovanni                  - Non c'è cosa che non farei per voi, questo lo sapete nevvero... tutto...

Domenica                        - Signore, troppa bontà...

Don Giovanni                  - E senza peraltro pensare al mio van­taggio.

Domenica                  - Non merito certo tanta grazia. Ma si­gnore...

Don Giovanni                  - Ah, signor Domenica, senza compli­menti, volete restare a cena con me?

Domenica                        - No signore, me ne devo subito andare. Io...

Don Giovanni                  - (si alza) Presto, gente, presto, fiaccole! fate scorta al signor Domenica! Quattro, no, cinque col moschetto lo accompagnino.

Domenica                        - (pure alzandosi) Signore, non è necessa­rio, posso andare da solo. Ma... (Sganarello tira subito via la poltrona)

Don Giovanni                  - Come! Insisto che vi sia la scorta. Io sono molto interessato al vostro buon proseguimento. Io sono vostro servitore e, di più, vostro debitore.

 Domenica                       - Ah! Signore!

Don Giovanni                  - È una cosa che non nascondo e lo di­co a tutti quelli che lo vogliono sentire.

Domenica                        - Se voi...

Don Giovanni                  - Volete che io stesso vi accompagni?

Domenica                  - Ah, signore! Voi vi burlate di me. Si­gnore...

Don Giovanni                  - Abbracciatemi, vi prego. Ah, vi prego ancora di essere certo, che io sono tutto vostro, e che non c'è nulla, che per amor vostro non farei. (Domenica viene condotto via dai servi con fiaccole e armati)

Domenica                        - Signore, io volevo...

Don Giovanni                  - (gridandogli dietro) Mandatemi due abiti della solita sorta! Mi fidanzo.

Domenica                        - Oh! (Esce)

Don Giovanni                  - Cosa c'è, La Violette?

La Violette                      - Una dama! Tutta velata.

Don Giovanni                  - Falla passare. (A Sganarello) Perché mi guardi cosi, testa di capra! Sempre paura delle pietre?

Scena Settima

(Don Giovanni, Donna Elvira, Sganarello)

Donna Elvira                   - Vi prego, Don Giovanni, non siate sor­preso di vedermi a cosi tarda ora e in questo abbigliamento. Ciò che ho da dirvi non ammette alcun indugio. Non è l'ira che qui mi conduce; voi mi vedete ben mutata da ieri mattina. Non sono più quella che vi malediceva e invocava la vendetta del cielo. Il cielo ha bandito dalla mia anima ogni peccaminoso ardore di un sensuale amo­re terreno. Io non sento per voi che una pia tenerezza, null'altro che una inclinazione tutta santa libera da ogni carnalità, che non può agire egoisticamente e solo teme per il vostro benessere.

Don Giovanni                  - (a Sganarello) Spudorato, penso per-sino che tu pianga.

Sganarello                        - Di gioia, signore.

Donna Elvira             - È questo amore perfetto e puro che mi ha condotto qui, per comunicarvi un avviso del cielo e cercare di strapparvi dall'orlo dell'abisso. Si, Don Gio­vanni, conosco le vostre sregolatezze. Il cielo mi ha ispi­rato di venire per avvertirvi che i vostri delitti hanno esaurito la sua pazienza, e che la sua terribile ira è pros­sima a scatenarsi su di voi. Sta in voi d'evitarla con un pronto pentimento. Forse non vi rimangono più che poche ore per sottrarvi alla più grande delle sciagure. Quanto a me, il mio destino è deciso. Mi ritiro nella pia solitudine del convento di Santa Regina. Ma, in questo ritiro, sarebbe per me un dolore estremo se una persona che io ho cosi teneramente amata divenisse un esempio funesto della giustizia del cielo. E sarebbe per me una gioia ineffabile se potessi deviare dal vostro capo un ter­ribile colpo che vi minaccia. Concedetemi, Don Giovanni, questa dolce consolazione, non negatemi la salvezza della vostra anima, risparmiatemi il dolore di vedervi condan­nato agli eterni supplizi dell'Inferno.

Sganarello                        - (a parte) Povera donna!

Donna Elvira             - Vi ho molto amato. Nulla al mondo mi è stato cosi caro come voi; per voi ho dimenticato i! mio dovere; per voi diedi tutto. L'unica ricompensa che vi domando è di evitare la vostra dannazione. Sal­vatevi, vi prego, per amor vostro o per amor mio. Ve ne scongiuro per tutto ciò che può toccarvi il cuore.

Sganarello                        - (a parte) Cuore di tigre!

Donna Elvira                   - Me ne vado. Questo era tutto quello che avevo da dirvi.

Don Giovanni                  - Signora, è tardi. Rimanete qui. Vi si ospiterà il meglio possibile.

Donna Elvira                   - No, Don Giovanni, non mi trattenete.

Don Giovanni                  - Signora, mi rendereste felice, se rima­neste, credetemi.

Donna Elvira                   - No, non perdiamo tempo in discorsi superflui. Lasciatemi andare subito. Non cercate di ac­compagnarmi. E pensate solamente di profittare del mio avviso         - (Esce)

Scena Ottava

(Don Giovanni, Sganarello)

Don Giovanni                  - Sganarello, che sta succedendo alla no­stra fama? Tanto nell'amore quanto in guerra la fama vale più di ogni altra cosa. La fortezza si arrende a co­lui al quale già altre fortezze si sono arrese. Lo accetta come una legge dì natura. Ad Alessandro la fama gli ha sottomesso più città delle sue forze armate. Al generale senza fama non rimane altro che combattere come un forsennato. A una sconfitta deve subito seguire una vit­toria. Hai disposto tutto per la cena, secondo le mie istruzioni? Fa venire subito i musici e la virtuosissima cantatrice Beiisa; ci dovrà abbellire il pasto con una se­renata. E manda qualcuno dalle incantevoli pescaiole. Loro dovranno portare a mezzanotte le loro ostriche e i loro gamberi. Il vino lo assaggio io.

Sganarello                        - Oh, signore! Che il cielo vi perdoni. (all’orizzonte una saetta di strana specie. Sganarello la vede con terrore, Don Giovanni ride)

Don Giovanni                  - Ancora niente da Ragotin?

Sganarello                        - (tremante) Niente. (Entra La Violette)

Scena Nona

(La Violette, Don Giovanni, Sganarello)

La Violette                      - Signore, è arrivato il vostro signor padre. All'entrata si è imbattuto in certi barcaioli, i quali, re­spinti dal guardiano al cancello, strepitano all'infuori. Gliene hanno riferite di tutti i colori.

Don Giovanni                  - (a La Violette) Va', intrattienilo alcuni istanti. (A Sganarello) Applicami un po' di bianco. (Sga­narello lo trucca) Ma sai che ho sentito ancora un certo turbamento per Donna Elvira, che ho provato uno stra­no piacere in questa bizzarra situazione, e che il suo aspetto dimesso, la tenerezza della sua espressione e le sue lacrime hanno ravvivato in me piccoli resti di un fuoco che va estinguendosi?

Sganarello                        - Volete dire che le sue parole non hanno avuto nessun effetto su di voi?

Don Giovanni                  - Ombreggiatura sotto gli occhi.

Sganarello                        - Molto bene!

Don Giovanni                  - Sganarello, bisogna pensare a emen­darsi.

Sganarello                        - Oh, si.

Don Giovanni                  - Si, veramente bisogna emendarsi. An­cora venti o trenta annetti vissuti cosi, e poi ci pense­remo. (Guizzi di lampi nel cielo)

Sganarello                        - Oh, signore, il cielo ci fa cenno. Non osti­natevi, ancora c'è tempo. Mostrate del pentimento.

 Don Giovanni                 - In un certo senso ne ho l'intenzione. Vattene. (Sganarello esce)

Scena Decima

(Don Giovanni, Don Luis, poi Sganarello)

Don Luis                         - Che devo ancora sentire di te, spudorato? Oh, quale bassezza! Oh, quale indegna condotta! Come posso io nasconderle ulteriormente agli occhi del mondo? Non lo posso più. Con quale diritto godi tu dei nostri privilegi? Che cosa hai fatto tu per esigere dal mondo il titolo dì nobiluomo? Credi tu sia ancora glorioso pro­venire da sangue nobile, quando si conduce una vita vergognosa? Non puoi più arrossire? Vuoi che si dica che un nobiluomo è un mostro della natura? Vuoi che si dica che i figli dei portatori di ceste gettano ombra sui nostri, che in quanto a virtù sono loro i migliori?

Don Giovanni                  - Padre, una voce inferiore deve avervi detto quanto io abbia bisogno di voi, per esservi preci­pitato fin qui! Ho avuto una esperienza della quale con nessuno potrei parlare, se non con voi. Voi siete solda­to, voi siete religioso, voi mi comprendete. Padre, voi ve­dete vostro figlio mutato da una miracolosa conversio­ne. Non voglio accennare alla vergognosa cupidigia, che mi fece salire su una barca col disegno di impossessarmi di una donna. Sul mare, in un fosco mattino fortemen­te ventoso, udii la terribile voce, la voce paterna, e que­sto "ritorna".

Don Luis                   - In acqua, oho!

Don Giovanni                  - Pietose pescaiole mi accolsero, gareg­giarono nel curarmi. Il loro candido chiaccherio mi com­mosse profondamente. (Entra Ragotin) Che c'è? (Ragotin gli consegna una lettera, Don Giovanni la legge con se­gni di soddisfazione e gli getta una borsa) Perdonate pa­dre. Un nuovo segno del cielo. Ma lasciate che prosegua. Poco dopo nel folto di un parco selvaggio mi imbatto in un bimbo di angelica sembianza, il quale mostra di cono­scermi. Mi prende per mano, e mi conduce dinanzi a un bianco mausoleo di stile romano. Entriamo. Mi trovo innanzi alla marmorea tomba dell'uomo al quale io ho rapito tutto, la moglie, l'onore, si, persino la vita. "Mio padre" disse la fanciulla, "desidera perdonarvi."

Don Luis                         - Perdonarti?!

Don Giovanni                  - E che credete vi sia in questa lettera? Giusto questo angelo, la figlia del governatore, annuncia la sua visita per completare il perdono. Me ne voglio dimostrare degno. (Sganarello è ritornato con due anfore di vino)

Don Luis                         - È possibile?

Don Giovanni                  - Si, padre. Tutto il mondo vedrà que­sto mio improvviso mutamento, riparerò allo scandalo che le mie azioni hanno causato e tutti i miei sforzi sa­ranno rivolti all'ottenimento del completo perdono. Que­sto d'ora in poi deve essere il mio fine e io vi prego, padre, di contribuire dal vostro canto affinché io possa proseguire sicuro nel cammino che voglio intraprendere.

Don Luis                   - Figlio mio! (Lo abbraccia) Sono venuto per parlare con te della tua nuova trasgressione, ripor­tatami da alcuni rudi barcaioli. Ma come presto si vola­tilizzano le rimostranze di un padre al minimo accenno di pentimento! Già più non ricordo le preoccupazioni che mi hai procurato, le tue parole le hanno disperse. Lacri­me di gioia segnano le mie guance. (Don Giovanni lo conduce fuori) Persisti in questo mirabile atteggiamento, e, io ti dico, tu puoi far tutto, chiedere tutto. Ritorno su­bito da tua madre, per farla partecipe di questa divina novità. (Esce)

Scena Undicesima

(Don Giovanni, Sganarello)

(Durante questa scena il tavolo viene apparecchiato. Mu­sici tra le fronde)

Sganarello                        - Ah, signore, questo è tanto che l'aspetta­vo. Può essere? Vi pentite! Grazie al cielo ora tutti i miei desideri sono esauditi.

 Don Giovanni                 - Stupido. (Scegliendo il vino) Quello.

Sganarello                        - Perché stupido?

Don Giovanni                  - Prendi per buona moneta quello che ho detto!

Sganarello                        - Come? Non è... voi non vi volete... oh, che uomo! che uomo!

Don Giovanni                  - Se ho detto, che voglio correggermi, non è che un disegno politico, una strategia bellica, una finzione necessaria, alla quale mi voglio forzare per ma­neggiare un padre e altra gente di cui ho bisogno.

Sganarello                        - Come? Non credete in nulla e volete re­citare il pio fervente! Che uomo! Che uomo! Che uomo!

Don Giovanni                  - L'uomo saggio sa servirsi del vizio del­la sua epoca, Sganarello. L'ipocrisia è il vizio ora di mo­da, e tutti i vizi di moda passano per virtù. Il ruolo dell'ipocrita offre meravigliosi vantaggi. Con un paio di smor­fie ci si associa al partito dei bigotti e al riparo di questo schermo si possono più tranquillamente perseguire i pro-pri interessi. Incontro dell'inimicizia, non ho bisogno di muovere un dito, la pia schiatta al completo mi difenderà da tutto e contro tutti. Se a un uomo onesto è proibito di soffiarsi il naso, a un ipocrita è permesso rubare tutta una città. Lasciagliela dunque rubare, Sganarello! Angeli­ca, la figlia del governatore, ha acconsentito a essere qui per la cena. Prepariamoci con cuore risoluto per l'incon­tro! Sarà una delle più gloriose e incantevoli soddisfazio­ni della mia carriera.

Sganarello                        - Ha acconsentito? Sa però chi siete, si­gnore?

Don Giovanni                  - Lo apprenderà. Da me.

Sganarello                        - Che avete sedotto sua madre e ucciso suo padre? Signore, quella è l'ultima vendicatrice...

Don Giovanni                  - ... di un bensì morto, ma, come inten­di, assai adirato padre. Ah, abbattere i sovrumani osta­coli, conquistare il cuore che ha tutti i supremi motivi per oppormi resistenza, ecco un'impresa dì me.

Sganarello                        - Signore, fino ad ora non avevo mai ri­nunciato alla speranza della vostra salvezza, ma questa è la più terribile delle sfide che mai gli avete lanciato e il ciclo non la tollererà.

Don Giovanni                  - Va', va', il cielo non è cosi esatto come pensi. La vedo entrare con passo lieve, soave, amabil­mente arrossendo. II lutto per l'ardentemente amato pa­dre getta sulla sua fronte liscia un'ombra incantevole. (Ai musici che nel frattempo hanno preso posto tra gli alberi) Son tutti pronti i miei musici tra le fronde dei miei alberi? Miei signori, il ritornello! (Musica) "Mia graziosa damigella, voi non mi conoscete, ma io voi, bene e, più ancora, conosco la vostra famiglia alla quale mi concatenano i più stretti legami dell'amore e del sangue. Giacché io son Don Giovanni Tenorio."

Sganarello                        - Speriamo che a questo punto vi cavi gli occhi.

Don Giovanni                  - Sganarello, desidererei che ci si pro­vasse. "Non risparmiatemi nulla, damigella. Feritemi, co­me volete, ma lasciatemi gli occhi, ne abbisogno da quan­do vi incontrai." La lusinga opera anche sui morti, Sga­narello. "Ah, Dio è crudele, creare una bellezza come la vostra! Ma lui sa quello che fa. Mia damigella, quando vi vidi, quando udii chi voi eravate, ho perdonato a vo­stro padre."

Sganarello                        - Come? Voi, il governatore che avete uc­ciso?!

Don Giovanni                  - Si, perdonato, non interrompermi. "Eh, mia damigella, ah, io l'ho ucciso! Eccolo di nuovo, questo rimprovero al quale egli morendo mi ha esposto. Per distruggermi non ebbe bisogno di far altro che mo­rire!" Audace, certo, ma sconcertante. "Perché non vin­se vostro padre in quel duello che io non volevo! Io non sarei più. Quanto meglio per me, che essere ora e da voi disprezzato!" Ed ora l'ultimo assalto: "Potete voi respin­gere il disperato che, con volto impallidito, già quasi nel nulla sommerge? Se lo potete, dunque liberatemi da una vita ormai inutile." Qualcosa del genere.

Sganarello                        - E chi è onesto alla lunga ha il peggio, e le bugie hanno le gambe lunghe, e ride bene chi ride primo e chi tardi arriva bene alloggia e rimetti a noi i nostri crediti, e il cammello passa per la cruna dell'ago! Ah, pensare che una personalità come la vostra può osa­re tutto, senza che una forza qualsiasi possa intervenire. Non c'è proprio nessuno che il cielo possa mandare? Non trova nessuno?

Don Giovanni                  - Hai ragione; non c'è nessuno.

Sganarello                        - Se contassi tutti assieme quelli che solo oggi si sono augurati che il cielo vi schianti...

Don Giovanni                  - Si, l'ho visto persino negli occhi del signor Domenica. Mio padre fu unicamente placato dalla ipocrisia. I fratelli di Donna Elvira sono assetati del mio sangue. E certamente ce ne sono ancora altri che ora mi sfuggono. Ma tu hai ragione: che cosa possono fare? (Guiz­zi all'orizzonte. Tuono. Scurisce)

Sganarello                        - Oh, signore, signore! Adesso è la terza volta, e adesso lo so: il cielo vi parla. Vi da un avverti­mento. (Si ode bussare)

Don Giovanni                  - È venuta. Va', aprile la porta! (Sgana­rello esce) Portate le vivande! (Ai musici) Cinguettate, miei buoni augelli! (La contatrice Bolisa si esibisce in una serenata. Don Giovanni attende inutilmente l'apparire di Angelica. Sganarello ritorna pallido come un morto)

Scena Dodicesima

(Don Giovanni, Sganarello, La statua del Governatore)

Don Giovanni            - Cosa c'è?

Sganarello                        - (imitando il gesto della statua) II... è qui.

Don Giovanni                  - Oh! Non lei? Sono deluso, non Io nego. Fallo passare. (Entra la statua del governatore) Si­gnore, avevo sperato, che veniste in due. Ma accomoda­tevi, prego. (La statua non si siede)

Governatore                    - Don Giovanni, sono venuto, per invitarti a cena. Hai il coraggio di venire con me?

Don Giovanni                  - Si, dove?

Governatore                    - Dammi la mano.

Don Giovanni                  - Eccola. Dove dovrebbe venire uno se desidera incontrarmi?

Governatore                    - Nel luogo, dove ti conduco, non ti si troverà facilmente, se si dovesse desiderare di incon­trarti.

Don Giovanni                  - (a Sganarello) Prendi una lampada.

Governatore                    - Non c'è bisogno di luce quando si è gui­dati dal cielo. (Sganarello sviene)

Governatore                    - Don Giovanni, il perseverare nel pec­cato conduce a una morte funesta. Chi esaurisce la gra­zia del cielo, traccia il cammino alla sua folgore. (La statua conduce Don Giovanni in avanti)

Don Giovanni            - Oh cielo, che sento! Una bufera di fuoco mi abbrucia. Alt! Alt! Ah! Ah! (Accompagnato da forte tuono si apre il suolo. A mano del governatore, con vano tentativo di tenersi il cappello, Don Giovanni spro­fonda. Nella buca nella quale spariscono avvampa un grande fuoco. La musica ha cessato. Sulla scena si pre­cipitano uno dopo l'altro alcuni personaggi)

Scena Tredicesima

(Sganarello, La Violette, Angelica, Domenica, I Fratelli di Elvira, seguiti dal medico Marphurius, Don Luis, I Re­matori, Le Pescaiole, Serafina)

La Violette                      - Che disgrazia! Lui non c'è più.

Angelica                   - Mi sono un po' attardata. (Vede la buca) Ah! Spaventoso!

Domenica                        - (portando due giacche) Un ricatto! I due abiti, signore,.. Ah! Il mio migliore cliente!

I Fratelli di Elvira            - Dov'è il mascalzone! Ah! L'ono­re della nostra famiglia eternamente macchiato!

Serafina                           - Ah! Chi mangia adesso le mie anitre all'arancio?

Marphuhius                     - Ah! il duello!

Don Luis                   - Ah! Figlio mio! Il mio erede!

Rematori                          - Ah! Dov'è? Cinquantaquattro ducati al dia­volo!

Pescaiole                          - Ah! Chi prende le nostre ostriche? II bel signore! (Tutti se ne stanno scossi davanti alla buca. Dall'alto lentamente svolazzando cala il cappello di Don Giovanni)

Sganarello                        - II mio salario! Il mio salario! Per carità, e i miei salari? Vorreste che vi seguissi all'inferno per farmi pagare?......

FINE