Don Giovanni innamorato

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DON GIOVANNI INNAMORATO

DON GIOVANNI INNAMORATO

di Samy Fayad

PRIMO PREMIO DEL " CONCORSO PER LAVORI RADIOFONICI" DELLA RAI

DON GIOVANNI PIZARRO

FONSECA, suo famiglio

IL BRIGADIERE CARRANZA

ELVIRA

ATALANTA

IL REVERENDO OLOFERNE

CARMEN

IL FISCALE

RUBINO

DONNA TERESA

DONNA INES

MONTEMAYOR

OLIVARES

UNA VOCE MASCHILE


Voce maschile

Accordi di chitarra.

(alenata) Della festosa accoglienza che il brigadiere Carranza si apprestò a fare ad un barbiere innamorato.

Accordi di chitarra. Sospensione.

CARRANZA {categorico) — In casa del brigadiere Carranza le donne muoiono con la voglia, ma non sposano barbieri esaltati! {Atalanta piange).

ELVIRA — In tempo di carestia di mariti, un uomo mette gli occhi addosso a nostra figlia e tu fai lo schifiltoso perché è un barbiere. Carranza, anima nera!, la ragazza ha trentasei anni.

ATALANTA — Trentasette a luglio...

ELVIRA — Trentasette a luglio.

CARRANZA — Che aspetti ancora. Quell'uomo è pazzo: i libri che legge gli hanno rammollito il cervello.

ELVIRA [con ostentata pazienza) — La ragazza ha trentasette anni, è miope... Atalanta, di' a tuo padre che numero di scarpe porti...

ATALANTA [desolata) — Quaranta.

ELVIRA — Quaranta. Vuoi concedere un difetto all'uomo che se la sposa? Carranza, io - educata signorilmente dalle suore francesi - io - nonostante la mia natura romantica - ti ho sposato ben sapendo di sposare un uomo che aveva i calli. [Minacciosa) Non lo dimenticare. Lascia dunque che il barbiere legga i libri che vuole!

CARRANZA — Non s'accontenta di leggerli. Quell'uomo parla da solo, è stato visto mentre tentava di scalare un convento; io stèsso, con questi occhi, l'ho sorpreso che declamava dei versi ad un cavallo. Ad un ca-val-lo!

ATALANTA — Oooh.

ELVIRA [rapita) — Nel suo cuore deve essere sempre primavera...

CARRANZA — Ai miei tempi, i tipi che declamavano versi ad un cavallo finivano con una corda insaponata al collo!

ELVIRA (rauca) — Carranza, nostra figlia ha la barba

CARRANZA (minimizzando) — Barba... barba... Quattro peli sotto il mento. Un po' di ceretta e se li strappa.

ELVIRA — La ceretta non serve. Non basta un rasoio a pedale. {Atalanta piange) Scusa, cara, si fa per dire. Vorrei far capire a tuo padre che tutti abbiamo i nostri difetti, che non si nega una ragazza solo perché il pretendente legge libri audaci.

CARRANZA — Porcherie: «Gli amori degli emiri>, « I segreti di Don Giovanni spiegati al popolo, « Il manuale delle pozioni ». E adesso, come se non bastasse, si è fatto mandare dalla città anche il «Vademecum dell'ipnotizzatore».

ELVIRA — E' un uomo ambizioso: vuole appartenere alla categoria dei dominatori.

CARRANZA — Elvira, quell'uomo ha un fosco avvenire: finisce con il numero cucito sul petto. Fatti raccontare come ha ridotto ieri il cordaio Ramirez, il quale, per celebrare le nozze d'argento, è andato a farsi rasare.

ELVIRA — Che gli ha fatto?

CARRANZA — La barba, secondo te? No. Quando lo ha visto disteso sulla sedia, lo ha fissato negli occhi aggrottando le sopracciglia: voleva ipnotizzarlo. Poi, visto che Ramirez, anche se vecchio, opponeva una certa resistenza, si è deciso ad insaponargli le guance. Non lo avesse mai fatto! Cinque minuti dopo, il povero uomo era disteso sul bancone del farmacista. Sì, perché l'uomo che tu vorresti per genero gli stava affondando il rasoio nella carotide! Gli stava funestando le nozze d'argento!

ELVIRA — Calunnie messe in giro dai concorrenti.

CARRANZA — Fatti. Il tuo barbiere non guarda più le guance dei clienti. No, non fa che fissarsi continuamente nello specchio, di profilo, di traverso; non fa che aggrottare le sopracciglia e scrutarsi negli occhi. Si capisce: deve acquistare uno sguardo magnetico. E mentre la lama del rasoio scorre sulla faccia del cliente, il barbiere corregge la piega delle proprie basette e l'ondulazione sulla fronte. (Categorico) Parola di brigadiere che ha fatto onorevolmente cinque rivoluzioni, se mi pongono l'alternativa: o il barbiere o nessuno, io grido: mia figlia muore zitella.

ATALANTA — Mamma...

ELVIRA — Barbaro! Al posto del cuore hai un nido di serpenti. Sei vissuto tra i soldatacci ed i bifolchi; non potrai apprezzare mai le anime nobili, gli uomini che declamano versi...

CARRANZA — Ai cavalli!

ELVIRA — ... gli uomini che coltivano il baciamano, la frase galante, e scrivono biglietti di fuoco alle ragazze.

CARRANZA — Come questo, vero? [Legge con ribrezzo) « Inarrivabile signorina, riposta la spada e lo scudo, armato di solo cuore, alla mezzanotte verrò a battagliare sotto la vostra finestra, come si conviene ad un uomo dalle costumanze galanti. Vale. Firmato: il vostro corsaro».

ATALANTA [imbambolata) — Ooh!.

ELVIRA — Perché non ho trent'anni di meno?

CARRANZA — Incominciamo a stabilire come questo biglietto è entrato in casa mia.

ELVIRA — Per la .porta, onorevolmente. E se hai un po' di considerazione per questa trentasettenne con barba, la lascerai ascoltare la serenata del barbiere e pregherai di là con me che l'uomo abbia sempre la vista corta.

CARRANZA — Tu e la ragazza andrete di là. La serenata la sto ad ascoltare io... Io e questa.

ATALANTA [con un grido di raccapriccio) — Me lo ammazza!

ELVIRA — Carranza, non scherzare con le bocche da fuoco.

CARRANZA — Il signorino ha scritto che viene a battagliare? E sia.

ELVIRA — Lascia stare quella pistola. Il carnevale è morto da un pezzo.

CARRANZA {terribile) — Lo faccio ritornare io! [Sospensione brusca).

Voce maschile

Accordo di chitarra.

(alonata) Qui si fa la conoscenza di Don Giovanni Fizarro e del suo devoto famiglio Fonseca, i quali, ignorando i propositi! carnascialeschi del brigadiere Carranza, muovono a cuore lieto all'appuntamento d'amore.

Accordo di chitarra. Passi in sottofondo.

FONSECA [con la voce del saggio assonnato) — State a sentire una voce amica, Don Giovanni. Con tutto il rispetto dovuto a un datore di lavoro: squagliamocela.

DON GIOVANNI [parla con distacco, leggermente ispirato) — Ti permetto d'assistere ad una mia avventura notturna, ti concedo di ammirare la mia tecnica perché tu mi dia dei consigli o per suonare la ohitarra?

FONSECA — Saltando il fatto che io non vi ho chiesto tanto, ina siete voi che .mi obbligate a seguirvi, pena il licenziamento in tronco, ho la sensazione che la chitarra il brigadiere Carranza ce la suona in testa, a voi ed a me.

DON GIOVANNI — Fonseca, adesso incomincio a capire perché tu, a trentacinque anni, sei ancora garzone di barbiere: sei un pusillanime. Nella vita non farai mai strada, figlio mio; mai! [Ad un essere immaginario) Gesù, Gesù, ha paura di un brigadiere!

FONSECA — Quell'uomo ha i baffi, ha la voce stentorea, ha servito la patria in artiglieria e voi adesso gli toccate la figlia.

DON GIOVANNI — Non ancora.

FONSECA — Don Giovanni, io ho avuto uno zio che, senza disprezzare i presenti, era un vanto del distretto...

DON GIOVANNI (con un sospiro) — Tu vieni con me per suonare la chitarra; non per farmi l'apologia di tuo zio.

FONSECA — Mi diceva: non pestare il callo alle milizie in tempo di pace. La pistola del militare spara da sé. Io me la squaglio.

DON GIOVANNI — Buone cose. Però non venire a piangere se il reverendo Oloferne saprà chi è l'ignoto ladro che ogni giorno spazza via il vino dalla sagrestia della parrocchia...

FONSECA [dopo una breve pausa) — Qui si ricatta.

DON GIOVANNI — Si permuta, prego: piacere per piacere.

FONSECA — Si ricatta.

DON GIOVANNI (Con aria annoiata) — Fonseca, non fare il cafone. Tu sai che l'umidità della sera mi indebolisce la voce e l'artrite mi piega le dita. Perciò ti ho chiesto il piacere di cantare e suonare per me. Ma se ti irrigidisci, l'invito lo trasformo in ordine: da principale a subalterno.

FONSECA — La pelle è pelle. Con permesso.

DON GIOVANNI — Stammi 'bene. Ti licenzio in tronco; non solo, ma questa sera stessa il reverendo Oloferne conoscerà il nome di quella mano sacrilega che ogni domenica fruga nella cassetta delle elemosine.

FONSECA [piagnucola) — Ma chi vi dà tanto coraggio?

DON GIOVANNI [con un sorriso di sufficienza) — L'amore. E se tu non fossi un garzone maleodorante, se tu avessi una coscienza galante ben formata, non tremeresti al pensiero di affrontare non dico un brigadiere, ma un'intera armata di brigadieri!

FONSECA (allarmato) — Allora bisogna affrontarlo, questo brigadiere?...

DON GIOVANNI (che incomincia a perdere la pazienza) — Non ci sarà da affrontare nessuno. A quest'ora il brigadiere Carranza dorme a gambe larghe: ho corrotto la serva; gli ho fatto bollire i papaveri nella minestra!

FONSECA (sollevato) — Oh, e solo adesso ve lo fate uscire?

DON GIOVANNI — L'ho fatto per te: ti ho usato questo riguardo, ben conoscendo il tuo cuore di agnello. E' un sacrificio, Fonseca: apprezzalo: privarmi del più grande piacere che si accompagna all'avventura peccaminosa : beffare l'importuno - padre, marito o fratello - e poi tacitarlo con la forza.

FONSECA — Don Giovanni carissimo, ma se le cose stanno così, perché mettermi tanta fretta? Corpo del diavolo, potevate almeno darmi il tempo di mandare giù un piatto caldo.

DON GIOVANNI — Il vero amatore è sempre svogliato, figlio mio. Poi, nel tuo caso, è noto che appena ingerisci del cibo ti si ottunde la sensibilità. Andiamo, cammina. (Passi: effetto di una fontana). Senti niente?

FONSECA  -  Cos’è una fontana?

DON GIOVANNI  -  Una fontana. Allora siamo arrivati.

FONSECA -  Siamo arrivati dove, Don Giovanni? Ma perchè avete  scelto una notte così buia?

DON GIOVANNI — Pensa solo a cantare e a suonare.

FONSECA -  Avete detto alla serva di farne bollire tanti di papaveri, vero?

DON GIOVANNI — Quanto basta. Ricordati le mie istruzioni: ogni tanto interrompimi per porgermi i tuoi ossequi, canta composto. Sei pronto?

FONSECA — Pronto.

DON GIOVANNI — Su il petto, aspira... Via. {Sospensione brusca). Accordo di chitarra.

Voce maschile

(alonata) Dell'indimenticabile serenata che Don Giovanni e il suo famiglio cantarono sotto la finestra di Atalanta Carranza.

Accordo di chitarra mixa.

FONSECA {canta in s. p. accompagnandosi con la chitarra) — Sotto la tua finestra - col cuor piagato canto...

DON GIOVANNI {lo interrompe. Con dolcezza) — Fonseca.

FONSECA — Comandi.

DON GIOVANNI — Meno gracchiato.

FONSECA — Non va bene cosi?

DON GIOVANNI — Fai schifo. Più gentile, ti prego, più suadente: come ti ho insegnato, un semitono più basso e metti in risalto i diesis. Su...

FONSECA {canta, lezioso) — Sotto la tua finestra col cuor piagato canto... {S'interrompe) Don Giovanni...

DON GIOVANNI — Che c'è, figlio mio?

FONSECA — Che ci trovate in questa ragazza? Ha le gambe di chi abbia servito in cavalleria, e dal modo come saluta la gente mi sa che è mezzo deficiente.

DON GIOVANNI — Fonseca, tu stai ragionando da cafone. L'amatore vero si rivela dal modo come scopre le virtù nascoste delle donne; non c'è alcun merito nell'ammiiare una donna bella e appetitosa; animale, lo fanno tutti... Ma Don Giovanni Pizarro - il ca-sti-go del-le don-ne, signori miei - scopre le bellezze nascoste, quelle che sfuggono all'occhio. Questa ragazza ha un grazioso portamento interiore, lui un sentire galante, ha dello stile...

FONSECA - Ha pure la barba.

DON GIOVANNI — Fonseca!

FONSECA - {canta in s. p.) — Sotto la tua finestra, col cuor piegato canto... - Ingrata amata mia, perchè m’uccidi tu? (una finestra viene aperta. Cigolio dei cardini).

DON GIOVANNI – Ssst! Ssst! (con voce ispirata lievemente emozionata)

CARRANZA {con voce contraffatta; imita, in falsetto, una voce femminile) — Mio corsaro...

DON GIOVANNI — Voi!... Dove siete, mio carnefice?

CARRANZA — Oh, questa crudele oscurità!

DON GIOVANNI {un po' emozionato) — Che strana voce avete...

CARRANZA — L'umido della notte. Vado soggetta alla raucedine.

DON GIOVANNI (piacevolmene sorpreso) — Come me! Vedete, dunque... il destino ci vuole uguali anche in questo... {Lirico) Oh, cara, cara, cara... {Cambia tono) Vostro padre dov'è?

CARRANZA — Dorme.

FONSECA {in s. p.) — L'ha bevuta tutta, la minestrina?

DON GIOVANNI {ringhia) — Musica!

CARRANZA — Cosa voleva dire con la minestrina?

DON GIOVANNI — Non gli badate: è ubriaco. Ditemi, piuttosto: vostro padre ha il sonno duro?

CARRANZA — Come il vostro cuore.

DON GIOVANNI — Come il mio cu...oh! (Ringhia) Musica, per favore! (In sincronismo con Fonseca, che gli offre un sottofondo di chitarra) Mai cuore d'innamorato è stato tanto molle di commozione. Quale immagine gustate che usi per descriverlo? E' come un cavallo bianco...

CARRANZA — Dagli col cavallo!

DON GIOVANNI — Prego...

CARRANZA — Ho detto qualcosa?

DON GIOVANNI — Avete detto: dagli col cavallo!

CARRANZA — Ma no,

DON GIOVANNI — Strano. (Riprende, ispirato) 11 mio cuore è come un cavallo bianco che galoppa verso l'arcobaleno; o, se preferite, poiché in amore sono anche impetuoso, esso è come lo stantuffo di un'imbarcazione. Del resto, constatate voi stessa: mettete la mano sul mio petto.

CARRANZA {civettuolo) — Davvero... posso?

DON GIOVANNI — Ma certo...

CARRANZA — Mamma mia! Calmate, vi prego, questo gran fuoco!

DON GIOVANNI — Non posso, sono un passionale, io! Oh, la vostra mano... (Gliela bacia con frenetici mugolamenti).

CARRANZA — Pazzo... pazzo. Non siate cosi impaziente!

FONSECA (in s. p.) — Gesù, Gesù...

DON GIOVANNI — Che c'è, adesso?

FONSECA (in s. p.) — Quella voce non mi piace. Signorina Atalanta, perché non provate a bere un decotto di trementina? Mio zio...

DON GIOVANNI (urla) — Musica, per piacere! (Fonseca riprende a suonare in s. p.) Dite, Atalanta, riceveste il mio biglietto?

CARRANZA — L'ho qui, sul seno.

DON GIOVANNI (barrisce) — Felice biglietto! (Lirico) Nemica mia, mio carnefice, avete letto del mio desiderio di battagliare, di piegarvi alla mia volontà... E invece, eccomi umile, senza fiato, ai vostri deliziosi piedi. Affondate un pugnale nel mio petto: sarà meno crudele dei vostri occhi, che mi respingono. Fino a quando dovrò attendere? A quali prove desiderate sottopormi prima di liberarmi dalle catene?

CARRANZA — Vorrei credere al vostro ardore, ma non posso: sono brutta io, non ho attrattive, ho la barba.

DON GIOVANNI — La barba... la barba... La vostra barba è un vezzo che dà risalto alla vostra bellezza, fatta di sfumature, tutta interiore.

FONSECA (in s. p.) — E poi c'è il detto: «donna pelosa, donna virtuosa». E anche l'altro: «donna barbuta, è sempre piaciuta». (Lunga pausa).

DON GIOVANNI (discorsivo) — Hai finito? (Pausa) Tra i péli della vostra barba, cara, si dibatte l'anima mia, impigliata.

CARRANZA — Lusingatore. Io vorrei amarvi, ma...

DON GIOVANNI — Ma?

CARRANZA — So che ad altre donne avete giurato eterno amore...

DON GIOVANNI — Mia gelosa colomba, che fa? Lo giurerò anche a voi.

FONSECA (in s. p.) — Cavaliere... (Lunga pausa) I miei ossequi...

CARRANZA — Ma ohi è che ci interrompe continuamente?

DON GIOVANNI — Un mio famiglio...

CARRANZA — Fonseca, vero? Quell'altro fetentone...

FONSECA (in s. p.) — A me?

CARRANZA — Così dice mio padre.

DON GIOVANNI (gridando) — E dice bene. Sì, fetentone! Tu sei stato invitato qui per suonare e cantare! Fonseca, tu mi stai amareggiando la serenata!

FONSECA (in s. p.) — Qui si offende... si diffama.

DON GIOVANNI — Pensa a fare il tuo dovere! Musica! (Fonseca in s. p. pizzica la chitarra e protesta tra i denti) Perdere così il nostro tempo, cara!... (Ha un momento di resipiscenza) Ma vi ho udito dire «quell'altro» fetentone, Atalanta. Chi... chi sarebbe?

CARRANZA — Vi prego... mio padre...

DON GIOVANNI — Capisco: mi osteggia. Ma la cosa non mi sorprende, poiché rientra nel modo di agire e di parlare dei brigadieri: gente rozza, ignorante, semibarbara. Mi dispiace parlare così di vostro padre, ma è la verità. Poi, sul suo conto, la so piuttosto lunga...

CARRANZA — Cosa sapete?

DON GIOVANNI — Vi prego, non sono uomo che faccia ricadere sui figli la colpa dei padri. Ma è da tutti saputo e risaputo che il brigadiere Carranza è stato uno dei più illustri imboscati della nostra epopea nazionale,..

CARRANZA — Ah sì?

DON GIOVANNI — Lo sanno perfino le pietre che le sue medaglie se le è guadagnate militando negli uffici della sussistenza, ben lontano dai fronti di battaglia, come vorrebbe far credere. Quando verrà il momento, saprò affrontarlo...

CARRANZA — Quale momento? Mi sento smaniosa... Sento un formicolio alle dita...

DON GIOVANNI — Intendo metterlo dinanzi al fatto compiuto.

CARRANZA — Quello grande... irreparabile?

DON GIOVANNI — Quello.

CARRANZA — Volete... sposarmi?

DON GIOVANNI — Sposarvi? (Ridacchia) Bambina-bambina... (Impetuoso) Fuggiamo insieme!

CARRANZA — Sì, sto fremendo d'impazienza. Avvicinatevi: voglio mettervi le braccia attorno al collo.

DON GIOVANNI (rapito) — Ripetete, cara...

CARRANZA — Voglio mettervi le braccia attorno al collo.

DON GIOVANNI — Sì... Fallo... Fallo, donna. Le tue braccia attorno al mio collo... La tua bocca sulla mia boc... (S'interrompe) Cos'è questo ispido impedimento?

CARRANZA (con la sua voce di tuono) — I baffi del brigadiere Carranza!

DON GIOVANNI — Tradimento! (Fonseca si allontana urlando).

CARRANZA — Sicché sono il più illustre imboscato della nostra epopea nazionale, eh? E con mia figlia volevi fare l'irreparabile? A pezzi ti faccio la testa! (Corpo solido battuto contro una sbarra di ferro e vibrazioni della sbarra. L'effetto - volutamente deformato - si può ottenere con un pizzicato molto profondo di contrabbasso ad ogni testata).

DON GIOVANNI — Me la sfascia! Chiamate le autorità! Fonseca, fa' qualcosa!...

CARRANZA — E adesso ti dò il resto! (Detonazione di arma da fuoco. Don Giovanni si (Montana urlando. Altre detonazioni. Sospensione brusca).

Voce maschile

Accordi di chitarra.

(alonata) Come Don Giovanni e il suo trentacinquenne garzone si inimicarono anche il clero, dopo essersi irrimediabilmente guastati con le milizie.

Accordo di chitarra.

DON GIOVANNI (viene di corsa in p. p.) — Fonseca... figlio mio... Fonseca...

FONSECA (molto discorsivo) — Sicché gli avevate fatto bollire i papaveri nella minestra...

DON GIOVANNI (molto agitato) — Ah, sei qui.,. Calma, calma...

FONSECA (discorsivo) — Avete corrotto la serva, e il brigadiere stava dormendo a gambe larghe. Io il presentimento l'avevo avuto.

DON GIOVANNI — Calma, figlio, per favore: impara a prendere le cose con la dovuta freddezza. Io ho bisogno di tranquillità perché ho patito un trauma.

FONSECA - Ve lo avevo detto che la serenata il brigadiere ce la suonava in testa!

DON GIOVANNI — Ma tu che hai capito? Il trauma che ho patito È di natura psichica: quell'uomo non ha dello stile. A duello doveva sfidarmi!

FOONSECA — Accontentatevi di quello chi vi ha fatto.

DON GIOVANNI — A duello! Dove siamo?

FONSECA — Dietro la sagrestia.

DON GIOVANNI — Ci può vedere?

FONSECA — Stando qui, no.

DON GIOVANNI — Gli voglio dare una lezione.

FONSECA —: Non vi affacciate!

DON GIOVANNI — Lasciami stare, Fonseca : sono un passionale. (Grida) Imboscato! (Fischio di pallottola vicino. Don Giovanni, di rimando) Cafone! (Discorsivo) Neh, Fonseca, non hai detto ohe non ci vede?

FONSECA — «Stando qui», vi ho detto, ma se affacciate la testa, la vede. Per piacere, lasciate stare: lo avete provocato abbastanza.

DON GIOVANNI — E lo voglio provocare ancora. Anzi, ho bell'e fatto un piano: tu adesso esci di qui e vai a sfidare a duello quell'energumeno a nome mio.

FONSECA — IL piano lo avete fatto male, cavaliere. L'energumeno lo andate a sfidare voi.

DON GIOVANNI — Anche tu sei stato offeso. Ti ha chiamato fetentone.

FONSECA — Come non detto.

DON GIOVANNI — Allora, hai paura...

FONSECA (assentendo) — Eh.

DON GIOVANNI — Tu? No, non è possibile. E' una allucinazione : uno scherzo dell'artrite. Madonna mia, tu hai paura? Tu ohe sei mesi fa hai fatto di corsa tre chilometri per annunciare che una casa aveva preso fuoco? Tu, dhe senza battere ciglio, lucidi il cannone conservato in municipio? Un uomo simile ha paura del brigadiere Carranza? (Fonseca fischietta) Bada, Fonseca, ti sei creata una fama di uomo coraggioso, ma domani, in piazza, qualcuno potrebbe mettere in dubbio le tue qualità. Allora io non potrei controbattere, contraddire, dimostrare il contrario come ho fatto fino ad oggi. Senza contare, poi, che, visto che sei un ingrato dal cuore peloso, potrei mio malgrado fare il nome dell'ignoto ladro che non solo sottrae il vino alla sagrestia, le monete dalla cassetta delle elemosine, ma che due volte, tre, quattro volte alla settimana, mangia pollo arrosto depauperando i pollai altrui.

FONSECA – Pensiamo al presente, cavaliere: l'avvenire è nelle mani di Dio. Io di qui non mi muovo, malgrado le minacce e i ricatti. Quell'uomo ha gli occhi di un gatto: al minimo fruscio, spara.

DON GIOVANNI — Ti stai comportando da vero selvaggio. Non hai dunque capito ohe devi farmi da padrino? Non hai capito che quell'uomo va riportato al rispetto del codice cavalleresco?

FONSECA — L'ho capito. Ma a voi non entra in testa che se io mi affaccio per farvi da padrino il brigadiere Carranza mi inchioda una pallottola tra occhio ed occhio?

DON GIOVANNI — Pregiudizi. In qualità di ambasciatore, godi dell'immunità. E' scritto nei libri.

FONSECA — Il brigadiere Carranza legge solamente il Corriere Militare.

DON GIOVANNI — E va bene, da quel verso non ti si può prendere. Fallo allora per la mia salute, Fonseca: ho l'asma, la febbre, il ginocchio mi si gonfia a vista d'occhio. Vuoi sentirmi il polso? (Fow-seca fischietta) Io ho bisogno di stare al coperto, in un ambiente caldo. (Incomincia ad innervosirsi) E va bene. Ti chiedo solo un piacere. Se perdo la conoscenza, o vengo afferrato dalle convulsioni nervose, se la pelle del mio corpo si coprirà di squame, ti prego, chiama il confessore e cantami un miserere. Posso sperare almeno questo dalla tua liberalità, animale?

FONSECA — Padrone mio, risparmiate il fiato. Facciamolo vincere dal sonno.

DON GIOVANNI (urla, folgorato da un'idea) — Fonseca, il confessore! Hai detto che siamo dietro la sagrestia? Qui ci dovrebbe essere allora la finestra del reverendo Oloferne.

FONSBCA — Infatti.

DON GIOVANNI — Ho fatto un altro piano...

FONSECA — Cavaliere, voi pensate troppo.

DON GIOVANNI — Svegliamo il reverendo Oloferne.

FONSECA (discorsivo) — Mi diceva mio zio: non pestare i calli al clero, figlio mio: ne va della vita eterna.

DON GIOVANNI — Ma quanto è antipatico questo zio tuo! Mi sta sullo stomaco! Ti ho messo io in questa situazione? Io te ne faccio uscire.

FONSECA — Don Giovanni, due parole: qui siamo protetti da un muro e il brigadiere non ci vede; se muoviamo un passo per prendere l'unica strada ohe ci può riportare a casa, finiamo fucilati. Ora, dico io: perdhé non restare qui al sicuro? Diamo tempo al tempo. Il brigadiere cadrà vinto dal sonno.

DON GIOVANNI — E' questa la finestra del reverendo?

FONSECA (supplice) — Don Giovanni.

DON GIOVANNI — Assecondami. (Batte colpi garbati contro la finestra) Sveglia reverendo! (Con molto tatto) Reverendo Oloferne! Un'anima cristiana chiede gli ultimi conforti. (Batte colpi a ripetizione, ma senza violenza. Finestra aperta).

OLOFERNE — Chi è che mi sfascia la casa?

DON GIOVANNI — Correte, reverendo: un'anima cristiana chiede gli ultimi conforti. Tu non dici niente, Fonseca?

FONSECA — E' vero, non si perda un secondo.

OLOFERNE — Giovanni Pizarro e Fonseca! Qui siete venuti a fare il saturnale?

DON GIOVANNI — Vi prego: jl brigadiere Carranza ha bisogno di voi.

OLOFERNE — Carranza? Oh, Dio, poveruomo... Ma se l'ho visto tre ore fa in piazza...

DON GIOVANNI — Che volete.., E' di complessione sanguigna, un tipo pletorico, destinato ai colpi improvvisi. Come voi del resto.

OLOFERNE — Come me!?

DON GIOVANNI — Dio mio, si fa per dire... Reverendo mio, non ci formalizziamo. Gli resta poco.

OLOFERNE — Prendo il cappello e la sciarpa. (Allontanandosi in s. p.) Dio mio, Dio mio, che sciagura. E che gli ha preso?

DON GIOVANNI —  IL fegato, pare. C’è il medico, al suo capezzale : gli tiene il polso nelle mani e scuote tristemente la testa.

OLOFERNE (in s. p.) — Gli hanno attaccato le mignatte?

DON GIOVANNI — Dodici ne ha fatto schiattare.

OLOFERNE (in s. p.) — Povero Carranza. (Porta-aperta. In p. p.) Andiamo. Fatemi strada : non vedo niente.

DON GIOVANNI — Ci mancherebbe altro: prima voi, reverendo. Il rispetto... Neh, Fonseca, ma debbo parlare solo io?

FONSECA — Poveri noi... Povero reverendo... povero Carranza... Ma quando il cuore non funziona...

OLOFERNE — Il cuore? Ma non era il fegato? Perché stiamo cambiando viscere?

DON GIOVANNI — Secondo me neanche il medico ha capito bene di che si tratta. Procediamo lentamente, reverendo: il buio è pieno d'insidie.

OLOFERNE (con- un sospiro) — E andiamo. (Passi ben marcati sul selciato).

DON GIOVANNI — Un momento, per favore. (Cessano i passi. Gridando) Il reverendo Oloferne porta i conforti ad un'anima cristiana. Non si spari, per favore!

OLOFERNE — Ma dico...

DON GIOVANNI (cortese) — Poi vi spiego. (Grida) Non si spari addosso ad un religioso.

OLOFERNE — Ma chi dovrebbe sparare addosso a me?

DON GIOVANNI — Voi allora non conoscete i cacciatori notturni...

OLOFERNE — Nell'abitato? E ohe cacciano?

DON GIOVANNI — Gatti. Sono dei degenerati. Vedono gatti dappertutto e sparano anche contro le ombre. (Grida) Non si spari, prego. (Senza smettere di gridare) Fonseca, tu non dici niente?

FONSECA (poco convinto, grida a sua volta) — Piano con le armi. C’è un religioso.

OLOFERNE — Che tempi! Che tempi!

CARRANZA (grida, in s. p.) — Alto là!

DON GIOVANNI — Non si spari, per favore!

CARRANZA (in s. p.) — Veramente ci siete, reverendo Oloferne?

OLOFERNE (discorsivo) — Ma questa è la voce di Carranza. (Grida) Brigadiere, ma voi non state facendo schiattare le mignatte?

CARRANZA (in s. p.) — Io? (Urla) Stendetevi per terra!

OLOFERNE (vibrato) — E perché? {Don Giovanni e Fonseca si allontanano gridando) Ohe... dico... Ehi, fermatevi!

CARRANZA (in s. p.) — Giù a terra! Buttatevi giù, maledizione!

OLOFERNE (vibrato) — Carranza, non imprecate! Oh! E poi fate il piacere di dirmi perché mi debbo stendere per terra.

CARRANZA (disperato, in s. p.) — Me li avete fatti scappare... Me li avete fatti scappare...

OLOFERNE (furente) — Siete impazziti tutti? Mi si sveglia a mezzanotte: gente che spaia contro i gatti, le mignatte, un brigadiere che impreca. Ed io che mi debbo buttare a terra! (Urla) Voglio vederci chiaro in questa faccenda! (Sospensione brusca).

Voce maschile

Accordi di chitarra.

(alonata) Come Don Giovanni Pizarro, tentando di volgere a proprio vantaggio l'interno fuoco di un'amante non riamata, ridusse in cenere la mai dimenticata taverna del « Samaritano assetato ».

Accordo di chitarra.

(La taverna del «Samaritano assetato ». In secondo piano qualcuno russa. Un avventore ribriaco alterna sbadigli a frasi mozze di una  cantilena).

DON GIOVANNI — Fonseca, la tua faccia non mi piace. Tutto questo non ti dà il batticuore? Una notte avventurosa, piena di pericoli: tante donne da amare prima che spunti il sole.

FONSECA — Voglio sapere quande che mangerò un piatto caldo e troverò un letto. Spero ohe non avrete intenzione di trascorrere il resto della notte in questa taverna!...

DON GIOVANNI — E chi si può muovere di qua? Abbiamo il clero e le milizie alle calcagna! E poi... in un orecchio... la taverna non è stata scelta a caso. Tu hai capito tutto... La taverniera è ardente e appetitosa.

FONSECA — A chi lo dite! Fin troppo ardente. Mi infastidisce.

DON GIOVANNI — Fonseca, io sto parlando di Carmen.

FONSECA — E anch'io.

DON GIOVANNI — Di Car-men : la taverniera : quel femminone tutto fianchi.

FONSECA — Anch'io sto parlando di lei.

DON GIOVANNI — Sicché ti infastidisce...

FONSECA — Proprio così: le piaccio. E le piaccio tanto che mi soffoca.

DON GIOVANNI {ride divertito) — Fonseca, ecco, adesso cominci a piacermi. Ti lamenti: il piatto caldo, la stanchezza, il letto... ma non perdi la voglia di scherzare. Sei un gattone, faceto e gioviale come tutte le persone grasse.

FONSECA — Don Giovanni, io a quest'ora non scherzo mai: quella donna mi sta sempre con gli occhi addosso.

DON GIOVANNI — Colpa tua: dovresti curare di più la tua persona: il vero signore è sempre statuario ed elegante.

FONSECA — Non è quello il motivo... Oh Dio, eccola.

CARMEN (avvicinandosi. Parla in un sussurro, sensuale e appassionata) — Fonseca... Credevo di non vederti più, questa notte...

DON GIOVANNI (saluta, cerimonioso) — Donna Carmen...

CARMEN (annoiata) — Mandalo via, questo qui. (Provocante) Posso sedermi?...

DON GIOVANNI — Ma... (L'ubriaco che canta in sottofondo chiede gridando da bere).

CARMEN — Vengo! Vengo! (In un soffio) Aspettami, torello... (Pausa lunga).

DON GIOVANNI — Questo è uno scherzo dell'artrite.

FONSECA — Da due settimane, la stessa storia. Mi mangia con gli occhi, dovunque mi vede... e appena può, via, mi si siede sulle ginocchia.

DON GIOVANNI — Lei...

FONSECA — Lei,

DON GIOVANNI — E tu?

FONSECA — Non mi piace: il mio tipo è la donna magra, esile, biondiccia e con l'erre moscia.

DON GIOVANNI — Ah, non ti piace. E ohe dice, che fa?

FONSECA — Non ne parliamo.

DON GIOVANNI — Parliamone, per favore.

FONSECA — Dice che non può vivere senza di me.

Che si taglia i polsi.

DON GIOVANNI — Lei...

FONSECA — Lei.

DON GIOVANNI — Si taglia i polsi per te.

FONSECA — Sissignore.

DON GIOVANNI — Per te, Fonseca, garzone di barbiere, di statura inferiore alla media, grasso, analfabeta.

FONSECA (assentendo) — Eh.

DON GIOVANNI — E tu?

FONSECA (CANTICCHIA) — Non mi piaceee...

DON GIOVANNI  (molto discorsivo) — No, eh?

FONSECA - No.

DON GIOVANNI (urla)  - Fesso! E poi vorrei sapere cosa ci trova in te. Sei brutto, odori di selvatico, sembri una capra!

FONSECA — Me l'aspettavo. Una donna fa pazzie per Fonseca, e il signore, che sta sempre a boc-ca a-sciut-ta, vilipende.

DON GIOVANNI — Io a bocca asciutta? Testimoni, per piacere, testimoni. Qui si sta mettendo proditoriamente in dubbio il trionfo ininterrotto di uno che svolge un'attività galante. Fonseca, sei un'istrice: io cerco di iniziarti ai segreti della seduzione e mi ricompensi mettendo in dubbio le mie benemerenze amatorie.

FONSECA — Non sono brutto e non ho odore di capra.

DON GIOVANNI — Lo sei e puzzi, e le mie rimostranze di prima erano destinate a metterti sull'avviso: si deve diffidare di una donna bella che s'innamora d'uno come te. Essa finge, sempre: il suo vero scopo è la tua posizione.

FONSECA — La « mia » posizione?

DON GIOVANNI — E che altro, allora? Tu sei l'unico a non renderti conto dell'importanza che riveste il fatto di lavorare in un salone bene avviato come il mio. Ma le donne sanno valutare, calcolare... Ecco a che cosa mira Carmen: al mio salone!

FONSECA — Don Giovanni, voi dovete consentirmi, con tutto il rispetto dovuto a un datore di lavoro: la vostra è castronaggine bella e buona...

DON GIOVANNI — Ah, sì, eh? Dammi cinque minuti e te lo dimostro. Tu dici che quella donna non ti piace. Vuoi che te ne liberi?

FONSECA — Magari!

DON GIOVANNI — Cinque minuti soltanto. (Chiama) Ehi, donna Carmen!

CARMEN (avvicinandosi) — Non l'hai ancora mandato via, Fonseca?

FONSECA — Don Giovanni deve parlarti.

CARMEN — Voglio parlare con te, non con lui. (Seducente) Vieni?... Ci appartiamo?

DON GIOVANNI — E se ci appartassimo noi due per parlare di quei fuochi d'artificio? (Pausa).

CARMEN — Che ne sapete voi?...

DON GIOVANNI — Qui ne vogliamo parlare? (Pausa).

CARMEN — Venite con me. (Passi. Una porta viene aperta e chiusa. Cessano i rumori della taverna) Dunque...

DON GIOVANNI (galante) — Da uomo che ha una certa esperienza galante, vorrei premettere una domanda : si può ragionare da amici?

CARMEN — Avanti.

DON GIOVANNI — Fumate?

CARMEN — Non qui. Volete saltare in aria? Parlate.

DON GIOVANNI — Fonseca è un ragazzo inesperto. Lasciatelo stare.

CARMEN — Inesperto...

DON GIOVANNI — Fa ancora certe domande che... Via, amica mia, non sono solamente il suo datore di lavoro: gli faccio un po' da mamma.

CARMEN — Complimenti: lo avete istruito proprio bene. Quella sera aveva imparato la lezione come il primo della classe.

DON GIOVANNI — Quale sera?

CARMEN (appassionata) — La sera in cui mi ghermì, sulla scogliera, per strapparmi il primo bacio. Un falco, sembrava, un falco dalle braccia d'acciaio. Quella bocca sitibonda...

DON GIOVANNI — La bocca sitibonda... E voi?

CARMEN — Che potevo fare, povera donna senza difesa? Voi mi vedete, sono forte... sono prestante... sono...

DON GIOVANNI — Siete dotata...

CARMEN — Ma quando lui mi bacia, divento come una pecorella al cospetto di un toro infuriato.

DON GIOVANNI — Fonseca...

CARMEN — Sì, così era quella sera : avete mai visto un toro, quando sbulffa e pare che dal naso gli esca l'anima assieme ai vapori? Così era.

DON GIOVANNI (appassionato) — Carmen, Carmen, femmina di fuoco, non date troppa importanza a quella sera e alla sfuriata taurina di Fonseca: scherzo del plenilunio è stato! Ve lo dice un uomo che, per averlo letto, sa mettete a profitto le diverse fasi del satellite. Pensate ad altro, cara: vi sono uomini che si butterebbero nel fuoco per voi, e andate invece a scegliere quel rustico che odora di selvatico. Non ha classe, Carmen; a trentacinque anni è ancora garzone di barbiere. Oh, cara, con tanti uomini che farebbero pazzie per voi, con un titano dell'amore a portata di mano; un titano che possiede anche un salone ben avviato... a buon intenditor...

CARMEN — Non agitate troppo le braccia; se fate cadere il lume, saltiamo tutti in aria.

DON GIOVANNI — E credete che esiterei a saltare in aria se voi me lo chiedeste? Carmen, vi apro il cuore. Io ho incominciato a vivere veramente dieci minuti fa, quando, rivedendovi, ho compreso di amarvi da lungo tempo senza saperlo. Vi offro tutto: la mia esperienza, il cuore, il salone bene avviato. (Lirico) Fuggiamo insieme!

CARMEN — Andiamo di là: Fonseca si spazientisce.

DON GIOVANNI — Lo vedete!? Quel giovane inesperto non ha compreso quale fortuna ha bussato alla sua porta. La vostra presenza lo infastidisce. Non è un tecnico.

CARMEN — Vi ho detto di lasciarmi uscire. O volete ohe chiami il fiscale?

DON GIOVANNI — Il fiscale? Voi? Molto bene. Allora sarà opportuno rimettere in discusione la faccenda dei fuochi d'artificio.

CARMEN — E cioè?

DON GIOVANNI — E cioè dei petardi, delle bombe, dei razzi, delle fontane e delle castagnole sbarcate clandestinamente qui; fabbricate con polvere che non paga il dazio, e venuti dalle isole inglesi e olandesi insieme alla seta e ai profumi.

CARMEN — Sapete molte cose...

DON GIOVANNI — So tutto. La gente, sotto la carezza del pennello insaponato, si abbandona volentieri alle confidenze.

CARMEN —E... ad esempio... cosa sapete?

DON GIOVANNI (ridacchia) — Ohe questa botte dall'aspetto tanto innocente non contiene rhum, come è scritto ma... (Rumore di botte scoperchiata e di oggetti riversati per terra) ... ma ben altro: materia prima per le feste piriche. E così le altre. E so che nelle casse che avete in cantina vi è seta, cosmetici e tabacco: tutta roba soggetta all'imposta doganale.

CARMEN — E tutto questo lo andrete a dire al fiscale.

DON GIOVANNI — Glielo «potrei» dire, aggiungendo che il «Samaritano assetato» è la centrale del contrabbando lungo tutta la costa settentrionale. Ma...

CARMEN — Ma?...

DON GIOVANNI — Voi potete comperare il mio silenzio : esso ha un prezzo. (Pausa).

CARMEN — Quanto?

DON GIOVANNI (in un sussurro) — Voi... (Pausa).

CARMEN (in tono discorsivo) — Tu al fiscale non dirai niente.

DON GIOVANNI (con un barrito sensuale) — Sì, sì, dammi del tu! Sono finalmente riuscito a scuoterti. Carmen, fuggiamo insieme.

CARMEN (discorsivo) — Tu al fiscale non dirai niente, altrimenti Carmen si ricorderà ohe prima di venirsi a seppellire in questo sporco paese, lavorava nel circo dei fratelli Gromo.

DON GIOVANNI — E che ci facevi, cara?

CARMEN — Mi facevo sparare nel cannone!

DON GIOVANNI — Povera cara, com'è ingrata la vita. Cosa bisogna fare per guadagnarsi il pane.

CARMEN (con un ruggite) — E se ripenso a quei giorni, mi viene il prurito alle dita e mi ritorna la voglia di maltrattare qualcuno... (Rumore di un secco manrovescio).

DON GIOVANNI (stizzito) — Ohe, dico, più garbo. Ho patito un trauma, di recente.

CARMEN (ringhiando) — ... e di saggiargli lo stomaco... (Colpo \sordo e gemito di Don Giovanni) ... e di stringergli il collo!... E mandarlo a baciare il muro. (Gemiti sordi di Don Giovanni. Oggetti che rovinano a terra. Vetri in frantumi).

DON GIOVANNI (con apprensione) — Il lume!

CARMEN — Presto, una coperta! (Scoppio di un petardo).

DON GIOVANNI (attanagliato dallo spavento) — Mamma... mamma... (Nuovo scoppio. Fischio di bengala).

CARMEN — Presto, una coperta.

DON GIOVANNI — Aiuto!... (Porta aperta. Ambientidella taverna) Fonseca! (Pausa) Fonseca, che diavolo stai facendo?

FONSECA (sbadiglia) — Lo sapevo!... Stavo per farmi dieci minuti di sonno.

DON GIOVANNI —Scappa... Ventre a terra!

FONSECA — Ma... {Scoppi in s. p. Fischi).

DON GIOVANNI — Saltiamo in aria! {Passi di corsa. Scoppi e fischi in crescendo, ma sempre in sottofondo).

FONSECA {affanna) — Cavaliere... il fiatone... (Urla) Sostaaa!

DON GIOVANNI (affanna) — Non ti fermare! (Passi di corsa).

FONSECA (affanna, piagnucolando) — Ma che avete in testa, questa notte? Avete giurato la distruzione di Fonseca? (Disperato) Sostaaa!

DON GIOVANNI — Pensa a ringraziarmi, piuttosto. Di quella donna ti ho liberato per sempre!

FONSECA — L'avete uccisa?

DON GIOVANNI — Le ho detto il fatto suo. Ecco, adesso ci possiamo fermare. (Cessano i passi. I due affannano) Non era degna di te, Fonseca. Mio povero amico, in quali mani stavi per cadere. Ne ho viste di donne calcolatrici, in vita mia, ma come quella mai. Non te voleva, ma la tua posizione: avevo visto giusto. E quando io, per saggiare il terreno, le ho offerto me stesso, il mio salone, la mia agiatezza, come per incanto sei sparito dal suo cuore. Lo sdegno è stato tale che siamo venuti alle mani. Il resto lo puoi intuire: colluttazione, è caduto il lume a petrolio, i fuochi artificiali solo quello aspettavano...

FONSECA — E che ci fanno i fuochi artificiali al «Samaritano assetato»?

DON GIOVANNI — Ma come... tu non sai che...

(Passi di corsa vengono in p. p.).

IL FISCALE — Ehi, voi due... Che sta succedendo al « Samaritano »?

DON GIOVANNI — Il fiscale!

FONSECA (mistico) — Signore, mi pento amaramente dei miei peccati e mi propongo di non offendervi più...

IL FISCALE (in p. p.) — E allora?

DON GIOVANNI — A quanto pare fanno festa.

IL FISCALE — Ma allora è per partito preso che non mi fanno dormire. Prima la raccolta di volontari e adesso...

DON GIOVANNI — Volontari?

IL FISCALE — Il reverendo Oloferne e il brigadiere Carranza stanno svegliando mezzo paese: danno due scudi a testa.

FONSECA - .....E quali intenzioni hanno?

IL FISCALE — Si stanno armando di bastoni e forconi.

DON GIOVANNI (un po’ vibrato) — E nessuno che abbia detto a quei valentuomini che la miglior vendetta è il perdono?

IL FISCALE — Vendetta?... (In sospetto) Ma dico... voi due.

DON GIOVANNI (subito) — Signor fiscale, volete fare il più grosso colpo della vostra carriera? Spingetevi fino al « Samaritano assetato » : è il covo dei contrabbandieri, quello che cercate da anni...

IL FISCALE — Voi che dite...

DON GIOVANNI — Parola di Giovanni Pizarro...

IL FISCALE — Venite, allora... Datemi una mano.

DON GIOVANNI — Noi stiamo seguendo una traccia. Poco fa hanno sbarcato un carico di fuochi d'artificio. Lo stesso al quale io, modestamente, ho avvicinato una candela.

II. FISCALE — Don Giovanni, se è vero quel che dite, il governo ci fa sede di una sottoprefettura...

DON GIOVANNI — Volate sul posto, allora. Fonseca andrà in paese e indirizzerà qui i volontari... Io seguirò la pista che mi porterà ai capi... Ci vediamo più tardi nella piazza.

IL FISCALE — Se è vero quel che dite, io vi nomino vice fiscale... A più tardi. (Si allontana gridando) Fate largo alla legge!... (Pausa. In s. p. continuano gli scoppi e i fischi).

DON GIOVANNI — Dunque, mio caro Fonseca: se andiamo verso il paese, i volontari ci accolgono in punta di forconi... Se ritorniamo verso il « Samaritano», tra il fiscale e la taverniera ed cucinano... Non ci resta che l'isola dei Galli.

FONSECA — E come ci andiamo?

DON GIOVANNI — Anche a nuoto.

FONSECA — A che?

DON GIOVANNI — A nuoto.

FONSECA (supplice) — Don Giovanni, io parlo all'artista... all'uomo che ha una certa esperienza e una artrite in stato avanzato...

DON GIOVANNI — E allora, come ultimissima via d'uscita, prendiamo la selva: imboschiamoci...

FONSECA — Così... a quest'ora... senza una coperta sulle spalle...

DON GIOVANNI — Allora dimmi tu... (Pausa).

 FONSECA — E imboschiamoci. (Triste) Io il presentimento lo avevo avuto... (Piange dirotto) Il cerchio si chiude... (Sospensione brusca).

Voce maschile

Accordi di chitarra.

(alonata) Di quel che nel bosco si dissero i due sventurati, del nuovo disegno accarezzato da Don Giovanni e dell'incontro che fecero, con un povero diavolo chiamato Rubino.

Accordo di chitarra.

(Il bosco. In s. p. Cicale, rane)

DON GIOVANNI (rimuginando) — Un toro infuriato! Per dieci anni nutrì un dipendente mezzo scemo, e un giorno vieni a scoprire che è un toro infuriato. (Pausa) Fonseca!

FONSECA (debolissimo) — Comandi.

DON GIOVANNI — Non dormire.

FONSECA — Non dormo.

DON GIOVANNI — Com'è che non ti sento, allora?

FONSECA — Questo è l'appisolamento ohe precede la morte.

DON GIOVANNI — Aiutami a ragionare. Io sto cercando di stabilire come mai un essere brutto dall'odore caprino, di statura inferiore alla media, può apparire come un toro inferocito agli occhi di una donna.

FONSECA (debolissimo) — Le donne hanno la vista falsa.

DON GIOVANNI — « Quella » donna, poi : statuaria, fiancuta, dotata di illustri protuberanze... Si innamora di te e non di me, un titano dell'amore...

FONSECA — Discutibili preferenze di donna...

DON GIOVANNI — Questo è il punto... (Sommamente stupito) Ti preferisce a me!... (Pausa) Dunque, è finita. (Molto commosso) E' finita...

FONSECA — Faccio appello alla vostra generosità, cavaliere. Mi avete privato di un piatto caldo e di un Ietto, dalla caduta del sole mi tenete saldamente in vostro potere. Lasciatemi finire almeno in silenzio la mia disgraziata vita.

DON GIOVANNI (che non gli ha badato; stupito, in un sussurro) — Tutto inutile: anni di preparazione severa, di lotta, lunghi studi per temperare il morale, notti intere trascorse sui manuali degli esperti. Io non sono nato così, Fonseca, no: mi son fatto. Io sono l'effetto dell'applicazione, della diligenza nello studio. La natura mi ha dotato di 'bellezza nel fisico e magnetismo nell'occhio. Il resto l'ho conquistato io. Ed ora... tutto... tutto appare inutile.

FONSECA (con uno sbadiglio) — Eeeh! La vita è fatta d'imprevisti.

DON GIOVANNI (assai commosso) — Fonseca, amico carissimo, compagno e testimone della mia sventura. Permetti che ti abbracci. No, non sto per chiederti nulla, all'infuori di un po' di sopportazione per un uomo infelice. Non ti parla il tuo principale, ma il fratello. Ho paura, Fonseca: il presentimento l'ho io, adesso: temo che soccomberò in seguito a un insulto cardiaco. Vedi, io non riesco a capire ciò che mi sta accadendo. Nei libri che ho letto e sui quali mi sono formato, non è mai accaduto: io m'innamoro di tutte le donne, le amo tutte, anche quelle che non conosco. Amo un gomito che sporge da un balcone, una mano che si tuffa nell'acquasantiera, l'odore fresco di sapone ohe lascia dietro di sé la chioma di una ventenne e il collo opulento della vedova Santamaria. Tutte le amo... e nessuna ama me... Proprio il contrario di quel che accade al Don Giovanni dei libri.

FONSECA — Voi siete troppo irrequieto, cavaliere mio: non date tempo al tempo, passate di fioTe in fiore. Nella vita tutto è questione di metodo. Io, vedete - vi faccio un esempio - sono abituato ogni sera a mettermi nello stomaco una cosa calda... Se una sera...

DON GIOVANNI (singhiozzando) — E' finita... Don Giovanni...

FONSECA — Andiamo... non fate il bambino... Alla vostra età! Diceva mio zio... (Pausa).

DON GIOVANNI (discorsivo) — Tuo zio. (Pausa, riprende a singhiozzare) Sì, parlami di tuo zio. Che ti diceva?

FONSECA — Era un uomo che amava molto l'equilibrio. Nel vostro caso, giacché avete il pensiero sempre fisso in un'idea, vi avrebbe consigliato di fare lunghe camminate in campagna o sulla riva del mare, e dedicare almeno un'ora del giorno alla ginnastica atletica. E poi, per occupare dell'altro tempo vi avrebbe spinto a qualche studio impegnativo: che so, le matematiche, per esempio.

DON GIOVANNI (sempre commosso) — O l'idraulica, che mi ha sempre interessato; sin da ragazzo, sai? Le matematiche sono aride.

FONSECA — L'idraulica andrebbe bene lo stesso.

DON GIOVANNI — E come fare, poi, per spegnere questo gran fuoco che mi arde dentro?

FONSECA — Salassi e mignatte dietro l'orecchio. (Pausa).

DON GIOVANNI (calmo) — Fonseca, sai che ti dico? : tuo zio doveva essere una persona di cervello. Farò tesoro dei suoi suggerimenti. Sì, atletismo, podismo, mignatte, idraulica, e magari un rigoroso regime dietetico.

FONSECA — Questo è parlare. In quanto alle donne, siate parco. Innamoratevi ogni quattro anni. Il vostro motto sia: « Una donna ogni anno bisestile ».

DON GIOVANNI — Se tu sapessi, mio caro, come sono toccanti le tue parole. Da domani, cambio programma di vita.

FONSECA (umile) — Prima di risolvere il « vostro » problema, sarà bene pensare al nostro. Dove siamo? Dove andiamo?

DON GIOVANNI (comprensivo) — Non hai tutti i torti, amico mio. (Pausa) Che ne diresti se ritornassimo al paese dando grandi manifestazioni di pentimento e facessimo una bella confessione generale?

FONSECA — Se torniamo al paese, la confessione generale ce la fanno accompagnare all'Estrema Unzione.

DON GIOVANNI — Vedo. (Con un sospiro) Siamo in guerra! (Con molta semplicità) Potresti andare tu in avanscoperta, con un panno 'bianco. Sai, in guerra si usa: saresti una specie di pattuglia avanzata.

FONSECA (secco) — No.

DON GIOVANNI {con un sospiro) — E non hai tutti torti. Ah, se il diavolo non ci avesse messo la coda.

FONSECA  — IL diavolo e voi. (Pausa).

DON GIOVANNI (in un sussurro) — Il diavolo!... (Pausa. Forte) Fonseca! Sto accarezzando un disegno folle!

FONSECA — Un altro! Veramente avete bisogno delle mignatte dietro l'orecchio. Voi pensate troppo, cavaliere!

DON GIOVANNI — Evochiamo il diavolo e facciamo un patto con lui.

FONSECA (discorsivo) — Il diavolo...

DON GIOVANNI — Stupido, stupido. Perché non ci ho pensato prima?

FONSECA — Don Giovanni, io parlo di nuovo all'artista, all'uomo di mondo...

DON GIOVANNI (che segue sempre il suo pensiero) — Gli chiederemo una pozione o una pillola che, una volta ingerita, ci renda irresistibili... Avremo tutte le donne ai nostri piedi.

FONSECA — Ma non si era risolta la questione? La ginnastica, il podismo, le mignatte...

DON GIOVANNI — Io 'ho spirito che si rinnova di ora in ora. Sii come me : diventa ambizioso anche tu.

FONSECA — Gli ambiziosi non dormono, ed io ho sempre tanto sonno. Non voglio niente, non aspiro a possedere niente. Mi è rimasta una cosa sola: la speranza di guadagnarmi il Paradiso per farmi tante dormite... Il Purgatorio lo sto patendo già su questa terra, grazie a voi... E adesso volete farmi perdere quest'unica speranza?

DON GIOVANNI (confidenziale) — Conosco il modo di farlo fesso.

FONSECA (forte) — Far fesso il diavolo?

DON GIOVANNI — Ssst! Non ti far sentire. (Parla nel naso, confidenziale e misterioso) Tu che hai capito? Dopo stretto il patto, le pillole in cambio delle nostre anime, chiediamo un periodo di prova non inferiore ai ventiquattro mesi. Il resto l'hai capito.

FONSECA — No.

DON GIOVANNI — Me l'aspettavo. Noi, i periodi di prova li facciamo diventare tre, quattro, cinque...

FONSECA — E secondo voi quello accetta?

DON GIOVANNI — Pur di avere un'anima, si giocherebbe la propria ai dadi. Il trucco ormai l'hai capito. Arrivato il momento di saldare i conti, una bella confessione generale e te lo vedi scappare lasciando puzzo di zolfo.

FONSECA (ridacchia) — Capisco il vostro desiderio di tenermi sveglio e allegro, ma adesso basta: pensiamo a cose serie, al modo di poter uscire da questo bosco...

DON GIOVANNI - Gesù, ma fino a questo momento che cosa ho detto?

FONSECA -     Se permettete, un mucchio di sciocchezze. Non mi vorrete dare a intendere di poter evocare il diavolo così, di punto in bianco...

DON GIOVANNI — E' la cosa più semplice del mondo..

FONSECA — Voi... proprio voi... un uomo che ha letto tanti libri crede che sia possibile una cosa simile?... Ma andiamo, in nessun libro avete trovato stampato che il diavolo si fa vivo solo nella prima domenica di maggio? Oggi è giovedì e siamo in luglio...

DON GIOVANNI — Fonseca, la tua sicumera è pari soltanto alla tua superstiziosa ignoranza. Non capisci niente di niente e vai sputando sentenze! FONSECA — Io mi permetto di dire una sola cosa : non compare.

DON GIOVANNI — Compare!

FONSECA — Fatelo venire, allora. Io aspetto.

DON GIOVANNI — Due minuti e ti servo.

FONSECA (ridacchia) — Voglio farmi due risate.

RUBINO (in s. p.) — Cè qualcuno qui?...

FONSECA (di soprassalto) — Chi... è?

DON GIOVANNI — Fonseca, che hai sentito?

RUBINO (C. s.) — Cè qualcuno?

DON GIOVANNI E FONSECA (ad una voce) — Chi è!?

RUBINO (avvicinandosi) — Buona sera, signori.

DON GIOVANNI (attanagliato dalla paura) — Chi

siete?

RUBINO (in p. p.) — Mi chiamo Rubino. Sono un povero diavolo. (Tonfo di due corpi umani, uno dopo l'altro. Sospensione brusca).

Voce maschile

Accordi di chitarra.

(alonata) Qui si apprende chi era Rubino, donde veniva, dove andava.

Accordo di chitarra.

(In sottofondo ambiente del bosco).

RUBINO (con apprensione) —. Signori, signori...

DON GIOVANNI (rinvenendo) — Chiamate il confessore... Portatemi un cordiale...

RUBINO — Non vi sentite bene?

DON GIOVANNI (con raccaprìccio) — Non mi toccate! Fonseca... dove sei?

FONSECA (con voce proveniente dal sottosuolo) — Lasciatemi morire...

RUBINO — Povero signore piccolo e grasso!

FONSECA (piagnucolando) — «E sfotte pure!

RUBINO — In nome di Dio, che posso fare per voi?

DON GIOVANNI — In nome di chi?

RUBINO — Di Dio. (Pausa),

DON GIOVANNI — Ma dico: non hai detto di essere un diavolo?

RUBINO — Sì... Un povero diavolo cacciato via dalle sue padrone dopo vent'anni di lavoro.

DON GIOVANNI — Dalle padrone?... (Tossicchia) Fonseca... su...

RUBINO — Sì... Tutto il giorno, Rubino qua, Rubino là: peggio di un negro. E qual è la ricompensa? Mi cacciano via.

DON GIOVANNI — Fonseca... hai sentito? Su, in piedi: il vero signore è sempre statuario ed elegante. Bene, bene, Rubino. Sicché ti hanno mandato via, ti sei sperduto nel bosco, hai udito le nostre voci e ti sei avvicinato. E perché sei stato cacciato via?

RUBINO — Vogliono due uomini che sappiano raccontare storie, ed io non riesco a trovarli. E li vogliono anche statuari ed eleganti. (Pausa).

DON GIOVANNI — Come li vogliono?

RUBINO — Statuari ed eleganti. (Pausa).

DON GIOVANNI — Tu allora vuoi sfottere...

RUBINO — Ma signore, io sono un povero diavolo...

FONSECA — S'è capito!

DON GIOVANNI — Sicché cercano due uomini statuari ed eleganti. Bene, andiamo... RUBINO — Dove?

DON GIOVANNI — Senti, Rubino, io lascio passare la cosa solo perché il buio ti impedisce di vedere bene. Siamo intesi?

RUBINO — Volete dire che voi due?

DON GIOVANNI — Io... Servo per due.

RUBINO — Sia ringraziato il cielo. Grazie, signore. Seguitemi. (Possi sulle foglie secche).

DON GIOVANNI — Come mai le tue padrone sono così assetate di compagnie eleganti e di storie bene narrate?

RUBINO — Si annoiano, tutte sole, in una villa così grande e bella...

DON GIOVANNI — Vedove?

RUBINO — Non ancora. Ma è come se lo fossero. I mariti sono sempre via. Affari, affari...

DON GIOVANNI — Lana? Seta? Idrocarburi?

RUBINO — Non l'ho mai capito troppo bene. Loro dicono: importazione.

FONSECA — Dimmi una cosa, giovanotto: c'è molto cammino da fare?

RUBINO — Mezzo miglio e siamo arrivati.

FONSECA — Vi sarà un postò dove stendersi a dormire?

DON GIOVANNI — Dormire? Fonseca, anima di marmo, cuore di vecchio rimbambito, accorda quella chitarra.

FONSECA (come tra sé) — Basta che trovi un piatto caldo... (Sospensione brusca).

Voce maschile

Accordi di chitarra.

(alonata) Dell'accoglienza che a Don Giovanni e al suo famiglio fecero nella loro grande villa le due dame solitarie, con la mai abbastanza lodata battaglia combattuta in campo aperto dal nostro indomabile cavaliere.

Accordo di chitarra.

TERESA — Che aspetto gentile!

INES — Benvenuti, signori. Entrate.

DON GIOVANNI — Chiedo la parola. (Pausa) Guardate, signore, l'occhio imbambolato di questo giovanotto; notate il pallore che mi copre la fronte. Il nome di questo fenomeno?

FONSECA — Fame.

DON GIOVANNI — Simpatia a prima vista. Io sono il padrone di un salone ben avviato; so cantare, chitarrate e narrare storie; questo giovane ha un brillante avvenire. (Presentandosi) Don Giovanni Pizarro e il suo fedele assistente Fonseca baciano umilmente i vostri piedi.

TERESA — Oh, che galanti. Siamo Teresa Montemayor...

INES — ...e Ines Olivares. Ma entrate, dunque.

DON GIOVANNI — Grazie. L'ospitalità che ci offrite, belle damine, l'accettiamo come rifugio politico.

TERESA (con ammirazione) — Vi siete contrastati col governo?

DON GIOVANNI — Se per governo intendete le sue diramazioni capillari, ebbene, sì. Siamo inseguiti dal clero e dalle milizie.

INES — Si vede: avete l'aspetto stanco, il viso patito...

FONSECA — Il digiuno, donna Ines, la veglia prolungata...

INES — Poveretti. Mettetevi a sedere.

DON GIOVANNI — Ma che bella casa : fastosa e accogliente; mi ci sento a mio agio. Sapeste cosa mi ricorda...

TERESA — Che cosa, Don Giovanni?

DON GIOVANNI — Questi cuscini per terra, questi tendaggi, i tappeti; scommetto che avete anche le tazze per bruciare l'incenso...

TERESA — Infatti, dietro le tende.

DON GIOVANNI — Lo immaginavo: mi ricorda l'accogliente, la fastosa, la misteriosa casa del mio caro amico l'emiro Ben Nassu... là.. nell'Arabia...

TERESA — Siete amico di un emiro!...

DON GIOVANNI — Più di uno, a dire il vero. Ma a Ben Nassu sono particolarmente legato da vincoli di amicizia. Sapete... (Allusivo) Ricordi giovanili.

TERESA (con intenzione) — Uhu...

INES — Poi ci racconterete, eh? Intanto, c'è qualcosa che possa farvi comodo?

FONSECA — Se non è di troppo distrubo, qualcosa di caldo da buttare nel sacco.

DON GIOVANNI (con dólce rimprovero) — Fonseca! (Con un sorriso) Scusatelo, belle damine, ma non è molto al corrente delle usanze del bel mondo.

INES — Lasciatelo dire, poveretto. Del resto a un esiliato tutto è permesso.

FONSECA — Grazie, donna Ines.

INES — Piuttosto, signor Fonseca, temo di potervi offrire ben poco. E' quasi l'alba e non preveda-vamo... Se vi accontentate di un poco di agnello. Come lo preferite?

FONSECA -  L'agnello, donna Ines, o si mangia in guazzetto o niente. Ma non sono in condizione di poter scegliere. Vada per come si trova.

INES (CHIAMA) -  Rubino!

RUBINO (in s. p.) — Comandi.

INES — Vi deve essere ancora dell'agnello. Metti in tavola per il signor Fonseca.

RUBINO (in s. p.) — Va bene, signora. Nient'altro?

FONSECA — Dato che ti trovi, Rubino, aggiungi un paio di cipolle, cetrioli, ravanelli, origano e olio.

RUBINO (in s. p.) — Subito.

TERESA — Ditemi, don Giovanni: a che cosa è dovuta l'animosità del clero e delle milizie nei vostri riguardi?

DON GIOVANNI — Vi sono certe domande, signora, alle quali un gentiluomo non dovrebbe rispondere per amor di discrezione. Ma la simpatia che voi mi ispirate è tanta ohe voglio fare un'eccezione. Ebbene, io sono un uomo dal passato tempestoso, cosa del resto tradita dal mio aspetto; ho alle spalle anni di scorrerie amatorie; ho riportato un certo successo in giro dovuto in parte alla fierezza del mio sguardo e in parte a un certo saper fare che ho appreso andando un po' in giro. Ciò, come potete facilmente immaginare, mi porta ad essere al centro dell'attenzione femminile del paese. Il quale, ahimé, non è altro che un paese... con i suoi pregiudizi...

TERESA — Sia ringraziato il cielo! Finalmente qualcuno che ha qualcosa da raccontare!

INES — Siamo rinchiuse qui come due suore, lontane dal mondo, lontane dalla gente. I nostri mariti...

FONSECA — Dove sono?

INES — Sempre lontani. Il lavoro! Come se la vita fosse fatta di solo lavoro.

DON GIOVANNI — E non vengono mai a trovarvi?

TERESA — Tanto di rado. Vengono a visitare le prigioniere.

DON GIOVANNI — Scusate se insisto sull'argomento, ma quando vengono, donna Teresa, avvertono prima? Voglio dire: conoscono l'uso del telegrafo? Spediscono qualche corriere?

TERESA (con intenzione) — Vengono così di rado : ogni tre mesi. E sono partiti appena sei giorni fa... Ma adesso, raccontate. Dicevate poc'anzi di aver viaggiato molto. Dove?

DON GIOVANNI — Da giovane presi imbarco su un veliero. Un po' d'Africa, l'Europa, un pizzico d'Asia... molto Medio Oriente. (Pausa) Hai detto qualcosa, Fonseca?

FONSECA — No, sto a sentire.

DON GIOVANNI — Ho visitato paesi dove la danza del ventre si mescola al delitto passionale, altri dove le donne uccidono con il solo ausilio degli occhi; altri infine dove è possibile acquistare una schiava per una manciata di spiccioli.

TERESA – E voi ne avete acquistate tante?

DON GIOVANNI — Con le donne, signora, sono bastate sempre le mie doti personali.

TERESA — Come siete in amore?

DON GIOVANNI — Geloso, ardente, impetuoso e tirannico! (Pausa) Tu hai parlato, Fonseca?

FONSECA — No, signore: sto sentendo.

RUBINO (in s. p.) — L'agnello e gli ortaggi per il signor Fonseca sono a tavola.

INES — Vi posso accompagnare io?

FONSECA — Ne sono lusingato, signora. (Si allontanano. Porta aperta e chiusa).

TERESA — Ed ora che siamo soli, dovete raccontare tanto, tanto... Le vostre avventure in Arabia, volete?

DON GIOVANNI — Volentieri.

TERESA — Aspettate, ho qui un disco. (Musica orientale di maniera in sottofondo) Ditemi, Don Giovanni, il mio sospetto è fondato? Voi siete il tipo d'uomo che in amore diventa brutale e manesco. Voi comperate una donna al mercato delle schiave per una manciata di spiccioli e poi la maltrattate.

DON GIOVANNI — Esperta! Come fate a dirlo?

TERESA — Certe cose le fiuto. Allora, dite, è vero?

DON GIOVANNI (in un sussurro) — Sì...

TERESA (rapita) — Oh!

DON GIOVANNI — Le donne le ipnotizzo, anche: rammollisco la loro volontà con il solo ausilio degli occhi, della parola unita alla pausa sapiente, del gesto allusivo. Non sono un falso modesto, amica mia... permettete che vi chiami col dolce vocativo di amica?

TERESA — Ma certo...

DON GIOVANNI — Vi dicevo che, modestia a parte, come me si nasce sì e no ogni cinquantanni. In questo cinquantennio sono nato io... E basta.

TERESA — Vi credo, amico mio. Avete un portamento così fiero.

DON GIOVANNI — Avete fatto caso agli occhi?

TERESA — Non si resiste ai vostri occhi.

DON GIOVANNI — Vi prego, non sono in luce. Ecco, guardate così, di fronte.

TERESA — Oooh!

DON GIOVANNI (esaltato) — Signora, dovete consentirmi: io sono passionale di natura, e, pur conoscendovi da poco, credo di sapere tutto di voi. Mi sento travolto, macerato: in me sta ruggendo una pira funesta. Donna Teresa, avete toccato, con uno sguardo solo, la parte più sensibile del mio cuore. Ebbene: fuggiamo insieme!

TERESA (urla) — Sì! (Pausa).

DON GIOVANNI — Prego?

TERESA — Sì... Sì... Ma prima raccontate, vuotate il sacco fino alla fine. (Sensuale) Mercenario... Pirata... Raccontate, dunque

DON GIOVANNI (imbarazzato) — Fermiamo il disco. (Pausa, tossisce. Cessa la musica orientale) Sarebbe bene raggiungere la vostra amica e il signor Fonseca : mi risparmierei di ripetere la narrazione.

TERESA — Lasciateli soli... E (provocante) restiamo soli. Non vi piace la mia compagnia?

DON GIOVANNI (imbarazzato) — Che dite mai!

TERESA — E allora!

DON GIOVANNI (C. s.) — Potrei raccontarvi dell'ultima volta che fui ospite dell'emiro Ben Nassu.

TERESA — E del suo harem. Sì, sì. Ma aspettate... (Musica orientale in sottofondo) Così va meglio, no? Dunque, erano più 'belle di me le belle turche?

DON GIOVANNI — Quali turche, signora?

TERESA — Ma quelle del serraglio...

DON GIOVANNI — No, certo, non erano più belle di voi... Occhi come questi non ne ho veduti mai. (Supplice) Ma non mi guardate così.

TERESA (in un sussurro) — Ipnotizzatemi.

DON GIOVANNI (chiama) — Rubino! (Cessa la musica. Porta aperta).

RUBINO — Comandi.

DON GIOVANNI — Che fa il signor Fonseca? Digli di venire.

RUBINO — Sì, signore. (Porta chiusa. Don Giovanni tossisce, imbarazzato).

TERESA (con dolce rimprovero) — Cattivo!

DON GIOVANNI — Sapeste, è un ragazzo tanto permaloso: se venisse a sapere che ho raccontato qualcosa in sua assenza - siccome sta con me per farsi le ossa - se l'avrebbe a male.

TERESA — Ma poi, ci lascerà soli... voi ed io?

DON GIOVANNI (forte) — Rubino! (Porta aperta).

RUBINO — Comandi.

DON GIOVANNI — Allora, vengono o no?

RUBINO — Temo di no.

DON GIOVANNI — E perché?

RUBINO — Appena finito di mangiare, il signor Fonseca ha messo la testa sulla tavola e si è addormentato.

DON GIOVANNI (con un sorrisetto) — Sempre così: appena ingerisce un po' di cibo, gli si ottunde la sensibilità. Beh, Rubino, sveglialo.

RUBINO — Non sarà facile. Il signor Fonseca è stato fatto distendere su un'ottomana dalla signora Ines aiutata da me. Lui tiene una mano di lei strettamente premuta sulla propria guancia ed ha preteso la ninna nanna.

DON GIOVANNI (discorsivo) — La ninna nanna.

RUBINO — Sì, signore.

DON GIOVANNI (C. S.) — Con una mano di lei premuta sulla guancia. (Pausa. Urla) Sveglialo!

RUBINO — Farò del mio meglio. {Porta chiusa).

TERESA — Ines ha molto sviluppato il senso della maternità. Sarebbe capace di cantargli la ninna nanna fino a mezzogiorno. Magari!

DON GIOVANNI (con molto interesse, per parlare d'altro) — E voi non cantate?

TERESA — No, a me manca il senso della maternità. (Sensuale) Al cospetto di un uomo come voi mi sento tutta avvampata: come una turca dinanzi all'emiro. (Musica orientale in sottofondo) Sì, perché in voi c'è qualcosa dell'emiro e del felino. Voi non perdonate. Graffiatemi, dunque! (Cessa la musica).

DON GIOVANNI (urla) — Rubino! (Porta aperta) Embè?

RUBINO (con ostentata pazienza) — La signora Ines manda a dire che sparerà in fronte a chiunque tenti di portarle via il signor Fonseca.

TERESA — Non li disturbare, allora. Va' a dormire.

RUBINO — Buona notte, signori. (Porta chiusa).

DON GIOVANNI (rassegnato) — E buona notte!

TERESA — Soli finalmente, Don Giovanni.

DON GIOVANNI — Soli... soli. Ma si è poi veramente soli, mia cara amica, anche quando nessuno è in nostra compagnia? Signora, poniamoci questo problema - che è serio - e discorriamone cercando di risolverlo. Nella donna amo le doti intellettuali accoppiate all'ornatezza.

TERESA — Voi dunque non volete capire... Perché cercate di scantonare? Qualcosa mi si sta rimescolando in petto. Sto provando ardentemente il desiderio di perdermi. (Con slancio) Raccontatemi di quando foste ospite l'ultima volta del vostro amico emiro. (Musica orientale in sottofondo).

DON GIOVANNI — Non vi nascondo che sono un po' imbarazzato.

TERESA — Perché? Non sapete leggere nei miei occhi?

DON GIOVANNI — Ma capitemi, dunque: ho bisogno di Fonseca, dell'atmosfera, della chitarra, del canto...

TERESA — Saltateli, Mi avete conquistata cosi-come siete... (In un sussurro) Giannino!

DON GIOVANNI (con voce tremula) — Rubino! (Cessa la musica).

TERESA — Dorme.

DON GIOVANNI (c. s.) — Fonseca!

TERESA — Anche lui dorme.

DON GIOVANNI (desolato) — Ma dormono tutti, in questa casa! Signora, io non mi ci ritrovo. Io ho bisogno dell'oscurità della notte, di voi affacciata dietro una finestra. Vi state comportando male. Giù la maschera, signora: io amo rispettare la prassi. Dove immette quella porta?

TERESA — Nella stanza per gli ospiti.

DON GIOVANNI — Sia ringraziato il cielo. (Passi di corsa. Porta aperta).

TERESA — Ma cosa fate?

DON GIOVANNI — Ho le idee in disordine e il corpo stanco. Vi chiedo licenza...

TERESA (con disappunto) — Proprio adesso?

DON GIOVANNI — Perché volete sciupare l'incanto della nostra tenera amicizia costringendomi a fare un racconto fiacco delle mie gesta? Diamo tempo al tempo: domani, con la mente fresca e il corpo riposato, trascorrerò un giorno intero ai vostri piedi.

TERESA — Ma io fremo d'impazienza. Raccontate adesso...

DON GIOVANNI — Temprate la vostra smania, mia colomba. (In un sussurro) A domani! (Porta chiusa).

TERESA (col broncio) — Don Giovanni, aprite. (Colpi battuti dólcemente contro la porta) Aprite... Cattivo! (Sospensione brusca).

Voce maschile

Accordi di chitarra.

(alonata) Qui si assiste all'irrompere improvviso di gente armata durante il pasto mattutino dei due fuggitivi, e si ode ancora una volta la voce di tuono del brigadiere Carranza.

Accordo di chitarra.

FONSECA (mangia, soddisfatto) — Che pacchia! Se debbo dirvi la verità, Don Giovanni, le disavventure della notte le ho dimenticate. Viva questa magnifica ospitalità. Non mangiate un po' di confettura?

DON GIOVANNI (assente) — Mangia... mangia tu.

FONSECA — Mi sento rinascere. Sangue d'un cane, ho fatto una dormita che mi basterà per una settimana. Don Giovanni, sto accarezzando un disegno.

DON GIOVANNI (svagato) — Ti ci metti anche tu!...

FONSECA — Perché non restiamo qui? Ormai s'è capito che la simpatia per noi ce l'hanno. Neanche una frittella volete provare?

DON GIOVANNI — No.

FONSECA — Chi ci impedisce di restare qui? I mariti sono lontani, esse sono assetate di compagnia, di gente che parli, canti, suoni... Voi sapete raccontare e siete focoso...

DON GIOVANNI (triste e grave) — Io?...

FONSECA — Anch'io, quando mi ci metto. Che vita! Forse non mi crederete, ma ve lo dico lo stesso: questa notte, donna Ines mi ha cantato la ninna nanna.

DON GIOVANNI — E tu tenevi una mano sua premuta sulla guancia.

FONSECA — Donna gentile!

DON GIOVANNI — E ha minacciato di uccidere chiunque avesse tentato di sottrarti a lei.

FONSECA (piacevolmente sorpreso) — No! Cara!

DON GIOVANNI (esplode) — Fonseca, smettila! Non è ancora mezzogiorno e stai banchettando da una ora. Mangi e dormi, dormi e mangi! Stanotte, qui dovevi ritornare; non si lasciano soli gli amici, i superiori!

FONSECA — Gesù, e dovevo venire a rompervi le uova nel paniere?

DON GIOVANNI -   Dovevi venire a suonare la chitarra e a cantare. Tu sai che ho l'artrite e soffro di raucedine.

FONSECA — Ma come, la serenata volevate farle?

DON GIOVANNI — Sì, animale : nel petto ho delle corde sensibili! Fonseca, non mangiare più, altrimenti ti soffoco col cuscino premuto in faccia. Quello che hai fatto, ti resterà sulla coscienza finché avrai vita. Ma come, « finalmente » una gentildonna, travolta dal mio sguardo fiero, mi dice di sì; un angelo in terra incomincia a vibrare all'unisono con me, ed io... io...

FONSECA — Voi? (Porta aperta con violenza).

INES (affannata, corre in p. p.) — Presto, scappate!

TERESA (idem) — Dalla finestra... per carità... non vi fate vedere!

INES — Madonna santa, li uccideranno!

DON GIOVANNI — Signore! Che succede?

OLIVARES (in s. p.) — Ma brave!

MONTEMAYOR (in s. p.) — Ecco perché correvano...

INES (piagnucola) — Non è quel ohe pensate.

OLIVARES (viene in p. p.) — Ah no? E questa specie di nano peloso che mangia la «mia» confettura...

FONSECA (che non ha ancora capito) — La « sua » confettura...

TERESA — Sono due esiliati politici.

MONTEMAYOR — Che si nutrono con le frittelle che dicevi di preparare solo per me.

OLIVARES — ... e indossa la mia vestaglia.

DON GIOVANNI — La «sua» vestaglia... (Pausa).

DON GIOVANNI E FONSECA (ad una voce) — I mariti!

MONTEMAYOR (ringhiando) — Sì, i mariti!

OLIVARES — Via le donne!

DON GIOVANNI — Adagio, cavalieri... Adagio. Cerchiamo d'agire da persone garbate.

FONSECA — Cè un equivoco.

DON GIOVANNI — Lasciate quella sedia! (Inizia una colluttazione. Grida. Vetri in frantumi. Strilli delle donne. Poi, sovrastando tutto).

IL FISCALE (con voce tonante) — In alto le mani, galantuomini! (II fracasso cessa di colpo) Su le mani!

FONSECA (con un fil di voce) — Il fiscale...

CARRANZA — Più su...

DON GIOVANNI — Il brigadiere Carranza...

IL FISCALE — Ce n'è voluto, eh? Fatevi avanti, voi due.

DON GIOVANNI E FONSECA (molto umili) — Sì, signore.

IL FISCALE — Fermi lì voi. (Melenso) Venite avanti, signor Montemayor e signor Olivares.

CARRANZA — Fuori vi sono dieci cittadini che vi scorteranno con tutti gli onori. (Grida) E hanno ricevuto ordine di sparare, se cercate di squagliacela.

MONTEMAYOR — Non è detta l'ultima parola.

IL FISCALE — La dirà il giudice.

CARRANZA — Vi seguo. (Mentre i passi si allontanano).

IL FISCALE — E voi, signore, nelle vostre stanze.

TERESA — Che cosa hanno fatto i nostri mariti?

IL FISCALE — Lo saprete. Adesso via. (Ines e Teresa si allontanano piangendo. Pausa. Cordiale) Don Giovanni! (Cordialissimo) Don Giovannino...

DON GIOVANNI — Comandi.

IL FISCALE — Permettete che vi abbracci. Così, amico mio! (Ridacchia e gli batte palmate) Bravo, bravo! E anche a voi, Fonseca, un abbraccio. (Ridacchia e lo percuote affettuosamente) Bravo!

FONSECA — Grazie. State comodo.

DON GIOVANNI — Ci potreste spiegare?

IL FISCALE — Ma certo: in seguito alle vostre indicazioni, sono arrivato al «Samaritano assetato»: il più bel colpo della mia vita. Sì, era il centro del contrabbando. Era, dico, perché voi lo avete ridotto in cenere. Proprio mentre la taverna saltava in aria, un veliero si avvicinava alla costa : uno sbarco. Son tornato di corsa verso il paese. A mezza strada ho incontrato i volontari del reverendo Oloferne e del brigadiere Carranza. Scontro, battaglia, mischia: sei prigionieri nelle nostre mani. Ma il grosso ci scappava: j capi del contrabbando, i numeri uno, avevano fatto in tempo a guadagnare il bosco. Allora, ricordando che avevate detto di essere su una buona traccia, mi sono inoltrato con gli uomini a mia volta nel punto dove vi avevo lasciati. Don Giovanni! Stamattina avete coronato la vostra opera. Ci avete messo in grado di catturare i cervelli della frode organizzata ai danni dello Stato.

DON GIOVANNI — Montemayor e Olivares...

IL FISCALE — Sapete che significa? Promozioni per tutti: per il paese, che diventa sicuramente sottoprefettura, per me, per Carranza. E gratifiche, feste, oro che pioverà da tutte le parti!

CARRANZA (avvicinandosi) — Tutto sistemato. Li ho ammanettati. Sarà bene che li conduciate voi in paese, fiscale. Io resterò a sorvegliare le signore e il domestico, in attesa del giudice.

IL FISCALE — Molto bene. Venite anche voi, Don Giovanni?

CARRANZA — No, gli debbo parlare io.

IL FISCALE — Allora a più tardi. In piazza, vi aspettiamo: con fuochi e musica. Fate presto. (Passi si allontanano. Pausa).

DON GIOVANNI (ridacchiando) — Il nostro caro brigadiere.

CARRANZA (tenero) — Don Giovanni. Anzi, permettete... Giovannino. Qui, tra le mie braccia. (Gli batte palmate) Bravo, bravo! E anche a voi, Fonseca. (Palmate) Un abbraccio al fedele garzone di un uomo tanto benemerito.

DON GIOVANNI — Ci onorate e lusingate, brigadiere. Oso sperare che questo abbraccio segni la nostra riconciliazione.

CARRANZA — «Osate» sperarlo? Amico, io debbo farvi le mie scuse, chiedervi umilmente perdono per quanto è accaduto questa notte. Ma, sapete, in me vive sempre il militare, rude, sospettoso, di poche parole...

FONSECA — Poche, ma toccanti.

CARRANZA — Dimenticate tutto, ve ne prego. Ciò òhe è accaduto in queste ore cambia tutto: il vostro nome è sulla 'bocca di tutti, in paese : vi si acclama, vi si invoca. Si dice ohe se finalmente il governo accoglierà i nostri desiderata, lo dovremo a voi. Giovannino, adesso che il vostro prestigio andrà alle stelle... sono sicuro che non vorrete usarmi un torto. Voi sposerete mia figlia, vero?

DON GIOVANNI (un po' sorpreso) — Ma brigadiere...

CARRANZA — Mettiamo da parte questo brigadiere... Chiamatemi... chiamami: papà!

DON GIOVANNI (sommamente scandalizzato) — Io?!

CARRANZA — Ti prego, Giovannino; vuoi forse che mi inginocchi?

DON GIOVANNI — Ma vi pare decoroso, chiamarvi papà: alla mia età... alla vostra età.

CARRANZA (piagnucolando) — Chiamami papà... Voglio sentire come suona detto da te.

FONSECA — Fatelo contento, su.

DON GIOVANNI — Se è per farlo contento... Papà.

CARRANZA (commosso) — Caro, caro. Qui, tra le mie braccia! (Palmate rumorose) Allora sposerai mia figlia, vero?

DON GIOVANNI (vibrato) — Io non voglio sposare nessuno! (Si corregge) Per il momento, almeno. Se mi si vuole ricompensare in qualche modo, mi si dia finalmente il permesso di fare serenate quando mi pare e a chi mi pare.

CARRANZA — Tutto quello ohe vorrai.

DON GIOVANNI — Solo questo. Voglio un permesso, una licenza - ma scritta deve essere, con tanto di bolli e di firme - per non essere disturbato quando me ne vado sotto la finestra delle ragazze.

CARRANZA — Sotto la finestra di Atalanta...

DON GIOVANNI — Anche. Datemi la licenza e poi si vedrà... Tempo al tempo.

CARRANZA — Sì, figlio mio. E adesso, tornate al paese. Fuori vi ho lasciato due cavalli. La gente starà fremendo di impazienza.

DON GIOVANNI — Grazie... E adesso, a titolo di informazione: il reverendo Oloferne...

CARRANZA — Sta scoppiando dall'orgoglio. Se n'è tornato al paese gridando: benedetti, benedetti, e ricordando a tutti che a battesimo e a cresima vi ha tenuti lui. (Sospensione brusca).

Voce maschile

Accordi di chitarra.

(alonata) Di quel che si dissero i due trionfatori nel ritornare al villaggio e del proponimento che fece Don Giovanni Pizarro per la sera, con il quale si pone fine a questa storia.

Accordo di chitarra,

(In sottofondo zoccoli dei cavalli).

DON GIOVANNI — E' da molto che non sento la tua voce, Fonseca. Forse ardi dalla voglia di parlarmi di tuo zio.

FONSECA — No, cavaliere: pensavo a voi. Sposerete davvero quella ragazza?

DON GIOVANNI — Ma che idee!

FONSECA (con un sospiro di sollievo) — Meno male: avete aperto gli occhi.

DON GIOVANNI — Non li ho mai tenuti chiusi, figlio mio.

FONSECA — Eh no! Fare la serenata a quella ragazza - scusate, io difendo il mio punto di vista - ohe è vecchia, 'brutta ed ha le gambe a cerchio.

DON GIOVANNI — Io non parlavo di « questa » ragazza. Mi riferisco a tutte. Non sono fatto per il matrimonio, mio caro; ho bisogno di spaziare, passare di fiore in fiore. Sarebbe ora che tu incominciassi ad assimilare qualche insegnamento: hai trentacinque anni e devi sentire il dovere di mirare in alto, facendo che almeno la tua anima non resti anima di garzone. Esci dalla notte in cui sei immerso.

FONSECA — A proposito di notte, mi stavate raccontando qualcosa quando le signore hanno fatto irruzione.

DON GIOVANNI — Ah sì? Non ricordo.

FONSECA — Dicevate, tutto triste e senza ombra di appetito, ohe finalmente una donna, dopo anni, era rimasta folgorata dal vostro sguardo.

DON GIOVANNI — 0 eri ubriaco allora, o. lo sei adesso.

FONSECA — Forse non iho udito bene.

DON GIOVANNI — Certamente, figlio mio. Vuoi sapere cosa è accaduto stanotte? Quando il domestico è venuto ad annunciare che, dopo esserti ingozzato con la famelica ingordigia che contraddistingue le classi sociali più umili, eri caduto in letargo come un rettile, Teresa ed io - finalmente soli - abbiamo dato sfogo alla piena dei sentimenti. Gli occhi negli occhi, le mani nelle mani, immersi in una semioscurità resa più misteriosa e intima dalle resine aromatiche che ardevano in un angolo, abbiamo parlato, parlato, parlato... Le parole non facevano in tempo a tener dietro al pensiero, ed allora ci interrompevamo, suggellavamo con un bacio - dolcissimo -le promesse d'amore scambiate in sussurri appassionati, co] ìbatticuore. (Con una punta d'amarezza) Don Giovanni Pizarro, durante tutta la sua lunga attività di titano dell'amore, mai ha vissuto ore più suggestive di quelle. L'incanto era tale che egli dovette porre un freno al suo cuore... (Con voce incerta, quasi singhiozzando) ... tacitarlo con la forza, perché la violenza di quel sentimento non lo facesse tramortire. (In un susswiro) Don Giovanni andò a ohiudersi nella stanza degli ospiti... Sì... perché non gli importava... non gli importava... {Si interrompe. Ride con amarezza) La sua amata era lì, già conquistata: gli aveva distrutto, prima che nascesse, la serenata con il batticuore e l'oscurità e l'odore della notte. (Pausa) Sì, Fonseca carissimo: annota questa confortevole conclusione: purché vi sia la volontà di amare, purché si sappia chitarrare, cantare e raccontare storie, si abbia un agiie galante ed uno sguardo fiero, si Ha il diritto di amare felicemente qualsiasi donna, tutte le donne, particolarmente quelle che non si conoscono. Hai capito?

FONSECA — No.

DON GIOVANNI — Me l'aspettavo.

FONSECA — Insomma, questa donna Teresa l'amate? Vi ama? Se sì, perché non ritorniamo indietro e cerchiamo di aiutarle? Quelle giovani creature ci hanno accolto con tanta grazia e buona volontà, che mi sembra una mancanza di riguardo abbandonarle così, tanto più se sono innocenti, come mi dice il cuore.

DON GIOVANNI — Il giudice dirà l'ultima parola. L'hai sentito dalla bocca del fiscale.

FONSECA — E intanto le poverette, questa notte, dormiranno nel carcere.

DON GIOVANNI (riflettendo) — Il carcere... Non ricordo più, Fonseca, dove affaccino le celle.

FONSECA — Sulla scogliera, cavaliere.

DON GIOVANNI — E allora, amico mio, se la rinchiudono in carcere, questa notte andrò a cantarle la serenata sotto l'inferriata.

FONSECA — Voi...

DON GIOVANNI — Io.

FONSECA — Solo, però.

DON GIOVANNI (euforico) — Solo, solo! Dammi quella chitarra, figlio mio: malgrado l'artrite e l'umidità della notte, il cuore di Don Pizarro insiste nel non voler invecchiare... A me quella chitarra. (Canta) Sotto la tua finestra - col cuor piagato canto. - Ingrata amata mia, - perché m'uccidi tu?... (Al secondo verso, il canto e il passo dei cavalli entrano lentamente in dissolvenza).

FINE

Don Giovanni innamorato di Samy Fayad sarà presentato dalla RAI al  “Prix Italia 1954” che avrà luogo a Firenze dal 15 al 25 settembre; l'opera è già stata registrata su bobina di nastro magnetico ed è quindi pronta. L'interpretazione è stata affidata alla Compagnia di prosa di Roma della Radiotelevisione Italiana, e le parti sono state così distribuite:

Don Giovanni Pizarro (Stefano Sibaldi); Fonseca (Carlo Campanini); Carranza (Luigi Pavese); Carmen .(Anna Miserocchi); Il fiscale (Antonio Battistella) ; Rubino (Riccardo Cucclolla; Donna Teresa (Eduarda Aldini); Donna Ines (Graziella Maranghl); Elvira (Pina Gallini); Atalanta (Giusi Raspani Dandolo); Montemayor (Nino Bonanni); Olivares (Franco Scandurra); Il narratore (Nino Dal Fabbro). Regia di Anton Giulio Majano.