Don Pasquale prete attore

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Don Pasquale prete attore

di Vincenzo Rosario PERRELLA ESPOSITO

(detto Ezio)

28/03/2005

Personaggi:   11

Don Pasquale Mirabella il sacerdote

Salvo Aitante il sacrestano

Rina la perpetua

Dante Bellecose                 

Nella Medda                                                          

Don Giuseppe il vescovo

Selvaggia Della Foresta

Nico Lucirosse il regista

Alessia Magna l’attrice

Laura Indiritto

Libero Dalle Catene

Napoli. Canonica della chiesa dell’Immacolata, residenza di Pasquale Mirabella, sacerdote. Ogni giorno in chiesa si presentano i fedeli per la messa, ma anche persone che hanno molteplici difficoltà. In quest’ultimo caso, si presentano direttamente nella canonica di don Pasquale. Lì si alternano i vari collaboratori che curano la parrocchia, come il sacrestano Salvo Aitante, uomo non proprio ligio al suo dovere. E poi la signora Rina, perpetua petulante ma donna altruista. Un giorno come un altro, in canonica si presentano il regista Nico Lucirosse e l’attrice in cerca di gloria Alessia Magna. Il primo convince don Pasquale a prendere parte al suo prossimo film “Il prelato”, promettendo un lauto guadagno che poi il sacerdote avrebbe destinato alla propria parrocchia, ma senza specificare che il film ha contenuti inappropriati per un uomo di chiesa. Alla fine ne nasceranno scandali, anche per altri motivi. In realtà più che scandali, sono equivoci. E a causa di quelli, don Pasquale dovrà discolparsi in continuazione… 

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

            Napoli. Canonica della chiesa dell’Immacolata, residenza di Pasquale Mirabella, sacerdote. Vi si accede da ingresso comune. A destra c’è il confessionale e la cucina. A sinistra, stanza da letto e bagno. Sulla destra, un tavolo con quattro sedie, a sinistra un divanetto con tavolino e telefono. In stanza vi sono effigie religiose e un leggio con Bibbia.

ATTO PRIMO

1. [Salvo Aitante, Rina e Selvaggia Della Foresta]

                   Sul divanetto è seduto Salvo che ascolta la partita alla radio con le cuffie.

Salvo:        (E’ intento a tifare) Va’, tira! Tira! E tira! 

                   Da destra entra Rina con una scopa e comincia a spazzare.

Rina:         Salvo, nun dicere male parole. ‘O ssaje, don Pasquale nun vo’!

Salvo:        Stattu zitta. Stongo sentenno ‘a partita Fiorentina-Napoli.

Rina:         (Si ferma e gli si avvicina) Ma stanne jucanno tutt’e ddoje?

Salvo:        (Ironico) No, sta jucanno sulo ‘o Napule! ‘A Fiorentina trase in campo mò ch’è   

                   fernuta ‘a partita!... Cretina, se capisce che stanne jucanno tutt’e ddoje!

Rina:         E io po’ nun ne capisco. A proposito, ma che sta facenno ‘o Napule?

Salvo:        Sta quase vincenno!

Rina:         Pecché, stanne zero e zero?

Salvo:        No, sta abbuscanno doje e zero! E pe’ forza, ll’arbitro ce ha annullato tre gol!

Rina:         Embé, e tu faje tutta ‘sta mmuina?

Salvo:        E stattu zitta! (Poi preso dalla partita) Vai, butta il pallone, butta il pallone!

Rina:         Ha da ittà ‘o pallone? E comme fanne a jucà?

Salvo:        (Preso dalla partita) Aspié, aspié… fallo laterale! Fallo laterale!

Rina:         ‘O vero? Tene ‘o fallo laterale? Ma ch’è stuorto, chisto?

Salvo:        Vai, rovescia, rovescia!

Rina:         (Schifata) Rovescia? Ma chi schifo ‘e sport è addivintato ‘o pallone!

Salvo:        Zitta, sta rovescianno!

Rina:         E allora mò ce vo’ ‘a segatura ‘nmiezo ‘o campo? 

Salvo:        (Salta in piedi) Rigore! Rina, ma tu he’ capito? E’ rigore.

Rina:         Eh, aggio capito. Ma che significa? Si ‘o Napule segna ‘stu gol, vale pe’ tre?

Salvo:        No, vale p’uno.

Rina:         Embé, e chille ll’avversarie nuoste n’hanne fatte duje!

Salvo:        E mò rimontamme. (Riporta la radiocronaca) Ecco, sta partendo il giocatore.

Rina:         Sta partenno? Ma allora nun ‘o tira cchiù, ‘o rigore?

Salvo:        Zitta, zitta, ch’’o fatto è delicato! (Descrive l’azione) Il numero 9 prende la 

                   rincorsa... tiro... fuori! Ma va’ fa’…!

                   E se ne esce nervoso a destra. Rina lo guarda perplessa. 

Rina:         Chisto sta ascenno pazzo, isso e ‘o Napule!

                   Riprende a spazzare. Dalla comune entra Selvaggia, una ragazza povera.

Selvaggia: Signora Rina.

Rina:         Uhé, Selvaggia. Viene, trase.

Selvaggia: Grazie. (Avvicinandosi) E allora, che si dice?

Rina:         Niente, si lavora sempre! E a te che si dice? Tutto a posto?

Selvaggia: Ma che? Io so’ sempe povera. E purtroppo sono pure una ragazza madre. Tengo

                   tre figli. E ppo’ ate visto ‘a finezza? Se chiammene Umberto, Alberto e Roberto:

                   fernescene tutt’e tre cu’ “erto”!

Rina:         E ssi’ pure cuntenta? Tu tiene tre figli e nun ‘e ppuo’ mantené.

Selvaggia: E purtroppo, io e mio marito Giorgio non pensavamo di diventare poveri.

Rina:         Tuo marito? Aspié, aiuteme a capì, pecché io songo ‘nu poco scema: ma tu non

                   sei ragazza madre?

Selvaggia: Beh… vedete, la verità è che… lui se n’è andato, perché non mi sopportava più!

                   (Rassegnata) Quello ha fatto tre fischi, è sceso di casa e non è tornato più.

Rina:         E t’ha abbandunato cu’ tre ccriature!

Selvaggia: E non solo: il giudice me li ha tolti pure, perché non li posso mantenere. Li ha

                   messi in un istituto. E io ogni tanto gli porto dei vestiti o qualcosa da mangiare.

Rina:         Pure chesto t’è succieso?   

Selvaggia: Sì. Io mi vergogno perché, per vivere, devo elemosinare qualcosa qua da voi che

                   siete così gentili. Signò, a proposito, mi avete preparato le solite buste?

Rina:         Sì. E don Pasquale ci ha messo dentro pure alcuni calzini e mutande sue nuove.

Selvaggia: ‘E cazettine e ‘e mmutande soje? Ma i miei figli sono piccolini!

Rina:         E che ffa? Quanno se fanno ‘ruosse, s’’e mmettene! Uhé, nenné, accuntientete,

                   che chesto passa ‘o cunvento! Aspiette ccà, vengo subito.

                   Ed esce a sinistra. Selvaggia resta sola e riflette.

Selvaggia: Nun so’ proprio bona. Ho tre figli e me li faccio togliere tutti e tre dal giudice!

                   Si siede al divanetto. Da destra torna Salvo, senza radio e auricolare. Impreca.

Salvo:        (Si riferisce ai gol annullati al Napoli) Tre ce ne ha tolti! Quell’infame! Tre!

Selvaggia: (Pensando si riferisse a lei) Appunto, è chello che dico pur’io!

Salvo:        He’ visto? Lo dici pure tu, Selvà. E sai qual è la verità? Che quello è un cornuto!

Selvaggia: E già, he’ proprio raggione, Salvo!

Salvo:        Voglio sapere come facevamo a non perdere! Li tiene tutti e tre sulla coscienza.

Selvaggia: E che vvuo’ fa’? Io spero che il giudice cambi idea.

Salvo:        E che ppo’ ffa’ ‘o giudice? ‘Na vota che chillo ha fischiato tre vvote, è fernuta!

Selvaggia: ‘O vero? Ma allora saje pure tu ‘o fatto d’’e tre fischie?

Salvo:        E se capisce. Chillo è ‘o regolamento!

Selvaggia: E saje pure che chillo se n’è fujuto all’estero?

Salvo:        Ah, sì? Primma ce ha fatte perdere e ppo’ se n’è fujuto? ‘E che bastardo! Aspié,

                   ma comme se chiamma?

Selvaggia: Giorgio Scognamiglio!

Salvo:        Benissimo. E allora, Giorgio Scognamiglio, t’ha da rimané ‘o fischietto ‘ncanna!

Selvaggia: (Si alza felice) Sì, ha da passà ‘nu guajo niro! 

Salvo:        ‘A prossima vota l’hanna menà ‘na bomba ‘ncapa!

Selvaggia: Bravo! Schia ‘o cinco!

                   I due si danno il cinque. Intanto da sinistra torna Rina con le due buste. 

Rina:         Ecco le buste: in questa qua c’è la roba da mangiare, e in quest’altra i vestiti.

Selvaggia: (Le prende euforica) Sì, mettìte ccà!

Rina:         Néh, ma che d’è? Tutto ‘nzieme te veco cchiù felice.

Selvaggia: E sì. Io sto’ parlanno cu’ Salvo. Me piace d’’o sentì mentre offenne a Giorgio!

Salvo:        E aggio sulo accumminciato! Chillo è ‘n’ommo ‘e purcaria!

Rina:         Salvo, ma chillo è ‘o marito ‘e Selvaggia.

Salvo:        (Stupito) Eh? Chillu fetuso cu’ ‘o fischietto ‘nmocca è mariteto? E ll’hanne miso

                   a arbitrà ‘o Napule? Ma comm’’o vulimme vencere ‘stu scudetto? Comme?                   

                   Esce via a sinistra imprecando. Selvaggia e Rina si guardano sorprese.

Le due:      ‘O scudetto?

Selvaggia: Ma ‘e che steva parlanno, Salvo?

Rina:          Steva parlanno d’’a partita d’’o Napule. Vabbuò, guagliò, io vaco a cucenà.

Selvaggia: Allora arrivederci e grazie di tutto.

Rina:          Ma nun ‘o ddicere proprio. Cià, bella.

                   Così Rina va a destra e Selvaggia esce fuori casa.

2. [Don Pasquale Mirabella e Nella Medda. Poi Dante Bellecose. Infine Rina]

                  Da sinistra entra don Pasquale in abiti civili e collarino bianco alla camicia.

Pasquale: (Impreca) Io mi caccio sempe nei guai! Come faccio a mantenere la parrocchia

                  dell’Immacolata e tutto ciò che ci sta intorno? I soldi dell’8 per mille sono pochi

                  e pure gli altri contributi. E io invece organizzo, organizzo, organizzo sempre...!

                  E così mi ritrovo, come si suol dire, nella... fino al collo! E me lo merito pure!

                  Si siede al divanetto. Dalla comune entra Nella, con alcune medicazioni sul viso.

Nella:        Don Pasquale?

Pasquale: Sì?

Nella:       (Fa tutto lei) Posso entrare? Sì? Grazie. (Si avvicina)

Pasquale: E vabbé, nun m’he’ fatto dicere manco “sì”!(Si alza) A proposito, ma tu chi sei?

Nella:       Sono una fedele. Io vi seguo tutte le domeniche a messa. Non me ne perdo una!

Pasquale: Néh, ma tu, ‘a messa, l’he’ pigliata pe’ “Domenica in”?!

Nella:       No, nel senso che mi piace come la celebrate voi. Padre,oravorrei confessarmi.

Pasquale: Ma comme, ‘a chiesa è stata aperta fin’e diece minute fa, e tu mò t’appresiente?

Nella:       E scusatemi, padre, ma prima non ho potuto.  

Pasquale: E va bene, non fa niente. Allora sediamoci al divanetto e confessati.

                  I due si siedono al divanetto.

                  Dunque, per prima cosa fatti il segno della Croce.

Nella:       (Frettolosamente) Padre, Figlio e Spirito Santo, amen! Dunque, io voglio

                  confessarmi perché ho peccato!

Pasquale: (Ironico) ‘O vero? Io me penzavo che te vulive cunfessà pe’ sfizio! Ma figliola…

Nella:       No, padre, sono Nella Medda.

Pasquale: E a chi ‘o ddice?! Pure io sono come te... fino al collo! Sto’ chino ‘e guaje!

Nella:       Ma no, aspettate. Io volevo dire che il mio nome completo è Nella Medda.

Pasquale: Ah, ma allora Medda è il tuo cognome. Va bene, va bene, continua.

Nella:       Padre, vedete le medicazioni sulla mia faccia? Sono ferite. E ne ho altre su tutto il

                  corpo. E voi lo sapete come me le sono fatte? Il mio fidanzato Dante mi picchia.

Pasquale: E comme se permette? Fallo venì ccà addù me!  

Nella:       Ma no aspettate, nun aggio fernuto: a me Dante me vatte, però nun fa niente,     

                  pecché a me me piace ‘e abbuscà!

Pasquale: (Stupito) Prego?

Nella:       Sì, ate capito buono!

Pasquale: Siente, Nella, ma tu t’he’ fatta vedé ‘ncapa ‘a ‘nu buonu miereco?

Nella:       E certo.

Pasquale: E che t’ha ditto?

Nella:       Ha ditto che tengo ‘nu bumbulone enorme!

Pasquale: No, ma tu nun t’he’ fa’ visità fora ‘a capa, ma dint’’a capa! Ma comme, ‘o

                 ‘nnammurato tuojo te vatte, e a te te piace ‘e abbuscà?  

Nella:       E certo. Anzi, volevo chiedervi: ma è peccato se a uno gli piace di “abbuscare”?

Pasquale: No, però a essere scema comm’a te, è peccato assaje. E non religioso, ma morale.

Nella:       E allora quanta Ave Maria aggia dicere?

Pasquale: Aspié, ma tu nun tiene nisciunu peccato ‘a dicere cchiù?

Nella:       No.

Pasquale: E allora vai, io ti assolvo direttamente. E penso che pure Dio la pensi come me!

Nella:       (Salta in piedi) Che bello, sono stata assolta! Ora io e Dante ci possiamo sposare.

Pasquale: (Si alza pure lui) Ah, t’’o vuo’ spusà pure, a chillo?

Nella:       E certamente. Anzi, vogliamo che ci sposate voi.

Pasquale: Pure? E nun è che rischio ‘e abbuscà pur’io? A te te piace, ma a me no!

Nella:       No, state tranquillo. Allora io vi ringrazio e vi saluto, don Pasquale. Arrivederci.

Pasquale: Cià, guagliò.

                  Nella esce via di casa, di corsa. Pasquale rimane perplesso.

                  Ma vuje vedite ‘nu poco. Pure ‘a pazza, ce vuleva! (Chiama) Rina, addò staje?  

                  Esce via a destra. Dalla comune entra Dante Bellecose. E’ molto geloso.

Dante:      E addò sta Nella? Ha ditto che se veneva a cunfessà, però ‘a chiesa sta chiusa. E  

                  allora mò parlo cu’ don Pasquale. Anzi, ora mi preparo quello che gli devo dire.

                  (Simula) Ehm... don Pasquale, tanto piacere, mi chiamo Dante Bellecose! Ma  

                  nun è ‘na presentazione ‘nu poco banale? Mah! (Chiama) Don Pascà! Ce state?

                  Da destra torna don Pasquale. Si ferma sulla porta e parla a Rina, che è dentro.

Pasquale: He’ capito, Rina? ‘Int’’a pasta e patane, nun ce ‘e mmettere ‘e ppatane!

Dante:      Embé, e allora senza ‘e ppatane, che pasta e patane è!

Pasquale: (Si volta) Chi è?

Dante:      Uh, scusate, sono intervenuto nei fatti vostri. Voi siete don Pasquale, il prete?

Pasquale: (Avvicinandosi) Sì, sono io. (Stretta di mano) Scusa, ma con chi ho il piacere?

Dante:      Dante Bellecose!

Pasquale: Pure a te e famiglia!

Dante:      No, non avete capito. Io ho detto: Dante Bellecose!

Pasquale: Eh, e pure a te pe’ cient’anne!

Dante:      Ma no, io sto’ dicenno Dante Bellecose.

Pasquale: (Stufo) E aggio capito! Ma io te sto’ rispunnenno: pure a te, tante belle cose!

Dante:      Ma no, io sono Dante con la “D” di dado. E sono il fidanzato della mia fidanzata!

Pasquale: Il fidanzato della mia fidanzata? Ma ‘a fidanzata toja se chiammasse Nella?

Dante:      Sì, Nella Medda.

Pasquale: Ah, ma allora tu sei il fidanzato “manesco”! E saje che te dico? A me nun me

                  piace proprio ‘stu fatto.

Dante:      Però a essa sì!

Pasquale: (Si arrabbia) E a me nun me ne ‘mporta. Tu, a lei, non la picchi più! Intesi?

Dante:      E mi dovete scusare, padre, ma io purtroppo sono fatto così. E’ carattere.

Pasquale: (Lo addita) E t’’o cagne, ‘stu carattere!  

Dante:      Ma il fatto è che io sono geloso. Lo sapete? L’altro ieri, per disperazione, ho

                  picchiato perfino un prete!

Pasquale: (Comincia a preoccuparsi e si ammorbidisce) Ah, sì... caro?

Dante:      Sì. E se scoprissi che voi l’avete confessata senza il mio permesso, povero a voi!

Pasquale: No, pe’ carità, ma chi l’ha cunfessata? Noi abbiamo parlato così, senza impegno!

Dante:      E stavate voi da soli?

Pasquale: (Preoccupato) Ehm... ma che? Ci stava pure il mio sacrestano Salvo.

Dante:      Che cosa? Un altro uomo?

Pasquale: No, ma che uomo? Salvo, il mio sacrestano, è effeminato! (Si me sente Salvo...!).

Dante:      Vabbé, ma la mia ragazza non lo sa che il vostro sacrestano è effeminato!

Pasquale: Ehm... ma ci stava pure la mia perpetua Rina. Lei sta sempre insieme a me!

                  E da destra entra proprio Rina con un cucchiaio di legno in mano.

Rina:        ‘On Pascà, pe’ sicondo ve sto’ facenno ‘a carne arrustùta. Però come la volete?

Pasquale: Senza ‘a carne!

Rina:        Senza ‘a carne? Vabbuò. (Nota Dante) Uh, scusate, ma vuje state cunfessanno?

Pasquale: No, no, assolutamente. Senti, Rina, lo sai chi è lui? Ti dice niente Nella Medda?

Rina:        ‘O vero? ‘Stu signore c’è gghiuto a fernì ‘a dinto? (Si arrabbia) Uhé, ma io mò

                  aggio pulezzato! Faciteme vedé sotto ‘e scarpe voste. (Controlla Dante) Va

                  buono, nun ce sta niente. E mò voglio vedé sotto ‘e scarpe voste, ‘on Pascà!

Pasquale: Ma no, Rina. Nella Medda è quella ragazza che è venuta poco fa. Te la ricordi?

Rina:        No, chi ‘a sape? Io sto’ cucenanno ‘int’’a cucina!

Pasquale: (Imbarazzato) Ma com’è smemorata questa Rina. E allora, Dante, con permesso.    

                  Io vado a mangiare la pasta e patate senza patate e la carne arrostita senza carne!

Rina:        Aspettate ‘n’attimo, ‘on Pascà. Sentite, signor Dante, volete favorire qui con noi?

Pasquale: Ma che vvuo’ favorì? Chisto votta ‘e mmane! Cammina ‘a parte ‘e dinto!

                  La prende per il braccio e i due escono di fretta a destra. Dante resta perplesso.

Dante:      Ma che d’è? Pecché se n’è gghiuto accussì ‘e pressa? Forse s’è appaurato? Ma io

                  stevo pazzianno, nun aggio vattuto a nisciunu preveto! Mah!

                  Esce via. 

3. [Salvo e Libero Dalle Catene. Poi Pasquale]

                 Da sinistra entra Salvo con una lampadina in mano. Sembra spaventato.   

Salvo:      Mamma bella, stevo cagnanno ‘sta lampadina ‘int’’o bagno, aggio pigliato ‘a

                 currente! E menu male che songo ancora vivo!

                 Si siede al tavolo e si tranquillizza. Dalla comune entra il giornalista Libero.

Libero:    E’ permesso? (Nota Salvo) Carissimo Salvo, come stai?  

Salvo:      Nun c’è male. Però aggio pigliato ‘a currente. E stongo ancora tutto elettrico!  

                 (Simula tremolio convulso) E allora, Libero, comme va’ te truove a ‘sti pparte?

                 Ultimamente he’ scritto cocche articolo intrigante? Per esempio: omicidi,

                 “assassinamenti”, uccisioni, morti...?

Libero:    Ma che? Io mi occupo di cronaca rosa. A proposito, Salvo, ma tu te lo compri

                 tutte le mattine il “Napoli oggi”?

Salvo:      Ma certamente. Vuo’ vedé ‘int’’a gabbia d’’o canarino mio?

Libero:    Ma pecché? Tu miette ‘o giurnale ‘int’’a gabbia d’’o canarino?

Salvo:      E se capisce! ‘Na vota che ll’aggio liggiuto io, ce ‘o faccio leggere pure a isso!

Libero:    E intanto, la mia carriera è davanti ad un bivio. Il mio direttore mi ha detto:

                 “Libero, tu vuoi passare alla Cronaca nera? Devi fare un articolo esplosivo”!

Salvo:      E che ce vo’? Tu vuo’ fà ‘n’articolo esplosivo? E allora miette ‘na bomba dint’’o

                 giurnale! Cchiù esplosivo ‘e chesto, se more!

Libero:    Ma pe’ piacere! Io te stongo pure a sentì! Intanto ho già pensato a qualcosa di

                 eccezionale. Ambienterò ul mio articolo in questa parrocchia. E sai chi saranno i

                 protagonisti? Quelli che stanno qua dentro: voi!

Salvo:        Nuje? E che ce azzeccamme?

Libero:      Visto che vi trovate in una zona leggermente, leggermente, malfamata, ho

                   pensato che voi potevate aver avuto un passato difficile. Per esempio tu, potevi

                   essere un ex scippatore, un rapinatore, un rapitore e uno spacciatore!

Salvo:        A chi? Io, ‘na vota, pe’ m’arrubbà ‘na caramella ‘a ‘nu criaturo, aggio abbuscato

                   d’’o pato e pure d’’o criaturo!

Libero:      Lo vedi? Una volta hai rubato. Ma oggi non sei più un ladro. E questo può farti

                   diventare un eroe agli occhi di chi leggerà la tua storia su “Napoli oggi”.

Salvo:        (Ci fa un pensierino) Però! ‘O ssaje ca me piace? ‘O vvoglio fa’.

Libero:      Bravo. Allora torno domani a farti un’intervista più o meno vera! A proposito,

                   ma oltre te e don Pasquale, chi altri potrei inserire nel mio articolo?

Salvo:        Ce sta ‘a perpetua Rina. Ma nun me pare ‘nu personaggio interessante.

Libero:      E chi te l’ha ditto? Quella è un’ex prostituta!

Salvo:        ‘O vero? Chella nun ce pare proprio!

Libero:      Ma no, io dicevo sempre per finta.

Salvo:        Ah, già.

Libero:     (Riflette) E invece don Pasquale potrebbe essere... potrebbe essere...

                  E da destra entra proprio don Pasquale che va dietro Salvo e gli grida:

Pasquale: Salvo!

Salvo:       (Si spaventa e salta in piedi) Ch’è stato? (Si volta e lo nota)

Pasquale: Che cosa potrei essere io?

Salvo:       E che ne saccio? Addimannatancello a ‘st’amico mio!  

Libero:     (Si alza) Tranquillo, non parlavamo male di voi. Voi siete don Pasquale. E’ così?

Pasquale: Esatto, don Pasquale Mirabella.

Libero:     Io sono Libero Dalle Catene.

Pasquale: E chi è, Sansone?

Libero:     Buona questa! No, sono un semplice giornalista del giornale “Napoli oggi”. 

Salvo:       A proposito, ‘on Pascà, ma è pronto ‘a magnà?

Pasquale: E certo. Ma tanto, io già lo so: a te non ti piace la pasta e patate senza patate!

Libero:     La pasta e patate senza patate?

Salvo:       Ehm... si tratta di un’invenzione di don Pasquale. E per secondo che ci sta?

Pasquale: La carne arrostita senza carne. E per contorno, patatine fritte senza le patatine!

Libero:     E’ un modo molto originale di mangiare!

Pasquale: E anche molto dietetico!

Salvo:       E anche molto vuoto! Nel senso ch’’o piatto e ‘o stommeche rimànene vacante.

Pasquale: E che ffa? T’allamiente sempe, tu! Ho capito: tu vuoi la pastasciutta. 

Libero:     No, io nun ‘a voglio asciutta, ‘a pasta. ‘A voglio ‘nguacchiata ‘e sarza!

Pasquale: Va bene, ora lo dico a Rina. Scusate, signor Libero, io vado a finire di mangiare.

Libero:     Buon appetito!

                  Pasquale esce a destra. Salvo fa un’osservazione a Libero.

Salvo:       Buon appetito? Ma che ffaje, ‘o sfutte? ‘A carne arrustuta senza ‘a carne e ‘e

                  ppatatine senza patatine! E che sfizio ce sta?

Libero:     Però è molto simpatico, don Pasquale. Devo subito pensare a come inserirlo

                  nel mio articolo di Cronaca nera.

Salvo:       E mò t’’o ddich’io. Ecco il titolo: “Prete ucciso dalla fame”!

Libero:     Vabbé, poi ci penserò. Siente, Salvo, ‘a pozzo fa’ ‘nu mumento ‘na telefonata?

Salvo:       Ehm... no, Libero, ‘o telefono nun funziona.

Libero:      Ho capito. E va bene, allora ci vediamo domani per l’intervista.

Salvo:        E io t’aspetto.

Libero:      Allora posso fare un momento una telefonata?

Salvo:        ‘N’ata vota mò? T’aggio ditto ch’’o telefono nun funziona.

Libero:      Ah, già. E allora ti saluto. Ciao, Salvo.

Salvo:        Cià, Libero.

                   Libero esce. Salvo lo osserva, poi va al telefono, compone un numero, quindi...

                   Pronto, il signor Vacca? (Imita il verso dell’animale) Mmmh! (Poi riaggancia 

                   e si diverte) Ce casca sempe, ‘stu scemo!

                   E così esce a destra.

4. [Nella e Selvaggia. Poi Rina. Infine Dante]

                   Dalla comune entrano Nella e Selvaggia.

Selvaggia: Ma veramente ti sposi, Nella?

Nella:         Sì, certo. A proposito, sei invitata pure tu. E porta pure i tuoi bambini.

Selvaggia: Io? E comme ce vengo? Nella, io so’ povera. Chi me lo da il vestito?

Nella:         E nun te prioccupà, t’’o faccio da’ ‘a ‘on Pascale.

Selvaggia: Sì, ma io nun tengo manco ‘e vestite p’’e figli mie.

Nella:         E nun te prioccupà, t’’e ffaccio da’ ‘a ‘on Pascale.

Selvaggia: Sì, ma io nun te pozzo fa’ manco ‘o regalo.

Nella:         E nun te prioccupà, t’’o faccio da’ ‘a ‘on Pascale.

Selvaggia: Ma che l’he’ pigliato p’’o direttore ‘e l’Ipercoop, a ‘on Pascale?

Nella:         Siente, nun me purtà nisciunu regalo. Viene a magnà e basta!

Selvaggia: E va bene, ti ringrazio.

Nella:         A proposito, Selvà, ma tuo marito overamente se n’è gghiuto?

Selvaggia: Sì.

Nella:         E siente ‘n’ata cosa: ma primma che se ne jeva, te vatteva maje?

Selvaggia: Qualche volta.

Nella:         E te piaceva ‘e abbuscà?

Selvaggia: Che?

Nella:         No, niente, non importa. Adesso chiamo a don Pasquale, così fissiamo la data

                   del mio matrimonio con Dante. (Lo chiama) Don Pasquale!

                   Da destra entra Rina.

Rina:          Sì?

Nella:         E chi è chesta?

Selvaggia: Come chi è? E’ la signora Rina, la perpetua di don Pasquale.

Nella:         Ah, piacere di conoscervi. Io mi chiamo Nella.

Rina:          Nella? Ah, mò capisco. Aggio ‘ntiso ‘e parlà ‘e te: tu si’ Nella Cacca!

Nella:         No, Nella Medda.

Rina:          Vabbuò, ‘o concetto è chillo!

Nella:         Scusate, ma come mai mi conoscete?

Rina:          Niente, prima don Pasquale mi stava parlando di te. Però non ho capito perché.

Selvaggia: A proposito di don Pasquale, signora Rina, ma lui non ci sta adesso?

Rina:          Sì, ci sta, ma in questo momento sta mangiando. Perché, volevi dirgli qualcosa?

Selvaggia: No, veramente gliela doveva dire Nella.

Rina:         Ah, e dici a me, Nella. Di che cosa gli vuoi parlare?

Nella:         (Vergognata) Beh… del nostro matrimonio. E vero, Selvaggia?

Selvaggia: Confermo.   

Rina:         (Sorpresa) Che? (Ma aggio capito buono? ‘Sti ddoje se vonno spusà?!).  

Nella:         Scusate, ma perché fate quella faccia? Ho detto che noi ci vogliamo sposare!

Rina:         (Preoccupata) Uh, Marò, ma allora aggio capito buono.

Selvaggia: E che ci sta di male?

Rina:          (Imbarazzata) Ehm... non è che ci volete pensare bene, prima di sposarvi?

Nella:         Signò, ma comme, vuje invece ‘e c’incità, ce vulite fa’ passà ‘o genio?

Rina:          E se capisce. Nun è normale ‘nu matrimonio accussì.

Nella:         E perché? Tutto questo solo perché la persona che amo mi picchia?

Rina:          (Sorpresa) Ah, ma pecché, te vatte pure?

Nella:         E certo. E che ffa? A me me piace assaje ‘e abbuscà!

Rina:          Assurdo! Pe’ furtuna, don Pasquale nun sarrà d’accordo cu’ ‘stu matrimonio.

Nella:         E chi ve l’ha ditto? Chillo ‘o ssape. Anze, ha ditto che ce sposa isso.

Rina:          Pure?

Nella:         A proposito, signora Rina, ‘o vestito m’’o date vuje?

Rina:         (Stupita) E io ‘essa tené ‘nu vestito ‘a sposa?! No, figlia mia, e ‘a do’ ‘o piglio?

Selvaggia: E nun fa niente. ‘O vestito ‘e sposa se trova.

Nella:         Vabbuò, basta, Selvà, turnamme ‘n’ata vota. Chillo ‘on Pascale sta magnanno.

Rina:          E facite buono. E’ meglio che ve ne jate!

Selvaggia: Ma signora Rina, voi mi sembrate sconvolta.

Rina:          E se capisce, doppo ‘a nutizia che m’’ite dato! So’ curiosa ‘e sapé chi fa

                    ll’ommo e chi fa ‘a femmena!

Nella:         Ovviamente, ‘a femmena ‘a faccio io! A proposito, lo sapete? Noi vogliamo

                    avere pure tanti bambini: perlomeno sei!

Rina:          E nun è possibile.

Nella:         E pecché?  

Rina:          E pecché, ‘int’’o caso vuosto, è difficile a ffa’ figli. Anze, è impossibile!

Nella:         Signò, ma che state dicenno?

Selvaggia: Niente, Nella, chella sta pazzianno! Arrivederci, signora Rina.

Nella:         Arrivederci... e grazie. (Le strizza l’occhio)

Rina:         (Si allontana un po’ dalle due, nauseata) Arrivederci, arrivederci.

                   Le due escono via. Rina resta senza basita. Si va a sedere sul divanetto.

                   Che s’ha da sentì, ‘e tiempe ‘e oggie: doje femmene che se vonno spusà! E ‘o

                   bello è che vonno avé pure sei figli! Povera Selvaggia. ‘A cunosco ‘a piccerella.

                   Forse tutti i traumi che ha subito col suo ex marito l’hanno confusa. (Si alza in

                   piedi) Mò ce ‘o ddico a don Pasquale. Gli parlo piano piano, ma forte forte!

                   Dalla comune entra Dante.

Dante:       Posso?

Rina:         (Si volta a vedere chi è) Sì?  

Dante:       (Avvicinandosi a lei) Chiedo scusa, voi siete la moglie di don Pasquale?

Rina:         (Si alza) ‘A mugliera? Ma pecché, ‘e prievete ténene ‘e mmugliere?

Dante:       Ah, no?

Rina:         State ‘nu poco ‘nguajatiello, vuje!

Dante:       Signò, nun ce sta ‘on Pascale? Io sono Dante. E voi, invece, come vi chiamate?

Rina:         Rina Riello!

Dante:       Ho capito. Sentite, signò, aggia parlà cu’ ‘on Pascale. Io mi debbo sposare.

Rina:     Con una donna... o con un uomo?!

Dante:   E pecché facite ‘a spiritosa?

Rina:     Nun se po’ mai sapé. Poco fa ho parlato con due donne che si vogliono sposare.

Dante:   ‘O vero?

Rina:     Sì. E nun è tutto: chelli ddoje vonno avé pure sei figli! E nun è strano? (E ride)

Dante:   (Ride anche lui) ‘O vero, signò, comm’è comico ‘stu fatto!

Rina:     (Ridendo) E ‘o vvulite sapé comme se chiàmmene chelli ddoje?

Dante:   (Ridendo) Comme se chiàmmene?

Rina:     (Ridendo) Selvaggia Della Foresta... e Nella Medda! (E ride di più)

Dante:   (Ride, ma poi pian piano smette di ridere) Comme, scusate?

Rina:     (Ridendo) E nun facite chella faccia! Rerìte, rerìte!

Dante:   E che ce sta ‘a rirere? Nella Medda è ‘a ‘nnammurata mia!

Rina:     (Di colpo smette di ridere) Uh, Marò!

Dante:   E penzate, che nuje vuléveme parlà cu’ ‘on Pascale d’’o matrimonio nuosto.  

Rina:     Uh, mamma mia, comme me dispiace ‘stu fatto. E comme me dispiace ch’ate

               saputo ‘sta nutizia. E comme me dispiace che ve l’aggio ditta proprio io!

Dante:   Nun ve prioccupate, signò, ate fatto buono. Accussì ate sparagnato ‘e abbuscà pure

               vuje! E mò, scusateme, ma aggia fa’ abbuscà a chelli ddoje! Con permesso.

               Esce via frettolosamente.

Rina:     Uh, Marò, e ch’aggio cumbinato? Ma nun me stongo maje zitta? Mannaggia!

               Esce a sinistra affranta.

5. [Nico Lucirosse e Alessia Magna. Poi Salvo]

              Dalla comune entra il regista Nico Lucirosse, eccentrico e in abiti colorati.

Nico:     Bene, ecco è il posto. (Chiama qualcuno che è fuori) Alessia, ma te vuo’ movere?

              Entra lei: occhiali da sole, ben vestita, presuntuosa. I due vanno al centro.

              Ma che te firme a ffa’ ogni trenta metre?

Alessia: Niente, ho dovuto firmare qualche autografo qua fuori.

Nico:     Ma pecché, ‘e ggente t’hanne chiesto ll’autografo?

Alessia: No, so’ gghiuta io addù lloro cu’ ‘a penna ‘nmana e ce ll’aggio vuluto fa’ afforza!

Nico:      Ma chi te sape, a te? Tu sei un’attrice emergente.

Alessia: Nel senso che sto per sfondare nel mondo del cinema?

Nico:      No, nel senso che tu stive anneganno a mare, e io t’aggio salvato ‘a vita: e picciò,

               t’aggio fatta emergere!

Alessia: E dove li mettiamo i due film che mi hai fatto girare?

Nico:      Sì, ma mò nun te muntà ‘e ccerevelle! Hai avuto il lusso di lavorare con me, il

               regista Nico Lucirosse, e adesso questo ti basta.

Alessia: Senti, ma è questo il posto dove dovevamo venire?

Nico:      E certo. Questa è la canonica della chiesa dell’Immacolata. Qui siamo a Via

               Santa Maria di Costantinopoli alle Mosche!

Alessia: ‘O vero? Ma io nun ‘e vveco.

Nico:      Che cosa?

Alessia: ‘E mmosche?

Nico:      Cretina, tu ‘e ttiene ‘int’’e ccerevelle, ‘e mmosche! 

Alessia: Chi schifo! A proposito, ma ch’amma fa’ ccà ddinto?

Nico:      Dobbiamo trovare il prete protagonista del mio prossimo film: “Il prelato”. 

Alessia: ‘O vero? Ma si’ sicuro? E si ‘stu preveto ‘e ttene ‘e capille, e nun è pelato?

Nico:      Asina, ciuccia! Prelato vuol dire vescovo. Si ‘o ssapévo, chillu juorno, te facevo

               affugà a mare! ‘O guajo è che si’ troppo bona e t’aggio vuluta salvà!  

Alessia: Siente, ma che tipo ‘e film è?

Nico:      Parla di un vescovo che mostra il suo lato debole umano. Cerca di non cadere nelle

               grinfie di un angelo del male, sottoforma di donna tentatrice, che poi saresti tu.

Alessia: Ah, ma allora ‘sta vota nun m’aggia spuglià?

Nico:      E se capisce che t’he’ ‘a spuglià.

Alessia: Ah, me stevo prioccupanno!

Nico:      Va bene, cerchiamo il nostro uomo. Ti raccomando, non sbagliare a parlare.

Alessia: Statti quieto e tranquillo, non ti farò schiattarenella pancia!

Nico:      Eh, stamme a posto!

               Da destra entra Salvo, deluso dal pranzo testé ultimato.

Salvo:    Ma ch’è modo ‘e magnà, chisto? Io tengo ancora famme!

Nico:      (Lo nota) Ehi, voi, non dite niente!

Salvo:    Chi? Io?

Nico:      Ho detto non dite niente! Nel senso che nun ata parlà! V’ata sta’ zitto!

Salvo:    No, nun ve prioccupate, io nun parlo!

Nico:      Eccolo, Alessia, è proprio lui che stavamo cercando. Voi non lo sapete, ma il mio

               braccio destro mi ha parlato bene di voi. Ha seguito dieci messe celebrate dalla

               vostra persona. Vi ha ascoltato recitavare l’omelia ed è rimasto molto colpito.

Salvo:    Io aggio recitato l’omelia? E mica sono don Pasquale Mirabella?

Nico:      Cosa? Ma allora qua non è Via Santa Maria di Costantinopoli alle Mosche?

Salvo:    No, ccà mosche nun ce ne stanne! Via Santa Maria ‘e Costantinopoli alle Mosche           

               sta a San Giuanne. Invece, Via Santa Maria ‘e Costantinopoli senza mosche sta tra

               Via Foria, Piazza Cavour e ‘a Galleria Umberto. Qua invece stiamo a Forcella.

Nico:      ‘E che mmuina!

Alessia: Ma che te ne ‘mporta? Pure si he’ sbagliato strada, he’ ‘ncarrato ‘o stesso.

Nico:      Vabbuò, comunque ce sta ‘stu ‘on Pascale Mirabella, o no?

Salvo:    Sì, però sta a tavola. Se sta magnanno ‘nu piatto ‘e frutta senza ‘a frutta!

Alessia: ‘O vì, he’ visto, Nico? ‘Stu preveto è pure strano!

Nico:      E allora me serve. Scusate, ma voi stavate mangiando con lui?

Salvo:    Sì. Me stevo magnanno ‘a pasta cu’ ‘a sarza… però senza pasta, sulo ‘a sarza!

Nico:      E allora, torniamo dopo. Alessia, jamme a magnà pure nuje. Voglio ‘nu piatto  ‘e

               spaghette a vongole.  

Salvo:    Scusate, ma ‘sti spaghette a vongole so’ senza spaghette e senza vongole?

Nico:      E no, ‘e spaghette e ‘e vongole ce hanna sta’!  

Salvo:    (Voglioso) Vulesse tanto venì cu’ vuje. A proposito, ma chi site, tutt’e dduje?

Nico:      Permettete? Io sono il regista Nico Lucirosse.

Alessia: E io sono la super-attrice Alessia Magna.

Salvo:    Pure chesta magna? Sulo io, no! Vabbé, comunque io sono il sacrestano Salvo.

Nico:      Allora, caro Salvo, ci vediamo quanto prima. Voi tenete una faccia telegenica.  

Alessia: E già. Mettetevi un poco in posa di profilo.

               Salvo esegue.

Nico:      Hai visto che avevo ragione? E’ telegenico.

Alessia: Vi raccomando, rimanete telegenico per tutta la vita. Arrivederci.

               I due escono via. Salvo rimane perplesso.

Salvo:       Ma tu he’ capito? So’ telegenico! Neh, ma che vvo’ dicere, telegenico?  

                  Esce via a sinistra.

6. [Dante e Salvo. Poi Pasquale]

                  Va anche lei a destra. Ma dalla comune entra Dante con un bastone in mano.

Dante:       So’ geluso, assaje geluso, troppo geluso! E scoprirò chi è l’essere sporco che si

                  vuole sposare a Nella al posto mio. E so’ mazzate!

                  Da sinistra torna Salvo con uno specchietto in mano. Si ammira.

Salvo:       Ma io nun tengo niente, ‘nfaccia! E allora che sarrà ‘stu “telegenico”?

Dante:      (Lo nota) Scusate, c’è qualcosa che non va?

Salvo:       No, me sto’ guardanno sulo ‘o specchio. Sentite, ma voi chi siete?

Dante:      Mi chiamo Dante. E sono venuto qua per cercare la mia ragazza.

Salvo:       E ‘a jate truvanno ‘a ccà?

Dante:      E dove devo cercarla?

Salvo:       ‘Int’’a Divina Commedia! Vuje jate truvanno a Beatrice?

Dante:      Ma quala Beatrice? Io sto cercando a Nella.

Salvo:       Nella? Ma chesta nun ce sta ‘int’’a Divina Commedia!

Dante:      No, nun ce sta. A proposito, ma vuje chi site?

Salvo:       Sono Salvo, il sacrestano di don Pasquale.

Dante:      Ah, ho capito. Vuje site ‘o sacrestano effeminato!

Salvo:       Chi? Io songo effeminato? Ma p’ammore ‘e Dio!

Dante:      Cosa? Siete uomo? Ma allora la mia fidanzata vi potrebbe pure piacere?

Salvo:       E certo. Si è bona…! Anze, jatele a piglià, io v’aspetto ccà!

Dante:      E io chesto vulevo sapé. E allora venite dinto cu’ me.

Salvo:       Addò? ‘Int’’a cucina? (Nota il bastone) Scusate, ma ch’ata fa’ cu’ ‘stu bastone?

Dante:      E mò ve faccio vedé, nun ve prioccupate. (Prende salvo sottobraccio)

Salvo:       Però stateve attiento a nun m’’o da’ ‘nfaccia, pecché io so’ telegenico!

                  Da sinistra entra don Pasquale, soddisfatto.

Pasquale: Ah, finalmente ho mangiat…! (Nota i due) Uhé, ma che succede qua?

Salvo:       (Gli si nasconde dietro) Ce sta chistu tizio che ve va’ truvanno.

Dante:      ‘On Pascà, voi mi avete mentito. Quando avete confessato Nella, eravate da soli!

Pasquale: (Indietreggiando lentissimamente insieme a Salvo)Ehm… ma non è vero.

Dante:       E invece non ci stava né la signora Rina, né Salvo.

Pasquale: Sì, Rina e Salvo non c’erano, però io e Nella non eravamo soli, perché con noi ci

                  stava Dio! Ma che volete fare con quel bastone?

Dante:       Niente, ve voglio fa’ sentì comm’è tuosto! Vendettaaaa!

I due:        Aaaaah!

                  Pasquale e Salvo corrono a destra, gridando, inseguiti da Dante che li mena.

FINE ATTO PRIMO

           

ATTO SECONDO

1. [Don Pasquale, Nico e Alessia. Poi Libero e Laura. Infine Salvo]

                  Dalla comune entrano Nico (con valigetta) e Alessia.

Nico:         Disgraziata, è tutta colpa toja! Tu, aiére t’he’ scesa ‘na butteglia sana sana ‘e

                  Tequila bum bum e t’he’ ‘mbriacata. E nun amme pututo turnà ccà pe’ parlà cu’

                  don Pasquale. Vabbuò, mò cercàmme d’’o truvà. Chi sa però comm’è fatto?

                  Da destra entra Pasquale, dolorante. Si ferma sulla porta. Ha il viso medicato.

Pasquale: Ah, ‘e che mazziata che m’ha fato aiére chillu... mmmh, che me steva facenno

                  dicere! Uh, ‘n’ata fitta! Me sento comme si ‘ncoppa ‘a schiena mia fosse passato

                  ‘nu carrarmato, che ppo’ ha fatto retromarcia e m’è passato ‘n’ata vota ‘ncuollo!                 

I due:        (Lo applaudono) Bravo, bis!

Nico:         Alessia, guarda come si recita il dolore e come si fa credere a tutti che sia vero!

Alessia:     Però che peccato che lui non è don Pasquale Mirabella.

Pasquale: (S’avvicina, stupito) E chi te l’ha ditto? Io so’ proprio don Pasquale Mirabella.

Nico:         Ah, siete voi? Piacere, io sono il regista Nico Lucirosse. E lei è Alessia Magna.

Pasquale: Scusate, vogliamo accomodarci? Non mi dite niente, ma ho la schiena a pezzi.

Alessia:     E forse tenite ‘nu poco ‘e lombardia!

Nico:         Lombalgia! Ma che rispunne a ffa’ sempe ‘nmiezo? Va bene, accomodiamoci.

                   I due si siedono al tavolo e don Pasquale si stende un po’ sul divanetto.

Pasquale: E dunque, come posso esservi utile? 

Nico:         Dobbiamo farvi una proposta.                                    

Pasquale: A me? ‘Na proposta? Ma è oscena?

Nico:         No. 

Alessia:     Comme no?

Nico:         (La guarda male) Aggio ditto che no!

Pasquale: Scusate, ma pozzo capì coccosa?

Nico:         Certo. Dunque, come detto, io sono un regista. Sto cercando un attore per il mio

                  prossimo film: “Il prelato”. E chi meglio di un prete può interpretarlo?

Pasquale: E già. Solo che mò però ci vorrebbe un prete. Vi aiuto io a cercarlo?

Nico:         Ma no, noi già l’abbiamo trovato: siete voi.

Pasquale: (Sorpreso, si alza e si siede) Che? Io? No, ma è assurdo. Io non sono all’altezza.

Alessia:     E mica ce vo’ l’altezza pe’ ffa’ ‘nu film? Guardate a me, mica so’ alta?!

Pasquale: No, io voglio dire che non sono bravo a recitare. Ogni anno facciamo la recita

                  nel teatro parrocchiale. E a me, me fanne fa’ sempe ‘o scemo. Chi sa pecché?

Nico:         E ssapite fa’ sulo ‘o scemo? Cioè, non sapete fare nient’altro?

Pasquale: Beh, saccio imità a Topo Gigio! Nient’altro. Scusate, ma ‘e che parla ‘stu film?

Nico:         E’ la storia di un vescovo che combatte contro un angelo del male. E questo

                  angelo ha le sembianze di una donna tentatrice.

Pasquale: E io avessa fa’ ‘o vescovo?

Nico:         (Ironico) E allora vulìsseve fa’ ‘a donna tentatrice?  

Alessia:     No, quella la faccio io. E guardate, che io sono un’attrice da premio Oscar!

Nico:         ‘A verità, fin’e mò, ll’unico premio che he’ viciunto, è ‘o premio “Oscarz”,

                  come l’attrice più scarsa del momento! Ma torniamo a noi, don Pasquale.

Pasquale: Signor Nico, mi dispiace, ma non posso accettare la vostra proposta. Già ho tanti

                  problemi con la parrocchia, i poveri e i disoccupati della zona. E sono un prete.

Nico:         Embé, penso che con 100.000 Euro dovreste riuscire a risolvere i problemi.

Pasquale: 100.000 Euro? Magari. E chi m’’e ddà, a me?

Nico:         Io.

Pasquale: (Sorride) Sì, m’’e ddate vuje...! (Poi si stupisce) M’’è ddate vuje?

Nico:         Certo. Io incasso in media 5.000.000 di Euro a film. E così per me 100.000 Euro

                  rappresentano una bevuta di caffè. E sono tutti per voi e per la vostra parrocchia.

Pasquale: E che vi devo dire? Che il Signore mi perdoni!

Alessia:     Scusate, ma in che senso? Avite accettato oppure no?

Nico:         E nun s’è capito? Nun ha accettato.

Pasquale: Comme no, aggio accettato.

Nico:         Oh, perfetto! Allora dobbiamo brindare e poi firmerete il contratto.

Alessia:     Dobbiamo brindare? E come?

Pasquale: Beh, in cucina tengo un po’ di vino.

Alessia:     E nun ‘a tenìsseve ‘na Tequila?

Nico:         Ma che ll’he’ pigliato, pe’ ‘nu Discopub? Allora, don Pasquale, noi vi seguiamo

                  per il brindisi e per la firma sul contratto.   

                  I tre si alzano in piedi.

Pasquale: Scusate, vi dispiace se pranzo prima? Oggi il cibo nel piatto ci sta veramente!

Nico:         E vi pare? Io ed Alessia vi guardiamo soltanto. Su, andiamo verso il successo.

Alessia:     Ah, ma allora nun ghiamme cchiù ‘int’’a cucina?

Pas&Nic: Uff! (La mandano a quel paese)

                  Vanno tutti e tre a destra. Dalla comune entrano Libero e Laura.

Libero:     Laura, ma quello che mi proponi è assurdo: scrivere un articolo sugli scandali di

                  un prete, esagerando la verità. Qua ci cacciano dall’albo dei giornalisti.

Laura:      Libero, chisto è mestiere mio. E tu così vuoi fare carriera? Dovresti ringraziarmi.

                  L’articolo di presentazione che ho scritto ieri, sugli scandali di questa parrocchia,

                  avrà incuriosito certamente i lettori di stamattina. Adesso tocca te.

Libero:     E va bene. Quindi devo intervistare il sacrestano Salvo e la perpetua Rina. Per

                  quanto riguarda don Pasquale, ho già cominciato a scrivere qualcosa.

Laura:      E adesso cerchiamo don Pasquale. Voglio vederti a testa alta.

                  Dalla comune entra Salvo, anche lui medicato in faccia e dolorante.

Salvo:       Ah, ‘e che dulore! Mamma ‘e San Biagio dei Librai!

Libero:     Ehilà, carissimo Salvo! Come stai?

Salvo:       No, nun me tuccà, Libero! Nun m’’a sento manco ‘e t’astregnere ‘a mana!

Libero:     A proposito, Laura, voglio presentarti il sacrestano Salvo.

Laura:      Ah, questo sarebbe l’ex scippatore, rapinatore, rapitore e usuraio?

Salvo:       (Si impressiona) Chi? Io? Pe’ carità, io songo ‘n’ommo tutto “chiesa e chiesa”!

Laura:      Ma no, aspetta, io sono Laura Indiritto, una collega giornalista di Libero.

Salvo:       (Si calma) ‘O vero? (Disinteressato) E tanto piacere.

Libero:     A proposito, Salvo, hai comprato il “Napoli oggi” di oggi?

Salvo:       Non l’ho trovato. Ha detto il giornalaio che stamattina è andato a ruba.

Laura:     (Soddisfatta) Hai sentito, Libero?

Salvo:       Néh, ma ch’avite scritto ‘ncoppa a chillu giurnale? So’ sparite tutt’’e ccopie!

Libero:     Vuoi proprio saperlo? E sediamoci al tavolo.     

                  I tre così fanno. Laura tira fuori una copia del quotidiano dalla borsa)

Laura:      Ecco qua. Questo è il giornale di oggi. Vai, Salvo, leggi tu, leggi.

Salvo:       Ma io nun è che saccio leggere tanto buono. Vabbé, va’, mi cimento lo stesso.

              (Legge) Allora, il titolo è: “Il prete pàgano”… (Guarda i due, perplesso) Pàgano?!  

Libero: Ma non pàgano. Pagàno! L’accento è sulla seconda “a”, non sulla prima. Su, leggi.          

Salvo:   Dunque: (Lettura lenta) “Sandali nella parrocchia dell’Immacolata di Forcella”…!

Libero: Ma che sandali? Scandali.

Salvo:   Ah, certo. (Legge) Dunque: “Il sacerdote, il sacrestano e la perpetua hanno sempre

              vissuto nell’illegalità. Il sacerdote è don Pasquale Mirabella, ex usuraio. La

              perpetua è Rina Riello, ex prostituta. E infine, il peggiore dei tre: il sacrestano

              Salvo Aitante, ex ricettatore, borseggiatore, rapitore, rapinatore, scippatore,

              spacciatore, stupratore, malavitoso, assassino e pedofilo”! Azz,‘e che criminale è

              ‘stu Salvo Aitante! (Realizza) Che? Ma... ma… io…

Laura:  Tu hai avuto vent’anni con la condizionale.

Salvo:   No, ma pe’ carità. Libero, m’he’ fatto addiventà peggio ‘e Al Capone! 

Laura:  E ora possiamo appartarci, Salvo?

Salvo:   Néh, Laura, ma tu che t’he’ misa ‘ncapa? Ccà stamme ‘int’a ‘n’ambiente religioso!

Laura:  Ma tu che he’ capito? Io dicevo, se possiamo appartarci tutti e tre per un’intervista.

Salvo:   Ah, un’intervista? E vabbuò, venite cu’ me. Però aiutateme a m’aizà!

              I due si alzano in piedi ed aiutano Salvo a fare altrettanto.

Libero: E ti raccomando, Salvo, esagera.

Salvo:   Sì, sì. Racconterò pure che ho deciso di uccidere il giornalista Libero Dalle Catene!

Libero: Bravo, Salvo! (Realizza) A me? No, aspié, ‘stu fatto nun ‘o dicere! Nun esiste!

Salvo:   E invece te faccio vedé ch’esiste.

Libero: E invece no!

Salvo:   E invece sì!

              I tre escono a sinistra, e i due continuano a discutere su quell’argomento.

2. [Rina e Nella. Poi Selvaggia. Infine Dante]

 

               Dalla comune entrano Rina (medicata e dolorante) e Nella che sta piangendo.         

Rina:     Nella, ma tu staje chiagnenno pecché chillu Dante t’ha vattuto ‘n’ata vota? E

              ch’avessa dicere io? Nun ce azzeccavo niente, però aggio abbuscato ‘o stesso!

Nella:    Ma non mi hanno fatto male le sue botte, io sono triste perché il mio matrimonio è

              fallito prima di iniziare. Me l’ha detto pure Selvaggia. Comme so’ sfurtunata!

Rina:     Ma chisto è ‘nu matrimonio che nun puteva funziunà! Dincello pure a Selvaggia.

Nella:    No, Selvaggia non sarebbe mai d’accordo con voi.

Rina:     Nella, ma questo genere di matrimoni moderni, sono contro natura.

Nella:    Non capisco. Però io penso che ogni matrimonio è un atto di fede. Pure quello tra

              diverse razze. E pure quello tra diverse età. Ma pure quello tra sessi uguali!

Rina:     E io ccà te vulevo: tra sessi uguali. Non sia mai vi sente don Pasquale…!

Nella:    Ma noi avevamo pure il suo consenso. All’inizio era un po’ contrario, però poi ci  

               avrebbe sposato lui. E invece ora è finito tutto. (Siede al tavolo, affranta)

Rina:     (Stupita) (Ma ‘on Pascale è asciuto pazzo? Comme po’ spusà a doje femmene?).

Nella:    (Si alza decisa) Embé, signora Rina, ho deciso: il mio matrimonio si farà. E come

               vi ho già detto, avremo anche dei figli. Ben sei!

Rina:     ‘N’ata vota mò? Nenné, io nun voglio sta’ cchiù appriesso ‘a capa toja. He’ capì?

Nella:    E che me ne importa? A me mi aiuterà Selvaggia.

Rina:     Bona, chella! Voglio proprio vedé comme t’aiuta a ffa’ ‘e figli!

              Dalla comune entra Selvaggia (non è né medicata, né dolorante).

Selvaggia: Salute a voi, signora Rina! (Avvicinandosi, saluta Nella) Ciao, tesoro!

Nella:         Ciao, amore!

Rina:         (Schifata) (‘E ch’avutamiento ‘e stommeche!).

Nella:         Come stai? Hai dormito bene stanotte?

Selvaggia: Sì. E lo sai? Ti ho pure sognata! Stavamo su un bel prato verde, sole io e te!

Nella:         Aspetta, non me li raccontare ancora i particolari.

Rina:         (Schifata) Appunto, nun raccuntà proprio niente. Nun è ‘o caso!

Nella:         Signora Rosa, ma lo sapete che Selvaggia verrà a vivere a casa mia?

Rina:         (Sorpresa) Che cosa? Mò vulite fa’ pure ‘a convivenza?

Selvaggia: Embé? Che c’è di male? Io vivo in strada. E poi noi due ci vogliamo bene.

Rina:         E tu, Selvà, te puorte pure ‘e ccriature?

Selvaggia: E mica ‘e ppozzo lassà ‘nmiezo ‘a via? Lo sapete? Il giudice me li ha restituiti.

Nella:         Io li conosco da quando sono nati. Così li sento pure un po’ come figli miei.

Rina:         Sentite, è meglio che vaco a llavà ‘e panne! Io nun ce resisto cchiù! Si vaco

                   annanzo accussì, aésco pazza! Con permesso! (Si avvia a sinistra) Chi schiiifo!

                   Esce via a sinistra scuotendo il capo, schifata.

Nella:         Selvà, ‘sta signora Rina è ‘na brava perzona, però è acida e “schifettosa”!

Selvaggia: E che ci vuoi fare? Ai suoi tempi non esisteva che due amiche per la pelle

                   vivevano insieme. A proposito, ma Dante nun s’è visto cchiù?

Nella:         No. Però ho deciso che me lo sposo lo stesso.

Selvaggia: Uh, Giesù, chillo te fa chelli mazziate!

Nella:         E ch’aggia fa’? Lo amo troppo. Anzi, quando mi sposo con lui, me ne vado a

                   vivere a casa sua, così ti lascio casa mia tutta per te e i tuoi figli. Sei contenta?

Selvaggia: E mò mi vuoi far commuovere? (Si commuove)

Nella:         Siente, e mò me faje commuovere pure a me? (Si commuove anch’ella)

                   Dalla comune entra Dante. Si avvicina alle due e le nota piangere.

Dante:        E pecché state chiagnenno? Aiére aggio vattuto sulo a Nella, ma a Selvaggia no.

Nella:         Ma no, io sto’ chiagnenno pecché Selvaggia s’è mmisa a chiagnere!

Selvaggia: E io sto’ chiagnenno pecché me so’ commossa.

Dante:        Vabbuò, comunque io so’ venuto ccà pecché voglio cercà scusa a tutte chille

                   ch’aiére hanne abbuscato ‘a me!

Nella:         Ah, te si’ deciso?

Dante:        Sì. Però a te t’aggia cercà scusa doje vote. Anze, tre: me vuo’ spusà?

Nella:         (Felice) Sì, Dante. Te voglio spusà. Però he’ ‘a cagnà ‘nu poco.

Dante:        Va bene, cambierò. Invece ‘e doje mazziate ‘o juorno, te ne faccio una sola!

Selvaggia: Comme so’ cuntenta ch’’ate fatto pace!

Dante:        A chi ‘o ddice! Nella, il giorno che ci sposiamo, voglio sentire la gente urlare:

                   Da destra torna Rina che si ferma appena entrata e li nota. Dante intanto dice:

                   Viva gli sposi! (Poi lui applaude)

Rina:         (Acida) (Ma comme, chillo ce fa pure ll’applauso, a chelli ddoje?!).

Nella:         Uh, la signora Rina. (Va vicino, felice) Signora Rina, ci sposiamo, ci sposiamo!

Rina:         (Fredda) Sì?

Nella:         Lo abbiamo deciso adesso. Che bello, noi ci amiamo, ci amiamo!

Rina:         (Schifata) Chi schiiiifo!

                   Va via a destra.

Dante:       (Sorpreso) Comm’è, chi schifo?

Selvaggia: Vabbuò, lass’’a sta. Chella nun s’è maje spusata e nun po’ capì.

Dante:      Allora viene, Nella, ascìmme.

Nella:       Sì. Vieni pure tu, Selvaggia, così te ne vieni a stare da me. Jamme, jamme.

                 I tre escono di casa.

 

3. [Don Pasquale, Nico e Alessia. Poi Libero, Salvo e Laura]

                  Da destra entrano Nico e Alessia, a pancia piena, e don Pasquale deluso.

Nico:         Don Pasquà, erano proprio buone quelle tagliatelle alla boscaiola!

Alessia:     E pure la cotoletta alla milanese con le patatine! Ma voi non avete mangiato?

Pasquale: No, grazie. E penzà che chisto era ‘o primmo juorno ch’’eva fernuto ‘a dieta!

Nico:         E non fate quella faccia. Su con l’allegria! Voi avete firmato il contratto più

                  importante della vostra vita e della vostra carriera di attore.

Pasquale: No, quala carriera? ‘A carriera mia fernesce aroppo a ‘stu film.

Alessia:     E nun dicite accussì. Voi tenete un futuro davanti... ma un futuro... un futuro...!

Nico:         Un futuro radioso.

Alessia:     Ecco, bravo: un futuro alla radio!

Nico:         Cretina, radioso vo’ dicere splendente!

Pasquale: Ma io, il mio futuro radioso ce l’ho nella mia parrocchia.

Nico:         Ma voi, dopo il film, sarete invitato nelle TV locali e nazionali. E allora non mi

                   potete abbandonare sul più bello. Non dovete scemare.  

Alessia:     E già. Vuje nun ata addiventà scemo!

Nico:         Ma mò te dongo ‘nu cazzotto ‘ncapa! Deficiente, “scemare” significa diminuire.

Pasquale: A proposito, quando cominciamo le registrazioni?

Nico:         Domani. E sapete dove si va a girare? Alla Reggia di Caserta. Già è tutto pronto.

Alessia:     E allora, don Pasquale, siete contento di lavorare con me?

Nico:         Ma tu he’ ‘a parlà afforza? Nun te puo’ sta’ zitta?  

Pasquale:  A proposito, comm’aggia venì vestuto? Il costume da vescovo me lo date voi?

Nico:         Ma si capisce. E che sia di buon auspicio per la vostra carriera ecclesiastica.

Pasquale:  Grazie.

Nico:         Allora a domani mattina alle ore 8, alla Reggia di Caserta.  

Alessia:     Arrivederci, don Pasquale. Vedrete, faremo cose turche!

Nico:         Ma qua’ cose turche? Nun ‘a state a sentì, a chesta! Viene, cretina, ascimme!

                  I due escono. Pasquale riflette qualche secondo.

Pasquale: Un film! 100.000 Euro! Beh, pur di aiutare la parrocchia, lo faccio con piacere.

                  E mò famme vedé che m’aggia magnà. Per recitare in un film, ci vuole energia!

                  Va a destra. Da sinistra ecco Libero, Laura e Salvo: legge un suo manoscritto.

Salvo:       “All’età di nove anni ho fatto la prima paccheriata alla mia maestra elementare”!

Laura:      Ma non si dice “paccheriata”!

Libero:     Vabbé, poi correggo io.

Laura:      Sì, ma questo di quale reato si tratta?

Salvo:        Violenza e danni alla persona.

Libero:      Va bene, Salvo, leggi il resto.

Salvo:        “All’età di tredici anni, ho gettato la resistenza della lavatrice giù dal balcone e

                   ho cogliuto un poliziotto”!

Laura:       Cogliuto?

Libero:      Vabbé, Laura, dopo correggo sempre io.

Laura:       Sì, ma di quale caso si tratta?

Salvo:        Resistenza a pubblico ufficiale!

Libero:      Va bene, vai avanti, Salvo.

Salvo:        “All’età di sedici anni ho rubato la dentiera di mia nonna, e l’ho minacciata che,

                   se la rivoleva indietro, mi doveva pagare un riscatto di 10.000 lire”!

Laura:       E che significa ‘stu fatto?

Salvo:        Chesta è ll’estorsione!

Libero:      Va bene, Salvo, leggi ancora.

Salvo:        A 18 anni ho rubato il Calippo dalle mani di un bimbo e gli ho scassato la testa!

Laura:       E questo di che si tratta?

Salvo:        Furto con scasso!

Libero:      Senti, Salvo, ma non potevi scrivere qualcosa di più forte?

Salvo:        Sì, certo, ora ti leggo un caso di rapina a mano armata. “A vent’anni sono andato

                   da mia madre, mentre stendeva i panni. Così l’ho minacciata con una molletta”!

Libero:      Tenevi una molletta, cioè un coltellino?

Salvo:        No, era una molletta da bucato!

Libero:      E tu vulìve minaccià a mammeta cu’ ‘na mulletta ‘a bucato?

Laura:       Insomma, la storia forte dove sta? Comme he’ fatto a gghì carcerato?

Salvo:        Ora ve lo dico. “All’età di ventidue anni, ho fatto una “violazione di domicilio”!

Libero:      Ma pecché, addò si’ trasuto?

Salvo:        ‘Int’’o carcere ‘e Puceriàle!

Libero:      E tu accussì si’ gghiuto carcerato?

Salvo:        E certo.

Libero:      Ma nun ce sta nisciuna storia. Nun me piace, nun va buono!

Laura:       Vabbuò, Libero, aroppo accunciàmme io e te. E domani uscirà questa intervista.

Libero:      Bene. Vicino a questo articolo, tengo pronto pure quello sulla signora Rina, dal

                   titolo “Memorie di una prostituta”! E poi ci metto pure il pezzo su don Pasquale.   

Salvo:        Bravo, bravo. Tié, tié, pigliate ‘o memoriale mio. (Glielo cede)

Libero:      Beh, Laura, direi di andare. E a te, Salvo, mantieni il segreto.

Laura:       Ti raccomando. Hai capito?

Salvo:        Ho capito. Anzi, ho capitissimo. Anzi, no, ho capitone!

Libero:      Ecco, bravo. Allora, ciao.

Salvo:        Cià, Libero. Cià, Laura.

                   I due escono via. Salvo sembra felice.

                   Marò, chisto è meglio ‘e ‘nu film! Però non devo dire niente a nessuno. Domani

                   compro il giornale e lo faccio leggere a tutti. E sarà una sorpresa esagerata!

                   Esce via a sinistra.

4. [Don Giuseppe e Rina. Poi Dante, Selvaggia e Nella. Infine don Pasquale]

                   Dalla comune entra don Giuseppe Selva, tipo molto severo. Si guarda intorno.

Giuseppe: Quando qui ero io il parroco, prima di Pasquale, non erano mai successe cose del

                   genere. Il quotidiano “Napoli oggi” parla di presunti scandali che accadono in

                   questa parrocchia. Pare che la perpetua Rina sia un’ex prostituta che sfrutta le

                   ragazze del quartiere! E addirittura favorisce i matrimoni gay. Che scandalo!   

                   Da destra torna Rina. Sembra arrabbiata.

Rina:         Ma chisto è proprio scucciante. Mò me vo’ fa’ cucenà ‘n’ata vota. Ma nun steva

                   a dieta? Uffa! (Si avvia a sinistra e nota don Giuseppe, così si felicita) Uh, don

                    Giuseppe! Come state, illustrissima eminenza, vescovo don Giuseppe Selva?

Giuseppe:  No, veramente non sono ancora vescovo. Comunque sto bene. E tu, Rina?

Rina:          Sto benissimo. E’ solo che, voi lo sapete, don Pasquale è un tipo molto esigente.

                    Però poi non mi impedisce di continuare la mia attività. Anzi, ora vi svelo una

                    cosa: io mi occupo dei giovani poveri di Forcella. E soprattutto delle ragazze.

Giuseppe:  (Interessato) Ah, sì?

Rina:          Sì. E mi occupo pure delle prostitute che stanno per strada. Le nascondo io!

Giuseppe:  Interessante!

Rina:          Io amo mettere pace tra quelli che si amano. Pensate, che ultimamente, qui in

                    parrocchia si sta formando una coppia tra due ragazze: Nella e Selvaggia.

Giuseppe:  (Sconvolto) ‘O vero?

                   Dalla comune entrano Nella e Selvaggia mano nella mano.

Selvaggia: Signora Rina!

Nella:         (Nota don Giuseppe) Uh, mamma mia, Selvà, ma chisto nun è ‘o vescovo?

Selvaggia: Sì, è don Giuseppe Selva. Presto, inginocchiati.

                   Le due si inginocchiano davanti a lui.

Giuseppe:  Scusami, Rina, ma loro due sarebbero le ragazze di cui mi stavi parlando?

Rina:          Sì, sì. Ce vulite parlà ‘nu poco vuje?

Giuseppe:  No, lascia stare. Comunque, figliole, io non sono ancora vescovo. Rialzatevi.

                   Le due si alzano.

Nella:         Padre, tra poco la mia vita cambierà: io mi sposo.

Giuseppe:  Sì, lo so, me l’ha detto Rina.

Nella:         E allora mi fate una benedizione?

Giuseppe:  (Ah, pure ‘a benedizione va truvanno?).  

Selvaggia: Padre, io sono troppo felice, perché tra poco vado a vivere a casa di Nella! Così

                   dimentico il mio ex marito che se n’è scappato, lasciandomi sola con tre figli.

Giuseppe:  Pure?

Nella:         Ma a casa mia si troveranno bene. Io gli farò da madre e pure da padre!

Giuseppe:  Da padre? (Le guarda il viso) Siente, ma che tiene ‘nfaccia?

Nella:         Ah, no, niente, è qualche graffio.

Rina:          E ddice ‘a verità! Che ce sta ‘e male? Don Giuseppe potrebbe essere tuo padre!

                   Quei graffi glieli ha fatti Dante, un tizio geloso e violento: uno che picchia tutti!

Giuseppe:  E allora meno male che ora non c’è, questo Dante, se no picchia pure a me.

                   Dalla comune entra proprio Dante.

Dante:        Buongiorno a tutti!

Nella:         Ciao, Dante!

Giuseppe:  (Spaventato) Che? Ma è chisto?

Nella:         Sì. Dante, saluta all’eminenza: si tratta del “quasi” vescovo don Giuseppe Selva.

Dante:        Uhé, come state, eminenza! Io me chiammo Dante Bellecose. Schiate ‘o cinco!

Giuseppe:  (Gli da la mano timidamente) Piacere.

Selvaggia: Pensate, don Giuseppe, quando io vado a vivere a casa di Nella, lei se ne va a

                   vivere insieme a Dante!

Giuseppe:  (Sorpreso) Veramente? Ed ora per quale motivo state qua?  

Nella:         Vogliamo parlare con don Pasquale per fissare la data di nozze. Non ci sta?

Rina:         Sì, sta ‘int’’a cucina. Però mò cu’ isso ha da parlà primma don Giuseppe.

Giuseppe:  Infatti, tra poco lo raggiungo, lo saluto e vado subito via.

Selvaggia: Fate con comodo, eminenza.

Rina:         E invece vuje venite cu’ me ‘int’’a chiesa, accussì  m’aiutate a lavà pe’ terra.

Dante:       E che ce vo’? Veniamo subito. Guagliò, venite cu’ me! Arrivederci, don Giusé.

                   Si mette sottobraccio alle due e escono via con Rina. Don Giuseppe è perplesso.

Giuseppe: Ma allora quel che si dice su Rina è vero. Speriamo non sia vero pure quello che

                   si dice sul sacrestano, Salvo: pare che sia stato condannato a vent’anni per   

                   alcune brutte cose che non voglio nemmeno ripetere. Sarà, ma io non ci credo!

                   Da sinistra entra Salvo con un foglio e una penna in mano.

Salvo:        Ecco la “brutta” del mio memoriale! E... (Lo nota) Uh, Marò! Don Giuseppe

                   Selva, il vescovo! (Va da lui, gli bacia l’anello e si inginocchia) Eminenza.

Giuseppe: Non sono ancora vescovo. Lo sarò tra dieci giorni. E tu stai facendo il bravo?

Salvo:        (Si rialza) Come sempre. Io faccio sempe ‘o bravo! Io sono un santo mancato!

Giuseppe: Sì, sì, accussì se dice!

Salvo:        A proposito, don Giuseppe, una volta vi avevo chiesto un favore. Vi ricordate?

Giuseppe: Sì, ora ricordo. Bene, Salvo, scrivimi i tuoi dati anagrafici. Scrivili di tuo pugno.

Salvo:        Aggia scrivere cu’ ‘o pugno? E comme se scrive? Io nun ‘o ssaccio fa’!

Giuseppe: Ma no, di tuo pugno, cioè per mano tua. Forza, prendi un foglio e scrivi. Va bene

                   pure su quella carta che tieni in mano.

Salvo:        Questa qua? No, ma quella è tutta ammappiciata!

Giuseppe: E nun fa niente, scrive lloco ‘ncoppa.

Salvo:        Subito! (Va al tavolo e scrive) Allora: Salvo Aitante... eccetera eccetera... Bene,

                   ci ho scritto pure il mio numero di telefonino potabile?

Giuseppe: Telefonino…?

Salvo:        Potabile!

Giuseppe: (Ironico) Ma pecché, ‘o telefonino tuojo se po’ vévere?

Salvo:        No.

Giuseppe: E allora nun è ‘o telefonino potabile. Si chiama telefonino portatile: ‘o cellulare.

Salvo:        Giusto. (Scrive) Fatto! (Va da lui) Sta tutto scritto su questo foglio. Quando

                   tornate a casa, ve lo leggete con calma e passione! Tenete.

Giuseppe: (Lo prende) E allora, Salvo, adesso devo andare da don Pasquale. Allora, ciao.

Salvo:        Arrivederci, arrivederci!

                   Esce via a destra. Salvo lo osserva uscire. Poi trama qualcosa.

Salvo:        E adesso è il momento dello scherzo. (Va al telefono, compone il numero, poi...)

                   Pronto, il signor Vacca? (E fa il verso della mucca) Muuuh! (E riaggancia)  

                   Ed esce via a sinistra, sghignazzando.

5. [Nico e Libero. Poi Dante. Infine Rina]

                    Dalla comune entrano Nico e Libero.

Nico:          Allora, Libero, puoi scrivere la notizia sul giornale: il film si farà.

Libero:      “Il prelato”? E chi è il protagonista?

Nico:          Non è un attore conosciuto, ma uno sconosciuto: don Pasquale Mirabella.

Libero:      (Sorpreso) Che? Ma tu nun he’ ditto che se tratta ‘e ‘nu scunusciuto?

Nico:          Sì.

Libero:      Embé, e io a don Pasquale Mirabella ‘o saccio buono!

Nico:          Ma no, nun è che chisto è scunusciuto a te. E’ sconosciuto al grande pubblico.

Libero:      Sì, ma lui non accetterà mai.

Nico:          Ti sbagli. Ho appena portato il contratto firmato da lui al mio avvocato.

Libero: Questa poi! E mi faresti una fotocopia? Io la pubblico sul giornale per cui lavoro.

Nico:     No, non posso.

Libero: Ma io potrei dire che il merito di questo scoop è tuo. Sai che pubblicità ti faresti!

Nico:     (Cambia idea) Più tardi ti porto una copia del contratto al giornale. Contento?

Libero: Contentissimo! Senti un po’, ma adesso devi incotrare proprio lui?

Nico:     Certo. Nel mio film serve un personaggio molto violento. Devo chiedere a don

              Pasquale se conosce qualcuno che lo è. Anche se penso che mi risponderà di no.

              Dalla comune entra Dante con un secchio in mano.

Dante:  Ma ‘a funtana addò sta? (Nota i due) Scusate, avete visto una fontana, per caso?

Libero: Ah, Nico, tu cercavi un tizio particolarmente violento? ‘O vi’ ccanno.

Dante:  Ma chi? Io so’ violento?

Nico:     Lui è violento?

Libero: Uff!

Nico:     Benissimo! Allora vieni un secondo in mezzo a noi.

Dante:  Ma io veramente aggia mettere l’acqua ‘int’’o sicchio, pecché ‘a signora Rina...

Libero: Non ci interessa! Noi ti rubiamo solo due minuti. E forza, vieni in mezzo a noi.

Dante:  E va bene. (Va in mezzo ai due) Eccomi qua.

Nico:     Dunque: prima di tutto come ti chiami?

Dante:  Dante. E vuje?

Nico:     Io Nico e lui è Libero. Dante, io ti faccio una proposta. Faresti una cosa con me?

Dante:  (Si arrabbia) Guarde, ca io tengo ‘o sicchio! T’’o pozzo pure da’ ‘nfaccia!

Nico:     Ma no, caro, io vorrei offrirti una piccola parte nel mio prossimo film “Il prelato”.

Dante:  ‘Nu film a me? No, ma che? Io me metto scuorno.

Nico:     Ma non è un film porno.

Dante:  E io picciò me metto scuorno!

Nico:     Ma tu lavorerai con la famosa attrice Alessia Magna.

Dante:  ‘O vero? E allora voglio magnà pur’io...! Cioè, ‘o voglio fa’ pur’io, ‘o film!

Nico:     Bravo, io lo sapevo che accettavi.

Libero: E non è tutto, Dante. Sappi che dopo il film, io ti proporrò un servizio.

Dante:  ‘Nu servizio ‘e bicchieri? Me l’aggia accattà? E io ‘o ssapevo: ‘stu film è tutta

              pubblicità. E sì, io l’aggio vista pe’ televisione: “Vi facciamo fare un film, però poi

              dopo dovete comprare un servizio di bicchieri”!

Libero: Ma che hai capito? Io non intendevo un servizio di bicchieri. Intendevo un servizio

              giornalistico sul quotidiano “Napoli oggi”. Hai capito?

Dante:  Ah, ecco qua. E vabbuò. A proposito, ma ‘stu film è gratis?

Nico:     No, ti pago. Ma visto che avrai poche battute, ti darò poco: circa 4-500 Euro!

Dante:  Sì? (Posa il secchio a terra e lo prende sottobraccio) E jamme a firmà ‘o cuntratto!

              Nico e Dante vanno via a sinistra.

Libero: Molto bene. Tutto sta andando secondo i piani. Adesso devo fare qualcos’altro per

              muovere di più le acque! Già, ma che cosa?

              Si siede al divanetto e pensa. Dalla comune entra Rina.

Rina:    Néh, ma che morte ha fatto Dante? ‘Eva piglià sulo ‘nu poco d’acqua. (Nota il

              secchio) E che d’è? Ha lassato ‘o sicchio ‘nterra? E pecché? (Va a prenderlo)

Libero: (Nota Rina e subito corre da lei felice, e le grida:) ‘A signora Rina!

Rina:    (Si spaventa) Maronna ‘e Pumpei! (E dà una secchiata sul ginocchio di Libero)

Libero: (Dolorante) Aaah...! Signò, ma che ffacìte?

Rina:    E che vvuo’ ‘a me?! Io m’aggio spaventata.  

Libero:    Ma io sono contento di vedervi. Lo sapete? Sto scrivendo un articolo di fuoco.

Rina:       ‘O vero? Un articolo di fuoco? E addò è scuppiato st’incendio?

Libero:    No, niente, si tratta di una cosa che riguarda la parrocchia.

Rina:       (Spaventata) Uh, Marò! Sta jenno a fuoco ‘a parrocchia? E chiamme ‘e pumpiere!

Libero:    No, signò, ma...

Rina:       (Agitata) E muòvete, a chi staje aspettanno? (Se lo tira per il braccio, in stanza)

                 ‘O telefono. (Agitata, va al telefono) Che nummero tenene ‘e pumpiere?

Libero:    Aspettate, signò...

Rina:       No, nun parlà, nun perdimme ‘o tiempo!

Libero:    (Spazientito, la ferma) E mò basta. Non c’è nessun incendio. Io ho detto che ho

                 scritto un articolo di fuoco, cioé parla di un fatto che sta accadendo in parrocchia.

Rina:       Embé, e ce sta ‘a fa’ tutto ‘stu burdello?

Libero:    E vuje parite ‘na pazza! Insomma, nel mio articolo, ci state pure voi, Salvo e don

                 Pasquale. Per cui, cara signora, mi dovete rendere il vostro memoriale.

Rina:       Il mio memoriale? Ma chillo nun se fa in punto ‘e morte?!

Libero:    Chillo è ‘o testamento. Invece il memoriale è una confessione di una cosa che voi

                 avete fatto in passato. Anzi, nel nostro caso, dovrà essere inventata di sana pianta.

Rina:        Aggia cunfessà ‘o fatto d’’a pianta? E mica l’aggio scassata io? L’ha scassata

                 Salvo mentre ‘a steva arracquanno!

Libero:    Ma no, di sana pianta, cioè interamente. Signò, v’ata ‘nventà tutto cose! Vabbuò?

Rina:       Ho capito. E ch’aggia dicere?

Libero:    I vostri peccati di gioventù. Voi, in passato, avete fatto la prostituta.  

Rina:       (Si arrabbia) Sì? E pecché he’ scigliuto a me? Sòreta era occupata?!

Libero:    Signora, ma voi dovete solo fare finta. E’ tutta una finzione. Una specie di film. 

Rina:       Ah, ecco, è ‘na specie ‘e rumanzo ‘ncoppa ‘o giurnale. E me pavate?

Libero:    Cento Euro.Però vi raccomando, dovete scendere nei particolari.

Rina:       Ma io scengo addò vulìte vuje.

Libero:    E ora vogliamo andare in qualche stanza a colloquiare?

Rina:       Ma sì, che me ne ‘mporta? Nun voglio lavà cchiù ‘int’’a chiesa! Ce ne putimm’ì!  

                 Rina lascia il secchio sul divanetto e prende per mano Libero. Escono a sinistra.

6. [Don Pasquale e Don Giuseppe. Poi Nico, Dante, Rina e Libero. Infine Selvaggia e Nella]

                  Da destra tornano don Pasquale e don Giuseppe. Vanno a sedersi al divanetto.

Giuseppe: Don Pasquale, sono felice di rivederti, ma sono molto scontento del tuo operato.

Pasquale: E comm’è?

Giuseppe: Questa è la parrocchia dello scandalo, del male, del peccato e dell’immoralità.

Pasquale: Aspié, aggio capito: he’ ‘a fa’ pure tu ‘o film! E’ accussì?

Giuseppe: Qualu film?

Pasquale: Non sai niente? Io devo fare un film con un regista, un certo Nico Lucirosse.

Giuseppe: Che? E tu ti metti con questa gente?

Pasquale: E che fa? Quelli mi pagano pure bene.

Giuseppe: Pasquale, non toccare i soldi frutto del peccato.

Pasquale: Ma io li utilizzo per la parrocchia, per i disoccupati di Forcella e per le prostitute.

Giuseppe: Ah, quelle di cui si occupa la signora Rina?

Pasquale: Ma… pecché… Rina s’occupa ‘e prostitute?

Giuseppe: Sì, e lo è stato lei stessa anni fa. E guarda questo foglio che mi ha lasciato il

                  sacrestano Salvo. Quello ha un passato, e forse pure un presente, da carcerato!  

Pasquale: Io non conoscevo il passato dei miei collaboratori e non indago sulla loro vita

                  privata. Loro, adesso, sono persone umili e lavorano con impegno insieme a me.

Giuseppe: E tu, allora? In giro si dice che pure tu hai un passato pieno di reati.

Pasquale: Io?

Giuseppe: Sì. E così hai voluto riparare prendendo i voti. Ma visto che la soglia del peccato

                  tu la valichi quando vuoi, ti metti a fare pure un film… cu’ un regista rattuso!

Pasquale: Oggi giorno è cambiato il rapporto rapporto fra preti e fedeli. Avvicinandoci alle

                  cose macchiate dal peccato, possiamo convertire più facilmente la gente.

Giuseppe: E tu stai riuscendo a fare questo?

Pasquale: Perché, vedi qualcosa di strano in questa parrocchia? E pure in questa stanza?

                  Da sinistra ecco Dante e Nico. Vanno a centro stanza. I due sacerdoti li notano.

Dante:       Nico, amico mio, come sono contento di fare un film insieme a don Pasquale,

                   ma soprattutto con Alessia Magna. Ua’, e ch’aggia cumbinà, cu’ chella!

Nico:         Non ti preoccupare, nel film ci sta pure qualche scena spinta!

Dante:       Che ce sta?

Nico:         Qualche scena spinta!

Dante:       E a chi aggia spingere?

Nico:         A nisciuno. Io dicevo qualche scena spinta... cioè osé!

Dante:       Osé? E ch’aggia osé?

Nico:         Guagliò, ma si’ ‘e coccio? Osé significa spinta!

Dante:       E spinta che vvo’ dicere?

Nico:         (Spazientito) Sporca!

Dante:       Oh, mò ce capimme!

                   I due si siedono al tavolo a confabulare. Giuseppe e Pasquale commentano.

Giuseppe: He’ ‘ntiso a chilli duje, Pascà?

Pasquale: Ma non ascoltarli. Ora invece, vorrei che la perpetua Rina fosse qui. Noteresti

                  che quanto si dice sul suo conto, sono solo bugie. Ma quale ex prostituta?!  

                  Da sinistra entrano Libero e Rina. Lei legge il suo memoriale ad alta voce.

Rina:        “E quando avevo tredici anni, alla gita scolastica a Roma, me la sono spassata

                  con tutti i miei compagni di classe: maschi e femmine. E con tutti i professori:

                  maschi e femmine. E con tutti i clienti dell’albergo: uomini e donne”!

Pasquale: (Si dispera) Uh, Marò!

Libero:     E adesso leggi quella parte su don Pasquale.

Pasquale: (Preoccupato) (No, no...).

Giuseppe: (Zitto, famme sentì!).

Rina:        (Legge) Dunque: “Don Pasquale è sempre stato una brava persona...”!

Pasquale: (A don Giuseppe) (‘O vi’, he’ visto?).

Rina:        (Legge) “Ma solo per finta!”...

Pasquale: (Sorpreso) (Che?).

Rina:        (Legge) “Quello presta i soldi con l’interesse, e poi è rattoso, piglia a calci i neri,

                  prostata le ragazze...”!

                  Alché don Pasquale sviene tra le braccia di don Giuseppe, stupito. Lei séguita.

                 “Poi picchia i bambini, frusta il sacrestano Salvo, mi dà i pizzichi, sputa a terra...!

                 Lei continua a leggere sotto lo sguardo attento degli altri presenti.

FINE ATTO SECONDO

ATTO TERZO

1. [Salvo e Dante. Poi Don Pasquale, Alessia e Nico]

            Al tavolo sono seduti Dante e Salvo che legge con difficoltà il giornale Napoli oggi.

Salvo: Dante, sienteccà, siente. Il titolo è: “Don Pasquale, cuore di travestito”!

Dante: Cuore di travestito? Ma si’ sicuro, Salvo? Liegge buono.

Salvo: (Legge meglio) Ah, no: “Don Pasquale, cuore di travertino”.

Dante: Vulevo dicere, io! Va’, liegge l’articolo.  

Salvo: (Legge) “Ormai sono diventate di uso pubblico: le confezioni di don Pasquale...”!

Dante: Le confezioni di don Pasquale? E che s’è mmiso a ffa’, ‘e bbomboniere? 

Salvo: (Legge meglio) Ah, no, qua dice: “Le confessioni”. Dunque: “Le confessioni di don

            Pasquale e dei suoi collaboratori hanno fatto scarpone...”!

Dante: “Scarpone”? E che ce azzecca ‘o scarpone?!

Salvo: (Legge meglio) Ah, no: “Hanno fatto scalpore… nella gente di Forcella. E così, alle 

            messe celebrate dal sacerdote, definito scandaloso, ci sono sempre meno fetenti…”!

Dante: “Fetenti”? Ma pecché, ‘int’’a chiesa ce tràsene sulo ‘e fetiente?

Salvo: (Legge meglio) “Sempre meno fedeli”. “Ormai si tratta di un coso internazionale”!

Dante: Un “coso” internazionale?

Salvo: (Legge meglio) No, no: “Un caso internazionale”. “E si teme che l’ormai inevitabile

            scomunica papale sia prossima”. Ma tu he’ capito?

Dante: Si tu sapisse leggere buono, io avesse capito meglio! Va’, liegge ‘o riesto.

Salvo: (Legge) Dunque: “Altri scandali nella parrocchia dell’orrore: è imminente un

            matrimonio lesbo, tra due donne, celebrato da don Pasquale Mirabella”.

Dante: Ancora cu’ ‘sta storia?

Salvo: Aspié, nun è fernuta ccà. Ce staje pure tu ‘ncoppa ‘o giurnale.

Dante: Io? E che se dice ‘e me?

Salvo: (Legge) “Fate attenzione a Dante il manesco”!

Dante: Manesco? A me? No, basta, chiude ‘stu giurnale.

Salvo: (Lo chiude) Ormai io, don Pasquale e Rina siamo diventati la seccia dell’umanità! 

Dante: La “feccia”.   

Salvo: Mannaggia, chilli duje giurnaliste ce hanne fatte ‘o lavaggio del cervello.

Dante: E invece, a ‘on Pascale, ‘o lavaggio del cervello ce l’ha fatto ‘o regista Nico  

            Lucirosse cu’ chillu film.

Salvo: E pecché, Dante, nun ‘o staje facenno pure tu?

Dante: Sì, ma se lo faccio io, non ci sta niente di male. Però don Pasquale è un prete.

Salvo: A proposito, ma ‘stu film comme sta jenno? E’ bello?

Dante: E’ ‘na fregatura! E ppo’ è talmente curto, ch’aiére l’amme accumminciato a girà, e

            dimane già ‘o fernìmme!

Salvo: E don Pasquale?

Dante: Niente, è muorto.

Salvo: E’ muorto? (Si preoccupa) E’ muorto ‘on Pascale?

Dante: Cretino, è muorto ‘int’’o film! Morirà con un colpo di pistola oggi alle tre in punto!

Salvo: Ma che d’è, ‘sta pistola spara a orario?

Dante: Comunque so’ rimasto deluso. ‘O regista m’’eva prumìso ‘e scene d’amore cu’

            chella attrice, Alessia Magna. E invece ce l’ha fatte fa’ cu’ ‘n’atu attore.

Salvo: A proposito, ma ‘on Pascale ch’’eva fa’ ‘int’a ‘stu film? ‘Na parta vietata?

Dante:       Sì, ma nun te prioccupà. Ogni volta che doveva fare una scena vietata, si è  

                  opposto, e così il regista ha dovuto cambiare tutto.

Salvo:       Menu male. (Si alza in piedi) Embé, aggia acchiappà a Libero, ‘o giurnalista. Ha

                  da scrivere che tutt’’e chiacchiere ‘ncoppa a ‘sta parrocchia so’ tutte palle.

Dante:       T’accumpagno. E si ‘o giurnalista nun vo’ fa’ carte, abbosca!  Andiamo!              

                  E escono dalla canonica. Da destra entrano don Pasquale, Nico e Alessia.

Nico:         E allora, caro Pasquale, ormai siamo entrati in confidenza. Ci diamo pure del tu!

Pasquale: Infatti. A proposito, visto che so’ muorto, finalmente pe’ me è fernuto ‘stu film?

Nico:         Sì, è finito. E devo proprio farti i complimenti per la scena della tua morte!

Alessia:     E già, è vero, don Pasquà. Com’era naturale! Io mi sono messa pure a piangere!

Pasquale: ‘O ssapevo! Vabbuò, mò aggio fatto chello ch’’eva fa’... e allora datemi i soldi!

Nico:         Quali sorde?

Pasquale: ‘E sorde che m’iva da’?

Nico:         Ma pecché, Alessà, io ‘eva da’ ‘e sorde a ‘on Pascale?

Alessia:     A me nun me risulta.

Pasquale: Comme, nun te risulta? ‘E cientomila Euro!

Nico:         Ah, i centomila Euro? Sì, hai ragione tu.

Pasquale: (Tende la mano) Embé, e allora dammille.

Nico:         Aspetta che il film esca nei cinema. Poi, dopo il primo incasso, avrai i tuoi soldi.

Pasquale: E quanno aésce ‘stu film ‘o cinema?

Nico:         Beh, penso non più tardi di un anno-un anno e mezzo. 

Pasquale: Un anno e mezzo? E vabbuò, tanto, sempe cientemila Euso so’.

Nico:         No, non sono più 100.000 Euro, ma il 10%.

Pasquale: ‘O diece pe’ ciento? E pecché?

Nico:         Perché gli altri novantamila Euro me li trattengo io a titolo di risarcimento.

Pasquale: Risarcimento? E aspié, Nico, e che t’aggia risarcì?

Alessia:     E lo domandate pure, don Pasquale? Vuje ate cagnato tutta ‘a storia!

Nico:         E si dia il caso che l’ho scritta io. Così dovrei denunciarti e farmi risarcire 

                  davanti al giudice. Ma io ti risparmio questa umiliazione.

Pasquale: E secondo te, io ‘esse fatto tutto chesto pe’ diecimila Euro?

Alessia:     No, veramente non si tratta di 10.000 Euro, ma di 1.000.

Pasquale: E pecché?

Alessia:     E perché 9.000 Euro me li dovete dare a me.

Pasquale: E tu che ce azzicche?

Alessia:     Come, che c’entro? Io, per contratto, dovevo fare delle scene di nudo. E invece,

                  pe’ mezza vosta, nun m’aggio pututa spuglià! E così io dovrei denunciarvi e

                  portarvi davanti ad un giudice. Però vi risparmio questa umiliazione.    

Pasquale: E io ‘esse fato tutto chesto pe’ 1.000 Euro?

Nico:         No, ma non si tratta più di 1.000 Euro, bensì di 100.

Pasquale: E pecché?

Nico:         E perché tu, in uno scatto d’ira, hai dato un calcio ad una telecamera e l’hai rotta.

Pasquale: E io ‘esse fatto tutto chesto pe’ ciento Euro?

Alessia:     No, ma non si tratta più di 100 Euro, bensì di 10, perché...

Pasquale: (Spazientito) Oh, e basta mò! E ccà, a ‘n’appoco, aggia da’ io coccosa a vuje!

Nico:         No, e perché? Noi, i 10 Euro che devi avere, te li diamo.

Pasquale: E invece io pretendo i 100.000 Euro previsti dal contratto, se no ti denuncio.

Nico:         E nun te conviene, pecché o si no overamente he’ pavà tu a me. Va a fernì che

                   t’he’ ‘a vennere ‘a chiesa e pure ‘a canonica! Per cui, statte buono, ‘on Pascà!

Alessia:     Arrivederci.

                  Nico e Alessia escono via sghignazzando. Don Pasquale resta interdetto.

Pasquale: Oh, no! E mò? Chi m’’e dda ‘e cientemila Euro? Marò, aiuteme tu.

                  Ed esce via a destra senza aggiungere altro.

2. [Don Giuseppe e Rina. Poi Selvaggia]

                   Dalla comune entrano don Giuseppe, leggendo il “Napoli oggi”, e Rina.

Rina:         (Piangente) Mamma mia, che scuorno! Don Giusé, ma mica site venuto a purtà

                   ‘a scomunica d’’o Papa?

Giuseppe: Per fortuna, no. E non sono nemmeno qui per condannare te.

Rina:         Eminenza, ma io non ho fatto niente. Mò ve dico tutta ‘a verità: i giornalisti di

                  “Napoli oggi” hanno pagato a me e a Salvo per raccontare le bugie.

Giuseppe: Vi hanno pagato? Certo è ch’’e denare fanne scemulì ‘e ggente!

Rina:         Sì, ma noi non lo abbiamo fatto apposta.

Giuseppe: (Ironico) E chille, ‘e sorde, so’ trasùte spontaneamente ‘int’’e sacche voste! E

                   don Pasquale? Pur’isso è stato pavato ‘a ‘sti ggiurnaliste?

Rina:         No, a lui lo abbiamo coperto di inciuci io e Salvo. Lui non ne sapeva niente.

Giuseppe: E ‘o film?

Rina:         Don Giuseppe, non è colpa sua.

Giuseppe: Pure? Inzomma, me pare ‘e capì ch’’a colpa nun è ‘e nisciuno. Ma fosse ‘a mia?!

Rina:         (Dubbiosa) Può essere?

Giuseppe: (Ironico) Ma secondo te, Rina, io stongo dicenno overamente?

Rina:         Sentite, ma mò io e Salvo rischiamo qualcosa per quello che abbiamo fatto?

Giuseppe: E ‘o vvuo’ sapé ‘a me? Lo deve dire don Pasquale. Voi siete i suoi collaboratori.

Rina:         E don Pasquale rischia qualcosa?

Giuseppe: E certo. Penso sia il caso che io vada in cucina da lui.

Rina:         Bravo, parlate cu’ don Pasquale. Però v’arraccummanno, parlate buono.

Giuseppe: Non ti preoccupare, Rina, io so parlare.

Rina:         E se capisce, vuje site ‘na perzona istruita. Vuje tenite perlomeno ‘a terza media!

Giuseppe: Ma famme ‘o piacere!

                   La manda a quel paese con un gesto ed esce via a destra. Rina resta interdetta.

Rina:         Néh, ma ch’aggio ditto ‘e male? Forse nun tene ‘a terza media, tene ‘a siconda!

                   Dalla comune entra Selvaggia. E’ arrabbiata. Entra battendo i piedi a terra.

Selvaggia: No, no, no e no! Nun se fa accussì. (E si siede al divanetto)

Rina:         E’ asciuto ‘nu passaguaje e n’è trasuta ‘n’ata! (Va da lei) Néh, ch’è stato, Selvà?  

Selvaggia: Signora Rina, Nella. Chella m’’eva prumìso ‘e me purtà ‘a casa soja, e invece

                   mò ha cagnato idea. Ha ditto che vo’ sta’ sul’essa cu’ Dante.

Rina:         ‘O vero? Mò vo’ sta’ cu’ Dante? Ma allora è turnata normale?

Selvaggia: Ma qua’ normale? Ve pare normale una comm’a chella?

Rina:         Beh, effettivamente, manco tu si’ normale!

Selvaggia: Però, nonostante chello che m’ha fatto, io a Nella ‘a voglio ancora bene. A

                   proposito, signora Rina, mi date un consiglio? Vorrei fare un regalino a Nella.

Rina:         (Si arrabbia) Ma tu ‘o vero si’ scema? Chella te tratta comm’a ‘na pezza e tu ce

                   faje pure ‘o regalino? Ma nun t’’o riesce a truvà a ‘n’ommo, invece ‘e perdere

                   tiempo cu’ chella? E mò basta, è arrivata ll’ora che tu tuorne normale!

Selvaggia: (Si alza in piedi) E già, avete ragione voi. Allora adesso incomincio a cambiare

                   compagnia. Voglio frequentare un’altra persona.

Rina:         Un uomo?

Selvaggia: No, un’altra mia amica: si chiama Maura!

Rina:         (Schifata) Figlia mia, tu he’ fatto proprio ‘na brutta fine. Speramme che pe’  

                   mezza toja, ‘e figli tuoje nun crescene femmenielle!

                   Ed esce via stizzita a sinistra.

Selvaggia: Aspettate, signora Rina, ma mò perché ve ne andate?

                   La segue a sinistra.

3. [Laura e Libero. Poi Salvo. Infine Dante e Nella]

                  Laura e Libero entrano con una birra in bottiglia a testa. Brindano e bevono.

Laura:      Hai visto, Libero? Il mio piano ha funzionato alla grande! Noi dovevamo creare

                  un solo personaggio scandaloso… e invece ne abbiamo creati addirittura tre!

Libero:     E già. Adesso dobbiamo fare il finale. Diremo che don Pasquale ha deciso di

                  lasciare Napoli. Vedo già il titolo: “Il prete sta scappando o è stato cacciato?”.

Laura:      A proposito, il direttore è soddisfatto di te. Praticamente, la Cronaca nera è tua.

Libero:     Faremo carriera grazie a questo caso. Allora, al nostro successo!

                  I due brindano e bevono. Dalla comune torna Salvo, affannato. Nota i due.

Salvo:       E che d’è? Vuje state ccà? E state pure brindanno?

Laura:      Ciao, Salvo. Vuoi un po’ di spumante?    

Salvo:       No. Ve puozz’ì pe’ traverso!

Libero:     Cosa c’è? Non sei contento dell’articolo che è comparso sul giornale?

Salvo:       (Ironico) Sì, comme no! Anze, mica ate fernuto? Scrivite ca io songo ‘o diavolo!

Libero:     Caro mio, noi ci occupiamo di cronaca. E qua dentro c’è roba che scotta!

Salvo:       (Non capisce) ‘O vero? Ce sta ‘a rrobba che scotta? E forse chella ‘nzallanuta ‘e

                  Rina s’è scurdata coccosa ‘ncoppa ‘o fuoco!

Laura:      Ma no, che hai capito? Lui voleva dire che qua dentro c’è la bomba.

Salvo:       (Stupito) ‘Na bomba? Ma comme, pe’ ffa’ nutizia, ate miso ‘na bomba ccà

                  ddinto? Ma che coraggio che tenete!

Libero:     Ma no, Laura vuole dire che qua dentro c’è aria fritta.

Salvo:       Ma che scimmità è chesta? Comme se fa a fijere ll’aria?

Laura:      Ma no, lui vuole dire che qua dentro c’è grasso che cola!

Salvo:       (Spazientito) Ma inzomma, se po’ ssapé che ce sta ccà ddinto? ‘A rrobba che

                  scotta, ‘a bomba, ll’aria fritta oppure ‘o grasso che cola?

Libero:     Salvo, qua dentro ci sono delle cose che fanno notizia.

Salvo:       Non è vero. Qua dentro c’è solo una cosa: la normalità. Ma quella, però, non fa

                  notizia. E accussì ate fatto passà a Rina pe’ ‘na prostituta, ma chella nun ha mai

                  visto a ‘n’ommo manco ‘a luntano! E a me m’’ite fatto passà p’’o frato ‘e Hitler!

Laura:      Voi due avete firmato documenti scritti di vostra mano. E siete stati pure pagati.

Salvo:       ‘E sorde fernéscene, ma ll’onorabilità nun po’ fernì! E io, poco fa, mentre  

                  turnavo ccà, sentevo ‘e ggente areto a me che dicevene: “Uh, chillo è ‘o rapitore, 

                  borseggiatore, rapinatore, spacciatore, scippatore...”, e tutto ‘o riesto appriesso!

Libero:     Embé? Mica sei veramente tutte queste cose? Lo sei per finzione.

Salvo:       Ma chesto, ‘a gente nun ‘o ssape. E allora mò, tutt’e dduje, priparate ‘n’articolo:  

                 che tutto chello ch’è asciuto ‘ncoppa ‘o giurnale ‘e oggie, nun è ‘o vero niente.

Laura:      Una rettifica?

Salvo:       No, nun he’ capito. Vuje ata scrivere che tutto chello ch’è asciuto ‘ncoppa ‘o

                  giurnale ‘e oggie nun è ‘o vero niente.

Laura:      Ho capito, una rettifica.

Salvo:       No, nun he’ capito ‘n’ata vota. Vuje ata scrivere che tutto chello...

Laura:      ...Ch’è asciuto ‘ncoppa ‘o giurnale ‘e oggie nun è ‘o vero niente. Amme capito.

                 Ma ‘stu fatto se chiamma “rettifica”. Però nuje nun ‘a vulimme fa’.

Salvo:       Ah, no? Ah, no? E allora mò vaco add’’o direttore vuosto. Ce dico che vuje ate

                 ‘nventato ‘nu sacco ‘e palle pe’ ffa’ carriera. E accussì ve ne faccio caccià.

Libero:    Ma addò vuò ì?

                 Libero e Laura si mettono davanti alla comune.

                 ‘A ccà ddinto nun s’aésce.

Salvo:      E io mica voglio ascì d’’a porta? Io voglio ascì p’’a fenesta!

                 Ed esce via a sinistra.

Libero:    Uh, mannaggia ‘a miseria, Laura. Jamme a acchiappà mommò a chillo.

                 I due escono di corsa a sinistra. Dalla comune entrano Nella e Dante.

Nella:       Ammore mio, secondo me tu nun me vuo’ bene cchiù.

Dante:      E pecché?

Nella:       E pecché ‘a stammatina nun m’he’ vattuta proprio!

Dante:      E si capisce, io ho promesso che non ti picchio più. E’ stato un voto che ho fatto

                 all’Immacolata. Lei deve salvare a don Pasquale che sta nei guai.

Nella:       E da quando in qua tu fai voti religiosi? Tu nun he’ maje trasuto ‘int’a ‘na chiesa!

Dante:      Ti sbagli: ce so’ trasuto quanno m’aggio battezzato!

Nella:       Ah, già. Comunque io sono triste pure per Selvaggia. Che dici, mantengo la

                  promessa e la faccio venire a casa mia?

Dante:      E io e te, po’, facìmme ammore cu’ essa e ‘e ccriature annanzo?

Nella:       No, io vengo a stare da te dopo che ci siamo sposati.

Dante:      Nella, e chi ‘a tene cchiù ‘a casa? Chella è stata ipotecata d’’a banca!

Nella:       ‘O vero? E pacienza, allora vo’ dicere che si’ tu che te ne viene a sta’ addù me.

Dante:      E Selvaggia?

Nella:       Se ne vene pure essa. E quanno po’ amma fa’ ammore, truvàmme ‘na soluzione.

Dante:      Ho trovato: essa e ‘e ccriature se ne scennene ‘na mez’ora!

Nella:       ‘E notte?

Dante:      Nella, ma nun te crià tanta probbleme! Nuje avviamme a ce spusà.

Nella:       E mò però cercamme ‘a signora Rina.  

Dante:      E vabbuò.

                 I due escono a sinistra.

4. [Don Giuseppe e don Pasquale. Poi Nico e Alessia]

                  Da destra entrano don Giuseppe e don Pasquale discutendo.

Giuseppe: Ma non ti bastava la vita sacerdotale, fatta di preghiera e conversione dei fedeli?  

Pasquale: Don Giusé, pe’ favore, m’aggio sfastriato ‘e te sentì. Nun tengo proprio genio.

Giuseppe: DonPasquale, attento alla testa.

Pasquale: (Se la tocca a due mani) No, ma nun tengo niente.

Giuseppe: No, dico, attento alla testa.

Pasquale: (Se la tocca a due mani, preoccupato) Ma pecché, che sta succedenno?

Giuseppe: La stai perdendo.

Pasquale: Ma famme ‘o piacere! Io me penzavo ‘e che se trattava! (Si calma) Ascolta, io

                  sto continuando la mia vita come prima.

Giuseppe: Come prima di diventare sacerdote?

Pasquale: E che ce sta ‘e male? Io, primma ‘e addiventà sacerdote, aggio fatto ‘o sapunaro.

Giuseppe: Pasquà, ormai tutti lo sanno: tu, prima di diventare sacerdote, facevi un sacco di

                  reati. Ed eri pure il braccio destro di un boss della malavita. Vuoi forse negarlo?

Pasquale: Don Giusé, ma nun è che staje parlànno d’’o film ch’aggio fatto io?

Giuseppe: Anche di quello. Sul giornale, tra le altre cose, c’è scritto che sei diventato

                  sacerdote non per fede, ma per sfuggire alla giustizia.

Pasquale: Ancora cu’ ‘stu giurnale?

Giuseppe: Già, il giornale “Napoli oggi”. Mi ha aperto gli occhi. Io non so più chi sei.

Pasquale: Comme?

Giuseppe: Ho detto che non so più chi sei. Ma chi sei tu?

Pasquale: (Risponde candidamente) So’ don Pasquale Mirabella!

Giuseppe: (Inconsapevolmente) Piacere, don Giuseppe Selva! (Realizza) Ma che me faje

                  fa’? Basta, don Pasquale, cerca di discolparti dalle cose uscite su quel giornale.

                  Te lo dico come un fratello. Io torno più tardi per sapere cos’hai deciso di fare.

                  Esce dalla canonica. Pasquale si siede al divanetto pensieroso.

Pasquale: Embé, si acchiappo a Libero Dalle Catene, ‘o ‘ncateno overamente! Ha scritto 

                  tutte quelle falsità su di me. (Poi invoca) Madonna mia, mandami un segno.

                  Dalla comune entrano Nico e Alessia. Si avvicinano a don Pasquale.

Nico:         Don Pasquale!

Pasquale: Madonna, io ti ho detto: mandami un segno. E tu me manne proprio a chisto?!

Nico:         Don Pasquale, ma non mi hai sentito?

Pasquale: Purtroppo t’aggio ‘ntiso! E t’aggio pure visto! (Nota Alessia) Ah, ce sta pure

                  chesta? E allora stamme ‘o completo!

                  Alessia gli volta la faccia, indispettita. Lei e Nico si siedono al tavolo. 

Nico:         Don Pasquale, io ti debbo parlare assolutamente.

Pasquale: Ti vuoi confessare?

Nico:         E che tengo ‘a cunfessà?

Pasquale: (Ironico) Ah, e già, tu nun tiene nisciunu peccato!

Alessia:    ‘On Pascà, quanno facite ‘o ‘nzipito, nun me piacite pe’ niente!

Pasquale: Tu nun parlà proprio. (La irride) Comm’è bella, vo’ fa’ l’attrice!

Alessia:     Sapete che vi dico, don Pasquale? Con voi non ci parlo più!

Pasquale: (Ironico) E mò, p’’o dispiacere, me vaco a suicidà!

Nico:         Ma nun ‘a da’ retta, a chesta! Tanto, non verrà con me e con te in televisione.

Pasquale: Comme?

Nico:         Sì, è per questo che sono venuto qua: 100.000 Euro per partecipare a una

                  trasmissione su Rai Uno come ospiti. Dobbiamo parlare del film.

Pasquale: E io che c’entro?

Nico:         Don Pasquale, tu sei il personaggio del momento. Ma ci pensi? 100.000 Euro!

Pasquale: E se io non voglio partecipare?

Nico:         Perdimme ‘e cientomila Euro! Quelli vogliono te, non me o Alessia. Ma a te che

                  ti costa? Forse non hai capito? Sono 100.000 Euro: 30.000 a te e 70.000 a me.  

Pasquale: No!

Alessia:     (A Nico) Ha detto di no. Nico, vai, spara!

Pasquale: (Stupito) Che cosa? E Nico m’avessa sparà a me? E a chesto simme arrivate?

Nico:         Ma no, ‘sta scema vo’ dicere: spara una cifra più alta. E va bene, allora

                  facciamo così: 50.000 a te e 50.000 a me. Ci stai?

Alessia:     Don Pasquale, io fossi in voi, accetterei.

Pasquale: Ma tu nun he’ ditto che nun ce vuo’ parlà cchiù cu’ me?

Alessia:     Ah, già. E allora comincio da adesso!

Nico:         Va bene, basta così. Allora ti faccio un’ultima offerta: 70.000 a te e 30.000 a me.

Pasquale: Ma Nico, tu hai detto che la “star” della trasmissione sono io. E allora perché 

                  dovresti ricevere anche tu un compenso?

Nico:         Beh, perché... perché tu mi devi risarcire. E già, tu mi hai rovinato il film. 

Pasquale: (Si alza e gli si avvicina) E no, tu he’ ditto che t’’e ppiglie ‘a coppa all’incasso

                  d’’o film. E’ ‘o vero o nun è ‘o vero?

Alessia:     Beh, però ave raggione.

Nico:         Néh, Alessia, ma tu nun ‘ive ditto che cu’ isso nun ce vuo’ parlà cchiù?

Alessia:     Sì, ma mò sto’ parlanno cu’ te!

Nico:         E nun parlà manco cchiù cu’ me!... Va bene, don Pasquale, hai vinto tu: 95.000

                  Euro a te e 5.000 a me. Mò va buono? Si’ cuntento?

Pasquale: No.

Nico:         E pecché?

Pasquale: Voglio tutti i 100.000 Euro. Tu non mi darai più i soldi del film. E come faccio

                  ad aiutare i poveri e i disoccupati di Forcella? Oppure in TV devo raccontare

                  anche questo?

Nico:         Un momento, ma così io non ci guadagno niente.

Pasquale: Scherzi? Io sono una star. La mia presenza in TV farà pubblicità al tuo film.

Alessia:     (Lo applaude) Bravo, don Pasquale!

Nico:         Ma che d’è, mò staje d’’a parta soja?

Alessia:     No, però m’è piaciuto comme ha parlato!

Nico:         (Si alza) Va bene, don Pasquale, tu sei molto furbo. I 100.000 Euro sono tuoi.

Pasquale: Non mi basta. Me li devi garantire con una ricevuta scritta e firmata da te.  

Nico:         E non ti basta la mia parola?

Pasquale: No.

Alessia:     E la mia?

Pasquale: Tu he’ ditto che nun ce parle cchiù cu’ me! E allora, quala parola me vuo’ da’?  

Nico:         Ho capito, don Pasquale. Ti firmo la ricevuta. Ma non qua. In cucina.

Pasquale: Ma certamente. Però è bello fare affari con la gente seria! Forza, venite.

                   I tre escono a destra in cucina.

5. [Salvo Laura e Libero. Poi Don Pasquale, Nico e Alessia]

                   Da sinistra entra Salvo. E’ affannato.

Salvo:        Ce ll’aggio fatta,  ‘o direttore è stato avvisato. Vendetta è fatta!

                   Fuori canonica si sentono le voci di Libero e Laura.

                   Uh, stanne venenno ccà. Mannaggia!

                   Fugge via a destra. Dalla comune (al centro) entrano Libero e Laura.

Libero:      Salvo mi è sfuggito.

Laura:       T’ha sperzo? E io ‘o ssapevo! Nun si’ buono proprio!

Libero:      E che vvuo’ ‘a me? Chillo, Salvo, quanno corre, zompa: me pare ‘nu cuniglio!

Laura:     Va bene, dopo pensiamo a lui. Ora pensa a scrivere l’articolo sul prete in fuga.

Libero:    Sì, ma stavolta voglio scrivere la verità. Cara Laura, se una persona sta cercando

                 di scappare, che cosa si prepara?

Laura:     La valigia.

Libero:    Appunto.

Laura:     Bravo. E sai cosa ti dico? Gliela prepariamo noi.

Libero:    E allora vieni con me e facciamo presto. La camera da letto sta di là.

                 I due escono in fretta e furia a sinistra. Da destra entrano don Pasquale (con

                 una ricevuta inmano), Nico e Alessia.

Pasquale: Ecco qua, Nico. E ti raccomando i soldi, se no vado a trovare i carabinieri.

Alessia:     E che ce jate a ffa’, ‘on Pascà?

Nico:         (Ironico) Eh, ce porta ‘e biscotte e ‘na butteglia ‘e Strega!

Alessia:     (Sorpresa) ‘E biscotte e ‘na butteglia ‘e Strega ‘e carabbiniere?

Nico:         Cretina, ce va a denuncià!

Alessia:    (Impressionata) No, no, don Pasquale, vi prego, non lo fate.

Pasquale: Nun te prioccupà. Vuje facite ‘e brave, e io nun ve denuncio!

Nico:         Certo che tu sei proprio un gran figlio di...!

Pasquale: Caro mio, io non sono un prete qualunque!

Alessia:     Lui è un prete attore! In tutti i sensi.

Pasquale: Appunto! Nel cinema non so recitare, ma nella vita sì. E sapessi come serve!

Nico:         Va bene, allora domani sera andremo negli studi televisivi Rai.

Alessia:     Amma fa’ ‘n’atu film?

Nico:         Scé, amma partecipà ‘a trasmissione. Te si’ scurdata? Cammina, jammuncenne!

Alessia:     Arrivederci, don Pasquale.

Pasquale: Cià, cià.

                  Nico e Alessia escono. Pasquale guarda felice la ricevuta firmata dai due.

                  E anche questa è fatta! E’ la prima volta che sono contento di aver imbrogliato

                  qualcuno! Mò che veco a Salvo, l’aggia cuntà tutto cose! A proposito di Salvo:

                  stamattina ho ricevuto una bolletta del telefono salatissima. Ho dato un’occhiata

                  al tabulato e risultano molte telefonate su un cellulare. Chissà perché?

                  E dalla sinistra entra proprio Salvo di corsa. Si siede, affannato, al divanetto.

                  E che d’è chisto? Salvo, è inutile che corri. Ancora nun è pronto ‘a magnà!

Salvo:       (Affannato) Un momé... un momé...! Prendo fià... prendo fià...!

Pasquale: E allora parlo io. Lo sai? Ho risolto il problema del film. Quel regista non mi

                  voleva pagare. Ma io, con un soterfugio, avrò lo stesso i soldi.

Salvo:       (Affannato) Veramé...? Veramé...?

Pasquale: Sì. E questa è la ricevuta, firmata direttamente da lui! Ora però devo risolvere il

                  fatto dell’articolo scandaloso. Quello che è comparso sul giornale “Napoli oggi”.

Salvo:       (Ha ripreso fiato) E cioè? Che volete fare?

Pasquale: Zittirò le voci maligne su di me. Le farò sottacere. Hai capito? Le farò sottacere!

Salvo:       (Capisce tuttaltro) E vulite ‘na mana?

Pasquale: A ffa’ che cosa?

Salvo:       ‘E sottacete?

Pasquale: (Ironico) Sì, tenisse ‘nu buccaccio? Ma io dicevo sottacere, cioè far tacere. Hai

                  capito? Io mi riferisco a tutto ciò che hanno scritto quei due giornalisti sedicenti.

Salvo:       Quei due giornalisti sedicenni? Ma pecché, ténene sirice anne, chilli duje?!

Pasquale: Ho detto sedicenti, non sedicenni. Sedicenti significa presunti.

Salvo:         State tranquillo, a Libero e a Laura ci ho pensato io. Loro mi stanno inseguendo

                    perché sono stato dal direttore del loro giornale e gli ho detto tutto.

Pasquale:   (Sorpreso) Che he’ fatto, tu? Viene mommò cu’ me ‘int’’a cucina e famme sentì

                    tutto cose.

Salvo:         Sì. Dunque, le cose stanno così…

Pasquale:   Aspié, amma ì primma ‘int’’a cucina e ppo’ accummience a parlà.

Salvo:         Sì, dunque...

Pasquale:   E vvuo’ aspettà? Ja’, viene cu’ me.

Salvo:         Sì, dunque...

Pasquale:   E ‘nu mumento!

Salvo:         Sì, dunque, le cose stanno così…

                   Prende per un braccio Salvo e se lo porta via a sinistra.

Scena Ultima. [Don Giuseppe, Selvaggia, Rina, Libero, Laura, don Pasquale, Nella, Dante e Salvo]

                   Dalla comune entra Don Giuseppe. Pare molto deciso.

Giuseppe:  Il tempo è scaduto. Adesso basta: o don Pasquale decide cosa fare, oppure, mi

                   dispiace, ma devo prendere dei seri provvedimenti. E non vorrei farlo.

                   Si siede al divanetto. Da sinistra entrano Selvaggia e Rina: lui le nota.

Rina:         He’ capì, bella mia? La donna è donna e l’uomo è uomo. Solo che l’uomo pesa

                   qualche chilo in più della donna! Anzi, qualche chilo e qualche etto in più!

                   Don Giuseppe le osserva e le ascolta attentamente.

Selvaggia: Signora Rina, ma vuje che me vulìte spiegà a me?

Rina:         Chello che nun he’ capito! Io voglio sapé tu comme he’ fatto a avé tre figli!

Selvaggia: Normalmente.

Rina:         E a me nun me pare! E allora adesso ti spiego io come devi andare con un uomo!

Selvaggia: No, ma nun è proprio ‘o caso!

Rina:         E invece sì. Io voglio che tu non vai con le donne, ma con gli uomini.

                   Don Giuseppe porta le mani al viso, interdetto.

Selvaggia: Ma... ma...

Rina:         Niente ma. Adesso ti porto a conoscere degli uomini. E lo sai dove? Nella

                   parrocchia di San Ciro! E dopo ti porto pure nella parrocchia di San Giacomo!                  

Giuseppe: (Salta in piedi e va dalle due, minaccioso) Adesso basta. Hai capito, Rina?

Rina:         Don Giuseppe?

Giuseppe: Sì. Quando è troppo è troppo. Le mie orecchie hanno sentito cose inaudite. Quel

                  che stai facendo tu, è istigazione alla prostituzione!

Rina:         Io?

Giuseppe: Esatto. Ma allora il giornale ha ragione. E addò ‘a vulìsse purtà a prostituì a ‘sta

                   puverella? ‘Int’’a parrocchia ‘e San Ciro e chella ‘e San Giacomo? Ma io ti farò

                   cacciare da qua dentro e ti denuncerò alla polizia. He’ capì? Addio!

                   Ed esce via a destra arrabbiatissimo. Selvaggia e Rosa restano sorprese.

Rina:         Néh, ma ch’è impazzito, don Giuseppe?

Selvaggia: E io che ne saccio? Tutto po’ essere.

Rina:         Vabbuò, nenné, jamme a parlà fora, ch’è meglio! Così nessuno ci disturba più.

Selvaggia: Ma pecché, amma parlà ancora?

Rina:         Sì. E mò stamme a sentì: devi sapere che l’uomo, a differenza della donna...

                  Escono (Selvaggia sbuffa). Da sinistra entrano Laura e Libero con una valigia.

Libero:      Ecco fatto. (Posa a terra la valigia) La valigia è pronta.

Laura:       E che la lasci, qua?

Libero:      E addò l’aggia mettere?

Laura:       Mettila vicino alla porta.

Libero:      Vicino alla porta? (Esegue) Va bene qua?

Laura:       No, non mi piace là. Mettila dalla parte opposta.

Libero:      Ma che stamme spustanno, ‘nu mobile?

Laura:       Ma no, la dobbiamo mettere più in vista!

Libero:      E vabbuò. (Esegue) Va bene qua?

Laura:       Sì. Ed ora andiamo fuori la chiesa e aspettiamo che don Pasquale esca. Così tu

                   lo fotografi. (Dalla borsa estrae una macchina fotografica digitale) Tieni.

Libero:      E già, lo fotografo con la valigia in mano. Sai che scoop! Vieni, usciamo.

                   I due escono dalla canonica. Da destra entrano don Giuseppe e don Pasquale.

Giuseppe: Sono tornato ed aspetto una tua risposta. Cos’hai deciso di fare?

Pasquale:  Don Giusé, ma te pare ca io me pozzo mettere a ffa’ ‘sti ttarantelle cu’ te?

Giuseppe: No, le tarantelle non le stai facendo con me. Ma con la gente di Forcella.

Pasquale:  La gente mi rispetta lo stesso. Non hai visto quanta ce n’era alla messa di prima?

Giuseppe: Sì, ma la gente non viene per te. Viene solo per ascoltare la parola di Dio.

Pasquale:  Ma se io non ne fossi degno, penso che Dio mi toglierebbe la facoltà di parlare!

Giuseppe: Forse ti ha tolto la facoltà di pensare.

Pasquale:  E a te che cosa ti ha tolto? L’umiltà?

Giuseppe: Che c’entro io?

Pasquale:  C’entri, c’entri. Finché eravamo tutti e due sacerdoti, eri mio complice in tutto.

                   Adesso che stai diventando vescovo, tieni il senso della superiorità.

Giuseppe: (Nota la valigia) E che mi dici di quella valigia vicino alla porta?

Pasquale:  E io che ne saccio? Non l’ho fatta io. Non so neppure come si trova, là vicino.

Giuseppe: Senti,io ti voglio solo stimolare. Tu devi convertire la gente e portarla alla fede.

Pasquale:  Perché, tu dici che non lo faccio?

Giuseppe: No.

                  E da sinistra entrano Dante e Nella: lei si ferma alla porta, lui s’avvicina ai due.

Dante:       E invece sì, Don Giusé. Don Pasquale riesce a convertire la gente. Per esempio,

                   ha convertito me.

Nella:        (Sorpresa) Che? (Gli si avvicina) Ma pecché, Dante, tu te si’ convertito?

Dante:       Sì, Nella. Sai quando l’ho capito? Quando prima mi hai chiuso nel bagno.

Pasquale:  E comm’è, ‘o bagno mio è miracoloso?

Dante:       Don Giuseppe, io non entravo in una chiesa da quando mi sono battezzato. Ma

                   da quando ci sono tornato e ho ascoltato don Pasquale, voglio entrarci sempre.

Giuseppe: E perché? Che cosa ti ha fatto sentire don Pasquale?

Dante:       Oggi ha detto una messa troppo bella, e ha fatto un’omelia che mi ha commosso.

Nella:         Tu te si’ commosso? Ua’, Dante, nun t’aggio maje visto ‘e chiagnere, a te!

Dante:       Eppure è successo.

Giuseppe: Già, ma è successo a te. E agli altri?

Dante:       Io appartengo ad un gruppo di sette amici leggermente vandali! E ci siamo

                   convertiti tutti. Don Giusé, non ci credete? E allora vi faccio vedere.

                   Va alla comune, ne esce appena e poi richiama l’attenzione degli amici.

                   Uhé, guagliù! Facciamo sentire il nostro “grazie” per don Pasquale.

                   Da fuori si sentono applausi e ovazioni:

Da fuori:  (Coro da stadio) “Don Pasquale, don Pasquale, don Pasquale”!

Dante:       (Torna da don Pasquale e gli altri) Avete visto, don Giuseppe? E mò che dite?

Giuseppe: Già, ho sentito. Senti, don Pasquale, effettivamente, mi piace o non mi piace

                   come lavori tu, la realtà io non la posso negare. Vai avanti. Continua così.

                   Gli stringe la mano, poi si avvicina alla valigia. Quindi, si volta verso Pasquale.  

                   E per evitare che tu decida di andartene da qui, ti requisisco la valigia.

                   Giuseppe prende la valigia ed esce di casa. 

Pasquale:  Dante, io non so come...

Dante:       No, non mi ringraziate. Anzi, se volete fare una bella cosa, sposate me e Nella.

Pasquale:  Vuoi sposare Nella? Ma Nella nun se vuléva spusà a Selvaggia? L’ha ditto Rina!

Nella:         Io? Ma che? ‘Na femmena cchiù femmena ‘e me nun ce sta! E mò, Dante,

                   jamme ‘a casa. Oggie voglio abbuscà assaje!

Dante:       E no, io ho fatto il voto. Per cui, ‘sta vota voglio abbuscà io ‘a te!

Nella:         E sia! Bonasera, ‘on Pascà!

                   Nella e Dante escono via. Pasquale resta dubbioso.

Pasquale:  Secondo me, domani Dante viene a confessarsi… tutto struppiato!

                   Da destra entra Salvo.

Salvo:        Don Pasquà, m’è venuta ‘n’idea pe’ comme amma fa’ cu’ chilli duje giurnaliste!

Pasquale:  Famme sentì.

Salvo:        Li combattiamo con la stessa arma: su di loro scriviamo un articolo pieno di

                   offese sul nostro giornalino parrocchiale!

Pasquale:  Ma chi s’’o legge, chillu coso? Lascia stare, che è meglio. Domani sera devo

                   andare in televisione, così chiarisco tutte le falsità che riguardano la parrocchia.

                   A proposito, intanto ho chiarito con don Giuseppe.

Salvo:        Veramente? E che v’ha ditto?

Pasquale:  Ha detto che Dio mi ha tolto il senno.

Salvo:        (Stupito) Eh? Ma pecché, vuje tenìveve ‘o seno? (Fa il gesto dei seni femminili)

Pasquale:  Eh, tenevo ‘a quarta misura! Ma no, io ho detto il “senno”, con due “enne”, cioè

                   la facoltà di pensare e di decidere. Insomma, Salvo, ogni volta che celebro una

                   messa, io devo mostrare i miei attributi.

Salvo:        ‘Int’’a chiesa? Annanzo ‘e ggente?! Vulìte fa’ ‘e ccose sporche?!

Pasquale:  Ma tu nun capisce maje niente?! Io nun te capisco. E non ti permettere di fare

                   mai più scherzi telefonici sui cellulari. E non dire che non è vero, io so tutto.

Salvo:        E va bene, mi avete scoperto. Non vi preoccupate, don Pasquale.

Pasquale:  E ora vieni con me. Aiutami a sistemare un poco in cucina. Andiamo.

                   I due escono a destra. Poi però Salvo ritorna e va a telefonare.

Salvo:        Pronto, il signor Vacca? (Fa l’imitazione della mucca) Muuuh!

                   Ma proprio il quel momento entra don Pasquale che lo scopre.                

Pasquale:  Ah, ma allora he’ pigliato ‘o vizio!

Salvo:        (Riaggancia) Uh, Marò, m’ha scupertto!

Pasquale:  Uhé, viene ccà, t’aggia fa’ pavà ‘a bulletta!

Salvo:        No, no.

                   Scappa fuori dalla canonica rincorso da don Pasquale.

FINE DELLA COMMEDIA