Don Pietro Caruso

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Dramma in un atto

di Roberto BRACCO

Arnoldo Mondadori Editore - Milano

1960

PERSONAGGI

DON PIETRO CARUSO

MARGHERITA, sua figlia

IL CONTE FABRIZIO  FABRIZII

Voci interne

La scena è a Napoli. - Epoca attuale (1894).

Questo dramma fu rappresentato la prima volta al Teatro Sannazzaro

di Napoli, da Ermete Novelli, nel novembre del 1895.


ATTO UNICO

Una stanzetta poveramente ammobigliata. In fon­do, nel centro, una porta grande, e, a qualche distan­za, una finestra. A destra, una specie di basso focolare rusticano con la gran cappa affumicata, il quale sene anche da caminetto. A sinistra, una porticina. Quasi davanti al focolare, una scrivania con su carte in di­sordine e l'occorrente per scrivere. Una credenza, una tavola rotonda, poche seggiole sciancate, una catinella sopra un treppiede di ferro, una brocca di acqua, un asciugamani, fra la porta d'ingresso e la finestra, un umile lettuccio con su un materasso avvoltolato. Sul­la credenza, la statuina colorata d'un santo con innanzi una lampada a olio. A un muro è incollato un cartellone alquanto lacero. Vi si legge: « Votate per il Conte Fabrizio Fabrizii.»

È giorno, ma durante l'azione l'aria andrà lieve­mente oscurandosi.

SCENA I

Margherita eFabrizio

Fabrizio       (è seduto, una gamba sull'altra, le braccia conserte, la faccia buia!) 

Margherita   (è alla finestra, e parla a voce alta con una vicina)  Grazie, signora Punzo! (Poi, rivolgendosi pianissimo a Fabrizio)  Scusa. La signora Punzo qui accanto mi ha chiamata per farmi ritirare le lenzuola, ch'erano a prendere aria. Sta per piove­re

(Da una funicella stesa fuori la finestra trae due lenzuola e le piega, seguitando a parlare con la vicina) 

Se non mi aveste avvertita voi, io non me ne sarei accorta del cattivo tempo.

La voce della vicina.Le ragazze, tutte così. Beate loro!

Fabrizio       (tentenna il capo)

Lampeggia un poco e si ode qualche tuono.

Margherita   (alla vicina)  Ci siamo. Pausa.

La voce della vicina.Il babbo è in casa?

Margherita. Nossignora, sono sola... come sempre.

La voce della vicina.Stanotte, ho sognato un bue a tre corna e un morto con la gobba. Per i numeri da giocare, volevo consultare don Pietro, che di queste cose se ne intende.

Margherita. Eh! Quando tornerà... (Chiudendo la destra)  Permettete. (A Fabrizio, riponendo le len­zuola piegate sul materasso)  Sono per il letto del babbo. Mi dispiaceva che si bagnassero. (Un silenzio. Ella guarda Fabrizio, gli si accosta alle spal-le e gli circonda il collo con le braccia, baciandogli i capelli)  Dunque, è uno scherzo...

Fin qui l'azione è proceduta lentissima, con mol­lezza tutta napoletana.

Fabrizio       (liberandosi dalle braccia di lei)  Non è uno scherzo, Margherita. Con te, non ho mai scherza­to. Prima di risolvermi, ho molto riflettuto. Ed ho sofferto. Ora, sono irremovibile.

Margherita. Ma quale danno hai avuto da me?

Fabrizio.      Nessuno.

Margherita. Ti sono di peso?

Fabrizio.      No.

Margherita. Ti guasto la vita? Ti distraggo? T'importuno?

Fabrizio.      No, no! E questo ti prova appunto che io agisco esclusivamente a vantaggio tuo. Continuando, che ci rimetterei, io?

Margherita. Non lo so; ma è certo che per tenerti legato a me io non avrei dovuto...

Fabrizio       (interrompendo/a)  T'inganni!

Margherita. No, non avrei dovuto fare... quello che ho fatto. Credi ch'io sia tanto stupida da non ca­pirlo?

Fabrizio.      Tunon capisci niente.

Margherita. Il capriccio t'è passato.

Fabrizio.      Eccoci al solito capriccio!

Margherita.  Capriccio! Capriccio! Se fosse stato amore...

Fabrizio.      Va' là che non s'è ancora saputo se l'amo­re sia un capriccio che dura troppo, o se il capric­cio sia un amore che dura troppo poco... Non ca­pisci niente, ti dico. Io sento per te, oggi, ciò che sentivo ieri, ciò che sentivo un mese addietro.

Margherita. Si vede!

Fabrizio. Non si vede? Pazienza! Ma è cosi. E per­ché dovrebb'essere altrimenti? Tu sei diventata an­che più bellina, più graziosa, più docile. E, anzi, è la tua stessa docilità quel che maggiormente mi fa paura. È indubitato che venire qui, di nascosto, come ho fatto finora, a guisa di un mariuolo o di uno sciocco, per una persona della mia posizione sociale, non è bello, e il rischio di trovarmi tra i piedi un uomo della risma di tuo padre non è mica divertente; ma, via, non di questo mi preoccupo... perché non sono un egoista. Io mi preoccupo per te, Margherita, per te. Tu ti sei lasciata andare sen­za prevedere le conseguenze. Cerchiamo di preve­derle almeno ora. C'è tanti guai da evitare. Evitia­moli. Se stringessimo di più i nostri vincoli, non ne saresti tu, poverina, l'unica vera vittima? (Pau­sa)  Tutto quello che è accaduto tra noi non lo met­teremo in piazza né tu né io. E, facendo il sacrifizio di separarci - ed è per me un gran sacrificio, Margherita -, ce la saremo cavata il meglio pos­sibile.

Margherita. Si direbbe che non mi conosci, Fabrizio! Tu credi, senza dubbio, di parlare con un'altra donna, con un'altra Margherita. Dici che io sarei l'unica vittima? Ma di chi? Ma di che cosa? Io non sarò vittima di nessuno e di nulla se tu non mi abbandoni; e una tua parola, una tua parola affet­tuosa, un tuo bacio, una mezz'ora della tua presen­za potranno farmi sopportare allegramente tutti i guai che tu temi, tutte le conseguenze che prevedi.

Fabrizio.      È inutile: non mi convinci.

Margherita. Ioti risparmierò qualunque imbarazzo, qualunque noia, qualunque fastidio...

Fabrizio.      Ed io invece ho il dovere di risparmiare a te la pubblicità del fallo... e..., chi sa..., molte sof­ferenze morali... e... fisiche di cui tu non hai nep­pure una vaga idea.

Margherita. Ma giacché io sono pronta a tutto, per­ché te ne preoccupi tu?

Fabrizio.      Perché non voglio avere altri scrupoli di coscienza!

Margherita. E se non vuoi avere altri scrupoli di co­scienza, non devi lasciarmi morire di crepacuore!

La voce del portinaio(vien di giù, dal cortile, fio­ca e cadenzatamente stentorea)  Signorina Margheri­ta!... Signorina Margherita!...

Fabrizio.      Uff! Che altro c'è?

Margherita. È il portinaio che mi chiama. (Man­sueta, riapre la finestra. — Piove a dirotto. — Ella si copre la testa con un fazzoletto e si affaccia)

La voce del portinaio. Il signor Chianese, può sa­lire?

Margherita. Non lo sapete che sono chiusa in casa?

Fabrizio.      Bada che mi ha visto entrare.

Margherita   (a Fabrizio)  Che novità! Lo so; ma le mance che gli dài a che servono?

La voce del portinaio. Credevo che don Pietro fosse rincasato.

Margherita. No, non è rincasato.

La voce del portinaio. Il signor Chianese vuole quel­la lettera che don Pietro gli aveva promessa. A me non ha dato niente. L'avrà dimenticata sulla scrivania.

Margherita. Vedrò. (Cerca sulla scrivania, inutil­mente. Torna alla finestra)  Sulla scrivania non c'è la lettera.

La voce del signor Chianese(di giù - balbuzien­te)  Allora, dite a don Pie'..., a don Pietro, da parte mia, che è un fu... furfante e un mancatore di pa... parola.

Margherita. Di queste imbasciate non gliene faccio, al babbo. (Chiude in fretta la finestra)

Un silenzio.

Fabrizio.      Iome ne vado, Margherita. Tuo padre po­co starà a venire e una sorpresa proprio all'ultimo sarebbe davvero una bella tegola sul capo per me e per te. Questa è la chiave (tirando fuori una chia­ve e mettendola sulla tavola)  che è stata, disgra­ziatamente, la nostra complice; e io te la consegno, vedi, per non avere più la possibilità di venire a trovarti in segreto. Buttala via, o nascondila. Io ti auguro... che nessun altro debba servirsene.

Margherita. Fabrizio!...

Fabrizio.      Eh, mia cara, soltanto chi è bestialmente fatuo può credere di essere il solo a meritare una donna! (Pausa)  Io tornerò più tardi per aggiustare certe faccende con don Pietro. Il suo lavoro elet­torale mi è stato disastroso, ma non me ne lamen­terò, e c'intenderemo egualmente... (Pigliando il cappello)  Sicché..., addio Margherita!...

Margherita. Fabrizio, riprendi quella chiave.

Fabrizio.      Margherita, non tentarmi...

Margherita. Riprendila..., riprendila... Non toglier­mi ogni speranza.

Fabrizio.      No... no... Bisogna troncare!

Margherita   (afferrandogli le braccia e trattenendo­lo)  Ascoltami, Fabrizio!... Ascoltami!... Ascoltami!...

Fabrizio.      Non ora... Lasciami... Riparleremo poi di tutto...

Margherita. Ma quando, ma come ne potremo riparlare?

Fabrizio.      Ne riparleremo... ne riparleremo... (Si svin­cola ed esce richiudendo la porta)

Margherita   (piange silenziosamente. Indi, balbetta singhiozzando:) Sì, sì, "ne riparleremo"... Parole! Parole!...

(Piange ancora, toglie la chiave di su la tavola e la nasconde in tasca. Versa dell'acqua nella camelia, si lava gli occhi e se li asciuga. Apre la credenza, ne trae una tovaglia e dei piatti e comin­cia ad apparecchiare per il desinare)

SCENA II

Margherita, Pietro

Pietro          (è su per le scale, cantando rocamente l'aria del "Trovatore" e intercalandovi molte pause;)

Sconto col sangue mio...

Margherita   (tra sé)  Il babbo...

Pietro          (di cui lo strano cauto va avvicinandosi)

L'amor che pósi in te!

Non ti scordar...

Non ti scordar di me!

La voce della vicina(chiamando)  Ehi, don Pietro!... Don Pietro!... Siete voi?

Pietro.         Pare. In che posso servirvi, signora Punzo?

La voce della vicina. Favorirmi sempre.

Pietro.         Comandate! Comandate!

La voce della vicina. Stanotte, in sogno, un morto con la gobba e un bue a tre corna. Che mi dite? Che numeri devo giocare?

Pietro.         È chiaro: il morto con la gobba 47 e 57, il bue 77, e metteteci il 3... per le corna.

La voce della vicina. Grazie!

Pietro.         Niente, per ora. Ma raccomandatevi ai santi protettori del lotto pubblico...: devono essere pa­recchi: e ci rivedremo a vincita fatta!

(Ricomincia a cantare, ripigliando il motivo press'a poco dove l'ha interrotto:)

Non ti scordar... Non ti scordar di me! Le... o... noo... ra!

Si sente un poco il rumore della chiave nella ser­ratura. La porta si apre subito. Egli entra.

Leonora, addio...

Spezza la cadenza. Richiude la porta col lucchet­to, e si avanza a passi gravi, comicamente solen­ne. Il lungo e frusto stiffelius col bavero alzato e l'unto cappello a tuba grondano acqua. Parimen­te inzuppati sono i calzoni dagli orli rosi e le scarpe scalcagnate.

Margherita. In quale stato!

Pietro.         Cioè?...

Margherita. Sei fradicio, babbo!

Pietro.         Locredo, io! Non senti che pioggia?!... Brrrr...

Margherita. E il tuo ombrello? E il tuo pastrano?

Pietro.         Prima di tutto, ragioniamo. (Il verbo "ragio­nare" gli corre spesso alla bocca, pronunziato lievissimamente come se gli scivolasse dalle labbra)  Appena ho messo la chiave nel buco della serratura, la porta si è aperta. (Quasi serio, mostrando la chiave che ha in mano)  Come va questa faccenda?

Margherita   (con simulazione)  Come vuoi che vada? Quando sei uscito, avrai dimenticato di chiudere bene. Sei così distratto!

Pietro.         Anche questo può darsi. Brrr... L'umido mi penetra nelle ossa...

Margherita. Mio Dio!

Pietro.         Ci hai della legna per fare un po' di fuoco?

Margherita. Non so... (Esce a sinistra)

Pietro          (agitando il cappello affinché l'acqua ne coli - riflette:)  Anche questo può darsi. La distrazione è il solo connotato che distingua l'uomo dalla bestia!

Margherita   (di dentro)  Per fortuna, ce n'è della legna.

Pietro          (continuando tra sé:)  Difatti, la capra, la vol­pe, il cavallo, l'asino sono mai distratti? Nossigno­re!

(Dopo avere asciugato il cappello con un faz­zoletto, mette l'uno e l'altro sul cornicione della cappa)

Margherita   (entra recando un fascetto di brevi pezzi di legno)

Pietro          (togliendosi lo stiffelius)  Brava la mia Margherita!

Margherita. Sono ancora i resti della panchetta fracassata.

Pietro.         E, allora, siano benedette le.spalle sulle quali la fracassai! (Distende lo stiffelius sulla spalliera di una seggiola accanto al focolare)

Margherita   (ginocchioni, intenta ad accendere il fuoco)  Ma del pastrano e dell'ombrello, babbo, che ne hai fatto?

Pietro.         Sei un gran tipo, tu! Quando sono uscito, pio­veva, forse? No. E dunque che bisogno ne avevo?

Margherita. Per altro, hai portato via ombrello e pastrano.

Pietro.         Naturale! (Spicca dall'attaccapanni una lun­ga giacca vecchia, tutta sudiciume e tutta rappez­zature)  E li ho utilizzati. (Infilando la giacca)  Que­sta invece non c'è più da utilizzarla. Se andassi ad offrirla al Monte di Pietà, mi riderebbero in faccia, e ne avrebbero il diritto.

Margherita   (alzandosi)  Come! Hai pegnorato...?

Pietro          (con fierezza)  Ombrello e pastrano. Beninte­so! O bella! Per chi mi pigli? Pegnoratissimi!... La giornata si annunziava cosi scarsa...

Margherita   (mite)  Eppure, avevi promesso di com­perare da pranzo.

Pietro.         Precisamente perché io sono un uomo di risorse! Che diamine!

Margherita   (con dolce rimprovero)  Babbo! Babbo! (Riprende ad apparecchiare.)

Pietro          (cavando dalle saccocce del panciotto una pi­pa e delle cicche)  Ma... non ti angosciare, Margherita, poiché... grazie a Dio (tritola le cicche)..., si, dico, grazie a Dio, il pranzo non c'è. Questo è in­negabile! Però, qualche volta, il pranzo viene giù dal cielo come l'acqua. Non spesso, veh!... Ho det­to:  « qualche volta. » Chi sa!... Aspettiamo.

Margherita   (siede presso la tavola, appoggiandovi un gomito e posando sulla mano il capo)

Pietro          (carica la pipa, l'accende con un piccolo tizzo preso dal focolare, e, fumando, siede tra il fuoco e la scrivania)  Oh!  Benone!  Così.   (Canticchia:)  "Sconto col sangue mio... L'amor che pósi in te..."

(Un breve silenzio) 

Riconosco che ho sbagliato... Lo riconosco... Ma il mio piano aveva i suoi pregi. Perché, vedi, dopo l'operazione bancaria del pegnoramento, io ho... ragionato:  "piuttosto che aspet­tare l'ora del pranzo con queste poche lire in mano, mettiamole a profitto e facciamole moltiplicare". Il capitale ozioso, mia cara, è una immoralità. Que­sta è la mia convinzione, e, tanto, non la cambio! Sennonché, mi sono ricordato che ero in pieno ve­nerdì, e, prima di andare avanti, ho voluto pren­dere le debite precauzioni contro la jettatura della mala giornata. Ho stralciato una quota esigua dal capitale e mi sono provvisto di...  (le mostra un gran cornetto rosso)  Non so se mi spiego! Corallo vero non è, badiamo, che, già, la qualità poco im­porta. Un corno deve essere un corno! Su questo mondo, la forma è tutto! E con l'amico in saccoc­cia, sono andato a... Tu lo capisci, eh? Sono andato...

Margherita. A giocare, babbo, a giocare.

Pietro.         Giocare! Giocare!... Che significa giocare? Di­ciamo: a negoziare. Orbene, ho negoziato...

Margherita. E hai perduto.

Pietro.         Ma sai perché?... Perché non avevo più quat­trini. Il corno, poverino, non ce n'ha colpa!... Se avessi continuato, se avessi potuto continuare (si anima, si alza), ti garantisco che mi avrebbe servito fedelissimamente!... (Fremendo di rabbia, con la cupidigia del giocatore)  Oggi mi sentivo la fortu­na in pugno; me la sentivo qui, qui, (sporge le mani)  e, credimi, Margherita, credimi, avrei avuto il coraggio di puntare... altro che quelle vergogno­se dodici lire, maledetta la miseria!: centinaia di sterline belle e sonanti, e, come della luce del sole, per Satanasso!, sarei stato sicuro di centuplicarle!... (Pausa) 

Ritenteremo, con ponderazione, uno di que­sti giorni. E, per oggi, accontentiamoci di riscaldar­ci. Lui (indica lo stiffelius)  ce ne dà il buon esem­pio. (Ne muta la posizione sulla seggiola affinché si rasciughi da tutte le parti)  Guardalo, Margheri­ta: da tanti anni, sempre migliore di me! E, ora che tutti e due perdiamo il pelo, di lui non si può dire, come di me, che perda il pelo e non il vizio, per la semplice ragione che di vizii lui non ne ha mai avuti. (Risiede, sospirando)  Camperà, per ciò, Più di quanto camperò io!... Ma questo non glielo invidio!... (Un distacco)  Margherita, in fondo alla credenza troverai una bottiglia di Cognac dimezza­ta. Abbi la gentilezza di favorirmela.

Margherita   (rassegnata, cava dalla credenza la bot­tiglia e un bicchierino, e glieli pone dinanzi, sulla scrivania)

Pietro.         Ne vuoi?

Margherita. No, babbo. (Si allontana)

Pietro          (canticchia, appena accennando:)  "Sconto col sangue mio..." (Riempie il bicchierino, beve d'un fiato, tossisce strascicatamente, grattandosi la gola con la tosse)  Di': sei in collera con papà tuo?

Margherita. In collera io con te?... Impossibile. Un silenzio.

Pietro.         Vieni qua. (Margherita gli si avvicina. -Egli la carezza)  Non credere che io non pensi a te. Calcolavo sul conte Fabrizii. Mi sono affacchi­nato per la sua elezione a deputato. È rimasto a terra... Che ho da farci?... Il compenso mi spetta, e stupisco che egli temporeggi... Del resto, conser­vo certe sue lettere, che, in caso d'inadempienza, gli apriranno la mente e il portafogli!... Intanto, ho in prospettiva una mezza dozzina d'affari coi fioc­chi!: il tentativo con la vedova Verrusio, la ven­dita Stefanelli - e li c'è da infinocchiare il pros­simo senza fatica -, la causa Marotta - e il signor Ignazio Marotta, se vuole la mia testimonianza, sa come deve regolarsi -. Che più?... Ah, l'affare Perrotti! Quello sarà un colpo da maestro! La co­pia del suo progetto è in mio possesso, e... (Pentendosi d'aver detto troppo)  Milioni non ne verran­no, no; ma, via, certamente, ci sarà, per esempio..., ci sarà da comperare (tirando a sé Margherita)  quel­la magnifica stoffa a strisce... che il De Simone spampana nella sua vetrina... Santi numi, che stof­fa! Ecco una stoffa che mi piace. E non è tutto! Compreremo anche un cappello grande... con uno di quei nastri... con una di quelle piume... con uno di quei ciuffoni di fiori..., non so, ma ha da essere un cappello cosi straordinario da farti sembrare me­glio di una principessa... E andremo a spasso, an­dremo; e la gente, per la strada, dovrà guardarci a bocca aperta, e di buona o di mala voglia dovrà esclamare: Ohé, com'è elegante la figliuola di don Pietro Caruso! (Pausa. - Con malinconia:)  Già, tu non ci vuoi mai venire a spasso con me. Si di­rebbe che te ne vergogni.

Margherita. Che idee!

Pietro.         Sì, sì: te ne vergogni. Io sono uno sciaman­nato... Vesto male! Mi sono sempre vestito male! E perciò, quand'ero studente e declamavo sui mar­ciapiedi, mi chiamavano il filosofo. Ora mi chia­mano il galoppino. Le attribuzioni sono diverse, ma il vestiario è lo stesso. E poi... e poi... le mie cono­scenze non ti garbano. Quelli che mi salutano per la strada non ti vanno a genio. D'altronde, se co­noscessi delle brave persone, starei fresco! Le brave persone sono cosi inutili! Ma tu hai torto di preoc­cupartene. Sei una ragazza onesta tu? E che te ne importa degli altri? Pensa ai casi tuoi. Una ragazza che non va a spasso non trova marito.

Margherita   (infastidita, per non perdergli di rispet­to si limita a voltargli le spalle) 

Pietro.         E tu devi trovarlo! (Pausa)  Ah, Margherita! Io sono logoro, lo vedi, molto logoro! E tu avrai bisogno di un compagno, di un sostegno. Altrimen­ti, quando io me ne vado, (con la mano accenna al­la morte)  come farai, figlia mia adorata, come farai?

Margherita               (asciugandosi una  lacrima)   Finiscila, babbo!

Pietro.         Da tanto tempo mi premeva di ragionare con te di queste cose. Come farai?... Tu non puoi lavo­rare... Non sai lavorare...

Margherita. Imparerò...

Pietro          (con uno scatto energico)  Io non lo voglio!

Margherita. Te l'ho già chiesto in grazia, e torno a chiedertelo... Permettimi d'imparare.

Pietro          (con violenza)  Mai! mai! mai! (E sempre più allarmato, continua:)  Imparare! Com'è che s'impa­ra?... Te lo dico io. Si sta tutta la giornata fuori della propria casa, in un laboratorio qualunque, do­ve si parla... di tutto, dove le ragazze si guastano tra loro, dove una sola di esse cattiva o corrotta basta a corrompere tutte le altre, e dove l'esempio di quelle che fanno il comodo loro e che se la go­dono è una tentazione perenne, a cui non è facile sottrarsi... (Con gli occhi spauriti)  Si esce di li, stanche, eccitate; si trovano sul canto della via i fratelli, gli innamorati delle compagne... e tutti i birbanti pronti a profittare delle prime irrequietez­ze d'un piccolo essere sensibile ed inesperto... E la tentazione diventa più acuta, più insidiosa, più in­calzante, più prepotente... ed ecco che da una parte s'impara a lavorare e dall'altra s'impara a transi­gere e ad avere nuove aspirazioni, a desiderare, a fantasticare..., a perdersi!... Povere fanciulle!... Il cammino libero, quello del lavoro, quello dell'indi­pendenza, non vi sarà consentito, no, finché noi uo­mini nasceremo con l'istinto d'inoculare nella don­na tutto il veleno che può renderla più idonea al nostro egoismo. Ricordatelo, Margherita! Gli uo­mini sono vili, sono vili, sono vili!... Se io ti per­metto d'andar fuori per provvedere alla tua esi­stenza, essi, che sono li in agguato, non avranno pietà di te..., non ne avranno di me. No, Marghe­rita! (Abbracciandosela, quasi difendendola, cupi­damente)  No, Margherita mia... No! No! Papà tuo ti vuole come sei... Il tuo onore, il tuo onore è il suo riposo, è la sua luce, è la sua aria, è il suo alimento, è l'unico filo, l'unico, che ancora lo leghi alla vita! (Tossisce. - Pausa)  E tu, per dare una consolazione a tuo padre, devi maritarti. Ragionia­mo. Non vogliamo andare attorno alla ricerca d'un marito? Beh! Che importa?... Aspetteremo che il marito venga da noi. Le richieste non mancano. Non te ne sei accorta che Biagio mi sta alle calcagna?

Margherita. Ah! L'antiquario...

Pietro          (rifacendo la voce un po' nasale di Biagio)  "Don Pietro, parlate con Margheritina... Don Pie­tro, ditele che io ho una grande tenerezza per lei..."

Margherita. Sì, sì...

Pietro.         Bello non è, e neppure giovanissimo... Ma ha una buona clientela, è un negoziante intemera­to, vende per roba antica tutto ciò che gli pare e piace... Insomma, è una persona rispettabile che ha parecchie dita di cervello, e, all'occorrenza, ha an­che tanto di cuore. Ieri, poveretto, voleva per forza prestarmi dieci lire...

Margherita   (con un repentino moto d'orrore)  E tu le prendesti?!

Pietro          (calorosamente, in uno slancio sincero di pro­testa orgogliosa)  No che non le presi, perdinci! Da lui, no, mai!... Appunto perché so che ti vuol bene! (Un silenzio)  Dunque, Margherita?...

Si picchia alla porta comune con le nocche delle dita.

Pietro.         Chi è!

SCENA III

Pietro, Margherita, Fabrizio

Fabrizio       (di fuori)  Sono io, don Pietro.

Pietro          (con giubilo)  Non è la voce del signor conte?

Margherita   (turbandosi)  Mi pare di sì.

Pietro.         Apri, apri.

Margherita   (alza il lucchetto e si ritrae.)

Fabrizio       (facendo capolino)  È permesso?

Pietro          (andandogli incontro, molto cerimonioso)  Avanti, avanti, signor conte... Siete in casa vostra, lo sapete.

Fabrizio       (avanzandosi)  Vi saluto, don Pietro. (Con un cenno del capo)  Signorina...

Pietro.         E la pioggia che vi mena da queste parti?

Fabrizio.      Avete ragione, sono manchevole...

Pietro.         Non dico per questo. (Gli toglie di mano il cappello)  Margherita, una sedia...

Fabrizio.      No, no... Ho un po' fretta. Debbo recarmi a Roma, e forse più lontano..., e ho stabilito di par­tire col treno delle sette e quaranta...

Margherita   (ne ha una scossa.)

Pietro.         Ah? In partenza?

Fabrizio.      Sì...

Pietro.         Ma fino alle sette e quaranta, c'è tempo.

Fabrizio.      Hoancora tante faccende da sbrigare!

Pietro.         Approvo perfettamente.   (Sottolineando)  In procinto di partire, mettete le vostre cose a posto... per non avere grattacapi al ritorno. E a me, signor conte, quali comandi?

Fabrizio.      Nessun comando e nessuna preghiera. Desidero, bensì, di regolare i nostri conti.

Pietro          (con entusiasmo da cortigiano) Caro, carissimo signor conte, voi siete un portento!... Voi siete un prodigio!... Margherita, una sedia, t'ho detto!... Che fai lì come una statua?

Fabrizio.      Vi ripeto che non ce n'è bisogno.

Margherita   (tremante e con lo sguardo rivolto altro­ve per non lasciarsi scorgere, gli accosta una seggiola.)

Fabrizio.      Grazie, signorina!

Pietro          (portando la seggiola presso la scrivania)  Qui, qui. Accomodatevi. Io non tollero che stiate in piedi!

Fabrizio       (sedendo con condiscendenza)  Quante pa­role superflue, don Pietro!

Pietro.         È la gioia..., è l'esaltazione... Voi non potete immaginare come giungete opportuno. (Siede dall’altro lato della scrivania)  La manna nel deserto!... Diglielo tu, Margherita, che festa è per noi la sua visita! Diglielo tu!

Margherita   (tenta di sorridere - tacendo)

Pietro          (a Fabrizio)  È molto commossa. Vedete, non ho vergogna di confidarvelo: senza di voi, oggi, io e lei avremmo passata la giornata così.... a bocca asciutta.

Margherita   (siede distante da loro, accanto alla ta­vola. Perplessa, sofferente, con gli orecchi tesi, ostenterà di lavorare all'uncinetto)

Fabrizio.      Cioè... A bocca asciutta lei, non voi, per­ché questa è la vostra solita bottiglia di Cognac.

Pietro.         Possooffrirvi?   (Ne  versa nel bicchierino.) 

Fabrizio       (con un signorile gesto di rifiuto)  Ma no!

Pietro.         Alla vostra salute! (Beve. Tossisce) 

Fabrizio.      Non bevete, don Pietro! Trattandosi di ci­fre, è necessario che abbiate la mente lucida.

Pietro          (accennando al Cognac)  Per me, oramai, è come l'acqua. E sono pronto, io. (Apre un registro sulla scrivania)

Fabrizio       (sfila di tasca qualche carta. - Piano)   Vorreste pregare la signorina di allontanarsi per un poco?

Pietro          (forte)  Non vi preoccupate! Quella lì non ci disturba.

Margherita. Nodavvero.

Fabrizio.      Tuttavia...

Pietro.         Niente, niente. Lasciatela stare.

Fabrizio       (suomalgrado)  Come volete.

Pietro.         La nota completa delle spese fatte nella set­timana precedente alle elezioni ve la mandai mar­tedì, e, se non sbaglio, è quella che avete in mano.

Fabrizio       (confermando)  Questa è.

Pietro.         E converrete che, fra tutti i vostri collabora­tori elettorali, don Pietro è stato il più economico.

Fabrizio.      Il più economico, non mi pare!

Pietro.         Oh! oh! Mi date un dolore...

Fabrizio.      Veniamo al quatenus, se non vi dispiace.

Pietro.         Veniamoci.

Fabrizio.      Secondo la vostra noticina, la somma che vi versai il giorno sette fu tutta esaurita.

Pietro.         I centocinquanta voti che vi promisi li avete avuti, sì o no?

Fabrizio       (per abbreviare)  Va bene, li avrò avuti.

Pietro.         E la neutralità di quel camorrista di Attanasio Belfiore dovevo o non dovevo ottenerla a qua­lunque prezzo?

Fabrizio.      Sì sì, dovevate ottenerla, e l'avrete ottenuta.

Pietro.         Le carrozze che servirono a portarvi tutti gli elettori sciancati e paralitici, dovevo o non dovevo pagarle?

Fabrizio       (spazientito)  Ho capito, don Pietro, ho capito...

Pietro.         E non lo sapete che feci risuscitare otto morti affinché venissero a votare per voi?

Fabrizio.      O Dio, don Pietro, finiamola!

Pietro.         Volevo ragionare, volevo.

Fabrizio.      Ma che ragionare! Abbiamo assodato che quella somma fu esaurita?...

Pietro.         Sissignore.

Fabrizio.      E non ne parliamo più. C'è stata qualche altra spesa che per caso abbiate dimenticata?

Pietro.         Siete d'una delicatezza degna del nome che portate. Un momentino. (Legge nei registro, mor­morando:)  "Conte Fabrizio Fabrizii... Conte Fa­brizio Fabrizii... Conte Fabrizio Fabrizii..." (A lui)  Nessun'altra spesa, signor conte. (Altero della sua dichiarazione)  Che?!... Questo significa aver le mani pulite!   (Strofina un po' palma a palma come usa per raffigurare la vantata pulizia)

Fabrizio       (sistringe nelle spalle)  Sicché, ora non mi resta che a compensarvi di tutto ciò che avete fatto per me. Se il risultato non è stato quello che voi più di tutti mi davate a sperare, io non ve ne ser­bo rancore. Anzi... tengo a remunerarvi largamen­te... molto largamente...

Pietro          (il cui volto s'irradia)  Signor conte!

Margherita   (ascolta impallidendo)

Fabrizio.      ... Anche perché... mi avete resi tanti altri favori...

Pietro.         Servigi sempre.

Fabrizio.      ... e il vedervi, proprio ora, ridotto in queste condizioni...

Pietro.         Agli estremi! agli estremi!

Fabrizio.      ... mi rattrista, mi fa male...

Pietro.         Troppo buono!

Fabrizio.      Sì, voglio lasciarvi (calcando sulle parole, per farne comprendere il significato a Margheri­ta..)  una grata memoria di me; e, uscendo da que­sta casa, voglio sapervi lieto, voglio sapervi feli­ce... insieme con la vostra figliuola.

Pietro          (giubilante, espansivo)  Non senti, Margherita?

Margherita   (cui manca il fiato)  Sento, babbo.

Pietro          (a lui)  È molto commossa.

Fabrizio.      Ma intanto... ho da chiedervi un ultimo piccolo favore.

Pietro.         Ordinate.

Fabrizio       (pianissimo)  Voi, di certo, non avete di­strutte alcune lettere mie d'indole confidenziale... In esse non c'è nulla di grave... Nondimeno..., se me le renderete, io, francamente..., sarò più tranquillo.

Pietro.         Mi offendete.

Fabrizio.      Via, don Pietro! Ci conosciamo...

Pietro.         Ionon so quello che arzigogolate, ma..., per non contrariarvi,... (apre un cassetto della scriva­nia, e cerca)  obbedirò. (Dandogli un pacchetto di carte)  Ecco le vostre lettere.

Fabrizio       (dopo averle contale)  Oh, bravo! Così mi piace! (Si alza.)

Pietro          (con premura e smarrimento)  Come?! Ve ne andate?

Fabrizio       (amaro e disdegnoso)  Adesso siete voi che offendete me!

Pietro.         Eh! Potrei rispondere alla mia volta... che ci conosciamo.

Fabrizio       (contenendosi)  Ma quale audacia è la vo­stra, don Pietro!?

Pietro          (mutando)  Io dicevo che appunto perché ci conosciamo ho piena fiducia in voi e l'intenzione di offendervi non l'ho avuta.

Fabrizio.      Il che, d'altronde, mi è indifferente. E pre­ferisco sorvolare. (Pausa. - Cava fuori una busta)  Questa busta è per voi.

Margherita   (sempre più inquieta, guarda con la coda dell'occhio)

Pietro          (avidamente, tende le mani)

Fabrizio.      Prima di prenderla, però, voi mi dovete promettere, mi dovete giurare che non sciuperete questo danaro per i vostri vizi e per le vostre abi­tuali stravaganze. (Diventando gentile e anche in­timamente amicale)  Vi parlo da amico, don Pietro. Ricordatevi che siete il padre d'una figliuola gio­vinetta e che tutto ciò che sperperate è tolto a lei, verso la quale avete dei sacri doveri.

Pietro          (con riconoscente sommissione)  Nella vostra voce c'è qualche cosa di buono e di affettuoso a cui non sono abituato. Ve ne ringrazio, signor conte... E io vi giuro sul mio ono... (s'interrompe, mortifi­cato; indi, si corregge)  vi giuro... sull'onore di Margherita...

Come per un fluido magnetico, s'incontrano gli sguardi, furtivi, di Margherita e di Fabrizio.

Pietro          (continuando)... che questo danaro, dal quale sottrarrò appena quel poco che è necessario alle esi­genze momentanee, sarà conservato, scrupolosa­mente..., per lei.

Margherita   (si leva insorgendo, ma frenandosi)  No, babbo... Io non potrò mai permettere che...

Pietro          (con giocondità)  Silenzio, tu! Non spetta a te di permettere o di non permettere!

Fabrizio.      A voi, don Pietro. (Facendo un gesto di de­cisione e di autorità, gli consegna la busta)

Pietro(col cuore palpitante apre la busta e a un tratto il suo volto si anima e i suoi occhi brillano di stupore e di ebbrezza)  Signor conte!... Che cos'è questo?!... Ma io sogno!... Io non merito tanto! (Mostrando con la mano in alto, ebbro, delirante, i biglietti di banca)  Margherita! Margherita!

Margherita   (tramortendo, si sorregge alla tavola)

Pietro          (spaventato)  Margherita!... Figlia mia!... Tu sei pallida come una morta...

Margherita   (ritrovando la forza della sovreccitazio­ne)  Babbo, tu non devi accettare quel danaro!

Pietro.         Non devo accettarlo? O scherzi, o impazzisci!

Fabrizio.      Non le date retta, don Pietro!

Margherita   (gridando)  Non devi, non devi accet­tarlo!

Pietro          (dilatando le pupille)  Non devo accettarlo? (E repentinamente invaso da un vago dubbio atro­ce)  Ma perché?... Ma perché?... Perché non devo accettare il suo danaro?

Margherita. Non lo hai ancora compreso?! Ebbene, lo saprai da me!

Pietro.         Parla subito!

Margherita   (prorompendo)  Perché esso è il prezzo della mia colpa...

Pietro          (con uno spaventoso urlo di raccapriccio, get­tando via il danaro)  No!

Fabrizio.      Tacete, Margherita!

Margherita. Perché esso è il prezzo del mio onore...

Pietro.         No! No!

Margherita   (con lacerante veemenza)  È il prezzo del mio povero amore insensato! È ciò che egli paga! È ciò che egli paga a me e a te per licenziarmi co­me si licenzia la serva di cui non si ha più bisogno!

Pietro          (alla figlia, sentendosi strozzare dal dolore e dall'ira)  Esci!... Esci di casa mia!... Esci!... Vattene!... Mi fai ribrezzo!...

Margherita. Babbo!

Pietro.         Mi fai ribrezzo!... Vorrei essere cieco per non vederti, vorrei essere sordo per non udire la tua voce.  (Terribile)  Esci!

Fabrizio.      Vi prego, don Pietro...

Pietro          (austero)  Ciò non vi riguarda, signor conte! (A Margherita)  Esci!

Restano tutti e trequalche momento in silen­zio, come paralizzati.

Margherita   (lenta e dimessa, singhiozzando, si av­via per uscire)

Pietro          (in un vivido moto istantaneo)  No, aspetta!  (Supplichevole)  Aspetta!  (Pausa)  Te ne andavi davvero, eh?... Dove andavi?... (Con una cupezza Paurosa)  Le strade sono piene di pericoli... e tra poco... (trema)  sarà notte...

(Nel suo panico, nel suo tremore si scorge ch'egli ha l'impressione d'im­mediati pericoli iperbolici. Si rivolge risoluto a Fabrizio)  Signor conte, voi non mi lascerete così la mia figliuola.

Fabrizio       (cortese)  Don Pietro, innanzi a lei... non so rispondervi.

Pietro.         È giusto. (A Margherita)  A te: hai inteso?

Margherita. Sì.

Pietro          (Laprende per un braccio, e, con lieve costri­zione, la conduce verso la porta a sinistra, mormo­randole all'orecchio concitatamente:)  Mi hai confessato tutto?

Margherita  (sempre singhiozzando)  Tutto.

Pietro.         Non hai altro da dirmi?

Margherita. Niente altro.

Pietro.         Non hai conosciuto che lui?

Margherita.              Lui!  Lui!... Il solo!   (Via)

SCENA IV

Pietro e Fabrizio

Pietro          (chiude l'uscio, raccoglie i biglietti e li porge a Fabrizio in atto quasi di preghiera)  Riprendete, signor conte...

Fabrizio       (pazientemente, scrollando il capo, intasca i biglietti)

Pietro.         Ora, potrete rispondere. Voi non me la la­scerete così la mia figliuola.

Fabrizio.      Don Pietro, io non vi capisco.

Pietro          (roco, balbettante)  È tanto semplice, è tanto naturale, è tanto chiaro...

Fabrizio.      Gli è che siete troppo eccitato. Parleremo con più calma un'altra volta.

Pietro.         Ma qui non si tratta di una qualche faccenda mia o vostra da sbrigare a nostro comodo. Qui si tratta di lei, della mia creatura..., infame si, una sventurata... E noi non abbiamo il diritto di pro­lungarle questi momenti d'angoscia... Parleremo adesso, signor conte.

Fabrizio       (seccato)  E parliamone.

Seggono.

Pietro.         Voi, da quel galantuomo che... legittima­mente vi vantate di essere, non negherete che la mia creatura, quando si è imbattuta in voi, era una ragazza onorata.

Fabrizio.      Non lo nego.

Pietro.         Non negherete che la sua confessione..., quel­la che le è uscita di bocca nell'impeto dello sdegno..., è stata veritiera.

Fabrizio.      Non nego neanche questo.

Pietro.         E, dunque, ragioniamo: laresponsabilità di chi è?

Fabrizio.      Mi rincresce di precisare i fatti, ma per forza debbo precisarli. Margherita non è più una bambina e io non esercito la professione del se­duttore. Ci siamo piaciuti, ci siamo amati, siamo stati deboli tutti e due, e, per la nostra debolezza, siamo caduti insieme nell'errore. Ciascuno di noi ha la sua parte di responsabilità.

Pietro.         Ah, già!  (Animandosi dolorosamente)  Re­sponsabile il maschio, responsabile la femmina! La natura umana è uguale per tutti, come la legge. Sennonché, questa eguaglianza finisce dove finisce il peccato e dove comincia la pena. La responsa­bilità è comune, sissignore, ma la femmina sconta la sua debolezza con la vergogna di tutta la vita, e il maschio la sconta con alcune migliaia di lire o, magari, solamente con un'alzata  di spalle. Ecco l'uguaglianza della natura umana! (Pausa)  Signor conte, io sono stato sempre una persona squilibrata e spregevole, poiché fin dalla mia prima giovinezza si svilupparono in me i tristi germi che avevo ere­ditati, nascendo. Pure, un giorno, dopo un momen­to di brutalità, quando mi trovai dinanzi una pove­ra donnetta che non aveva commessa altra colpa che quella a cui io l'avevo trascinata, sentii il desi­derio e la necessità di farne mia moglie. (Con tene­ra soavità)  Mi visse due anni, e furono i più gentili della mia esistenza...  Non sentite lo stesso desi­derio, la stessa necessità, voi, che siete una per­sona sana e stimata?

Fabrizio.      Ma come c'entra tutto questo? Io non comprendo come voi, che avete tanta intelligenza e non siete un ignorante, mi possiate chiedere sul serio ch'io sposi vostra figlia. La sua sorte mi sta a cuore più che non crediate. Le ho voluto bene veramente e ancora gliene voglio, ancora mi pia­ce... Mi separavo da lei per evitarle... guai peg­giori. Prontissimo a qualunque accomodamento, ma sposarla?!... sposarla?!

Pietro.         Sposarla, s'intende!

Fabrizio.      Dio buono, non scherziamo! Io non sono un uomo superiore, e non aspiro ad esserlo. Se la società in cui viviamo è fatta male, volete che la rifaccia proprio io?

Pietro.         Sposare una ragazza che vi si è concessa anima e corpo significa rifare la società?

Fabrizio.      Nel caso mio, significa sfidarla, il che è più pericoloso.

Pietro.         La sfidereste se non foste sicuro dell'onestà di lei.

Fabrizio.      Ma non devo esserne sicuro io; ne devono essere sicuri gli altri.

Pietro.         Il vostro nome è una garanzia.

Fabrizio.      Il mio nome esige ch'io renda conto agli. altri della rispettabilità di mia moglie.

Pietro.         E allora a che serve un nome come il vostro se esso non è la marca di fabbrica che può garan­tire la rispettabilità della donna a cui lo date.

Fabrizio.      Don Pietro, voi mi obbligherete a dirvi delle cose molto crudeli...

Pietro.         Ma dite, dite...

Fabrizio.      Voi dimenticate o fingete di dimenticare la circostanza più importante.

Pietro.         La circostanza più importante è che quella ragazza è rovinata.

Fabrizio.      La circostanza più importante, la circostan­za che esclude le speranze, le discussioni e i cavilli, don Pietro, è che essa è...

Pietro          (intuendo)  Zitto, per carità!

Fabrizio       (vibratamente)... è che essa è vostra figlia!

Pietro          (come percosso al capo - annichilito - non può articolare una sillaba!)

Fabrizio       (alzandosi)  Tutto sommato, è bene che voi abbiate udito il suono di queste parole. Ma io vi domando:   se anche amassi Margherita sino alla follia,  in  che modo potrei distruggere  tutto ciò che le sta d'intorno, in che modo potrei annullare il vostro passato, il vostro presente, tutte le tracce dell'opera vostra, tutto il discredito - per non dir di peggio - della casa in cui ella è nata e vissuta? Si, vi scalmanate in favore delle donne... Ne spo­saste una probabilmente perché essa non aveva per padre un uomo come voi e perché voi non avevate niente da perdere e niente da sacrificarle. Ma per vostra figlia, che avete saputo fare?

Pietro          (oscillando da capo a piedi come preso da una nuova paura)  No, no, non proseguite, non proseguite...

Fabrizio.      Fra queste medesime mura, che mi acco­glievano di nascosto, io avevo visto le cose più strane e più equivoche. Venivo qui quando volevo. Trovavo una fanciulla, sola, sempre sola, disfatta dalla noia e dalla malinconia, inutilmente deside­rosa di una vita attiva o proficua, abbandonata a sé stessa...

Pietro          (quasi che davanti ai suoi occhi spalancati e intenti si componesse al vivo il triste quadro)  È vero!

Fabrizio.      ... senza una risorsa, senza un sollievo...

Pietro.         È vero!

Fabrizio.      ... disposta a preferire qualunque lotta, qua­lunque rischio e finanche la perdizione all'ozio lu­gubre del suo carcere. Nessun segno dell'autorità e dell'assistenza paterna ci frenava, ci tratteneva, ci correggeva; nessun ostacolo si opponeva a me, nessuno a lei... E mentre la solitudine contribuiva ad aumentare gli scoraggiameli e le insidie nel­l'animo della vostra figliuola, che facevate voi, don Pietro?... Dove eravate?... Dove eravate?

Pietro          (sfinito, esausto, parlando a stento)  Basta, basta, per pietà!... Non ho più la forza di ascoltar­vi.. Avete ragione... L'avaro losco, che nasconde il suo tesoro in un pozzo senza fondo, non io ri­trova e non ha il diritto di ritrovarlo... Avete completamente ragione... Ma non mi tormentate più... Mi aspettano ancora tante torture... Consentitemi una tregua..., e concludiamo il nostro colloquio.

Fabrizio       (con affabilità contenuta)  La conclusione è che Margherita potrà sempre contare sul mio af­fetto. Credevo di giovarle rompendo ogni legame e facendole indirettamente... una mia doverosa of­ferta. Ma io come io non ho da augurarmi che di continuare a essere per lei... quello che sono stato finora, assumendo l'impegno... di provvedere, sen­za restrizioni, alle esigenze della sua vita.

Pietro          (come uno scimunito)  Questa è la vostra proposta.

Fabrizio.      Questa.

Pietro.         Siamo intesi. (Un silenzio) 

(Un'idea tragica gli occupa d'un subito il cervello!)

Fabrizio.      A rivederci, don Pietro.

Pietro.         Riceverete a casa la risposta di mia figlia, tra pochi minuti.

Fabrizio.      Come vi accomoda. (Fa per andare) 

Pietro.         Non volete neppure darmi la mano?

Fabrizio       (torna, porgendogli la destra)  Ma sì.

Pietro          (gliela stringe, gliela tiene)  E non lo dimen­ticate questo saluto.

Fabrizio.      Perché?...

Pietro.         Perché..., se Margherita accetterà..., don Pie­tro andrà a fare il galoppino... nell'altro mondo.

Fabrizio.      Non dite scioccherie!

Pietro.         A voi sembra assurdo che un uomo della mia qualità non abbia, il coraggio di assistere alla... discesa della sua figliuola?... (Funebre)  E intanto è così, signor conte, è proprio così.

Fabrizio.      Vedrete, vedrete. Accomoderemo le cose in maniera che...

Pietro.         ...che tutti saremo soddisfatti?

Fabrizio.      Precisamente.

Pietro.         E io non ne dubito.

Un breve silenzio.

Fabrizio.      Di nuovo, a rivederci, don Pietro...

Pietro.         Sì, sì, a rivederci!...

Fabrizio       (esce)

SCENA ULTIMA

Pietro e Margherita

Pietro          (si preme al petto le braccia incrociate, come per una sensazione di freddo. Vede la bottiglia di Cognac. L'afferra, e beve. Tossisce. Si alza a guisa d'un sonnambulo inquieto. Si accosta alla porta della stanza dov'è Margherita, e spia al buco della serratura. Poi, guardingo, tremando, apre un cas­setto della scrivania, ne cava una rivoltella. Na­sconde l'arma nella giacca. Ciò fatto, con un accento per quanto gli è possibile fermo, chiama:) 

Margherita! Margherita!... Margherita!

Margherita   (comparisce cogli occhi rossi, ansante, timida!)

Pietro          (cercando di dissimulare il colmo dell'orga­smo e parlando con solennità, cui mal s'addicono la voce tremula e la pronunzia alquanto incerta) 

Margherita, ho ragionato a lungo col conte Fabrizii, e abbiamo esauriti... tutti gli argomenti di cui potevano occuparsi due uomini nelle nostre condizioni. Il risultato del colloquio è il seguente: Egli non può sposarti, e non ti sposerà. Su questo, niente da osservare... La figlia di don Pietro Ca­ruso non si sposa. (Pausa)  Ma c'è, in compenso, una sua proposta... di altro genere. Il conte Fabrizii, per mezzo di tuo padre, ti propone di essere la sua... la sua amica, come sei stata fino ad oggi; e ti offre, senza restrizioni, il suo appoggio. Vedi che son riuscito a dire con disinvoltura e con garbo quello... che, certamente, nessun padre avrà mai detto a una figlia! (Pausa)  Ora, Margherita, sei tu che devi decidere. Su, dunque! Animo!... Ani­mo!... Che decidi?

Margherita   (resta muta e curva nella sua fragilità, e non osa nemmeno guardarlo.)

Un silenzio.

Pietro          (fissandola con penosa intensità)  Rispondi, Margherita... Rispondi. (Pausa)  (Quasi con ener­gia:)  Che decidi?

Margherita   (abbassa il capo)

Pietro          (trepidante, le si avvicina, e, tuttora fissan­dola, glielo solleva delicatamente: - la costringe a sentirsi in faccia lo sguardo intenso.)

Margherita. Babbo...

Pietro.         Avanti!

Margherita   (a un tempo umile e risoluta)  Io l'amo.

Pietro          (ne ha una tremenda stretta al cuore; ma si padroneggia)  E sta bene. Non è necessario di ag­giungere altro. Egli aspetta la tua risposta. Te la dètto io. Scrivi.

Margherita   (sospesa, pavida, non si muove) 

Pietro          (con cupa, violenza)  Ti ordino di scrivere.

Margherita   (automaticamente, siede presso la scri­vania, e si dispone a scrivere.)

Pietro          (ridiventando mite)  Poche parole, ma com­pendiose. Scrivi, scrivi. (Dettando:)  "Accetto la vo­stra proposta..." (Pausa. - Con una intima fie­vole speranza:)  Hai scritto?

Margherita. Sì.

Pietro          (è trafitto fino al midollo dalla sentenza che è in quel sì. Continua a dettare)  "L'accetto... imperciocché  vi amo e fido ciecamente in voi"... Se sei abituata a dargli del tu, correggi! (Dètta:)  "Vi prego di venire appena avrete ricevuta questa let­tera... imperciocché... urge la vostra presenza... (Un ultimo avanzo di speranza:)  Hai scritto?

Margherita. Sì.

La sentenza è ribadita!

Pietro          (si sente mancare le forze. Si piega come per abbandonare il torace sul tavolino. Ma di nuovo si padroneggia e si drizza)  Benissimo. Firma, chiudi e mettici l'indirizzo.

Margherita   (esegue.)

Pietro          (guardando attorno senza più discernere)  Il mio cappello?...

Margherita. Babbo, non uscire, adesso!

Pietro          (prende la lettera di su la scrivania)  Il pa­lazzo Fabrizii è qui vicino. Porto la tua risposta al signor conte...

Margherita. Ma no, non c'è bisogno... Non è indi­spensabile. (Con uno slancio affettuoso)  Non vo­glio! Non voglio!

Pietro          (ha una scintilla d'illusione negli occhi)  Non vuoi?... Che cosa non vuoi?

Margherita.  Non voglio che ci vada tu stesso... Sa­rebbe brutto, babbo, sarebbe sconveniente...

Pietro.         Ah!... (Ricascando nella sua tristezza, nella sua miseria)  Questo è che non vuoi!... Eppure, è la prima volta che ti sono, in certo modo, un poco utile... Finora, non ti ho fatto che del male, Mar­gherita! Assai te ne ho fatto!... Ti prometto di non fartene mai più!... Oh, non pensare che la testa mi giri! So quello che dico... Poc'anzi..., questo è vero..., poc'anzi ho ancora bevuto... Ma, cre­dimi, ho le idee chiare, precise, fisse, ben inchio­date nel cervello, come non le ho mai avute...

(Le si avvicina, profondamente commosso, con dolcez­za, quasi con devozione) 

Senti, Margherita. Tu... ti perdi... sì, ti perdi perché sei mia figlia...

Margherita. Babbo!...

Pietro.         Ed io... ti chiedo perdono d'essere tuo padre!

Margherita. Babbo, non parlarmi così...

Pietro          (stringendola forte tra le braccia e dando in un pianto che gli trabocca dirotto dal fondo dell’anima)  Dimmi, dimmi che mi puoi perdonare...

Margherita   (anche lei piangendo)  Io non ho di che perdonarti!

Pietro.         La tua incoscienza è la mia peggiore condan­na! Dimmi che mi puoi perdonare, Margherita! Dimmelo, dimmelo, te ne supplico!

Margherita, E sia... E sia... Ti posso perdonare... Ti ho già perdonato...

Pietro          (coprendola di baci e di lagrime)  Grazie... Grazie... (Frena il pianto, e fingendo di calmarsi, a poco a poco si stacca da lei)  Ecco..., lo vedi..., ora sono tranquillo. (Tenta perfino di sorridere. Ritto, quasi impettito, si dispone a procedere. Quan­tunque assorto, ora discerne. Piglia il cappello e se lo calca in testa)

Margherita. Con questa giacca esci, babbo?

Pietro.         Ah?... (Stranamente imbarazzato)  Con que­sta giacca? No. (Se la toglie e cerca un pretesto per sottrarsi all'attenzione di Margherita)  Guarda un po', Margherita, se piove ancora.

Mentre ellava alla finestra e l'apre e la ri­chiude, Don Pietro,con molta circospezione e agile sveltezza, cava la rivoltella dalla tasca del­la giacca e la ficca in una tasca dello stiffelius.

Margherita. No, babbo, non piove più.

Pietro.         Beh!

Margherita   (lo aiuta a indossare lo stiffelius)

Pietro          (rabbrividisce come se ella gli mettesse ad­dosso la Morte)

Margherita   (resta immobile, penosamente attonita, seguendo lui con lo sguardo teso-interrogativo)

Pietro          (dopo di aver indugiato qualche istante, ab­bottonandosi)  Addio, eh?... (Ed esce - in mano la lettera diretta al conte Fabrizii -, cantando con un estremo sforzo di volontà:)

Sconto col sangue mio

L'amor che pósi in te...

Non ti scordar...

Non... ti... scordar di me...

La voce, lontana, si rompe in un singulto. Sipario.