Donna Lionora Giacobini

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PERSONAGGI:

DONNA LIONORA GIACUBINA di Dacia Maraini

PERSONAGGI:

ELEONORA PIMENTEL, protagonista della rivoluzione napoletana dei 1799

CATERINA, figlia di Pasquale, marito di Eleonora

IL RE FERDINANDO

LA REGINA CAROLINA

MICHELE ‘O PAZZO, capopopolo di parte giacobina

CARDINALE RUFO

CARDINALE ZURLO

CHAMPIONNET, generale dell'esercito francese

DEPUTATO, membro della nuova repubblica napoletana

ISABELLA

GRAZIA         sorelle di Pasquale

ROSA

GENNARO, popolano

CIRO, popolano

IL PADRE DI CIRO

ROSARIA, popolana

FRADIAVOLO, capopopolo di parte borbonica

TAMBURINO

TIPOGRAFO

PEPPINA, popolana

PRETE

GENDARMI, UFFICIALI, POPOLO

Una fossa della Vicaria: carcere buio appena illuminato da un fascio di luce che cade dall'alto.  Due donne: Caterina e Eleonora.

ELEONORA. Non so che cosa darei per una tazzina di caffè...

CATERINA. Zittatevi che sto dormiendo.

NORA.  Una  tazzulilla di quelle pesantucce che riempiono la mano, di

porcellana bianca, pure come si trovano nei caffè ordinari... che si portano al naso... hmm che pro­fumo!

CATERINA.  Sst!... ma perché non dormite pure voi? 

NORA.  Dormirò duemila anni fra poco.  Ora voglio stare sveglia.

CATERINA. Statevi scetata, ma statevi zitta.

NORA.  Mio marito mi metteva tanto zucchero che diventava denso come na crema... e gira e gira... mò sta mar­cendo in fondo a una bara.  Beato lui!  La difficoltà sta in mezzo... prima il caffè, poi la bara.  Dal caffè alla bara, sembra niente ma c'è da perdere la testa... Imparai a gu­stare il caffè a diciassette anni mentre studiavo.  Mi co­stringevo a stare china sui libri per otto, nove ore di se­guito.  Solo mi interrompevo per bere un caffè di tanto in tanto.  E quel caffè era la mia sola gioia.  Mezzo dito di caffè lo facevo durare dieci minuti per riposare... a quel­l'epoca ero verginella come te, ero innamorata di mio cu­gino Michele.  Poi lui partì e non si fece più sentire. io cercai di dimenticarlo.. me lo imposi a furia di caffè e poesie... "káthnen ímeros tis (echei me kai) / lotínois dro­sóentas o/chtois íden Achérontos"... Gioia di vivere non ho più / voglia di morire mi prende! voglio vedere la riva fiorita di loto dell'Acheronte...

CATERINA.  Quanto parlate donna Lionora!

NORA.  Allora volevo morire... ora che mi uccidono vorrei vivere.

CATERINA.  Ecco qua, m’avete arrisvegliata!... con voi non si può stare in pace... ve la volete fare na partita a carte?

NORA.  No Caterina, ho la testa confusa, le idee sparpagliate...    bisogna che le raccolga... la regina... non so come mi viene in mente la regina... mi disse: "Eleonora voi mi dovete spiegare cosa dice quel terribile Rousseau io non ho tempo di leggere, ma tutti a Corte ne parlano"... era bella, gloriosa, allegra...la regina ... prima era tanto donna af­fabile, curiosa... poi... poi diventò cupa, vendicativa.

Buio sulla cella. Luce sui regnanti. Un minuetto. Il re e la regina ballano. Sotto si sentono le voci dei popolani.

FERDINANDO. Li sentisti? ... hanno la lingua più lunga del cervello.  Se potessero mi mangerebbero con un colpo di lingua, zac, sai come fanno i ramarri con le mosche, zac, manco te ne accorgi e sei bell'e mangiato.

CAROLINA. Il re è come un pappagallo in gabbia: tutti lo ammirano per le sue belle penne colorate, i suoi modi esotici, speciali... ma se fa tanto di scappare, finisce in padella.

FERDINANDO. Ma perché strillano questi fetenti?

CAROLINA.. I palafrenieri sorto senza stipendio da quattro mesi.

FERDINANDO.  Hanno ragione a protestare. Che aspettiamo a regolare i conti?

CAROLINA.  Non ci sono soldi in cassa.

FERDINANDO. Hanno ragione ..., hanno ragione il prossimo mese, a costo di vendermi la corona, li pago!

CAROLINA.   Ci sono pure i cuochi che da due mesi stanno a secco.

FERDINANDO.  Quanti sono ?

CAROLINA.    Diciotto capocuochi, venticinque sottocuochi, cinquanta cucinieri, settanta sguatteri.

FERDINANDO.  Che è, un esercito! eliminiamo un poco di sguatteri!

CAROLINA.  Con lo stipendio di dieci sguatteri non ci fai neanche un capocuoco.  Non c'è risparmio.

FERDINANDO.  Allora eliminiamo qualche capocuoco. 

CAROLINA.  Se ne cacci uno, gli altri si mettono tutti contro.

FERDINANDO.  E con questo?  Il re Ferdinando avrà paura di un capocuoco, adesso!

CAROLINA.  Sono tutti parenti di gabellieri di campagna... uno stipendio a Corte significa entrate tranquille in cam­pagna...

FERDINANDO.  Non sarò un fantoccio nelle mani di un qual­siasi gabelliere!

CAROLINA.  Nelle loro mani ci siamo già... i gabellieri ten­gono buone le campagne e ritirano i soldi per noi.

FERDINANDO.  Ci sono pure i preti, i governatori, gli emissari del governo...

CAROLINA. I preti stanno con Roma, i governatori dipendono dai gabellieri.  In quanto agli emissari del governo sono solo buoni a mangiare...

FERDINANDO.  Ferdinando di Borbone, cognato del re di Francia, genero di Maria Teresa d'Austria, dovrà essere schiavo di un gabelliere, ora?

CAROLINA.    Cosa credi che tuo cognato il magnifico grandissimo re Luigi XVI di Francia che comanda mezzo mon­do non dipenda anche lui dai suoi gabellieri che ritirano i soldi per lui nelle campagne e hanno agli ordini sbirri e soldati?

FERDINANDO.  E’ una cosa infame...

CAROLINA.  Ci vorrebbero altre entrate...

FERDINANDO. Altre tasse... ma a chi chiederle?

CAROLINA.  Al popolo no, che non ha più neanche le lagri­me per piangere.  Ai nobili no perché ti si rivoltano con­tro.  Ai preti nemmeno, perché ci buttiamo addosso il papa...

FERDINANDO.  I commercianti..

CAROLINA. Hanno già minacciato di chiudere i rifornimenti alla città se non li sgraviamo dalle imposte.

FERDINANDO. I filosofi, ecco, gli artisti, che non fanno niente e mangiano  a ufo...

CAROLINA.  Ma se sono dei morti di fame!  L'altro giorno Cimarosa mi chiese un prestito di mezzo ducato per ri­parare il tetto di casa sua.

FERDINANDO.  Li proteggi tu... quelle crape vuote... basta che parlino di libertà, di uguaglianza...

CAROLINA.  Perché non ami la libertà tu.

FERDINANDO.  Certamente... io voglio essere libero di...

CAROLINA.      La libertà non è solo tua.

FERDINANDO. L’uguaglianza! che parola fessa!

CAROLINA.  Non siamo tutti uguali?

FERDINANDO.  Davanti a Dio sì, certo...

CAROLINA.  Ricordati che Cristo lavò i piedi al lebbroso...

FERDINANDO. Io non l'avrei mai fatto... lo sai che le malattie mi fanno senso...

CAROLINA.  Che lo tieni a fare quel libro di Voltaire sul co­modino?

FERDINANDO.  L'ho letto... qui e là... lo trovo verboso...

CAROLINA.  Hai spilluzzicato sì e no due pagine, come un cibo esotico... certi libri si devono conoscere... un re deve essere informato di tutto...

FERDINANDO. E’ la tua bibliotecaria che ti insegna queste scemenze? Quel carciofo della Pimentel...

CAROLINA.   Una donna di spirito, ha una grande cultura... fa parte delle accademie di tutta Italia...

FERDINANDO.  Le donne saccenti mi stuccano, come il miele puro.  Madame de Staél, Madame Roland... la vita pub­blica ormai sta nelle mani delle donne saccenti... che ca­lamità!

Buio sulla reggia.  Luce sulla cella.

NORA.  Ma perché credi che ti hanno chiusa qui con me Caterina?

CATERINA.  E io che ne saccio?

NORA.  Sarà una punizione... la marchesa Fonseca Pimentel con la figlia della cuffiara, l'amante di suo marito...

CATERINA.  Per farvi schiattare!

NORA.  Mi ricordo quando venisti con tua madre a casa mia... avevi cinque o sei anni... i capelli rasati per il tifo... non parlavi niente affatto... io dissi: è muta la bambina? e tua madre mi disse: quando vuole qualcosa parla.  Infatti poi sentii la tua voce in cucina che diceva "voglio nu poco e salame."

CATERINA (che intanto sta facendo le carte).  Lo volete sapé cosa vi dice la sorte?

NORA.     La sorte la so già Caterina... fra un'ora, due, sarò decapitata... che vuoi sapere di più.

CATERINA.  Regina di bastoni... denari sotto i mattoni...

NORA.  Che me ne faccio dei denari...

CATERINA. Fante di coppe, bancarotte!

NORA.  Infatti mio marito mi portò via fino all'ultimo soldo.

CATERINA.  Re di bastoni con regina di spade, incrociate, questa è morte per tradimento...

NORA. Il tradimento che fece il re al popolo napoletano...

CATERINA.  A lo suono de la grancascia  / viva sempre lu popolo bascio / A lu suono de li campane / viva viva li populane / a lu suono de li violine / sempre a morte li giacubine! ...

NORA.     Non cantare questa canzone Caterina! E’ il mio strazio.

CATERINA.  A lu suono de li campane, viva viva li populane! 

NORA.  Abbiamo avuto contro i re, la fanteria, i cannoni, i gendarmi, l'esercito?... e va bene, era previsto... ma il po­polo, il popolo per cui avevamo combattuto... ci si è ri­voltato contro come un lupo arrabbiato.

CATERINA.  Asso di spade... non è sicuro se vi impiccano o vi tagliano la testa... non è sicuro sicuramente:..

NORA.     Infatti ho chiesto, secondo il mio rango, di essere ghigliottinata...

CATERINA.  Tre di danare... morirete senza conforti... e penderete in piazza per tre giorni e la gente vi sputerà ad­dosso...

NORA.     Ora basta Caterina!  Butta quelle carte... cantami una canzone, quella del cardillo che è così bella!

CATERINA.      E voi quanto mi date?

NORA.  Hai imparato da tua madre a chiedere soldi per ogni cosa?

CATERINA.      Mia madre lasciatela stare, sennò vi sputo in faccia.

NORA.  Tua  madre si fece il negozio coi miei soldi...

CATERINA. Pure se rubò, se fece la puttana, se si mangiò il pane vostro, non la toccate! E datemi cinque carlini!

NORA.  Non ho niente, Caterina, mi portarono via tutto...

CATERINA. Avete un anello al dito...

NORA. Non vale niente... è di rame... ma se vuoi prendilo! 

CATERINA (prende l'anello e poi canta con dispetto).  A lu suono de la grancascia / viva sempre lo popolo bascio! / a lo suono de li tammurielli / so risurti li puverielli! ...

Buio sulla cella.  Luce sulla strada.

PRIMA DONNA. A maronna e Posillipo chiagne!

SECONDA DONNA. A maronna e Procida chiagne!

PRIMA DONNA. Salvateci maronna da li francesi che acci­dono li piccerille, violentano e donne e con l'ostia ci fanno e messe nere...

SECONDA DONNA.   Salvaci regina dalli francesi!

PRIMA DONNA. O sentisti... accisero o re a bastonate.

SECONDA DONNA.  A reggina... le tirarono fuori il cuore dalla bocca...

PRIMA DONNA.    O sentisti... li preti li scuoiarono...

SECONDA DONNA.  Ci levarono a pelle e con issa ci fecero le borse...

PRIMA DONNA.  O sentisti... i piccerille se li mangiarono sopra nu piatto d'argento.

SECONDA DONNA.  Co l'aglio dint'o culo e o prezzemolo dint'a vocca.

PRIMA DONNA. O sentisti... Le donne gravide le bucarono co la spada.

SECONDA DONNA.  Ogni pancia na spada... zan zan zan zan... ogni pancia na spada!

PRIMA DONNA. O sentisti?... il papa lo misero tutto ignu­do...

PRIMA DONNA.  Ci mangiarono pure le trippe sue...

SECONDA DONNA.  Col fegato tagliato a pezzi per contorno...

PRIMA DONNA.  Col cuore fritto per aggiunta...

SECONDA DONNA.  Col sangue ghiacciato al posto del vino...

PRIMA DONNA.  Maronna e Posillipo salvaci dalli giacubini! 

SECONDA DONNA.  Maronna e Procida, salvaci dalli rivolu­zionari!

PRIMA DONNA.  Maronna e Posillipo proteggi il nostro re!

SECONDA DONNA.  Maronna e Procida, proteggi il nostro papa!

Buio sulla strada.  Luce sulla cella,

CATERINA, Volete nu poco e cafè?

NORA.     Dove lo trovasti?

CATERINA.  Il guardiano... mentre dormivate... feci amici­zia con lui...

NORA.  Una persona gentile... (Beve) Lo ringraziasti?

CATERINA.      Gli feci toccare il petto.

NORA (rendendole la tazzina).  Non lo voglio... ti sei ven­duta per un poco di caffè.

CATERINA.  Che venduta e venduta... mise una mano qua e poi la levò subito.  Ne volete ancora?

NORA.  Non lo voglio un caffè ottenuto con uno scambio così turpe.

CATERINA.  Come volete... (Bevendo rumorosamente) Che profumo ohi! che delicatezza!

NORA.  Domani per un po' di pasta asciutta ti corichi con lui!

CATERINA.  Sì, per un poco e pasta asciutta! mica sò scema!

NORA.  Precisa a tua madre... pure lei faceva i conti... non dava mai niente per niente.

CATERINA.  Parlatemi di lei... donna Lionora... era bella?

NORA.     Era bella sì... venne un giorno a casa nostra con mio marito: Nora, questa è Angela, una sventurata che ha bisogno di sostegno, dalle da mangiare!  Aveva una gon­na nera, sdrucita, piena di patacche... uno scialletto mar­rone sulle spalle.  Pareva una mendicante.  Provai simpatia per lei.  Le detti da mangiare, le regalai un vestito ... e lei: grazie, grazie... ma già faceva l'amore con Pasquale.

CATERINA.  Com'era di faccia?

NORA.     Bella... un poco tonda, da luna piena... ma piacente, fresca... gli occhi, ecco gli occhi erano molto intensi, mol­to grandi, ma poco trasparenti... non dicevano mai la ve­rità.  Dopo seppi della fuga dall'Aquila, del delitto...

CATERINA.  Non fu lei a uccidere... fu suo marito...

NORA.  Non fu lei... ma la incolparono di essere complice... e lei scappò... e finì nelle braccia di mio marito.

CATERINA.  Era bellissima mia madre.  E voi eravate uno scorfaniello.  E mio padre vi sposò per i soldi...

NORA.  E’ proprio così, Caterina.  Ma ti pare una cosa buona?

CATERINA.  E voi lo sapevate che ero figlia a lui?

NORA.  No che non lo sapevo... quando ti portò da me eri malata.  Lui disse: non può stare da sola chiusa nel re­trobottega malata com'è, ha bisogno di cure, pensaci tu Nora... E io mi dedica! a te... tua madre stava a negozio, tuo padre coi suoi doveri militari.. eri così gracile che sembravi sul punto di morire... e non sapevo che eri fi­glia a lui, non lo sapevo...

CATERINA.  E se non sono figlia a lui?

NORA.  Gli assomigli.  Hai la stessa bocca... e poi l'affetto che ti portava... quando pensò che stavi morendo pianse come un bambino...

CATERINA.  Io non morirò mai... lo sapete quanti aborti aggio fatto?  Cinque.  Ogni volta mi davano l'estrema un­zione.  E poi... eccomi qua.

NORA.  Credevo che tua madre t'avesse maritata...

CATERINA.     Mi maritò a un vecchio tutto azzimato che la sera si faceva a barba, si puliva e si profumava tutto e poi si sedeva sopra na seggiola e diceva: mò, Caterina mia spogliati!  E quando mi ero spogliata 'diceva: mò rivestiti.  E quando mi ero rivestita diceva: mò spogliati!  E quando mi ero spogliata diceva: mò fatti il bagno.  E quando mi ero fatta il bagno diceva: mò balla.  E quando avevo ballato mi diceva: mò rivestiti... Doppo quattro mesi de sta vita sò scappata e mi sono messa a fare a ladra...

NORA.  Senti... vengono a prendermi... Prega per. me Ca­terina.

CATERINA.  Allora ci credete a Dio!

NORA.  Io non ci credo... ma tu ci credi e perciò te lo chie­do... è un modo per dirti di non dimenticarmi.

CATERINA. Non prenderete l'estrema unzione?

NORA. Dammi un abbraccio... dopotutto sei quasi mia pa­rente.

CATERINA.  Mia madre morì senza abbracciarmi,

NORA.  Oh Dio, arrivano... fammi mettere a posto la veste...

(Si sentono dei passi, dei rumori di catenacci.  Entrano due guardie che portano via Eleonora senza una parola.  Cate­rina rimasta sola canta)

Buio sulla cella.  Luce sulla 'reggia.  La regina sola canta la stessa canzone di Caterina con un bambino in braccio.  En­tra il re.

FERDINANDO, Vengo a portarvi i complimenti di mio pa­dre, Carlo III di Borbone, per la nascita dei maschio.  Come sta lu piccerillu?

CAROLINA.  A me non mi chiedete come stò? per poco mo­rivo di parto... ho chiesto di voi... molte volte... ma voi dove eravate?... a caccia.

FERDINANDO.  Lo sapete, la caccia per un sovrano è un do­vere...

CAROLINA.  Il dovere di divertire donna Margherita...

FERDINANDO. Cosa andate farneticando... donna Margherita è la moglie di un mio consigliere, tiene quattro figli.

CAROLINA.  L'avete fatto consigliere per la bella moglie che tiene.

FERDINANDO.  Margherita è una donna seria...

CAROLINA.  Lasciate perdere... siete venuto per qualche altra cosa?

FERDINANDO.  Sì, sono venuto per portarvi il tradizionale regalo maritale che il re deve a sua moglie dopo, il parto felice di una creatura nostra...

CAROLINA.  Quanto mi avete portato?

FERDINANDO. 50.000 ducati e una collana di coralli antichi.

CAROLINA.  Credevo di avervi dato un maschio, signore.

FERDINANDO.  Per gli altri figli vi diedi 25.000 ducati. Questa volta è il doppio.

CAROLINA.  Io rischio la vita per darvi un maschio e voi venite con 50.000 ducati.  Potete tenerveli.

FERDINANDO.  Ma cosa dite? potreste costruirvi un palazzo di due piani con questi soldi.

CAROLINA.  Ho rischiato la vita.

FERDINANDO . Vi ho messo otto medici a disposizione.

CAROLINA. Otto cani, otto pentole bucate... sarei stata meglio nelle mani di una buona mammana. Costoro , i vostri grandi dottori,  non fecero che chiacchierare e mangiare sorbetti mentre io perdevo sangue e soffocavo...

FERDINANDO.  Vi ho dato il meglio della scienza.

CAROLINA.  Mi spettano per lo meno 100.000 ducati... il rischio passato e... la difficile lattazione.

FERDINANDO.  Possiamo prendere una balia.

CAROLINA.  No, lo allatto io, come feci con gli altri... ma voglio il mio compenso.

FERDINANDO. Sapete che qui comandate voi, Carolina...

CAROLINA.    Sì, per fare le parti sgradevoli: licenziare i cuochi, aumentare le tasse, chiedere prestiti.  Ma sapete bene che non dispongo di una lira.

FERDINANDO.  Non vi piace la collana di coralli antichi? Solo questa mi costò 10.000 ducati.

CAROLINA.    Uscite da questa stanza se non volete che vi sbatto in faccia la collana vostra!  Uscite!

Buio sui regnanti.  Luce sulla strada.  Passanti.

PRIMO  UOMO.  Robespierre fu decapitato come Danton, suo nemico, tre mesi dopo di lui...

SECONDO UOMO.  Si scannano tra di loro...

PRIMO UOMO.  Mò c'è Napoleone il grande...

SECONDO UOMO.  Scende l'Italia.  Con tutto l'esercito, scen­de.

PRIMO uomo.  Ferdinando giurò a San Gennaro di andare a salvare il papa.

SECONDO UOMO.  Ma se non riesce a salvare se stesso dai debiti che ha, come fa a salvare gli altri?

PRIMA VOCE.  Napoleone arrivò a Roma, così dicono...

SECONDA VOCE.  Ferdinando prepara l'esercito...

In un angolo un panchetto e un ufficiale regio che arruola dei poveracci.

UFFICIALE.  Nome?

CIRO.  Mezzavia Ciro.

UFFICIALE.  Età?

CIRO.  Ventidue.

UFFICIALE.  Mestiere?

CIRO.  Accatto u pesce e o venno... accatto pesce fresco al porto...

UFFICIALE.  Pescivendolo si dice... pescivendolo.

CIRO.  Non vendo solamente... io, accatto u pesce e poi dopo lo rivendo...

UFFICIALE.  Vi volete arruolare?

CIRO.  Io?... arruolare?

UFFICIALE.  Entrare nell'esercito regio...

CIRO. Io veramente non pozzo vostra signoria illustrissima.

UFFICIALE.  E perché?

CIRO.  Tengo due figli e nu terzo sta in viaggio.

UFFICIALE, Tutti teniamo figli.  Ma partiamo.  La patria chiama.

CIRO.  E chiama proprio a me?

UFFICIALE.  I francesi hanno invaso Roma papale.

CIRO.  Veramente?

UFFICIALE.  Misero il papa in ginocchio.

CIRO.   Veramente?

UFFICIALE.  Sequestrarono i beni della chiesa.

CIRO.  Ma veramente?

UFFICIALE.     Sì, vogliono portare il papa con tutta la chiesa a casa loro...

CIRO.  Ma veramente?

UFFICIALE.  Tanti giovani vengono piangendo e vogliono partire subito per andare a salvare il papa...

CIRO.  Tanti giovani... bene, songo contento.

UFFICIALE.     Partite?

CIRO.  Io signor capitano non posso proprio, ma vi mando qualcuno che parte per me...

UFFICIALE.  E chi sarebbe? un fratello? 

CIRO.  Mio padre,

UFFICIALE.  Quanti anni tiene?

CIRO.   Settanta... ma sapeste come si muove, come cammina,

come grida e come mangia... soprattutto grida quando non mangia... per me è un peso, ve lo presto volentieri...

UFFICIALE.  Io ti accompagno a calci fino all'inferno, pe­landrone!

CIRO.   Posso andare eccellenza?

UFFICIALE.     Peccato, perdi otto carlini al giorno.

CIRO.   Otto carlini? tutti i iuorni?

UFFICIALE.     Tutti i giorni.  E ci sono pure un paio di scarpe nuove.

CIRO.  Posso portare pure mio padre?

UFFICIALE.  Vuoi un colpo di archibugio?

Ciro se ne va.  Canzoni di guerra.  Rumore di cannoni.  Fumo. Grida.  Ferdinando con la bandiera borbonica in mano urla.

FERDINANDO.    La vittoria è nostra.  I francesi, come conigli, fuggirono verso il nord... il papa sta in pace, grazie al grandissimo, vittorioso esercito napoletano...

VOCI.  Viva il papa! viva il re! viva Napoli borbonica! 

FERDINANDO.  Mò che abbiamo conquistato Roma, possiamo pure conquistare Parigi!  Tagliamo la testa a chi accise mio cognato, il grandissimo Luigi XVI, e mia cognata, Maria Antonietta, la sorella di mia moglie Carolina!  In quanto a Napoleone lo mandiamo a colei in culo fino in Lappo­nia.  Viva la Francia borbonica, viva il papa!

Voci.  Viva il papa, viva il re, viva i Borboni!

Altri cannoni.  Altri gridi.  Spari.  Ferdinando rientra con la bandiera stracciata trascinandola dietro di sé.  Ciro e un altro soldato a piedi scalzi camminano con l'aria afflitta.  Ciro in­contra il padre.

CIRO. Padre!

PADRE. Figlie!

CIRO . Come sò i piccerille?

PADRE.  Li mettesti da parte i carlini?

CIRO.  Quali carlini? mi vendetti pure e scarpe per mangiare...

PADRE. E sta medaglia? è oro?

CIRO. Ma quale oro? chista è sputazza du re.

PADRE.  U figlie piccerillo morì di fame.

CIRO. E a mugliera mia?

PADRE.  Morì di parto.

CIRO.    E tu venisti solo per cercarmi i carlini... levati vecchio schifuso, sfacimme! (Ciro picchia il padre che scappa)

Buio sulla strada.  Luce sulla cella.  Caterina è sola e dorme. Si apre la porta.  Entra Nora.  Caterina si spaventa.

CATERINA. Mamma mia!

NORA. Sono qui.

CATERINA.     Pure da morta mi volete tormentare...

NORA.  Ce l'hai un pocolillo e cafè?

CATERINA.  Allora siete viva? mi avete messo paura... dor­mivo... sognavo un bel piatto di spaghetti..

NORA.  Volevano sapere delle cose sui patrioti.

CATERINA.     Avete fatto bene a parlare...

NORA.  Credi che sono una vigliacca? credi che tradirei chi ha avuto fiducia in me?

CATERINA.   E quando ve la tagliano a testa?

NORA.     Non lo so Caterina... spero presto... è brutto aspettare.

CATERINA. Se ve la tagliano domani, doppodomani a sera mi fanno uscire...

NORA.  Che rubasti per meritare la Vicaria?

CATERINA. Mò vi faccio vedere na cosa... (Tira fuori da una tasca un pettine e lo mostra a Nora) o riconoscete?

NORA.  Il mio pettinino... e quando l’ho perso ?

CATERINA, Lo presi io... con le mani mie... vi è piaciuto? 

NORA.  Non è bello rubare, Caterina.

CATERINA.  Io mica rubo... io gioco... l'avete mai vista una mano che diventa na farfalla? oppure na formicola..: la mia mano vola, striscia, cammina, s'infila, e poi se ci rimane attaccato qualche pezzo da dieci non è colpa mia...

NORA.  Tua madre non ti lasciò niente?

CATERINA.  Chi l'ha vista più? se ne andò all'Aquila e morì labbascio.

NORA.  Pasquale che ti amava tanto non fu neanche capace di lasciarti un centesimo... solo debiti... e non ti insegnò niente... manco a leggere.

CATERINA.  Mi teneva in palmo di mano... Caterina qui, Caterina lì... na vota me regalò un vestito di velluto... n'ata vota un paio di calze di lana...

NORA.  Lo sai perché ho lottato io? per un mondo diverso in cui tu Caterina possa avere una casa, dei vestiti, da mangiare abbondante e non andate a rubare...  per que­sto sono qui...

CATERINA.      Voi siete qui perché sputaste dint'o piatto d'o re. E mò perdete a testa per il tradimento.

NORA.     Il tuo re dove credi che mangia? Nel piatto tuo...mangia sulla tua testa,  il re, e di tutti i napoletani... Di dove credi che li prende il re i soldi per i piatti d'ar­gento, i cuochi, le carrozze, i cavalli? li prende dalle tasse.

E chi le paga le tasse?  Il popolo...

CATERINA,    Io non le pago le tasse...

NORA.  Paghi, paghi,.. quando dai due carlini per il pane... uno va al re, l'altro viene diviso fra il fornaio, il mugnaio, il trasportatore eccetera.

CATERINA.     Quando ve la tagliano la testa madama Eleonora?

NORA.  Al tempo che abitavo a Toledo, in via della Pignasecca erano in quattro, tutti i giorni a chiedermi: quando ve la tagliano la testa madama Eleonora?... quando? quan­do?... erano le quattro sorelle di Pasquale: Benedetta, col naso alla francese, Isabella la mezza scema che mi veniva addosso con la forchetta, Grazia la fervente e Rosa la volpe.  Poi Benedetta si sposò e rimasero in tre...

Buio sulla cella.  Luce su una tavola apparecchiata. Entrano Rosa, Isabella e Grazia.  Nora le presenta.

NORA.  Questa è Rosa, la ciccia dolente, la luna calante, la gola parlante... entrò nella mia testa camminando pesan­temente,... e questa è Grazia, il soldato del re, il soldato di Gesù Cristo... m'hanno fatto da aguzzino e da boia... questa è l'ultima, è Isabella, deboluccia, malaticcia, ca­pricciosella, sgangherata... ogni volta che fa nu capriccio s’arrevota tutta a casa.  Si gettò cinque volte da a finestra e ogni vota cadde sopra un cespuglio e rose... dicono che il nonno suo, a cinque anni, la violentò...

ROSA.     Ecco la pasta.

ISABELLA.    Voglio a granatina e rose...

ROSA.     A granatina e rose, a granatina e rose... oggi c'è maccheroni col ragù e fritto e pesce.

ISABELLA. A granatina e rose...

GRAZIA. Se non t'azzitti ti leghiamo al tavolo.

ISABELLA. A granatina e rose...

ROSA. I maccheroni col ragù, tieni mangia a mamma tua... o piatto, Grazia, o piatto suo dov'è?... o tovagliolo... o tovagliolo, legacello bene ntuorno o cuollo... tieni fame, Isabelluccia? tieni fame a mamma?

ISABELLA.  Non tengo fame.

GRAZIA.     Non tiene fame, lasciala stare.

ROSA.  Deve mangiare... deve mangiare...

GRAZIA. Dammelli a me e maccarune, li mangio io...

ROSA.     Tu già mangiasti quelli di tuo fratello Pasquale...

ISABELLA.      A granatina e rose.

ROSA.     Mò ti prendi il fritto di pesce Isabelluccia, il frittuccio e pesce, sei contenta?

ISABELLA.  Dammi il ragù.

GRAZIA.  Il ragù ce n'è poco Isabelluccia, il ragù va diviso fra tutti... a tuo fratello Pasquale poi che ci diamo? aria stracotta?

ISABELLA.Voglio tutto il ragù.

ROSA.     E quante pretese... cosa credi di essere, la marchesa Fonseca Pimentelle?

GRAZIA.     La marchesa è sciuta da casa a e otto... a marchesa...

ROSA.     A marchesa giacubina... ih quanto è sfiziusa! (Facendo il verso alla cognata) No, cara cognata, sti libercoli non li leggio io... questi libercoli... a vita e Santa Rita, a vita e Sant'Antonio... i fioretti di Gesù... libercoli!

GRAZIA.     A marchesa Pimentelle legge solo cose serie: Svetonio, Cicerone, Metastasio...

ROSA.    Il divino Metastasio... col culo a pera e le gambucce a ragno...

GRAZIA.     Marchesa, la gentilezza dei vostro grazioso cuore... grazioso cuore...

ROSA.    Con ossequioso amorevole rispetto... suo Me-tas-ta-sio .

ISABELLA.  Puh! (Sputa)

ROSA.     Che fai, sputi sui maccheroni, sciagurata! sputi a soreta?

ISABELLA.       A granatina e rose...

GRAZIA.     Sputa sulla onorevolissirna rispettabilissima illustrissima cognata Eleonora Pimentelle!

ROSA.  Mo quando viene Pasquale ce l'haia a dì che è scíuta a e nove.

GRAZIA.     A e otto, a e otto è sciuta co la mantellina d'astrakà.

ROSA.     Sola è sciuta... come na puttana ... gli stivaletti francesi... e la mantellina d'astrakà.

GRAZIA.  A vuoi sapé na cosa... guarda ... (Tira fuori da sotto la gonna una lettera)

ROSA. Che dice?

GRAZIA. Viene dalla Germania...

ROSA. Mò conosce pure il tedesco...

GRAZIA.  Tiene un amante in Germania...

ROSA.  Cà sta scritto in italiano... "vi prego spedire quello scritto sul salnitro per la vostra rivista scientifica” ...

GRAZIA.    Sainitro! sì, questo è parlata in cifre, parlata segreta...

ROSA. Salnitro è Pasquale, lo scritto è a lettera, la rivista scientifica è u lietto... come dire: scrivetemi quando vo­stro marito è assente che vengo dint'o vuoste lietto.

GRAZIA. Che faccia tuosta!

ROSA.  A Pasquale però... un poco per volta... s'e no schiatta... con  attenzione...  l'urtima vota la fece abortire con le botte... nu poco di compiacenza fratello eh che diamine!

ISABELLA.     A granatina e rose!

ROSA.  Mangia e'maccarune a mammeta... mangia... che fra poco ci rinchiudono in convento per debbiti e allora quan­do li vedi mai e maccarune Isabelluccia mia... mangia man­gia !

 (Rosa prende i maccheroni e li ficca nella bocca della sorella.  Grazia glieli strappa per mangiarli lei.  Nasce una zuffa rabbiosa e allegra che le lascia sporche e affamate)

Buio sulle tre donne.  Luce sulla cella.

CATERINA.  Vi vengono a prendere donna Lionora, siete pronta?

NORA.  O dio, mi ero distratta... mi rivedevo le cognate mie... poverelle, mò stanno in convento, mangeranno male e poco, loro che gli piaceva tanto mangiare... credi che vengono per me?

CATERINA.  Forse che sì, forse che no. Il guardiano cam­mina... (Ascoltando i rumori nel corridoio) Cammina... non lo so se viene da queste parti...

NORA.  Cammina ancora?

CATERINA.  Ancora.

NORA.  Ancora?

CATERINA.  Ancora...

Attimi di silenzio in cui si sentono i passi del guardiano e un rumore di ferraglie.

NORA.  Cammina?

CATERINA.  Passò senza fermarsi.  Per oggi non vi portano via.

NORA.    Cosa darei per una tazzina di caffè...

CATERINA.     Io ve la posso procurare... ma poi che mi date?

NORA.  Non ho più niente Caterina.           -

CATERINA.  Me le date le scarpe vostre?

NORA.  E come ci vado al patibolo, a piedi nudi?

CATERINA.  Tanto dopo morta ve le tirano dai piedi per vendersele.

NORA.  Sono di vacchetta spagnola... un regalo di mio padre quando abitavo con lui a Platea della Salata.

CATERINA.  Vi do gli zoccoli miei.

NORA.  Te le regalo se vuoi... non mi va di fare commerci...te le regalo,

CATERINA.     Veramente me le regalate?

NORA. Veramente...

CATERINA.  Belle... morbide... belle!

Caterina si mette gli stivali di Nora e balla felice.  Nora si infila gli zoccoli.  Buio sulla cella.  Luce sulla regina.

CAROLINA.  Chiamatemi quella vipera della Pimentél!  Chia­matemi quella serpe che ho scaldato in seno!

NORA.  Mi avete chiamata maestà?

CAROLINA.  Sapete di cosa siete accusata?

NORA.  Di discorsi sediziosi e democratici.

CAROLINA.  Si dice che vi riunite in casa del patriota Fa­sulo e progettate di buttare giù la monarchia con l'aiuto dei francesi,

NORA.  Non credo di dovervi rendere conto delle mie ami­cizie solo perché mi date uno stipendio come bibliote­caria.

CAROLINA.     Vostro marito vi permette tutto ciò?

NORA.  Mio marito non permette ma io faccio come mi pare.  Non sono una minore e non sopporto tutele.

CAROLINA.  Lo sapete che una buona moglie deve obbedien­za assoluta al marito?

NORA. Una volta mi parlavate in ben altro modo donna Carolina.

CAROLINA.  Ho appoggiato le vostre idee romantiche, è vero, ho creduto nella libertà e nell'uguaglianza.  Ma mi sono dovuta ricredere in seguito alla barbara uccisione di mio cognato e mia sorella Maria Antonietta.  Il popolo non è pronto per alcun tipo di libertà.

NORA.  E quando credete che sarà pronto?

CAROLINA.  Forse ci vorranno centinaia di anni per elevarlo dal suo livello animale.

NORA.  E voi cosa faceste per renderlo meno animale? 

CAROLINA.  Feci di tutto: aiutai i poveri, aprii un ricovero per le ragazze madri e una mensa per gli orfanelli...

NORA.  Per farvi baciare le mani e i piedi...

CAROLINA.  Dimenticate San Leucio, la colonia modello...

NORA.  Sì dove i contadini stanno come in collegio sotto il controllo dei burocrati... la vetrina del re... il popolo vuole diritti non beneficenza.

CAROLINA.  Che ne sapete voi del popolo, siete una popo­lana?

NORA.  Prima li capivo col cuore... Ora che non ho una lira li capisco anche coi sensi...

CAROLINA. Ma avete una cultura...

NORA.  Che mi dà la coscienza della mia impotenza.

CAROLINA. Sapete quanto gli uomini odiano le donne colte. Io vi ho protetta perché amavo la  vostra erudizione, il vostro sapere.  Ma, proprio come diceva mio marito, voi avete usato il vostro  sapere per rivoltarvi contro di me.  Ora se non mutate idee, sono costretta a togliervi la mia benevolenza.

NORA.    Mi togliete lo stipendio di bibliotecaria?

CAROLINA.  Così vuole il re.

NORA.  E gli ubbidite, come una brava sposa.

CAROLINA.  Ci tenete ad andare a finire in prigione?

NORA.  Non ci tengo.  Ma se sarà necessario ci andrò.

CAROLINA. Sapete che rischiate la morte?

NORA.  Lo so.

CAROLINA. Andate pure.  Per rispetto verso vostro marito non sarete  arrestata.  Ma da oggi perdete il sussidio reale.  Vi considero una pazza sconsiderata che va contro i  pro­pri interessi per delle fantasie...

NORA.  Le fantasie a volte sono più amabili dei propri in­teressi.

Buio sulla regina.  Luce sulla cella.

CATERINA.  Volete un pocolillo e cafè?

NORA.  Quel guardiano vi tratta come una merce.

CATERINA.      Vuole solo tastare... due tastate, un caffè... quattro tastate na porzione e pane...

NORA.  Quanto mi sarebbe piaciuto avere na figlia... mò avrebbe la tua età.

CATERINA.   E perché non l'avete fatta?

NORA.  L'ho fatto, un figlio, maschio come voleva lui, Pasquale.  Era così contento.  Perfino le sorelle si fecero più gentili... Nora qua, Nora là... il bambino nacque, e morì nello spazio di otto mesi.

CATERINA.  Magari vi dimenticaste di dargli da mangiare... mia madre lo diceva che eravate una mentecatta, una mez­za scema sempre col naso nei libri e vi dimenticavate pure di andare a letto.

NORA.  Sì, mi, dimenticavo di dormire... ma non di dargli da mangiare... (Recita una poesia) "Figlio mio caro figlio, ahi l'ora è questa ch'io soleva amorosa a te girarmi e dolcemente tu solei mirarmi a me chinando la vezzosa testa dal tuo ristoro indi ansiosa e presta io ti cibava: e tu parevi alzarmi la tenerella mano e i primi darmi pegni d'amor: memoria al cor funesta!” Questa l'ho scritta l'anno dopo che morì...

CATERINA.  Potevate fare un'altra prova...

NORA.  Tante volte ci provai... Una volta rimasi incinta... e tutti erano contenti.  Ma poi per una lettera del Fortis che ricevetti, Pasquale si arrabbiò tanto che mi picchiò.  Mi prese per la vita e fece per gettarmi dalla finestra.  La notte stessa abortii... per poco non persi la vita e da allora non potei più farne...

CATERINA.  Mia madre lo diceva sempre: troppi libri, trop­pi libri, quella s’azzanna a testa, finirà male!

NORA.  La stessa cosa mi disse la regina... come vedi l'igno­ranza è alleata con il potere... dicono le stesse cose...

CATERINA, Era bella mia madre?

NORA.  Io fui messa in prigione.  Ma pochi mesi dopo la regina dovette scappare a Palermo col suo re.  Il popolo fu in subbuglio.  I Lazzari correvano per la città armati di bastoni e coltelli.  Furono bruciati gli uffici reali, fu as­saltata la prigione e io uscii.  Ero libera.  Mi portarono in trionfo.  Parlai in pubblico per la prima volta... che paura! mi tremavano le mani.  Mi aggrappai forte all'ombrello che tenevo in mano e mi buttai...

  Buio sulla cella.  Luce sulla strada.  Nora fa il comizio.

NORA.  Il re è fuggito, il vostro amato re, se ne partì con tutti li denari vostri, il re saccheggiò il palazzo reale, svuotò le casse del governo e se ne partì per Palermo seguito dagli inglesi, protetto dall'ammiraglio Nelson... E’ un re che merita rispetto questo? è un re che merita onore? È un re che merita fiducia, amore? Pure le lenzuola della reg­gia si portò, pure i portaceneri d'argento... il vostro re... dopo che Napoleone lo vinse mentre cercava come un don Chisciotte di salvare il papa, lui con un esercito che aveva arruolato con la forza, mal pagato, malnutrito... e tutta l'Europa rise di lui e di come scappò a precipizio da Roma inseguito dalle truppe francesi... il vostro re è un tradi­tore! ...

VOCI.  Abbascio il re! abbascio il re!

NORA.  La città di Napoli, la nostra città, in che condizioni l'hanno ridotta il vostro re e la sua corte... l'artigianato langue per le troppe tasse, il porto è riservato ai grandi commercianti che vendono olio e vanno all'estero, migliaia di migliaia di burocrati regi prendono lauti stipendi, il clero che fra preti e monache comprende quattordicimila persone vive di rendita, ci sono tremila tribunalisti e mi­gliaia di nobili che non fanno niente e tutti, tutti vivono sulle spalle del popolo che viene spremuto come un li­mone e poi preso a calci... Noi vogliamo un governo di­verso, un paese diverso... vogliamo una riforma agricola, vogliamo togliere i diritti feudali ai nobili, vogliamo che tutti abbiano scuole, una casa e di che vivere... uniamoci e combattiamo contro il nemico... Viva il popolo napoletano!

VOCI.  Viva il popolo napoletano!  Viva i francesi! viva il re!

Da un'altra parte.

PRIMA VOCE,      I francesi sono arrivati a Caserta...

SECONDA VOCE. Domani sono a Napoli.

PRIMA VOCE.  Addio Napule!

SECONDA VOCE.  Quelli tagliano la testa a tutt'e realiste.

PRIMA VOCE.  Mangiano e ammazzano.  Ammazzano e man­giano.

SECONDA VOCE.   Moliterno e Roccaromana andettero a parlare co Championette.

PRIMA VOCE. Ué, Championette, se volete entrare a Na­pule senza sangue dovete promettere di non alzare il cannone...

SECONDA VOCE. Io sò Championette... io... guardate a me... caro Roccaromana, vui site nu gran signure, ma cà si nun tirate fuori gli spillaccheri, le sparlanpane, noi a vostra città la facciamo ferro e fuoco.

PRIMA VOCE.  Ué, Championette, di quali spillaccheri andate parlando?

SECONDA VOCE. Di quei due milioni di ducati che la città di Napule deve tirare fuori e consegnare all'esercito vin­citore, cioè bensì eziandio conciossiacosaché a noialtri noi francesi...

PRIMA VOCE.  Fu accussì che venti giacubine col fegato di ferro entrarono dint'a fortezza di Sant'Elmo, accisero Brandi il capo dei Lazzari che la teneva per conto del re e la espugnarono... dopo di che i francesi entrarono senza sangue . .. non come conquistatori ma come liberatori... aiutati da una parte dei napuletane... li giacubine... avete capito? chista è a storia come è... (Dopo di che si metto­no a cantare)

VOCI.  Libertà e Uguaglianza / li denare vanno in Franza / e ntri e ntri ci fa la panza /e ntrí e ntri ci fa la panza...

Buio sulla strada.  Luce sulla cella.

CATERINA.  Me songo sunnata che andavate in giro senza testa. E mi dicevate : Caterina, dammi nu poco e cafè.  Io v'oo davo e vui o cafè ve lo versavate tutto addosso.

NORA.  Sei peggio del boia Caterina, pure quando duormi me vuoi morta...

CATERINA.  Ve la volete fà na partita a carte?

NORA.  No.

CATERINA.  Parlatemi nu poco e mia madre...

NORA.  Più ti maltrattava e più le Volevi bene... a sette anni ti voleva chiudere in collegio perché le davi fastidio e io mi battei perché ti tenesse...dissi che avrei pagato per il tuo cibo, i tuoi vestiti...  tuo padre in quell'occasione mi insultò, mi disse che se non avevo figli la colpa era mia che leggevo  troppo e mi occupavo di politica... mi picchiò anche... era geloso di te...

CATERINA.  Io con un marito come il vostro sarei stata felice... bello, forte, allegro... che ommo!

NORA.    Mi fa tristezza ripensare a lui...

CATERINA.  Meno male che morì... se era vivo e voi stavate qui si sarebbe ucciso per la vergogna...

NORA.  Passò un tamburino quella mattina... tutta Napule fu svegliata alle cinque di mattina con l'invito elegantissimo del generale Championnet per una festa in piazza, con vino gratuito per tutti e spaghetti a volontà... Fu piantato un albero in mezzo alla piazza, l'albero della libertà, con tutti i nastri colorati, e il cappello frigio...

CATERINA (interrompendola).  U cappiello... u cappiello, dint'o suogno vi mettevate u cappello ma non avevate più testa... che ridere... che ridere!

Buio sulla cella.  Luce in piazza 'dove nel frattempo è stato piantato l'albero della libertà coi nastri colorati.  Un uomo e una donna vestiti alla francese ballano e cantano la Car­magnola.  Arriva Championnet.

CHAMPIONNET.  E poiché abbiamo piantato l'albero della libertà ora proclamo in nome del popolo napoletano e del popolo francese che da oggi qui regna la repubblica na­poletana!

L'uomo e la donna battono le mani.

CHAMPIONNET.  Da oggi l'esercito francese prende il nome di esercito napoletano e si impegna a mantenere le vostre ragioni, a trattare le armi ogni volta che giovi alla vostra libertà.  Rispetteremo il culto pubblico, i sacri diritti della proprietà delle persone... inoltre ho l'onore di annunciarvi la costituzione di un governo provvisorio composto da venticinque membri che riceverà l'investitura ufficiale nel­la sala di San Lorenzo... al più presto inoltre saranno orga­nizzate elezioni a suffragio universale a cui tutti, dico tutti, letterati e illetterati, potranno partecipare...

VOCI  Viva la Francia!  Viva la repubblica napoletana!  Viva Championnet!

(Lancio di bandierine francesi.  Squilli di tromba.  L'uomo e la donna riprendono a ballare attorno all'albero della libertà)

Buio sulla piazza.  Luce sulla cella.

NORA.  Per la prima volta la gente poteva andare in giro coi capelli corti senza rischiare la galera... c'era un gran fermento, tutti chiedevano qualcosa... la cittadina Laurent Prota voleva riformare il diritto di famiglia, chiedeva li­bertà di divorzio, eliminazione della tutela maritale, di­ritto di studio per le giovani... Michelangelo Cicconi chie­deva di costituire dei gruppi che spiegassero in vernacolo la "Repubbreca cò le santo Evangelio".  Nicola Perinolo chiedeva l'abolizione totale dei feudi, il sequestro dei la­tifondi ecclesiastici...

CATERINA.  Lo volete nu poco e cafè?

NORA.  E dove sta?

CATERINA.  Mò chiammo o guardiano e ce lo dico.

NORA.  Lascia stare... i tuoi commerci mi ripugnano... nien­te caffè...

CATERINA.  Avete paura di sporcarvi le mani... marchesa! ma o sapete che me sò venduta per mezzo carlino, di notte, sdraiata dentro una grotta con le pulci che salta­vano e ballavano? o sapete che prima di imparare a rubare sono stata in un circo dove, per un piatto di pasta, mi accoppiavo pubblicamente con un asino? o sapete, o sapete? Poi il puzzo, il puzzo dell’asini infoiato non l’ho potuto più sopportare ... la gente che guardava, il dolore tutto mi tenevo, ma l’odore no ... e accussì l’aggio avvelenato con la calce viva e lui prima di morire mi leccava la mano e si eccitava ... maiale di un asino!

Buio sulla cella.  Luce sulla piazza.  Arriva il cardinale se­guito da due che reggono la statua di San Gennaro.  Dietro il popolo che urla piange prega.  Championnet segue la folta. Il cardinale si ferma.  Tutti si inginocchiano.

CARDINALE ZURLO.  Santo, santo nostro amatissimo e sti­matissimo, San Gennaro che tanto patisti, santo protet­tore di questo nobile popolo, fai che il tuo sangue si sciolga ancora una volta per mostrare benevolenza verso questa grande rivoluzione popolare... benedici la repub­blica napoletana..

FOLLA. Santo

ZURLO. Rispondi al popolo in preghiera che aspetta da te lumi!

FOLLA. Santo!

ZURLO. Sciogli il tuo beatissimo sangue!

FOLLA. Santo!

ZURLO. Dacci la prova della tua approvazione

FOLLA. Santo!

ZURLO.         Tu che hai sempre protetto i poveri, i derelitti, contro gli ingiusti, i prepotenti... parlaci!

FOLLA. Santo! (Tutti cantano un inno di chiesa)

ZURLO.  Silenzio... silenzio... pregate in silenzio... mea culpa,  mea culpa... San Gennaro  aiutaci... il miracolo, il miracolo, guardate, guardate... il sangue si scioglie nella am­polla.. . Esultate!

FOLLA. Ahbhh!

ZURLO. Esultate napoletani, il santo disse di sì ai giacubine!

FOLLA. Viva la repubblica, viva i giacubine! viva i francesi, viva il cardinale! viva il re!

Buio sulla piazza. Luce sulla cella.

NORA.  Alcuni patrioti si offesero: lo considerarono un in­sulto alla ragione... ma il sentimento del popolo non va sfruculiato... la festa di San Gennaro fu utile alla com­prensione reciproca...

CATERINA.  C’ero pure io a quella festa... mi sono mangiata dei pezzi di pesce fritto accussì... e mentre che tutti guar­davano il sangue del santo con la bocca aperta infilai una mano e acchiappai una borsa china e denare... cento mo­nete d'oro... il più gran botto da a mia vita,..

NORA.  Championnet era presente... mancava il governo provvisorio e fu un errore... non bisogna spaventare chi è già spaventato...

CATERINA.  Co quei denare mi accattai na carrozza bellissi­ma, a prima carrozza della mia vita... na carrozza a cane­stra, col mantice di vacchetta... la fodera di tela turchina, a cassa foderata di velluto d'Inghilterra, e il traino color  "bove de Paris"...

NORA.     I patrioti "puri" disprezzavano i credenti, volevano fare una repubblica di poche centinaia di persone, buttare giù le chiese e costruire un altare per la Dea Ragione...

CATERINA, "Bove de Paris” ... na sciccheria preziosa... an­dai a spasso su e giù per il corso per dei mesi eppoi me la vendetti... il “bove de Paris” ...

NORA.  Volevano tagliare la testa al re, volevano impiccare tutti i preti, mandare a morte chi non era d'accordo...

CATERINA.  Evviva li francesi... e frun e frun e frun... sonno megghio dell'ingresi e frun e frun e frun... ma chi ce l'ha mannati e frun e frun e frun... tante bocche da imbeccà, e frun e frun e frun, tanti cúli da pulì... e frun e frun e frun...

Buio sulla cella.  Luce sulla piazza.

DEPUTATO. Generale Championnet, i vostri uomini a ca­vallo minacciano tutti i quartieri della città dicendo che chi non paga la tassa speciale entro ventiquattro ore rischia la prigione immediata.

CHAMPIONNET. Un esercito costa.., siamo qui per voi e non per noi...

DEPUTATO.  Non si può tirare fuori soldi da chi non ne ha... Due milioni e mezzo di ducati sono troppi, Napoli non ce la fa...

CHAMPIONNET.  E’ questione di buona volontà...

DEPUTATO.  Ci sarà una sollevazione popolare... in città manca il pane, manca l'olio, manca il latte...

CHAMPIONNET.  Volete che l'esercito francese se ne vada lasciandovi in balia agli uomini di Rufo?

DEPUTATO.  Avete perquisito i migliori palazzi della città, avete portato via letti e coperte ai conventi, alle ville... inoltre ci risulta che mandate continuamente soldi in Fran­cia.

CHAMPIONNET.  Voi sapete cittadino che stiamo combat­tendo delle guerre e da quelle dipende la nostra e la vo­stra indipendenza... l'indipendenza si paga.

DEPUTATO.  Abbiamo tolto la gabella sulla farina e non possiamo rimetterla...

CHAMPIONNET.  Voi sapete cittadino che mi preoccupo mol­to del destino di questa città che amo... vi prometto che parlerò con il mio governo nel senso che voi dite... vi darò una risposta...

I due se ne vanno.  Una donna grida.  Gente per strada.

DONNA.  Livarono a gabella da a farina, evviva Ferdinando e Carolina!

UOMO.  E frun e frun e frun... li francesi songo  arrivate, mangia qua e mangia là, la bella Napule fa e strafà...

DONNA.  Na bannera francese, na bannera francese miezzo carlino! accattatevi na bannera francese... co chista potete trasire all'ospedale, alla mensa de e puverielle... na ban­nera mezzo carlino!

PEPPINA.  Addò vai Gennariello bellissimo?

GENNARO.  Il generale me manna... lassame stà...

PEPPINA.  Proprio a te mi songo suonnata stanotte, pro­prio a te...

GENNARO.  Il generale non può aspettare, tiene prescia.

PEPPINA.  Io tengo chiù prescia d'isso.

GENNARO.  A sua prescia è chiù importante da a tua.

PEPPINA.  E pecché?

GENNARO. La sua è na prescia generale, na prescia francese, na prescia rivoluzzionaria!

PEPPINA.  E la mia che prescia è?

GENNARO.   Na prescia morta e famine... te saluto Peppina, addio!

PEPPINA. Aspietta! (Lo allerra per un braccio) Nun te lasso si nun me fai vedé a lista delle spese du generale...

GENNARO.  Non pozzo...

PEPPINA (tira fuori la lista dalla tasca e comincia a legge­re).  Pour le generale en cheffe: Vaccina... rotoli venti.

TUTTI.  Vaccina, rotoli venti.

PEPPINA.  Castrato, tutto intero...

TUTTI.  Castrato, tutto intero.

PEPPINA.  Butirro, rotoli dodici.

TUTTI.  Butirro, rotoli dodici.

PEPPINA.  Fiore, rotoli quindici.

TUTTI.  Fiore, rotoli, quindici.

PEPPINA.  Lardo vecchio, rotoli dodici.

TUTTI.  Lardo vecchio, rotoli dodici.

PEPPINA. Strutto, rotoli dieci, olio, rotoli otto, sale, rotoli quattro, cannella, mezza libbra!

TUTTI.   Strutto, rotoli dieci, olio, rotoli otto, sale, rotoli quattro, cannella, mezza libbra.

PEPPINA.  Prosciutto salato, numero quattro.

TUTTI.  Prosciutto salato, numero quattro.

PEPPINA.  Ostriche, numero trecento.

TUTTI.  Ostriche, numero trecento.

PEPPINA.  Orecchie di vitella, lingua di manzo, piedi di porco numeri otto, quindici, venti...

TUTTI.  Orecchie di vitella, lingua di manzo, piedi di porco, numeri otto, quindici, venti...

PEPPINA.  Mostarda, pistacchi, cannella, caffè, zucchero, amendole, capperi, rigano, cetosella, mentuccia, basilico, indivia...

TUTTI.    Mostarda, pistacchi, cannella, caffè, zucchero, amendole, capperi, rigano, cetosella, mentuccia, basilico, indi­via...

PEPPINA. Scrivesti tutto Rosaria?

ROSARIA. Non saccio scrivere Peppina.

PEPPINA. Li tenesti a mente?

ROSARIA. Tengo a lista stampata dint'a a capa.

PEPPINA. Tienila bene in mente che quanno li francese vengono n'ata vota  per e gabelle ci rispondiamo accussì:  vaccina venti rotoli, castrato tutto intero, porco tutto in­tero, pistacchi, cannella, rigano, cetosella, mentuccia, ba­silico, indivia...

TUTTI (con aria minacciosa anche cantando se si vuole).  Ca­strato tutto intero, porco tutto intero, pistacchi, cannella, rigano, cetosella, mentuccia, basilico, indivia...

Buio sulla strada.  Luce sulla cella.

NORA.  Il generale Championnet, gli piaceva mangiare bene, dormire sul morbido... ma era un uomo retto: acconsentì a decurtare i debiti del popolo nei riguardi dei francesi... Ma per questo fu richiamato in patria, processato e messo in galera.  Al suo posto venne MacDonald col fedele Fay­poult, odiato da tutti per le sue prepotenze.

CATERINA.  Volete che dico la novena mentre vi tagliano la testa?

NORA. Non pregare per niente Caterina... mi manderesti all'inferno... mangiati una bella pasta asciutta e canta una canzone per me.

CATERINA.  M'è passata la voglia di cantare.

NORA.  Se mio figlio fosse rimasto in vita... chissà che non sarebbe stato diverso per te... l'amore... chissà... il ma­trimonio.

CATERINA.  Mia madre non l'avrebbe mai permesso.

NORA.  E perché?

CATERINA, Faceva e fatture per farvi morire... così don Pa­squale la sposava... metteva certe spingole accussì dentro il vostro ritratto.

NORA.  Dici veramente?

CATERINA.  Na volta si pungette un dito e il sangue fece uno zampillo così... bestemmiava contro di voi... diceva che siete protetta da qualche spirito potente... io ridevo e issa me dette no schiaffo.

NORA.  Pasquale non l'avrebbe mai sposata tua madre... col suo senso sociale...

CATERINA.     E però ve la metteva dint'o lietto.

NORA (facendo il verso al marito).  "Noruccia, a piccerilla sta malata, non può stare da sola, ha bisogno di cure"... , le che deve fare Pasquale?" "Finché sta febbrata ce la teniamo dint'a stanza." "E va bene Pasquale ce la tenia­mo dint'a stanza"... "Ma la madre non può stare lonta­na da a piccerilla sua"... "Vuol dire che madre e figlia le metto nel guardaroba dove ci sta un letto grande"... "Eh no, Noruccia mia, e se poi capita che hanno bisogno, durante la notte?... La madre dorme con te dentro il letto nostro matrimoniale, la figlia con me nel lettuccio ac­canto'... quanto tenevi... tre anni?...

CATERINA.  Mia madre era contentissima di dormire nel letto matrimoniale con voi, la marchesa Fonseca... lo rac­contò a tutto il quartiere: la marchesa è tanto amica mia che si corica con me seco.

NORA.  Pasquale ti riempiva di baci e di carezze... poi disse che ti guarì col fiato suo... come la mucca con  Gesù... così disse...

CATERINA.  Mi guarì veramente col fiato suo...

NORA.  La prima notte feci per andate in bagno a spogliar­mi e lui disse: "No Nora mia, tu ti devi spogliare davanti a lei, alla cuffiara, se no crede che la disprezzi"... Io feci per andare e lui chiuse la porta a chiave. Così mi spogliai davanti a loro, Poi si spogliò anche lei, levandosi una calza per volta, una sottana per volta, e lui se la guardava... poi mi riempì la faccia di baci... "Buonanotte Eleonora, buonanotte"... tu eri tutta gonfia di febbre e loro mi costringevano a quelle pagliacciate...

CATERINA. Era mi a madre che lo voleva ... Voleva che isso vedesse come era chiù bella lei di voi ... la cuffiara senza un soldo, senza cultura, la cuffiara volgarissima era chiù bella assai della signora marchesa degnissima tutta libri e soavità...

Buio sulla cella.  Luce sulla strada.

TAMBURINO.  Da oggi 22 piovoso, passano alla Francia ri­voluzionaria i seguenti beni della defunta corona borbo­nica rea di alto tradimento nei riguardi del popolo napo­letano: il palazzo reale, le tenute di caccia di sua maestà Ferdinando, mille ettari appartenenti all'Ordine di Malta, cinquecento ettari di giardino appartenenti all'ordine di Costantino, tutti i beni dei monasteri, giardini, campi, frut­teti, boschi, prati, comprese le ricchezze in ori e in argenti, quadri antichi e statue pregiate... i feudi allodiali, tutti, le riserve dei Banchi, la fabbrica di porcellane di Capodimonte, i reperti archeologia di Pompei ed Ercolano... Da oggi 22 piovoso dell'anno 1799 qualsiasi cittadino metta i piedi su cedeste proprietà francesi, sarà multato di cenni ducati... nel caso sia nullatenente, prenderà da due a sette mesi di prigione.

Arriva Michele 'o pazzo e improvvisa su un palchetto un comizio.

MICHELE ‘O PAZZO.  Il cardinale Rufo coi suoi fedeli, cani, vagabondi, gente affamata che vuole mangiarsi Napoli, viene verso la città... noi li dobbiamo fermare... napole­tani, se siamo forti, se siamo uomini, ve lo dice Michele lo pazzo li fermeremo... la nostra rivoluzione, la rivolu­zione del popolo si deve difendere, la repubblica ce la dobbiamo tenere coi denti... gli uomini del cardinale com­battono per la pancia del re... noi combattiamo per la no­stra pancia... il nuovo governo dimostrò la sua origine po­polare levando la gabella dalla farina.  Fra poco saranno tolti tutti i privilegi dei nobili, sarà fatta una legge contro i diritti feudali... viva la libertà!

VOCI.  Ma quale libertà Michele qua a libertà che canuscimmo è quella di morire e famme...

MICHELE.    La libertà dalle prepotenze e dalle tasse regie... Lo sapete quanti popolani stavano chiusi in galera sotto il re per debiti?

VOCE.  Ma quale libertà che qua stiamo a pagare le tasse pure sulle pulci che ci portiamo addosso... tante pulci, tanti carlini.

MICHELE.  Co le tasse i reali si facevano i gioielli e com­pravano case, terreni, ricchezze... co le tasse il nuovo go­verno popolare sta costruendo scuole, ospedali, case per tutti...

VOCE.  Ma nel governo chi ci sta? i giacobini... i giacobini sono miscredenti, si accoppiano senza matrimonio...

MICHELE.  Chi è meglio, il re che se ne scappò in Sicilia ripulendo le casse dello stato o i giacobini che patirono la fame con noi e la galera, morirono per l'idea, combat­terono contro i Borboni, presero Sant'Elmo e ora danno la terra ai contadini?  La repubblica è cosa nostra e ce la facciamo noi, ce la difendiamo noi...

VOCE.  Ce la facciamo noi per dare da mangiare ai francesi.

MICHELE I francesi se ne andranno... ora abbiamo biso­gno di loro contro gli inglesi... la repubblica è appena nata e ha poche forze... ma poi se ne andranno e noi sa­remo i padroni di casa nostra; solo noi, noi...

VOCE.  Ha ragione Michele 'o pazzo... la repubblica è una cosa nostra, va difesa... viva la repubblica napoletana, viva il governo provvisorio, viva i diritti del popolo!

Su un altro sgabello Fradiavolo arringa il popolo in senso opposto.

FRADIAVOLO.  Entrate nelle case, tappatevi dentro, nascon­dete le vostre mogli... fra poco arrivano i Borboni e vi fanno tutti a pezzi... i francesi non vi difenderanno... i francesi... i francesi che sono? dei damerini, dei ballerini, dei filosofi  galanti... non sanno niente i francesi della guerra... sono buoni solo a fare pranzi di gala a vo­stre spese...

VOCE.  Fradiavolo, il cardinale Zurlo ti scomunicò pubbli­camente, tornatene in campagna!

FRADIAVOLO.  Il cardinale Zurlo mi scomunicò, e il cardinale Rufo mi fece capitano... il re mi chiama amico...

VOCE. Non lo vogliamo il tuo re che appena ebbe il fuoco al culo se ne scappò con le casseruole!

FRADIAVOLO. Li giacubini... coi capelli corti... li giacubini coi soldi di papà che fanno la rivoluzione... e voi ci cre­dete ai giacubini? ieri dentro le carrozze e oggi con la spada in mano?... noi li impiccheremo tutti e col loro sangue ci faremo le salsicce.

VOCI.  Ha ragione Fradiavolo.  Qui siamo incastrati... fini­remo tutti bruciati... viva il re, viva i Borboni, viva il cardinale Rufo, viva il papa!

Una donna corre urlando.

PRIMA DONNA. Gli ingresi, gli ingresi!

SECONDA DONNA. Gesù mio, e dove?

PRIMA DONNA. Fermarono le navi a Posillipo.  Lì stanno ma dicono che domani sbarcano e ci tagliano la testa a tutte quante...

SECONDA DONNA.      I francesi mò li strappassano da parte a parte con la bombarda... coi fucili...

PRIMA DONNA.  Gli ingresi invasero Procida e Ischia.

SECONDA DONNA.      Lo sapete a quanto è andato il pane? Otto carlini il chilo.  Otto carlini il chilo.

PRIMA DONNA.  Mio marito sta nell'esercito repubblicano, lo sapete da quanto è che non prende la paga? quattro mesi.

SECONDA DONNA. Gli ingresi mò ci accidono a tutti quanti...

PRIMA DONNA. Si ammazzassero coi francesi... si ammazzassero fra di loro.

SECONDA DONNA. Ingresi di qua, francesi di là, e tu sii libbera solo di scegliere da chi ti vuoi fare accidere.

PRIMA DONNA. Maronna e Posillipo aiutaci!

SECONDA DONNA. Maronna e Procida aiutaci.

Le due donne scappano via.  Su uno sgabello il cardinale Rufo inveisce contro Zurlo.

RUFO. Io ti scomunico cardinale Zurlo, in nome del papa, come nemico della chiesa e amico dei giacobini.  Ti di­chiaro colpevole di alto tradimento.  Ne risponderai da­vanti al tuo re.

Da un'altra parte Zurlo risponde.

ZURLO.  Io ti scomunico cardinale Rufo, amico del re e. dei potenti, nemico del popolo.  Saranno i tribunali popo­lari a giudicarti e condannarti.

RUFO.  La chiesa chiede ubbidienza e tu ti metti con la plebaglia e con i miscredenti, contro la parola del pontefice. La chiesa ti chiede sottomissione e tu alzi la testa come una serpe maliziosa.

ZURLO. Cristo ti chiede amore e perdono e tu porti morte e vendetta.  Cristo ti chiede povertà e tu, tutto vestito di ori, sei al soldo del re e dei nobili.  Cristo ti chiede pace e tu porti guerra e morte.

RUFO. Sarai punito, cardinale Zurlo, giacobino e animi­sta, adoratore della dea nuda, la dea Ragione ... sarai giu­dicato dal tribunale del re e impiccato in piazza davanti a tutti.

ZURLO.  Tu sarai giudicato dal tribunale di Dio e brucerai nelle fiamme dell'inferno per l'eternità!

TAMBURINO. Da oggi il cardinale Rufo è  nominato per volere del papa e del re vicario del regno.  Egli avrà la fa­coltà di radunare un esercito per difendere la fede mi­nacciata dai. giacobini atei e traditori.  Tutti i cittadini fe­deli al re e devoti a Dio possono iscriversi all'esercito che sarà chiamato Santa Fede.  Come segno distintivo avranno la coccarda rossa dei Borboni e una croce bianca sul cappello.  Tutti quelli che si iscrivono godranno di duecento anni di indulgenze dopo morti e sei anni di esen­zione dalle tasse da vivi... viva il re, viva il papa!

Buio sulla strada, Luce sulla cella.  Caterina è sola. Rintra Nora.

NORA. Non ti mandarono a casa? 

CATERINA. - Non vi accisero ?

NORA. Vogliono sapere, sapere...

CATERINA. Nu poco e latte? ...

NORA.      E’ stato qui il guardiano?

CATERINA. Mi baciò il petto.

NORA (bevendo).  Che sete!  Mi sembra un anno che non bevo... qualche giorno fa l'avrei rifiutato questo latte... è grave Caterina, comincio a ragionare come una morta. 

CATERINA. I morti non bevono.

NORA.  Perdo il senso della morale

CATERINA.     E’ la fame...

NORA.   E’ caldo che non si respira come essere dentro la tomba... manca l'aria...

CATERINA.     Ve la volete fà na partita a carte?

NORA.   Un sorbetto, pensa Caterina, un sorbetto al gelsomino... ne mangiai uno anni fa, alla biblioteca della re­gina.  Stavo leggendo Bayle, mi ero fermata su una frase: "I fondamenti stessi del dubbio sono dubbi: dobbiamo perciò dubitare se si debba dubitare" ... la porta si aprì silenziosa e una bambina, avrà avuto dieci anni, mi pre­sentò un piattino d'argento: "la reggína vi mand questo..".

CATERINA.    O vedite a reggina vi manda i sorbetti e voi la volete accidere manco nu poco e gratitudine...

NORA.  Si scioglieva in bocca quella piccola grazia di neve, quella delicatezza profumata... ecco ora darei un'ora della mia preziosissima vita per quel sorbetto al gelsomino...

CATERINA.  Ditemi ancora qualcosa di mia madre... me la sognai stanotte che mi diceva: sei racchia, sei scema, hai da murì...

NORA.  Era bella, te l'ho detto.. aveva occhi scaltri e fian­chi larghi, sensuali, la voce roca, non affabile ma suadente... capisco che mio marito se ne invaghì ... non caì­pisco perché voleva amarla con me presente... non chie­devo che andarmene.

CATERINA. E perché non ve ne andaste?

NORA.  Senza il suo permesso non potevo, per legge... an­che dopo che si mangiò tutti i miei soldi e che mi fece abortire con le botte che io lo denunciai, si presentò in processo con tutti i testimoni contro di me e per poco non fui condannata...

CATERINA. Troppi libri, troppi libri,  lo diceva pure mia madre, troppi libri donna Lionora, una donna che legge sempre non sta bene... forse che è più felice coi libri? forse che è più rispettata?

NORA.    Se non avessi avuto i libri mi sarei uccisa.  Erano la mia sola compagnia, la mia sola consolazione...

CATERINA.     Ve la volete fà na partita a carte?

NORA.    Facciamola Caterina, ci farà passare il tempo.

CATERINA.  Ogni punto un carlino.

NORA.  Ma io non ho più niente...

CATERINA.  Avete lo scialle...

NORA (giocando distrattamente).  I francesi erano venuti a portare giustizia e libertà.  Ma si misero a mangiare.  Il po­polo li odiò.  Noi chiedemmo l'abolizione di tutti i privi­legi feudali.  Loro dissero di no.  Chiedemmo una nuova costituzione... e MacDonald emanò un editto che aumen­tava anziché diminuire le imposte... Il governo provvi­sorio si dimise per protesta.  MacDonald non rispose... ma a questo punto tutto si guastò... il Direttorio richia­mò le truppe proprio quando bisognava affrontare l'eser­cito di Rufo e partirono lasciandoci nelle peste... Rimase solo il generale Mejan a guardia di Sant'Elmo con l'ordine di non cedere mai, a nessun costo.

CATERINA.  Ho vinto... datemi lo scialle.

Buio sulla cella.  Luce fuori.  Due giovani vengono portati legati alla fucilazione.  Nora con la mantellina buttata sulle spalle corre in tipografia.

NORA.  Facciamo presto, facciamo presto, questa notizia deve uscire per domattina.

TIPOGRAFO.  Donna Eleonora, voi credete che le macchine sono fulmini.  La macchina tipografica é come un mulo: cammina, arretra, inciampa, ricammina, si riposa... ma piano, sempre piano.

NORA.   'Il massacro sventato"... vi piace come titolo?

TIPOGRAFO.  Non suona bene.

NORA.  "Grande complotto sanfedista contro la repubbli­ca "... Così?

TIPOGRAFO.  Meglio.

NORA.  Allora, scrivete: Il Monitore, addì 22 pratile.  Una nostra cittadina, Luisa Molina di San Felice, svelò venerdì sera al governo la cospirazione di pochi non più scellerati che mentecatti i quali, fidando nella presenza della squa­dra inglese o di concerto con essa, intendevano nel sa­bato massacrare il governo a buoni patrioti e tentare una controrivoluzione.

TIPOGRAFO.  Ma o sapete che così la Molina passa nu guaio... qualcuno l'accide...

NORA.  Ma no, ma no, sarà venerata come una eroina! ... Continuate: pur riconoscendo la gravità del fatto noi raccomandiamo clemenza, dimostriamo che il tribunale democratico sa comportarsi equamente, senza infierire su dei giovani esaltati.  Che siano chiusi in galera, ma non uccisi... non gettiamo nel cuore della nostra plebe il serpe del dispetto e della vendetta...

Mentre lei legge i due vengono mess contro il muro e fucilati. Cascano morti.  Un soldato canta.

SOLDATO. Grani quattro, tornesi otto, Ferdinando è vivo e non è morto. Grani venti e tornesi quaranta,  alla venuta mia sarà lo pianto.  Sono venuti gli inglesi per azzannare i francesi. Napoli e brava gente, combattete allegramente. Dentro la Francia dobbiamo entrare, dentro la Francia dobbiamo entrare...

Michele 'o pazzo brucia un ritratto del re.

MICHELE. Questo è il male di Napoli!  Dal grande male nascono i piccoli mali: il cardinale Rufo si fece la tonaca, con la pelle dei prigionieri uccisi... Fradiavolo si in­grossò la pancia col sangue di donne e bambini... questo è il male di Napoli... abbascio le sanguisughe... abbascio i napoletani svegliatevi, liberiamoci di questi vam­piri...

VOCI. I francesi, dove sono i francesi che ci mangiarono tinti soldi per difenderci dai Borboni?

MICHELE. I francesi se ne sono andati a casa... ma promi­sero di mandare una flotta dalla Spagna per difenderci... il generale Mejan è rimasto a guardia di Sant'Elmo e di­fenderà la città fínché arriva la flotta.

VOCI.  I francesi sò partiti e frun e frun e frun... gli inglesi sò arrivati e frun e frun e frun... povera Napule c'a da fà? si gratta a panza e tratàtàtà...

RUFO . Nola è nostra... domani tocca a Napoli... scrivete mprescia mprescia Gaetano: “Caro sovrano mio, oggi 10 luglio,  sono entrato a Nola coi miei uomini.  Il sole splende. Dio mi guida.  Gli angeli mi aprono le strada. Il ca­pitano Fradiavolo si trova in avanscoperta a Capodichino... L'accoglienza popolare è buona.  Conto di entrare a Na­poli il 13, giorno di Sant'Antonio - doppo che San Gen­naro ci tradì ho scelto per patrono questo altro santo pu­rissimo monarchico - fra pochi giorni potrete rimettere i piedi nel vostro palazzo.  Il governo provvisorio e i patrioti si sono chiusi in Sant'Elmo e mandano a dire: o libertà o morte.  Ma il generale francese Mejan non ha nessuna intenzione di morire... mi mandò a dire in gran segreto che è disposto a trattare... non tirerà un colpo... e appena in città faremo piazza pulita dei vostri nemici...

Gli viene portata davanti una donna incatenata.

RUFO.     Levatevi la parrucca gentile signora!

La donna non si muove.

RUFO (le leva la parrucca con un colpo di baionetta.  La don­na porta i capelli corti alla rivoluzionaria).  Questi ca­pelli corti che stanno a significare? tifo, paratifo, zecche, pidocchi, oppure... Uguaglianza e Libertà?

DONNA. Sono affari che non vi riguardano

RUFO.  Sgozzatela, e così fate con tutti i giacobini che circolano per strada! (I gendarmi prendono la donna e la portano via)

Buio sulla strada.  Luce sulla cella.

NORA.  Così ammazzarono migliaia di patrioti, di popolani, di borghesi, donne e ragazzi... la città per giorni e giorni fu uno scannatoio... Noi prigionieri politici stavamo sti­pati sulle navi di Nelson, aspettando di essere mandati in esilio come ci avevano promesso.  Ma il re ritirò le clau­sole della capitolazione... si rimangiò le promesse fatte.

CATERINA.  Mò stavate in Francia...

NORA.   “Non respiro che rabbia e veleno / d'affanno quest’alma non geme / ma delira, ma smania, ma freme / tutta immersa nel proprio furor”  ... il mio maestro Metastasio... chissà se avrà un pensiero per me...

CATERINA.    L'avete mai sentito cantare Fradiavolo?

NORA.    Dicono che abbia ammazzato quattrocento francesi e cinquanta patrioti con le sue mani...

CATERINA.  Quello Fradiavolo non gli piace il vino.  Quan­do beve vino, lo sputa.  L'acqua gli fa venire il mal di denti.  Tiene delle belle tazze di porcellana bianca.  Quando prende un prigioniero gli taglia la gola, gli mette sotto la caraffa e raccoglie il sangue... poi lo versa in quelle bel­le tazze luccicanti... hmm mogliera mia questa sì che è una bevanda squisitissima! gli piace soprattutto il sangue de li giacubini. Hmm mogliera mia questo sangue non sa di caprone e di cipolla come quello delli popolani, questo sangue sa di fragola e mentuccia... che delizia!

NORA.  Superstizioni Caterina, superstizioni... Chissà come stanno gli altri, Ciaia, Serra, quelli che furono arrestati con me...

CATERINA.  A una giacubina lo sapete che ci fece? era na donna bella, bianchissima... isso ci fece un buco col col­tello nel fianco, poi ci impicciava la bocca e beveva.  Quan­do era sazio chiudeva il buco con la sputazza e il giorno appresso ricominciava...

NORA.  La tua fantasia galoppa, Caterina, galoppa...

CATERINA.  Perché non ci credete?

NORA. La tua fantasia è bella assaie... ma non si fa politica con la fantasia.

CATERINA. Io nun saccio e politica.

NORA. Perché non ci hai mai pensato... sai leggere tu?

CATERINA . No.

NORA. E’  una bella cosa... te lo insegno io... invece di giocare a carte, che ne dici?

CATERINA. A leggere? veramente?

NORA. Lo sai cos'è la rivoluzione francese?

CATERINA.  Che sacc’io!

NORA.  Tutto cominciò da lì, dalle troppe ingiustizie che c'erano: i nobili prendevano il novanta per cento dei pro­dotti della terra stando a casa a fare niente; il clero pren­deva la decima sui prodotti, la tassa sui ponti, le strade, i prati... i contadini che lavoravano quindici ore al giorno vivevano come bestie...

CATERINA. La decima che è?

NORA.    Una  volta i preti facevano opere  utili alla comunità; tenevano collegi, ospizi, scuole, ospedali e la decima la prendevano per pagarsi questi servizi.  Poi invece questi servizi passarono allo stato ma loro continuavano a pren­dere la decima... Il re manteneva migliaia di nobili a corte con alti stipendi... Allora il popolo che non ne po­teva più, d'accordo con alcuni patrioti rivoluzionari...

Si sente un rumore di chiavi.  Entrano i gendarmi.

CATERINA.  Che vulite?

GENDARME (leggendo). La condannata Eleonora De Fon­seca Pimentel deve essere condotta oggi al Castello del Carmine e consegnata in mano ai Bianchi della Giustizia per la confessione e la comunione.  Domattina alle sei l'esecuzione.

CATERINA.  Tornate un altro giorno.  Qua stiamo a fare una cosa importante...

I gendarmi prendono Nora e la legano.

CATERINA.  Brutto pecorone, giallone, panzone, schifoso e merda!

GENDARME.  Se dici n'ata parola ti metto in catene!

CATERINA.  Prima quando vi chiamavo non veniste mai... ora che dobbiamo lavorare insieme Nora ed io... lasciatela qua!

Il gendarme fa per picchiarla.

NORA.    Lasciatela stare!

CATERINA.  Di qui non la portate, di qui non la portate! (Fa per sbarrare la porta.  I gendarmi la scansano brutal­mente e portano via Eleonora)

NORA.  Addio Caterina, grazie della compagnia che mi hai tenuto!

CATERINA (sputando addosso ai gendarmi).  Puh schifosi, bastardi puh... io ci sputo, sul vostro re, sul vostro car­dinale, io ci sputo, ci sputo, ci sputo... puh, puh, puh, puh!

(I gendarmi escono portandosi via Eleonora)

Buio sulla scena.  Luce su re e regina.

CAROLINA, Il cardinale Rufo chiede che domani  mattina il re e la regina assistano alla esecuzione dei condannati! ...

FERDINANDO.  Io dalla nave non scendo!

CAROLINA.     E’, la prima esecuzione collettiva ordinata da te.

FERDINANDO.  Non scendo.

CAROLINA.  Te l'immagini la faccia di don Giulio Colonna... e dei vescovo di Vico Equense... vi volevano decapitare e mo’ se la pigliano in saccoccia.

FERD1NANDO.  Basta che sono morti.  Non voglio vederli. Poi la notte non dormo.

CAROLINA.  L'illustre musicista Domenico Cimarosa che compose tante belle musiche per noi... dovrà ingoiare la sua Carmagnola napoletana!

FERDINANDO. I ribelli devono essere puniti!

CAROLINA.  E donna Eleonora Pimentel, la portoghese bi­bliotecaria di corte passata ai ribelli... tu non l'hai mai potuta soffrire!

FERDINANDO.  Non scendo!

CAROLINA.  Ci sarà gran folla e acclameranno il cardinale.  Volete che diventi lui l'uomo più prestigioso del regno?

FFRDINANDO.  Il re è re.

CAROLINA. Ma se fa come lo struzzo finirà spodestato...

FERDINANDO. Io dalla nave non scendo...

CAROLINA.  Sei vile!

FERDINANDO.  Vacci tu... io ho dolori dappertutto... soffro di insonnia... vacci tu.

CAROLINA.  Sì io vado e che gli racconto?... u re tiene a capa malata? e quelli sai che rispondono? tagliamogliela a capa se è malata...

FERDINANDO.  Io dalla nave non scendo.  Puoi dire quello che vuoi, del tuo parere non m’importa... io sono il re e non scendo.

Buio sui regnanti.  Luce su una cella dove c'è Nora sola coi capelli tagliati corti vestita di nero.  Vicino a lei un prete.

PRETI.  Sono venuto per la confessione, donna Leonora.

NORA.  Non ho niente da confessare.

PRETE.  State per morire.  Non volete l'estrema unzione? Dio perdona e sa capire...

NORA.    Fatemi un piacere padre, chiedete per me una tazzina di caffè... ma ben ristretta e senza zucchero.

PRETE. Non avete paura?

NORA.   Una tazzina e caffè, padre.

Il prete esce, Nora si lega la gonna alle ginocchia.  Il prete torna col caffè.  Nora lo beve.

NORA.  Sono, pronta.  Andiamo.

Escono, Fuori c'è festa.  Palloni, venditori di bruscolini.  Bu­rattinai.  Zucchero filato.  Musica. 1 condannati passano se­guiti da un gendarme.  Cantano con aria ardita.

CONDANNATI.  Bella Italia, oggi ti desta

 italiani, all'armi all'armi

altra sorte ormai non resta

che di vivere o morire!

Il boia sul palco prepara la forca.  Si sentono i tamburi, le voci della folla.  La strada è rimasta deserta.  Passano due che si baciano.  Altri due mangiano e ridono.  Un uomo con la chitarra canta.

UOMO.  A signora donna Lionora / che cantava n'coppa o tiatro /  mo’ balla miezzo o mercato / viva viva papa santo / ch'a mannato li cannuncini /per scaccià li giacubini, / viva a forca e; mastro Donato /  Sant'Antonio sia, priato!

Sul fondo si vedono le ombre dei giacobini impiccati che ciondolano.  Intanto la festa continua.  I fuochi di artificio illuminano il cielo.  La gente balla e canta. (sipario)