Due attori in cerca di personaggi

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Due autori in cerca di personaggi

Due autori in cerca di personaggi

(senza offesa per Pirandello)

di Silvano Baracco e Edgardo Ivano Rossi

La scena si apre, si prevede un palcoscenico diviso in due da un telone bianco (che dovrà ricordare il muro di una stanza), il telone verrà sistemato a metà del palcoscenico, in modo che dietro resti uno spazio libero in cui, di volta in volta (mentre davanti si recita), saranno allestite le scene successive.

I scena: Personaggi, REI = R e VALLE = V, una comparsa = C

La scena è molto scarna, l’arredamento ridotto ad una sedia, sullo sfondo si possono disegnare dei mobili vecchi e rotti

R:      Sentimi bene cugino, idee ne abbiamo, talento… bhe… forse, ma un po’, no dico un poco ne avremo. Quello che ci manca è la volontà, correggimi se sbaglio.

V:      Ma io penso che…

R:      (interrompendolo) zitto un attimo, bisogna mettersi d’impegno e tirare fuori qualche idea, idee ne hai? (interrompendosi e guardando Valle, che prova a rispondere senza riuscirci) Io un po’ ne ho.

V:      Si, ne ho, ma… (detto svogliatamente, quasi strascicando le parole)

R:      Bene e allora diamoci da fare. Prendi foglio e penna e scrivi.

V:      Io?! (detto quasi con sorpresa) e perché non scrivi tu?

R:      Un segretario, un segretario ci vorrebbe, o una segretaria, una dattilografa. In fondo anche due che scrivono hanno diritto al riposo (breve pausa, poi con enfasi), metti che fossimo ciechi?

V:      Ma che dici? Perché poi dovremmo essere ciechi?

R:      No dico, se uno scrittore è cieco ha una segretaria, se no come fa a scrivere, hai presente Omero? (proprio su questa frase si sentirà bussare due volte)

V:      Chi è? (rivolto verso la direzione di chi ha bussato)

R:      La nostra vicina di casa è! (con voce ironica)

V:      E che vuole la nostra vicina di casa? A quest’ora poi (guarda l’orologio e sbotta), accidenti è fermo, ma che ora è?

R:      E chi ha mai visto un orologio? Ma cosa cavolo c’entra la nostra vicina di casa?

V:      E io che ne so? L’hai detto tu per primo.

R:      (muovendosi con enfasi) Il mio era sarcasmo. Capisco essere ignoranti, ma tu esageri, ho detto Omero e tu hai detto, chi è?

V:      (con tono indignato) Il mio “chi è?” era rivolto non a te, ma a chi ha bussato e tu immerso nelle tue parole non hai sentito niente (lunga pausa, poi con tono offeso, quasi inglese). Ignorante sono secondo lui, ignorante! (altra breve pausa, poi con tono di dubbio). Omero, ma chi era poi, mah? (tutte le parole vanno sottolineati da sapienti gesti)

R:      Ma possibile che…(muovendo le mani, per meglio sottolineare la sua esasperazione)

C:      (da fuori palcoscenico) Ehi, di casa! Ci siete o siete morti di fame?

V:      Sì, siamo già freddi!

C:      (sempre da fuori) Anch’io, con questo gelo. Allora mi fate entrare o devo diventare un ghiacciolo alla menta?

V:      Perché poi alla menta?

C:      (entrando in scena) Ti va bene all’arancio?

V:      O per me…

C:      Dite un po’ voi due, vi interessate ancora di teatro?

V e R insieme: Sì! Perché?

C:      Mah! Non so nemmeno io perché vi faccio questo piacere, forse perché mi fate pena.

R:      Siamo in via di complimenti eh?

C:      Insomma, la RAI ha indetto un concorso o qualcosa di simile per chi vorrebbe mandare una commedia che poi ci danno dei soldi o male che vada la fanno vedere per televisione. (frase pronunciata tutta d’un fiato)

R:      La sintassi, la sintassi.

C:      Cosa l’è? Una nuova trasmissione? Dove la danno? Con tutti ’sti canali… è su canale 5 eh?

R:      (indicando Ce V) Ma siete parenti voi due?

C:      No, affatto. (con V che guarda sorpreso)

R:      E no, in effetti.

V:      Cos’è un insulto?

R:      No macché, era un’idea che mi è nata così, in fondo gli ignoranti non sono tutti parenti.

V:      Questo è troppo, disfo la società. (con tono arrabbiato)

R:      (sornione e con voce pacata) Non dimenticare che siamo cugini.

V:      Stai tranquillo non posso dimenticarlo, le gioie passano, le disgrazie restano.

R:      (a sua volta arrabbiato) Questo è troppo! (poi rivolgendosi a C, che assiste incuriosita al bisticcio) e tu con le tue stupidaggini sgrammaticate di concorsi RAI (s’interrompe di colpo)

V:      (con tono sorpreso, realizzando in quel momento) Hai… detto… RAI? Concorso? Commedia?

C:      Sì, comico-brillante.

R:      (rivolto a V) Ha detto proprio così?

V:      (annuendo)   Ha detto proprio così!

R:      Ma allora, allora… è la grande occasione. È la grande occasione cugino.

V:      Sì possiamo tentare. Io metterò le mie modeste doti, il tuo genio le completerà.

R:      Mano, ma no. Sei tu il genio. Ma piuttosto, festeggiamo, stappiamo una bottiglia, brindiamo alla buona sorte. Cosa abbiamo in cantina?

V:      Acqua.

R:      (perdendo un po’ d’entusiasmo) Beh, è già qualcosa. Grazie cara signora, grazie.

V:      (uscendo di scena e poi rientrando con una bottiglia e tre bicchieri di carta) Ecco la bottiglia.

R:      (pieni d’entusiasmo, accenna a cantare, con voce stonata) Libiam, sì libiam, lieti calici in alto leviamo…

V:      (con fare disgustato) Per carità, lascia perdere.

R:      (sempre entusiasta e un poco commosso) Sì, è meglio, eh sì, avrei voluto fare il tenore, il temperamento ce l’ho, la voce pure, è la musica che mi frega.

V:      ma festeggiamo, per la miseria, beva anche lei, cioè anche tu (rivolto a C a cui porge un bicchiere, mentre sta riempendone un altro versando l’acqua ance per terra) è pura acqua sai, è dell’acquedotto municipale, è doc. (quindi posata la bottiglia si dirige verso Rei e lo abbraccia, quindi i due si muovono e saltellano ridendo).

C:      No, è meglio di no, devo andare, ho un marito che mi aspetta a casa (s’interrompe, emette un sospiro) purtroppo. (s’avvia verso l’uscita, poi si ferma di colpo, Rei e Valle stanno ancora ridendo e festeggiando, poi si volta) Ma dite un po’… è vero che gli artisti sono tutti un po’ squinternati nella testa… voglio dire, ecco, un po’ matti, tocchi insomma?

V:      (sempre con volto allegro) Mah, così dicono.

C:      (pronunciando le parole con convinzione) Siete artisti, grandi artisti. (quindi esce rapidamente di scena)

R:      (a V) Ma questa frase cos’era un complimento o…

V:      Diciamo che era un complimento e chiudiamola lì

R:      Sì ma basta con tutto questo festeggiare, o finisce che l’acqua ci dà alla testa. Diamoci piuttosto da fare, bisogna scrivere alla RAI, conosco queste procedure, dobbiamo farci spedire una copia del bando, chiedere spiegazioni… e (fermandosi dubbioso), ma i soldi per la busta ci sono, e per il francobollo?

V:      Sì ci sono. Solo la biro è a fine inchiostro e i soldi per comperarne un’altra non li abbiamo. Bisogna risparmiare sulle parole. E di un po’ chi la scrive la commedia?

R:      Ti dirò… (quasi facendosi coraggio)mi è venuta una gran voglia di scrivere.

V:      Anche a me. Dunque niente segretario. Niente Omero e la sua Iliade.

R:      (Quasi sorpreso) Ah ma allora… questa me la paghi, ma dopo il concorso, se ci va bene.

V:      Lasciamo stare le ipotesi leopardiane per favore.

R:      Si è meglio, meglio non pensarci… E poi ti dirò pur di poter avere un pubblico disposto ad ascoltarmi farei anche una trasmissione gratis, mi pagherei perfino le spese di viaggio.

V:      Anch’io, essere in televisione o alla radio o avere un teatro significherebbe aprire un dialogo con il pubblico, farlo ridere, farlo pensare e poi a me recitare o far recitare piace, e poi siamo anche bravi…

R:      Va beh, al lavoro. Il foglio ce lo abbiamo, la busta pure, dammi la biro che scrivo.

V:      (si fruga in tasca, tira fuori una biro e la porge a Rei) Mi raccomando, fa conto che ogni parola valga 50.000 lire.

R:      Sì così scrivo una sillaba e poi loro che ci capiscono? Facciamo 500 lire intestazione e firme escluse. (si appoggia ad una sedia, scrive, quindi si alza, sempre osservato da Valle) Fatto, io mi sento sano e tu.

V:      (sorpreso) Sì certo, ma…

R:      Eh bisogna essere sicuri di essere sani, ammalarsi adesso sarebbe la fine (mentre parla si avvicina a V e chinando lievemente la testa), fa vedere la lingua (Valle ancora sorpreso esegue e Rei, tira fuori busta e francobollo e passa quest’ultimo sulla lingua di Valle), là, ecco fatto.

V:      (Sorpreso, arretra facendo boccacce) Ma si può sapere…?

R:      Da quando lo Stato ha cambiato la colla, i francobolli non hanno più quel buon sapore che li contraddistingueva, io che sono debole di stomaco, quando posso evitare.

V:      Sì, ho capito, la busta la lecco io o, il suo gusto è di tuo gradimento.

R:      No, la busta la lecco (lo fa) io, là, Bene chi la imbuca ora.

V:      Io, ho giusto voglia di fare quattro passi.

R:      Bene. (Porge la busta a V) Così io mi appisolo un po’, ho dormito poco stanotte.

V:      Andrai a letto?

R:      No sulla sedia, non si sta male.

V:      (Uscendo) Immagino. E poi si lamenta che gli viene male alla schiena (esce).

Rei, una volta rimasto solo, si siede sulla sedia, chiude gli occhi, china il capo e s’addormenta, dopo pochi secondi si mette a mormorare frasi sconnesse, si agita, borbotta tra i denti qualcosa, infine cade per terra e si sveglia, in quell’attimo Valle rientra.

V:      Ho spedito la busta e… (si blocca e guarda un po’ sconcertato rei per terra) Che hai non ti senti bene?

R:      No ho fatto un brutto sogno (mentre parla si alza), sai com’è avevo paura che la lettera andasse perduta e allora…

V:      Ma cos’è questo pessimismo?

R:      Io lo chiamerei sfiducia nelle poste, siamo pur sempre in Italia.

V:      In effetti tutti i torti. Ma addirittura produrre sogni a comando, di giorno poi.

R:      E che sogno poi, un vero incubo. Prima ho visto un postino mangiare la lettera, poi la vomitava ad un indirizzo sbagliato (tutto sottolineato da un’accentuata gestualità), poi sono comparsi altri sceneggiatori gelosi che la distruggevano e ridevano, Dio come ridevano (breve pausa, lo sguardo dovrebbe essere stravolto) come dei matti. Poi la lettera ricompariva ma veniva buttata in una stanza dove giacevano milioni di lettere tra cui quella che Adamo scrisse ad Eva…

V:      E cosa c’era scritto?

R:      Di non mangiare la mela, che c’era un tale molto in alto che non voleva.

V:      Ora capisco perché è successo quel che è successo, Eva non sapeva. Però questi disservizi che schifo che fanno (allargando le braccia), è una cosa impossibile.

R:      Sì ma non ho finito, c’erano poi degli attori che una volta letta la commedia ci minacciavano gridando: “Ma chi sono questi sconosciuti” e in fine sono comparsi Pippo Baudo e Maurizio Costanzo.

V:      (con faccia lievemente spaventata) Dio mio che incubo.

R:      Anche loro volevano distruggere la lettera. A quel punto ho avuto uno scatto e sono caduto giù dalla sedia e mi sono svegliato.

V:      Certo che un po’ di psicoanalisi non guasterebbe, hai la psiche ben incasinata.

R:      E cosa te lo fa pensare?

V:      Vedi un po’ tu. Comunque vediamo di tirare fuori qualche idea.

R:      Sì, direi di prendere qualche personaggio qua e là.

V:      Ma guarda che vogliono una commedia inedita.

R:      Perché credi che la gente si ricordi le cose di due o tre anni fa?

V:      Certo.

R:      E allora spiegami il mistero delle repliche.

V:      Beh, qualcuno ricorda.

R:      Sì Pico della Mirandola e parenti, ma se è un continuo proporre le stesse cose, senza parlare dei remake. Ma piuttosto inizia a scrivere, che poi ti do il cambio.

V:      D’Apporto, cioè d’accordo. Lo vedi mi fai confondere. (si siede, tira fuori un quaderno, l’appoggia sull’altra sedia, poi inizia a concentrarsi)

SILENZIO, Rei intanto guarda Valle, sbuffa un paio di volte poi lo riguarda, infine

R:      Allora?

V:      Non mi viene.

R:      Su.

V:      Non mi viene proprio.

R:      (con tono spazientito) Vuoi un lassativo?

V:      (ancora soprappensiero) Oh, sì grazie… (si blocca di colpo e cambiando tono) ma che me ne faccio di un lassativo?

R:      Parlavi come uno stitico.

V:      No, è che non mi vengono idee, cioè idee ne ho, ma… buttarle giù… sai. Comincia tu.

R:      Il fatto è che io ho il tuo stesso problema. Ho paura che la commedia venga che so, troppo lunga, troppo corta, troppo politica, troppo grottesca…

V:      Troppo giusta.

R:      Troppo giusta?

V:      In Italia le cose giuste danno fastidio, guardati attorno le cose che restano sono solo quelle sbagliate.

R:      Sì, sì, va bene. Senti prima di scrivere proviamo a pensare a qualche soggetto o scena, poi lo sviluppiamo ed ecco fatto.

V:      Sì ne ho giusto una metti che… (a questo punto si spengono le luci, si apre il sipario bianco, Rei e Valle escono rapidamente portando via le sedie, comparirà una scena sobriamente arredata, con due sedie e un uomo in piedi.

II Scena: personaggi – B = Carlo Borsanti, A = Agente assicurativo, C = commissario L’agente avrà in mano una cartellina con dei fogli ed una penna.

Da fuori scena si sente il suono di un campanello

B:      Chi è?

A:      (Entrando in scena) Immagino che lei sia il signor Carlo Borsanti?

B:      E da che cosa lo ha intuito dal campanello?

A:      No, solo appena l’ho guardato mi sono detto “questo ha la faccia di uno che si chiama Borsanti, Carlo Borsanti”.

B:      Già ma che vuole? e come è entrato?

A:      Il mio nome non le direbbe niente, sono entrato perché la porta è aperta, ma se permette che mi accomodi? (e fa per muovere la gamba sinistra)

B:      No! Non muova prima la sinistra porta male.

A:      (sorridendo) Ah, ma lei è superstizioso?

B:      Perché è prevenuto contro i superstiziosi.

A:      (grattandosi il mento) No no, è che alle soglie del terzo millennio… Ma facciamo un patto. Se io non sono prevenuto contro i superstiziosi, lei non deve essere prevenuto contro gli assicuratori. Facciamo il patto? (contemporaneamente stringe la mano a B) D’accordo? Fatto. E si ricordi che rompere i patti porta disgrazia.

B:      Questa non l’avevo mai sentita, ma se lo dice lei, ma comunque, prego si accomodi e dica, dica pure.

A:      Lei è assicurato? (facendo un rapido gesto per zittire B che stava per rispondere) non dica di sì perché non è vero.

B:      Se lo sa perché me lo domanda?

A:      È la prassi. Ha parenti? Sì, dica di sì.

B:      Sì ne ho infatti.

A:      Ha un’automobile, delle proprietà? Sì.

B:      Ma insomma mi faccia rispondere da solo, io sono lì che sto per rispondere che lei subito sì, e insomma! Comunque, sì ho…

A:      (interrompendo B) Lo so, un automobile, un appartamento, questo, un prefabbricato al mare e una roulotte.

B:      È sicuro di non essere un agente del fisco?

A:      No! perché?

B:      Così. (poi quasi parlando tra sé) Ma fra gli antenati c’è per lo meno un gabelliere.

A:      Scommetto che lei ha una mezza intenzione di stipulare dei contratti d’assicurazione vero? Dica sì.

B:      (stizzito) E se dicessi no?

A:      Ma se anche lei lo dice che un’assicurazione è sempre utile. Sì lo dice.

B:      (sempre più stizzito) Io non ho detto proprio niente.

A:      Ma lo ha pensato e io le sono corso in aiuto. Sono un agente della “NORDOVEST ASSICURAZIONI”. La Nordovest assicurazioni è una nuova compagnia assicurativa da poco nata, ma operante. La Nordovest assicurazioni è un insieme di persone che vuol fare del bene alla gente e al cittadino indifeso, tutto questo è la Nordovest assicurazioni, ha già sentito nominare qualche volta la Nordovest assicurazioni.

B:      Sì, cinque volte da lei!

A:      Come vede la Nordovest assicurazioni è già nominata e conosciuta. Cinque volte l’ha sentita nominare.

B:      Sei per la precisione.

A:      Magnifico. Mi dica, lei ha mai pensato che potrebbe defungere da un momento all’altro? Anche adesso.

B:      Ehi, menagramo, civetta, iettatrice, ma con chi crede di parlare?

A:      Con uno che fra un’ora potrebbe essere morto o, per bene che gli vada, all’ospedale con prognosi riservata.

B:      E dagli. (facendo gli scongiuri)

A:      Ma scusi deve ammettere che chiunque può morire, la vita è appesa ad un filo.

B:      (con voce concitata) E muoia lei! per la miseria.

A:      Certo, ma se muoio io sono assicurato ed una cifra considerevole va ai miei parenti più stretti.

B:      Ma io non ci voglio neanche pensare.

A:      Ma ci deve pensare! Poi è notorio che quando uno stipula un’assicurazione sulla vita non muore più.

B:      Ma allora ci rimetto.

A:      A beh, se preferisce morire subito.

B:      (facendo le corna) Tié. Mi assicuro.

A:      Per quanto? Voglio dire quanto mi dà di premio?

B:      Centomila lire.

A:      Vale così poco la sua vita? facciamo un milione. Si vede che lei è un uomo d’ingegno, è un uomo importante, la sua vita vale molto più di centomila lire. Allora facciamo un milione?

B:      (quasi rassegnato) E facciamo un milione.

A:      (girando la cartellina che ha in mano) Firmi qua!

B:      Firmo qua, ma poi se ne va, chiaro? Un’assicurazione l’ho fatta e il patto si chiude qua. Ora le stacco l’assegno.

A:      D’accordo me ne vado! Me ne vado, mi accompagna alla porta? (con voce preoccupata) No fermo! Potrebbe scivolare, inciampare, cadere e rompersi qualcosa, che so la colonna vertebrale.

B:      Ma razza di iettatore, vada da sola allora, io resto qua.

A:      A parte il fatto che non ricordo dov’è la porta per uscire, io potrei rubare qualcosa, che so un soprammobile e lei non è assicurato contro i furti, poi le fa per sedersi, la sedia si rompe e lei cade a terra, io potrei rompere la porta, entra un ladro e vedendolo coricato per terra con la gamba fratturata le ruba tutto e lei non è assicurato né contro i furti né contro gli infortuni.

B:      E basta, mi assicuro, un milione per uno va bene?

A:      L’appartamento e il resto valgono solo un milione?

B:      Certo che no, sui trecento milioni, tutti i miei averi, ma non possono mica rubare l’appartamento?

A:      No, ma basta una perdita di gas e prende fuoco, io stipulerei un assicurazione sugli incendi, anche per la roulotte e il prefabbricato in legno.

B.Ma lei mi vuole rovinare, vuole farmi fare una vita terribile. (detto con voce sconvolta)

A:      No, io consigliandole di assicurarsi la prevengo contro possibili eventi negativi che…

B:      Sì, sì. Mi assicuro su tutto, su tutto, il premio lo faccia lei. (con voce agitata, quasi spaventata)

A:      Bene firmi qua e poi me ne vado da solo, senza rubare niente, ne rompere la porta, ma lei mi deve dare un anticipo e sono meglio i contanti, sa il contratto parte subito. Quanto ha in contanti? So che lei ha in casa una cassaforte.

B:      Ho sui tre milioni di lire, ma…

A:      Bene me li dia, sono in mani sicure, lei si fida di me vero? Sono anch’io un povero diavolo che deve guadagnarsi la vita girando raminga di casa in casa, a volte subendo insulti, improperi. Sapesse che vitaccia. (con voce quasi commossa).

B:      (esce un attimo di scena, ricompare con una mazzetta di soldi in mano) Sì, ma sì, ecco, ecco, a lei, ma si tolga dai piedi maledizione.

A:      (prendendo i soldi) Grazie tante. Buongiorno ci rivedremo poi per le altre rate. (esce)

B:      E adesso che faccio? Ogni luogo nasconde un insidia, in fondo sono contento di essermi assicurato e di essere stato messo in guardia contro…

Da fuori scena suona di nuovo il campanello

B:      (con voce spaventata) E adesso chi è? Non sarà un ladro, un piromane, un maniaco sanguinario, oddio, che faccio, che faccio?

C:      (entrando) Mi scusi, buongiorno dunque, mi scusi se entro così, ma era aperto.

B:      (ormai terrorizzato) Ah! Stia lontano. È armato?

C:      Certo…

B:      Assassino.

C:      Ma che assassino, è per il mio lavoro.

B:      Ladro.

C:      Macché ladro, le voglio dire una cosa poi me ne vado. Posso sedermi?

B:      (sempre terrorizzato) Io, n… non lo… lo farei, la sedia potrebbe rompersi e lei potrebbe farsi molto male.

C:      (sedendosi su quella di destra) Perché? È mal sicura?

B:      No è sicurissima, ma…

C:      E allora. Senta, sono il commissario Carlini, ci hanno segnalato da queste parti un delinquente…

B:      (di nuovo spaventato) Oddio!

C:      Stia calmo, non è un assassino, è una donna che entra nelle case con gentilezza e truffa la gente facendosi passare per agente assicurativo…

B:      Ahhh!

C:      Che ha si sente male? Dicevamo? Ah, già sì, assicurativo di un’inesistente compagnia assicurativa, la “Nordovest”, poi si fa anticipare una somma e sparisce. Non è per caso venuto da lei.

B:      (quasi piangendo) Sì, sì, e io ci sono cascato. (schiaffeggiandosi) Che bestia, che bestia, io e le mie paure.

C:      Ah è venuto, si faccia coraggio non è il primo che ci casca (poi tra sé e sé) dunque è nei paraggi, bene, bene (tira fuori il telefonino, pigia i tasti) Attenzione è in zona, stavolta la becchiamo, vi raggiungo subito. (rivolgendosi a B) Mi raccomando passi in commissariato per la denuncia.

B:      Tre milioni, capisce tre milioni, (disperato) tre milioni. Dio che bestia, (sempre schiaffeggiandosi) bestia, bestia, sono una bestia.

C:      Beh, ma sarà assicurato contro i furti, buon giorno e ancora grazie. (esce)

B:      (con la faccia sconvolta si siede sulla sedia di sinistra, che si rompe e B cade per terra e si prende una gamba tra le mani) Ahi! Ahia! Che male, maledizione! Ahi, ahia, ahiahi.

III scena: si spengono le luci e cala giù il sipario, mentre Rei e Valle tornano in scena riposizionando le sedie. Personaggi: Rei e Valle

R:      Sì, sì, non è male, ma legarla ad altre scene non è mica facile, però questo personaggio direi di non accantonarlo, scriviamo un appunto.

V:      Sì, pensiamo comunque ad altri personaggi, io la mia idea l’ho detta, hai qualche idea tu?

R:      Sì, sì, ti ricordi che ti avevo parlato di quel personaggio, lo sfaticato, volevo scriverci un romanzo tempo fa.

V:      Un romanzo autobiografico?

R:      Lascia stare i commenti superflui, adesso ti racconto una sua avventura, così lo inquadri come personaggio.

(Rei e Valle escono di scena sempre allo stesso modo, si apre il sipario bianco, la scena sarà composta da due o tre tavolini, se possibile dovrebbe ricordare un bar, in uno di questi saranno sedute tre persone, una quarta starà camminando in direzione dei tavolini con faccia depressa)

IV scena: personaggi – S = lo sfaticato, A = un amico, C e D, due avventori, N, nuovo amico

A:      (chiamandolo dal tavolino dove è seduto) Ma guarda chi si vede. Lo sfaticato. Come mai sei così depresso? Hai trovato lavoro.

S:      (fermandosi) No, no, ma non fare ironia, io sono uno che se gli ponessero delle condizioni, lavorerebbe.

A:      Condizioni tipo “lavora o t’accoppo”. (la battuta sarà sottolineata da una risata degli altri amici)

S:      No voglio dire, delle condizioni favorevoli, come l’ambiente, il tipo di lavoro, l’orario.

A:      Ho capito. Tipo camera da letto, pubblicità di un sonnifero, 24 ore al giorno. (Ce D come prima)

S:      Beh, quello sì che sarebbe un bel lavoro, ma bisogna avere delle spinte, senza spinte finisci solo a fare lavori sfibranti, tipo impiegato. (mentre parla si siede anche lui)

A:      Ma torniamo a noi, come mai così depresso?

S:      Ho bisogno di soldi. (guardando con sguardo interessato A)

A:      (scattando, come punto da qualcosa) Perché mi guardi così…? Ah no, non farti illusioni.

S:      Bell’amico sei, te li restituisco, ti ho forse mai chiesto qualcosa?

A:      Si mi devi duecentomila lire.

S:      E, pignolo, facciamo conto che te ne debba trecentomila.

A:      Vuoi centomila lire?! Ma scherziamo! E poi cosa devi fare con centomila lire?

S:      Devo comprare un francobollo.

A:      Con centomila lire? (con tono molto stupito) Ma non…

S:      (con molta enfasi) Eccoli gli amici, io devo scrivere ad un amico per una richiesta…

A:      Di lavoro?

S:      Sì, cioè no, beh, sono affari miei. Ho bisogno di un aiuto morale da un amico e lui cosa mi dà? Eh, cosa mi dà?

A:      Un aiuto morale te lo posso anche dare, ma…

S:      E non conosci la filosofia? Non sai che è l’economia che fa la morale? Se mi vuoi dare un aiuto morale, dammi centomila lire.

A:      Ma per un francobollo? Ti credi che un tabacchino, se ti presenti con centomila lire, te lo dà un francobollo, con la mancanza di moneta che c’è.

S:      Ma tu non preoccuparti di questo. Allora me le dai queste centomila lire?

A:      Ma se vuoi un francobollo, ti posso dare i soldi per quello, ma centomila lire…

S:      E che ne sai tu di un francobollo? Tutto aumenta!

A:      Ma non a questo punto, cosa devi prendere un francobollo al parmigiano?

S:      E se poi dovessi scrivere in Tibet? In Pakistan?

A:      Ma non dire scempiaggini. Perché dovresti scrivere in Tibet? Non sei mica conosciuto fin là, non avrai amici in Pakistan, che cosa sei internazionale? Ah, ah, ah, ah, non regge.

S:      Non regge eh? Allora sai che ti dico? Io ieri l’altro passeggiavo per New York con il mio amico Clinton (A farà una faccia incredula), sì proprio lui il presidente, quando siamo passati vicino ad un tipo in Rolls Royce che ha detto “Chi è quello spilungone con la faccia da bamboccione vicino a Sfatichini?”

A:      Ma non dire baggianate. Tu, più conosciuto del mania…, volevo dire… di Clinton?

S:      Non da tutti, ma sono più conosciuto di Clinton. Di, tu lo conosci Clinton, voglio dire personalmente?

A:      No, ma è diverso.

S:      E me, mi conosci me, mi conosci personalmente?

A:      Sì che ti conosco, che domande.

S:      Vedi che sono più conosciuto di Clinton?

A:      Ma basta, finiscila di dire scempiaggini…

S:      È tutta invidia, ecco cos’è, è invidia.

A:      Ma figurati se io ti invidio, ma fammi ridere, io invidiare uno che non fa niente tutto il giorno, che non ha mai lavorato, che non si è mai alzato da letto prima delle undici…

S:      Non mi invidi?

A:      No!

S:      Sei l’unico.

A:      Ma figurati, sfaticato, di un lazzarone che non sei altro, no, guarda, con me non attacca.

S:      Non me le dai le centomila lire?

A:      No!

S:      (con tono triste) E va bene, l’hai voluto tu. Sai cosa faccio adesso, eh, sai cosa faccio? Te lo dico subito, adesso vado a casa, apro la finestra e mi butto giù.

A:      (con voce preoccupata, alzandosi e prendendo S per le spalle) Ma no, ma cosa vai a pensare, buttarsi giù. Ti sembra il caso di gettare la vita per…(dandogli quasi una spinta e risiedendosi) ma… ma se tu abiti al pianterreno.

S:      Ma questo che c’entra, è il pensiero che conta, mica posso andare a casa di un altro e dire “scusi mi permette di buttarmi giù dalla finestra?”. L’intenzione c’era.

A:      Sei un buffone, ma guarda, mi hai stufato, io ho un lavoro, anche loro sai, sai cosa faccio, vuoi un francobollo eh? (iniziando a frugarsi in tasca e sempre più agitato), accidenti che non monete, thò, tieni cinquemila lire, te le regalo, ma non farti più vedere chiaro? (si alza con D ed E, se ne va con loro gesticolando seguito da loro)

         S, rimasto da solo, tira fuori di tasca una lista e dei biglietti di banca.

S:      Oh bene, quarantacinque, cinquantacinque, sessantamila e con questi sessantacinquemila. Questo è sistemato, entro due ore dovrei arrivarci a centomila. (così dicendo si alza)

         A questo punto entra in scena N camminando, vede S, che immediatamente prende un’espressione depressa, e gli va incontro

N:      Ma guarda chi si vede lo sfaticato, come mai così depresso?

S:      (fissandolo intensamente) Eh, ho bisogno di soldi.

N:      Cos’hai da guardarmi in quel modo? No chiaro? No.

S:      Eccoli gli amici. Io ho bisogno di centomila lire per comperare un chewing gum e… (su queste parole cala il sipario bianco e rientrano in scena Valle e Rei).

V scena: personaggi – Rei e Valle

V:      Certo che è un bel modo per fare i soldi quello, per gli sfaticati si intende. L’hai brevettato?

R:      Non arrivo a quel punto, ma hai capito com’è il personaggio? Imbastendo una storia viene fuori…

V:      Un dramma viene fuori. Le scene sarebbero tutte uguali, sul tipo dello schetch di rivista, per di più senza ballerine e ripetuto all’infinito. Meglio pensare ad altro. Poi non mi piace il nome. Perché proprio Sfatichini? Mi sembra puerile.

R:      Sul momento non mi è venuto in mente un altro nome. Allora mettiamo questa in archivio e (schioccando le dita) ti ricordi quella scena, quella che avevamo fatto in quel paesotto per gli amici?

V:      Quella improvvisata, sì me la ricordo bene, ma spiega un poco.

R:      Era così. C’era una uomo distinto seduto su una sedia fuori da un bar, da dietro arriva uno più vecchio, vestito da contadino che… ma ora ti racconto. (si alza il sipario bianco, in scena ci sarà un tavolino, intorno seduti tre persone che parlano tra loro)

VI scena: personaggi – uomo distinto = D, uomo anziano = A., più due comparse sedute al tavolino

D:      Capisce Bozzini? È un problema grave per la nostra azienda, ne dovremo discutere in sede e (l’uomo anziano arriva da dietro mentre D parla e gli copre gli occhi improvvisamente) Ma chi è? (gridando sorpreso e sdegnato)

A:      Indovina, indovina.

D:      Ma come si permette? (cercando di divincolarsi) Levi queste manacce.

A:      (sempre con voce allegra e tenendo D schiacciato sulla sedia) Su indovina chi è.

D:      (sempre cercando di alzarsi senza riuscirci) ma che schifo, ha pure la mani sporche. Me le levi subito di dosso. (e finalmente liberando la testa con uno strattone) Ma si può sapere che vuole?

A:      Ma Giuseppe non ti ricordi?

D:      Io mi chiamo Luigi.

A:      Hai ragione Giuseppe è tuo fratello. Ma proprio non ricordi?

D:      (sempre più arrabbiato) No! E si levi dai piedi.

A:      Ma dai su, è tanto tempo che non ci vediamo e…

D:      (scattando in piedi) Sì, sì, adesso ho fretta…

A:      (respingendolo con forza sulla sedia) Ma stai lì, dai non ti ricordi quel carnevale in cui tu vestito da Arlec…

D:      (portando una mano in tasca e alzandosi) Ho capito vuole dei soldi.

A:      (ributtandolo sulla sedia) Ma che soldi.

D:      (cercando ancora di alzarsi ma senza riuscirci) E che vuole allora? Senta io ho…

A:      (sempre bloccandolo sulla sedia) Ma dai, possibile che non ricordi che matti eravamo tu ed io?

D:      Ma il matto è lei, e mi lasci che dobbiamo andare noi.

A:      Ma dai ne abbiamo fatto di scherzi assieme (incominciando anche a ridere) Ti ricordi di quella volta che togliemmo la scala al Peppino, poco prima che lui scendesse con una fascina dal fienile, che volo, poveretto è ancora intronato adesso.

D:      Ma lei è un criminale, è roba da reato penale (e fa per alzarsi)

A:      (sempre trattenendolo) E di quella volta che facemmo lo scherzo al Giovannone, sai che lui saliva sul trattore al salto e noi gli mettemmo 20 chiodi da quindici (si contorce dal ridere), che urli sembrava un lupo siberiano.

D:      Ma lei è un pazzo criminale, un mentecatto e come si permette di darmi del tu, chiamiamo la polizia.

A:      Ma dai non ci credo che non ricordi, che scherzi. E l’acqua saponata sul sagrato mentre il prete passava con la statua del santo patrono (si contorce dal ridere) per non cadere si è mosso con tale frenesia che lanciò la statua nella finestra del Battista.

D:      (iniziando a calmarsi) Questo fatto non mi è del tutto nuovo.

A:      Ma sì e c’era anche la Cia.

D:      Lucia vorrà dire.

A:      Sì, era la tua ragazza, che gran pezzo di figliola che era.

D:      Sì era di carnevale e noi levammo il tombino dalla strada centrale, poco prima che passasse la banda, in dieci ci caddero dentro. (inizia a ridere di gusto)

A:      (sempre più felice) Sì, sì, proprio così.

D:      (sempre più rilassato e ora quasi felice) E io abitavo in quella cascina che aveva le persiane rosa a pallini.

A:      È la mia.

D:      Ma allora? Tu, tu sei.

A questo punto i due si abbracciano e contemporaneamente dicono

D:      Papà.

A:      Figlio mio.

         (cala il sipario bianco e rientrano in scena Rei e Valle)

VII scena: personaggi – Rei e Valle

V:      Sì, è divertente secondo me, e i due personaggi poi sono abbastanza singolari, diversi se vuoi. Ma come ce la tiri fuori una commedia?

R:      Beh, potremmo far vedere che poi lui va in campagna a vivere con il padre e non trova subito un lavoro, allora dopo quattro anni stufo di aspettare si iscrive nella lista dei giovani, gli danno il numero 9.822 e, dopo molti anni, sulla soglia della pensione gli danno un posto.

V:      Spaventapasseri?

R:      No, mietitore a cottimo e poi trova una ragazza, oddio una donna giovane, beh non proprio giovane, matura, sì diciamo matura, questa donna è seria e insieme, vanno verso un futuro che… (con tono sempre più demotivato) che schifo.

V:      Mi hai rubato la battuta.

R:      Va bene cambiamo, puntiamo sull’attualità, un personaggio di oggi, una storia di oggi…

V:      (deciso) Una storia di corruzione e raccomandazioni.

R:      E no basta con gli stereotipi, ormai queste vicende sono superate, dopo tangentopoli sono diventati tutti onestissimi in Italia.

V:      Ma vah!

R:      Certo ne ho le prove, pensa che un mio amico analfabeta ha vinto un concorso al ministero solo grazie ad un suo zio che era il marito di una delle funzionarie addette al controllo della qualità di una ditta fornitrice di pezzi di ricambio ad un’impresa che produceva la carta per i moduli del ministero stesso.

V:      Alla faccia dell’onesta!

R:      Certo, prima bisognava pagare, adesso basta un piacerino e…

V:      Ma lasciamo perdere e torniamo a noi, ho in mente un qualcosa che forse… (escono di scena, si apre il sipario bianco)

VIII scena: Personaggi, I ragazza = A, II ragazza = B, III ragazza = C, IV ragazza = D, 1 ragazzo = E, Turista = T, Il cantante e l’accompagnatore. Le ragazze quando parlano con il turista ogni tanto ridacchiano. Il cantante è molto robusto, vestito con un completo con giacca nera e pantaloni nocciola (ideale il frac), camicia molto sgargiante, con cravatta molto vistosa e gilet bene in vista, dal taschino esce una catena a cui è appeso un grosso orologio, in testa porta una bombetta. L’accompagnatore, è magrolino, di statura inferiore al cantante, è vestito con un completo di colore nocciola, la camicia è bianca, con un papillon.

Sul palco, completamente vuoto saranno allineate una serie di sedie, vi si troveranno sedute 4 donne e 1 uomo, tutti stanno leggendo delle riviste o scelta parlottando tra loro, da sinistra entrerà in scena un uomo, vestito elegantemente, dalla tasca della giacca fuoriesce un giornale, al collo una macchina fotografica. Vedendolo il gruppo finge di non vederlo, ma emette un piccolo risolino.

T:      (entrando in scena e dirigendosi verso le sedie, prima di sedersi, rivolgendosi ad A): Mi scusi, questi posti sono tutti liberi?

A:      (smettendo di leggere e rivolgendo lo sguardo verso T) Certo, oggi è fortunato, in genere non c’è un posto libero sa!

T:      Sì così mi hanno detto, sono venuto qui per curiosità, sa sono un turista e mi hanno detto che qui tutti i giorni avviene uno spettacolo veramente curioso, non ho saputo resistere e oggi anziché andare in spiaggia sono venuto qua. Ma in che cosa consiste lo spettacolo?

E:      Oh è una cosa veramente spettacolare, noi del paese ne andiamo fieri.

B:      (smettendo di leggere e rivolgendosi a T) Pensi che con domani sono vent’anni che avviene.

T:      Come vent’anni? Ma tutti i giorni?

C:      (anche lei smettendo di leggere) Sì tutti i giorni e sempre alla stessa ora.

T:      (aprendo a sua volta il giornale) Sì ma in che cosa consiste?

D:      (anche lei smettendo di leggere) Ma come non lo sa?

T:      Certo che no, se no cosa chiederei a fare?

A:      O beh sa, c’è tanta gente strana a questo mondo.

T:      (quasi indispettito) Vi paio io strano?

Tutte e quattro le ragazze smettono di leggere e iniziano a fissarlo a lungo, poi iniziano a parlare tra loro mormorando molto fittamente, mentre E farà l’indifferente e continuerà a leggere, T prenderà un aspetto imbarazzato, poi dirà.

T:      O insomma, non è educato comportarsi così.

Le ragazze faranno un risolino e smetteranno di parlare riprendendo a leggere, T si metterà a leggere a sua volta, dopo pochi secondi però chiederà di nuovo

T:      Però non mi avete detto in che cosa consiste, pensate che io ho portato anche la macchina fotografica, io ho una passione particolare per i ricordi.

A:      Le dicevamo che sono vent’anni che tutti i giorni avviene, per noi del paese è un fatto importante e non solo per noi, pensi che una volta sono venuti anche quelli della televisione. Fu un successo, si scomodò anche un grande critico d’arte o di cinema, non so bene.

B:      Di cinema.

C:      No d’arte.

D:      Comunque un critico importante.

E:      (quasi con indifferenza da dietro il giornale) Molto importante!

A:      O sì, ne fecero un documentario. Lei è stato fortunato a non trovare quasi nessuno. Ma oggi in paese c’è la sagra del ciondolo e allora sono tutti impegnati lì.

T:      Che strano non ho visto niente venendo qui, anzi mi sembrava che in giro non ci fosse nessuno.

E:      Non avrà visto bene, ma ora concentriamoci, fra poco lo spettacolo avverrà, ci vuole rispetto. Si tratta di una grande interpretazione artistica, un vero capolavoro.

T:      O sì scusate, non volevo. Ma come mai voi non siete alla sagra.

B:      O noi non sappiamo resistere alla bellezza dello spettacolo, non lo perderemmo neanche se nevicasse.

C:      Sì è troppo bello.

D:      Io tutte le volte mi faccio delle risate.

T:      Ah allora è divertente.

D:      Dipende da come funziona.

T:      E da cosa dipende.

A:      Ma scusi perché vuole sapere tutto, aspetti e vedrà.

E:      Attenzione, credo che stia per cominciare.

Le quattro ragazze e il ragazzo volgeranno gli occhi verso la destra del palco, subito imitate dal Turista, poco dopo entreranno in scena il cantante e il suo accompagnatore.

Il cantante entrerà portando in una mano un leggio, nell’altra uno spartito, dietro l’accompagnatore con in mano un violino (palesemente finto) e un archetto. Compiuti pochi passi decisi il cantante si bloccherà di colpo e l’accompagnatore gli andrà a sbattere contro, il cantante si girerà attorno e l’accompagnatore girerà con lui, in modo tale da restare dietro alle spalle del cantante. In tutta questa fase è importante la mimica dei volti che dovrà sottolineare le varie fasi.

Le quattro ragazze seguiranno con grande interesse, il turista (che ha impugnato la macchina fotografica invece prenderà una faccia sempre più allibita).

Il cantante poserà per terra il leggio e vi poserà sopra lo spartito con cura, farà un espressione soddisfatta, quindi si toglierà il cappello, poi tirato fuori un fazzoletto si tergerà il sudore dalla fronte, quindi riposto il fazzoletto tirerà fuori l’orologio dal taschino, lo aprirà con cura e guarderà l’ora. Dietro di lui l’accompagnatore, perfettamente immobile guarderà verso il pubblico.

Il cantante, metterà via l’orologio, riprenderà in mano il leggio e lo spartito si dirigerà verso la parte sinistra del palco, sempre seguito dall’accompagnatore. Li giunto poserà il leggio e vi apporrà sopra lo spartito, l’accompagnatore finalmente gli si porrà di fronte e impugnerà violino ed archetto come per suonare, da una manica il cantante tirerà fuori un bacchetta, batterà due colpi e a quel punto l’accompagnatore inizierà a “suonare” il finto violino e il cantante inizierà a cantare (contemporaneamente partirà la canzone “Regalami un sorriso”).

Da dietro il turista farà espressioni sempre più allibite, rimanendo immobile (o quasi) con la macchina fotografica in mano e lo sguardo tra l’incredulo e lo sbalordito.

Finita la canzone, il cantante e l’accompagnatore usciranno di scena dirigendosi dalla parte da dove erano entrati poco prima.

Il turista si riprenderà lentamente dalla sua condizione imbalordimento, mentre le quattro ragazze lo stanno ad osservare. Poi riprenderà a parlare.

T:      Ma sono allibito, ma che spettacolo è, è indegno, non capisco e poi quali vent’anni, quei due sono troppo giovani, cosa facevano questa farsa in fasce.

A:      Ma no caro signore vede sono vent’anni che in questo paese prepariamo tutti i giorni lo scherzo dello spettacolo e devo dire che a giudicare dalla sua faccia anche oggi è riuscito benissimo.

B:      Proprio vero, se si fosse visto, era veramente spassoso (e inizierà a ridere imitata dalle altre tre)

E:      E pensi che sono vent’anni che troviamo dei gonzi che vengono qua apposta e vengono anche dall’estero….

         Si chiude il sipario bianco e tornano in scena Rei e Valle.

IX Scena: Personaggi Rei = R, Valle = V, Parente = P

R:      E questa storia come la sviluppi?

V:      Ma come vuoi e poi c’è la sottile ironia della comicità classica, una scena di muto, musica a parte, i due attori potrebbero ricordare Stanlio e Ollio, due grandissimi comici.

R:      Sì e io potrei ricordate Totò e tu un Ciccio e Franco, ma fammi il piacere, qui non stiamo cavando un ragno dal buco, è meglio cambiare genere. (a questo punta entra in scena senza annunciarsi Parente)

P:      È permesso? Sono io.

V:      Oh, che sorpresa entra pure parente.

R:      Vuoi sederti?

P:      No, no, sto in piedi, sono venuto solo per dirvi qualcosa, poi me ne vado.

V:      Di pure parente.

P:      Si può sapere cosa fate chiusi in casa, con una così bella giornata?

R:      Stiamo scrivendo una commedia, cioè siamo alla ricerca di personaggi per una commedia.

P:      Eccoli i soliti idioti. Scrivono commedie loro. Ma non perdete così il vostro tempo, andate a ballare che è meglio, divertitevi finché siete giovani. E se proprio volete scrivere stupidaggini non ditelo in giro che fate fare brutta figura a tutta la famiglia.

V:      Perché chi scrive è una sorta di demente?

P:      Ma no, c’è chi scrive. Ed è giusto che sia così, ma voi cosa volete fare. Vi fate prendere in giro da tutti, poi vi credete che ve le pubblichino le vostre poesie, i vostri romanzi, le vostre canzoni e commedie, bisogna essere noti per sfondare. Voi siete solo due eremiti che sprecano le loro giornate.

V:      Ma perché non possiamo scrivere e diventare famosi e avere successo anche noi? Ci sono riusciti in tanti, che so Paolo Villaggio.

P:      Ma Paolo Villaggio è uno conosciuto.

R:      Ma non sarà nato famoso accidenti! Credi forse che appena nato il dottore gli abbia stretto la mano e chiesto un autografo esclamando “ecco il famosissimo Paolo Villaggio, attore, scrittore, eccetera, eccetera.

P:      Ecco lo sapevo, con voi è inutile parlare, non volete capire. Sprecate pure il vostro tempo, io me ne vado, ho cose più importanti da fare, devo andare a messa.

V:      Da quando sei credente tu?

P:      Ma mica credo io, ma bisogna farsi vedere, non mi faccio parlare dietro dalla gente io. (esce di scena)

R:      (gridandogli dietro) Guarda che uno può scrivere anche per divertirsi, e noi ci divertiamo.

V:      Lascia perdere, piuttosto che ne dici di scrivere quella dei due cugini che picchiano un parente in comune?

R:      No, mi è venuta un’idea sulle difficoltà della comunicazione…

         (Si alza il telone, vi sarà una sala d’attesa di una stazione o, se possibile, uno scompartimento di un treno)

X scena: Personaggi: passeggero timido, impacciato ma voglioso di comunicare = P, passeggero sicuro di sé, ma freddo, scorbutico = S, P sarà già seduto; un attimo dopo entrerà S, avrà un giornale in mano e senza curarsi di P si siederà e si metterà a leggere. Breve attimo di silenzio, in cui P deve prendere l’atteggiamento come di uno che si dà coraggio, poi

P:      (timidamente) Buon giorno signora Garelli. Anche lei va a Milano?

S:      (duramente e con tono sgarbato) Io mi chiamo Sandri, Marcella Sandri e non vado affatto a Milano.

P:      Oh mi scusi, ma le assomiglia moltissimo, due gocce d’acqua, solo ora guardandola meglio.

         (Breve pausa, S legge, P la osserva poi si alza e le si avvicina)

P:      È occupato?

S:      (sempre con voce scocciata) No, non vede che ci siamo solo noi?

P:      (sempre timidamente) Allora posso sedermi?

S:      (senza staccare gli occhi dal giornale) Si sieda pure. Tanto a me…

(P si siede, pausa, poi)

P:      Bella giornata eh?

S:      (scocciato e sempre leggendo) Per niente, piove!

P:      E… sì, già, ma, rispetto a ieri.

S:      (continuando a leggere e con tono scortese) Ieri c’era il sole.

P:      Ah sì? Allora rispetto l’altro ieri.

S:      (secco e deciso) Può darsi.

         (breve pausa)

P:      Eh sì?

S:      (seccato) Come dice scusi?

P:      No, niente dicevo così per dire.

S:      (girando pagina) E che diceva così per dire?

P:      Cose mie.

S:      Ah, allora finalmente non romperà più.

         (breve pausa)

P:      Lei è sposata?

S:      (sbuffando) No, non sono sposata?

P:      Ah, ha dei figli?

S:      Se non sono sposata? (scostando per un attimo il giornale e guardando P con fastidio)

P:      Beh, non si sa mai… con i tempi che corrono.

         (pausa, P si muove, fa per parlare un paio di volte, sembra farsi coraggio)

P:      Ai miei tempi non succedevano queste cose, c’era più rispetto della vita altrui.

S:      (sempre visibilmente scocciata) Ma che cavolate sta dicendo, da che mondo è mondo c’è sempre stata violenza e cattiveria.

P:      Eh, ah sì, ma io vivevo in un paesino dove tutti ci volevamo bene e ci rispettavamo.

S:      Tutti rompiscatole come lei?

         (pausa)

P:      Ha visto ieri per televisione che belle sfilate di moda, quest’anno i vestiti sono proprio belli.

S:      Della moda non me ne frega niente.

P:      No. Io dicevo del prét a porter, i vestiti per tutti i giorni.

S:      Io mi vesto come cavolo mi pare. (sempre leggendo e girando nervosamente la pagina del giornale)

         (breve pausa)

P:      Che dice, che dice di bello?

S:      (sempre più palesemente scocciata) Io? Niente, non ho parlato.

P:      (con tono indeciso, ma testardo) No, dicevo il giornale.

S:      (voltando pagina) Ah, il giornale, niente dice, proprio niente.

         (pausa durante la quale P si sporge verso S e sbircia il giornale)

P:      Che strano, eppure vedo delle parole, cioè insomma è scritto.

S:      Ma certo che è scritto, se no che giornale sarebbe. (e continua a leggere)

P:      Ma lei ha detto che non dice niente.

S:      Niente di bello, che deve dire di bello?

P:      Eh, già.

         (pausa P sbircia il giornale)

P:      Ah, ah, vede quella foto. Quella del campionato regionale di boccette, la terza da sinistra sono io che…

S:      (voltando pagina) A sì?!

P:      Io gioco a boccette, a lei piace il gioco delle boccette?

S:      Al contrario lo odio.

         (breve pausa)

P:      Bella giornata eh?

S:      Per niente, piove! Ma non lo ha già detto?

P:      Eh? Ah… sì, forse. Viene giù dell’acqua eh.

S:      Perché al suo paese quando piove cosa viene giù?

P:      Oh, tubetti di plastica, pentole, scarpe, anche acqua. Eh, eh, eh, buona eh?

S:      (si volta un attimo la faccia è serissima, lancia uno sguardo feroce a P e si rimette a leggere)

         (pausa, P tenta di parlare, si interrompe, parla)

P:      Come vanno i titoli in borsa?

S:      A gonfie vele, se ne dicono di tutti i colori, scemo, imbecille, idiota e altre.

P:      No io intendevo i titoli azionari.

S:      Perché lei ha dei titoli azionari?

P:      No, no.

S:      E allora che gne ne frega dei titoli in borsa?

P:      Eh già. In effetti, chissà cosa ha fatto ieri il papa?

S:      Non lo so. Non abito a Roma io.

         (breve pausa, sempre gesti di indecisione in P)

P:      Dove va?

S:      A Milano. Ci abito.

P:      Ma se prima…

S:      (con tono decisamente scocciato) Cosa?

P:      Niente, niente, pensavo che anch’io vado a Milano. Sa perché vado a Milano?

S:      (con tono sempre scocciato) Non sono un veggente io.

P:      Ma lo vuol sapere perché ci vado?

S:      No!

         (pausa)

P:      Bella giornata eh?

S:      Per niente continua a piovere. Ma vuole stare zitto, sto leggendo il giornale.

P:      Ma è interessante?

S:      No, è una montagna di frottole e stupidaggini.

P:      Allora perché lo legge?

S:      Perché mi va di leggerlo.

         (pausa, sempre con P alla ricerca di parole)

P:      Come va il lavoro nel mondo.

S:      Disoccupazione, scioperi, sottoccupazione, sfruttamento, lavoro nero

P:      Eh oggi è dura lavorare, io il mio posto ce l’ho, è un lavoro interessante.

S:      Meglio per lei. (sbuffa e il tono è sempre scocciato)

P:      Faccio la postina, porto lettere, cartoline, giornali, raccomandate…

S:      Guardi, che so cosa fa il postino.

P:      Ah… eh…

         (pausa)

P:      E lei che cosa fa?

S:      (con tono ormai scocciatissimo) Cerco di leggere, ma non ci riesco, faccia lei il perché.

P:      No, non dico adesso, che lavoro fa?

S:      Sono la responsabile e la coordinatrice delle pubbliche relazioni di una grossa ditta di import-export.

P:      Ah!

         (breve pausa)

P:      Bella giornata eh?

S:      (sbuffando e stropicciando il giornale) Uffa.

Cala il sipario bianco tornano Rei e Valle

XI scena, personaggi Rei e Valle

R:      Sì è il dramma comico, di chi vuole parlare ed è impacciato ma cocciuto. L’altra poi addetta alle pubbliche relazioni. Ma chi potrebbe fare il protagonista?

V:      Anche tutti e due, metti che per una serie di coincidenze finiscano tutte e due, che so in una stalla per un mese e…

R:      Ma così diventa un giallo.

V:      E allora si separano, ognuno per il proprio lavoro, ma si ritrovano insieme.

R:      No dobbiamo studiarci un po’ sopra. Forse potremmo ambientarlo in un bar. Usando un po’ di linguaggio popolare, creiamo una situazione tra il comico e il brillante e…

V:      Ma così prende l’aspetto di un’inchiesta, no niente bar. Caso mai creiamo un ambiente teatrale, con attori che non sanno recitare.

R:      Avevamo detto niente grottesco, senti non sarebbe meglio riscoprire qualcosa che abbiamo fatto insieme in altri tempi e di aggiustarlo e trasformarlo.

V:      Sì, ti ricordi quei due personaggi, il barone e il marchese.

R:      Certo che mi li ricordo, le commedie sui nobili sono un po’ sorpassate, ma si può benissimo ambientarla ai giorni nostri, mi sembra un’idea originale.

V:      Tanto più che moderni lo sono già. Cominciamo con la solita scena della visita?

R:      Cominciamo… (si alza il sipario bianco, in scena ci sarà un uomo seduto su una panchina dei giardini pubblici.

XII scena: personaggi - Barone, che parla con chiara inflessione napoletana = B e marchese, che pronuncia la v al posto della r = M

         Entrambi sono vestiti con abiti ormai fuori moda, lisi e consumati, con qualche piccolo rattoppo, ostentano però eleganza, con il fazzoletto che esce dal taschino, cappello. Il barone tiene in mano un bastone da passeggio, il marchese porta una caramella, che si toglierà dopo essersi seduto.

M:     (arriva da fuori, giungendo alle spalle) Cavo, cavo, cavissimo bavone.

B:      Oh, quale bavone e bavone? Chi è che…? Ah, ma è il marchese Fetentoni, cioè volevo dire Fetelloni Tritò, quale onore, s’accomodi, s’accomodi.

M:     Cavo, cavo bavone Alfonso Paschello della Vacca.

B:      Eh, vacca, vacca e che altro toro, bue? Racca, Racca, mannaggia a quel difetto di pronuncia che tenite.

M:     Sa, noi nobili del novd abbiamo tutti la evve moscia, guai a non avevla savebbe la fine.

B:      E allora se non le dispiace non mi chiami vacca, insomma non mi chiami per casato, e neanche per titolo, mi chiami Alfonso e io la chiamerò scemo.

M:     (sorpreso ed indignato) Ma come?

B:      Oh, pardonne, è stato un lapsusse, volevo dire Remo. Vi chiamate Remo, no?

M:     Sì Vemo. Cavo Alfonso, ma ditemi, come va la vita? Economicamente come stiamo? Sa non vovvei esseve indiscveto, ma fva amici, fva di noi…

B:      Ma per carità. È ‘na schifiez…, cioè volevo dire, bene, sì bene, solo le tasse, ahimè le tasse, e voi Remo, come va, eh?

M:     Mal… Oh, benissimo gvazie. Ma ditemi come stanno la bavonessa e la bavonessina?

B:      Sì non c’è male, solo, non hanno ancora perso il gusto dell’eccentrico, tutti i sabati vanno in discoteca travestite da panche.

M:     Tvavestite da panche? Panchine?

B:      Ma cosa ha capite? Da punke, punk, quella moda inglese, nata nelle fogne di Liverpulle.

M:     Oddio. Che vibvezzo.

B:      (allarmato) Cosa vibra? Che c’è il terremoto?

M:     Ma no, ma no. Quale tevvemoto? Vibvezzo, come dive, che schifo.

B:      (sempre sorpreso) Quali dive, la Bardotte? Ah, già sì. Ah e tenite ragione. Ma sapete i giovani.

M:     Ma la bavonessa, con vispetto pavlando, ha i suoi sessanta, ovmai.

B:      Ma è lo spirito che conta, mica l’anagaraffe.

M:     Anche questo è vevo, io ad esempio, in confidenza ho cinquantve anni…

B:      (con tono sorpreso) Solo?

M:     Già, eppuve, tutti me ne danno meno.

B:      E c’hanno ragione, voi ne dimostrate trenta al massimo.

M:     Gvazie. Gvazie, anche voi d’altvonde, dimostvate meno anni di quelli che avete.

B:      Ne ho poi quaranta.

M:     Bugiavdo.

B:      (quasi offeso) Come sarebbe a dire?

M:     (con difficoltà) Ma sì, voi ne avete sì e no tventa, anche meno, pevchè vi invecchiate?

B:      Eh, è la modestia innata, modestia nobile. Ma piuttosto avete fatto qualche festa lassù a Milano.

M:     Oh sì, siamo andati l’altvo sabato dalla contessa Bandevà, c’evavamo tutti, la cvema dell’Italia settentvionale, e pev la festa e il banchetto ognuno ha offevto una quota. Io ho messo un miliavdo, così quel conta è il pensievo.

B:      Sante parole marchese mio.

M:     Al giovno d’oggi cos’è un milavdo, ma poi ho voluto vifavmi e ho vegalato un castello alla contessa, quello delle mie pvopvietà in Liguvia, e voi, eh?

B:      E io la festa l’ho data, non ho voluto offerte, ho organizzato tutto io, avesse visto che portate, caviale, champaggne, parmigiano puro, salmone, aragosta, ventotto portate in tutto.

M:     E voi bavone siete vicco, molto più di me. Cosa sono al suo confvonto le mie pvopvietà in Savdegna, i miei ottocento miliavdi in banca. (a queste parole il barone strabuzzerà gli occhi e avrà come un attacco di malessere) Cosa c’è vi sentite male?

B:      (imbarazzato) No sa, il polline. Sono allergico al polline. Ogni tanto me lo ricordo e ho delle crisi, ma sto già meglio. E no, direi che stiamo alla pari in fatto di finanze, io ho meno proprietà, ma ho una trentina di miliardi in più. (a queste parole sarà il marchese a sentirsi a disagio) Marchese vi sentite male?

M:     (imbarazzato) Oh, questo polline è una veva piaga. Ha vagione sa? O venendo da lei quasi me ne scovdavo, ho visto una villa sulla collina, quanto può valeve?

B:      Ah la villa dell’industriale Cuitilello, brava persona, un po’ avaro…, varrà sugli ottocento milioni.

M:     Sa, la voglio compevave, ma c’è un piccolo pvoblema, non ho soldi dietvo.

B:      Beh, il Cuitiello è diffidente, ma la cedere se le direte il cognome.

M:     O no, che figuva, non vovvei che la pevsona fosse intaccata da un acquisti pagato in vitavdo, ci sono cevti maligni, cevti pettegoli, così pensavo “vuoi vedeve che il bavone, voglio dive, che il cavo Alfonso, mi fa un pvestito? Fva noi…

B:      Quanto? (sottolineando la domanda con il classico gesto del pollice e dell’indice sfregati tra loro)

M:     Ottocento milioni. Poco vevo? Ma pvopvio non ho povtato niente dietvo, sa i fuvti, me li pvesta?

B:      E dove li vado a pre… a… a… prelevare, dico in casa non li tengo, sapete i furti, l’avete detto anche voi. Ma il fatto è che per volere di mia moglie, i soldi li ho vincolati, sì vincolati, in tutte le banche.

M:     Ma come? Così tanti miliavdi vincolati?

B:      E sapete, mi hanno un piacere, sono un buon cliente…, anzi lunedì c’è una festa di beneficenza e io vorrei offrire qualcosa, ah, non più di un miliardo, è che con i capitali vincolati non posso prelevare, vendere qualcosa mi dispiace, allora pensavo, “vuoi vedere che il marchese un miliardo melo presta”, così a titolo di amicizia.

M:     E chi ha mai visto un… un mi… un mio pavi non fave un piaceve ad un amico, ma accidenti, non vicovdavo, anche i miei sono vincolati.

B:      (sorpreso) Come? Tanti miliardi vincolati?

M:     Scusate, e se li sono i vostvi, li sono anche i miei.

B:      E già. Che disdetta dovrò rinunciare alla festa di beneficenza.

M:     E io alla villa. Beh si è fatto tardi, (alzandosi) devo ancova passave a salutave il duca Novbiato a Sovvento.

B:      Ah, e mi dica come sta a finanze il duca? Così per curiosità.

M:     Pave stia molto bene, si pavla di miliavdi in banche svizzeve e di immense pvopvietà in Sicilia.

B:      (alzandosi) sa che faccio? Vengo anch’io a trovare il duca, è tanto tempo che non lo vedo più. Mi cambio, mi aspettate?

M:     Ma pvego, faccia con comodo, vi aspetto qua.

         (B esce di scena, M si risiede, compie un gesto di stizza, B ritorna vestito esattamente come prima)

B:      Eccomi c’è un problema la mia macchina è in garage senza ben… senza Ben, l’autista è in ferie.

M:     Che peccato io non so guidave, non ho mai avuto la ma… la mano svelta del guidatove. Ah, ah (riso forzato).

B:      Neanch’io, ah, ah. Fa niente, prendiamo il treno e…, o accidente non ho spiccioli dietro (toccandosi). Beh, pagate voi il biglietto, tanto tra noi.

M:     Il bvutto è che neanche io ho più soldi. Avevo un biglietto da centomila pev evenienze, ma l’ho dato ad un povevo, mi faceva tanta pena. Deve esseve bvutto esseve povevi. (detto con un tono quasi disperato)

B:      (con analogo tono) Eh sì, deve essere bruttissimo. Beh, allora il biglietto non lo facciamo, due persone distinte come noi, capiremo certamente. E se non capiranno, ci faranno scendere alla prima stazione che è Sorrento. Quindi!

M:     E allova andiamo, dopo di voi. (alzandosi e facendo strada a B che non si era più seduto da prima)

B:      No dopo di voi.

M:     No pvego, pvima lei.

B:      Ma figuratevi, prima voi. Non transigo.

         (si guardano, poi si prendono sottobraccio e se ne vanno insieme ridendo

         (Cala il sipario e tornano in scena Rei e Valle)

Scena XIII: Personaggi Rei e Valle

R:      Ah, ah, ah, questa è buona, è veramente divertente.

V:      Già un po’ di satira, un po’ di grottesco, persino un po’ di tristezza che traspare dalle figure semiotiche…

R:      (prima guarda sorpreso Valle, poi) Basta!

V:      Lasciami dire, delle figure alla ricerca di una loro concreta posizione. Si tratta di una trasfigurazione delle ansie e dei problemi intellettuali che si chiudono nel circolo vizioso che comporta una continua sequenza, spesso poco intelligibile, ma dalla quale si enuclea un valore che…

R:      E basta sembri un critico d’arte da quattro soldi o un politicante che sta tenendo un comizio. Mi ricordi un piazzista che ho visto ad Arenzano. Dopo avere attirato attorno a sé un po’ di gente, con il tipico modo dei piazzisti di richiamare l’attenzione su di sé.

V:      Grandi attori.

R:      Già, dopo avere riunito intorno a sé la folla, cominciò il suo discorso, “Signore e signori, ciò che vi vado a dire è scritto sulla storia sacra non sono quindi bubbole o frottole, un giorno sulla nostra terra apparve un animale più progredito degli altri, forse meno difeso, meno forte, ma più intelligente, dotato di capacità organizzativa. Questo animale era l’uomo! Sì signori miei, l’uomo. Subito l’uomo trovatosi indifeso, solo, spaesato su questo pianeta, si trovò di fronte ad esigenze non trascurabili. Un esigenza, capì l’uomo, chiama un’altra esigenza e fu così che…” e continuò per due ore a parlare di esigenze a catena, tutto per piazzare la sua merce.

V:      Cosa vendeva?

R:      Carta igienica. (pausa) ma ora pensiamo alla commedia, maledizione. Una commedia intorno ai due personaggi di prima diventa una barba unica. Bisogna tirare fuori un’altra scena, l’ultima, poi decidiamo, se ci piace quella, beh… se no rinunciamo alla commedia, al concorso e a tutto il resto.

V:      D’accordo. Mettiamoci d’impegno, comincia tu.

R:      Sì! (si rischiara la voce) C’era una volta… che orrore. Che incubo. Rinunciamo vah.

V:      No comincio io… facciamo qualcosa di storico, qualche passo inedito di storia, ad esempio….

R:      No, no. Qui andiamo aventi fino all’anno prossimo e non tiriamo fuori niente. È sempre così, sei pieno di idee e quando ti servono non ti escono. Cosa possiamo tirare fuori dagli schetch che abbiamo fatto?

V:      Sinceramente…

R:      Lo vedi? Boh, è finito tutto, siamo due autori in cerca di personaggi che non trovia…

V:      (come folgorato da un’idea improvvisa) Come hai detto? Ripeti un po’ l’ultima cosa.

R:      Troviamo, anzi trovia…, poi mi hai interrotto.

V:      No, no, prima noi siamo due autori…

R:      …in cerca di personaggi, sì. Sì, sì, certo sì!

V:      Mi è venuta un’idea.

R:      Anche a me, forse è la stessa.

V:      Si potrebbe tirare fuori da tutti quei personaggi una macedonia.

R:      Appunto. Presentarli tutti dal vero. Così come sono usciti.

V:      Col filo conduttore rappresentato dai due autori, noi due, e come titolo “Due autori in cerca di personaggi”.

R:      Senza offesa per Pirandello.

V:      Anche.

R:      Cosa anche?

V:      Sottotitolo “Senza offesa per Pirandello”. Mi sembra magnifico, un’idea originale. Come dici che andrà a finire?

R:      Con una commedia del genere? Bene, anzi benissimo. Mi immagino già la scena del nostro trionfo.

V:      Anch’io, anch’io.

XIV scena: si alza il sipario bianco, Valle è in scena, Rei fuori

Personaggi: Rei = R, Valle = V, Funzionario = F e un attore truccato con la maschera della faccia  presidente della Repubblica = P; ci saranno anche delle comparse con delle maschere di Dante, Petrarca, Virgilio, Pirandello, insomma di vari scrittori. Suono di campanello

R:      (da fuori scena) Suonano alla porta, vai a vedere chi è.

V:      Perché non ci vai tu? Hai una buona ragione?

R:      Se ti dico che sono in mutande e che non trovo i calzoni, la ritieni una buona ragione?

V:      Ottima. Vado ad aprire.

F:      (entrando in scena) Giorno, sono un funzionario della Rai.

V:      (sorpreso e un po’ spaventato) Della… Rai?, Quella Rai, vero? Si accomodi, faccia conto di essere a casa sua.

F:      (guardandosi intorno) Neanche per idea, preferisco la casa che ho. Lei è Valle e Rei?

V:      No, io sono Valle.

F:      Ah, bene, siete in due, e l’altro, Rei, dov’è?

V:      È di là in mu… (bloccandosi di colpo)

F:      (tirando fuori dei fogli dalla borsa, che V guarda) Sì è di là in mu cosa?

V:      Mu, ho detto mu? Antica civiltà molto avanzata per i tempi.

F:      No, lei ha detto, lui, che sarebbe Rei, è di là in mu.

V:      (sempre più imbarazzato) Mu… mu… ah sì, Rei è di là in musica. Siamo anche musicisti e sta guardando una ballata.

F:      Beh, lo vada a chiamare, devo parlare a tutti e due.

V:      Sì subito. (poi parlando piano) Li hai trovati?

R:      (gridando) No. Vorrei sapere dove sono finiti.

F:      Cosa?

V:      Eh? Ah già, gli accordi. Non trova gli accordi e li cerca dappertutto.

F:      Beh che li cerchi domani, gli dica di venire.

V:      Ma senza accordi. Così in musica.

F:      (spazientito) ma che me ne frega. Lo faccia venire.

V:      Lei non è uno che so formalizza, vero?

F:      Io? Ma si figuri, poi perché…

V:      Ma così, uno senza accordi, solo in musica.

F:      Ma a me degli accordi proprio non mi interessa un tubo di niente. Per me può anche presentarsi senza musica.

V:      Eh no. A tutto c’è un limite.

R:      (sempre da fuori scena, gridando) Sta a vedere che sono finiti in frigorifero.. no forse sono in lavanderia.

V:      (sorridendo imbarazzato) Gli accordi.

R:      (comparendo in scena) Macché i miei pantalo… e quello chi è? È ancora qui? Che cosa vuole?

F:      Sono un funzionario della Rai. Piantate lì tutto e venite con me Ho la macchina fuori.

R:      Ma devo venire così? (con gesto eloquente)

F:      Sì e fate presto. Il presidente vi aspetta.

R e V insieme: Quel presidente?

F:      Proprio quello il presidente della Repubblica. Venite.

R:      Ma…

F:      Venite.

R e V rassegnati: Andiamo.

R:      (guardando verso la sedia di sinistra) Ah, eccoli li ho trovati. (li indossa)

F:      Gli accordi?

V:      (sollevato) Sì gli accordi.

F:      A me sembrano pantaloni, comunque fate presto.

         (in quel momento entrerà in scena il presidente)

P:      Sono qua.

F:      Sì, eccellenza, ma non sono ancora pronti.

P:      Non importa, terremo qui la cerimonia (poi rivolgendosi a Rei e Valle e prendendo posa e voce ufficiale) Italiane ed Italiani, siamo qui riuniti in questo lieto evento per festeggiare due degni geni dell’italica progenie, essi ancor giovani, rappresentano il futuro radioso dell’Italia, la futura gloria, noi siamo fieri di premiarli augurandogli altri successi, che possono dare fortuna a loro e gloria all’Italia, paese splendido e baciato in fronte da tanti grandi di cui voi due rappresentate l’ultima schiera. E ora avvicinatevi perché io possa premiarvi e abbracciarvi (Rei e Valle si avvicineranno al presidente, in quel momento si sentiranno in sottofondo la marcia trionfale dell’Aida e una salva di applausi, poi si farà silenzio e proprio mentre il presidente si accinge ad appuntare la medaglia si spegneranno le luci e in palcoscenico resteranno solo Rei e Valle)

V:      Ahi!

R:      Punge la medaglia?

V:      Ma quale medaglia? Mi è caduto un pezzo d’intonaco del soffitto in testa, maledetta catapecchia.

R:      Se ci va bene cambieremo catapecchia, contento?

V:      Non sto nella pelle dalla felicità. Perché vinciamo vero?

R:      Beh vincere magari no, ma…

V:      Oddio che paura, mi viene il dubbio che sarà un fallimento.

R:      Via non fare il drammatico, al limite non ci rispondono.

V:      No, un fallimento, lo vedo…

         (gioco di luci, poi da fuori si sente bussare)

R:      Bussano vai ad aprire.

V:      Facciamo testa o croce.

R:      Con mille lire è grigia fare testa o croce, facciamo pari o dispari.

V:      Pari.

R:      Anch’io.

V:      L’ho detto prima io.

R:      Ma io l’ho pensato prima.

V:      Senti andiamoci tutti e due (interrompendo la discussione perché il funzionario è entrato in scena)

F:      Buongiorno, sono un funzionario della Rai. Siete voi che avete scritto “Due autori in cerca di personaggi”?

V e R: Siamo noi!

F:      E non vi vergognate?

V:      Cos’è una battuta? Buona mi viene da ridere. Ah, ah, ah

R:      Ti sembra che con quella faccia lì, uno abbia lo spirito di fare delle battute?

V:      (guardando F che li guarderà con un’espressione indignata) Sinceramente no. Non era una battuta, eh?

F:      Sono venuto per dirvi due cose, primo la commedia non ve la restituiamo perché serve agli assistenti sociali. Leggendola agli aspiranti suicidi dimostrano loro che esiste qualcosa di peggio che la loro nera disperazione. Inoltre a me personalmente poi fa un corroborante effetto soporifero, pensate che da anni leggevo le trame di vari programmi televisivi, e di pubblicità eppure niente.

R:      Proprio niente?

F:      (arrabbiato) No assolutamente niente. Ora però ci sono riuscito. Complimenti.

V:      Grazie.

R:      Macché grazie. E la seconda cosa?

         (F senza parlare si sposterà di lato ed entreranno in scena le comparse, mentre la scena si farà cupa, esse punteranno il dito come ad accusare Rei e Valle che, terrorizzati e piegati in due, si copriranno il viso cercando di nascondersi nell'angolo opposto del palcoscenico. A questo punto le luci si spegneranno completamente in modo che le comparse possano uscire di scena, quindi si riaccenderanno e resteranno in scena solo Rei e Valle, ancora palesemente terrorizzati.

V:      Che incubo! Che facciamo? la spediamo la commedia o…

R:      È la nostra prima vera occasione, non possiamo buttarla alle ortiche per paura, altrimenti non sapremo mai, noi ci proviamo e vada come deve andare, chissà che non riusciamo a conquistare un po' di pubblico a cui dire le nostre cose, battute o ragionamenti e farci con loro quattro risate, se poi andasse male, ci riproveremo in un altro modo.

V:      Hai ragione tentiamo. Inedita lo è di sicuro e, tutto sommato c'è anche qualcosa di buono. Quindi…

R:      Bene, domani la spedisco. Caso archiviato. Ora che abbiamo finito, bisogna darsi da fare, trovare altre idee per qualche cosa d'altro, che so un romanzo. Un'altra commedia…

V:      (sbadigliando) Sì, domani, adesso mi fa male la mano.

R:      Sentimi bene cugino, idee ne abbiamo, talento… bhe… forse, ma un po’, no dico un poco ne avremo. Quello che ci manca è la volontà, correggimi se…

Su queste parole, mentre Rei sta ancora parlando, cala il sipario, la vita continua anche per "Due autori in cerca di personaggi" e, ancora una volta, che Pirandello ci perdoni.

FINE